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Traccia del corso di

Politica Economica
Massimiliano Tancioni

Sapienza Università di Roma


Dipartimento di Economia e Diritto
Parte prima

Concetti teorici
Premessa

• La politica economica è la disciplina che studia l’azione economica pubblica


contestualmente allo schema di funzionamento del sistema economico, oggetto di
studio specifico dell’economia politica

• Faremo pertanto riferimento, in prima approssimazione, alle due principali


istituzioni economiche: il mercato (espressione di interessi privati) e lo stato
(espressione di interessi collettivi)

• I risultati economici dell’azione di tali istituzioni vengono valutati rispetto alla


soddisfazione di criteri di scelta sociale. Tali criteri sono criteri di efficienza e criteri
di equità, dei quali esistono diverse concezioni
Criteri di efficienza

• Efficienza statica, o allocativa: l’efficienza statica è definita rispetto ad un


determinato periodo ed in base al criterio di Pareto, secondo cui, nel
passaggio da una situazione A ad una situazione B, un insieme di individui
migliora la sua situazione economica se almeno uno di essi sta meglio e
nessuno di loro sta peggio. Dal criterio paretiano deriva il concetto di
ottimo paretiano: si ha una situazione di OP se non è possibile migliorare la
situazione di nessuno senza peggiorare quella di altri.

• Efficienza dinamica: è definita rispetto ad un intervallo di tempo e si


articola nei concetti di efficienza adattiva, ossia nella capacità di
apprendimento graduale degli agenti economici, e di capacità
innovativa, ossia nella considerazione che determinate situazioni di
mercato, inefficienti in senso statico, possano risolversi nel tempo superiori
se valutate rispetto alle loro potenzialità di generare innovazioni nel futuro
Concetti di equità

• Equità nelle opportunità economiche, o nei punti di partenza

• Equità nei redditi, o nelle posizioni finali

• Equità nelle capacità (capabilities di Sen), ossia nella possibilità di fatto di generare valori
economici

• Equità nel godimento dei diritti e libertà fondamentali dell’individuo


Schema del corso

• 1) Le ragioni dell’intervento pubblico

• 2) Le modalità di intervento e la teoria della politica economica

• 3) Le politiche microeconomiche in un sistema aperto

• 4) Le politiche macroeconomiche in un sistema aperto

• 5) Le istituzioni pubbliche internazionali

• 6) Globalizzazione e governance
1) Le ragioni dell’intervento pubblico

• 1.1: L’ipotesi di concorrenza perfetta (CP) e i due teoremi dell’economia del


benessere (TEB) [CAP 2]

• 1.2: Le cause di fallimento del mercato e la giustificazione dell’intervento pubblico.


Fallimenti microeconomici [CAP 2]

• 1.3: Aspetti macroeconomici dei fallimenti del mercato [CAP 3]


1.1) L’ipotesi di CP e i due TEB

• 1.1.1: Le ipotesi che definiscono situazioni di CP

• 1.1.2: Concetto di ottimalità e scelta individuale

• 1.1.3: Primo Teorema dell’Economia del Benessere

• 1.1.4: Secondo Teorema dell’economia del Benessere


1.1.1) Le ipotesi per la concorrenza perfetta
Un sistema economico è in CP se si verificano le seguenti condizioni:

1. Omogeneità nei beni, nel consumo e nella produzione

2. Elevata numerosità degli operatori (atomismo delle imprese)

3. Assenza di accordi espliciti e intese tacite tra di essi

4. Libertà di entrata e di uscita nel/dal mercato (assenza di costi)

5. Perfetta informazione (simmetria delle informazioni nello scambio)

6. Assenza di esternalità positive e negative


1.1.2) Concetto di ottimalità e scelta individuale - a
Le ipotesi

• Sia data una dotazione iniziale X di due risorse (beni 1 e 2) per due individui (A e B) con
struttura psicologica “self-interested”, ossia interessati alla massimizzazione della propria
utilità U(A) e U(B) e per la quale vale l’ipotesi di utilità marginale decrescente (convessità nelle
preferenze)

U q1
1,2;A,B A,B

q q2
1.1.2) Concetto di ottimalità e scelta individuale - b

• La massimizzazione della propria utilità richiede che essi scelgano


(autonomamente) di procedere a scambi fino a che almeno uno dei due
individui aumenta la propria utilità:

U(B)

U(A)

A
1.1.2) Concetto di ottimalità e scelta individuale - c
Esempio:

• Dotazione iniziale X: A ha possiede la coppia (2,15) e individuo B la coppia (8,5). Funzione di


utilità individuale: U(A) = b1b2; U(B) = b1+0.5b2. Nella situazione X: U(A) = 30; U(B) = 10.5

• Si supponga uno scambio in cui A cede due unità di b2 e B cede una unità di b1, passando
alla dotazione (3,13) per A e (7,7) per B (rapporto di scambio 2:1, definito dalla sua scarsità
relativa: 20/10). In questa situazione si ha: U(A) = 39 e U(B) = 10.5.

• Si supponga lo stesso scambio ma che le preferenze di B siano definite dalla funzione: U(B)
= b1+b2: U(A) = 39 e U(B) = 14.

• Si supponga lo stesso scambio ma che le preferenze di B siano definite dalla funzione: U(B)
= b1+0.2b2: U(A) = 39 e U(B) = 8.4.
1.1.2) Concetto di ottimalità e scelta individuale - d

• Nel primo caso A preferisce scambiare mentre B è indifferente; nel


secondo entrambi preferiscono scambiare, nel terzo A preferisce
scambiare mentre B non preferisce scambiare. Lo scambio si avrà solo nel
primo e nel secondo caso, con aumento del benessere totale, misurato
dalla somma delle utilità di A e di B

• L’esemplificazione mostra che, sotto condizioni di CP, lo scambio volontario


effettuato sulla base di valutazioni esclusivamente soggettive porta a
soluzioni sociali preferibili dal punto di vista del benessere

• Una situazione ottimale si ha quando nessuno scambio ulteriore può


aumentare l’utilità di un individuo senza importare una riduzione
dell’utilità di un altro individuo (ottimalità paretiana).
1.1.3) Il I Teorema dell’Economia del Benessere - a
Dalle condizioni/conclusioni ora discusse viene derivato il I TEB:

• “In corrispondenza di preferenze convesse, continue e monotòne, allora se


Y è un equilibrio di CP con mercati completi, esso è anche un Ottimo
Paretiano (OP)”

• In altri termini: le condizioni di CP stabiliscono anche quelle di ottimalità


nel senso di Pareto
1.1.3) Il I Teorema dell’Economia del Benessere - b
• Sono evidenti i legami con il concetto di “mano invisibile” di Adam
Smith, del quale il I TEB ne fornisce una precisazione rispetto alle
caratterisctiche richieste nella forma di mercato, al criterio di valutazione
(quello di Pareto) e alla connessione tra forme di mercato ed efficienza
allocativa

Limiti:
• Che succede in presenza di funzioni di utilità/produzione non convesse?

• L’insieme delle scelte possibili è limitato dalle dotazioni iniziali. Nel caso un
individuo possegga tutto e l’altro nulla, il criterio di OP richiede (per
necessità di efficienza) che non si proceda ad alcuna modificazione. Il
possessore dell’intera ricchezza è al suo massimo ed ogni modificazione ne
comporterebbe una contrazione. Viene in soccorso il II TEB
1.1.4) Il II Teorema dell’Economia del Benessere - a
Premessa: esiste un sistema concorrenziale, quindi vale il I TEB. Le utilità finali degli
individui dipendono dalle dotazioni iniziali, poiché esse definiscono l’insieme delle scelte
(libere) possibili. Su queste basi, il II TEB stabilisce che:

• “Ogni posizione di OP può essere realizzata come equilibro concorrenziale, attraverso una
appropriata distribuzione delle dotazioni iniziali degli individui”

• In altri termini, per ottenere la distribuzione finale di utilità che si desidera è necessario
distribuire opportunamente le risorse iniziali e poi lasciar fare al sistema concorrenziale
(che assicura l’efficienza)
1.1.4) Il II Teorema dell’Economia del Benessere - b
Implicazioni:

• Lo stato realizza l’equità (attraverso la redistribuzione delle dotazioni iniziali), il merato


concorrenziale realizza l’efficienza. Da ciò deriva l’idea di divisione istituzionale tra compiti
dello stato e del mercato

• Alla base di tale divisione dei compiti istituzionali c’è una visione dell’efficienza di tipo
paretiano: si tratta di un criterio non neutrale (al pari di altri criteri): esso viene giustificato
dal concetto di insindacabilità delle utilità/preferenze individuali, che tuttavia ha natura
etica e non tecnica
(individualismo etico e welfarismo)

• Lo stato possiede davvero le informazioni e gli strumenti necessari per svolegere il ruolo
fondamentale che gli assegna il II TEB?
1.2) Le cause del fallimento del mercato. Premessa

• L’efficienza è realizzata dalla CP (I TEB). Essa è alla base delle valutazioni sulla
preferibilità di date allocazioni rispetto ad altre

• Il fallimento delle condizioni di CP determina il mancato rispetto del criterio di


OP, quindi la caduta del giudizio di preferibilità della soluzione pura di mercato

• Ne segue che i casi di violazione delle condizioni di CP sono casi in cui è richiesto
l’intervento pubblico in economia. Si parla in tal caso di fallimenti del mercato
1.2) Le cause del fallimento del mercato
• 1.2.1: Regimi non concorrenziali e violazione ipotesi di atomismo

• 1.2.2: Violazione ipotesi di contendibilità e libertà di entrata

• 1.2.3: Esternalità e incompletezza dei mercati

• 1.2.4: Non rivalità, beni pubblici e incompletezza dei mercati

• 1.2.5: Informazione asimmetrica e incompletezza dei mercati

• 1.2.6: Beni meritori e incompletezza dei mercati

• 1.2.7: Equità e intervento pubblico


1.2.1) Regimi non CP e teorema del second best
• Ogni situazione reale che non soddisfi almeno uno dei requisiti che definiscono
l’esistemza di un regime di mercato di CP comportano una violazione delle condizioni di
OP e quindi un fallimento del mercato

• Ne segue che l’allontanamento dalla OP sia tanto più forte quanto maggiori siano gli
scostamenti dalle condizioni di CP

• Il teorema del secondo ottimo (second best) stabilisce il contrario: una situazione nella
quale un numero di condizioni di CP, ma non tutte, siano soddisfatte, non
necessariamente è superiore ad una situazione in cui ne siano soddisfatte un numero
inferiore. Una situazione di second best può essere stabilita non necessariamente
minimizzando gli allontanamenti dalla CP (es. 1 settore non CP in mercato con n
settori, per questioni di sostituibilità nel consumo o interdipendenze verticali nei processi
produttivi)
1.2.1) Regimi non CP: monopolio naturale - a

Struttura dei costi in CP


• In CP ogni impresa produce la quantità per cui il prezzo è uguale al costo dell’unità marginale
prodotta: P = CM. Ciò è garantito dall’ipotesi di rendimenti (costi) marginali decrescenti
(crescenti). Se q > q* allora CM > CM* = P (i prezzi sono dati in CP – irrilevanza della singola
impresa): si riduce q fino a che CM = P. Viceversa per q < q*.

P, CM, CU
CM CU

P = RM

q
q*
1.2.1) Regimi non CP: monopolio naturale - b

L’ipotesi di monopolio (naturale)


• Si ha monopolio naturale quando le caratteristiche della tecnologia – in
rapporto alle dimensioni del mercato – richiedono la presenza di una unica
impresa. Dati i rendimenti crescenti di scala, la dimensione efficiente (quella
per cui RM = CM si ha solo per q(m) < q(CP), per cui P(m) > P(CP)

P, CM, CU Area perdita connessa al monopolio

P(m)
CU
P(CP) CM
RM D
q
q(m) q(CP)
1.2.1) Regimi non CP: monopolio naturale - c

• In questi casi (costi decrescenti) è impossibile avere simultaneamente il rispetto della


condizione P = CM e profitti non negativi. Se il prezzo venisse fissato ai CM si avrebbe che CU
> P: perdite assicurate

• La presenza di un monopolio comporta un livello di produzione più basso e un prezzo più alto
(sfruttamento della domanda)
1.2.1) Regimi non CP – d: monopolio ed eff. dinamica

• Quanto visto finora per la non preferibilià del monopolio si riferisce ad una valutazione in
ottica di efficienza statica

• In ottica dinamica una situazione di monopolio potrebbe essere preferibile nel caso ad essa si
associ una maggiore capacità innovativa, dovuta al reinvestimento degli extraprofitti in spese
per R&S, alla loro appropriabilità, a fattori di diffusione di conoscenze specifiche connessi alla
scala di produzione e alla concentrazione di lavoro specializzato

• In presenza di capacità innovativa, ed in una ottica dinamica, una forma monopolistica


potrebbe risultare superiore, in termini di performance economica, ad una forma
concorrenziale, poiché le perdite di efficienza statica sono più che compensate dai benefici in
efficienza dinamica
1.2.2) Violazione ipotesi di contendibilità

• Dovuta alla presenza di costi in entrata e in uscita

• Si tratta dei c.d. “sunk costs” o costi irrecuperabili, connessi alla specificità di una data
iniziativa imprenditoriale (know-how, formazione …) o di costi creati dalle imprese già attive
(incumbents), attraverso la pratica del prezzo di esclusione

• Nell’esperienza reale l’ipotesi di contendibilità può non sussistere anche in assenza di barriere
economiche all’entrata/uscita
1.2.3) Esternalità – a: Incompletezza dei mercati
• Esternalità positiva (negativa): si riscontra quando una attività economica produce un
beneficio (danno) che viene parzialmente goduto da altri. In altri termini, quando il costo
privato è maggiore (minore) del costo sociale

• Le esternalità positive/negative si presentano tanto nella sfera della produzione quanto in


quella del consumo

• L’esternalità determina incompletezza del mercato poiché implica l’esistenza di un prodotto


per il quale manca un prezzo

• Per esempio, l’inquinamento di una industria può essere visto come l’uso di una risorsa per il
quale non viene pagato un costo (est. neg.). Gli effetti diffusi della ricerca e delle scoperte
scientifiche come prodotti per i quali il settore scientifico non si riceve un beneficio (est. pos)

• In presenza di esternalità positive Cpriv > Csoc: q < q*; in presenza di esternalità negative
Cpriv < Csoc: q > q*
1.2.3) Esternalità – b: Teorema di Coase

• Secondo Coase il problema delle esternalità è in sostanza un problema di assegnazione di


diritti di proprietà

• In assenza di costi di transazione, e previa assegnazione di diritti di proprietà, gli individui


raggiungono accordi mutuamente vantaggiosi senza intervento
governativo, indipendentemente dal modo in cui i diritti sono stati assegnati (Teorema di
Coase)

• In presenza di costi di transazione, diventa rilevante il modo in cui i diritti di proprietà


vengono assegnati

• Vedremo in dettaglio nella discussione delle politiche microeconomiche


1.2.4) Non rivalità, beni pubblici e incompletezza
• Bene pubblico puro: definito dalle caratteristiche della non rivalità e della non escludibilità. Si
ha non rivalità quando il consumo da parte di un individuo non riduce il consumo degli altri. Si
ha non escludibilità quando non è possibile, o è troppo costoso, discriminarne il consumo. In
presenza di entrambe le caratteristiche si hanno beni pubblici puri

• La presenza di beni pubblici determina incompletezza del mercato poiché, data la non
rivalità/escludibilità, il produttore non può chiedere un prezzo commisurato all’uso. Il costo
privato è superiore al costo sociale. Sotto questo aspetto emerge una analogia con il caso di
esternalità positiva

• Caratteristica tipica dei beni pubblici: assenza di costi variabili di produzione, o netta
preponderanza di costi fissi. Ciò assimila i beni pubblici al caso del monopolio

• Esempi: fari per la navigazione, illuminazione stradale, segnali radio/TV (se la tecnologia non
consente l’escludibilità), ambiente, stabilizzazione economica
1.2.5) Asimmetrie informative e incompletezza - a

• Si ha informazione asimmetrica quando una delle due parti che prende parte ad una
transazione economica ha meno informazioni dell’altra. Essendo un caso tipico dei problemi
di agenzia, la parte con minore informazione prende il nome di “principale”, quella con
informazione completa di “agente”

• L’informazione asimmetrica determina situazioni di selezione avversa e azzardo morale che


portano al fallimento, per incompletezza, del mercato
1.2.5) Asimmetrie informative e incompletezza - b

• Selezione avversa: la conoscenza asimmetrica delle caratteristiche di un bene oggetto di


transazione ne determina un prezzo non in linea con le caratteristiche. Si contrae l’offerta dei
beni migliori, eventualmente fino alla scomparsa del mercato.

• Esempio mercato del credito: banca disposta a concedere credito al tasso del 5% per i clienti
affidabili (A) e al 10% per i clienti inaffidabili (B). I clienti di tipologia A sono disposti a pagare
un interesse del’6%, quelli B del 12% (in assenza di asimmetrie informative scambi
mutuamente vantaggiosi). Se la banca non ha nessuna informazione sul cliente, assegna
equiprobabilità al caso A e B, cioè chiederà un interesse pari a 0.5*5% + 0.5*10% = 7.5%. A
questo tasso i clienti A non effettuano lo scambio. Il mercato aumenta di rischiosità media
(lemons), contraendosi.
1.2.5) Asimmetrie informative e incompletezza - c

• Azzardo morale: la conoscenza asimmetrica delle caratteristiche delle azioni dell’agente in una
fattispecie di delega induce alla contrazione dell’offerta di prestazioni migliori, eventualmente
fino alla scomparsa del mercato.

• Esempio mercato assicurativo: assicurazione disposta a concedere polizza a 200 euro per i
clienti affidabili (A) e a 600 euro per i clienti inaffidabili (B). I clienti di tipologia A sono
disposti a pagare 300, quelli B 600. Se l’assicuratore non può controllare le azioni
dell’assicurato chiederà una polizza pari a 400 euro. A questo tasso i clienti A non
acquisteranno la polizza. Il mercato aumenta di rischiosità media, contraendosi.
1.2.6) Beni meritori e incompletezza dei mercati

• Beni meritori: beni che non verrebbero scambiati, data la presenza di comportamenti
“miopici” che caratterizzano le scelte intertemporali (per assenza di informazioni essenziali) o
per la presenza di decisioni irrazionali. Pur non definendo situazioni non OP, giustificano
schemi di intervento pubblico di tipo paternalistico

• La ricerca economica ha mostrato che il consumo di alcuni beni presenta saggi di preferenza
intertemporale di tipo iperbolico: il presente è strettamente preferito al futuro (impazienza).
Ciò appare rilevante anche nel consumo di beni di copertura per rischi futuri certi
(vecchiaia, malattia)

• Esempi tipici: risparmio previdenziale e assistenziale, copertura assicurativa sanitaria e per


rischio disoccupazione, spesa per istruzione, conservazione del patrimonio artistico
1.2.7) Equità ed intervento pubblico
• L’iniquità economica/sociale è un risultato del mercato che può verificarsi anche in
corrispondenza di efficienza. Perfettamente ammissibile come risultato OP.

• Le valutazioni (o la rilevanza stessa del concetto) di equità richiedono giudizi di valore aventi
connotazioni strettamente etiche. N.B.: anche il criterio di Pareto presuppone un giudizio
etico nell’ipotesi di inviolabilità delle preferenze individuali

• Nelle comunità il giudizio di equità, pur assumendo connotazioni diverse, è sempre rilevante e
posto alla base del patto sociale.

• Diverse le accezioni: equità di opportunità (ex-ante) o di reddito (ex post). Sotto CP una equa
distribuzione iniziale garantisce una distribuzione finale perfettamente equa. Critiche: trade-
off eq./eff.
1.3) Aspetti macroeconomici dei fallimenti di mercato

• 1.3.1: L’instabilità delle economie capitalistiche di mercato (il ciclo)

• 1.3.2: La disoccupazione e gli equilibri di sottoccupazione

• 1.3.3: L’inflazione

• 1.3.4: Disoccupazione e inflazione nella teoria economica

• 1.3.5: Crescita e sviluppo e fallimenti del mercato

• 1.3.6: Gli squilibri della bilancia dei pagamenti


1.3.1) Instabilità economica e ciclo

• Si manifesta attraverso variazioni nel tempo del livello di produzione e


occupazione, attraverso squilibri nella bilancia dei pagamenti con l’estero, attraverso
fluttuazioni nel livello generale dei prezzi

• Sebbene il ciclo sia stato collocato, dalla teoria economica recente, tra i fenomeni
“naturali” e incorregibili dell’evoluzione delle economie di mercato soggette a shock
tecnologici, i fenomeni di instabilità a cui faremo riferimento sono quelli che traggono
origine da fallimenti del mercato

• Si tratta di fluttuazioni non Pareto-efficienti nel livello del prodotto e dell’occupazione e


nel livello dei prezzi (inflazione e deflazione)
1.3.1) Instabilità economica e ciclo – b: cause

• Viscosità o rigidità nei prezzi. Le rigidità dei prezzi dei beni determinano inefficienza nello
scambio e squilibri nel mercato dei beni. Le rigidità nei salari determinano inefficienza nel
mercato del lavoro e disoccupazione (ipotesi della sintesi neo e nuovo-Keynesiana)

• Aspetti strutturali dei mercati. Le caratteristiche tecnologiche e merceologiche delle


economie sviluppate richiedono forme di mercato che deviano fortemente dalle condizioni in
cui si realizza l’equilibrio di CP (ipotesi post-Keynesiana)

• Lotta distributiva tra capitale e lavoro, logica dell’esercito industriale di riserva e crisi
capitalistica (ipotesi marxiana)

• Progresso tecnico e logica della distruzione-creazione (ipotesi shumpeteriana)


1.3.2) Non pieno impiego e disoccupazione

• Concetto di disoccupazione involontaria: esistono lavoratori disposti a offrire servizi lavorativi


al salario di mercato che non trovano lavoro. L’offerta è razionata, nel senso che incontra una
domanda insufficiente

• Sebbene le statistiche ufficiali non permettano una distinzione certa tra disoccupazione
volontaria e involontaria, i livelli di disoccupazione sperimentati storicamente inducono a
caratterizzare la sottoccupazione come un fenomeno di non piego impiego delle risorse e di
disocc. involontaria

• La disoccupazione involontaria configura una perdita di efficienza, sia in senso statico che
dinamico. Dal p.v. statico, perché definisce uno squilibrio allocativo (prodotto al margine
superiore al salario di riserva), esistendo possibilità di miglioramenti paretiani. Dal p.v.
dinamico, perché il protrarsi di fenomi di disoccupazione induce a deperimento di capitale
umano (capacità lavorative)
1.3.2) Disoccupazione – b: interventi
• Le conseguenze economiche e sociali della disoccupazione possono essere temperate da
interventi pubblici di tipo redistributivo: indennità di disoccupazione, cassa intergrazione
guadagni (CIG), reddito minimo garantito, o di cittadinanza

• Indennità di disoccupazione: trasferimento monetario ai soggetti che abbiano perso il


lavoro, definito in modo condizionale (ricerca attiva del lavoro, partecipazione a corsi di
formazione) e/o temporaneo (pagato per un periodo ritenuto sufficiente al conseguimento di
una nuova posizione lavorativa)

• CIG: strumento (tipicamente italiano) di integrazione salariale per riduzioni temporanee


dell’attività lavorativa. Richiesta dalle imprese per fluttuazioni improvvise dell’attività
produttiva e/o per ristrutturazioni industriali

• Reddito di cittadinanza: mai introdotto in nessun paese nella sua accezione pura
(incondizionata)
1.3.2) Disoccupazione – c: pro e con interventi
• Pro: CIG e indennità di disoccupazione riducono, dal lato del lavoratore, i costi economici e
psicologici della disoccupazione; dal lato dell’impresa, ne facilitano la flessibilità
produttiva, rendendo meno aspre le relazioni industriali. Dal p.v. collettivo, tali strumenti
riducono l’impatto sociale complessivo del fenomeno della disoccupazione

• Contro: costituiscono un disincentivo all’offerta di lavoro, poiché aumentano il salario di


riserva del lavoratore (salario minimo di partecipazione al mercato del lavoro), determinando
disoccupazione volontaria e inflazione da costi. Costituiscono inoltre un costo economico per
la società nel suo complesso, dato che sono strumenti finanziati attraverso fiscalità generale e
contribuzione del datore di lavoro, che scarica i costi sui prezzi. E’ stato messo anche in
evidenza che l’obiettivo della piena occupazione può entrare in conflitto, in un sistema
capitalistico, con il meccanismo della “disciplina” della disoccupazione sulle richieste salariali
(leggi: logica marxiana dell’esercito industriale di riserva)
1.3.3) Inflazione
• Definisce variazioni positive nel livello generale dei prezzi in una data unità di tempo (t)
(mese, trimestre, anno), ovvero nell’indice composto dei prezzi dei beni (i) del paniere di
riferimento (media pesata dei livelli di prezzo dei singoli beni i)

Pt = ∑i =1 wi ,t Pi ,t
N

• Rappresenta un problema di politica economica poiché determina svalutazione delle scorte


monetarie e dei redditi non indicizzate, caratterizzandosi per essere “la più iniqua tra le
imposte): sfavorisce gli individui in posizione di risparmio positivo e credito e favorisce gli
individui in posizione debitoria

• Viene classificata in modo diverso rispetto alle cause e alle caratteristiche


1.3.3) Inflazione – b: classificazione per cause
• Inflazione da domanda: dovuta a situazioni di eccesso di domanda sull’offerta, spesso
connessa a “strozzature settoriali”

• Inflazione finanziaria o creditizia: dovuta a eccesso di spesa in deficit da parte dello stato
(politiche economiche eccessivamente espansive) o a eccesso di concessioni di credito da
parte del sistema bancario

• Inflazione da offerta: dovuta a shock che influenzano negativamente le capacità produttive


dell’economia (guerre, calamità naturali)

• Inflazione da costi: trasferimento sui prezzi dell’aumento dei costi produttivi

• Inflazione da profitti: in situazioni non CP, si ha per aumento del mark-up

• Inflazione importata: dovuta a variazioni dei prezzi delle merci importate o ad aumenti della
domanda estera
1.3.3) Inflazione – c: caratteristiche
• Inflazione strisciante: definisce situazioni di variazioni dell’indice generale dei prezzi
dell’ordine del 2-3% su base annua, un valore prossimo a quello sperimentato nel primo
decennio della costruzione dell’Euro-Zona

• Inflazione moderata: definisce situazioni di variazioni dei prezzi comprese tra il 3% e il 10%.
Tali valori hanno caratterizzato l’esperienza delle economie sviluppate nei periodi di
“ricollocamento” industriale a seguito degli shock petroliferi

• Inflazione galoppante: definisce situazioni critiche in cui l’indice dei prezzi varia, su base
annua, con tassi tra il 10% e il 300%. Le economie avanzate hanno sperimentato fasi di
inflazione superiore al 10% nei periodi immediatamente successivi agli shock petroliferi

• Iperinflazione: definisce situazioni di inflazione superiore al 300%. Si osservano a seguito di


eventi bellici (Germania) e crisi valutarie (Argentina)
1.3.4) Disoccupazione e inflazione nella teoria
economica
• Analizziamo, in modo schematico e certo non esaustivo, le diverse interpretazioni dei
fenomeni di instabilità economica fornite dai diversi approcci teorici a partire dalla teoria
keynesiana. In particolare:

1. Teoria keynesiana
2. L’approccio neokeynesiano della sintesi (Hicks) e il modello IS-LM
3. La posizione monetarista alla Friedman
4. La posizione della nuova macroeconomia classica
5. La nuova sintesi e il modello AD-AS
6. Teorie recenti della disoccupazione involontaria
1.3.5) Teoria keynesiana – a: ipotesi di base

• I prezzi sono rigidi, o viscosi, specialmente verso il basso. La rigidità scaturisce dal conflitto
distributivo tra percettori di reddito: ogni operatore economico (a grandi linee, produttori
e lavoratori) tende a non far diminuire il prezzo del bene che offre (prodotto, lavoro), nel
timore che i prezzi dei beni che acquista (lavoro, prodotto) rimangano invariati o
aumentino

• In una economia monetaria (non di baratto), le decisioni di risparmio e di investimento


sono atti separati, sia nel tempo, sia con riferimento ai soggetti che le compiono. Il
risparmio dipende sostanzialmente dalla propensione media al consumo, mentre
l’investimento dipende dalle aspettative sull’efficienza marginale del capitale (attese sulla
profittabilità dell’unità aggiuntiva di capitale installato)
1.3.5) Teoria keynesiana – b: inflazione
• L’inflazione, come la rigidità, scaturisce dal conflitto distributivo tra percettori di reddito. In
forme di mercato non perfettamente concorrenziali le imprese fissano i prezzi sulla base
della logica del costo pieno: applicano un mark-up al costo di produzione

• La formula del costo pieno fornisce una utile formalizzazione dell’inflazione come risultato
del conflitto distributivo. Si consideri il costo del lavoro per unità di prodotto, definito dal
rapporto tra il salario unitario (w) e la produttività media del lavoro (PMeL), e il margine
lordo di profitto (g). Il prezzo praticato dalle imprese è definito nel modo seguente:

P = (w/PMeL)(1+g)

• In variazioni (d) si ottiene pertanto:

dP = dw-dPMeL+d(1+g)
1.3.5) Teoria keynesiana – c: rigidità nei prezzi
• La rigidità nominale nei prezzi dei beni e del lavoro (salario) implicano fallimenti nel
coordinamento delle decisioni economiche e disequilibrio nel mercato dei beni e del
lavoro. In assenza di variazioni sufficientemente ampie dei prezzi relativi, gli aggiustamenti
avvengono dal lato delle quantità (di prodotto e di lavoro): si determina pertanto instabilità
economica nel livello di prodotto e di occupazione

• Anche assicurando una maggiore flessibilità dei prezzi relativi, il sistema non tenderebbe
necessariamente all’equilibrio. Con riferimento al salario, l’analisi di Keynes mostra che, a
livello aggregato, il prezzo del lavoro non può essere considerato esclusivamente nella sua
qualità di costo produttivo (come nell’analisi microeconomica standard). Il salario, a livello
aggregato, è anche reddito, quindi consumo e domanda. Una contrazione salariale, da un
lato, riduce i costi di produzione e i prezzi stimolando una maggiore domanda, dall’altro
riduce la domanda aggregata dei lavoratori, che si suppone abbiano una maggiore
propensione al consumo (ipotesi necessaria) rispetto alle altre classi
1.3.5) Teoria keynesiana – d: separazione I-S

• Nell’analisi di Keynes, riferita ad una economia monetaria, non esiste un prezzo capace di
porre in equilibrio le decisioni di risparmio con le decisioni di investimento, poiché essi
sono atti separati, fisicamente e temporalmente.

• Per meglio comprendere il punto, è utile assumere che esistano due operatori, i
risparmiatori (famiglie e imprese) e gli investitori (imprese). I primi accumulano scorte
liquide su base comportamentale, ossia specularmente alle decisioni di consumo. I secondi
utilizzano tali scorte sulla base di aspettative sul rendimento futuro del capitale installato.

• Se le aspettative non sono ottimistiche, le imprese tenderanno a non utilizzare il risparmio


in attività di investimento, deprimendo la domanda aggregata e il livello di produzione
1.3.5) Teoria keynesiana – e: es. separaz. I-S
• Per esemplificare questo punto, utilizziamo una schematizzazione dovuta a Kelecki.
Ipotizziamo che le famiglie consumino tutto il loro reddito e le imprese investano tutti i
profitti.

PML, wr
D

E
W

D’
O L N
• DD’= produtt. marg lavoro; L = numero di lavoratori di pieno impiego; OW = salario reale di
pieno impiego (PI); ODEL =valore prodotto di PI; OWEL = quota di prodotto per il lavoro;
WDE = quota di profitto
• Se gli investimenti fossero pari a WDE allora la domanda corrisponde al valore del prodotto
di PI. Ma nulla lo garantisce. Se fossero inferiori, per effetto di aspettative negative, si
avrebbe non PI e disoccupazione
1.3.5) Teoria keynesiana – f: tasso di interesse

• Nell’analisi di Keynes, il tasso di interesse è un fenomeno esclusivamente monetario, ha


natura convenzionale e non può pertanto riequilibrare il mercato dei capitali

• Definisce il prezzo per l’astensione dalla liquidità nell’unità di tempo considerata, e mette
in equilibrio esclusivamente domanda e offerta di moneta. Non definisce univocamente le
decisioni di risparmio

• Non c’è quindi nessuna forza capace di portare in equilibrio di PI il sistema. Gli equilibri di
non PI rappresentano il caso generale delle economie reali

• Ciò apre un ruolo per l’intervento pubblico per la stabilizzazione ciclica, da operarsi
attraverso la politica monetaria e – soprattutto - fiscale
1.3.6) Sintesi neokeynesiana – schema IS-LM

• L’impostazione keynesiana di base ottiene una sistematizzazione nello schema IS-LM della
sintesi neokeynesiana, sostanzialmente dovuto ad Hicks (1937)

• Lo schema IS-LM sostanzialmente ricerca le condizioni di equilibrio simultaneo sul mercato


dei beni e della moneta, ottenute attraverso la soluzione di un sistema di equazioni di
comportamento direttamente derivate dall’impostazione keynesiana

• Lo schema IS-LM assume prezzi dati, il che lo rende strumento valido per analisi di breve
periodo, rispetto al quale l’ipotesi di prezzi rigidi non risulta particolarmente forte

• Sono possibili equilibri di sottoccupazione e l’azione pubblica, nelle vesti della politica
fiscale e della politica monetaria, può portare il sistema ad equilibri di PI
1.3.6) Sintesi – a: IS ec. chiusa, no interv. pubblico
• Si parte dalla rappresentazione in forma strutturale del modello keynesiano di
base, assumendo una economia chiusa agli scambi con l’estero e in assenza di intervento
pubblico
D=C+I
D =Y Y −C = S ⇒ S = I
Y =C+I
C = cY
I = f ( EMK − r ) ⇒ I = I 0 − ar

• Se ne trova la forma ridotta, sostituendo le equazioni per C e I nell’equazione reddito-


spesa, quindi risolvendo per Y

Y = cY + I 0 − ar
Y (1 − c ) = I 0 − ar

Y =
1
(I 0 − ar )
1− c
1.3.6) Sintesi – a: IS ec. chiusa, no interv. pubblico
• L’ultima equazione scritta definisce la curva (in effetti una retta) IS, dove la quota è data
dalla grandezza I 0 / (1 − c ) e la pendenza da − a / (1 − c ) . Infatti l’equazione della IS, che
definisce coppie di valori di reddito e tasso di interesse per cui il mercato dei beni è in
equilibrio è una equazione di una retta. Il significato economico è il seguente:
all’aumentare del reddito aumenta anche il risparmio. Perché il mercato dei beni rimanga
in equilibrio, occorre un pari aumento dell’investimento, possibile attraverso riduzioni del
tasso di interesse

r
I0 a
I/(1-c) Y= − r
1− c 1− c
IS

-a/(1-c)

Y
1.3.6) Sintesi – b: IS ec. chiusa, int. pubblico
• Introduciamo ora l’intervento pubblico,nella forma della politica fiscale. A grandi
linee, essa è definita dalla differenza tra entrate fiscali, cioè tasse T e spesa pubblica G. Il
modello in forma strutturale e ridotta, nel caso di imposte in somma fissa (cioè
indipendenti dal livello del reddito) assume la seguente forma

Y =C + I +G
C = cY D
Y D =Y −T
I = I 0 − ar
G =G
T =T
Y = cY − cT + I 0 − ar + G

Y=
1
1− c
(
G − cT + I 0 − ar )
1.3.6) Sintesi – c: IS ec. chiusa, teor. Haavelmo
• Dall’ultima equazione scritta, che definisce la IS nel caso di economia chiusa ed
imposizione in somma fissa, possiamo derivare la dimostrazione del teorema di
Haavelmo, anche noto come teorema del bilancio in pareggio, che stabilisce che la politica
fiscale ha effetti espansivi anche senza il ricorso alla spesa in deficit, cioè mantenendo il
bilancio pubblico in pareggio. Gli effetti sul reddito di una spesa pubblica pienamente
finanziata attraverso imposizione in somma fissa sono pari all’entità dell’intervento
(manovra fiscale), ovvero a G = T

G =T

Y=
1
1− c
(
G − cG + I 0 − ar )
Y=
1
1− c
[
G (1 − c ) + I 0 − ar ]
1− c
∆Y = ∆G
1− c
∆Y = ∆G = ∆T
1.3.6) Sintesi – d: IS ec. chiusa, imposte proporzionali
• Nel caso di imposizione proporzionale, cioè pari ad una quota del reddito, la curva IS
cambia quota e anche pendenza, appiattendosi. Infatti:

T = tY
Y D = Y − T = Y − tY = Y (1 − t )
C = cY D = c(1 − t )Y
I = I 0 − ar
G =G
Y = c(1 − t )Y + I 0 − ar + G
Y [1 − c(1 − t )] = I 0 − ar + G

Y=
1
(
1 − c(1 − t )
I 0 − ar + G )
I0 + G a
Y= − r
1 − c(1 − t ) 1 − c(1 − t )
1.3.6) Sintesi – e: IS economia aperta
• Il modello IS-LM può essere esteso al caso di economia aperta agli scambi con l’estero. In
questo caso l’equazione reddito-spesa deve considerare la sottrazione di reddito connessa
al fatto che parte della domanda si rivolge verso l’estero, attraverso le importazioni M, e la
componente addizionale della domanda connessa al fatto che parte della domanda estera
si rivolge verso la produzione nazionale, attraverso le esportazioni X.

• In presenza di cambi nominali fissi e prezzi interni ed esteri dati (queste tre variabili, come
vedremo, definiscono il tasso di cambio reale), le importazioni dipendono dal reddito
interno, mentre le esportazioni da quello estero, che, nel caso di una piccola economia
come l’Italia, possiamo assumere dato In altri termini, il reddito estero non dipende (è
esogeno) da quello nazionale. Assumere dato il reddito estero equivale ad assumere dato il
livello delle esportazioni
1.3.6) Sintesi – e: IS economia aperta
• La curva IS, nel caso di economia aperta agli scambi con l’estero e con intervento pubblico
fiscale finanziato con imposte proporzionali, viene derivata nel modo seguente:

Y =C + I +G+ X −M
C = cY D
Y D =Y −T
T = tY
I = I 0 − ar
G =G
X =X
M = mY
Y = c(1 − t )Y + I 0 − ar + G + X − mY
Y [1 − c(1 − t ) + m ] = I 0 − ar + G + X

Y=
1
1 − c(1 − t ) + m
(I 0 − ar + G + X )
I0 + G + X a
Y= − r
1 − c(1 − t ) + m 1 − c(1 − t ) + m
1.3.6) Sintesi – f: derivazione curva LM
• La curva LM rappresenta coppie di valori per cui il mercato monetario è in equilibrio. Nella
rielaborazione della sintesi del pensiero di Keynes, il mercato monetario è definito da moneta
circolante e titoli. E’ quindi utile schematizzare il funzionamento del mercato dei titoli

• I titoli entrano in competizione con la moneta nella scelta della destinazione della ricchezza. Si
assume che i risparmiatori scelgano l’allocazione della ricchezza tra moneta e titoli sulla base del
livello del tasso di interesse sui titoli, che come visto, nell’impostazione keynesiana assume il
ruolo di premio per l’astensione dalla liquidità (e non dal consumo presente, come nell’ottica
neoclassica)

• I risparmiatori, nella logica della sintesi, pertanto domandano moneta in relazione a tre obiettivi:
a) per scopi transattivi (cioè per fare transazioni), in relazione costante k con il reddito, b) per
scopi precauzionali, cioè per far fronte ad eventi di spesa incerti, in somma fissa L0, e c) per
scopi speculativi, ossia per l’investimento in titoli: in tal caso i risparmiatori si terranno più liquidi
(cioè domanderanno tanta meno moneta) quanto più alto è il tasso di interesse, secondo una
relazione lineare v

• In presenza di cambi nominali fissi e prezzi interni ed esteri dati (queste tre variabili, come
vedremo, definiscono il tasso di cambio reale), le importazioni dipendono dal reddito
interno, mentre le esportazioni da quello estero, che, nel caso di una piccola economia come
l’Italia, possiamo assumere dato In altri termini, il reddito estero non dipende (è esogeno) da
quello nazionale. Assumere dato il reddito estero equivale ad assumere dato il livello delle
esportazioni
1.3.6) Sintesi – f: derivazione curva LM
• Si assume inoltre che l’offerta di moneta in termini reali sia sotto il pieno controllo delle
autorità monetarie (Banca Centrale), pertanto l’equilibrio del mercato monetario è definito
dalle seguenti relazioni:

LS
= LD
P
LD = LD1 + LD 2 + LD 3
LD1 = kY
LD 2 = L0
LD 3 = −vr
LS
= kY + L0 − vr
P
• Risolvendo rispetto a r si ottiene l’equazione della curva (retta) LM
LS
vr = L0 − + kY
P
L − LS / P k
r= 0 + Y
v v
1.3.6) Sintesi – f: derivazione curva LM
• Come si nota, la curva LM è inclinata positivamente, con pendenza paria a k/v. Il significato
economico è il seguente: all’aumentare del reddito, aumenta la domanda per fini
transattivi, in relazione k. Dal momento che l’offerta di moneta è data
esogenamente, essendo controllata dalle autorità monetarie, perché il mercato monetario
rimanga in equilibrio occorre che si riduca la domanda di moneta per scopi speculativi, il
che è possibile solo attraverso aumenti del tasso di interesse

L0 − LS / P k
r= + Y
r v v
LM

k/v
L0 − LS / P Y
v
1.3.6) Curva LM in trappola della liquidità
• Una situazione di trappola della liquidità si realizza in corrispondenza di gravi crisi
economiche, durante le quali l’incertezza sulle prospettive economiche induce ad una
preferenza pressoché infinita per la liquidità, ossia a trattenere moneta liquida. Si
interrompe il meccanismo di scambio moneta-titoli. Il tasso di interesse è al suo minimo
(pressoché zero), la banca centrale perde il controllo dell’economia (vediamo più avanti).
L’elasticità della domanda di moneta al tasso di interesse (v), nel tratto rilevante della LM, è
infinita, per cui:

r L0 − LS / P k
r= + Y =0
∞ ∞

LM
0
Y
Zona trappola liquidità – tratto rilevante
1.3.6) Sintesi – g: equilibrio beni-moneta
• L’equilibrio sul mercato dei beni e della moneta si realizza quando esiste una coppia di
valori per r e Y per cui si ha che I = S e Ls = Ld. Dal punto di vista matematico, la relazione
di equilibrio generale (che, si ricordi, in questo schema a prezzi dati, può essere di non
PI), viene ottenuta sostituendo la relazione LM nella relazione IS (o viceversa).
Formalmente:
Y = c (1 − t )Y + I 0 − ar + G + X − mY
L0 − LS / P k
r= + Y
v v
 L − LS / P k 
Y = c(1 − t )Y + I 0 − a 0 + Y  + G + X − mY
 v v 
aL 
Y = c(1 − t )Y − mY − Y +  s − L0  + I 0 + G + X
ak
v v P 
 ak  a  L 
Y 1 − c(1 − t ) + m +  =  s − L0  + I 0 + G + X
 v  v P 
1  a  Ls  
Y=  −  + + +
ak  v  P 
L0 I 0 G X
1 − c(1 − t ) + m +  
v
1.3.6) Equilibrio beni-moneta in trappola liquidità
• Essendo infinita la preferenza per la liquidità (elasticità della domanda di moneta per
scopi speculativi al tasso di interesse - v), la banca centrale perde il controllo della moneta.
In altri termini, la liquidità messa a disposizione dalla banca centrale (Ls), venendo del
tutto tesaurizzata, non entra nel circuito della spesa, il che la rende del tutto inefficace, in
positivo ed in negativo, ai fini della determinazione del reddito

Y = c(1 − t )Y + I 0 − ar + G + X − mY
L0 − LS / P k
r= + Y
v v
 L − LS / P k 
Y = c(1 − t )Y + I 0 − a 0 + Y  + G + X − mY
 v v 
aL 
Y = c(1 − t )Y − mY − Y +  s − L0  + I 0 + G + X
ak
v v P 
 ak  a  L 
Y 1 − c(1 − t ) + m +  =  s − L0  + I 0 + G + X
 v  v P 
1  a  Ls  
Y=  −  + + +
ak  v  P 
L 0 I 0 G X
1 − c(1 − t ) + m +  
v
  Ls 
Y=
1

1 − c(1 − t ) + m + 0   P

0 − L0  + I 0 + G + X  =
− (
1
− )
[
+
I0 + G + X ]
  1 c 1 t m
1.3.6) Eq. beni-moneta in trappola liquidità 2
• Una conseguenza ulteriore della situazione di trappola della liquidità è l’irrilevanza
della “retroazione monetaria”, ossia dell’effetto freno all’espansione (contrazione)
del reddito innescato da variazioni positive (negative) delle componenti autonome
reali (G, X, I0), connesso a variazioni del tasso di interesse. La dimensione della
retroazione monetaria (o spiazzamento finanziario) è definita da ak/v, ossia dal
diverso valore che assume il moltiplicatore in situazioni normali e di trappola, dove
ak/v = 0.
• L’efficacia della politica fiscale, al contrario della monetaria, è al suo massimo

r IS2
IS1

LM1

LM2
0
Y
1.3.7) Tasso di cambio e bilancia dei pagamenti

• Obiettivo: definire le condizioni dell’equilibrio macroeconomico in economia aperta. In


altri termini, ricerchiamo le condizioni per cui all’equilibrio sul mercato dei beni e della
moneta corrisponda anche l’equilibrio dei conti con l’estero. Ciò richiede di introdurre i
concetti di tasso di cambio e di bilancia dei pagamenti.

• Forniamo prima le definizioni e i tratti essenziali del funzionamento del mercato


valutario, quindi la composizione della bilancia dei pagamenti

• Infine, deriveremo il modello IS-LM-BP, o modello Mundell-Fleming, in cui la curva BP


definisce l’equilibrio della bilancia dei pagamenti sul piano r-Y
1.3.7) Tasso di cambio – a
• Le transazioni con l’estero di beni, servizi e capitali avvengono in valute nazionali, il che
implica l’esistenza di un mercato delle valute. Ad ogni atto di acquisto all’estero
corrisponde una domanda di valuta estera. Ad ogni atto di vendita all’estero corrisponde
una offerta di valuta estera. Se la domanda verso l’estero supera la domanda dall’estero ci
sarà un eccesso di domanda di valuta estera. Nel caso contrario, un eccesso di offerta (o
un eccesso di domanda di valuta nazionale)

• La logica della domanda dell’offerta di valuta definisce il prezzo della valute, detto
cambio, o tasso di cambio nominale bilaterale. Il cambio nominale bilaterale è il prezzo di
una moneta in termini di un’altra moneta

• Due modi per esprimere tale prezzo: a) incerto per certo, quando l’unità di riferimento è
la moneta estera (dal punto di vista di uno statunitense, quanti dollari servono per
comprare una sterlina?); b) certo per incerto quando l’unità di riferimento è quella
nazionale (dal punto di vista di un europeo, quanti dollari servono per acquistare un
euro?). Per l’euro si adotta oggi il cambio certo per incerto.
1.3.7) Tasso di cambio – b
• Data la definizione certo per incerto, ad un aumento del cambio corrisponde un
apprezzamento della moneta nazionale (es. se il dollaro passa da 1.15 a 1.30 euro).
Viceversa nel caso di definizione incerto per certo

• Dal momento che non esistono solo due paesi, diventa rilevante introdurre il concetto di
tasso di cambio nominale effettivo. E’ una media pesata dei tassi di cambio nominale
bilaterali, con pesi definiti dal peso relativo del volume di transazioni effettuate con i singoli
paesi (w). Definendo con e il tasso di cambio nominale bilaterale e con ee il tasso di cambio
nominale effettivo:


N −1
ee = i =1
wi ei
• Definendo il prezzo della moneta nazionale all’estero e quello delle monete estere
all’interno, il cambio definisce in sostanza anche il prezzo delle merci e la loro competitività
negli scambi internazionali. In effetti, il prezzo delle merci negli scambi internazionali
dipende anche dal rapporto tra prezzi nei paesi considerati. Da qui il concetto di tasso di
cambio reale, bilaterale ed effettivo:

er = pe / pi eer = pee / pw
1.3.7) Tasso di cambio – c
• Ciò che interessa del cambio reale bilaterale ed effettivo, in termini di effetti sulla bilancia
dei pagamenti, non è il suo livello, ma le sue variazioni, che saranno date da:

∆er = ∆e + (∆p − ∆pi ) ∆eer = ∆ee + (∆p − ∆pw )


• A variazioni positive del cambio reale, dovute ad aumenti del cambio nominale e/o
dell’inflazione relativa (cioè la differenza tra tasso di inflazione interno e tasso di inflazione
estero), corrispondono apprezzamenti del cambio e riduzioni della competitività di prezzo
delle merci nazionali. Viceversa nel caso di variazioni negative, possibili per riduzioni del
cambio nominale e/o dell’inflazione relativa. Considerando gli effetti sulle importazioni ed
esportazioni di beni e servizi, ad apprezzamenti del cambio corrispondono, a parità di altre
condizioni, riduzioni di esportazioni (le merci nazionali diventano relativamente più
costose) e aumento di importazioni (le merci estere diventano relativamente meno
costose)
• In regimi di cambio fisso, il cambio reale ovviamente varia solo per effetto di variazioni
nell’inflazione relativa, essendo il cambio nominale fissato sulla base di accordi
internazionali
• Nell’euro-zona, in cui i cambi sono irrevocabilmente fissi, i tassi di cambio reali (bilaterali
ed effettivi) – quindi la competitività relativa - rimangono variabili per effetto dei diversi
tassi di inflazione
1.3.7) Bilancia dei pagamenti
• La bilancia dei pagamenti (BP) si compone in tre conti: 1) Conto delle partite correnti (PC);
conto capitale e conto finanziario (MK)

• Dal momento che il conto capitale registra trasferimenti unilaterali, che non seguono
logiche strettamente economiche, consideriamo esclusivamente PC ed MK

• Le PC sono definite dalla diff. tra esportazioni ed importazioni: PC = X – M. Le importazioni


M, come visto nell’analisi IS-LM in economia aperta, dipendono prima di tutto dal livello
del reddito nazionale (oltre che da fattori di competitività non di prezzo). Rimuovendo
l’ipotesi di prezzi e cambi dati, le importazioni dipendono anche, e con relazione
diretta, dal cambio reale, che definisce la competitività di prezzo delle merci. Le
esportazioni X, allo stesso modo, dipendono dal reddito estero e, con relazione inversa, dal
cambio reale (oltre che da fattori di competitività non di prezzo). Possiamo pertanto
scrivere:

[ ]
M = m f + (eer ) Y
[
X = mw f − (eer ) Yw ]
1.3.7) Bilancia dei pagamenti – a: PC

• Le PC sono definite dalla diff. tra esportazioni ed importazioni: PC = X – M. Le importazioni


M, come visto nell’analisi IS-LM in economia aperta, dipendono prima di tutto dal livello
del reddito nazionale (oltre che da fattori di competitività non di prezzo). Rimuovendo
l’ipotesi di prezzi e cambi dati, le importazioni dipendono anche, e con relazione
diretta, dal cambio reale, che definisce la competitività di prezzo delle merci. Le
esportazioni X, allo stesso modo, dipendono dal reddito estero e, con relazione inversa, dal
cambio reale (oltre che da fattori di competitività non di prezzo). Possiamo pertanto
scrivere:

[ ]
M = m f M+ (eer ) Y
X = m [ f (eer )]Y
w

X w

PC = m [ f (eer )]Y
w

X w [ ]
− m f M+ (eer ) Y
1.3.7) Bilancia dei pagamenti – b: MK

• Il conto finanziario MK, al netto della variazione nelle riserve ufficiali, esprime i movimenti
di capitale non imputabili ad azioni dell’autorità monetaria (Banca centrale). Si tratta di
movimenti di capitale tout court. Essi dipendono, prima di tutto, dal differenziale tra tasso
di interesse interno ed estero (positivamente), sia a lungo termine (per investimenti e
prestiti a lunga scadenza) sia a breve termine (per operazioni di credito a breve e
movimenti speculativi). In secondo luogo, dipendono dalle attese di variazione del cambio
(positivamente)

[ ( )]
MK = g f MK ∆ee e (r − rw )
+

• Essendo BP = PC + MK, avremo che BP = X – M + MK. Ora, assumendo prezzi dati e


aspettative sulle variazioni del cambio stabili (quindi cambi nominali dati), è possibile
definire le relazioni r-Y che mettono in equilibrio la bilancia dei pagamenti
1.3.7) Il modello IS-LM-BP – a: curva BP
• L’equilibrio della bilancia dei pagamenti richiede che BP = X – M + MK = 0. La curva BP
viene trovata nel modo seguente:

BP = 0 = mwYw − mY + g (r − rw )
• Nel caso di una piccola economia, il reddito estero può considerarsi come dato, pertanto
possiamo assumere che le esportazioni siano esogene, quindi:

0 = X − mY + g (r − rw )
mY − X = gr
gr = mY − X + grw
X m
r = rw − + Y
g g
• La curva (retta) BP è pertanto inclinata positivamente in ragione m/g. La sua pendenza è
tanto più spiccata quanto maggiore è m e minore è g. Nel caso di perfetta mobilità di
capitali, g vale infinito, pertanto la BP sarà piatta, o meglio una retta in corrispondenza del
tasso di interesse estero. Nel caso di immobilità dei capitali, la pendenza è infinita, cioè la
BP è verticale
1.3.7) Il modello IS-LM-BP – a: curva BP
• I punti al di sopra della curva BP individuano situazioni di avanzo, poiché corrispondono a
coppie r-Y per cui r è maggiore al tasso di equilibrio, il che attira capitali dall’estero in
misura maggiore rispetto al necessario per il pareggio della BP. Viceversa, e per motivi
opposti, i punti al di sotto della BP individuano situazioni di disavanzo

• Eventuali variazioni del cambio spostano la BP parallelamente. In particolare, un tasso di


cambio superiore (apprezzamento) determina una traslazione verso l’alto poiché
l’apprezzamento determina un peggioramento delle PC che richiede, ai fini del
ristabilimento dell’equilibrio della BP, un miglioramento della MK, che può aversi solo per
tassi di intesse superiore. Viceversa, e per motivi opposti, una riduzione del cambio
determina traslazioni della BP verso il basso

• La variazione dei prezzi interni, al pari di variazioni del cambio, determina traslazioni della
BP, verso l’alto nel caso di aumento, verso il basso nel caso di riduzione. Lo stesso
avviene, ma in direzione opposta, nel caso di variazioni del livello dei prezzi esteri

• La curva (retta) BP è pertanto inclinata positivamente in ragione m/g. La sua pendenza è


tanto più spiccata quanto maggiore è m e minore è g. Nel caso di perfetta mobilità di
capitali, g vale infinito, pertanto la BP sarà piatta, o meglio una retta in corrispondenza del
tasso di interesse estero. Nel caso di immobilità dei capitali, la pendenza è infinita, cioè la
BP è verticale
1.3.7) Il modello IS-LM-BP – a: curva BP
• Il significato economico della pendenza positiva della BP è il seguente: all’aumentare del
reddito, aumentano le importazioni, mentre le esportazioni sono date costanti, il che
induce un saldo negativo della PC. Perché la BP sia in equilibrio (ossia valga zero), deve
prodursi un avanzo della bilancia dei capitali MK, che può avvenire attraverso incrementi
del tasso di interesse

r
BP’ (e’> e)
AVANZO BP
BP (e)
BP’’ (e’’< e)

X m/g
rw − DISAVANZO BP
g

Y
1.3.7) Il modello IS-LM-BP – a: equilibrio
• L’equilibrio nel mercato dei beni, della moneta e nelle relazioni con l’estero è
rappresentabile graficamente da una situazione in cui le curve IS, LM e BP si intersecano in
un unico punto. Si consideri che, a partire da questa situazione, lo spostamento di una
qualsiasi delle tre curve determinerà uno squilibrio su almeno uno dei tre mercati. Il
sistema tenderà quindi a tornare alla situazione iniziale o a trovare un nuovo equilibrio.
L’esito dipende dal tipo di squilibrio (monetario, reale, dei conti con l’estero) e dal regime
di cambi ipotizzato

r IS LM

BP

Y
1.3.8) La posizione monetarista alla Friedman
• Il principale limite dello schema IS-LM è che esso assume prezzi fissi, il che preclude
l’utilizzo dell’approccio per analisi di medio lungo periodo. Una ulteriore limitazione
risiede nel fatto che non vengono considerate le condizioni dell’offerta, quindi la effettiva
posizione dell’economia rispetto al potenziale produttivo

• La rimozione di queste due limitazioni può considerarsi alla base dell’impostazione


monetarista di Friedman e dei successivi sviluppi teorici in seno alla scuola della Nuova
Macroeconomia Classica

• Friedman concepisce il sistema economico come intrinsecamente stabile e


autonomamente tendente alla posizione di equilibrio naturale.

• La politica economica, ed in particolare la politica monetaria, non avrà che effetti


temporanei sulle grandezze reali, dal momento che il sistema tende all’equilibrio naturale.
Gli effetti, nel lungo periodo, saranno solo nominali, ossia sul livello dei prezzi. Solo
politiche strutturali possono cambiare i livelli naturali
1.3.8) Monetarismo - a: l’equilibrio naturale

• Friedman fa riferimento particolare al tasso di interesse naturale e al tasso di


disoccupazione naturale. Il primo definisce il prezzo di equilibrio tra domanda ed offerta di
capitale (investimento e risparmio), mentre il secondo definisce il tasso di disoccupazione
in corrispondenza del quale il numero di posti vacanti è in relazione di equilibrio con il
numero di lavoratori disoccupati (disoccupazione frizionale). I due tassi naturali
definiscono equilibri di piena occupazione sul mercato dei beni e del lavoro

• Le posizioni naturali sono in sostanza quelle soluzioni che emergono nel lungo periodo per
effetto di ipotesi di mercati concorrenziali a prezzi flessibili nel medio lungo periodo e in
cui le decisioni di risparmio e di investimento vengono coordinate dal prezzo del
capitale, cioè dal tasso di interesse. L’economia tende al pieno impiego delle risorse
1.3.8) Monetarismo - b: aspettative adattive
• Un punto fondamentale dell’analisi monetarista è dato dall’ipotesi di aspettative adattive.
Secondo tale ipotesi, gli individui formerebbero le proprie aspettative sui prezzi sulla base
delle aspettative passate e dello scostamento osservato tra aspettative passate e valori
effettivi (meccanismo a correzione dell’errore). Formalmente:

( )
Pt e = Pt e−1 + γ Pt −1 − Pt e−1 , 0 < γ ≤ 1

• L’ipotesi che gli individui formino aspettative, in un contesto sostanzialmente neoclassico


(di CP a prezzi variabili), ha rilevanza nel circoscrivere al solo breve periodo l’efficacia della
politica economica, in particolare di quella monetaria

• Questo risultato è immediatamente comprensibile con riferimento alla rielaborazione


monetarista della relazione tra tasso di inflazione e tasso di disoccupazione, nota come
curva di Phillips aumentata con le aspettative
1.3.8) Monetarismo - c: la curva di Phillips
• La curva di Phillips originaria si basava sulla osservazione di una relazione negativa tra
tasso di disoccupazione e tasso di variazione del salario. Nella versione derivata, al tasso di
variazione salariale è stato sostituito il tasso di inflazione, operazione possibile in virtù della
formula del costo pieno

• Nella rielaborazione di Friedman, la variazione salariale o del livello dei prezzi, viene fatta
dipendere anche dalle aspettative di inflazione, che si formano in modo adattivo, come ora
descritto. Formalmente:

∆Pt = ϕu + ∆Pt e
• Dal momento che la variazione dell’aspettativa, per la formula scritta precedentemente, è
pari al parametro di sensibilità per l’errore di previsione passato, è anche possibile scrivere
la nuova relazione di Phillips nella forma seguente:

(
∆Pt = ϕut + γ Pt −1 − Pt e−1 )
1.3.8) Monetarismo - c: la curva di Phillips
• L’ultima equazione scritta mostra come non esiste una unica curva di Phillips, ma un fascio
di curve di Phillips, ognuna delle quali si associa ad una diversa aspettativa sull’inflazione.
Lo stato può provare a portare il tasso di disoccupazione al di sotto di quello naturale con
politiche espansive, ma gli effetti potranno realizzarsi solo nel breve periodo, mentre nel
lungo periodo si avranno solo effetti inflazionistici. Nel lungo periodo al curva di Phillips è
verticale

dP, dw Curva di Phillips di


lungo periodo

u* u
1.3.8) Monetarismo-d: quale ruolo per la Pol. Economica

• L’azione pubblica deve astenersi da interventi discrezionali volti a modificare le soluzioni


naturali di mercato. La politica monetaria è efficace solo nel breve periodo, mentre nel
lungo periodo può generare solo effetti nelle grandezze nominali, cioè inflazione. La
politica fiscale, d’altro canto, è inefficace se transitoria, anche nel breve periodo, per
effetto dell’ipotesi di reddito permanente adottata dai monetaristi. Nel caso fosse
percepita come permanente, i suoi effetti sarebbero comunque solo transitori per effetto
dello spiazzamento finanziario della spesa privata indotto dalla spesa pubblica. Tale
spiazzamento si ha per effetto dell’aumento del tasso di interesse indotto dalla manovra
espansiva, cui si aggiungono ulteriori aumenti del tasso di interesse connessi alla
contrazione di offerta di moneta in termini reali dovuta all’aumento dei prezzi

• Il suggerimento dei monetaristi è pertanto quello di limitare al massimo la discrezionalità


dei policy-makers, che dovrebbero legarsi a delle regole automatiche che hanno il
vantaggio di essere trasparenti e stabilizzare le aspettative degli agenti economici (regola
semplice di Friedman)
1.3.9) La nuova macroeconomia classica (NMC)

• La NMC rinforza la posizione monetarista sull’inefficacia della politica economica

• Due ipotesi fondamentali: 1) gli operatori formano le loro aspettative in modo razionale
(Muth, 1961)

• I prezzi sono pienamente flessibili. Possibili errori nella fissazione dei prezzi possono
verificarsi per la presenza di mercati decentrati (logica delle isole – errori informativi), ma
tendono ad essere non sistematici, ossia a media nulla, per cui il sistema è, in media, in
equilibrio di pieno impiego (PI)

• La politica economica, date queste ipotesi, è inefficace anche nel breve periodo
1.3.9) NMC – a: aspettative razionali
• Gli operatori economici sfruttano tutte le informazioni disponibili, che sono le stesse in
possesso delle autorità di politica economica, per formare le proprie aspettative
(previsioni) e prendere decisioni in ottica intertemporale. Non necessariamente tali
informazioni sono complete: in un mercato decentrato, un operatore conosce
perfettamente il prezzo della propria merce ma non necessariamente quello delle altre
merci (isole di Lucas)

• Una previsione razionale sul livello generale dei prezzi, se l’errore non è sistematico (e non
può esserlo data l’ipotesi di razionalità) è corretta in media

• Tali previsioni razionali si basano sull’utilizzo di un modello dell’economia che è quello


rilevante. Le aspettative sono infatti coerenti col modello, oltre che con l’informazione
posseduta (ma qual è il modello rilevante dell’economia?)

• Si noti che l’ipotesi di AR semplicemente aumenta la velocità di convergenza ai risultati


impliciti ai modelli teorici. Sotto questo p.v., l’ipotesi di AR non è cruciale. L’ipotesi cruciale
riguarda il modello che descrive il funzionamento dell’economia, che è pienamente
neoclassico
1.3.9) NMC – b: prezzi flessibili ed equilibrio

• I mercati tendono autonomamente all’equilibrio di PI. Eventuali deviazioni temporanee


dalla posizione di equilibrio possono aversi solo per effetto di errori informativi, dovuti alla
forma decentrata dei mercati, o a shock esogeni di natura stocastica, cioè inattesi

• L’equilibrio è garantito dall’ipotesi di prezzi flessibili, che è l’unica ipotesi (nella logica
concorrenziale della NMC) compatibile con l’ipotesi di razionalità economica (che succede
se le variazioni di prezzo sono costose? E se i mercati non sono perfettamente
concorrenziali, come nel caso di concorrenza oligopolistica?)

• La politica economica può avere effetti reali di natura temporanea solo se riesce ad
ingannare gli operatori privati, ossia se è inattesa. Se le mosse di politica fossero
previste, esse sarebbero anticipate dagli operatori economici e neutralizzate
1.3.9) NMC – c: inefficacia della politica economica

• Si assuma che l’autorità monetaria decida di aumentare l’offerta di moneta (politica


monetaria espansiva)

• Se l’aumento di moneta è imprevisto, esso farà aumentare la domanda aggregata. Dato che
il sistema è in PI, ne scaturisce un aumento dei prezzi di tutte le merci rispetto alle attese

• Data la forma decentrata dei mercati, tale aumento generalizzato verrà percepito
inizialmente come un aumento del prezzo relativo della propria merce, il che lo indurrà ad
aumentare l’offerta del proprio prodotto

• Quando gli operatori economici capiscono che l’aumento dei prezzi è generalizzato, essi
saranno indotti a ricontrarre l’offerta al valore di PI, inducendo ulteriori aumenti dei prezzi

• L’esito finale è di un aumento del livello generale dei prezzi. Gli effetti reali sono solo
transitori
1.3.9) NMC – c: inefficacia della politica economica

• Se l’aumento di moneta è previsto, esso non può avere alcun effetto reale, poiché gli
operatori anticiperanno gli effetti sul livello generale dei prezzi, aumentando
immediatamente i prezzi dei loro prodotti senza aumentare la loro produzione

• Ne segue, con riferimento alla curva di Phillips aumentata con le aspettative, che essa è
verticale anche nel breve periodo, a meno che i policy makers non riescano a sorprendere
gli operatori privati con mosse inattese (non sistematiche)

• L’instabilità economica è in parte spiegata proprio dall’azione delle autorità di politica


economica, che cercano di spostare il sistema dalle proprie posizioni naturali

• Nasce la prescrizione di legare l’attività dei policy maker, in particolare della politica
monetaria, a regole automatiche, il che le rende trasparenti e previste, quindi coerenti con
le aspettative degli operatori privati
1.3.10) La nuova sintesi: il modello AD-AS

• Come visto, due sono i limiti principali dell’approccio IS-LM: 1) l’ipotesi di prezzi dati; 2) la
mancata considerazione delle condizioni di offerta

• L’approccio AD-AS (aggregate demand – aggregate supply) rimuove entrambi i limiti

• La rimozione dell’ipotesi di prezzi fissi conduce alla derivazione della curva di domanda
aggregata AD, definita sul piano P-Y

• La rimozione del secondo limite, cioè della mancata considerazione delle condizioni di
offerta, conduce alla derivazione della curva di offerta aggregata AS, anch’essa definita sul
piano P-Y
1.3.10) La nuova sintesi: curva AD

• La curva AD viene ottenuta considerando l’equilibrio simultaneo sul mercato dei beni e
della moneta definito dall’incontro delle curve IS e LM, il che permette la rimozione di r e
la considerazione del livello generale dei prezzi come variabile

• Dalla formula dell’equilibrio simultaneo abbiamo infatti:

1  a  Ls  
Y=  − L0  + I 0 + G + X 
ak  v  P
1 − c(1 − t ) + m +  
v
a a
I 0 + G + X − L0 Ls
v v 1
Y= +
1 − c(1 − t ) + m + 1 − c(1 − t ) + m +
ak ak P
v v
• L’ultima equazione scritta sopra definisce una relazione inversa tra livello generale dei
prezzi e livello del reddito
1.3.10) La nuova sintesi – a: curva AD
• Il significato economico della relazione inversa è che, all’aumentare del livello generale dei
prezzi, si riduce la quantità di moneta in termini reali, quindi la domanda aggregata
• La contrazione della domanda all’aumento dei prezzi, in ottica neoclassica, è
immediata, connessa alla logica delle scorte reali. In ottica Keynesiana, essa si ottiene
attraverso l’effetto in aumento del tasso di interesse nominale, che è legato alla dinamica
dei prezzi attraverso la parità di Fisher: r = rr + dP

P
a
I0 + G + X − L0
v
1 − c(1 − t ) + m +
ak
v

a
Ls
v
1 − c(1 − t ) + m +
ak
v
Y
1.3.10) La nuova sintesi: curva AS
• La curva (retta) AS fornisce combinazioni di P e Y compatibili con l’equilibrio delle imprese
(che si ha quando i fattori vengono remunerati al loro prodotto al margine), dato il livello
della tecnologia

• La funzione di produzione dell’economia è data dalla seguente (Cobb-Douglas):

Y = AK α N (1−α )
• A rappresenta il livello della tecnologia, che evolve col progresso tecnico, K il livello dello
stock di capitale, che si assume dato nel breve periodo, N lo stock di lavoro applicato alla
produzione

• Vale, per ogni fattore, la logica della produttività marginale decrescente (infatti entrambi
gli esponenti di K e N sono inferiori ad 1

• Dato il livello della tecnologia e del capitale, l’equilibrio delle imprese è dato
dall’uguaglianza tra salario reale e prodotto al margine del lavoro, ossia dalla derivata
parziale della funzione di produzione rispetto al lavoro
1.3.10) La nuova sintesi: curva AS
• Formalmente:
w / P = (1 − α )K α ( AN )
(1−α −1)

α
K 
w / P = (1 − α )A  = (1 − α ) = PML
Y
 
N N
w
P=
[
PML f − (Y ) ]
• La PML decresce rispetto al livello del reddito. Pertanto, all’aumentare di Y, si riduce il
valore del denominatore, il che determina aumenti di prezzo. La curva AS è inclinata
positivamente

• La costruzione della AS è alquanto laboriosa. Si parte dall’equilibrio sul mercato del lavoro
e si determina la quantità di lavoro. Quindi si definisce, attraverso la funzione di
produzione, il livello del reddito. Applicando la relazione scritta sopra si ottiene la curva di
offerta aggregata sul piano P-Y
1.3.10) La nuova sintesi: curva AS
• Graficamente:

w/P Ns

Nd

Y
Y

N P Y
AS

Y
1.3.10) La nuova sintesi: equilibrio AD-AS

P
AS

AD

Y
1.3.11) La nuova-nuova sintesi: il modello IS-AS

• La logica è simile a quella del modello AD-AS


• Il tratto distintivo più immediato è che domanda ed offerta aggregate sono definite
sul piano reddito (deviazione da suo stato stazionario)-inflazione e non più reddito-
prezzi
• La domanda aggregata dipende dal tasso di interesse reale atteso, il che rimuove la
separazione tipicamente keynesiana tra domanda ed offerta di risparmio
(separazione I-S)
• Il tasso di interesse reale atteso è definito dalla differenza tra tasso di interesse
nominale e tasso di inflazione atteso
• Il tasso di interesse nominale è definito da una regola automatica di aggiustamento
rispetto all’inflazione: regola di Taylor
• Il tasso di inflazione è definito da una relazione di Phillips aumentata con le
aspettative, in cui al tasso di disoccupazione si sostituisce il costo marginale delle
imprese
• Il costo marginale delle imprese, data la logica dei rendimenti decrescenti, è
definito dal rapporto tra salario reale e PML, quest’ultima funzione inversa del livello
di attività economica (data la legge dei rendimenti marginali decrescenti)
1.3.11) Il modello IS-AS in forma semplificata

• Offerta: Yt = At K tα N t1−α
• Domanda privata: Dt = Ct + I t = Dt +1 − f d (rt − ∆Pt +1 )
• Domanda pubblica: Gt = Gt
• Phillips con asp.: ∆Pt = ∆Pt +1 + f p (MCt )
• Costi marginali: MCt = wrt / PMLt
• Produttività marg.: PMLt = − f y (Yt )
• Regola Taylor: rt = f r (∆Pt )
• Equilibrio: Yt = Dt + Gt
1.3.11) Il modello IS-AS: parametrizzazione

f d : elasticità domanda al tasso di interesse reale,


dipende dall' inverso del parametro di curvatura nel consumo,
generalmente maggiore o uguale ad 1, pertanto : (0 < f d < 1)
f p : elasticità inflazione al costo marginale,
in relazione inversa al grado di viscosità dei prezzi,
funzione della freq. di ri - ottimizzazione, pertanto : (0 < f p < 1)
f y : elasticità PML al livello di produzione,
dipende dalla curvatura nella produzione : (0 < f y < 1)
f r : coefficiente di Taylor : (deve essere > 1)
1.3.11) Il modello IS-AS in forma grafica

IS (AD) AS
INFL

Tratto
classico
(P.O.)

Tratto
keynesiano

Y
1.3.11) Il modello IS-AS in trappola della liquidità
• In corrispondenza di una forte depressione, bassa domanda ed inflazione spingono la
BC a fissare tassi prossimi allo zero. In tale situazione, la BC può perdere il controllo
dell’economia: r = 0

• Aspettative negative sulla domanda aggregata e la depressione economica portano il


tasso di interesse reale di equilibrio (I=S) in territorio negativo, ma la BC non può
portare r al di sotto dello zero (ZLB)

• In assenza di stimolo fiscale (o in presenza di austerity) si determina deflazione, ossia


dP<0, quindi r-dP aumenta

• La domanda aggregata si riduce ulteriormente, l’economia si avvita in una spirale


deflazionistica
0
2
4
6

-4
-2
2008M01
2008M06
2008M11
2009M04
2009M09
2010M02
2010M07
2010M12

FRA
2011M05
2011M10
2012M03

GER
2012M08
2013M01
2013M06

NET
2013M11
2014M04
2014M09
2015M02
2015M07
2015M12
2016M05
0
2
4
6

-4
-2

2008M01
2008M06
2008M11
HICP – variazione %

2009M04
2009M09
2010M02
GRE

2010M07
2010M12
2011M05
ITA

2011M10
2012M03
2012M08
2013M01
POR

2013M06
2013M11
2014M04
SPA

2014M09
1.3.11) Deflazione e trappola della liquidità

2015M02
2015M07
2015M12
2016M05
1.3.11) Effetti attesi di politiche dell’offerta
(strutturali)

AD AS AS’
INFL

AD
1.3.11) Effetti attesi di politiche della domanda
(austerità-contenimento fiscale)

AD AS
INFL

AD’

Y
1.3.11) IS-AS in trappola della liquidità
Intuizione su effetti delle politiche

• La politica strutturale (dell’offerta), aumentando l’offerta (il potenziale di produzione


Y), genera riduzioni di prezzo (deflazione)

• Essendo INT=0, INT-INFL aumenta. La domanda privata (consumi ed investimenti), in


relazione inversa con il tasso di interesse reale, si riduce

• Per tale ragione, la IS (o AD) assume inclinazione positiva in corrispondenza dello ZLB
(“kinked demand curve”, Krugman)

• La politica di austerità, riducendo la domanda pubblica, genera deflazione: stesso


meccanismo classico, ma allo ZLB i moltiplicatori fiscali assumono valori massimi (la
letteratura empirica segnala valori ben superiori all’unità, anche pari a 3!), perché la AS è
incontrata nel suo tratto piatto (keynesiano)
Parte seconda

Politica Economica in azione


2) La teoria normativa della politica economica
• Definisce ciò che l’operatore pubblico dovrebbe fare agendo razionalmente al fine di
supplire alle carenze o ai fallimenti del mercato

• La sistematizzazione teorica e l’impostazione di modalità scientifiche si deve soprattutto ai


lavori di Timbergen (1956)

• Un intervento di politica economica si definisce come programma di intervento

• La programmazione è insieme di decisioni coordinate e coerenti di politica economica, nel


quale l’insieme delle finalità politico-economiche (obiettivi) viene analizzato e posto in
relazione all’insieme delle azioni possibili (strumenti), dato un modello di analisi che
descrive il funzionamento del sistema economico

• Avendo analizzato le diverse posizioni teoriche sul modello rilevante


dell’economia, occorre ora analizzare gli altri due elementi costitutivi del programma di
intervento: obiettivi e strumenti
2.1) La teoria normativa: obiettivi e strumenti
• Obiettivo è una finalità di politica economica misurabile in termini di grandezze
economicamente rilevanti (reddito, occupazione, disoccupazione inflazione). Con
riferimento ad un modello di politica economica l’obiettivo rappresenta una variabile
endogena

• Per variabile endogena si intende un fenomeno misurabile la cui grandezza è influenzata


dalle altre variabili del sistema economico. Essa può influenzare le altre variabili, ma ciò
non è necessario a definirla come endogena

• Uno strumento è una grandezza economica misurabile sotto il controllo delle autorità di
politica economica (tasso di interesse, spesa pubblica, aliquote di imposizione). Con
riferimento ad un modello di politica economica lo strumento rappresenta una variabile
esogena del sistema

• Per variabile esogena si intende un fenomeno misurabile la cui grandezza non è


influenzata dalle altre variabili del sistema economico, mentre essa influenza queste
ultime. Il fatto che la variabile esogena influenzi le altre variabili del sistema, o alcune di
esse, non è necessario a definirla come esogena, ma è necessario a definirla come
strumento
2.1.1) La teoria normativa: obiettivi
• Gli obiettivi di politica economica possono essere di livello microeconomico o
macroeconomico. La loro formulazione è affidata ai politici, responsabili delle scelte di
fronte ai cittadini

• Appare evidente che è cruciale stabilire come, ed entro quali limiti, si definisce il rapporto
tra sistema politico e preferenze individuali. Supporremo che il meccanismo democratico
funzioni perfettamente, nel senso che gli obiettivi formulati dai politici rispecchiano le
preferenze dei cittadini. Tali ipotesi vengono messe in discussione nel Cap. 5 del libro

• I diversi obiettivi possono essere tra loro indipendenti, coerenti, o sostituti. Nel primo
caso le azioni per il raggiungimento di un obiettivo non hanno effetti sugli altri obiettivi (in
tal caso sono rappresentati da variabili endogene in relazione con uno o più strumenti che
non influenzano altre variabili endogene obiettivo). Nel secondo caso le azioni di pol ec
necessarie al raggiungimento dell’obiettivo hanno effetti sulle altre variabili
obiettivo, direttamente o indirettamente, ma tali effetti hanno lo stesso segno, ossia il
raggiungimento di un obiettivo favorisce il raggiungimento di altri obiettivi. Nel terzo caso
le azioni di pol ec per il raggiungimento di un obiettivo influenzano le altre variabili
obiettivo, direttamente o indirettamente, ma tali effetti hanno segno diverso, ossia il
raggiungimento di un obiettivo rende più difficile il raggiungimento di altri obiettivi. In
questi due ultimi casi gli obiettivi sono delle variabili endogene che influenzano altre
endogene-obiettivo)
2.1.1) La teoria normativa: obiettivi
• Esistono quattro modi per esprimere gli obiettivi: 1) metodo degli obiettivi fissi; 2) metodo
delle priorità; 3) metodo degli obiettivi flessibili con s.m.s. costante; 4) metodo degli
obiettivi flessibili con s.m.s. variabile

• Metodo degli obiettivi fissi: si fissano dei valori per la variabile-obiettivo e quindi si
definisce il valore della variabile strumento necessario al raggiungimento di tale
obiettivo, trascurando la caratterizzazione indipendente, coerente o sostituta
dell’obiettivo stesso. L’esempio tipico è quello che definisce la relazione tra reddito del sud
e del nord, o quello della relazione tra inflazione e disoccupazione (curva di Phillips)

Yn dP

Ys* Ys u
2.1.1) La teoria normativa: obiettivi
• Metodo delle priorità: come nel caso di obiettivi fissi, si fissano dei valori per la variabile-
obiettivo e quindi si definisce il valore della variabile strumento necessario al
raggiungimento di tale obiettivo, trascurando la caratterizzazione indipendente, coerente
o sostituta dell’obiettivo stesso. La differenza è che non si conosce esattamente la
posizione del vincolo (incertezza sul modello o sui parametri del modello). Ad es., si
definisce un valore per il reddito del sud e quindi si massimizza il reddito del
nord, compatibilmente con il primo obiettivo. Il risultato effettivo dipenderà dalla
posizione effettiva della curva di trasformazione. Lo stesso vale per l’es. della relazione di
Phillips

Yn dP

Ys* Ys u
2.1.1) La teoria normativa: obiettivi
• Metodo degli obiettivi flessibili con s.m.s. variabile: il problema di politica economica
espresso in forma di obiettivi flessibili è del tutto equivalente al problema della
massimizzazione dell’utilità del consumatore. Lo stato in tal caso massimizza (minimizza)
una funzione di utilità (disutilità) collettiva, detta funzione del benessere sociale
(FBS), rappresentata da un insieme di curve di indifferenza, ognuna delle quali associata
ad un dato livello di benessere (o malessere) sociale. In tal caso il decisore politico prende
in considerazione la dipendenza (sia essa in relazione di coerenza o sostituibilità) tra
strumenti

Yn dP
FBS

Yn*
dP*

Ys* Ys u* u
2.1.1) La teoria normativa: obiettivi
• Metodo degli obiettivi flessibili con s.m.s. costante: Il problema è impostato in modo del
tutto analogo al caso di s.m.s. variabile, con l’unica differenza che la funzione del
benessere (malessere) sociale è espressa in forma lineare. Nel caso del problema della
distribuzione ottima tra Yn e Ys, potrà scriversi:
W = aYn + bYs, da cui: Yn = W/a – (b/a)Ys
Nel caso del problema della scelta ottima tra dP e u:
W = adP + bu, da cui: dP = W/a – (b/a)u
Se a = b = 1, si ha l’indice di malessere di Okun

Yn dP
FBS

Yn*
dP*

Ys* Ys u* u
2.1.2) La teoria normativa: strumenti
• Gli strumenti rappresentano le leve della politica economica, variabili manovrate dalle autorità di
politica economica al fine dell’ottenimento degli obiettivi prefissati

• Perché possa essere considerata uno strumento, una variabile deve soddisfare tre condizioni
essenziali:

1) deve essere sotto il controllo delle autorità (controllabilità);

2) deve essere efficace, dato l’obiettivo prefissato. L’efficacia è data dalla forza della relazione tra
obiettivo e strumento, che può essere di tipo diretto o indiretto, e che si misura attraverso la derivata
parziale dell’obiettivo rispetto allo strumento (dy/dx, dove l’obiettivo è y e lo strumento è x – vedi
caso moltiplicatore)

3) deve poter essere distinta da altri strumenti, sia in termini di controllabilità, sia in termini di
efficacia. Due variabili che abbiano la stessa efficacia sullo stesso obiettivo costituiscono un unico
strumento (separabilità o indipendenza degli strumenti. Si veda concetto di indipendenza lineare tra
due relazioni)
2.1.2) La teoria normativa: strumenti
• Esistono diverse classificazioni delle tipologie di variabili strumentali. Con riferimento a quella
proposta da Timbergen, si distingue tra politiche quantitative, qualitative e di riforma.

• Le politiche quantitative consistono nella variazione del valore di uno strumento esistente (es. spesa
pubblica)

• Le politiche qualitative consistono nell’introduzione di un nuovo strumento, o alla cancellazione di


uno strumento esistente (es. introduzione nuove imposte, cancellazione IRAP)

• Le politiche di riforma consistono nell’introduzione di un nuovo strumento, o nella cancellazione di


uno strumento esistente, ove ciò comporti modifiche sostanziali delle regole di funzionamento del
sistema economico (nazionalizzazioni, privatizzazioni, separazione tra credito a breve e a medio-lungo
termine)
2.1.1) La teoria normativa: strumenti
• Con riferimento al meccanismo attraverso il quale si producono gli effetti sulle variabili-
obiettivo, si può inoltre distinguere tra 1) misure di controllo diretto e 2) misure di
controllo indiretto:
1) Le politiche di controllo diretto mirano al raggiungimento di determinati obiettivi
imponendo determinati comportamenti agli operatori economici (contingentamento delle
importazioni)
2) Le politiche di controllo indiretto mirano al raggiungimento di determinati obiettivi
attraverso la modifica degli incentivi economici da cui dipendono i comportamenti degli
operatori privati (politica monetaria, politica fiscale, politica del tasso di cambio, politica
dei dazi)

• Con riferimento alle modalità di intervento, si distingue inoltre tra misure discrezionali e
regole automatiche (si veda discussione regole vs. discrezionalità su materiale aggiuntivo):
1) Le misure discrezionali sono gli strumenti di politica economica che vengono manovrati a
discrezione dell’autorità che le controlla, a seguito di una valutazione specifica, o caso per
caso, dell’opportunità della manovra
2) Le regole automatiche sono strumenti di politica che entrano in funzione
automaticamente, in risposta a variazioni di alcune variabili obiettivo (es. regola di
Taylor, regola semplice di Friedman, stabilizzatori automatici – sussidi di
disoccupazione, imposizione progressiva). Hanno il pregio di ridurre i ritardi tipici delle
manovre discrezionali, quale il ritardo di osservazione, amministrativo negli effetti
2.1.3) La teoria normativa: il modello
• Una volta definiti gli obiettivi di politica economica e individuati gli strumenti efficaci per il
loro raggiungimento, essi devono trovare rappresentazione in un modello matematico del
funzionamento del sistema economioco che li mette in relazione. Ipotizziamo di disporre
di tale modello
• Il modello viene prima espresso in forma strutturale, una forma in cui compaiono tutte le
equazioni di comportamento

• Se il problema di politica economica è espresso in termini di obiettivi fissi:


1) il modello deve essere espresso in forma ridotta, una formulazione nella quale il
modello strutturale viene risolto rispetto alla/e variabile/i obiettivo e in cui vengono
eliminate le variabili irrilevanti
2) Si passa quindi alla forma ridotta invertita, una formulazione in cui si assegna il valore
target all’obiettivo e si risolve rispetto allo strumento. In generale, se la forma ridotta è
y = f(x), la forma ridotta invertita sarà x = g(y), dove g è l’inversa di f

• Se il problema è espresso in termini di obiettivi flessibili, allora si imposta un problema di


massimo (minimo) vincolato. Formalmente: max [W = f(y1, y2)], s.t. modello
dell’economia, che potrà essere espresso sia in forma strutturale, sia in forma ridotta. Si
tratta del c.d. approccio ottimizzante
2.1.3) La teoria normativa: il modello
• La forma strutturale (FS). Come detto, la FS di un modello è data dall’insieme di relazioni di
comportamento suggerite dall’analisi economica teorica e verificate dall’analisi econometrica.

• Esistono diversi tipi di modelli, ognuno specifico per la fattispecie che intende rappresentare con
maggiore accuratezza. Avremo pertanto modelli microeconomici o macroeconomici, statici o
dinamici, deterministici o stocastici, di economia chiusa o aperta

• Perché possa essere utilizzato, un modello in FS deve rendere possibile l’individuazione delle variabili
rispetto al loro status di endogena/esogena, obiettivo/strumento, e una chiara classificazione della
tipologia di equazioni.

• Si distingue tra equazioni di definizione (formula della domanda aggregata D = C + I), equazioni di
comportamento (equazione del consumo, o dell’investimento), equazioni tecniche (funzione di
produzione), equazioni di equilibrio (Y = D = C + I), equazioni istituzionali (che esprimono relazioni e
vincoli imposti da norme e/o consuetudini. Per es., equazioni di trasformazione del montante
contributivo in redditi da pensione, equazione che esprime il divieto di finanziamento monetario della
spesa: dG = dT + dB)
2.2) La teoria normativa: controllabilità
• La forma ridotta (FR). Le equazioni della FR saranno tante quante sono gli obiettivi

• Per ottenere la FR invertita (FRI) devono essere soddisfatte alcune condizioni, di fatto
condizioni che definiscono la possibilità di risolvere un problema matematico

• La regola fondamentale perché un sistema possa essere risolto è che ci siano un numero di
incognite almeno pari al numero di equazioni. Nel caso della risolvibilità di un problema ad
obiettivi fissi con modello espresso in FR (cioè per trovare la FRI), deve essere disponibile
un numero di strumenti (incognite) almeno pari al numero di obiettivi (che definiscono il
numero di equazioni, dato che si ha una equazione per ogni obiettivo). Tale condizione
definisce la REGOLA AUREA DELLA POLITICA ECONOMICA, o regola di Timbergen. Si
possono distinguere tre casi:
1) il numero di strumenti è uguale al numero di obiettivi (equazioni): in tal caso esiste una
soluzione unica e il sistema si dice determinato
2) il numero degli strumenti è superiore a quello degli obiettivi (equazioni): in tal caso il
sistema si dice sotto-determinato ed esistono molteplici soluzioni [si prende a caso il valore
degli strumenti in eccesso e si determina la FRI attraverso gli altri. Da qui la molteplicità
delle soluzioni, essendo infiniti i valori assegnabili agli strumenti in eccesso]
3) il numero degli strumenti è inferiore a quello degli obiettivi (equazioni): in tal caso il
sistema si dice sovra-determinato e non esiste alcuna soluzione [si trascurano gli obiettivi
in eccesso, si ricercano nuovi strumenti, si rinuncia ad impostare il problema in temini di
obiettivi fissi, e si passa all’approccio ottimizzante degli obiettivi flessibili]
2.3) La teoria normativa: esempio
• Si assuma che il governo si sia prefissato uno specifico obiettivo di occupazione (obiettivo
fisso). Si assuma inoltre che il funzionamento dell’economia sia descrivibile adeguatamente
da un modello di domanda/offerta a prezzi fissi, del tipo espresso dalla FS. Ecco i passaggi
per ottenere FR e FRI

Y = AN , funzione di produzione, A = produttività del lavoro = π


Y = C + I + G


C = cY
d
FS
 I = I − ar
 0


Y = Y − (T = tY )
d

Y = c(1 − t )Y + I 0 − ar + G
c(1 − t )Y + I 0 − ar + G = AN

FR : N =
1 1
(I 0 − ar + G )
A 1 − c(1 − t )

N=
1 1
(I 0 − ar ) + 1 1
G
A 1 − c(1 − t ) A 1 − c(1 − t )

N−
1
(I 0 − ar ) = 1
G
{A[1 − c(1 − t )]} {A[1 − c(1 − t )]}
FRI : G = {A[1 − c(1 − t )]}N − (I 0 − ar )
2.4) La teoria normativa: limiti e critica di Lucas
• Natura statica e deterministica dei modelli di tipo classico

• Mancata rappresentazione delle aspettative

• Relazioni di comportamento non derivate da processi di ottimizzazione in cui siano


specificate completamente le ipotesi sulla psicologia (preferenze) e sulla tecnica di
produzione (assenza di microfondazione), fa si che i parametri stimati siano convoluzioni
di parametri profondi (tecnologici e psicologici) e di parametri di aspettativa. Ciò fa si che
tali parametri non siano invarianti rispetto a interventi di policy, poiché gli operatori
razionali modificano le loro aspettative a seguito o in previsione degli interventi di policy
stessi. Il modello che si intende utilizzare per calibrare le policy non è più il modello
rilevante dell’economia. Questa linea di ragionamento è alla base della CRITICA DI LUCAS
all’approccio tradizionale

• Si noti che la critica di Lucas non è devastante quanto spesso riconosciuto. Il fatto che i
parametri di comportamento stimato possano cambiare è infatti una ipotesi verificabile
dall’econometrico (test di cambiamento strutturale per modifiche note della policy)
3) Le politiche pubbliche microeconomiche

• La violazione dei presupposti che definiscono un regime economico di CP implica la violazione


del principio di OP e di efficienza allocativa. In tali casi, oltre alle tre funzioni tipiche dello
“stato minimo” nozickiano, l’intervento pubblico si rende necessario per il ripristino delle
condizioni di CP o la compensazione degli effetti connessi alla loro violazione

• L’intervento pubblico può ritenersi necessario anche in presenza di situazioni di CP, nel caso in
cui il risultato del mercato non è ritenuto eticamente preferibile. E’ questo il caso di situazioni
contraddistinte da presenza di beni meritori e di forti iniquità, entrambe possibili anche sotto
rispetto delle condizioni di efficienza paretiana (che ha valore etico, non tecnico)
3.1) Fallimenti del mercato e politiche pubbliche
• 3.1) “Stato minimo” e funzioni di garanzia per il mercato

• 3.2) Forme di mercato non concorrenziali e politiche antimonopolistiche

• 3.3) Esternalità e politiche di ripristino della completezza dei mercati

• 3.4) Beni pubblici e fornitura diretta

• 3.5) Asimmetrie informative e garanzie pubbliche

• 3.6) Beni meritori, paternalismo, Welfare

• 3.7) Iniquità e redistribuzione

• 3.8) Politiche di stabilizzazione macroeconomica


3.1) Stato minimo e funzioni di garanzia per il mercato
• Allocazione dei diritti di proprietà: sebbene storicamente tale funzione viene svolta
dall’istituto dell’eredità, possono configurarsi casi in cui l’allocazione ereditaria non conduce a
risultati efficienti. In presenza di forti sperequazioni nelle dotazioni iniziali, possono innescarsi
effetti di crowding-in inefficienti (trappole di povertà ed efficienza dinamica)

• Predisposizione di una regolamentazione che favorisca una condotta efficiente dei diritti di
proprietà, e la loro massima estensione (es. diritto a non essere inquinati)

• Predisposizione di un enforcement legale per la tutela dei diritti di proprietà e per la garanzia
del mercato: liberalizzazioni, frazionamenti degli ex monopoli pubblici, istituzione di autorità
per la concorrenza
3.2) Politiche antimonopolistiche - a

• Legislazione antimonopolistica: mira a modificare a) la struttura dei monopoli e/o b) i


comportamenti degli operatori, al fine di tutelare la libertà economica in entrata, di limitare il
potere delle concentrazioni economiche, di accrescere l’efficienza allocativa

• Regolamentazione dell’entrata: nei casi di barriere connesse alla presenza di costi


irrecuperabili, favorisce la contendibilità dei mercati con agevolazioni fiscali e incentivi sugli
investimenti fissi di tipo non recuperabile (es. detraibilità fiscale spese per ricerca e sviluppo
industriale)

• Regolamentazione dei prezzi: fissazione di P* = CM, garanzia di allocazione efficiente.


Generalmente non possibile poiché CU > P*. Due possibilità: 1) nazionalizzazione del
monopolio naturale e finanziamento fiscale perdite; 2) sovvenzione pubblica delle perdite del
monopolio privato, con fin. fiscale: quali garanzie sulla conoscibilità dei costi effettivi del
monop. privato?
3.2) Politiche antimonopolistiche - b

• Estrazione delle rendite: pratica nota come “concorrenza per il mercato”. Non potendo essere
poste in atto situazioni di CP nell’operatività della produzione, si tende a creare una tale
situazione nella fase di attribuzione del diritto ad operare da monopolista attraverso
meccanismi di asta pubblica

• Asta per il diritto ad operare: sotto condizioni di CP nella fase di partecipazione all’asta, la
cessione alla massima offerta garantisce l’estrazione del valore attuale del flusso di rendite
attese dall’esercizio del monopolio (caso UMTS Ita e Ger). Rimane il problema dell’efficienza
allocativa: il prezzo di mercato è quello di monopolio

• Asta per il sussidio ad operare con P = CM: in tal modo si procede ad estrazione della rendita
senza rinunciare all’efficienza allocativa e senza necessità di controllare i costi effettivi
dell’impresa
3.3) Politiche per la presenza di esternalità - a

• Tassazione/sussidiazione delle esternalità: nel caso di esternalità negativa CMpriv < CMsoc:
tassazione per il ripristino della condizione CMpriv = CMsoc. Nel caso di esternalità positiva si
effettua la sussidiazione. La tassazione/sussidio deve essere corrisposta in somma fissa (non
distorsione) e deve essere pari alla differenza tra CMpriv e CMsoc. Al costo marginale
corretto, il mercato scambierà le quantità che sarebbero state scambiate in assenza di
esternalità

CMsoc
CMpriv

Tassa = CMsoc - CMpriv


q* q
3.3) Politiche per la presenza di esternalità - b

• Attribuzione di diritti negoziabili: si crea il mercato delle esternalità attraverso la creazione di


diritti ad inquinare o a non essere inquinati. Coase mostra che, sotto CP, la negoziazione di tali
diritti garantisce OP. Il meccanismo è lo stesso dell’imposta pigouviana: il produttore di
inquinamento internalizza i costi del prodotto collaterale, che assumerà un prezzo pari al
valore CMsoc - CMpriv in assenza di esternalità.

• Regolamentazione: I livelli di esternalità ammissibili sono decisi per legge. L’intervento è di


tipo coercitivo e agisce direttamente sulle quantità. Soluzione preferita nel caso di esternalità
comportanti danni irreparabili (salute). In Italia si l’intervento è principalmente di tipo
regolamentativo. Kyoto ha un impianto più sbilanciato sui diritti negoziabili
3.4) Politiche per la presenza di beni pubblici

• In presenza di beni pubblici lo stato deve decidere la quantità efficiente di beni da


somministrare, le modalità del suo finanziamento, la produzione diretta o per committenza
pubblica.

• Le quantità vengono decise simulando situazioni di non rivalità/escludibilità per lo stesso


bene (bisogno), ovvero attraverso la stima della disponibilità a pagare

• Le modalità di finanziamento dipendono dal grado di universalità dell’usufrutto del bene


pubblico

• La scelta delle modalità di produzione dipende da considerazioni sulla struttura di mercato


della produzione in oggetto, in ultima analisi, sulla sua struttura dei costi.
3.5) Informazione e garanzie pubbliche
• I rimedi privatistici dell’asimmetria informativa hanno dei costi di implementazione e come
tali inducono al fallimento del mercato (es. salario di incentivo determina che il salario reale è
maggiore del contributo marginale del lavoro al prodotto, inducendo disoccupazione:
discipline device)

• In tali casi lo stato interviene attraverso: certificazione obbligatoria e volontaria (es. standard
di qualità ISO), garanzie pubbliche (al credito pubblico – depositi, commerciale –
SACE), sistemi di incentivo alla buona condotta, sostegno diretto all’informazione

• Assicurazioni obbligatorie, sanità pubblica, istruzione possono trovare origine in problemi di


asimmetria informativa in ottica dinamica, anche se la collocazione tipica fornita dalla dottrina
è quella dei beni di merito e del paternalismo. La definizione qualitativa e quantitativa di una
legislazione per la produzione di beni meritori ha forti connotazioni etiche
3.6) Beni meritori, paternalismo, Welfare

• I beni meritori, definiti in gran parte dalle assicurazioni pubbliche obbligatorie, quali la
previdenza, la sanità pubblica e l’istruzione possono trovare origine in problemi di miopia
(preferenze iperboliche), asimmetria informativa in ottica dinamica, irrazionalità, anche se la
collocazione tipica fornita dalla dottrina è quella dei beni di merito e del paternalismo. La
definizione qualitativa e quantitativa di una legislazione per la produzione di beni meritori ha
forti connotazioni etiche e culturali

• Il Welfare trae quindi giustificazione da considerazioni diverse da quelle tipiche dell’economia


del benessere. Selezione avversa e rischio morale svolgono un ruolo molto parziale. Maggior
ruolo giocato dai concetti di probabilità (rischi) non indipendenti (inflazione) e prossime
all’unità (vecchiaia, malattia)
3.7) Iniquità ed intervento distributivo - a

• L’intervento redistributivo non è generalmente giustificabile sulla base di considerazioni di


efficienza statica: basi etiche. Tuttavia, in una ottica di lungo periodo esso è giustificato anche
sul piano dell’efficienza dinamica (istruzione obbligatoria). Necessario il giudizio (etico) di
efficienza?

• Presupposto: legame diretto tra distribuzione funzionale (fonti del reddito) e distribuzione
personale (percettori del reddito) sotto ipotesi di rendimenti costanti: esaustibilità del
prodotto in redditi.

• Applicabilità: Nei casi in cui a determinate distribuzioni funzionali corrispondono distribuzioni


personali molto sperequate. Accade quando, anche in condizioni di OP, esistono scarsità
rilevanti di alcuni fattori. In assenza di OP, per la presenza di posizioni dominanti nel controllo
dei fattori
3.7) Iniquità ed intervento distributivo - b

• Caratteri: intervento selettivo (targeted) vs. approccio universalistico; trasferimenti monetari


(pensioni, assegni sociali, sussidi di disoccupazione, malattia, maternità, sostegno al reddito
familiare) vs in natura (istruzione, sanità, assistenza sociale, abitazione); erogazione centrale vs
erogazione locale

• OP: perché si rispettino le condizioni di OP l’intervento dovrebbe avvenire sulle dotazioni inizial
(II TEB) e non sulla distribuzione prodotta dal mercato

• Non distorsione: nei casi ove ciò non fosse possibile, la tassazione dovrebbe essere in somma
fissa, al fine di scongiurare gli effetti distorsivi della tassazione proporzionale e progressiva.
Trattandosi di tassazione definita da valori costanti, le utilità al margine (derivate parziali) - e
quindi i comportamenti - non vengono alterati.
3.7) Iniquità ed intervento distributivo - c

• Considerazioni di trade-off in caso di redistribuzioni distorsive: la distorsione sarebbe prodotta


dall’alterazione delle utilità al margine alla base delle scelte soggettive in considerazione di
schemi redistributivi basati su imposizione proporzionale e progressiva (es. tassazione del
lavoro e delle rendite vs. corresponsione di una imposta in somma fissa e disincentivazione del
lavoro e dell’investimento)

• La questione del trade-off tra equità ed efficienza può essere posta dal policy maker in termini
formali, andando a ricercare, empiricamente, la relazione tra livelli di disuguaglianza ed
efficienza (condizione tecnica: curva di Kuznets) e la preferibilità sociale di coppie di valori
alternativi di disuguaglianza ed efficienza (FBS). La soluzione del problema di politica è dato
dall’approccio normativo dello schema ad obiettivi flessibili: massimizzazione sotto vincolo
tecnico di trasformazione
3.7) Iniquità ed intervento distributivo - d

• D = 1 – Gini (indice di disuguaglianza)


• Y = f(Y, D) (vincolo tecnico di trasformazione o curva di Kuznets)
• D* = valore di D che max Y sotto ipotesi di indifferenza nelle preferenze pubbliche
• W = w(Y, D): preferenze pubbliche: FBS
• Problema: Max W s.t. f(Y,D)
• D1: pref egualitarie
• D2: avversione all’equità W(D=male) W(D=bene)
Y
• D*: preferenze paretiane (etica
dell’insicandabilità pref ind)

D1 D* D2 D
3.8.1) Il Welfare: cenni storici
• Si sviluppa nei paesi europei a partire dalla seconda metà del 1800. Si sviluppa col diffondersi
della rivoluzione industriale

• Nasce in funzione mutualistica su iniziativa dei lavoratori dipendenti del comparto industriale
e dello stato (modello bismarkiano)

• Un vero e proprio sistema di WS si definisce nei primi anni del novecento con l’esperienza
socialdemocratica scandinava: alcuni rischi individuali e familiari vengono riconosciuti come
rischi sociali (disoccupazione, malattia, vecchiaia, sostegno al reddito familiare) e si osserva il
passaggio a schemi universalistici

• L’estensione dei rischi assicurati si amplia in risposta alla crisi degli anni trenta, in risposta al
rischi di disoccupazione. Un momento di svolta particolarmente significativo si ha
nell’esperienza inglese per l’azione politica di Beveridge, il cui progetto di WS si definisce sulle
linee di quello scandinavo

• In Italia il WS si sviluppa a partire dalla seconda metà degli anni 60


3.8.2) Il Welfare: quattro modelli a confronto
• Il modello socialdemocratico: universalismo delle prestazioni, forti connotazioni
egalitarie, ampia estensione degli interventi, rilevante quota di finanziamento fiscale: modello
scandinavo

• Il modello liberale: selettività delle prestazioni (basate sulla verifica dei mezzi) estensione
limitata (garantiti solo rischi di estrema gravità, quali povertà ed esclusione sociale): modello
statunitense, neozelandese, irlandese e inglese del periodo tatcheriano

• Il modello corporativo: forte collegamento col mercato del lavoro, selettività corporativa (il
titolare del diritto non è il cittadino ma il lavoratore). Rilevanza del principio di sussidiarietà
alla famiglia. Programmi di spesa frastagliati, l’estensione degli interventi varia da categoria a
categoria, finanziamento su base contributiva. Alta copertura dei dipendenti pubblici
(servitori dello stato): modello tedesco ed europeo continentale

• Il modello mediterraneo: variante del modello corporativo, con accentuazione degli aspetti di
frammentazione. Uso clientelare e distorto delle tipologie di intervento. Rilevanza, anche
legale, del ruolo assegnato alla famiglia
3.8.3) Il Welfare: i rischi coperti e le prestazioni

Pensioni Sanità Ammortizz. sociali Assistenza Istruzione


previdenziali

• Pensioni di • Assistenza di • Cassa • Assegni • Obbligatoria


vecchiaia base integrazione familiari • Secondaria
• Pensioni di • Spesa • Indennità di • Pensione • Universitaria
anzianità farmaceutica disoccupazione Sociale • Materna
• Pensioni ai •Assicurazione • Handicap
superstiti infort. lavoro • Invalidità
• Malattia
• Maternità
3.9) Politiche commerciali

• Definiscono la posizione dei responsabili di politica economica nei confronti delle relazioni
commerciali con l’estero del paese

• L’atteggiamento della politica economica può essere visto come una graduazione di posizioni tra
due atteggiamenti estremi: liberismo e protezionismo

• Le politiche liberiste consistono nell’eliminazione di ogni ostacolo, economico o legislativo, al


commercio con l’estero

• Le politiche protezionistiche consistono nell’imposizione di barriere economiche e legislative al


commercio con l’estero
3.9.1) Giustificazioni del liberismo

• Il fondamento teorico del liberismo risiede nel concetto di vantaggio comparato, ossia nei
vantaggi connessi alla specializzazione internazionale della produzione, originariamente
teorizzato da David Ricardo con il principio dei costi comparati

• Il principio dei costi comparati stabilisce che se due paesi hanno una diversa abilità relativa nella
produzione di due beni, il che si riflette nel costo di produzione, è conveniente per entrambi
specializzarsi nella produzione del bene di cui si gode di un vantaggio comparato e quindi
procedere all’importazione del bene non prodotto, la cui produzione è relativamente meno
costosa nell’altro paese. Saranno oggetto di scambio internazionale le eccedenze di produzione
rispetto alla domanda interna

• La diversa abilità relativa nella produzione dei due beni nelle due economie in considerazione
può essere dovuta a fattori molteplici (scarsità relativa di
fattori, tecnologie, competenze, istituzioni). La scarsità relativa dei fattori è il fattore più
richiamato nell’impostazione originaria della teoria dei vantaggi comparati. Il fattore
tecnologico, delle competenze e (in analisi recenti) istituzionale caratterizzano le riedizioni
contemporanee della teoria
3.9.2) Limitazioni del liberismo e protezionismo

• La teoria del vantaggio comparato ha natura sostanzialmente statica: non viene considerato
che un paese possa risultare relativamente svantaggiato nella produzione di un determinato
bene perché il settore è relativamente nuovo nell’economia considerata, e possa
guadagnare un vantaggio comparato nel tempo

• Può essere molto rischioso, per un paese, rinunciare alla produzione di alcuni beni
fondamentali (agricoltura), o alla produzione di settori strategici (energia, tecnologie
avanzate, tecnologie militari, trasformazione di prodotti energetici, determinate tipologie di
servizi)

• Queste considerazioni sono alla base della giustificazione delle politiche protezionistiche. Si
consideri tuttavia che la generalizzazione a tutti i paesi e tutti i settori del protezionismo
induce certamente ad un aumento generalizzato dei costi di produzione, quindi ad una
riduzione del potere d’acquisto e del tenore di vita
3.9.3) Strumenti della protezione commerciale

• Protezione tariffaria: si tratta in sostanza di dazi all’importazione, cioè di imposte indirette che
influenzano il prezzo del bene importato. Rispetto alla finalità (ma non alla sostanza e agli
effetti) si distingue tra dazi fiscali e dazi protettivi

• Protezione non tariffaria: viene attuata attraverso 1) contingenti o quote di


importazione, definiti da limiti di quantità fisiche o da limiti valutari, attuati attraverso
concessione di licenze per l’importazione che stabiliscono limiti massimi di importazione; 2)
imposizione di limiti inferiori di contenuto nazionale della produzione, che prevede che un
determinato prodotto possa essere venduto solo se ha un contenuto minimo, in termini fisici o
in valore, di produzione nazionale; 3) depositi previ all’importazione, ossia obbligo di depositare
per un certo periodo in un conto infruttifero presso la banca centrale una somma pari ad una
quota del valore della merce importata; 4) regolamentazioni sanitarie, di sicurezza, di tutela
ambientale, che di fatto hanno finalità di protezione (molto praticate per la protezione dei
prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento); 5) limitazioni in materia di appalti, forniture
pubbliche e concessioni; 6) sussidi alla produzione di beni oggetto di esportazione, che di fatto
si risolvono in riduzione di prezzi all’esportazione
3.9.4) Effetti della protezione tariffaria
• Assumiamo che il prezzo della produzione internazionale rimanga invariato a seguito
dell’introduzione del dazio da parte del paese importatore. Definiamo le curve di domanda ed
offerta interna del paese. Se il prezzo interno fosse OF e pari al prezzo internazionale, essendo
la domanda superiore all’offerta, si avrebbero importazioni pari alla differenza tra domanda ed
offerta AE. L’introduzione di un dazio definisce un aumento del prezzo interno, il che stimola
maggiore produzione interna (effetto produzione AA’) e riduce la domanda totale (effetto
consumo EE’). Le importazioni si riducono in misura pari alla somma dei due effetti (AA’+EE’). I
consumatori pagano un maggior prezzo ai produttori nazionali e un dazio allo stato

Qd Qs

p+d
F, p

O
A A’ E’ E q
3.9.5) Effetti della protezione non tariffaria
• I contingentamenti hanno effetti simili a quelli dei dazi. Un contingentamento definisce infatti
un aumento del prezzo interno del bene importato, il che stimola maggiore produzione interna
e riduce la domanda del bene. La differenza rispetto al caso precedente è che il governo non
riceve un introito fiscale. Il contingentamento implica una redistribuzione a favore dei
produttori e a sfavore dei consumatori. In tal caso AA’+EE’ definisce la dimensione del
contingentamento fisico

Qd Qs

p’
p

O q
A A’ E’ E
3.10) Politiche di stabilizzazione: cenni
• Possono riguardare la stabilità interna (occupazione, inflazione, redditi, debito) e quella esterna
(cambi, bilancia dei pagamenti con l’estero). Si tratta in sostanza della politica monetaria della
banca centrale e della politica fiscale del governo

• Politica monetaria: ha per obiettivo la stabilità monetaria interna ed esterna. Storicamente si


osserva un peso crescente dell’obiettivo del controllo dell’inflazione. Rilevante anche l’obiettivo
della stabilizzazione reale, specialmente in USA. Si attua attraverso manovre della base
monetaria e attraverso manovre del tasso di interesse (tasso di sconto). In condizioni di perfetto
funzionamento del mercato del credito le due manovre hanno effetti equivalenti. Nel caso di
crisi di liquidità e di fiducia, la politica monetaria operata attraverso la manovra del tasso di
interesse può risultare del tutto inefficacie (situazione di trappola della liquidità) e quella
operata attraverso il controllo degli aggregati monetari poco efficace in termini reali

• Politica fiscale: ha per obiettivo la stabilizzazione delle fluttuazioni del reddito e


dell’occupazione. In condizioni di forte indebitamento tende a prevalere l’obiettivo della
stabilizzazione del debito. Si attua attraverso manovre di bilancio pubblico, cioè attraverso la
modificazione delle entrate e delle spese pubbliche.
4) Le politiche macroeconomiche
• 4.1.: Politica monetaria: ha per obiettivo la stabilità monetaria interna ed esterna. Storicamente
si osserva un peso crescente dell’obiettivo del controllo dell’inflazione. Rilevante anche
l’obiettivo della stabilizzazione reale, specialmente in USA. Si attua attraverso manovre della
base monetaria e attraverso manovre del tasso di interesse (tasso di sconto). In condizioni di
perfetto funzionamento del mercato del credito le due manovre hanno effetti equivalenti. Non
nel caso di crisi di liquidità e di fiducia, dove prevale la manovra sugli aggregati monetari

• 4.2.: Politica fiscale: ha per obiettivo la stabilizzazione delle fluttuazioni del reddito e
dell’occupazione. In condizioni di forte indebitamento tende a prevalere l’obiettivo della
stabilizzazione del debito. Si attua attraverso manovre di bilancio pubblico, cioè attraverso la
modificazione delle entrate e delle spese pubbliche

• 4.3.: Politica dei redditi e dei prezzi: ha per obiettivo il controllo dell’inflazione e si attua
attraverso il controllo della dinamica salariale e del margine di profitto. Può avere finalità
distributive

• 4.4.: Politica per la bilancia dei pagamenti: Ha per obiettivo il controllo della bilancia dei conti
con l’estero e si attua attraverso il controllo della dinamica dei prezzi, della domanda, del tasso
di cambio e attraverso politiche strutturali
4.1) La politica monetaria (argomenti)
• 4.1.1: Economia monetaria e intermediari finanziari: definizione di economia
monetaria, funzioni della moneta ed instabilità intrinseca della relazione domanda-offerta in
economia monetaria. Ruolo degli intermediari finanziari

• 4.1.2: Banca Centrale e Base Monetaria: Ruolo della banca centrale, definizione di base
monetaria, canali di creazione della base monetaria

• 4.1.3: Banche commerciali, depositi e moltiplicatore della moneta: Il ruolo delle banche
commerciali, i depositi e la moltiplicazione della base monetaria. Instabilità della relazione tra
base monetaria e offerta di moneta e controllabilità

• 4.1.4: Il controllo della base monetaria e dell’offerta di moneta: strumenti di controllo della
base monetaria. Il passaggio dal controllo della base monetaria al controllo del tasso di
interesse

• 4.1.5: Politica monetaria in regime di cambi fissi (IS-LM-BP): schema di funzionamento ed


efficacia

• 4.1.6: Politica monetaria in regime di cambi flessibili (IS-LM-BP): schema di funzionamento ed


efficacia

• 4.1.7: Considerazioni sull’efficacia della politica monetaria: Alcuni ragionamenti sull’efficacia


della politica monetaria in diverse situazioni economiche
4.1.1) Economia monetaria
Una economia monetaria si caratterizza per il fatto che le transazioni di beni e servizi sono
regolate attraverso l’uso di strumenti monetari (possiamo pensare anche al caso della
moneta-merce – conchiglie, bestiame), e non attraverso lo scambio di beni, come
nell’economia di baratto. Anche se può essere imposta legalmente, la moneta ha carattere
sostanzialmente fiduciario: le sue funzioni vengono esplicate perché convenzionalmente si
attribuisce fiducia al mezzo di pagamento come strumento di pagamento nelle transazioni.
Con riferimento alla moneta, è possibile individuare tre funzioni tipiche:

1. Moneta quale mezzo di pagamento o intermediario negli scambi. Il ruolo fondamentale


consiste nella riduzione dei costi di transazione: dal momento che i mercati sono
decentralizzati, si riducono ad esempio i costi di spostamento/informazione, si permette la
specializzazione distributiva ecc.
2. Moneta come unità di conto (o numerario, o misura di valore). La moneta è il “bene” nei
termini del quale sono calcolati tutti i prezzi e contabilizzati i valori (non necessaria
coincidenza vedi contabilità in dollari e prezzi in moneta nazionale). Svolge il ruolo che
svolgeva il grano, il bestiame o l’oro in passato (moneta-merce)
3. Moneta come riserva di valore. La moneta, sotto questo punto di vista, è un mezzo per il
trasferimento del potere di acquisto nel tempo, in associazione ad altre attività finanziarie e
reali

L’esistenza di una economia monetaria, se da un lato favorisce gli scambi, da un lato espone
l’economia ad una instabilità intrinseca, stante nella separazione tra atto di vendita e di
acquisto e nella possibilità di tesaurizzare.
4.1.1) Intermediari finanziari
• La scissione tra momento della cessione e momento dell’acquisto (o, in modo equivalente, tra
percezione del reddito e spesa) rende necessaria l’esistenza di strumenti che soddisfino
simultaneamente le esigenze delle unità in surplus di risparmio e le esigenze di spesa delle
unità in deficit. Tali strumenti si caratterizzano come crediti diretti ed indiretti

• Attraverso i crediti diretti le unità in surplus cedono pro-tempore il loro potere d’acquisto alle
unità in deficit (attraverso prestiti, obbligazioni, azioni emesse da privati o dallo stato e
sottoscritte dalle famiglie). I crediti diretti vengono negoziati nei mercati dei capitali, dove si
distinguono mercati primari (quelli dei titoli all’emissione) e mercati secondari (quelli dei titoli
in essere – borsa valori)

• Attraversi i crediti indiretti le unità in surplus cedono agli intermediari finanziari il loro
risparmio, e questi ultimi lo cedono alle unità in deficit. I motivi dello sviluppo degli
intermediari finanziari sono sostanzialmente tre: 1) esistenze di economie di scala nella loro
attività di gestione, di informazione; 2) possibilità di trasformazione della scadenza tipica del
credito, attraverso l’operare della legge dei grandi numeri; 3) possibilità di diversificazione del
rischio connessa all’accumulazione di risparmio e la sua destinazione al finanziamento di
attività diverse

• Crediti diretti ed indiretti definiscono l’insieme delle passività finanziarie di una economia
4.1.1) Moneta come attestazione debitoria
• La moneta è una passività emessa da un intermediario finanziario. Possono essere individuati
due tipi di moneta in corrispondenza di due tipi di intermediari finanziari che la emettono: 1)
le banconote, create dagli istituti di emissione; 2) i depositi, creati dalle banche

• Le banconote hanno corso legale, ossia la loro funzione come mezzo di pagamento è stabilita
per legge. Fino al 1914 era possibile convertire le banconote in monete metalliche o in oro.
Venuta meno la convertibilità, l’accettazione delle banconote è stata imposta per legge (corso
forzoso)

• I depositi bancari assumono ruolo di moneta su base esclusivamente fiduciaria. Le operazioni


sui depositi bancari si effettuano a mezzo di assegno o giroconto

• Recentemente sono state create nuove passività che hanno assunto rilievo come forma di
pagamento per il loro elevato grado di liquidità e che pertanto possono essere fatte rientrare
nel concetto di moneta

• L’esistenza di queste nuove forme di liquidità ha reso necessario introdurre diversi concetti di
moneta. Nell’EMU si distinguono tre aggregati monetari: 1) M1 – costituito da circolante e
depositi a vista (non vincolati); 2) M2 – costituito da M1 e da depositi vincolati fino a due anni
e con preavviso fino a tre mesi; M3 – costituito da M2 e da operazioni pronti contro
termine, fondi di investimento e titoli di debito con scadenza fino a due anni
4.1.2) Banca Centrale e base monetaria
• La banca centrale è prestatore di ultima istanza per le banche commerciali (fornisce loro la
liquidità necessaria) e come tale opera come banca delle banche. Essa inoltre assume ruolo di
vigilanza sull’operato delle banche commerciali per assicurare la stabilità e la solidità del
sistema finanziario

• Tra le attività di regolazione della banca centrale c’è quella di fissare un vincolo di riserva
obbligatoria, in aggiunta alle riserve a carattere libero

• Le attività finanziarie utilizzabili per la costituzione della riserva obbligatoria formano la


cosiddetta base monetaria, o moneta ad alto potenziale. La BM comprende tutte le passività
a vista emesse dalle autorità monetarie (banche centrali – quindi monete e
banconote), nonché quelle prontamente trasformabili in esse (depositi presso la BCE)

• Dal momento che anche il pubblico detiene moneta e banconote, si distingue tra base
monetaria delle banche e base monetaria del pubblico
4.1.2) Canali di creazione della base monetaria
• La base monetaria viene creata dalla banca centrale per effetto di quattro canali di creazione:
1) Estero; 2) Tesoro; 3) Operazioni di mercato aperto; 4) Operazioni di rifinanziamento
bancario

• La BC crea (distrugge) BM attraverso il settore estero quando acquista (cede) riserve in oro o
altre valute. Tale creazione (distruzione) è sottratta alla volontà delle banche centrali in caso
di accordi di cambio. In tali casi, ad avanzi (disavanzi) della bilancia dei pagamenti corrisponde
creazione (distruzione) di BM, poiché la banca è obbligata ad acquistare (vendere) riserve in
valuta estera per mantenere stabile il cambio

• La BC crea BM attraverso il canale Tesoro quando acquista titoli di debito pubblico sul
mercato primario. Fino agli anni ’80 la BC era obbligata ad acquistare i titoli non sottoscritti
dal mercato (signoraggio). Dal 1993, in attuazione degli accordi di Maastricht, tale canale di
creazione è venuto meno

• La BC crea o distrugge BM attraverso operazioni di acquisto o vendita di titoli sul mercato


secondario. Costituiscono uno strumento pienamente discrezionale, pertanto assumono
grosso rilievo nelle operazioni della BC

• La BC crea o distrugge BM attraverso le operazioni di finanziamento delle banche


commerciali. In genere tale canale opera attraverso la modifica del tasso ufficiale di sconto, al
quale la BC sconta le cambiali in possesso delle banche commerciali ed effettua il
finanziamento a breve
4.1.3) Banche, depositi e offerta di moneta
• Come visto, oltre alla moneta legale, costituiscono mezzi di scambio i depositi creati dalle
banche commerciali. In effetti la moneta in senso stretto (narrow money), o aggregato M1, è
definita dal circolante (monete e banconote nelle mani del pubblico) e dai depositi a vista
presso le banche

• L’ammontare di depositi è legato alla quantità di base monetaria. Infatti il pubblico mantiene
un rapporto alquanto costante tra circolante in suo possesso (BMP) e depositi presso le
banche commerciali (D). Definendo h tale rapporto:
BMP = hD h > 0
• Le banche mantengono un rapporto alquanto costante, in ragione j, tra depositi raccolti dal
pubblico D e riserve obbligatorie e libere di base monetaria (BMB)
BMB = jD 0 ≤ j ≤ 1
• Dal momento che BM = BMP + BMB si ottiene il moltiplicatore dei depositi:
BM
BM = D(h + j ) D=
(h + j )
• Definendo l’offerta di moneta Ls come aggregato M1, si ha che Ls = BMP + D, pertanto il
moltiplicatore della moneta sarà:

1 1 1+ h
Ls = hD + D = h BM + BM = BM
h+ j h+ j h+ j
4.1.3) Base monetaria e curva LM
• Quando è stata derivata la curva LM si assumeva che la BC controllasse direttamente Ls. In
effetti ciò non è vero, dato che la BC controlla BM e, attraverso il moltiplicatore della
moneta, Ls. La curva LM e l’equilibrio sul mercato dei beni e della moneta può pertanto
essere riformulato nel modo seguente:

LS 1 + h BM
= = LD
P h+ j P
LD = LD1 + LD 2 + LD 3
LD1 = kY
LD 2 = L0
LD 3 = −vr
1+ h
BM = kY + L0 − vr
h+ j
L 1 + h BM k
r= 0 − + Y
v v(h + j ) P v

1  a  1 + h BM  
Y=  − L0  + I 0 + G + X 
ak  v  h + j P
1 − c(1 − t ) + m +  
v
4.1.4) Il controllo di BM e dell’offerta di moneta
• I moltiplicatori dei depositi e della moneta ora ricavati hanno significato potenziale e non
effettivo. Infatti essi rappresentano la massima creazione di moneta possibile data la base
monetaria

• Si consideri inoltre che i coefficienti h e j non sono costanti. Essi variano, in particolare, in
corrispondenza di variazioni effettive ed attese del tasso di interesse. Con riferimento alle
riserve libere, le banche saranno indotte a contrarle in relazione a innalzamenti del tasso di
interesse, poiché la banca riterrà più lucrativa la concessione di crediti. Ciò induce a riduzioni
di j. Allo stesso modo, un innalzamento del tasso di interesse indurrà il pubblico a detenere
meno circolante, poiché riterrà più conveniente depositarlo in banca in depositi fruttiferi. Ciò
induce a riduzioni di h. Il risultato è che il moltiplicatore tende ad aumentare in
corrispondenza di innalzamenti del tasso di interesse e a ridursi in corrispondenza di riduzioni
del tasso di interesse. La dinamica del moltiplicatore tende quindi ad operare in direzione
opposta rispetto alle finalità di politica monetaria, riducendone – a parità di intervento e di
altre condizioni - l’efficacia.

• Tali considerazioni possono quindi compromettere l’efficacia della politica monetaria, qualora
essa si attui anche attraverso variazioni del tasso di interesse. Infatti, una politica monetaria
restrittiva, alzando il tasso di interesse, potrebbe essere neutralizzata dall’espansione di
credito prodotta dalle banche attraverso la contrazione delle riserve libere e quindi di j, reso
possibile dall’aumento di depositi prodotto dal pubblico attraverso la contrazione di BMP e
quindi di h
4.1.5) Politica monetaria in regime di cambi fissi - a
• In regime di cambi fissi la BC è vincolata ad intervenire attraverso operazioni di
acquisto/cessione di riserve in valuta estera al fine di garantire la stabilità del cambio. Ciò
comporta, in presenza di capitali mobili, una sostanziale inefficacia della politica monetaria di
stabilizzazione. Infatti, nel caso di una politica monetaria espansiva, si determina un aumento
delle importazioni e una contrazione del tasso di interesse che determina una fuoriuscita di
capitali. La BP va in disavanzo. La BC deve acquistare moneta nazionale in cambio di riserve.
L’offerta di moneta tende a contrarsi fino al punto di partenza. La politica monetaria è tanto
più inefficace quanto maggiore è la sensibilità dei movimenti di capitale al tasso di interesse
(BP piatta)

IS LM1,3

LM2

BP
4.1.6) Politica monetaria in regime di cambi fissi - b
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

BM

Y r

M MK<0

(X-M)=PC<0 BP<0

BM Y
4.1.6) Politica monetaria in regime di cambi flessibili - a
• In regime di cambi flessibili la BC non è vincolata ad intervenire. Il cambio è libero di fluttuare.
La politica monetaria torna efficace. Infatti, nel caso di una politica monetaria espansiva, si
determina: 1) un aumento delle importazioni e una contrazione del tasso di interesse che
determina una fuoriuscita di capitali. La BP va in disavanzo; 2) il cambio si svaluta e la BP si
sposta verso il basso; 3) la svalutazione stimola le esportazioni contrae le importazioni: la IS si
sposta verso destra. Si determina un nuovo equilibrio contraddistinto da un più alto livello del
reddito e un più basso tasso di interesse. In tal caso la politica monetaria è tanto più efficace
quanto maggiore è la sensibilità dei movimenti di capitale al tasso di interesse (BP piatta)

IS2 LM1
IS1
LM2

BP1
r2 BP2
r1

Y1 Y2
4.1.6) Politica monetaria in regime di cambi flessibili - b
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

BM

Y r

M MK<0

(X-M)=PC<0 BP<0

X
er Y
M
4.1.7) Considerazioni sull’efficacia della politica monetaria
• La politica monetaria condivide con gli altri strumenti il ritardo di cognizione, ma risulta
superiore in considerazione del ritardo amministrativo (assenza di mediazione politica e
legislativa, connessa all’autonomia delle BC) e inferiore in considerazione del ritardo negli
effetti, con speciale riferimento all’obiettivo della stabilizzazione dei prezzi, del reddito e
dell’occupazione (aggiustamenti di portafoglio delle banche e del pubblico molto lenti). Il
ritardo negli effetti è invece contratto con riferimento all’obiettivo della stabilità esterna
(mercati dei capitali internazionali molto reattivi a variazioni del differenziale dei tassi di
interesse)

• Se usata in modo molto deciso e aggressivo, la politica monetaria può risultare molto
efficace, posto che la BC si sia costituita una credibilità che le conferisce la possibilità di agire
anche attraverso effetti annuncio

• Il limite maggiore della politica monetaria risiede nell’asimmetria degli effetti. Essa risulta in
genere efficace quando usata in senso restrittivo e poco efficace quando usata in senso
espansivo, specialmente in fasi cicliche fortemente negative. La politica monetaria ha infatti
effetti reali soprattutto attraverso lo stimolo all’attività di investimento (anche di consumo). In
situazioni di recessione, o in fasi caratterizzate da aspettative negative, è difficile che si
possano produrre effetti nel senso desiderato, posto che le imprese che sperimentano
margini di capacità produttiva inutilizzati non saranno disposte ad aumentare la loro capacità
produttiva attraverso nuovi investimenti. Esse al massimo effettueranno investimenti in
razionalizzazione dei processi, il che può avere effetti peggiorativi, almeno nel breve periodo.
Altri problemi, già richiamati, risiedono nell’endogeneità del moltiplicatore della moneta al
tasso di interesse e nell’esistenza di un limite inferiore all’abbassamento del tasso di interesse
4.2) Politica fiscale
La politica fiscale si sostanzia nella manovra del bilancio pubblico (stato ed altri enti pubblici)
ai fini della regolazione del reddito, dell’occupazione e – in tempi più recenti, del
contenimento del debito. La politica fiscale verrà trattata facendo riferimento ad un modello
IS-LM-BB e procederà secondo lo schema seguente:

• 4.2.1: Il bilancio pubblico e la sua manovra

• 4.2.2: L’imposizione

• 4.2.3: La spesa e il suo finanziamento

• 4.2.4: Politica fiscale in cambi fissi

• 4.2.5: Politica fiscale in cambi flessibili

• 4.2.6: Debito pubblico, sostenibilità e politiche di rientro


4.2.1) Il bilancio pubblico e la sua manovra - a
• L’identità contabile fondamentale del bilancio pubblico è la seguente:

T − C g − I g − Trc − Trk − INT = Bs

• Dove:

T = entrate pubbliche
C g = consumi pubblici
I g = investimenti pubblici
Trc = trasferimenti correnti, esclusi gli interessi
Trk = trasferimenti in conto capitale
INT = interessi sul debito pubblico, o costo del servizio
Bs = saldo del bilancio

• Con riferimento alla simbologia fin qui utilizzata (nella derivazione dei modelli), si consideri
che le entrate pubbliche includono quelle in conto corrente e in conto capital, G = Cg +
Ig, mentre Tr = Trc + Trk + INT. Fin qui ci siamo occupati esclusivamente di G. D’ora in avanti
considereremo anche i trasferimenti.
4.2.1) Il bilancio pubblico e la sua manovra - b
• Entrate pubbliche: esse includono: a) le entrate correnti, in larga parte connesse a tributi
(inposte dirette, indirette, tasse, contributi sociali) e in minima parte da altre fonti, come ad
es. eventuali avanzi di gestione di enti o aziende pubbliche. La finalità principale della
manovra delle entrate è quella della stabilizzazione economica (a parte la necessità ovvia del
finanziamento della spesa) e del controllo del debito. L’articolazione delle entrate
correnti, delle spese e dei trasferimenti ha anche finalità redistributive. b) le entrate in conto
capitale, che derivano da alienazione di immobili e aziende pubbliche (privatizzazioni) e dal
rimborso dei crediti dello stato
• Spesa per consumi pubblici: deriva dal costo del personale pubblico e dagli acquisti di beni e
servizi da parte del settore pubblico. E’ finalizzata a finanziare l’attività di produzione di beni e
servizi pubblici
• Spesa per investimenti pubblici: destinata all’integrazione e all’aumento della dotazione di
capitale infrastrutturale pubblico (scuole, ponti, strade, ecc.)
• Trasferimenti correnti: essi includono: a) trasferimenti alle famiglie aventi finalità redistributive
(assegni di disoccupazione, sostegno alla famiglia, assistenza monetaria, eccedenze di spesa
previdenziale. b) trasferimenti e contributi alle imprese aventi finalità eterogenee, in genere di
sostegno alla produzione
• Trasferimenti in conto capitale: ovvero trasferimenti alle imprese finalizzati al sostegno della
loro attività di investimento
• Interessi: si tratta di trasferimenti correnti monetari ai possessori di titoli di debito pubblico
4.2.1) Il bilancio pubblico e la sua manovra - c
• Saldo complessivo: è definito dalla somma algebrica del saldo della parte corrente e di quella
in conto capitale. Il saldo corrente definisce il risparmio pubblico, ossia l’eccedenza delle
entrate correnti sulle spese correnti. Se la spesa per interessi viene scorporata dalle spese
correnti si ottiene la spesa pubblica primaria, dalla quale deriva il saldo primario. In formule:

saldo primario : T − C g − I g − Trc − Trk = B p


saldo corrente primario : Tc − C g − Trc = Bcp

• Le linee guida della manovra di bilancio vengono presentate nel documento di


programmazione economica e finanziaria dello stato (o delle regioni) DPEF (DPEFR), entro il 30
giugno di ogni anno. Si costituisce di un bilancio annuale di competenza e cassa e di un
bilancio pluriennale di competenza. Il bilancio pluriennale viene fornito in due versioni: a)
bilancio pluriennale a legislazione vigente, ossia in assenza di manovra; b) bilancio pluriennale
programmatico, ossia inclusivo della manovra di bilancio. Lo scopo è quello di evidenziare gli
effetti sul bilancio pubblico (e quindi sulle principali variabili macroeconomiche) connessi alla
manovra finanziaria

• Lo strumento che da attuazione alla manovra di bilancio contenuta nel DPEF è la legge
finanziaria. La legge finanziaria non può disporre l’istituzione di nuovi tributi. Essi devono
essere stabiliti nel collegato alla legge finanziaria
4.2.2) L’imposizione
• Si distingue tra tre tipi di imposizione: imposizione in somma fissa, imposizione proporzionale
e imposizione progressiva

• Imposte in somma fissa: si ha quando l’imposta non è definita rispetto alla dimensione di una
base imponibile (per esempio il reddito), come nel caso delle imposte di bollo, dei ticket per
alcuni servizi pubblici ecc.. Abbiamo visto la rilevanza di tale tipo di imposizione per definire il
teorema del bilancio in pareggio, o teorema di Haavelmo

• Imposte proporzionali: si hanno quando l’imposta è definita proporzionalmente alla base


imponibile, come nel caso delle imposte dirette e con riferimento all’esistenza di una aliquota
unica. Si è visto che la dimensione del moltiplicatore del reddito diminuisce rispetto al caso di
imposizione in somma fissa, poiché gli effetti espansivi vengono ridotti dalla presenza di un
livello di tassazione che varia proporzionalmente col reddito

• Imposte progressive: si hanno quando l’aliquota di imposta (o pressione fiscale) varia (cresce)
al variare (crescere) della base imponibile pro-capite (e non della base imponibile
aggregata), come nel caso delle imposte dirette nelle esperienze delle principali economie
occidentali e soprattutto europee. L’imposta progressiva definisce l’esistenza di uno
stabilizzatore automatico, dal momento che essa implica che a variazioni di reddito pro-capite
corrispondano variazioni dello stesso segno dell’aliquota di imposta, quindi di segno opposto
del moltiplicatore. Connesso con tale effetto abbiamo il fenomeno del drenaggio fiscale
4.2.3) La spesa e il suo finanziamento - a
• La spesa pubblica può essere finanziata attraverso tributi o in deficit. Nel primo caso si ha
pareggio del bilancio primario, nel secondo si possono verificare due fattispecie: a) emissione
di titoli di debito pubblico; b) creazione di base monetaria. Avendo avuto modo di analizzare il
contenuto del teorema del bilancio in pareggio, ci concentriamo sul finanziamento in deficit
distinguendo rispetto ai casi sub a e sub b. Definendo con B lo stock di debito
pubblico, possiamo quindi la relazione fondamentale di bilancio in questo modo:
∆B ∆BM
T − G p − INT + + =0
P P
• Il finanziamento in deficit: Se la spesa pubblica non viene finanziata con imposte, essa
determina effetti più elevati sul reddito. Ciò giustificherebbe (e in passato ha giustificato)
pratiche di bilancio ispirate al concetto di deficit spending. Tale pratica consiste nel finanziare
la spesa attraverso emissione di titoli di debito pubblico. Gli effetti espansivi di breve/medio
termine sono connessi al fatto che il risparmio privato viene attratto dallo stato e inserito nel
circuito del reddito. In altri termini, un potere d’acquisto potenziale viene reso effettivo
nell’immediato. Tale idea è stata messa in discussione dall’impostazione teorica monetarista e
nuovo classica. I primi sostengono l’inefficacia della politica fiscale in deficit sottolineando il
ruolo dello spiazzamento finanziario connesso all’aumento del tasso di interesse e all’effetto di
retroazione monetaria. Il ragionamento è il seguente: aumenta G, aumenta Y, aumenta Ld1 (in
ragione k), aumenta r per ridurre Ld2 (in ragione v), si riduce I (in ragione a), si riduce Y. E’
evidente che l’effetto freno, in un modello IS-LM-BB, è dato dal coefficiente ak/v. I nuovo-
classici sottolineano, con riferimento ad una economia in PI e con aspettative razionali, il
ruolo dell’equivalenza Barro-Ricardo
4.2.3) La spesa e il suo finanziamento - b

• Il finanziamento con base monetaria: Il finanziamento con base monetaria, a differenza del
finanziamento in deficit, è meno costoso. Nel caso di finanziamento con emissione di
banconote non è affatto costoso, mentre nel caso di finanziamento su c/c di tesoreria lo è in
misura ridotta (tasso all’1%). In altri termini, manca, in tutto o in parte, il costo del servizio
del debito. In tale fattispecie si parla di signoraggio

• Il termine signoraggio assume anche un secondo significato, stante nella creazione eccessiva
di BM, quindi di potere d’acquisto, rispetto alle potenzialità produttive del sistema
economico. Si determina un eccesso di domanda e quindi delle spinte inflazionistiche che
riducono il valore reale dei redditi e dello stock di debito. Si parla in tal caso di tassa da
inflazione. In altri termini, il debito viene pagato dall’inflazione, a vantaggio del debitore (lo
stato) e a svantaggio del creditore (i possessori di titoli pubblici e i percettori di reddito in
generale)

• Trascurando gli effetti connessi al regime di cambio, il finanziamento attraverso BM


risulta, con riferimento ad uno schema IS-LM, particolarmente espansivo. Di fatto l’effetto di
retroazione monetaria o spiazzamento reale prima discusso non si applica a tale fattispecie
4.2.4) Politica fiscale in regime di cambi fissi – a1
• Ipotizziamo che il governo decida di procedere ad una manovra fiscale espansiva (aumento
della spesa pubblica) non finanziata con creazione di BM. In presenza di capitali relativamente
mobili, si determina un equilibrio IS-LM cui corrisponde un avanzo della BP. Questo per il
risultato di due effetti contrastanti: 1) aumento delle importazioni, quindi peggioramento
delle PC (X-M); 2) afflusso di capitali dall’estero e miglioramento della MK per effetto
dell’innalzamento del tasso di interesse (come risultato dell’aumento della Ld1 con Ls
costante). L’effetto sub 2 domina quello sub 1, data la forte mobilità dei capitali. In cambi fissi
ciò determina aumento di BM per l’intervento della BC per il mantenimento del cambio. La
politica fiscale risulta molto efficace

IS2 LM1
IS1
LM2

BP

Y1 Y2
4.1.6) Politica fiscale in regime di cambi fissi – a2
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

G ( T)

Y r

M MK>0

(X-M)=PC<0 BP>0

Y
BM Y
r
4.2.4) Politica fiscale in regime di cambi fissi – b1
• Ipotizziamo che il governo decida di procedere ad una manovra fiscale espansiva (aumento
della spesa pubblica) non finanziata con creazione di BM. In presenza di capitali relativamente
immobili, si determina un equilibrio IS-LM cui corrisponde un disavanzo della BP. Questo per il
risultato di due effetti contrastanti: 1) aumento delle importazioni, quindi peggioramento
delle PC (X-M); 2) afflusso di capitali dall’estero e miglioramento della MK per effetto
dell’innalzamento del tasso di interesse (come risultato dell’aumento della Ld1 con Ls
costante). L’effetto sub 1 domina quello sub 2, data la scarsa mobilità dei capitali. In cambi fissi
ciò determina riduzione di BM per l’intervento della BC per il mantenimento del cambio. La
politica fiscale è efficace, ma in misura ridotta.
BP LM2
IS2
IS1 LM1

Y1 Y2
4.1.6) Politica fiscale in regime di cambi fissi – b2
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

G ( T)

Y r

M MK>0

(X-M)=PC<0 BP<0

Y
BM Y
r
4.2.5) Politica fiscale in regime di cambi flessibili – a1
• Ipotizziamo che il governo decida di procedere ad una manovra fiscale espansiva (aumento
della spesa pubblica) non finanziata con creazione di BM. In presenza di capitali relativamente
mobili, si determina un equilibrio IS-LM cui corrisponde un avanzo della BP. Questo per il
risultato di due effetti contrastanti: 1) aumento delle importazioni, quindi peggioramento
delle PC (X-M); 2) afflusso di capitali dall’estero e miglioramento della MK per effetto
dell’innalzamento del tasso di interesse (come risultato dell’aumento della Ld1 con Ls
costante). L’effetto sub 2 domina quello sub 1, data la forte mobilità dei capitali. In cambi
flessibili ciò determina aumento del tasso di cambio e di BP, il che peggiora ulteriormente le
PC. La IS si sposta verso sinistra, fino al nuovo equilibrio IS-LM-BP. La politica fiscale risulta
relativamente inefficace. Con BP piatta del tutto inefficace
IS3 IS2 LM1
IS1

BP2
BP1

Y1 Y2
4.1.6) Politica fiscale in regime di cambi flessibili – a2
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

G ( T)

Y r

M MK>0

(X-M)=PC<0 BP>0

M
er Y
X
4.2.5) Politica fiscale in regime di cambi flessibili – b1
• Ipotizziamo che il governo decida di procedere ad una manovra fiscale espansiva (aumento
della spesa pubblica) non finanziata con creazione di BM. In presenza di capitali relativamente
immobili, si determina un equilibrio IS-LM cui corrisponde un disavanzo della BP. Questo per il
risultato di due effetti contrastanti: 1) aumento delle importazioni, quindi peggioramento
delle PC (X-M); 2) afflusso di capitali dall’estero e miglioramento della MK per effetto
dell’innalzamento del tasso di interesse (come risultato dell’aumento della Ld1 con Ls
costante). L’effetto sub 1 domina quello sub 2, data la scarsa mobilità dei capitali. In cambi
flessibili ciò determina una riduzione del cambio e di BP. La politica fiscale torna efficace
anche in cambi flessibili
BP1
IS2 IS3 BP2
IS1 LM1

Y1 Y2
4.1.6) Politica fiscale in regime di cambi flessibili – b2
• Schema meccanismo di trasmissione (si noti che i nessi causali non hanno significato
temporale in questo contesto statico. Lo schema ha valore puramente logico)

G ( T)

Y r

M MK>0

(X-M)=PC<0 BP<0

X
er Y
M
4.2.6) Debito, sostenibilità e politiche di rientro
• Il debito pubblico deriva dall’accumularsi dei disavanzi di bilancio finanziati attraverso
emissione di debito. L’Italia ha il più alto rapporto tra debito pubblico e PIL. Per il 2019, il
debito era pari al 134.8% del PIL (Istat). Per il 2020, è previsto in aumento al 159% (CE)

• La crescita del rapporto tra debito e PIL non dipende esclusivamente dalla condotta del
bilancio corrente, ma anche dall’entità dello stock di debito accumulato, dal tasso di interesse
medio sul debito (che definisce, insieme allo stock, il costo del servizio) e dall’andamento del
PIL

• Considerando il rapporto tra debito e PIL in termini nominali e in variazioni, l’evoluzione di


B / PY sarà positiva se il numeratore cresce ad un tasso superiore a quello del denominatore:

∆B − ∆P − ∆Y > 0

• In presenza di un pareggio del bilancio corrente primario, la variazione percentuale del debito
∆B / B è pari al tasso di interesse medio sul debito, poiché ∆B = iB, quindi iB / B = i . Da ciò si
ricava che:
i − ∆P / P − ∆Y / Y > 0

• La relazione scritta sopra stabilisce che, in presenza di pareggio del bilancio primario
corrente, il rapporto debito/PIL cresce in base alla differenza tra tasso di interesse reale e
tasso di crescita del PIL reale
4.2.6) Debito, sostenibilità e politiche di rientro
• Esistono limiti alla crescita del debito pubblico? In altri termini: fino a che livello il debito è
sostenibile? Non esiste una regola formale che permette di rispondere a questa domanda. E’
evidente che l’esito finale di una crescita costante del debito non può che essere la
dichiarazione di insolvenza da parte dello stato o la cessazione del credito da parte del
mercato, ossia la mancata sottoscrizione di titoli di debito. In presenza di un elevato stock di
debito si rendono pertanto necessarie politiche di rientro
• Politiche del saldo primario: la presenza di avanzi primari facilita il contenimento del
debito, rendendo meno stringente la relazione prima evidenziata. Esse possono essere
perseguite attraverso il contenimento della spesa pubblica e/o attraverso l’aumento della
pressione fiscale. In entrambi i casi si tratta di politiche restrittive, il che deve far considerare
gli effetti negativi sulla dinamica del PIL. Se tali effetti sono forti, l’efficacia di tale politiche può
risultare nulla. Si consideri inoltre la difficoltà nel controllo della spesa corrente
primaria, posto che per l’Italia essa è già inferiore alla media UE, e la difficoltà di
intraprendere ulteriori aumenti della pressione fiscale, posto che per l’Italia essa è già
superiore rispetto alla media UE. Possibilità da lotta all’evasione
• Politiche del saggio di interesse: il controllo del tasso di interesse sul debito può ottenersi
attraverso una opportuna calibrazione della struttura a termine del debito, attraverso l’utilizzo
di aste per il collocamento, attraverso l’adesione ad aree valutarie forti (UME)
• Politiche di sviluppo del reddito: Si tratta di politiche certamente efficaci, ma costose, quindi
che hanno effetti negativi sul denominatore. Per i paesi con elevato rapporto
debito/PIL, lunica soluzione sembra quella di stimolare la crescita attraverso una
riqualificazione della spesa pubblica (destinazione fondi a ricerca e innovazione), piuttosto
che attraverso un aumento del livello
4.3) Politica dei redditi e dei prezzi

• La politica dei redditi ha per obiettivo il controllo della dinamica del livello generale dei
prezzi, ossia dell’inflazione

• Si attua attraverso il controllo della dinamica delle variabili distributive, salari e profitti

• Si basa sul presupposto che la dinamica dei prezzi dipende, in larga misura, dall’esito del
conflitto distributivo

• Il controllo delle variabili distributive può essere effettuato attraverso politiche


dirigistiche, istituzionali e di mercato

• Data la logica del costo pieno (mark-up pricing), uno strumento efficace può essere
individuato nelle politiche per la produttività
4.3.1) Costo pieno e distribuzione dei redditi - a
• Consideriamo per semplicità una economia chiusa agli scambi con l’estero in cui vi siano solo
due classi sociali, lavoratori e capitalisti. I primi offrono lavoro ricevendo in cambio un
salario, i secondi posseggono i mezzi di produzione, che vengono utilizzati al tasso di
rendimento r (si assume, per semplicità, che la produzione avvenga esclusivamente attraverso
l’utilizzo di servizi lavorativi, in assenza di capitale. Questo ci permette di astrarre dalla
remunerazione e il reintergro del capitale) Il valore complessivo della produzione può quindi
essere scomposto in due grandezze: massa salariale W e massa dei profitti R
pY = W + R

• Tenendo conto che la massa salariale è data dal prodotto del salario unitario medio per il
numero di occupati N, e dividendo i membri di destra e di sinistra per il prodotto reale, si
ottiene: wN R
p= +
Y Y

• In assenza di capitale, il profitto può definirsi quale il risultato della fissazione di un margine
sui costi di produzione, ossia sul costo del lavoro, che definiamo g

p=
wN wNg wN
+ = (1 + g )
Y Y Y
4.3.1) Costo pieno e distribuzione dei redditi - b

• Per definizione il PIL può essere definito come prodotto tra occupati e produttività media del
lavoro. Sostituendo questa relazione definitoria nell’ultima equazione scritta si ottiene:

p=
wN
(1 + g ) = w (1 + g )
πN π
• Considerando la variazione dell’indice generale dei prezzi, l’equazione scritta sopra può
scriversi:

∆p
= ∆w W − ∆π π + ∆ (1 + g ) (1 + g )
P
• Una condizione sufficiente perché non si abbia inflazione è che il salario vari allo stesso tasso
della produttività e che non si abbiano variazioni del margine di profitto. In tal caso si realizza
anche la costanza delle quote distributive: il rapporto tra massa salariale e reddito rimane
costante

• Esistono evidentemente altre combinazioni che garantiscono l’invarianza del livello generale
dei prezzi, ma non l’invarianza delle quote distributive
4.3.1) Costo pieno e distribuzione dei redditi - c
• Le relazioni scritte sopra hanno finalità esclusivamente descrittive. E’ infatti evidente le ipotesi
di economia chiusa, senza stato, con un unico prodotto e con una tecnologia di produzione
che utilizza solo lavoro sono ipotesi eccessivamente restrittive

• Nelle economie reali, in corrispondenza delle diverse produzioni (prodotti multipli), si


individuano diversi livelli di produttività, il che rende difficile l’individuazione del riferimento
per la variazione del salario compatibile con l’obiettivo della stabilità dei prezzi

• Nella realtà, il costo del lavoro rappresenta solo una delle molteplici voci di costo nella
produzione. La variazione dei prezzi e quindi del costo delle materie prime ed energetiche
rappresenta spesso la causa fondamentale della variazione dei prezzi (es.: shock petroliferi)

• Considerando l’apertura agli scambi con l’estero, una ulteriore fonte di inflazione risiede nella
variazione dei prezzi delle merci importate, o in deprezzamenti del cambio (inflazione
importata)

• Considerando tecnologie di produzione che utilizzano anche capitale, il margine di profitto


deve includere anche la remunerazione del capitale e il suo reintegro, ossia il costo di
ammortamento. Ciò rende difficile l’ancoraggio della quota di mark-up
4.3.1) Costo pieno e distribuzione dei redditi - d

• In presenza di un settore pubblico che finanzia le sue spese attraverso tributi, una
determinante rilevante della dinamica dei prezzi è da individuarsi nelle variazioni della
pressione fiscale. Una relazione diretta tra prelievo fiscale e prezzi dei beni si ha nel caso delle
imposte indirette

• L’ipotesi di una economia collocata lungo l’asse capitale-lavoro è irrealistica. Nella realtà esisto
altre fonti di reddito e altre categorie sociali e lavorative. I percettori di rendite definiscono
una categoria sociale che può svolgere un ruolo importante nella definizione del livello
generale dei prezzi e delle sue variazioni

• Fatte queste precisazioni, la politica dei redditi consiste sostanzialmente in misure finalizzate
al mantenimento di un rapporto costante tra variazione salariale e variazione della
produttività e di ridurre al minimo le variazioni del margine di profitto

• Tali misure possono avere carattere coercitivo (politiche dirigistiche), di incentivo (politiche di
mercato) o cooperativo (politiche istituzionali)
4.3.2) Politiche dei redditi di tipo dirigistico
• Consistono nell’imposizione di determinati comportamenti ai soggetti sociali che prendono
parte al conflitto distributivo (blocco dei salari, fissazione di prezzi massimi e minimi).
Costituiscono misure di controllo diretto

• Il controllo diretto della dinamica salariale e il suo agganciamento alla dinamica della
produttività, pur se in linea di principio attuabile, non garantisce la stabilità dei prezzi. Le
imprese che sperimentassero, in virtù del controllo della dinamica salariale, un costo del
lavoro in contrazione, non necessariamente traducono tale riduzione in riduzione dei prezzi.
In determinati mercati, e in determinate circostanze economiche, è molto probabile che la
variazione negativa dei costi si traduce in variazioni positive del mark-up, piuttosto che in
variazioni negative dei prezzi

• Anche ammesso che le variazioni dei costi si traducono in variazioni dei prezzi, risulta molto
problematico l’agganciamento della dinamica del salario alla dinamica della produttività:
quale misura utilizzare? La definizione deve avvenire a livello di industria, area
geografica, mercato…? Sorgono comunque problemi di equità: la produttività del lavoro
dipende esclusivamente dallo sforzo del lavoratore? Evidentemente solo in piccola misura. La
produttività del lavoro dipende principalmente dalla qualità e quantità dei mezzi di
produzione, ossia dal capitale e le tecniche in uso, ivi comprese le conoscenze tecniche
specifiche e generiche. Il controllo dei prezzi sembra essere una politica più efficace
4.3.3) Politiche dei redditi di mercato

• Consistono nella fissazione di un sistema di incentivi/disincentivi che orientino i


comportamenti dei privati in senso anti-inflazionistico (per es.: sgravi fiscali). Si distinguono
due tipi di politiche dei redditi di mercato: 1) attribuzione di permessi all’aumento dei prezzi;
2) politiche dei redditi legate all’imposizione

• Permessi all’aumento dei prezzi: partendo dall’idea che l’inflazione sia una forma di
diseconomia esterna (come l’inquinamento), lo stato può fissare un limite massimo nella
variazione dei prezzi, e attribuire dei diritti negoziabili per oltrepassare tale limite. Sebbene
finalizzate al raggiungimento di una stabilità dei prezzi che sia compatibile con l’obiettivo della
flessibilità aziendale, non si registrano applicazioni pratiche di tali politiche

• Politiche dei redditi legate all’imposizione: si tratta di variazioni della pressione fiscale legate
alla variazione dei prezzi e dei salari (TIP – tax-based income policies. Nel caso si prevedano
riduzioni di carico fiscale per il contenimento della dinamica dei prezzi e dei salari si parla di
TIP-carota. Nel caso si prevedano aumenti di carico fiscale per aumenti eccessivi dei prezzi e
dei salari si parla di TIP-bastone
4.3.4) Politiche dei redditi di tipo istituzionale

• Consistono nella fissazione di regole finalizzate a trasformare in senso cooperativo le


relazioni industriali, ossia le relazioni tra rappresentanti delle imprese e rappresentanti del
lavoro (sindacati) in materia contrattuale e del salario. Tali regole possono sostanziarsi in tre
modi:

• Fissazione di un obbligo di cooperazione (neo-corporativismo)

• Fissazione di sistemi di scambio economico, ossia incentivazione di comportamenti anti-


inflazionistici

• Fissazione di sistemi di scambio politico, attraverso stipulazione di patti sociali


4.3.4) Politiche della produttività

• Occorre conoscere i fattori determinanti le variazioni di produttività. Tali fattori possono


essere interni o esterni all’impresa

• Tra i fattori interni risulta certamente rilevante il tempo e il ritmo di lavoro, la qualificazione e
l’aggiornamento professionale, l’organizzazione del lavoro, la dotazione di capitale, il livello
della tecnologia (vedi con funzione di produzione)

• Tra i fattori esterni all’impresa risulta rilevante il livello e la qualità delle infrastrutture
pubbliche (comunicazioni, trasporti) e private (reti), nonché la qualità del sistema di
istruzione, dei sistemi nazionali ed internazionali di ricerca, del sistema bancario, finanziario e
dei servizi in generale (vedi politiche industriali)
4.4) Politiche per la bilancia dei pagamenti

• 4.4.1) Disequilibrio nei conti con l’estero e meccanismi di riequilibrio automatico:


1. Variazione dei prezzi
2. Variazione dei redditi

• 4.4.2) Disequilibrio nei conti con l’estero e politiche per il riequilibrio


1. Politiche per il riequilibrio dei movimenti di capitale
2. Politiche per il riequilibrio in situazioni di eccesso/difetto di domanda interna
3. Politiche per la competitività di prezzo
4. Controllabilità del cambio ed efficacia della manovra del cambio (effetto “J”)
4.4) Politiche per la bilancia dei pagamenti

• L’equilibrio della BP rappresenta un obiettivo di politica economica di lungo periodo, nel


senso che un paese deve tendere al bilanciamento dei conti con l’estero in media

• Una situazione di disavanzo persistente non è sostenibile nel lungo periodo, poiché essa
implica l’esaurimento delle riserve di valuta e l’impossibilità di effettuare i pagamenti verso
l’estero. Una eccezione si ha quando il paese in disavanzo è quello che emette la moneta
utilizzata negli scambi internazionali (caso del dollaro USA, logica dell’ennesimo paese)

• Una situazione di avanzi persistenti, sebbene in apparenza sostenibile, di fatto non lo


è, poiché continui avanzi in un paese corrispondono a continui disavanzi di altri paesi (caso
“centro” dell’euro-zona)

• Sebbene esistano meccanismi automatici di riequilibrio, nella realtà tali forze autonome
possono risultare insufficienti, il che rende necessario l’intervento delle autorità di politica
economica
4.4.1) Meccanismi di riequilibrio automatico - a

• In regimi di cambi flessibili gli squilibri della bilancia dei pagamenti tendono ad essere
corretti da variazioni del cambio, quindi da variazioni della competitività di prezzo dei beni e
servizi dell’economia presa in considerazione. Faremo pertanto riferimento a meccanismi di
equilibrio automatico operanti in regime di cambi fissi (o amministrati dalla Banca Centrale)

• Il meccanismo operante attraverso variazione dei prezzi: Si considerino due paesi, A e B. Si


assuma che, per qualche ragione non specificata, si realizzi un avanzo di BP in A e quindi un
disavanzo in B. Data la fissità del cambio, ossia l’obbligo di intervento da parte delle BC, ciò
induce creazione di BM in A e una distruzione di BM in B. L’aumento di moneta, seguendo
uno schema classico, indurrebbe un aumento del livello generale dei prezzi in A e una
riduzione in B. La variazione dei prezzi nei due paesi determina un apprezzamento del
cambio reale di A rispetto a B, ossia una riduzione di competitività delle merci prodotte in A
rispetto a quelle prodotte in B. Il riequilibrio avverrebbe attraverso una variazione del
cambio reale che si ottiene attraverso variazioni dei prezzi e non, come nel caso di un
regime di cambio flessibile, attraverso variazioni del tasso di cambio nominale. L’eventuale
asimmetria nei movimenti di prezzo non costituisce un problema, poiché ciò che conta è il
crearsi di un variazione dei prezzi relativi. Il principale limite di tale meccanismo risiede
nella viscosità negli aggiustamenti di prezzo
4.4.1) Meccanismi di riequilibrio automatico - b

• Il meccanismo operante attraverso variazione dei redditi: Si considerino due paesi, A e B. Si


assuma che, per un aumento della propensione ad importare in B, si realizzi un avanzo di BP
in A e quindi un disavanzo in B, posto che si assume che la domanda in A rimane invariata.
Tale assunzione non è del tutto realistica: l’aumento delle esportazioni in A determina un
aumento di produzione, quindi di reddito e domanda. Ciò determina un aumento delle
importazioni di A che parzialmente compensa l’avanzo delle partite correnti, quindi della BP.
Il contrario avviene in B: la contrazione di reddito connessa all’aumento di importazioni (si
riduce la domanda per prodotti nazionali a favore di quelli di A, quindi il livello di
produzione e dei redditi) determina una riduzione delle importazioni, quindi un parziale
riequilibrio delle partite correnti e della BP. Tale meccanismo, come peraltro quello affidato
alla logica dei prezzi, determina instabilità economica, basandosi su variazioni dei
prezzi, della produzione, dei redditi e dell’occupazione
4.4.2) Politiche per il riequilibrio della BP

• I meccanismi automatici ora descritti non sono in genere sufficienti a garantire il riequilibrio
dei conti con l’estero

• Si rendono necessari interventi delle autorità di politica economica, che si sostanzieranno in


modo differente a seconda delle cause del disequilibrio
4.4.2) Politiche per il riequilibrio della BP: a - MK
• Come visto, eventuali squilibri nella bilancia dei movimenti di capitale dipendono dal
differenziale tra tasso di interesse estero e tasso di interesse interno. Più specificamente, si
ha equilibrio quando il tasso di interesse interno uguaglia il tasso di interesse esterno
corretto per il tasso di variazione atteso del cambio certo per incerto. Tale relazione è nota
come parità scoperta:
i = iw − e e
• E’ evidente che, date le attese sul cambio, e dato il tasso di interesse prevalente sul mercato
internazionale dei capitali, la politica monetaria potrà influire sui movimenti di capitale
attraverso operazioni che abbiano effetti sul tasso di interesse interno (variazione del tasso
ufficiale di sconto, variazioni della BM)

• Il problema fondamentale è che le attese sulla variazione del cambio non sono indipendenti
dalle mosse di politica monetaria. Un secondo problema è che, se la attese di variazione del
cambio sono di misura notevole, le variazioni di tasso di interesse necessarie al riequilibrio
devono essere di un ordine di grandezza impraticabile, dati gli effetti macroeconomici di
tale operazione e quelli sul costo del servizio del debito (adesione allo SME: effetti positivi).
In generale, i MK sono divenuti molto sensibili alle variazioni delle aspettative sui
cambi, determinano loro stessi instabilità nelle aspettative sul cambio, sono una massa di
liquidità talmente grande i cui effetti possono essere contrastati con difficoltà attraverso la
politica monetaria. Si rendono necessari strumenti di controllo diretto (es. tassa Tobin, vedi
p 464)
4.4.2) b - Il caso di eccesso/difetto di domanda
• Gli squilibri della BP possono dipendere da eccesso o difetto di domanda interna. Nel primo
caso si avranno disavanzi delle partite correnti, nel secondo avanzi delle PC, data la
relazione diretta tra reddito (quindi domanda interna) e importazioni

• In presenza di squilibri della bilancia commerciale le autorità di politica economica possono


intervenire attraverso operazioni restrittive o espansive di politica monetaria e fiscale

• Il fatto che la manovra sulla domanda sia strumentale all’obiettivo della stabilità esterna
(pareggio dei conti con l’estero) può determinare situazioni di conflitto tra obiettivi. Un caso
tipico è quello in cui una economia sperimenti un problema di bilancia commerciale e al
contempo una situazione di non pieno impiego delle risorse (disoccupazione), per un
difetto di competitività. In tal caso l’azione di politica monetaria e fiscale restrittiva
finalizzata al pareggio della bilancia commerciale definirebbe un conflitto con l’obiettivo del
pieno impiego. Queste considerazioni rinforzano l’idea della necessità di una chiara
comprensione delle cause del disequilibrio dei conti con l’estero
4.4.2) b - Il caso di eccesso/difetto di domanda - 1
• Gli squilibri della BP possono dipendere da eccesso o difetto di domanda interna. Nel primo
caso si avranno disavanzi delle partite correnti, nel secondo avanzi delle PC, data la
relazione diretta tra reddito (quindi domanda interna) e importazioni

• In presenza di squilibri della bilancia commerciale le autorità di politica economica possono


intervenire attraverso operazioni restrittive o espansive di politica monetaria e fiscale (si veda
schema AD-AS seguente)

• Il fatto che la manovra sulla domanda sia strumentale all’obiettivo della stabilità esterna
(pareggio dei conti con l’estero) può determinare situazioni di conflitto tra obiettivi. Un caso
tipico è quello in cui una economia sperimenti un problema di bilancia commerciale e al
contempo una situazione di non pieno impiego delle risorse (disoccupazione), per un
difetto di competitività. In tal caso l’azione di politica monetaria e fiscale restrittiva
finalizzata al pareggio della bilancia commerciale definirebbe un conflitto con l’obiettivo del
pieno impiego. Queste considerazioni rinforzano l’idea della necessità di una chiara
comprensione delle cause del disequilibrio dei conti con l’estero
4.4.2) b - Il caso di eccesso di domanda (AD-AS) - 2

P G o BM (politica fiscale/monetaria restrittiva)


AS (i meccanismi hanno significato logico, non temporale)

P0
P2
P1 Y P

AD
M RER = P*e/Pw
Y1: PC>0 Y0: PC<0 Y
Y2: PC=0

PC M X

Y, P
4.4.2) c – Politiche per la competitività di prezzo
• Come anticipato, gli squilibri della bilancia commerciale possono derivare da situazioni di
eccesso o difetto di competitività dei beni e servizi interni sui mercati internazionali. In
assenza di costi di trasporto, di contrattazione e sotto perfetta informazione, l’arbitraggio
internazionale su tali beni e servizi implicherebbe la parità dei prezzi di vendita dei beni
omogenei prodotti nelle diverse economie (legge di Cassell – o della parità dei poteri di
acquisto):
P * ee = P w
• L’equazione scritta sopra stabilisce che si possono avere variazioni delle PC in caso di difetti
o eccessi di competitività, ossia di violazioni dell’uguaglianza scritta sopra. Nel caso il primo
membro dell’equazione scritta sopra (prezzo del bene nazionale al cambio di valuta estera)
fosse maggiore del secondo (prezzo del bene estero in valuta estera) allora si avrebbe un
difetto di competitività di prezzo, viceversa nel caso contrario

• La politica economica ha tre possibilità: a) intervenire sui prezzi interni attraverso politiche
dei redditi e della produttività; b) intervenire sui prezzi esteri attraverso politiche
protezionistiche di tipo tariffario; c) intervenire sul tasso di cambio, svalutando in caso di
difetto di competitività o rivalutando in caso di eccesso di competitività
4.4.2) d – Controllabilità ed efficacia della politica del
cambio
• In caso di cambi fissi, il cambio è controllabile nei limiti in cui può essere modificata la parità
centrale. In caso di cambi flessibili, la controllabilità del cambio dipende dalla possibilità
delle autorità di politica economica di influenzare le oscillazioni del cambio. In realtà, le
oscillazioni sono il risultato congiunto dell’azione delle forze di mercato e dell’azione delle
autorità di politica economica. Si parla in tal caso di fluttuazioni sporche, o amministrate. Lo
strumento eletto per il controllo del cambio, specialmente in economie fortemente
finanziarizzate, è la variazione del tasso ufficiale di sconto e il controllo della struttura a
termine dei tassi di interesse

• La questione dell’efficacia della manovra del cambio può essere affrontata con riferimento
all’elasticità delle importazioni e delle esportazioni rispetto a variazioni della competitività
di prezzo. Il saldo dei movimenti dei beni espresso in termini monetari e in valuta estera
può essere scritto in questo modo:
PC mon = P * ee * q X − P w * q M
dove q definisce le quantità esportate (X) e importate (M). Assumiamo che si sia in una
situazione di iniziale equilibrio, ossia PC = 0. In tal caso varrà la relazione:
P * ee * q X P * ee q X
w M
= 1, ossia : w M
=1
P *q P q
4.4.2) d1 – Controllabilità ed efficacia della politica del
cambio
• Una svalutazione del cambio farà aumentare le esportazioni e ridurre le importazioni. Ma al
contempo, mentre il valore dell’export diminuisce, il valore dell’import aumenta, dato il
peggioramento delle ragioni di scambio. L’effetto complessivo sulle partite correnti
dipenderà dalle variazioni in termini monetari e in valuta estera. Nel caso in cui le
esportazioni non reagissero, si avrebbero effetti positivi solo se la variazione percentuale
delle importazioni (la riduzione) è superiore rispetto alla variazione percentuale del cambio.
Lo stesso discorso vale nel caso di inelasticità delle importazioni. Nel caso più realistico di
elasticità positiva sia delle importazioni che delle esportazioni, la condizione per un
miglioramento delle partite correnti in termini monetari è che la somma delle elasticità
delle importazioni e delle esportazioni deve essere superiore ad 1. Questa è la cosidetta
condizione Marshall-Lerner:
εM + ε X >1
• Devono considerarsi alcuni limiti di tale impostazione: 1) i prezzi, a seguito della manovra
del cambio, tendono a variare; 2) possono incontrarsi limiti di offerta dei beni da esportare
o da importare; 3) l’adeguamento delle quantità non è istantaneo; 4) possono variare le
attese sul cambio. Con riferimento ai ritardi di adeguamento delle quantità e dei prezzi è
stato sottolineato il cosidetto “effetto j”, secondo il quale l’andamento delle PC a seguito di
una svalutazione del cambio sarebbe prima negativo e solo nel medio/lungo termine
positivo
4.4.2) d2 – Controllabilità ed efficacia della politica del
cambio: effetto “J”

X-M

εM +ε X <1

t=tempo
εM +ε X >1

εM +ε X =1
Materiale aggiuntivo
(e di raccordo con corsi di Politica Economica degli altri canali)
a) Analisi benefici-costi
I calcoli di convenienza nei progetti privati e
pubblici
• L’economia del benessere trova altre importanti applicazioni pratiche nell’analisi e nella
definizione delle scelte pubbliche correnti. Ci riferiamo sia alla valutazione di
ammissibilità di un progetto o di un programma sia alla scelta fra progetti o programmi
mutuamente escludentisi.
• Un progetto pubblico può essere definito come una variazione dell’offerta netta di beni e
servizi determinata dall’attività pubblica
• Nel valutare la la convenienza dei vari progetti alternativi di spesa e di azione si consideri
che:
- un’impresa si limita ad un’analisi finanziaria del progetto, che ne considera soltanto le
conseguenze in termini monetari rilevanti per l’impresa stessa
- lo Stato, in aggiunta ad una tale analisi, considera, non solo l’analisi finanziaria, ma
anche tutte le conseguenze dirette e indirette del progetto (analisi economica)
• Ai concetti di ricavo e costo si sostituisce quello di beneficio e costo, e alla valutazione di
convenienza pubblica si attribuisce la denominazione di analisi benefici-costi (ABC) o
analisi costi-benefici.
• L’analisi benefici-costi (o costi-benefici) è parte di questa attività e serve
- a stabilire la convenienza dei diversi progetti
- ad acquistarli
I calcoli di convenienza : fasi della scelta pubblica
• Fasi della scelta (come per l’imprenditore privato):

1. Individuazione delle alternative (fra le quali va sempre inclusa quella dello


status quo, ovvero, non intervento).
2. Valutazione dei costi e benefici attesi (correnti e futuri) in ogni periodo
dell’orizzonte temporale considerato
3. Omogeneizzazione temporale di costi e ricavi, che ha luogo normalmente
con l’attualizzazione
4. Somma algebrica di costi e ricavi attualizzati e determinazione del tasso di
rendimento (profitto) atteso
I calcoli di convenienza nei progetti privati e pubblici:
fasi della scelta pubblica
In prima approssimazione

• Costi e benefici previsti in periodi diversi


• Individuare e calcolare per ogni periodo di tempo i rilevanti benefici e costi
• Attualizzare oppure capitalizzazione (ossia riferire tutti i costi e i benefici ad uno
stesso periodo)

Tre criteri per la valutazione

– Valore attuale netto (VAN) assoluto


– Valore attuale netto (VAN) relativo
– Tasso interno di rendimento (TIR)
VAN assoluto
Esempio
Tasso di interesse: 2%

Progetto 1 (ferrovia) Progetto 2 (autostrada)


VAN relativo
• La debolezza del criterio del VAN assoluto per la formazione di “graduatorie” fra
progetti in competizione è evidente, se si pensa che esso non tiene conto della
dimensione dei progetti, dalla quale può dipendere il valore assoluto dei benefici e dei
costi

• Grandi progetti avranno benefici netti che possono essere alti in termini assoluti, ma
bassi relativamente al capitale investito.

• Per tener conto di ciò, si normalizza il VAN assoluto, calcolando il VAN relativo, VANr
, pari al VAN assoluto rapportato ai costi attualizzati:
Esempio
Tasso di interesse 2%

Progetto 1 (ferrovia) Progetto 2 (autostrada)


VAN assoluto e relativo
• Se un progetto è ammissibile con un criterio lo è anche con l’altro e vice versa

• La graduatoria, la preferibilità , può essere però diversa

• Con entrambi i criteri, se il tasso di interesse varia, la graduatoria dei progetti può variare

• Intuizione: i progetti sono diversi anche per il profilo temporale dei benefici e costi. Ad
esempio:
- un progetto ha benefici immediati ma bassi, un altro ha benefici elevati ma distanti
nel tempo
- se il tasso di interesse aumenta il valore attuale dei benefici più distanti si riduce e il
secondo progetto sarà meno attraente
Tasso interno di rendimento (TIR)

Costi Benefici
Tasso interno di rendimento (TIR)
Esempio
Tasso di interesse 2%

Progetto 1 (ferrovia) Progetto 2 (autostrada)


Effetti dei progetti pubblici
• La previsione degli effetti del progetto è un’operazione estremamente delicata. In particolare, si devono
considerare:

1. gli effetti diretti e indiretti del progetto in termini di beni e servizi (costruzione di una nuova linea
ferroviaria metropolitana)
- ha effetti diretti in quanto essa comporta l’acquisto di cemento, ferro, lavoro e altri beni e servizi, nonché
l’aumentata disponibilità di servizi di trasporto metropolitano. Gli effetti diretti sono quindi quelli prodotti
da variazioni della domanda (input) o offerta (output) di beni indotte direttamente dal progetto in esame
(l’acquisto di cemento, ferro, lavoro e altri beni e servizi, nonché l’aumentata disponibilità di servizi di
trasporto metropolitano).
- gli effetti indiretti sono connessi a variazioni di input e output causate dal progetto in altri mercati che
siano distorti (la riduzione del traffico di superficie indotta dall’accresciuta disponibilità di trasporto
metropolitano riduce la congestione).

2. quelli sui beni incommensurabili e intangibili


- considerazione dei benefici e dei costi incommensurabili e intangibili, per i quali non esistono prezzi di
mercato (ad esempio, effetti sulla vita)
La valutazione degli effetti
 La valutazione degli effetti è un’operazione delicata e complessa nell’ambito dell’ABC. Due questioni:

 La prima concerne la scelta del numerario per esprimere i benefici e i costi.

• - Invece della moneta nazionale si potrebbe usare una moneta estera o qualche bene di consumo o di investimento.

 La seconda riguarda il criterio per la valutazione degli effetti del progetto.

• - per la società sarà vantaggioso destinare ad un progetto delle risorse disponibili se i benefici che essa prevede di derivare dal

progetto sono superiori ai benefici che essa può derivare da usi alternativi delle stesse risorse.

- I benefici del progetto sono misurati dalla complessiva disponibilità a pagare dei beneficiari del progetto stesso.

- I benefici di progetti alternativi ai quali si rinuncia quando alcune risorse sono impiegate nel progetto in questione

rappresentano ciò che la società è disposta a pagare per utilizzare tali risorse in progetti alternativi e sono misurati dal costo

opportunità

- In condizioni di concorrenza perfetta, per misurare la disponibilità a pagare per i benefici e i costi-opportunità, potremmo far

uso dei prezzi di mercato.

- Nei mercati concorrenziali il prezzo di mercato è anche un indicatore del costo per la società dell’uso di un bene come input in

un progetto
I prezzi ombra - a
• Invece, nei mercati non concorrenziali, il prezzo di mercato non riflette più il costo
per la società, essendo superiore al costo marginale. Deve essere dunque sostituito
con un indicatore più accurato del valore sociale: il prezzo ombra (o sociale)

• Il prezzo ombra di un output o di un input è, rispettivamente, il valore della


disponibilità marginale a pagare o il valore del prodotto in progetti alternativi ai quali
si rinuncia, ossia il costo-opportunità

• In generale i prezzi ombra corrispondono ai prezzi che prevarrebbero in un’economia


in cui tutti i mercati fossero perfettamente concorrenziali, in presenza di mercati
completi

• Tuttavia, per la difficoltà di calcolare i prezzi ombra (che comporta il ricorso ad


approssimazioni), può essere consigliabile far riferimento ai prezzi di mercato
quando le distorsioni non siano giudicate significative.
I prezzi ombra - b
• I casi rilevanti per l’applicazione del concetto di prezzo ombra sono:
1) prezzi ombra in mercati non concorrenziali: il prezzo di mercato dei beni utilizzati come
input del progetto non rappresenta il loro costo sociale. Nell’ABC il prezzo da considerare
è quello depurato dagli effetti del potere di mercato.
2) prezzo ombra del lavoro in caso di esistenza di disoccupazione involontaria (salario
ombra): Il lavoro ‘’disoccupato’’ nell’ambito di progetti sottoposti ad ABC non può essere
valutato al suo prezzo di mercato, ossia al salario corrente. Il salario ombra può essere
minore di quello corrente, se risente del potere di mercato del sindacato
3) scelta del tasso di sconto sociale (dal tasso di interesse di mercato verso il tasso di
sconto sociale): il punto di partenza può essere il prezzo di mercato, ossia il tasso di
interesse di mercato. (Ma) Due ragioni per discostarsene: a) potere di mercato degli
intermediari finanziari, che può causare una distorsione anche rilevante, nel senso
dell’aumento del tasso rispetto a quello ipotetico di concorrenza perfetta; b) la tutela
delle generazioni future, che potrebbe non essere (adeguatamente) assicurata anche in
presenza di mercati dei capitali perfetti: in assenza delle generazioni future i mercati
potrebbero esprimere, infatti, una elevata preferenza temporale per il presente
a) Regole vs. discrezionalità
Politiche discrezionali o regole?

• Come accennato, la politica economica può essere condotta:

a) Sulla base di regole: i policy maker annunciano con anticipo quali politiche
verranno utilizzate in varie situazioni, e assumono un impegno credibile a seguire
quelle regole

b) In modo discrezionale: la politica fronteggia gli eventi e le nuove circostanze con


interventi giudicati appropriati caso per caso
Incoerenza temporale

• Le politiche discrezionali sono più flessibili delle regole. Questo, tuttavia, può
costituire uno svantaggio in presenza di problemi di incoerenza temporale

• Incoerenza temporale: incentivo per il policy maker a modificare una politica


precedentemente annunciata dopo che i privati hanno agito sulla base di quegli
annunci

• Tale incoerenza riduce la credibilità dei policy maker e l’efficacia delle politiche
economiche
Esempi

• Inflazione e formazione delle aspettative → prometto che non inflazionerò i salari


reali. Poi, fissati i salari nominali, lo faccio

• Tassazione dei redditi da capitale e decisioni di investimento → prometto di non


tassarli per non farli andare all’estero. Poi li tasso

• Monopoli temporanei e brevetti alla ricerca (medicinali) → prometto di dare un


brevetto e poi, dopo che la ricerca riesce, lo revoco

• Risultato: sindacati, investitori e imprese farmaceutiche non mi credono più!!!


Curva di Phillips

Phillips

u
Curva di Phillips e aspettative – a

π LRAS

E1

E1
Phillips3

Phillips2
E0

5% u
Phillips1
Tasso naturale
Curva di Phillips e aspettative - b

π LRAS

E1
7%

E1
4%
πe = 7%

πe = 4%
E0

5% u
πe = 0%
Preferenze del governo

E5

E1
E4
E2 E3

E0 E0
u
Governo e curva di Phillips

π
Inflation bias

E1
4%

Phillips

5% u
Il governo promette zero inflazione

π LRAS

E1
4%

πe = 4%
E0
5% u
πe = 0%
Ma non mantiene

π LRAS

Il governo ha un incentivo a non


mantenere la sua promessa

E2
2%

E0
2.5% 5% u
Phillips1
Il settore privato lo prevede

π LRAS

E4
E2 E3
2%

E0
2.5% 5%
πe = 2% u
Phillips1
Le promesse non sono credute

π LRAS
Inflation bias

E1
4%
E4
E2
2%
Phillips2 πe = 4%
E0 Phillips πe = 2%
2.5% 5% u
Phillips1
Indipendenza della Banca Centrale e inflazione
Politiche attive e passive

• I sostenitori delle politiche attive:

– Il reddito e la disoccupazione fluttuano eccessivamente a causa di frequenti


shock
– La politica monetaria e quella fiscale permettono di stabilizzare l’economia

• I sostenitori delle politiche passive:

– I lunghi e variabili ritardi associati alla politica fiscale e monetaria rendono


inefficace qualsiasi tentativo di stabilizzazione (che può diventare
destabilizzazione)
– Politiche errate aumentano la volatilità del reddito e della disoccupazione
Regole e discrezionalità

• Politiche discrezionali:
– La discrezionalità permette flessibilità ai policy maker nella risposta a shock
inattesi

• Regole automatiche:
– L’impegno a precise regole di politica è necessario per evitare problemi di
incoerenza temporale e per mantenere la credibilità degli annunci
– Non è possibile fidarsi del processo politico: i politici sbagliano o utilizzano le
politiche per fini personali

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