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Tesi di Diploma Accademico

di II livello in clarinetto

TUTTI QUANTI
VOGLION FARE JAZZ
Contaminazioni Jazz nel repertorio
clarinettistico del ’900

Matteo Spanio

Relatore: M. Luca Lucchetta

Anno Accademico 2020-2021


TUTTI QUANTI
VOGLION FARE JAZZ
Contaminazioni Jazz nel repertorio
clarinettistico del ’900

Matteo Spanio
Matricola: 13122
Relatore: M. Luca Lucchetta
Tesi di Diploma Accademico
di II livello in clarinetto

Conservatorio di Padova “Cesare Pollini”


26 Novembre 2021
Indice

Introduzione III

1 Come il clarinetto adottò il Jazz 1


1.1 Dall’Europa all’America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Musica popolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

2 Il Jazz in Europa all’inizio del XX secolo 7


2.1 Igor Stravinskij . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.1.1 I tre pezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.1.2 Genesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.1.3 Analisi del Terzo pezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

3 Le influenze del Jazz nella musica classica europea di metà secolo 17


3.1 Bohuslav Martinů . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
3.1.1 Sonatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3.1.2 Analisi del primo movimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3.2 Joseph Horovitz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.2.1 Sonatina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

4 Il jazz è la musica classica americana 23


4.1 Benny Goodman, Artie Shaw e tanto Swing . . . . . . . . . . . . . . 25
4.1.1 Concerto per clarinetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
4.2 La terza corrente o third stream . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
4.2.1 Bernstein: sonata per clarinetto . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
4.2.2 Analisi del secondo movimento . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

II
Introduzione

«Io stesso non amo follemente come Beethoven ha reso l’Inno alla gioia
di Schiller, ma anche se lo detestassi - cosa che non è - vorrei comunque
denunciare quella brutta persona che ha degradato se stesso e il brano
suonando la famosa melodia di Beethoven in un pezzo jazz chiamato I’m
so happy today in un programma radiofonico della BBC. Perché questi
demoni [...] della musica non possono tenere le mani lontane dai brani
che, alcuni membri di questa infelice generazione musicale ritengono sa-
cri? Il de-compositore in questione vede che la piena flagranza del suo
atto consiste nell’approfittare dell’enorme pubblicità del jazz per impedi-
re a migliaia di potenziali amanti della musica -ancora per lo più bambini-
di ascoltare per la prima volta una grande e famosa melodia nell’unico
luogo dove dovrebbe essere così sentita: in una sala da concerto?

Quando avevo quattordici anni scrissi la mia prima lettera alla stampa
per protestare contro l’introduzione di un tema della sinfonia Pathetique
in una pantomima di Drury Lane. Avendo io stesso, da bambino, avuto
modo di conoscere il trio della Marcia funebre di Chopin sotto forma di
una canzone comica su Li-Hung-Chang, sapevo di cosa stavo parlando e
che queste associazioni, una volta formate, non sarebbero mai state del
tutto rimosse. Mi sento così fortemente irrequieto come allora. Che tri-
buto sarà al mondo della radio quando, ascoltando la nona di Beethoven
per la prima volta, mio figlio esclamerà: “Perché, papà, stanno suonando
I’m so happy today!”»1

Questa tesi è un incentivo a rendere più tolleranti le persone come il sopracitato


Robert Lorenz nei confronti di un genere serio tanto quanto quello classico: il jazz.
Ripercorrendo le tappe fondamentali dell’evoluzione del jazz nei capitoli seguenti si
vedrà quali elementi sono serviti alla musica classica per rinnovarsi nel secolo scorso,
capendo quanto la classica sia debitrice al jazz per spunti musicali che l’hanno fatta

1
Robert Lorenz. «Jazz and the Classics». In: The Musical Times 72.1065 (1931), pp. 1024–
1024. issn: 00274666. url: http://www.jstor.org/stable/914929

III
Tutti quanti voglion fare Jazz

rifiorire (la third stream tra tutti è un esempio di questo connubio tra i generi), ma
anche quanto il jazz continui a guardare alla classica nel corso degli anni.
Nel complesso questo lavoro vuole essere un invito per i musicisti classici a ricon-
siderare la prevalenza di un genere su un altro: non solo Mozart, ma anche Benny
Goodman. La musica tradizionale non è musica meno seria di quella definita “colta”,
sono tutte espressioni di parti diverse della nostra società e possono esistere grandi
artisti tanto in un genere quanto nell’altro. Non solo è necessario rivalutare i propri
pregiudizi, ma è solo grazie a questo cambio di prospettiva che è possibile scoprire
quanto swing sia presente anche nella musica del passato: solo chi ha fatto tesoro di
esperienze classiche e jazz può utilizzare i modelli compositivi colti con il linguaggio
appropriato, troppo spesso, in entrambe le direzioni, si è assistito a esperimenti tut-
taltro che felici perché si partiva da presupposti incompleti. Ma in alcune occasioni
si può apprezzare come la conoscenza di più generi ponga le basi per i migliori suc-
cessi: si pensi al trombettista Wynton Marsalis che ha vinto contemporaneamente
un Grammy Award per la musica classica e per il jazz nel 1994.

III
Capitolo 1

Come il clarinetto adottò il Jazz

«Il jazz è sinonimo di libertà. Deve essere la voce della libertà: vai là
fuori e improvvisi, e corri dei rischi, e non sei un perfezionista – lascia
che lo siano i musicisti classici.»

Dave Brubeck

All’alba del XX secolo il jazz stava nascendo come il prodotto del confronto tra
due mondi. Il popolo africano, trasportato in schiavitù, portò con sé in America
le sue tradizioni musicali native, che erano corporalmente ritmiche e vocalmente
modali; fu così che le novità musicali degli schiavi entrarono in contatto, e forse
anche in conflitto, con le convenzioni armoniche dell’Occidente. Da questa tensione
si è generato il blues, base tradizionale del jazz. Durante i primi due decenni del
ventesimo secolo l’uomo di colore in America creò una musica che esprimeva non
solo la sua potente protesta contro l’espropriazione, ma anche una nostalgia per
la bellezza dei suoi antenati; e, cosa più notevole, anche l’uomo bianco arrivò a
riconoscere nella musica dei nuovi arrivati una vitalità e una spontaneità che lui,
nella consapevolezza dell’uomo moderno, aveva perso.

1.1 Dall’Europa all’America


L’evoluzione del jazz a New Orleans e dintorni durante la fine del 1800 ha fornito a
molti musicisti una via d’uscita da un ambiente difficile e un mezzo tanto atteso di
autoespressione. I primi clarinettisti jazz hanno iniziato la loro carriera con feroce
e contagioso entusiasmo, mentre una musica nuova, ricca e varia si è evoluta dalle
canzoni di lavoro degli schiavi di origine afro-americana. Schemi ritmici ripetitivi,
ravvivati da battute fuori tempo, sincopi, ritmi incrociati ed effetti antifonali, hanno
conferito alla musica un’enorme vitalità e un vasto fascino. “Blue notes”, un suono
gutturale e allo stesso tempo vocale, un vibrato ampio, e l’uso occasionale della
scala pentatonica nelle improvvisazioni, permeano la musica. Man mano che i musi-

1
Tutti quanti voglion fare Jazz

cisti creoli e afroamericani diventavano esperti nel suonare una varietà di strumenti,
emersero specialisti del clarinetto. Il clarinetto prediletto era quello con sistema
Albert in Do o Si♭, in quanto economico e facilmente reperibile1 .

Le occasioni per suonare non mancavano: dalle bande sui battelli del Mississippi
alle parate da strada, dove le bands spesso mettevano in atto delle vere e proprie
sfide tra loro, alle cakewalks 2 , nelle sale da ballo, alle processioni funebri o nelle
case di piacere. I membri della famiglia Tio furono tra i primi clarinettisti creoli
attivi a New Orleans e diedero luogo a una tradizione esecutiva insegnando a quelli
che divennero i protagonisti musicali delle generazioni successive. Come creoli, la
loro musica nasceva da un connubio tra la scuola francese e la nascente cultra mu-
sicale afro-americana. Louis “Papa” Tio e suo fratello Lorenzo si guadagnarono da
vivere in tournée con gruppi come i Mastodan Minstrels, l’Excelsior Brass Band e i
Georgia Minstrels durante gli anni 1880. I loro studenti più noti, Achille Baquet, e
il talentuoso e itinerante Sidney Bechet, misero più volte alla prova la pazienza di
Papa Tio. ‘Anni dopo, Sidney, con gli occhi che gli brillavano, ricordava le grida di
dissenso di Papa Tio: "No! No! No! Non abbaiamo come un cane o miagoliamo
come gatti!"’3 . Lorenzo Tio insegnò a Louis ’Big Eye’ Nelsonn de Lisle i cui impegni
includevano l’Orchestra Imperiale e l’Orchestra Superiore a New Orleans. I clarinet-
tisti Alphonse Picou e Charles McCurdy erano allievi di Tio, così come i clarinettisti
creoli Barney Bigard, Albert Nicholas e Buddy Petit. Il famoso assolo di Picou in
“High Society” ha stabilito uno stile che è stato ampiamente emulato e la tecnica
fluida e spianata di Barney Bigard può essere apprezzata nelle registrazioni della
band di Duke Ellington (1928-1942) e All Stars di Louis Armstrong (1946-1955).
Albert Nicholas, dopo anni di esibizione con King Oliver e Luis Russell, seguì Be-
chet a Parigi e in seguito si trasferì in Svizzera dove la sua popolarità non tramontò
mai.

1
Eric Hoeprich. The Clarinet. Norfolk, England: Yale University Press, 2008, p. 306.
2
Il cakewalk o cake walk era una danza sviluppatasi dalle "passeggiate a premio" (concorsi
di ballo con una torta assegnata come premio) tenutosi a metà del XIX secolo, generalmente in
occasione di riunioni nelle piantagioni di schiavi neri prima e dopo l’emancipazione nel sud Stati
Uniti. I nomi alternativi per la forma originale della danza erano "passeggiata con il gesso" e
"camminata intorno". In origine era una danza processionale del partner ballata con formalità
comica, e potrebbe essersi sviluppata come una sottile presa in giro delle danze di maniera dei
proprietari di schiavi bianchi. Dopo un’esibizione del cakewalk alla Centennial Exposition del 1876
a Filadelfia, il cakewalk è stato adottato dagli artisti negli spettacoli di menestrelli, dove è stato
ballato esclusivamente da uomini fino al 1890. A quel punto, gli spettacoli di Broadway con le
donne iniziarono a includere i cakewalks e le danze grottesche divennero molto popolari in tutto
il paese. I passi fluidi e aggraziati della danza potrebbero aver dato origine al colloquialismo che
qualcosa realizzato con facilità è una "passeggiata". Questo genere ebbe un così grande successo
che venne adottato come vera e propria forma musicale da compositori europei come Debussy
(l’argomento è trattato più approfonditamente alla sezione 2).
3
John Clinton. Sidney Bechet: Wizard of Jazz. London: Macmillan, 1987, p. 7.

2
Tutti quanti voglion fare Jazz

Lorenzo Tio Jr, probabilmente il clarinettista più


influente e di successo della famiglia, disse che suo-
nare il clarinetto per lui era ‘semplice come bere
un bicchier d’acqua’4 . Suonava frequentemente con
l’Excelsior Brass Band, Freddie Kreppard’s Olym-
pia Orchestra, Bunk Johnson’s Eagle Band, la Maple
Leaf Orchestra e la Piron Orchestra. Le abilità adot-
tate e insegnate dei Tio comprendevano il trasporto
a prima vista e quindi anche la lettura della musica,
cosa non scontata per gran parte dei musicisti Jazz.
Ne With Louis and the Duke: The Autobiography of a
Jazz Clarinettist, Barney Bigard riassume le qualità
del suo insegnante:
Figura 1.1: Sidney Bechet

«Tio, that was a whole different ball ga-


me: he could transpose. He was a great
reader, even by today’s standards. He had a real fast execution and
he could improvise - play jazz in other words - on top of all the rest.
He would even make his own reeds out of some kind of old cane. Yes,
Lorenzo Tio was the man those days in the city of New Orleans.»5

Il materiale didattico includeva i metodi di Klosé, Lazarus e Langey. Lorenzo


Tio Jr suonava clarinetti col sistema Albert prodotti dalla Buffet Crampon6 . Dalle
numerose foto dell’epoca è possibile notare come i sistemi Boehm e Albert fossero
equamente diffusi tra i clarinettisti jazz, poi con gli anni l’Albert venne abbandonato
a favore del Boehm.7
La differenza di stile esecutivo tra clarinettisti creoli e afroamericani era evidente:
lo stile vigoroso e mordente dei secondi era in forte contrasto con la timbrica morbida
dei primi. Musicisti di grosso calibro come Johnny Dodds8 , che suonava con Louis

4
Charles E. Kinzer. «The Tios of New Orleans and Their Pedagogical Influence on the Early
Jazz Clarinet Style». In: Black Music Research Journal 16 (1996), p. 287.
5
Barney Bigard. With Louis and the Duke: The Autobiography of a Jazz Clarinetist. A cura di
W. W. Norton & Co Inc. Mcmillan, 1985, p. 63
6
Kinzer, «The Tios of New Orleans and Their Pedagogical Influence on the Early Jazz Clarinet
Style», pp. 291–2.
7
Uno dei clarinettisti più noti al pubblico che oggi suona ancora il clarinetto con sistema Albert
è il famoso regista Woody Allen. Hoeprich, The Clarinet, p. 307
8
Johnny Dodds (12 aprile 1892 – 8 agosto 1940) è stato un clarinettista jazz e sassofonista
americano con sede a New Orleans, noto soprattutto per le sue registrazioni a suo nome e con
gruppi come quelli di Joe "King" Oliver, Jelly Roll Morton, Lovie Austin e Louis Armstrong.
Dodds è una figura importante nella storia del jazz: è stato descritto come "un primo architetto
nella creazione dell’era del jazz".

3
Tutti quanti voglion fare Jazz

Armstrong negli Hot Five, hanno un suono ruvido, quasi fuori controllo messo a
confronto con i creoli come Jimmy Noone9 , dallo stile più raffinato.10

1.2 Musica popolare


La musica da ballo era quella principale all’alba del jazz di New Orleans, che com-
prendeva polke, valzer, mazurche, "schottisce" e galoppe, ed è chiaro che all’interno
di queste forme si verificava una grande quantità di improvvisazione. Interviste con
musicisti jazz di New Orleans suggeriscono che era normale "suonare dritto" la pri-
ma volta e "improvvisare sulle ripetizioni", un approccio che riecheggia il Méthode
di Xavier Lefèvre. In effetti, molti degli elementi dell’esecuzione della musica france-
se, come l’ornamento fiorito, l’inegalité (il cosiddetto "shuffle") e l’appiattimento, si
potevano trovare nell’esecuzione dei clarinettisti di New Orleans. L’improvvisazione
era la linfa vitale del jazz, e i resoconti mostrano che "un drastico cambiamento nel
carattere della musica e della danza [avveniva] dopo la mezzanotte, quando la gente
più tranquilla era andata a casa a dormire".1112 I numeri ‘caldi’ come il Funky Butt
e il Turkey Trot infondevano la musica di un’energia contagiosa che conquistò presto
l’America e l’Europa.13
Ironicamente, il primo successo su larga scala del jazz di New Orleans avvenne
con l’Original Dixieland Jazz Band, un gruppo di musicisti bianchi 14 . Il clarinettista
Alcide ‘Yellow’ Nuñez descrive con schiettezza il fatto che l’ensemble fosse tutt’altro
che originale: "Tutto questo derivava dai neri di New Orleans"15 . Ma è indubbio
il fatto che l’apparizione di gruppi di musicisti jazz bianchi favorì la diffusione del
nuovo genere, e con questo anche il clarinetto, in tutto il paese.
In effetti, i musicisti bianchi suonavano jazz a New Orleans da quando c’erano
creoli e afroamericani. Jack ‘Papa’ Laine aveva la sua band a New Orleans nel
9
Jimmie Noone (23 aprile 1895 – 19 aprile 1944) è stato un clarinettista e direttore d’orchestra
jazz americano. Dopo aver iniziato la sua carriera a New Orleans, ha guidato la Jimmie Noone’s
Apex Club Orchestra, una band di Chicago che ha registrato per Vocalion e Decca. Il compositore
classico Maurice Ravel ha riconosciuto di aver basato il suo Boléro su un’improvvisazione di Noone.
Al momento della sua morte, Noone era a capo di un quartetto a Los Angeles e faceva parte di una
band all-star che negli anni ’40 stava rianimando l’interesse per il jazz tradizionale di New Orleans.
10
Le registrazioni di Dodds possono essere ascoltate sulla compilation RCA, Jonny Dodds, 1926-
28.
11
Lawrence Gushee. «The Nineteenth-century origins of jazz». In: Black Music Research Journal
1.14 (1994).
12
È importante notare che questa prassi tra le proprie origini dal mondo della danza, quello che
era stato codificato da Re Sole nel XVII secolo. Ecco un imprtante esempio di riferimento alla
musica colta europea che ha fatto da base per il jazz.
13
Kinzer, «The Tios of New Orleans and Their Pedagogical Influence on the Early Jazz Clarinet
Style», p. 288.
14
Bisogna comunque dire che i fondatori del gruppo erano di origini italiane, e gli italiani in
America erano solitamente considerati cittadini di serie B tanto quanto i neri.
15
Sidney Bechet. Treat It Gentle. Da Capo Press, 2002.

4
Tutti quanti voglion fare Jazz

Figura 1.2: L’Original Dixieland Jazz Band

1890. Il loro approccio prevedeva una forma musicale più strutturata con meno
assoli, rendendo la musica più accessibile al pubblico in generale. Ed è stato forse il
clarinettista bianco, Mezz Mezzrow, a riassumere in modo più appropriato la vitalità
contagiosa della scena di New Orleans:

«That was what New Orleans was really saying - it was a celebraion of
life, of breathing, of music-flexing, of eye-blinking, of licking-the-chops,
in spite of everything the world might do to you. It was a defiance of
the udertaker. It was a refusal to go under, a stubbon hanging on, a
shout of praise to the circulatory system, hosannas for the sweat-glands,
hymns to the guts that ache when they are hollow. Glory be, brother!
Hallelulah, the sun’s shining!»16

Il successo de l’Original Dixieland Jazz Band fu presto seguito dai New Orleans
Rhythm Kings, formati negli anni ’20 con il clarinettista Leon Rappolo. Entrambi i
gruppi hanno girato il paese e hanno influenzato lo stile del prossimo grande centro
del jazz: Chicago. A questo punto, i musicisti di New Orleans avevano iniziato
a migrare verso nord, a causa del proibizionismo e della chiusura di Storyville, il
quartiere a luci rosse di New Orleans. New Orleans Band di King Oliver, Red Hot
16
Hoeprich, The Clarinet, p. 308

5
Tutti quanti voglion fare Jazz

Peppers di Jelly Roll Morton eNew Orleans Wanderers di Johnny Dodds, sono stati
tutti successi a Chicago negli anni ’20.
Tre clarinettisti a Chicago furono particolarmente influenti all’inizio: Frank Te-
schemacher, Jimmy Dorsey e Pee Wee Russell, e fu Teschemacher che incoraggiò il
giovane Benny Goodman durante le jam session a tarda notte negli anni ’30. In
questo ambiente musicale Benny Goodman ha fatto il suo apprendistato, trovandosi
con la band a notte fonda, spesso improvvisando fino all’alba.

6
Capitolo 2

Il Jazz in Europa all’inizio del XX


secolo

«I haven’t understood a bar of music in my life, but I have felt it.»

Igor Stravinskij

Visto lo straordinario successo del Jazz in America, il nuovo genere non tardò a
presentarsi nel vecchio continente: la Rag music e il suo predecessore, il cakewalk
(che durò solo per il primo decennio del ventesimo secolo), furono i primi esempi di
musica nera a raggiungere un’ampia popolarità internazionale e una distribuzione
commerciale.1
C’era un enorme fascino per il ragtime in Europa. Diversi fattori hanno contri-
buito a questo entusiasmo, uno dei quali è stata la grande diffusione degli spartiti
tra il 1895 e il 1915. Le opere ragtime, a volte incorporando la parola “cakewalk” nei
loro titoli, erano disponibili in spartiti pubblicati per pianoforte e numerosi adatta-
menti per ensemble strumentali. Nel 1901 apparve un resoconto di un compositore
tedesco-americano, il cui ultimo pezzo ragtime, Hunky-Dory (incorporando temi di
Dvorak), doveva essere "prodotto simultaneamente in Inghilterra, Francia e Ger-
mania entro il mese successivo".2 In un giornale tedesco del 1903 si parlava della
popolarità della cakewalk nelle sale da musica di Parigi e nei salotti più eleganti;
infatti si includeva la musica “Cakewalk, Americanischer Negertanz von Kerry Mills”
con illustrazioni3 .
Addirittura il cakewalk è stato, anche se per poco, il ballo di società più popolare
in Inghilterra, dove ha raggiunto Londra nel 1896 attraverso le prime pubblicazioni4 .
A volte c’erano persino articoli dettagliati, quasi accademici, che descrivevano non

1
Frank Tirro. Jazz: A History. New York, 1977, p. 88.
2
M. H. R. «A German Composer». In: New York Herald (Gennaio, 13, 1901), p. 3.
3
«Der Cakewalk». In: Illustrirte Zeitung Feb. 5 (1903), p. 204.
4
Rudi Blesh e Harriet Janis. They All Played Ragtime. New York, 1950, p. 76.

7
Tutti quanti voglion fare Jazz

solo le figure di danza, ma anche le caratteristiche musicali e ritmiche del cakewalk.


Altri due fattori che aiutarono a diffondere la musica popolare americana in Europa
furono il piano-roll e il cylinder-roll, quest’ultimo inventato da Thomas Edison nel
1877. Ma probabilmente il più grande ambasciatore del ragtime americano fu John
Philip Sousa, la cui banda musicale fece quattro tournée in Europa. La prima visi-
ta, per l’Esposizione di Parigi del 1900, fu seguita da altre tournée tra il 1901 e il
1905 che includevano Gran Bretagna, Germania, Olanda, Belgio, Polonia, Cecoslo-
vacchia, Scandinavia e Russia. In programma c’erano ragtime, two-steps, e “vecchie
melodie negre” come “Songs and Dances of the Cottonfields” di Chambers. I suoi
pseudo-ragtime furono accolti con entusiasmo ovunque andasse. Anche Debussy,
con sarcasmo, ha scritto di Sousa:

«Alla fine il Re della musica Americana è tra le nostre mura... La mu-


sica americana è forse l’unica che può trovare un ritmo in inesprimibili
cakewalk. Se è così, confesso che al momento questa sembra essere la
sua unica pretesa di superiorità rispetto ad altre musiche... e il signor
Sousa è indiscutibilmente il suo re.»5

Tuttavia, il compositore francese è stato abbastanza ispirato dalla cakewalk per


scrivere tre caricature di ragtime, una delle quali Stravinskij prende in giro bona-
riamente quando ne prende in prestito il gesto di apertura.6 Ci sono persino prove
che turisti e studenti americani cantassero e suonassero in modo informale durante
il loro viaggio nel continente. Già nel 1893, Johannes Brahms incontrò una ragazza
americana che lo affascinò suonando ritmi ragtime sul banjo, facendogli credere che
quasi tutti gli americani fossero capaci di suonare quello strumento.7 Molti anni do-
po, Ansermet, viaggiando in ferrovia tra Berna e Losanna, incontrò alcuni studenti
americani che canticchiavano e scandivano per lui il tempo di un pezzo di musica
rag. Ansermet ha osservato che "il ragtime ha conquistato l’Europa; balliamo al
ragtime sotto il nome di jazz in tutte le nostre città"8 .

2.1 Igor Stravinskij


Per quanto riguarda Stravinskij, europeo cosmopolita, alla fine degli anni ’10 si sta-
va allontanando dalle tradizioni artistiche del romanticismo ottocentesco, cercando
5
Barbara B. Heyman. «Stravinsky and Ragtime». In: The Musical Quarterly 68.4 (1982),
pp. 543–562. issn: 00274631, 17418399. url: http://www.jstor.org/stable/742157, p. 545
6
Si parla del Ragtime per 11 strumenti di Stravinskij e de Golliwogg’s Cake-Walk (1908),
Minstrels (1910) e Général-Lavine-Eccentric (1913) di Debussy.
7
Heyman, «Stravinsky and Ragtime», p. 546.
8
Walter J. Schapp. Bechet and Jazz Visit Europe, 1919. A cura di Ralph de Toledano. New
York, 1947, p. 116.

8
Tutti quanti voglion fare Jazz

(a) Copertina di un’edizione del


1899 di una raccolta di spartiti di (b) Copertina di un disco di ca-
ragtime kewalk dei primi anni del ’900

(c) Poster del 1896 che invita alla partecipazione a una gara di cakewalk

Figura 2.1: Contesti vari in cui si presentano pubblicità legate alla cakewalk

9
Tutti quanti voglion fare Jazz

il rinnovamento attraverso un primitivismo ritrovato. Mentre dall’altra parte del


mondo il jazzista nero trovava, improvvisando, il suo vigore primitivo nella tensione
creativa con la prigione armonica e tonale del West, Stravinskij cercava di mettere da
parte queste convenzioni rinascendo ritmicamente. Ma naturalmente come europeo,
con secoli di tradizione alle spalle, poteva riscoprire il primitivo solo “dimenticandosi”
che stava utilizzando degli strumenti frutto delle scoperte della musica occidenta-
le: come è indicato dal fatto stesso che La Sacre du Printemps è stata scritta per
una gigantesca orchestra sinfonica, uno strumento che era un trionfante conquista
dell’industrialismo del diciannovesimo secolo, per quanto selvaggiamente Stravinskij
possa impiegare strumenti convenzionali sfidando ciò che era stato accettato come
la loro "vera" natura. E sebbene in Les Noces abbia tentato di emulare il suono
di un’orchestra contadina e originariamente intendesse utilizzare autentici strumenti
contadini, non pretende che il rituale mimato sia "reale", non più di quanto lo sia
l’omicidio sacrificale del Sacre. Entrambi i lavori sono balletti, nulla di più di una
rappresentazione simbolica. Ci ricordano una vitalità che avevamo dimenticato; ma
il loro valore negativo, terapeutico, liberandoci dalla violenza degli anni di guerra,
è forse più forte del fatto che siano opere fittizie.
È notevole il fatto che l’impulso negativo prende il sopravvento nelle opere da
camera che, negli anni della guerra, seguirono immediatamente i due grandi balletti
eruttivi; e che queste opere sono anche il primo riferimento palese che Stravinskij fa
all’esistenza del jazz. È significativo che a quel tempo Stravinskij non avesse ascolta-
to jazz, ma avesse visto solo alcune copie stampate di partiture per pianoforte9 , che
erano il tentativo della musica nera di creare una testimonianza colta in conformità
con le tradizioni della musica colta europea che già dal XIX secolo editava quadri-
glie e marce. Il modo inutilmente eupeptico della partitura per pianoforte era senza
dubbio una specie di appagamento, un desiderio di fingere che la musica nera nella
sua nuova terra fosse riconosciuta al pari delle altre. Il Ragtime potrebbe spiazzare
un po’ per i ritmi sincopati che erano una novità per l’epoca, ma non potrebbe mai
manifestare la caratteristica essenziale del jazz - la tensione creativa tra il solista che
improvvisa liberamente e il ritmo regolare e la formalità dell’armonia occidentale.
Ecco perché il rag tendeva a suonare, e a essere suonato, come se fosse una musi-
ca da automi, come la musica per pianoforti a rullo. L’elemento ritmico di questa
musica è stato sicuramente uno dei maggiori fattori che ha catturato l’attenzione di
Stravinskij, lui stesso affermava:

«Another of my biological facts. To bang a gong, bash a cymbal, clout


a wooden block (or critic) has always given me the keenest satistaction

9
La faccenda viene discussa più nel dettaglio alla sezione 2.1.1

10
Tutti quanti voglion fare Jazz

[...]»10

Nello specifico: gli studi per pianoforte a rullo vennero scritti nel 1917, mentre
L’Histoire du Soldat, il primo dei lavori di Stravinskij che faccia uso di tecniche e
sonorità jazz venne scritto nel 1918. L’orchestrazione di questo pezzo si ispira alle
orchestrine Dixieland, anche se probabilmente Stravinskij non ne aveva mai sentita
una. Ad ogni modo il fatto di maggior interesse è che Stravinskij dia a quest’organico
un tono ironico e cinico, in contraddizione con lo spirito che sprigionano le jazz band;
ciò è dovuto nuovamente alla rappresentazione alla quale è legata questa musica, il
principio di negazione, che vede in gioco il Diavolo stesso che corrompe l’animo del
soldato impossessandosi del suo violino. Forse si potrebbe parlare di un uso anti-
jazzistico del jazz: in questo caso i ritmi ossessivi non animano i corpi per ballare
vivacemente, piuttosto sono legati a un senso di cinicità, ma allo stesso tempo la
musica è la chiave di tutto ed è proprio nella scena del Ragtime che il soldato guarisce
e sposa la principessa. La verve dei complessi di New Orleans è molto distante da ciò
che esprime Stravinskij, che esplora invece le capacità grottesche del jazz, ad ogni
modo Stravinskij era cosciente di questo fatto, in effetti si esprime così riguardo
l’autenticità del suo jazz:

«the Histoire ragtime is a concert portrait or snapshot of the genre in


the sense that Chopin’s Valses are not dance waltzes, but portraits of
waltzes. The snapshot has faded, I fear, and it must always have seemed
to Americans like very alien corn.»11

I primi pezzi di musica pura legati al jazz sono il Ragtime per undici strumenti
e i Three Pieces for Clarinet Solo, in cui lo spirito grottesco viene mitigato da
un senso clownesco della faccenda, che con poco sforzo si potrebbe associare alle
situazioni surreali dei film di Chaplin. Il Piano Rag Music dell’anno successivo ha
un tono più positivo, le idee compositive maturano e Stravinskij tenta di creare (a
partire dalle stesse sonorità dei cluster del Tango de L’Histoire) un pezzo pianistico
che dia più respiro a una situazione improvvisativa: l’omissione della divisione in
battute incoraggia a eseguire con più libertà, con scompiglio, come se la musica
venisse improvvisata. Ovviamente il risultato sonoro è comunque molto distante dai
ragtime americani in quanto il ritmo swing caratteristico del jazz è completamente
assente.
Dopo gli anni della prima guerra Stravinskij abbandona un po’ alla volta la
scrittura jazzistica, fino al 1945 in cui scrive l’Ebony Concerto, dedicato all’orche-
stra di Woody Herman. Dal momento che sono passati più di vent’anni dai primi
10
Vera Stravisky e Robert Craft. Stravisnky in Pictures and Documents. A cura di Simon e
Schuster. 1978, p. 151
11
Igor Stravisnky e Robert Craft. Dialogues and a Diary. Garden City, N.Y.: Doubleday, 1963,
p. 87

11
Tutti quanti voglion fare Jazz

esperimenti di emulare i ritmi jazz Stravinskij ha una maggiore consapevolezza delle


sonorità e compone la sua più riuscita opera jazz, infatti riesce a unire le possibilità
della musica americana con la melanconia russa senza incappare nel tentativo di
scimmiottare un genere musicale.

2.1.1 I tre pezzi


Le composizioni del periodo Svizzero della vita di Igor Stravinskij secondo Taruskin
sarebbero influenzate da «German, Irish, French (Breton), Italian, Spanish, and even
Brazilian sources, in addition to various mongrel types of North American popular
music.»12 È in questo contesto che vennero composti i Three Pieces for Clarinet Solo
(1918).
Nonostante la grande quantità di materiali e articoli pubblicati sulla produzione
di Stravinskij, non esiste una ricostruzione univoca sulle origini e il significato dei
Three Pieces. Stravinskij stesso, tentando di chiarire la questione, si contraddice in
varie occasioni a riguardo13 , per esempio si esprime così parlando delle composizioni
ragtime prima del 1919:

«my knowledge of jazz was derived exclusively from copies of sheet music,
and as I had never actually heard any of the music performed, I borrowed
its rhythmic style, not as played, but as written. I could imagine jazz
sound, however, or so I liked to think. Jazz meant, in any case, a wholly
new sound in my mind, and Histoire marks my final break with the
Russian orchestral school [...]»14

ma rivolgendosi a Edward Evans afferma che i Three Pieces sarebbero ispirati dal
Characteristic Blues di Sidney Bechet. Cosa che sappiamo non essere possibile in
quanto il primo viaggio in Europa di Bechet è avvenuto nel 1919 come musicista della
Will Marion Cook’s Southern Syncopated Orchestra15 , e non poteva neppure averne
sentito una registrazione, in quanto il Characteristic Blues non venne registrato
prima del 193716 . Ciò evidenzia che se già durante la vita dell’autore non vi fosse
chiarezza riguardo la motivazione della nascita di questi pezzi, tanto più oggi, ad
anni dalla morte di Stravinskij, il tentativo di ricondurre la scrittura di quest’opera
ad un significato particolare risulta quantomeno difficile, se non insensato.
12
Richard Taruskin. «Stravinsky and the Russian Traditions». In: 2 (1996)
13
Derek Emch. «But What is it Saying? Translating the Musical Language of Stravinsky’s
Three Pieces for Clarinet Solo». In: OpenSIUC, Graduate Student Work (2012). url: http :
//opensiuc.lib.siu.edu/music_gradworks/5
14
Igor Stravisnky e Robert Craft. Expositions and Developments. Garden City, N.Y.: Doubleday,
1962, p. 103
15
Heyman, «Stravinsky and Ragtime», p. 548
16
Sidney Bechet. Characteristic Blues. Variety, DCXLVIII. 1937, eseguito da Noble Sissel’s
Swingsters con Sidney Bechet

12
Tutti quanti voglion fare Jazz

Non rimane altro allora che guardare alla musica stessa per trovarvi il suo si-
gnificato: una testimonianza che ce ne dà conferma è quella di Rosario Mazzeo, ex
clarinettista alla Boston Symphony, il quale racconta sulla rivista The Clarinet che
lo stesso Stravinskij gli avrebbe detto: “qualunque cosa da cui [Stravinskij] fosse
stato influenzato mentre scriveva per il clarinetto era chiaramente indicato dai segni
presenti nel testo musicale”.17

2.1.2 Genesi
I Three Pieces for Clarinet di Stravinskij furono composti a Morges18 nel 1918,
eseguiti per la prima volta l’8 novembre 1919 da Edmond Allegra e pubblicati da J.
& W. Chester, Ltd. a Londra e Ginevra nel 1920.
L’opera venne composta per Werner Reinhart, un filantropo svizzero di Winter-
thur19 , anche clarinettista dilettante20 , che finanziò le spese per la realizzazione de
L’Histoire du Soldat. Nella sua autobiografia Stravinskij dice così riguardo l’Histoire:

«I have kept a special place in my memory for that performance, and I am


grateful to my friends and collaborators, as well as to Werner Reinhart,
who, having been unable to find any other backers, generously financed
the whole enterprise himself. As a token of my gratitude and friendship, I
wrote for, and dedicated to him, Three Pieces for Clarinet Solo, he being
familiar with that instrument and liking to play it among his intimates»21

Quindi le origini dei Three Pieces e de L’Histoire sono strettamente legate. Il


direttore della prima de L’Histoire, Ernest Ansermet, lui stesso affascinato dal jazz
americano e in particolare dal suono del clarinettista jazz Sidney Bechet22 , diede a
Stravinskij una “raccolta di musica ragtime sotto forma di riduzioni per pianoforte
e parti strumentali” che Stravinskij copiò in partitura. Nel 1961 Stravinskij ricorda:
“con questi pezzi davanti a me composi il Ragtime nell’ Histoire du Soldat.” 23 In-
fatti il Ragtime de L’Histoire e i Three Pieces condividono molte somiglianze24 . Il
17
Rosario Mazzeo. «Mazzeo Musings». In: The Clarinet 18.3 (1991)
18
Cittadina svizzera vicina a Losanna, dove l’autore si rifugiò dalla guerra con la famiglia nell
quinquennio tra il 1915 e il 1920.
19
Werner Reinhart fu un mercante svizzero di compositori e scrittori, in particolare Igor Stravin-
skij e Rainer Maria Rilke. Reinhart conobbe e corrispose con molti artisti e musicisti della prima
metà del XX secolo nel mondo europeo, e la sua Villa Rychenberg a Winterthur divenne un punto
d’incontro internazionale per musicisti e scrittori.
20
Stravisky e Craft, Stravisnky in Pictures and Documents, p. 624. In una lettera di Ansermet si
riporta che ad una esecuzione della Suite de L’Uccello di Fuoco che si tenne a Winterthur, Reinhart
suonava il clarinetto basso.
21
Albert R. Rice. Notes For Clarinetists A Guide to the Repertoire. New York: Oxford
University Press, 2017, p. 238
22
Ernest Ansermet. A ’Serious’ Musician Takes Jazz Seriously. A cura di Robert Walser.
Oxford University Press, 1999
23
Stravisnky e Craft, Dialogues and a Diary, p. 87
24
Heyman, «Stravinsky and Ragtime»

13
Tutti quanti voglion fare Jazz

ruolo del clarinetto nel Ragtime è quello di arricchire, attraverso interventi motivici,
la linea del violino. Un inciso in particolare salta all’occhio perchè appare anche
nel secondo dei Three Pieces (figura 2.2a). Inoltre il frequente utilizzo del ritmo
sincopato nel Ragtime e il terzo pezzo evidenzia un altro punto in comune (figura
2.2b).

(a) Inciso condiviso

(b) Materiale ritmico analogo

Figura 2.2

Non è un caso se Richard Taruskin si riferisce ai Three Pieces for Clarinet come
quell’affascinante appendice dell’Histoire du Soldat 25 .

2.1.3 Analisi del Terzo pezzo


Il terzo pezzo prende le distanze dai primi due: sia acusticamente che formalmente.
Se i primi due pezzi sono preferibilmente per clarinetto in La, adesso l’autore cambia
preferendo il Si♭. L’indicazione Forte d’un bout à l’autre adesso rende esplicito
un senso di sviluppo dinamico macroformale: il primo pezzo esplora il piano, il
secondo gioca un po’ di più con le dinamiche, ma mediamente si attesta sul mezzo
forte, mentre il terzo è tutto forte. Qua emergono molti elementi che rimandano
idiomaticamente al jazz.
È interessante confrontare il ritmo "sintetico" del secondo brano per clarinetto
con il terzo "analitico", in cui i valori delle note sono mescolati, le articolazioni
variate, gli accenti frequenti e marcati, il che tende a scomporre la musica in unità
motiviche laconiche che esigono il blocco secondo un ictus tipicamente ridotto26 . La
scansione che ne risulta, il cui denominatore del ritmo che si sposta costantemente
tra quarti, ottavi e sedicesimi, è comune a gran parte della produzione stravinskiana.
25
Taruskin, «Stravinsky and the Russian Traditions», 1483
26
Ibid., p. 1483.

14
Tutti quanti voglion fare Jazz

Il terzo pezzo si svolge in gran parte attraverso un processo di infissione in cui


una seconda maggiore è scissa dall’inserimento del semitono intermedio, identifi-
cando così i toni della seconda maggiore originale come una coppia di acciaccature
che stanno attorno un punto gravitazionale. Oppure, al contrario, una data altezza
può essere circondata dalle sue acciaccature che le stanno attorno come un modo
per espandere lo spazio tonale con graduali incrementi smitonali27 . Difatti, il pezzo
inizia con la ripetizione insistente e l’alternanza di due note, La♭/Si♭. Alle battute
2-3 le due note perno salgono di mezzo tono (La♮/Si♮), questo gioco di alternanza
viene fatto proseguire fino alle battute 6-9, dove le note salgono ancora di semito-
no (La♯/Si♯ e a battuta 11 vennogo trasposte anarmonicamente - Si♭/Do) per poi
scendere delineando degli accordi (si veda figura 2.3).

Figura 2.3: Incipit del terzo pezzo con individuazione del semitono che ascende
cromaticamente

Questi accordi (si veda figura 2.4a) rivelano un’insistenza sulla bimodalità: il
primo è semplicemente Re maggiore, ma gli altri alternano velocemente la terza
cambiando il modo dell’accordo, si ha quindi La minore/maggiore e poi subito Sol
minore/maggiore (battute 11-13). La stessa cosa avviene dopo, alle battute 25-29 e
50-51, dove occorrono simili punti strutturali.
A battuta 14 si assiste a una specie di ripresa dell’incipit su La♭/Si♭, questa volta,
dove prima c’era un Do♯, adesso è scritto Do♮. Così facendo Stravinskij evita di far
ripartire la progressione per semitoni descritta prima, non essendoci un’apertura
allora la frase si chiude in una battuta e mezza. Da qui si apre una specie di sezione
27
Ibid., p. 1484.

15
Tutti quanti voglion fare Jazz

(a) battute 11-13

(b) battute 25-29

(c) battute 50-51

Figura 2.4: Incisi in cui si alternano rapidamente entrambe le modalità sullo stesso
accordo

Figura 2.5: Gruppi di 3 sedicesimi in 2 quarti, stilema tipico della pronuncia jazz

di sviluppo in cui si riprende il gioco di alternanza di semitoni, questa volta trasposto


a varie altezze: prima sul Re♭/Do alle battute 30-31, poi La♯/Si alle battute 33-34,
e Fa♮/Fa♯ alle battute 49-50. In mezzo, battute 37-40, viene inserita una frase dal
gusto puramente jazzistico che inserisce una figura ritmica ripetuta di 3 sedicesimi
in contrasto col tempo di 24 (si veda figura 2.5).
A battuta 53 si vede ancora una volta un ritorno al motivo iniziale, questa
volta ruota intorno alle note di Mi e Fa. A questo punto il motivo tematico viene
interrotto dopo 4 battute senza una cadenza, invece Stravinskij delinea una sorta di
intensificazione drammatica ripetendo fino a battuta 56 la solita figurazione ritmica
sincopata sulle note Re-Mi♭-Fa♮. Infine si assiste a un ultimo guizzo finale, simile a
una coda, che conclude virtuosisticamente il pezzo, che conclude con un’acciaccatura
ciò che due pezzi prima era iniziato da un’acciaccatura.

16
Capitolo 3

Le influenze del Jazz nella musica


classica europea di metà secolo

«Sta diventando sempre più difficile decidere dove il jazz comincia o si


ferma, dove inizia Tin Pan Alley e finisce il jazz, o addirittura dov’è il
confine tra musica classica e jazz. Penso non ci siano linee di confine.»

Duke Ellington

Dopo l’arrivo fortunato in Europa del nuovo genere e il conseguente intensificar-


si di viaggi da una parte all’altra dell’oceano, si vide man mano molti compositori
abbracciarne gli stilemi più caratteristici per inserirli nelle proprie opere. Il fulcro
della musica colta di metà Novecento (serialismo e dodecafonia) viene affiancato dal
jazz, sono infatti in molti ad accogliere a braccia aperte le commissioni di Benny
Goodman e altri noti solisti del secolo1 . Poulenc, Hindemith, Arnold, Bartòk, Mi-
lhaud, Honegger, Chačaturjan sono solo alcuni dei compositori che contribuiscono ad
ampliare il repertorio clarinettistico andando in cerca di un linguaggio nuovo, non
per forza jazz, ma che potesse scostarsi dall’altra opzione proposta dalla seconda
scuola di Vienna. Le prossime composizioni prese in considerazione sono il frutto di
personali visioni e reinterpretazioni del genere classico che abbracciano, più o meno
esplicitamente, degli idiomi tipici del jazz.

3.1 Bohuslav Martinů


“Un compositore di Policka”, è il modo in cui uno storico della musica ha caratteriz-
zato Martinů (1890 - 1959) nel centesimo anniversario della sua nascita2 . La frase

1
si veda la sezione 4.2 per avere un’immagine più dettagliata
2
Eric Tishkoff. Sonatina for Clarinet and Piano by Bohuslav Martinu. 2001. url: http :
//www.tishkoff.com/articles/martinu.htm.

17
Tutti quanti voglion fare Jazz

cattura una qualità importante e costante sia del compositore che della sua musica:
che erano legati alla sua nativa Cecoslovacchia.
Nato nel 1890, Martinů trascorse i suoi primi 11 anni vivendo con la sua famiglia
in cima al campanile di trenta metri della cittadina. Questa separazione dalla città e
dalle sue attività, la vista dall’alto, sembrava dare il tono per il resto della sua vita.
Martinů apprezzava la solitudine e durante il suo tempo da solo leggeva voracemente
oltre a comporre. In effetti, spesso l’uno ispirava l’altro. Le idee musicali sia per
opere puramente strumentali che per quelle drammatiche sembravano scaturire dalla
sua lettura della filosofia orientale e occidentale, dalla fisica di Albert Einstein e da
uno qualsiasi dei numerosi altri argomenti eruditi.3
Martinů si trasferì a Praga all’età di 16 anni per studiare al Conservatorio. Era
tutt’altro che uno studente modello, e in seguito spiegò che il corso di studi era
troppo rigido. Il Conservatorio, tuttavia, gli ha fornito la sua prima esposizione
a Debussy, la cui musica ha avuto un impatto immediato su Martinů e il suo stile
compositivo in erba. Dopo aver trascorso gli anni della guerra a comporre e insegnare
a Policka, si trasferì a Parigi all’età di 23 anni.
Mentre Policka e Checkoslavakia erano sempre la sua vera casa, Parigi era un
luogo relativamente felice per Martinů. Continuò a studiare e comporre. A Parigi
conobbe la musica di Stravinsky e varie tendenze musicali moderniste, anche questi
successivamente incorporati nel suo stile. L’assalto dell’esercito tedesco gli fece
lasciare la Francia e l’Europa nel 1941.
Martinů sbarcò negli Stati Uniti dove rimase per i successivi 12 anni. Fu allora,
all’età di 51 anni, che si avvicinò per la prima volta al genere della sinfonia. Il
suo tempo negli Stati Uniti è stato dedicato alla composizione, alla lettura e all’in-
segnamento. A Martinů non piaceva vivere negli Stati Uniti, trovandolo un posto
piuttosto disumano rispetto alle città affettuose che amava in Europa.4 Un grave
incidente nel 1946 smorzò temporaneamente la sua composizione e i suoi piani di
tornare in Europa. Nonostante l’incidente e il suo desiderio di andarsene, il suo
tempo negli Stati Uniti è stato molto produttivo e ha visto la genesi di molte delle
sue opere più grandi e più apprezzate.
Quando le condizioni in Europa finalmente lo permisero, nel 1953, Martinů si
trasferì di nuovo in Francia. Tornò negli Stati Uniti nel 1955 per prendere un lavoro
a Filadelfia, ma si ricordò rapidamente quanto non gli piacesse vivere negli Stati
Uniti. Nel 1956 si trasferì a Roma, e nel 1958 a Basilea, dove morì di cancro allo
stomaco nell’agosto del 1959.

Miloš Šafránek. «Bohuslav Martinů». In: The Musical Quarterly 29.3 (1943), pp. 329–354.
3

issn: 00274631, 17418399. url: http://www.jstor.org/stable/739378, p. 330.


4
Ibid.

18
Tutti quanti voglion fare Jazz

3.1.1 Sonatina
Martinů scrisse la Sonatina per clarinetto e pianoforte nel 1956 durante un soggior-
no a New York. Il pezzo è raramente citato al di fuori del mondo del clarinetto e
apparentemente non occupa un posto speciale tra la prolifica produzione del com-
positore. Le sei sinfonie e altre opere orchestrali, operistiche e corali su larga scala
come Gilgamesh sono le opere per le quali Martinů ha ricevuto i maggiori e du-
raturi riconoscimenti, eppure si possono riconoscere diversi tratti interessanti tipici
dell’autore nella sonatina.
La Sonatina rivela l’influenza del neoclassicismo di Francis Poulenc e Igor Stra-
vinsky e la "ricca tavolozza di toni-colori" di Claude Debussy. È pieno di danze
(polka) e ritmi di marcia e corse virtuosistiche. Passaggi di natura allegra conte-
nenti sincopi inaspettate si alternano a momenti lirici più dal tono meno allegro.
In questa musica si può vedere la nostalgia del compositore per il tempo più felice
e produttivo che aveva trascorso a Parigi (1923-1940), anni pieni di vivaci intera-
zioni con il gruppo di "Les Six". Nonostante la sua eleganza e finitura, la musica
abbraccia anche la forza appassionata delle sue radici ceche.5
Il pezzo è scritto come un movimento continuo composto da sezioni contrastan-
ti. Nella Sonatina, come del resto in gran parte della produzione del compositore,
Martinů evita le forme musicali standard. Questa era una caratteristica della sua
musica all’inizio, che è in gran parte ciò che lo ha messo nei guai con i suoi professori
mentre era studente al Conservatorio di Praga. Di conseguenza, le sue opere, a volte,
sono in qualche modo flussi di coscienza, con le relazioni tra una sezione e l’altra
difficili da cogliere per gli ascoltatori, o, forse, genuinamente tenui.6 La Sonatina
conferma le abitudini del compositore e si può notare nella struttura formale non
divisa in movimenti (anche se comunque ternaria) e il contenuto: per esempio quello
che potrebbe essere individuato come il pimo movimento presenta una ripresa come
da prassi della forma sonata in cui però il materiale è ripetuto pedissequamente,
senza alcuna variazione melodica o armonica fino all’inciso conclusivo.

3.1.2 Analisi del primo movimento


La Sonatina dimostra una solida comprensione delle capacità e dei punti di forza del
clarinetto. L’ampio uso di figure di trillo e arpeggi veloci aggiungono eccitazione e
bravura senza presentare sfide tecniche insormontabili. Nei passaggi lirici, la Sonati-
na mantiene il suo slancio in avanti attraverso l’uso di ritmi probabilmente derivati
dalla danza popolare come la sezione intermedia dopo i rapidi arpeggi (Tempo I), in
cui dopo un inizio puramente di incastri ritmici il clarinetto intoan una melodia dai
5
Guido Fischer. Booklet. Harmonia Mundi CD HMN911853. 2004.
6
Tishkoff, Sonatina for Clarinet and Piano by Bohuslav Martinu.

19
Tutti quanti voglion fare Jazz

valori lunghi e il pianoforte scandisce il tempo con dei sedicesimi in contrattempo


(si veda figura 3.1).

Figura 3.1: Momento di passaggio da una fase di ritmi concitati alla melodia per
valori lunghi

L’elemento unificante del pezzo è la sincope. Fin dall’inizio, con l’introduzione


del pianoforte di apertura, il ritmo è oscurato attraverso una combinazione di emiola,
ritmi fuori tempo e articolazioni decisamente non quadrate, si può notare in figura
3.2 come l’ingresso del clarinetto sia costruito su una frase con quasi esclusivamente
accenti spostati rispetto alle misure, sull’accompagnamento di esclusivamente sincpi
del pianoforte.7 Anche alcune delle cadenze più importanti sono sincopate, il che, in
più punti, dà l’illusione che il clarinetto sia arrivato in cima a una scala leggermente
in anticipo.
L’altro fattore unificante nella Sonatina è la parentela delle melodie. La maggior
parte del materiale melodico condivide diverse caratteristiche comuni tra cui l’uso di
sincope, articolazioni e schemi arpeggiati. Ad esempio, un certo numero di elementi
melodici ha un’anacrusi di croma legata a un’altra croma, contrassegnata come
staccata (alcune di queste stesse figure evidenziano spesso lo spostamento di accento
- si veda sempre figura 3.2). Poiché il pezzo manca di linee guida formali tipiche
e di riutilizzo dei temi, tali caratteristiche comuni sono la forza primaria che lega
insieme frasi e sezioni. Dal punto di vista interpretativo, è importante sottolineare
queste caratteristiche. Le crome marcate in staccato dovrebbero generalmente essere
suonate molto corte e i ritmi sincopati dovrebbero essere opportunamente accentati.
7
Tishkoff, Sonatina for Clarinet and Piano by Bohuslav Martinu.

20
Tutti quanti voglion fare Jazz

Figura 3.2: Ingresso del clarinetto nella Sonatina

Quali sono quindi gli elementi jazzistici di questa sonatina dal sapore neoclassico?
Chiaramente l’aspetto ritmico del sincopato e la frequente irregolarità degli accenti
sono un forte rimando ai ritmi che l’autore deve aver sentito nel soggiorno americano,
inoltre la sezione intermedia in cui primeggiano le volatine del clarinetto sul tappeto
sonoro del trillo eseguito al pianoforte lasciano spazio a un sentore improvvisativo,
che non è esclusivo del jazz, ma ne coglie in pieno la libertà espressiva.

3.2 Joseph Horovitz


Nato a Vienna, Joseph Horovitz si trasferì in Gran Bretagna nel 1938 dopo alcuni
brevi studi musicali a Vienna. In Gran Bretagna, studiò pianoforte e lingue moderne
a Oxford, e in seguito frequentò il Royal College of Music di Londra, studiando
composizione con Gordon Jacob. In seguito, studiò con Nadia Boulanger a Parigi
per un anno. La sua carriera musicale professionale iniziò nel 1950, quando divenne
direttore musicale della Bristol Old Vic, una compagnia teatrale con sede a Londra.
Successivamente lavorò come direttore di balletto e opera, svolgendo regolarmente
tournée in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1961, Horovitz ha insegnato composizione
alla RCM. Le sue opere comprendono 16 balletti, 2 opere in un atto, concerti per
un’ampia gamma di strumenti a corda, a fiato e a percussione, nonché il più famoso
concerto jazz per clavicembalo o pianoforte. Un gran numero di sue opere sono state
scritte per ensemble di fiati e ensemble di ottoni.

21
Tutti quanti voglion fare Jazz

Horovitz è un compositore di notevole versatilità, arguzia aggraziata e un’invi-


diabile capacità di comunicare, sia nei suoi stili piacevolmente leggeri che in quelli
più seri. In opere come il Concerto per clarinetto (1957) ha sviluppato una sintesi
jazz/neoclassica che da allora ha infuso molte delle sue opere di maggior successo.8
Le sue opere più leggere non gli hanno impedito di scrivere in una vena più profonda:
le sue opere corali mostrano l’influenza di Vaughan Williams, Holst e Delius, mentre
i quartetti d’archi, in particolare il quinto, contengono un’intensità che è sostenuta
da allusioni programmatiche avvincenti e spesso provocatorie.

3.2.1 Sonatina
La Sonatina (1981) è una delle numerose opere scritte come risultato di una continua
amicizia tra Horovitz e il clarinettista Gervase De Peyer. I due si conobbero al RCM
quando erano studenti (De Peyer ha studiato clarinetto con Frederick Thurston), e
poi a Parigi (dove De Peyer studiò con Louis Cahuzac). L’opera è dedicata alla
moglie di Horovitz, Anna.
Horovitz fornisce una descrizione della Sonatina prima della partitura:

«La Sonatina è spensierata e segue uno schema tradizionale della divisio-


ne in tre movimenti. La prima, in forma classica di sonata, si concentra
sul registro medio del clarinetto, prevalentemente lirico su uno sfondo
increspato di pianoforte. Il secondo movimento è una struttura di can-
zone A-B-A che impiega alcune delle note più basse dello strumento a
fiato in una lunga cantilena su un lento accompagnamento di accordi. Il
finale è una sorta di rondò [che] alterna due temi in eguali proporzioni,
sfruttando il registro acuto del clarinetto. L’idioma armonico dell’intero
lavoro è ovviamente tonale e, come le [mie] composizioni più recenti, la
Sonatina è melodicamente e ritmicamente molto influenzata dal jazz e da
altra musica popolare. Richiede uguale virtuosismo da parte di entrambi
i musicisti»9

Ernest Bradbury. «Joseph Horovitz: A Survey». In: The Musical Times 111.1526 (1970),
8

pp. 383–385. issn: 00274666. url: http://www.jstor.org/stable/956261.


9
Joseph Horovitz. Sonatina for clarinet and piano. London: Novello publishing limited, 1982

22
Capitolo 4

Il jazz è la musica classica americana

«La maniera di scrivere musica americana è semplice. Tutto ciò che


serve è essere americani e scrivere qualsiasi musica vi venga in mente.»

Virgil Thomson

La storia dell’America così come la si conosce oggi è piuttosto recente, infatti i


colonizzatori europei da Cristoforo Colombo in avanti hanno eliminato la maggior
parte delle tradizioni culturali precedenti, comprese, tra le tante, quelle musicali.
L’esperienza musicale degli ultimi secoli in America è stata quindi quella di adattarsi
ai generi introdotti dai conquistatori, cioè la musica colta europea, e le tradizioni
musicali degli schiavi, ovvero la cultura africana.
L’esistenza di una musica classica autenticamente americana, codificata attra-
verso un repertorio, sembra non esserci mai stata. Ecco allora che il primo reper-
torio originale di cui i nuovi americani si possono sentire i legittimi proprietari è il
jazz. Il jazz è la musica classica americana in quanto prima di questa non esistono
testimonianze scritte di un repertorio legato al territorio.
Come la musica classica, il jazz è servito da modello per compositori di altri
generi; la sua influenza è di portata internazionale. Il jazz è complesso, rilassato e
intenso. Incarna una tradizione audace di forme e direzioni musicali costantemente
emergenti; ha sviluppato i propri standard di forma, complessità, alfabetizzazione
ed eccellenza. Ha anche sviluppato un repertorio, che codifica e definisce i suoi molti
stili diversi, e i suoi stili sono davvero vari. C’è uno stile di jazz che suona come la
musica classica europea (cioè il Modern Jazz Quartet); c’è uno stile di jazz che suona
come la musica latinoamericana (cioè, Eddie Palmer, Macheto e Mongo Santamaria);
c’è uno stile di jazz che suona come la musica classica dell’India orientale (cioè
Maravisnu, John Mayer/Joe Harriott). Ci sono stili di jazz che suonano come vari
altri tipi di musica ascoltati in varie parti del mondo.
Questa musica definisce il carattere nazionale e la cultura nazionale. In un certo

23
Tutti quanti voglion fare Jazz

senso funge da specchio musicale, riflettendo chi e cosa erano gli americani nei vari
decenni. Gli anni ’20, ad esempio, rimandano a immagini di persone che ballano
sulla melodia "Charleston", composta dal pianista jazz James P. Johnson, e di gente
del centro che va al Cotton Club di Harlem per ascoltare Duke Ellington suonare
"It Don’ t Mean A Thing If It Ain’t Got That Swing." E i pensieri degli anni
’30 ci ricordano il modo in cui gli americani e altri ballavano sulla musica delle
grandi band swing. Non importa quando o dove viene composto o eseguito, dai "bei
vecchi tempi" al presente, il jazz, l’onnipresente musica americana parla a e per ogni
generazione, specialmente la generazione che la crea.

Esaminiamo un po’ più da vicino questo singolare fenomeno americano. La mu-


sica nero-americana, fin dall’inizio del suo sviluppo in questo paese, ha incorporato
elementi di altre tradizioni musicali, ma ha mantenuto la propria identità nel corso
della sua storia. Sebbene il jazz abbia utilizzato e ristrutturato materiali provenien-
ti da molte altre tradizioni musicali, i suoi elementi di base sono stati derivati da
tradizioni ed estetiche che erano di origine e concezione non europee. È una musica
indigena americana le cui radici e sistemi di valori sono africani. Le sue tradizioni
ritmiche di base si trovano in tutto il continente africano. Nella tradizione africana
non c’erano spettatori; ognuno partecipava alla creazione del ritmo e rispondeva
ad esso. Questa adesione alle pratiche ritmiche africane ha reso più facile per le
persone partecipare al proprio livello. Potevano suonare uno strumento, ballare,
cantare, battere le mani, pestare i piedi o combinarli con altri metodi ritmici di
auto-espressione come strumenti percussivi improvvisati. Il ritmo era fondamentale
nella tradizione musicale africana ed è rimasto tale nel jazz.

È infatti qui che ricade la nostra attenzione: cosa rende una musica americana?
Qual è il principale carattere che fa distinguere il terzo dei tre pezzi per clarinetto
di Stravinskij con le improvvisazioni di Sidney Bechet? La risposta è il ritmo e la
regolarità degli accenti. La musica jazz nasceva come musica per le gambe e per i
piedi, mentre nel vecchio continente la musica colta andava ascoltata con la testa.
Questo fa sì, come si è osservato in Stravinskij, che le “imitazioni” europee acquisis-
sero i nuovi stilemi compositivi riportando nella propria musica esclusivamente delle
variazioni ritmiche ma senza cambiare il proprio accento. Un po’ come quando si
sente parlare una persona straniera la propria lingua, nella maggior parte dei casi si
noterà una gran quantità di accenti sbagliati!

Di seguito si analizzeranno gli elementi della musica swing e la loro reinvenzione


nella musica colta non europea.

24
Tutti quanti voglion fare Jazz

4.1 Benny Goodman, Artie Shaw e tanto Swing

Benny Goodman (1909-86) fu introdotto al clarinetto presso la sinagoga locale dal


maestro Franz Schoepp, membro della Chicago Symphony Orchestra. Sembrerebbe
che il futuro King of Swing non avrebbe potuto chiedere una migliore educazione.
Le prime incursioni nel mondo del jazz avvennero nella sua scuola locale, nella
"Austin High Scool Gang", e subito dopo un impegno con la band di Ben Pollack
lo portò a Los Angeles. Arrivò a New York City nel 1929, con Pollack, ma nel
1934 aveva formato la sua band e incontrò anche il pianista Teddy Wilson, un
compagno di lunga data e influente nella vita di Benny. Insieme composero una
delle band meglio preparate degli anni ’30, suonando regolarmente in programmi
radiofonici popolari come Let’s Dance. Goodman fu tra i primi ad assumere musicisti
afroamericani altrettanto volentieri dei bianchi in un periodo in cui in America
vigeva ancora un forte senso di discriminazione razziale. Con la sua personalità
carismatica, la tecnica abbagliante e gli arrangiamenti ben costruiti, Goodman ha
trasferito il jazz nel mainstram della vita musicale americana. Da piccoli ensemble,
come il suo trio con Teddy Wilson e il batterista Gene Krupa, alla Benny Goodman
Big Band del leggendario concerto tutto esaurito alla Carnegie Hall del 19381 , la
maggior parte della sua musica è documentata su disco e facilmente disponibile oggi.
Quasi tutti i famosi strumentisti dagli anni ’30 agli
anni ’50, inclusi Harry James, Gene Krupa, Teddy
Wilson e Lionel Hampton, hanno suonato nelle band
di Goodman una volta o l’altra. La loro musica era
una versione "pulita" dello stile di Chicago degli anni
’20, con un’intonazione e un insieme perfetti. Flet-
cher Henderson, arrangiatore di Goodman negli an-
ni ’30, ha influenzato lo stile swinging della band
- Goodman non ha certo inventato lo swing, ma si
può dire che lo abbia perfezionato. Un sottofondo
di sassofoni dolci e sostenuti, punteggiati da accordi
staccati degli ottoni su cui sembrano galleggiare gli
inimitabili e apprensivi assoli di clarinetto di Good-
man, una ricetta perfetta. Da un tono sottile e pun-
Figura 4.1: Benny Goodman
gente a una qualità del suono lussureggiante e calda,
il modo di suonare di Goodman ha energizzato, sedotto, divertito e stupito il suo
pubblico. Mentre il mondo si avviava verso una nuova guerra, era la musica giusta
al momento giusto per aiutare le persone a dimenticare, anche se solo per pochi

1
Il primo concerto di musica jazz mai eseguito al Carnegie Hall, che contribuì a sdoganare il
genere anche nelle sale da concerto più prestigiose.

25
Tutti quanti voglion fare Jazz

minuti.
Goodman apprezzava anche il repertorio tradizionale, come le opere di Mozart
e Weber, così come molte delle principali opere solistiche del XX secolo: Milhaud,
Nielsen, Poulenc, Debussy e Stravinskij - che ha anche registrato. Ha commissionato
nuovi lavori a Béla Bartòk, Aaron Copland e Paul Hindemith. Contrasts di Bartòk
(1938) furono eseguiti per la prima volta da Goodman col violinista Joseph Szigeti
e il pianista Endre Petri nel 1939 alla Carniegie Hall. Assicurato da Szigeti, che ha
facilitato la commissione, che “qualunque cosa un clarinetto sia fisicamente in grado
di fare, Benny può tirarla fuori dallo strumento, e meravigliosamente...” Bartòk ha
colto l’occasione e ha scritto un pezzo il doppio della durata concordata, richiedeva
sia un clarinetto in si bemolle che in la. L’idioma non era familiare e Goodman ha
osservato della partitura "sembrava di vedere una nuvola di mosrche su delle len-
zuola", ma è un contributo superbo al repertorio. Altre due commissioni Goodman,
opere soliste di Aaron Copland e Paul Hindemith, furono completate nel 1947.2
I leader di jazz band e clarinettisti Artie Shaw
(1910-2004) e Woody Herman (1913-1987) si sono
mossi in direzioni contrastanti nel corso della loro
carriera. Shaw, irrequieto e progressista, cambiava
spesso il personale nelle sue band, sempre alla ricer-
ca di nuove sonoritá.3 Come Benny Goodman, Shaw
ha assunto musicisti afroamericani in un momento
in cui era considerato controverso. Billie Holiday, i
trombettisti Hot Lips Page e Roy Eldrige andarono
in tournée con Shaw negli anni ’30. La sua musi-
ca differiva da quella di Goodman e spesso il grande
pubblico si divideva in battaglie di preferenze degli
idoli, ma nel controllo e virtuosismo non vi era alcun
dubbio che Artie Shaw fosse il primo. Una serie di
Figura 4.2: Artie Shaw successi, Begin the Beguine, Frenesi e Stardust, ha
reso Shaw un nome familiare. L’altissimo do alla fi-
ne del suo Concerto per clarinetto è diventato leggendario, così come il suo senso
del tempo e la sua disinvoltura. Senza contare poi le relazioni con le grandi star di
Hollywood, come Lana Turner e Ava Gardner, che aggiungevano prestigio a Shaw.
Anche la sua rivalità con Benny Goodman era leggendaria. In un momento di slan-
cio critico, Shaw una volta osservò di Goodman: “Tu suoni il clarinetto. Io faccio
musica”.4 Le pressioni della celebrità e la difficoltà ad affrontare le vicissitudini del

2
Hoeprich, The Clarinet.
3
Ibid.
4
Ibid.

26
Tutti quanti voglion fare Jazz

mondo della musica sono descritte in un candido resoconto delle sue esperienze, The
Trouble with Cinderella (1952). Shaw si ritirò dal palco nel 1955, passando a una
carriera di successo nella scrittura e produzione di film.

4.1.1 Concerto per clarinetto


Il Concerto per clarinetto è una composizione per clarinetto e orchestra jazz del 1936.
Si tratta di un “pastiche” messo insieme da alcuni blues boogie-woogie, cadenze di
clarinetto accompagnate dalla batteria e un accumulo di semplici riff verso la fine,
il tutto avvolto in cadenze virtuose di apertura e chiusura per il clarinetto.
Questo concerto è stato eseguito numerose volte da Artie Shaw durante il suo
periodo di attività concertistica, anche se grazie alla grande reputazione acquisita
dal pezzo, viene eseguito ancora oggi da molti clarinettisti.

Struttura Sebbene il concerto per clarinetto di Artie Shaw soddisfi la definizione


di concerto, non segue la sua struttura abituale. Il Concerto per clarinetto di Artie
Shaw è un concerto per strumento solista e orchestra, che contiene cadenze ma si
conclude in un solo movimento; non segue quindi il modello del concerto classico.
Il pezzo si apre con un’introduzione. Questo è messo in moto dall’orchestra, che
fa una breve frase. Quindi il clarinetto, accompagnato dall’orchestra con accordi
morbidi, esegue una serie di arpeggi e brevi frasi in un tempo lento e tranquil-
lo. L’indicazione di tempo iniziale dice Rubato, e lascia spazio ad ampi glissati
dell’orchestra che si alternano a molteplici interventi del clarinetto. Dopo questa
introduzione, il concerto prosegue con un boogie-woogie (figura 4.3), in cui compare
la figura principale del concerto. Poco prima della prima cadenza, appare un assolo
di tromba.

Figura 4.3: Il motore ritmico e il walking-bass del boogie-woogie

Seguito da questo boogie-woogie e assolo di tromba arriva la prima cadenza:


l’orchestra suona un accordo e il clarinetto, da solo, fa un piccolo fraseggio in rispo-
sta. Questo schema viene ripetuto 4 volte. Dopo la prima cadenza arriva un altro
boogie-woogie, questa volta con un tempo leggermente più lento. La prima metà

27
Tutti quanti voglion fare Jazz

del boogie-woogie è un dialogo solo tra batteria e clarinetto, dopo questo segue una
piccola conversazione tra tromboni e sassofoni tenore. In seguito a questo scambio
tra questi due strumenti, ricompare il clarinetto che esegue 5 volte lo stesso moti-
vo musicale e un glissando di un’intera ottava che conduce il concerto alla cadenza
finale.
Il concerto termina con una cadenza più lunga delle precedenti: inizia come
la prima, con gli accordi e il clarinetto che fanno una frase in risposta ad essi; ma
termina con una variazione di una scala cromatica per ottave. Questa variante inizia
con un Sol5 del registro acuto del clarinetto e termina con un Do6 del registro acuto
del clarinetto. Una fine considerata epica da molti interpreti di questo concerto.

Strumentazione L’ensemble per il quale è stato composto il pezzo è stata la


prima orchestra di Artie Shaw, chiamata Artie Shaw e la sua orchestra. Questo
gruppo jazz era composto da 3 trombe, 3 tromboni, 1 clarinetto (lo stesso Artie
Shaw), 2 sassofoni contralti, 2 sassofoni tenore, 6 violini, 2 viole, 1 violoncello e 1
pianoforte; un totale di 21 musicisti.
Ma questo concerto è stato suonato così tante volte che molti arrangiamenti
sono stati fatti con strumentazioni molto diverse. Alcuni sono stati realizzati per
orchestra sinfonica, altri per pianoforte e clarinetto, altri per orchestra folk... Lo
stesso Artie Shaw ha cambiato i membri e gli strumenti del suo gruppo, quindi ha
dovuto ri-strumentare il concerto numerose volte per l’orchestra del momento.
Va notato che il gruppo che ha dato questo concerto per la prima volta nel 1936, è
la prima orchestra di Shaw, quella che è stata un fallimento. E sebbene il Concerto
per clarinetto e orchestra di Artie Shaw fosse una delle sue opere più famose, al
momento della sua prima, il pubblico non vi prestò molta attenzione. Fu solo nel
1938, quando Artie Shaw cambiò i musicisti nel suo gruppo, che divenne famoso,
grazie alla versione della famosa canzone Begin the Beguine di Cole Porter. Da
quell’anno acquisì fama e popolarità, una reputazione che gli permise di fare cover
di brani più vecchi ma ben lavorati, come questo concerto per clarinetto e orchestra.

Analisi musicale Come molte altre composizioni jazz, la maggior parte dei con-
certi di Artie Shaw segue una delle progressioni blues standard di 12 battute.
I7 I7 I7 I7
IV7 IV7 I7 I7
V7 V7 I7 I7
Ma Artie Shaw introduce alcune variazioni armoniche per contrastare e distin-
guersi da molti altri pezzi in stile Jazz Blues. Il brano inizia con quattro accordi
separati da una terza discendente minore che si risolve al V grado della tonalità

28
Tutti quanti voglion fare Jazz

di Si♭ maggiore. È allora che entra il clarinetto, che fa la breve introduzione al


concerto.
Il clarinetto suona una melodia con diversi arpeggi mentre è accompagnato da
accordi fatti dall’orchestra e da qualche cromatismo. Dopo l’introduzione arriva il
primo boogie-wooggie, dove compare il tema principale e le sue variazioni. Questa
parte del concerto segue la struttura blues classica di cui sopra. Poco prima della
prima cadenza, compare un assolo di tromba, accompagnato da accordi e controme-
lodie. Questi accordi sono ancora una volta una delle progressioni blues standard a
12 battute, questa volta, tuttavia, non uguali a quelle del boogie-woogie.
I7 I7 I7 I7
IV7 IV7 I7 I7
V7 IV7 I7 I7
Artie Shaw, tuttavia, varia un po’ questa progressione in modo che possa adat-
tarsi alla melodia e contro le melodie dell’assolo. Arriva la prima cadenza. Se la
tonalità del boogie-woogie era in Si maggiore, quella di questa cadenza è in minore
per offrire un senso di maggiore drammaticità. La cadenza è strutturata come se-
gue. L’orchestra suona un accordo e il clarinetto, da solo, fa un piccolo fraseggio in
risposta. Questo schema viene ripetuto quattro volte (ai gradi I, IV, V, I).
Dopo la cadenza arriva un altro boogie-woogie, questa volta però il clarinetto
è accompagnato solo dalla batteria. In questo punto del pezzo, Artie Shaw torna
al tema principale e ne fa diverse variazioni. Di seguito un breve dialogo tra sas-
sofoni e tromboni, seguito da un motivo del clarinetto ripetuto. Questa sequenza
è nuovamente accompagnata dalla stessa progressione che accompagna l’assolo di
tromba.
I7 I7 I7 I7
IV7 IV7 I7 I7
V7 IV7 I7 I7
Dopo questo motivo ripetuto quattro volte, compare un glissando di un’intera
ottava che conduce il brano verso la cadenza finale. Va notato che eseguire un
glissando sul registro del clarinetto alto è estremamente difficile e richiede un’ottimo
controllo tecnico. Arriva la cadenza finale. Il primo tempo segue la stessa struttura
del primo tempo. L’orchestra suona un accordo e il clarinetto, da solo, fa un piccolo
fraseggio in risposta. In questo caso, tuttavia, lo schema viene ripetuto solo tre
volte. E gli accordi realizzati dall’orchestra sono: Do minore, La maggiore, Si e
Fa maggiore con settima. Dopo questo dialogo tra clarinetto solo e orchestra, il
clarinetto costruisce una scala cromatica per le ottave. Questo inizia al Sol5 del
registro acuto del clarinetto e termina sul Do6 del registro acuto.

29
Tutti quanti voglion fare Jazz

Riduzione per il film Swing Romance Nel 1940 uscì un musical con Paulette
Goddard e Fred Astaire intitolato Swing Romance. In ruoli secondari erano Artie
Shaw con Burgess Meredith e Charles Butterworth. In una delle scene, Artie Shaw
e la sua orchestra hanno eseguito il concerto per clarinetto. Ma poiché la versione
originale del concerto dura troppo, i produttori musicali di Swing Romance hanno
chiesto a Shaw se poteva abbreviare il pezzo. Artie Shaw ha accettato ed è riuscito a
farlo durare 3 minuti e mezzo mantenendo gli aspetti più importanti del suo concerto:
l’introduzione, le nette differenze tra cadenze e boogie e la cadenza finale.

4.2 La terza corrente o third stream


Negli anni Quaranta e Cinquanta, l’era delle big band stava pian piano lasciando
spazio al bebop e al rock’n’roll, i giganti del clarinetto come Benny Goodman e
Woody Herman iniziarono allora a scrivere e commissionare pezzi di musica classica,
sia per ampliare il loro pubblico, sia per contribuire alla crescita della letteratura
del loro strumento.
Ispirati da questo contesto culturale allora autori come Leonard Bernstein e
Aaron Copland iniziarono a scrivere per questi committenti con un linguaggio misto
che non era nè dichiaratamente classico nè apertamente jazz, ma una via di mezzo,
un terza opzione.
Il termine third stream deriva dalla prassi dei musicisti jazz di definire i generi
che suonano come mainstream implicando in tal modo una continuità con i jazzisti5 .
La domanda che sorge spontanea è: cosa definisce le caratteristiche di un pezzo jazz
o di una composizione classica?
Al tempo in cui nacque questo nuovo modo di comporre in Europa i compositori
si trovavano a Darmstadt a discutere e studiare le composizioni seriali di Webern,
serviva quindi un’alternativa al serioso approccio del serialismo. Infatti, la combina-
zione di classica e jazz non era una novità, già Ravel, Gershwin e Stravinskij si erano
cimentati nella sperimentazione di musiche che non si possono delineare in un confi-
ne netto. Dovrebbero quindi essere chiamati compositori third stream? Forse, anche
se sappiamo che sarebbe una definizione anacronistica, si può pensare a loro come i
precursori di quest’unione. Ma, a mio avviso, la terza corrente nasce in America dai
compositori di musica colta che cercavano di creare un’identità del tutto americana
che ancora non esisteva nella musica classica, primo tra tutti Aaron Copland, com-
positore di New York, che si è trovato nella situazione di essere veramente il primo
americano a descrivere musicalmente l’America (si pensi ad Appalachian Spring).

Robert C. Ehle. «JAZZ CLASSICS or CLASSICAL JAZZ: The Story of Thrid Stream Jazz».
5

In: American Music Teacher 22.1 (1972), pp. 22–31. issn: 00030112. url: http://www.jstor.
org/stable/43533895, p. 22.

30
Tutti quanti voglion fare Jazz

È quindi con questi compositori che si confrontano Woody Herman e Benny Good-
man. Fu infatti Goodman a commissionare il concerto per clarinetto di Copland ed
ha ricevuto la dedica di Bernstein nel brano Prelude, Fugue & Riffs, mentre Woody
Herman commissionò il già citato Ebony Concerto a Stravinskij.

Figura 4.4: La prima pagina del manoscritto di Bernstein della sonata per clarinetto

31
Tutti quanti voglion fare Jazz

4.2.1 Bernstein: sonata per clarinetto


La Sonata per clarinetto e pianoforte di Leonard Bernstein, scritta tra il 1941 e il
1942 e pubblicata nel 1942, fu il primo brano pubblicato da Bernstein. È dedicato
al clarinettista David Oppenheim, che Bernstein incontrò mentre studiava direzione
d’orchestra con Sergej Kusevickij a Tanglewood durante le estati del 1940 e del 1941.
Il brano dura una decina di minuti e si compone di due movimenti consecutivi.
Il primo movimento è un lirico grazioso, che si apre con una linea musicale che
ricorda Paul Hindemith, che era il compositore residente a Tanglewood nel 1941, e
allude all’influenza di Copland e all’idilliaca atmosfera di Tanglewood.6 Il secondo
movimento inizia con andantino (tempo in chiave 83 ) e si sposta in un veloce Vivace e
leggiero dopo un’apertura tranquilla. Questo movimento è prevalentemente in 85 ma
cambia anche tra 86 , 84 e 87 in tutto il pezzo e prefigura il lavoro di Bernstein in West
Side Story, con una linea di basso molto mobile e sincopi. Successivamente ricorre lo
stato d’animo più riflessivo del primo movimento, con un passaggio di ponte infuso
di latino che riflette il tempo trascorso da Bernstein a Key West nelle prime fasi
compositive, prima di finire in bellezza. Bernstein tornò in seguito a comporre per
clarinetto nel 1949, quando compose Prelude, Fugue & Riffs per clarinetto solista e
jazz ensemble, dedicati prima a Woody Herman e poi a Benny Goodman.

4.2.2 Analisi del secondo movimento


Il secondo movimento inizia con una melodia per clarinetto Andantino che viene poi
imitata dal pianoforte e conduce al Vivace e leggiero in tempo 58 . Il clarinetto ha la
melodia attraverso questa sezione fino a battuta 13 dopo la lettera B, dove la melodia
del clarinetto illustra la comprensione di Bernstein della fisica dello strumento che
funziona per intervalli di dodicesima, prima di C.

Figura 4.5: Intervalli di dodicesima tra B e C

A C invece emerge la tecnica del glissando, che ricorda una sonorità “à la Ger-
shwin”. In questa sezione Bernstein spazia anche tra le possibilità dinamiche del

Lars Erik Helgert. Jazz Elements in Selected Works of Leonard Bernstein. 2009. url: https:
6

//books.google.com/books?id=fqCMGw0dfocC&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false.

32
Tutti quanti voglion fare Jazz

clarinetto accostando battute di forte e piano per sfruttare gli estremi solistici dello
strumento.
La sezione intermedia riprende il tema iniziale e lascia spazio alle possibilità più
liriche del clarinetto, infatti dalla lettera N alla O ci sono punti in cui il clarinetto
può raggiungere diversi toni di colore. Le dinamiche e l’indicazioneechotone creano
un effetto misterioso (che ricorda molto il primo movimento del concerto di Copland
per clarinetto del 1948).

Figura 4.6: Sezione tra N e O

Dopo questa sezione ritorna il ritmo incalzante del Vivace, il glissando à la Ger-
shwin e il basso irregolare. Il pezzo procede in 85 fino alla fine. Per avere successo
nell’esecuzione di questo pezzo, è necessario conservare un po’ di energia dinamica
e solistica fino alla fine del pezzo.
È da segnalare che tre scale utilizzate o implicate nell’opera si ritrovano scale
pentatoniche, blues e ottatoniche. I musicisti classici dovrebbero essere informati su
queste scale che fanno parte del linguaggio di un musicista jazz, e un altro modo in
cui la Sonata di Bernstein attraversa i confini musicali dalla classica al jazz.

33
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