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FEUERBACH

Ribaltamento della posizione cristiana (Dio precede l’uomo) ripresa anche nella filosofia hegeliana (L’uomo è un
momento del divenire dell’Assoluto\Spirito)
Per Feuerbarch: Dio è prodotto dall’uomo
Uomo di fronte alle necessità e alla potenza della natura proietta (aliena) le sue caratteristiche in una entità
superiore (Dio) . Al desiderio di essere non corrisponde la potenza adeguata: Dio è la proiezione che realizza i
desideri umani. L’alienazione si trasforma in alterità stabile e Dio, oggettivato, appare all’uomo come qualcosa a
sé, diverso e non dipendente dall’uomo stesso.
Dalla teologia (Dio crea-uomo) all’ antropologia (uomo crea-Dio)
La coscienza religiosa va smascherata come falsa. Ricondurre Dio all’uomo significa ricondurre l’uomo a se stesso
e fargli recuperare la propria essenza. L’uomo recupera in pieno la propria essenza e diviene Dio a se stesso Homo,
homini Deus (UMANESIMNO ATEO)
ATEISMO
La nuova Umanità: c’è solo l’uomo. Nella sua natura sensibile (siamo ciò che mangiamo). L’uomo in carne ed ossa
non è un appendice dello Spirito. Dalla teologia all’antropologia.
MATERIALISMO
L’umanità è il destino dell’uomo e l’amore realizza la relazione IO – TU nella collettività

FEUERBACH, NON DALL’UTERO, MA DALLA TESTA


Se la creatura fosse ad immagine del Creatore, come insegna la Bibbia, essa non dovrebbe uscire da un organo
volgare come l’utero, bensí dalla testa.

La piú profonda ignominia di un ente è la morte, ma il fondamento della morte è la generazione. Generare significa
far getto di sé, rendersi comune, perdersi tra la folla, sacrificare ad altri enti la propria unicità ed esclusività. Niente
è piú contraddittorio, strampalato e assurdo che far creare gli enti naturali da un ente spirituale supremo e
perfettissimo. Coerentemente a questo modo di pensare, dato che la creatura è una immagine del creatore, anche gli
esseri umani avrebbero dovuto venir fuori non dall’utero, che è un organo volgare e situato cosí in basso, ma
dall’ente organico piú alto, dalla testa.
L. Feuerbach, L’essenza della religione, Laterza, Bari, 1972, pag. 60

FEUERBACH, LA CRITICA DELLA RELIGIONE È UN GRANDE SUCCESSO PER LA FILOSOFIA


Per Feuerbach Dio è l’essenza della ragione rappresentata come entità a sé stante. Il compito storico che la
filosofia si era posto era di riconoscere l’essenza divina come essenza della ragione. Questo risultato è stato
raggiunto.

L. Feuerbach, Princípi della filosofia dell’avvenire, § 6

Dio in quanto Dio – come essenza spirituale ed astratta, cioè non umana, non sensibile, solo per la ragione o
intelligenza accessibile ed oggettivabile, non è altro che l’essenza della stessa ragione, che però, dalla teologia
comune o dal teismo, attraverso la immaginazione, è rappresentata come un’essenza autonoma, diversa dalla
ragione. C’è, perciò, l’intima e sacrosanta necessità che l’essenza della ragione, distinta dalla ragione, sia, infine,
identificata con la ragione, che l’essenza divina sia quindi riconosciuta come essenza della ragione, sia realizzata e
presentificata. Da questa necessità dipende l’alta importanza storica della filosofia speculativa.
La prova che l’essenza divina è l’essenza della ragione o intelligenza sta nel fatto che le determinazioni o proprietà
di Dio – in quanto queste siano, naturalmente, razionali o spirituali – non sono determinazioni della sensibilità o
dell’immaginazione, bensí proprietà della ragione.
“Dio è l’essere infinito, l’essere senza nessuna determinazione”. Ma ciò che non costituisce alcun confine o limite
di Dio, non costituisce neppure alcun limite della ragione. Dio, ad esempio, è al di fuori e al di sopra dei limiti della
sensibilità: lo è anche la ragione. Chi non pensa nessuna altra esistenza che non sia quella sensibile, chi dunque ha
una ragione limitata dalla sensibilità, questi, proprio in forza di ciò, ha un Dio limitato dalla sensibilità. La ragione,
che pensa Dio come un essere senza limite, pensa in Dio soltanto la sua propria illimitatezza. Ciò che la ragione
pensa come essenza divina non è altro che la vera essenza razionale, cioè l’essenza che corrisponde perfettamente
alla ragione e che, proprio per questo, la soddisfa.

FEUERBACH, DIO E L’UOMO


Supremo principio è “Homo homini Deus”: è errato ritenere che l’uomo debba sacrificare tutto a Dio, il quale per
definizione non ha bisogno di nulla. Inoltre, come la storia ha dimostrato, la morale fondata sulla teologia
giustifica tutti gli abusi, perché in questo modo essa viene sottratta al controllo della ragione.
Se l’essere umano è per l’uomo l’essere sommo, anche nella pratica la legge prima e suprema sarà l’amore
dell’uomo per l’uomo. Homo homini deus est: questo è il nuovo punto di vista, il supremo principio pratico che
segnerà una svolta decisiva nella storia del mondo.
[...] Al di sopra della morale sta Dio, riguardato come un essere distinto dall’uomo a cui appartiene tutto il meglio,
mentre all’uomo spettano soltanto i rimasugli. Tutti i sentimenti che dovrebbero essere rivolti alla vita e all’uomo,
tutte le migliori energie, l’uomo le spreca per l’Essere che di nulla ha bisogno. La causa reale diviene un mezzo
indifferente; la causa puramente immaginaria diviene la causa vera e reale. L’uomo ringrazia Dio per i benefizi che
l’altro uomo gli apporta anche a prezzo di mille sacrifici. La gratitudine che egli esprime al suo benefattore non è
che apparente, non è rivolta a lui, bensí a Dio. È riconoscente verso Dio, sconoscente invece verso l’uomo. Cosí il
sentimento morale soccombe nella religione. Cosí l’uomo sacrifica l’uomo a Dio! I sacrifici umani cruenti non
sono in realtà che una espressione brutale e sensibile della piú intima essenza della religione.
[...] Quando la morale viene fondata sulla teologia e il diritto su un’autorità divina, le cose piú immorali, piú
ingiuste e piú vergognose possono avere il loro fondamento in Dio e venir giustificate.

FEUERBACH, LA RELIGIONE COME SCISSIONE DELL’UOMO CON SE STESSO

Secondo Feuerbach l’uomo e Dio sono considerati l’uno l’opposto dell’altro, ma questa antitesi è soltanto una
scissione interna all’uomo stesso. Dio è in realtà un’opera di oggettivazione compiuto dalla ragione.

La religione è la scissione dell’uomo con se stesso: egli si pone di fronte Dio come un essere contrapposto. Dio non
è ciò che è l’uomo, l’uomo non è ciò che è Dio. Dio è l’essere infinito, l’uomo è l’essere finito; Dio è perfetto,
l’uomo è imperfetto; Dio è eterno, l’uomo temporale; Dio è onnipotente, l’uomo impotente; Dio è santo, l’uomo
peccatore. Dio e l’uomo sono estremi: Dio è il polo positivo, la somma di tutte le realtà, l’uomo il polo negativo, la
somma di tutte le nullità. Ma l’uomo ha, nella religione, come oggetto, il suo essere ignoto. Si deve, quindi,
dimostrare che questa antitesi, questa disarmonia tra Dio e l’uomo, onde trae origine la religione, è una disarmonia
dell’uomo con il suo proprio essere. L’intima necessità di questa dimostrazione scaturisce già dal fatto che, se
realmente l’essere divino, che è l’oggetto della religione, fosse qualcosa di diverso dall’essere dell’uomo, non
potrebbe verificarsi una scissione, una disarmonia. Se realmente Dio è un altro essere, che cosa mi importa della
sua perfezione? Scissione c’è solo tra esseri che sono in discordia l’uno con l’altro, ma devono essere un solo
essere, possono esserlo e, di conseguenza, essenzialmente, veramente, sono un solo essere. Deve, quindi, già da
questo principio generale, risultare che l’essere, dal quale l’uomo si sente scisso, è un essere a lui innato, ma
contemporaneamente un essere di natura diversa, come l’essere o il potere che gli dà il sentimento, la coscienza
della conciliazione, dell’unità con Dio o, ciò che fa tutt’uno, con se stesso.
Questo essere non è nient’altro che l’intelligenza, la ragione o l’intelletto. Dio, concepito come l’estremo opposto
dell’uomo, non come un essere umano, cioè personalmente umano, è l’essere oggettivato dell’intelletto. L’essere
divino, puro, perfetto, privo di difetti è l’autocoscienza dell’intelletto, la coscienza, dell’intelletto, della propria
perfezione. L’intelletto non conosce le sofferenze del cuore: non ha desideri, passioni, bisogni e, proprio per
questo, nessuna deficienza o debolezza, come il cuore.

FEUERBACH, QUANTO PIU' METTO IN DIO, TANTO PIU' TOLGO A ME STESSO


A ogni mancanza nell'uomo è contrapposta una pienezza in Dio: Dio è e ha precisamente ciò che l'uomo non è né
ha. Quanto è attribuito a Dio è tolto all'uomo e, viceversa, quanto è dato all'uomo è sottratto a Dio. [...] Tanto meno
è Dio, tanto più è l'uomo; tanto meno l'uomo, tanto più Dio. Se vuoi avere Dio, devi perciò rinunciare all'uomo; e
se vuoi avere l'uomo devi rinunciare a Dio; altrimenti tu n

on hai né l'uno né l'altro. La nullità dell'uomo è il presupposto dell'aver Dio un'essenza. Affermare Dio significa
negare l'uomo; onorare Dio, disprezzare i I uomo; lodare Dio, denigrare l'uomo. La gloria di Dio si fonda
esclusivamente sull'abbassamento dell'uomo, la beatitudine divina solo sulla miseria umana, la divina sapienza solo
sull'umana follia, la potenza divina solo sulla debolezza umana. (L. Feuerbach, L'essenza della fede secondo
Lutero, IV, 8) La religione cristiana ha collegato il nome dell'uomo col nome di Dio in un unico nome, quello del
Dio-uomo ed ha innalzato così il nome dell'uomo ad attributo dell'essenza suprema. La nuova filosofia, secondo
verità, ha trasformato questo attributo in sostanza, il predicato in soggetto; la nuova filosofia è l'idea realizzata, la
verità del cristianesimo. Ma essa, proprio perché ha in sé l'essenza del cristianesimo, rinunzia al nome di
cristianesimo. Il cristianesimo ha manifestato la verità solo in contraddizione con la verità. La verità senza
contraddizione, quella pura e autentica, è una verità nuova - un nuovo, autonomo atto dell'umanità.

(L.Feuerbach, Tesi per una riforma della filosofia, 569)

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