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LEZIONE 1

Nell’ambito chirurgico una nuova tecnologia è stata introdotta e ha portato ad un aiuto importante
per quanto riguarda la chirurgia del parenchima cerebrale e del distretto massiccio-facciale: il
navigatore, permette di localizzare gli strumenti chirurgici all’interno del paziente. Quando
abbiamo uno strumento possiamo capire istantaneamente guardando un monitor in che posizione
siamo nel paziente. Questo però non è un qualcosa che deve portare il chirurgo a non avere le
conoscenze di base per poter operare: il rischio della tecnologia é di portare alla falsa percezione
dei chirurghi che anche se non conoscono bene l’anatomia si fanno aiutare dal navigatore, per
evitare complicanze. Questo é un assioma errato perché stiamo lavorando con macchine, ed è
sempre presente un margine di errore. Deve essere presente in un chirurgo l’anatomia dissettoria.

In Italia solo ultimamente ci sono state leggi più permissive sulla dissezione dei cadaveri: chi
voleva formarsi sul cavaliere, doveva farlo in università estere. Dal 2014 noi abbiamo a Varese un
centro di dissezione per cadaveri ma ancora adesso la donazione dei corpi non viene molto
pubblicizzata. Pertanto ancora oggi dobbiamo importate i pezzi anatomici dall’estero.

Il training ci permette di allenare la nostra testa a mixare le immagini che noi abbiamo
dell’anatomia del paziente da un punto di vista radiologico, endoscopico, microscopico, qualsiasi
immagine ricevuta da un sistema di visualizzazione e l’anatomia macroscopica. Prima di entrare
nel naso, ad esempio, va studiato il paziente tramite radiologia perché la via di accesso può
essere ricca di devianze anatomiche: scorrendo le immagini posso capire dove è posizionata la
sella turcica, ad esempio. Devo anche sapere perfettamente in modo anatomico dove è
localizzata la sella turcica. Così facendo, siamo in grado di navigare nelle strutture anatomiche per
poter raggiungere il target.

Un sistema primordiale di navigazione: tramite immagini radiologiche, tac. Un software estrae le


immagini acquisite dalle tac e ricostruisce in modo 3D l’anatomia del cranio, prima di poter
operare. La navigazione in questo caso é stato il precursore della neuronavigazione.

Perché è importante sapere dove siamo nel corpo del paziente? Dobbiamo evitare di disorientarci
nel campo chirurgico: nelle cavità nasali possiamo sconfinare in aree pericolose, come nel nervo
ottico, possiamo causare incidenti vascolari importanti. Nel distretto naso-sinusale è difficile
orientarsi perché pochi millimetri di differenza possono far danni e sfociare in altre aree.

Uno sviluppo della tecnologia porta a una migliore sicurezza dell’atto chirurgico e una riduzione
delle complicanze.

Cosa vuol dire navigare? Ci permette di poter andare dal generale al particolare. È come il
navigatore delle macchine: guida non su una strada, ma nel corpo del paziente.
Caratteristiche:
1) Deve essere uno strumento che può essere portato in sala operatoria.
2) Se deve essere usufruito per ammortizzare i costi, deve essere trasportabile.
Questo sistema si compone di un monitor, di un case in cui è presente il software, di un tracer che
si posiziona sulla testa (fronte) del paziente.

Che sistemi di navigazione ci sono? Sono due tipologie di neuronavigatore:


1) Elettromagnetico
2) Ottico
É sempre presente il monitor, il case, il tracer ma abbiamo, per far in modo di formare un campo
in cui si può navigare all’interno, un magnete che si mette sotto la testa del paziente o un sistema
ottico messo dietro il paziente che punta verso il tracer che usa sistemi ottici.
Oltre a ciò, ci sono strumenti dedicati che possono essere inserirti nel campo chirurgici che
possono essere visualizzati dal sistema: se si mette un sistema non navigabile nel paziente
questo non può essere posizionato e visualizzato dal sistema di navigazione.

Quale è la differenza tra i due sistemi? Nel sistema elettromagnetico, il campo parte da sotto la
testa del paziente e rende navigabile la porzione presente al di sopra. Vengono percepiti tutti i
movimenti, nulla va in contrasto tra lo strumento e il campo elettromagnetico. Nel sistema ottico,
se un qualsiasi cosa passa in mezzo tra il fascio ottico dello strumento e il tracer perdo il segnale.
Se la chirurgia si fa in campo stretto (sala operatoria molto piena di persone), il navigatore ottico
risulta essere molto difficoltoso. Però il navigatore ottico è molto più preciso di quello
elettromagnetico.
In sala operatoria abbiamo diverse figure quindi sostanzialmente ha preso più piede il sistema
magnetico. Avere un fascio di luce attraverso il quale nessuno può passare è un problema, perciò
il magnetico è quello più preciso e che si sta evolvendo maggiormente. Le case di produzione
infatti puntano maggiormente su questo sistema.

Per navigare nel cranio devo inserire nel case una tac: per questo, preoperatoriamente si manda il
paziente in tac e si chiede al radiologo di fare una radiografia al paziente che abbia dei parametri
per la neuronavigazione. In questo modo, prendendo la tac e inserendola nella fessura del case,
pigiamo un tasto e il sistema lavora per ricostruire il volto del paziente. Con uno strumento
andiamo a settare il nostro navigatore: con un piccolo ferro, tocchiamo la superficie del paziente,
in modo da mixare la superficie del cranio del paziente con i punti che corrispondono a livello
della tac. Adesso si possono utilizzare anche strumenti come telefoni o IPad per settare lo
strumento. Oltre ad appoggiate la punta dello strumento, si possono anche fare delle strisciate.

La macchina ha un margine di errore: di solito è uno o due millimetri quindi non si può credere
completamente a questo sistema. Quindi bisogna sempre e comunque basarci sulla conoscenze
anatomiche, il navigatore aiuta ma non toglie la capacità analitica del chirurgo.

Nel mondo ci sono 3/4 aziende che sviluppano in modo importante questo tipo di tecnologia.

È importante avere una tac fatta bene, strumentazione adeguata e la possibilità, se non mi
convince il navigatore, di correggere il tiro del navigatore.
La possibilità di correzione è qualcosa che ci rende umani ed è fondamentale (come salire su un
aereo senza pilota, non può essere concesso).

Se è presente un aspiratore ed ha una punta navigata, si può aspirare il sangue e si può capire nel
mentre dove siamo, in che punto, poiché in questo caso altrimenti non si vedrebbe nulla. Oggi la
punta di qualsiasi strumento può essere resa navigabile, tramite un device.

Evoluzione: possiamo andare a segnare sulla tac il percorso da attuate con il navigatore per
raggiungere il target e il navigatore ci indica la via. Non solo dice dove é la punta dello strumento,
ma anche la strada anatomica da seguire. Ovviamente tutto ciò non è sicuro al 100%.
Possiamo anche aggiungere dei “pallini”, dei target che non posso oltrepassare con lo strumento,
che in caso lo strumento si avvicini troppo al punto inizia a suonare.

In caso il navigatore stia sbagliando, possiamo risettare il navigatore per poterlo rendere preciso,
secondo le indicazioni del chirurgo.

Quando si può utilizzare lo strumento: ordinariamente tutti i giorni, nel caso debba operate un
medico giovane per orientarsi prima di operare, se si hanno dei dubbi, nelle chirurgie di revisione
dove le alterazioni cicatriziali ci portano ad essere disorientati, nella chirurgia avanzata molto di
precisione.

Vantaggi:
1) Capacità di avere una visione 3D per evitare complicanze.
2) Strumentazione dedicata.

Per aprire il seno frontale, in caso in cui non si possa procedere operando dal naso, oggi
possiamo utilizzare il navigatore per aprire precisamente lo sportello frontale.
LEZIONE 2

Sistemi di visualizzazione: principalmente ci focalizzeremo sulla parte neurochirurgica. Spesso è


necessario esplorare delle cavità all’interno del corpo che per loro natura sono buie, come ad
esempio le cavità nasali che sono delle strutture non esposte alla luce e pertanto a meno di aprire
il naso non è possibile una visualizzazione precisa. Infatti, fino a poco tempo fa, lo studio di un
otorinolaringoiatra era poco dettagliato perché per esplorare la cavità si usava uno strumento per
dilatare le narici. La necessità di produrre luce all’interno delle cavità è fondamentale.

Primi sistemi di tentativi di introdurre luce nelle cavità: le problematiche principali erano la
necessità di uno strumento di dimensioni adeguate che potesse accedere alla cavità e che
mantenesse una certa temperature non troppo elevata (la luce scalda). Le prime esperienze
vennero fatte in chirurgia urologica e ginecologica (verso la fine dell’800). La luce veniva creata
con una luce calda tramite candele che portava luce nelle cavità e l’immagine veniva proiettata
nell’oculare dello strumento.

Oggi giorno, quello che si utilizza in tutti gli ambiti chirurgici, sono delle ottiche = endoscopio:
questi sistemi sono costituiti da un case, una scatola con diverse forme e dimensioni la cui più
comune e tubulare, un ingresso per la luce, quindi una fonte di luce fredda che proietta nel tubo, e
più lenti. La luce passa la cavità e si espande all’interno dell’area anatomica indagata. L’immagine
viene riflessa tramite lenti messe in parallelo con diverse convessità e concavità che riportano
l’immagine ingrandita all’oculare dell’esploratore.

Come possono essere le lenti? La visione che posso ottenere può variare: questi strumenti non
solo permettono una visualizzazione diretta (180 gradi dell’area), ma anche una visione angolata =
importante perché le cavità che esploriamo non sono cavità regolari ma hanno delle nicchie. La
visione diretta non permetterebbe la visione completa delle cavità. Le ottiche hanno solitamente 4
gradi di azione:
1) 0 gradi = visione diretta.
2) 30 gradi = visione angolata.
3) 45 gradi.
4) 70 gradi.

Questi sistemi sono stati utilizzati anche in chirurgia ortopedica e via via ha preso piede negli
ultimi anni anche in chirurgia otorinolaringoiatrica e neurochirurgia.
L’evoluzione delle tecnologie mediche vengono utilizzate dal chirurgo e questa relazione tra
ingegnere e chirurghi porta ad una evoluzione della tecnica stessa.

Oggi l’endoscopio si è evoluto utilizzando delle telecamere che proiettano le immagini su un


monitor. Inizialmente le immagini ottenute tramite endoscopi non erano eccelse, ma andando
avanti con gli anni la definizione è migliorata molto e oggi giorno si opera con delle camere ad alta
definizione e monitor a 4K.

I sistemi di visualizzazione possono essere integrati anche dall’utilizzo di diversi filtri, che
permettono di andare ad analizzare la caratteristica morfologica dei tessuti e di vascolarizzazione,
aumentando il contrasto, aumentando la definizione. Questi sistemi sfruttando la diversa
permeanza dei diversi tessuti (a secondo della birifrangenza, si visualizza un diverso ritorno di
immagine). Attraverso i monitor si può anche selezionare differenti tipi di visualizzazione.
L’utilizzo di un diverso spettro di luce può dare informazioni differenti.

Quando questi endoscopi possono essere utilizzati? In ambito diagnostico e chirurgico.


Nella chirurgia molto spesso se si hanno sistemi di visualizzazione con basso contrasto per lo
spettro di colore del rosso, non permettono di orientarci nella cavità con conseguenti alti rischi.
Tramite l’endoscopio questi problemi non sussistono.

Solitamente il chirurgo ha diverse ottiche che vengono utilizzate con diverse angolazioni:
operando, si possono modificare le ottiche togliendole e cambiandole (da 0 a 45, ad esempio). Si
è pensato di creare delle ottiche montate su un carrello della struttura tubulare che possono
essere inclinate diversamente andandole a regolare tramite un manipolo presente nella porzione
finale della ottica stessa = girando la rotella, si cambia l’inclinazione dell’ultima lente presente
nella punta dello strumento -> cambio dell’ottica.

Noi abbiamo una visione stereoscopica: non guardiamo il mondo solo con un occhio. I chirurghi
operano con l’endoscopio mediante un solo occhio, perché le immagini che ricevono sono
bidimensionali. Le complicanze che possono presentarsi durante un intervento, sono date dalla
assenza di tridimensionalità. Dunque, il problema principale nella chirurgia non è tanto vedere in
bidimensionali o tridimensione, poiché è ovviamente meglio la visione 3D: la tecnologia non
permetteva fino a qualche anno fa di ottenere immagini ben proporzionate. Oggi tramite software
e doppie lenti l’immagine può essere resa tridimensionale.
Tramite l’uso di due occhio, tramite due microchip posizionati in punta allo strumento o tramite un
software si è reso possibile ottenere una immagine tridimensionale. Oggi si predilige utilizzare una
doppia ottica sulla punta dello strumento, che consente di ottenere una immagine 3D.

Per utilizzare questi strumenti 3D: videocamere 3D, strumento, occhiali, monitor 3D. Inoltre,
bisogna rispettare una distanza di 2 metri circa tra il chirurgo e il monitor. Questa tecnologia deve
quindi anche interessare la completa organizzazione della sala operatoria.

Prima di utilizzare questa tecnologia sul paziente, si è dovuto iniziare a sperimentare questi
endoscopi cercando di vedere se l’errore chirurgico sfruttando la tridimensione fosse maggiore o
minore (prima su dei cadaveri e poi sui pazienti).
Oggi questi strumenti tridimensionali vengono utilizzati ogni giorno.

Sarebbe ancora un passo del futuro, e già viene fatto in alcune branche chirurgiche, di ottenere
una visione 3D tramite un endoscopio ergonomico e potendo anche operare a distanza.
Esistono dei robot (Da Vinci) che permettono di operare a distanza in tridimensione e permettono
di attuare dei movimenti non naturali senza tremore. Se si riuscisse a miniaturizzare questa
tecnologia introducendo le braccia dello strumento nel naso, si potrebbe attuare una chirurgia
ancora più di precisione.

Ad oggi si è riusciti a creare un tubo, detto snake, che entra nel naso, fa uscire l’ottica e dei
braccini piccoli permettendo di operare nelle cavità nasali.
LEZIONE 3

Ricostruzione della mandibola:


La mandibola è costituita da una branca verticale, che presenta
un processo coronoideo nella sommità superiore e posteriore, e
si articola con l’osso temporale. Questo osso è mobile ed è
articolato con il neurocranio tramite un cuscinetto e la sua
estremità é detta condilo. È presente poi una branca orizzontale
in cui sono presenti gli elementi dentari.

La mandibola viene fissata alla


arcata zigomatica e al neurocranio
attraverso dei legamenti; è
presente quindi una capsula articolare rinforzata dai legamenti che si
legano alla arcata zigomatica. Ci sono ulteriori legamenti (legamento
stilomandibolare e sfenomandibolare). Questa capsula ha uno spazio
per contenere un liquido, per mantenere una ridotta resistenza a
livello della capsula stessa.

I muscoli sono deputati al movimento di questo osso; non è come le


ossa fisse nel neurocranio, poichè scorre sull’osso temporale e pertanto ci sono muscoli che
permettono a questo di muoversi. I muscoli sono il massetere dalla arcata zigomatica che si porta
all’angolo mandibolare, posizionandosi sulla porzione esterna della branca verticale della
mandibola, il muscolo temporale che si articola all’osso temporale, che va a posizionarsi
mediamente alla arcata mandibolare. Altri muscoli sono quelli pterigoidei (esterno con due capi e
interno), che sono presenti al centro del neurocranio.

• Muscolo massetere e temporale -> servono per aprire e chiudere la


mandibola. Sono muscoli verticali e quindi servono per aprire e
chiudere la bocca (masticazione).
• Muscolo pterigoidei-> servono per vasculare la mandibola, per
muovere a destra e sinistra la bocca. Sono muscoli orizzontali e
permettono la masticazione ottimale.
Ciò permettere la frammentazione del cibo.

Inoltre la mandibola è ricoperta da una muscolatura che serve a dare


tono al volto: platisma, dal collo va ad ancorarsi e passa sopra
all’osso mandibolare.

Vi sono una serie di muscoli accessori che vanno dalla mandibola (dalla branca orizzontale) e si
portano in basso: attaccato alla mandibola, ci sono una serie di strutture molto importanti. Questo
osso che è presente a metà del nostro distretto cervicale e quindi ha funzioni importanti non solo
nella masticazione: trachea e laringe sono appesi alla mandibola. La mandibola è attaccata alla
laringe e questa serve a parlare, respirare e deglutire, quindi rompendo questo legame tra i due si
avranno disturbi nella fonazione, deglutizione e respirazione. La mandibola si ancora alla laringe e
prima ancora all’osso ioideo, attraverso il muscolo digastrico e omoioideo.

La prima struttura che si incontra protrudente a livello del viso è il naso. La seconda cosa però
che si guarda è la bocca e la mandibola. È una struttura che quando è alterata ha un impatto
visivo. É un fattore estetico condizionante rilevante.
Quando si ricostruisce la mandibola, bisogna fare in modo che ci sia simmetria nel volto, inoltre si
deve donare volume al materiale che si impianta per ricostruirla. Bisogna che l’osso scorra e che
la mandibola si posso aprire e chiudere il più possibile.

Quando ricostruire la mandibola?


• In caso di tumori maligni del cavo orale, solitamente in pazienti fumatori e bevitori. Quando il
tumore infiltra l’osso articolare, vanno asportati alti margini dell’osso articolate stesso.
• Condizioni infiammatorie: le donne che hanno tumori al seno, nel post-operatorio, devono
prendere dei difosfonati che riducono la % di recidiva al tumore, ma che danno necrosi
asettiche importanti a livello mandibolare e mascellare.
• Malformazioni benigne come cisti. Queste sostituiscono l’osso con un tessuto liquido e
connettivo e quindi fratturano la mandibola, che deve subire un intervento.

Il tumore che coinvolge la mandibola è quello squamocellulare, che è un tumore dovuto all’alcool
e fumo. I sarcomi sono rari, nei bambini soprattuto, ma quello più frequente è dovuto al fumo e
alcol.

Ovviamente la asportazione può coinvolgere più o meno tessuto. La localizzazione ed estensione


della malattia porta ad asportare porzioni diverse della mandibola. A seconda delle porzioni
asportate, e delle localizzazioni di asportazione, le metodiche ricostruttive possono variare.

Un tempo, quando era presente un tumore, si asportava totalmente la mandibola e rimaneva con
un deficit di tessuto. Altrimenti, veniva asportato un pezzo di mandibola, e si cercava di mettere
un placca di titanio che andasse a ricostruire la porzione mancante e si avvolgeva questa con un
tessuto vascolarizzato (es. muscolo pettorale) o una serie di muscolature prese dalla spalla e aree
vicine, per colmare il tessuto molle che veniva a mancare e circondare la placca messa per dare
rigidità. Il problema principale in questi casi era che dopo l’intervento spesso il paziente
dovevamo fare radioterapia; il materiale impiantato tendeva a dare reazione infiammatoria
(rigetto).
Oggi le placche servono solo per fissare dei materiali di nuova generazione, riducendo così
fortemente il rischio di rigetto.

Oggi come si correggono i difetti?


1) Flap di osso non vascolarizzati = prelievo di piccoli pezzi di osso e si riposizionano così come
sono interponendoli tra i due monconi di osso mandibolare, ponendo sopra la placca
ricoperta da tessuto vascolarizzato.
2) Lembi peduncolati = in questo caso, parti vicine vengono girate con annesse la propria arteria
e vena che rimane in sede, viene tirato un pezzo di tessuto adiacente e posizionato dove il
tessuto viene a mancare (tessuto molle viene preso, con la sua arteria e vena, e viene ruotato
a colmare un difetto vicino).
3) Lembi liberi = si prende un tessuto vicino o lontano dal danno, si staccano la sua arteria e la
vena che lo vascolarizzato, e si impianta andando a nastomizzare la vena e la arteria presente
nel territorio ricevente.
Si cerca di trovare un materia adeguato per essere posizionato al posto di placche, lembi
peduncolati o liberi. L’ideale è cercare qualcosa che sostituisca il prelievo di materiale autologo e
che abbia le stesse caratteristiche di resistenza e che non venga rigettato.

Cosa viene usato per la mandibola in caso di lembi peduncolati? Si prende il muscolo pettorale,
oppure il trapezio, dietro la spalla. Si cercano aree non demolitive e vicine al danno.
Gli innesti si attuano con la scapola, cresta iliaca, l’osso parietale o occipitale, la costa, l’omero, la
tibia e il radio.

• Cresta iliaca -> usato per gli innesti di denti, per recuperare osso a livello delle arcate dentarie.
• Costa -> molto facile da raggiungere, non da deficit funzionali in caso di piccola asportazione. Il
rischio maggiore è di bucare la pleura. Ovviamente i difetti da correggere non devono essere
molto grandi.
Problemi: l’osteointegrazione non è brillante, tendono a riassorbire, si da morbidità al sito
donatore; dove si va a posizionare il tessuto, non deve essere già stato precedentemente operato
o radiato. Se si innestano in un luogo dove si ha già una infezione, tende a non attecchire.

Quando si ricostruisce la mandibola con materia non recuperato dal nostro corpo, il materiale
deve avere delle caratteristiche:
1) Deve venire ricolonizzato dal corpo: deve fare da guida alla riformazione dell’osso, e venire poi
riassorbito. Col tempo così non verrà estruso.
2) Deve essere biocompatibile e bioriassorbibile.
3) Non deve dare cicatrici e reazioni infiammatorie.
4) Deve avere le stesse caratteristiche biomeccaniche dell’osso posizionato.
5) Deve avere le stesse caratteristiche dell’osso.
6) Deve essere un materiale non troppo costoso.
Materiali che vengono proposti:
• Idrossiapatite
• Fosfonato di calcio
• Vetro bioattivo
• Fosfato bicalcico
• Fosfato tricalcico
• Fosfato calcico

Quando vengono inseriti questi tessuti, non basta mettere questo e sperare che il corpo
ricostruisca l’osso. Ci vuole una base per far sì che le cellule migrino, somministrando anche
cellule totipotenti, e dare al paziente fattori che stimolino la proliferazione e la sopravvivenza di
queste cellule.

Oggi giorno, la tecnica di ricostruzione che si usa sono i lembi liberi (free flap). L’osso da
prelevare deve essere abbastanza lungo, avere della pelle sopra, con un diametro e una forma più
possibile corrispondente alla forma della mandibola, e che possa essere preso e non dare grosse
morbidità la paziente.
L’osso che si usa principalmente nella ricostruzione mandibolare è la fibula, poiché non ha una
grossa funzione sulla stabilità della gamba. Altro osso molto usato è il radio, e anche la scapola.

La fibula non ha molta pelle sopra ma é sufficiente, é un osso lungo, presenta un peduncolo
abbastanza lungo da arrivare al collo, non da grossa morbidità ed è un una zona nascosta del
corpo.
Il radio non ha una lunghezza così ampia, ha tanta e buona pelle sopra, e il peduncolo è buono.
La motilità dell’arto dopo l’espianto però viene meno quindi viene meno usato.

Come si procedeva inizialmente con l’intervento: si prende la stecca di osso, che ha una forma a
trapezio che ricalca quella della mandibola. Il pezzo d’osso ha una arteria una vena che lo
vascolarizzano. Si seguono i vasi che danno l’ossigeno e drenano il sangue al tessuto, si stacca il
pezzo, si modella piegandolo e dandogli la forma che più aggrada e si va ad attaccare alla
mandibola residua tramite una placca. La placca è circondata da tessuto vascolarizzato e quindi
tende a non rigettare.

Oggi esiste la custom made reconstruction: tramite una tac, si ricostruisce tridimensionalmente
la mandola da ricostruire. L’ingegnere biomedico fa una guida che viene posizionata sulla fibula
che deve venire prelevata, che dice al chirurgo dove attuare il taglio alla fibula e di che lunghezza.
In questo modo, il pezzo di osso che viene prelevato è uguale alla mandibola precedente.
Oggi giorno è possibile, prima di risvegliare il paziente, impiantare i denti sulla fibula, in modo che
il paziente svegliandosi abbia già sia la fibula che i denti.
LEZIONE 4

Monitoraggio dei nervi cranici: è una tecnologia introdotta negli ultimi 20 anni e permette di
valutare la funzionalità dei nervi cranici durante un atto chirurgico.

Perché è necessario localizzare ed identificare questi nervi? Spesso l’anatomia dei pazienti è
individuale, oppure ci sono patologie che possono spostare il nervo e fare in modo che si trovi in
un posto dove non dovrebbe essere, oppure ancora un trauma può spostare il nervo.
Si può monitorare la localizzazione di questi nervi per ridurre la trazione di un nervo se vediamo
che nel tempo questo sta iniziando a soffrire.
Inoltre, è molto importante che l’integrità del nervo sia presente e che venga valutata in ambito
medico-legame per valutare le cause di un danno, ad esempio.

I nervi cranici vengono divisi in:


• Motori
• Sensoriali
• Misti = entrambe le informazioni nello stesso nervo (es. settimo nervo cranico, il nervo vago).

I nervi cranici sono 12:


• Primo: olfattorio
• Secondo: ottico
• Motori: terzo, quarto e sesto per muovere gli occhi.
• Quinto: sensibilità del volto
• Settimo: motilità del volto
• Ottavo: udito ed equilibrio
• Nono: sensibilità e movimento del faringe
• Decimo = nervo vago: più lungo e importante, fondamentale per la respirazione e per la vita.
• Undicesimo: per la spalla
• Dodicesimo: lingua

Quali nervi vengono monitorizzati? I più frequenti sono il settimo (nervo facciale) e il decimo
(nervo vago, nello specifico il ramo del nervo laringeo ricorrente). In generale, tutti i nervi
possono essere monitorizzati ma noi ci focalizziamo su questi due più importanti.

Settimo nervo cranico: per muovere il volto (metà del volto).


Decimo nervo cranico: il nervo vago da un ramo che è il nervo laringeo ricorrente, che fa muovere
le corde vocali.

Quando il cervello decide di attuare un movimento, il segnale arriva ad un’area del cervello
particolare e invia uno stimolo nervoso. Ciò che comporta è la comparsa di un determinato
movimento. Come si stimola un nervo?
• Stimolazione chimica
• Stimolazione meccanica
• Stimolazione termica
• Stimolazione elettrica
Questi possono dare una attivazione dei nervi cranici. Naturalmente, se si vuole valutare la
funzione del nervo, che può essere monitorizzata andando a valutare il movimento del muscolo
associato a quel nervo, non si possono usare sostanze che bloccano la contrattura muscolare.
Quando un paziente viene addormentato, viene ridotta la coscienza dell’individuo, non prova
dolore e risulta immobile. Ci sono farmaci che bloccano completamente la stimolazione
muscolare, e se vengono usati non si può valutare la funzione meccanica dei muscoli.

Tutta la strumentazione presente in sala operatoria deve fare in modo che non interferisca con gli
elettrodi e i sistemi di monitoraggio presenti in sala operatoria. Non si possono usare strumenti
magnetici. Si utilizzano delle sonde di silenziamento che percepiscono rumori provenienti da
strumenti esterni che potrebbero causare interferenze nel monitoraggio del muscolo.

È presente un monitor al di fuori del campo chirurgico, un filo sotto al lettino, e gli elettrodi.
Quando si stimola un nervo, si andrà a vedere se si vede un potenziale sul monitor visionato
tramite una curva bifasica di varia ampiezza. Monitoraggi continui ci dicono se continuando a
stimolare una area, quanto questa sia stimolabile durante tutta la procedura chirurgica.

DECIMO NERVO CRANICO: viene monitorizzato nella chirurgia della tiroide. È una chirurgia molto
frequente, poiché è una patologia diffusa nel mondo.
Quando si attuano interventi? In caso di tumori, oppure quando la tiroide è troppo grossa e
comprime, oppure se sono presenti dei gozzi tiroidei, oppure quando funziona troppo/poco e da
effetti ormonali.
Quando si fa un atto chirurgico di questo tipo, possono esserci delle complicanze: una delle
condizioni più temute sono le lesioni al nervo ricorrente. In questo caso, il nervo non funziona
correttamente e quindi il paziente può avere una voce roca o non parlare. Può anche accadere
che entrambi i nervi ricorrenti vengano danneggiati e quindi il paziente non respira, dovendo
attuare così una tracheotomia.
Oggi giorno, quello che si fa in quasi tutti i centri è l’utilizzo del monitoraggio del nervo cranico.

Tracheotomia: incisione nella zona della tiroide -> si espone la fascia che ricopre la ghiandola
tiroide, si apre questa fascia nel collo, si divaricano i muscoli e si sezionano tutti i vasi attorno alla
tiroide per devascolarizzarla. É presente una grossa arteria che va al peduncolo superiore, una per
il peduncolo inferiore, due arterie inferiori e superiori. Dopo di che, si evita il nervo ricorrente che
passa al di sotto della tiroide per poter asportate la ghiandola. Il nervo ha due branche, di cui una
sensitiva e una motoria.
Una volta identificato il nervo ricorrente, fino alla entrata nella laringe, si può tirare via la tiroide
evitando di ledere il nervo. La direzione e la posizione del nervo é variabile in base a differenze
anatomiche e patologie presenti.
Ovviamente la tiroide va asportata in due parti separate: una prima parte destra e una parte
sinistra. Solitamente, alla fine di una prima asportazione, si attua una stimolazione del nervo per
verificare che funzioni correttamente (visto che sono presenti le due diramazioni).

Una lesione del nervo non é solo data dal taglio del nervo stesso, ma questo può anche risultare
integro ma non funzionante. Se succede di tagliare il nervo, si può cercare di attuare una
anastomosi del nervo, unendo il tratto prossimale e distale mettendoli vicini ma solitamente nei
nervi motori non si ripristina mai la funzione. Questo perché alcune fibre abduttorie e adduttorie
del nervo non combaceranno mai più completamente.

L’utilizzo del neuromonitoring aiuta ad evitare complicanze ed errori accidentali del chirurgo,
permettendo di localizzare perfettamente il nervo.

Che muscoli vanno controllati per monitorizzare il nervo ricorrente? Il nervo ricorrente innerva le
corde vocali. Tramite uno strumento, si capisce che lo strumento funziona se la corda vocale si
muove. Come si mettono però degli elettrodi nella bocca fino alla corda vocale? Il paziente
quando è addormentato viene ventilato, mettendo un tubo in bocca che arriva alla trachea.
Attorno al tubo è presente un palloncino che si gonfia e butta dentro aria nei polmoni. Attorno al
tubo, vengono messi gli elettroni che servono per vedere se le corde vocali si muovono.
Sul monitor, va selezionato quale nervo si sta monitorizzando, e in base a ciò tramite immagini, si
attaccano gli aghi (cioè gli elettrodi) nei punti esatti.

Per il monitoraggio del nervo ricorrente, gli elettrodi vengono messi dall’anestesista. È importante
che il tubo venga fissato bene poiché se si dovesse muovere, questo non riuscirebbe più a
monitorizzare la corda vocale.
È presente poi una penna con una punta che serve a toccare il nervo per vedere se funziona e
stimola le corde vocali = probe o stimolatore. Vengono messi poi due piccoli elettrodi nello
sterno e tutti gli elettrodi posizionati si connettono nel case, in modo tale da formare un circuito
chiuso. La scatola è poi connessa con il monitor.

Oltre ad essere ben posizionato, il tubo deve avere un calibro che riesca a toccare le corde vocali.
Ciò dipende dal calibro della trachea a dall’età del paziente.

A seconda della stimolazione, cioè della intensità con cui si stimola il nervo, si identificherà il
nervo più o meno vicino: se si stimola con una corrente importante, si può dire che in un’area
ampia è presente il nervo. Più si riduce l’intensità di stimolazione (ad esempio 1 mA), più il nervo
deve essere vicino per far sì che venga stimolato e che dia una risposta.

Il nervo vago origina alla base del cranio, prosegue poi giù lungo il collo verso il torace e, a livello
del mediastino, si stacca il nervo ricorrente che poi ricorre, cioè dal torace gira attorno ai grossi
vasi a torna su per il collo fino alla laringe. Per capire se il nervo funziona, devo toccare il nervo
ricorrente. Se ho lesionato il nervo ricorrente a livello del torace, se lo stimolo a valle della lesione,
posso capire di aver lesionato il nervo. Se si stimola a monte della lesione, invece, il nervo viene
stimolato comunque e non si ha la percezione di avere danneggiato il nervo. Per capire se tutto il
sistema e il nervo ricorrente è preservato in tutta la sua ampiezza, si può stimolare il nervo vago
per capire se il nervo ricorrente è preservato in tutta la sua lunghezza.
Si può identificare il nervo vago, applicando una molletta, e si può così andare a testare per tutta
la durata dell’intervento la funzionalità del nervo vago e quindi anche del nervo ricorrente. Si avrà
quindi una continua stimolazione data dalla molletta al nervo durante tutto l’intervento.

SETTIMO NERVO CRANICO: il principio è lo stesso, gli elettrodi vengono posizionati in modo
differente.

Quando si monitorizza questo nervo? Quando si deve asportare la ghiandola parotide, ghiandola
salivare presente davanti all’orecchio. Per asportarla si fa una incisione a baionetta. Il problema di
questa ghiandola è che in mezzo a questa, a dividerla in un lobo profondo e superficiale, passa il
settimo nervo cranico che consente il movimento del volto.

Il nervo facciale fuoriesce dalla mastoide, entra nella parotide e il tronco comune si biforca in due
grosse branche:
• Ramo superiore, che serva a far chiudere la palpebra.
• Ramo inferiore, per far muovere la bocca e sorridere.
Una volta che si identifica l’area dove si ipotizza che passi il nervo, per avere la certezza, si
stimola il nervo e ciò da la conferma che sia il nervo corretto e di quale branca si tratti.

Trazione, compressione, taglio, temperatura elevata, ischemia = atti chirurgici che possono ledere
il nervo.

Tramite il monitoraggio intraoperatorio si può monitorare il nervo, identificandolo, riducendo i


tempi operatori, seguendo la branca corretta. Alla fine della operazione, si attua poi la conferma
medico-legame che il nervo funzioni.

Gli elettrodi vengono messi sul muscolo che corruga la fronte, poiché la branca superiore si
occupa anche di questo, sul muscolo dell’occhio laterale, della bocca e del mento. In questo
modo, si monitorizzano quattro muscoli. Stimolando la branca comune, tutti i muscoli
risponderanno. Se si stimola la branca superiore, risponderà solo il ramo frontale, per esempio.
INTRODUZIONE

Tumori maligni del complesso naso-sinusale: questo complesso è una zona al centro del cranio,
anatomicamente molto difficile da raggiungere. Si trova fra la fossa cranica superiore, media e
posteriore, le cavità orbitarie e il cavo orale. È costituita da diverse ossa.
-Seni etmoidali = al centro, più complessi. Sono una serie di cellette come un alveare delle api;
oltre ai labirinti etmoidali, in mezzo, è presente il setto nasale, che separa la fossa nasale di destra
e di sinistra. La crista galli da attacco alla falce cerebrale, dove si unisce la dura madre che
avvolge il cervello. La lamina orizzontale dell’etmoide è forata, da cui passano i filuzzi olfattori.
-Seni mascellari = al di sotto delle orbite, nell’osso zigomatico, danno attacco ai denti dell’arcata
superiore.
-Seni frontali = al di sopra delle orbite.
-Seni sfenoidali = più profondi, posteriori.
I seni sono come delle stanze che comunicano con i seni nasali = osti naturali dei seni paranasali.

Etmoide: costituito dalla lamina perpendicolare, la lamina orizzontale, dalla crista galli e i labirinti
etmoidali (destro e sinistro). La parete di ciascun labirinto è detta lamina papiracea.
L’etmoide contiene il turbinato medio e superiore che fanno da alettoni, che servono per
convogliare i flussi aerei. Anche l’ornetto inferiore ha la stessa funzione.

Visione del cranio:

A livello delle cavità paranasali può insorgere


una miriade di tumori diversi, dal punto di
vista istologico, perché a questo livello
abbiamo diversi tessuti di ogni tipo: muscoli,
cartilagini, ossa ecc…
L’epitelio di rivestimento è di tipo respiratorio,
pseudostratificato, cigliato. Le ciglia attuano
un movimento di tipo muco-ciliare per
convogliare le secrezioni mucose. Inoltre, è
presente un neuroepitelio olfattorio nella parte
superiore della cavità nasale.

Per trattare questi tumori, bisogna personalizzare il


trattamento multimodale in base al tipo istologico e
al paziente. Il trattamento multimodale è un
trattamento oncologico che include diverse forme
di trattamento (immunoterapia, chemioterapia,
chirurgia) spesso complementari tra loro per
ottimizzare la prognosi -> precision medicine.
Per i tumori maligni a basso grado = basso indice
proliferativo, si sceglie la chirurgia (G1, ben
differenziati); per quelli maligni di alto grado, si
utilizza la chemioterapia (G2/G3).

Il carcinoma SCC origina nel seno mascellare


soprattutto in America, in Europa invece ITAC
(adenocarcinoma) e origina nei labirinti etmoidali.

In alcuni casi i tumori possono dare metastasi nel


collo, con incidenza nel 3%. Più frequenti invece le
metastasi nel resto del corpo: polmoni, parenchima
cerebrale, ossa. Essendo tumori che originano
nelle fosse nasali, i fattori di rischio sono legati a
ciò che respiriamo = fumo di sigaretta, luogo di
lavoro ecc…
In questi tumori si attivano dei mediatori di infiammazione, che sono citochine che stimolano la
proliferazione cellulare e attivano i macrofagi. L’infiammazione cronica ha un ruolo fondamentale.

Le cellule staminali totipotenti possono trasformarsi in neuroblastoma olfattorio, uno dei tumori
più rari e aggressivi.
Immunoterapia: infiltrato immunitario in grado di riconoscere le cellule tumorali e le neutralizza. Il
tumore maligno per crescere indisturbato deve avere dei meccanismi per eludere la sorveglianza
immunologica; se noi riusciamo ad attivare il SI, rendendolo in grado di riconoscere il tumore,
questo potrebbe annientare il tumore.

Diagnosi:
1) Endoscopia: telecamere per analizzare le fosse nasali, quanto è grande, che forma ha ecc…
2) Tac e risonanza magnetica; fondamentali prima della biopsia. In caso di lesioni non tumorali,
attuare una biopsia può essere inutile. In molti casi la risonanza ci fa ipotizzare la diagnosi e ci
fa escludere lesioni particolari per cui la biopsia è sconsigliata = es. tumore benigno molto
vascolarizzato, che se bucato, fa morire dissanguato il paziente. La risonanza ci fa escludere i
meningocefaloceli = erniazioni del cervello nel naso.

La biopsia serve per attuare le analisi biomolecolari del tessuto per poter attuare un piano di cura
specifico per il paziente; serve un team di diversi specialisti dove ogni persona porta le sue
competenze per offrire al paziente la strategia migliore di cura, in base al grado del tumore, alla
dimensione e al profilo del paziente stesso.

Strategia terapeutica: chirurgia, radioterapia.


-Chirurgia: in passato, molto demolitiva. Recentemente lo sviluppo delle tecniche endoscopiche
endonasali ha permesso di minimizzare l’effetto estetico. L’intervento deve avvenire sempre
asportando tutto il tumore, non per forza in blocco, ma anche spezzettato.
-Tecnica endoscopica: possiamo fare esportazioni endoscopiche di piccole dimensioni
extracraniche, ma anche più estese che toccano il tetto dell’etmoide (asportando la dura madre),
che poi dovrà essere ricostruito.

L’asportazione può essere monolaterale o bilaterale, in base all’estensione del tumore e in alcuni
casi anche in base all’istologia tumorale (se ci sono spot tumorali a distanza, es. melanoma
mucoso, per poterlo asportate totalmente).
Bisogna sempre togliere lo strato successivo al tumore sano, per sicurezza istologica.

Gli approcci esterni (cranio-facciali) sono molto rari poiché solitamente il tumore non arriva mai ad
uno stadio così avanzato, poiché viene individuato prima.

L’intervento chirurgico è sempre il modo migliore per i tumori naso-sinusale? No, bisogna
scegliere il trattamento in base al paziente.

La diagnosi differenziale è molto importante: davanti a un tumore dei seni-paranasali che


sembrano magari uguali, dal punto di vista biologico possono risultare diversi = la biopsia è
fondamentale; sbagliate la diagnosi = sbagliare la terapia. A volte stabilire la diagnosi è difficile.
TUMORI MALIGNI NASO-SINUSALI

Sono un esempio molto utile che noi utilizziamo per spiegare un concetto semplice: le tecnologie
biomediche hanno una azione diretta sull’indirizzare il trattamento del paziente, migliorando le
strategie terapeutiche, consentendo di migliorare anche la prognosi. Tipizzando il tumore
biologicamente, riusciremo a studiare nuove forme di trattamento alternative, mirate, per ogni
paziente. Non sempre tutti i tumori di questo tipo vengono trattati chirurgicamente: dipende dal
tipo istologico.

• Ad alto grado (G3) -> alto indice replicativo, che rispondo bene alle chemioterapie e
radioterapie.
• Grado intermedio (G2) -> chirurgia + radioterapie adiuvanti.
• Basso grado (G1) -> trattati mediante chirurgia.

Ciò che ora inizieremo fare è stratificare i tumori maligni nei vari sottotipi istologici:

CARCINOMA SPINOCELLULARE (SCC): tumore maligno più frequente; coinvolge una


popolazione adulta tra i 60 e 70 anni. I fattori di rischio non sono ben conosciuti (tranne il fumo), la
patogenesi non è chiara. Possono essere trasformazioni maligne di tumori benigni. Due tipi:
1) Cheratinizzante = più differenziato, legato alla differenziazione maligna di un tumore benigno.
2) Non cheratinizzante = sottogruppo piccolo (nel 10/27%), è meno differenziato e dal punto di
vista istologico può essere collegato al papilloma virus umano (HPV), che si identifica nel 40%
dei casi di questi tumori. In alcuni gruppi di tumori di questo tipo, si sa certamente che il virus
sia coinvolto e abbia scatenato la formazione del tumore, modificando il genoma delle cellule.
Molto frequente nei tumori dell’orofaringe. Sono gli stessi ceppi di virus che producono il
carcinoma della cervice uterina.
La quantità di cheratina viene stabilita mediante osservazione istologica.
p16 è un fattore che attiva il segnale pro-oncogenetico, attivando la proliferazione cellulare, dato
dalla infezione di HPV. Quindi questa proteina deve essere sempre indagata in questi tumori.
Due tecniche per capire se è presente HPV nei tumori:
1) Metodica indiretta = più semplice, meno costosa ma non certa -> immunoistochimica. Si può
vedere l’espressione di p16 nell’infezione da HPV, ma anche di altre proteine come
SMARCB1. Questa tecnica combina sia caratteristiche istologiche che immunologiche per
identificare specifiche proteine, mediante una reazione Ac-Ag dove si può marcare con un
colorante la proteina di interesse.
2) Metodica diretta = tramite PCR e FISH, tecniche molto specifiche.
Nei casi in cui il tumore sia ben differenziato, cheratinizzato, solitamente il trattamento sarà di tipo
chirurgico. Al contrario, i trattamenti di tumori poco differenziati e non cheratinizzati saranno
inclusi di chemioterapia e radioterapia.
La chirurgia più porterà alla esportazione, migliore sarà la prognosi. L’estensione della malattia
può dirci anche che tipo di terapia utilizzare = es. se il tumore è molto esteso si preferisce la
radioterapia o chemioterapia.
IMRT: terapia classica per questi tumori, mediante l’utilizzo di fotoni. Molto spesso, questa tecnica
viene usata come tecnica postoperatoria. In alcuni casi si è anche provato ad utilizzare una
terapia partecipate detta IMPT: radioterapia non classica, che non sfrutta fotoni, ma particelle
pesanti di carbonio o protoni. Questo perché con questa terapia si riescono ad ottenere fattori
prognostici migliori, si riesce ad avere un gradiente di dose più elevato (in un punto preciso si ha
tanto effetto, potendo anche aumentare la dose di trattamento, nei punti limitrofi invece non si ha
effetto). Questo viene fatto per ridurre la tossicità delle zone circostanti.
In alcuni casi si può somministrare anche la chemioterapia, che generalmente è una tecnica a
base di platino o texani. Può essere utilizzata per due motivi diversi:
1) Nel setting adiuvante (trattamento somministrato dopo l’intervento chirurgico), insieme alla
radioterapia molto spesso = chemioterapia radiosensitivizzante.
2) Come trattamento neoadiuvante (trattamento somministrato prima dell’intervento chirurgico)
per far rimpicciolire il tumore = solo per tumori di alto grado.
Altro elemento molto dibattuto: tumore del collo, linfonodi del collo originati da altri tumori. Molti
tumori naso-sinusali possono fuggire tramite la rete linfatica e arrivare nel collo e in altri organi a
distanza; perciò prima di procedere con la terapia per trattare un tumore di questo tipo si deve
fare una analisi di tutto il corpo. Solitamente i linfomi del collo originano nel 23% dei casi. Se un
tumore sarà cN+ alle analisi, si dovranno togliere tutti i linfonodi del collo perché saranno presenti
altri tumori a questo livello. In caso invece di cN-, il collo può essere svuotato come prevenzione.
Il trattamento in alcuni tumori ad alto grado e ad alto stadio può essere differente: ad esempio si
accoppia una chemioterapia neoadiuvante, per ridurre il tumore di dimensioni, per poi procedere
con la chirurgia. In questi casi si agisce così in caso il tumore che coinvolga organi nobili.
Una buona risposta alla chemioterapia di induzione (adiuvante) induce una migliore prognosi.
Sopravvivenza intermedia in caso di questi tumori. Il rischio è collegato a recidive locali, a livello
del naso, che possono avvenire nella maggior parte dei casi entro i 5 anni dal trattamento.
Altri metodi meno comuni:
• Target terapy: per bersagliare solo le cellule tumorali che hanno espresso una particolare
alterazione genetica. Per fare questo, si utilizzano Ac monoclonali, creati per attaccare lo
specifico target, rendendo la cellula tumorale visibile dal sistema immunitario.
• Immunoterapy: fondamentale per risvegliare l’immunità innata affinché le cellule macrofagiche si
attivino per riconoscere un tumore. Non uccide il tumore in sé, ma attiva il nostro SI.
Per i carcinomi spinocellulari si è identificata una mutazione di EGFR. È un fattore di crescita.
Esiste un mAc in grado di riconoscere questa mutazione. L’immunoterapia invece targhetta PD-
L1: la cellula tumorale riesce a replicarsi in maniera indisturbata perché sfugge alla sorveglianza
immunologica del SI. Il tumore sviluppa questi Ag di superficie detti PD-L1 che vanno a legarsi a
PD-1, un recettore presente sulle cellule T. Il legame fa sì che la cellula T si inattivi. Impedendo
questa interazione, la cellula tumorale non riuscirebbe più a sfuggire al controllo della cellula T.
Esistono quindi degli mAc che vanno a bloccare il PD-L1, o il PD-1 sulla cellula T.
Ci sono poi anche altri tipi di interazioni oltre a questi visti: es. CTLA4 e CTLA tra il tumore
(melanoma) e la cellula APC.

CARCINOMA INDIFFERENZIATO SINONASALE (SNUC): sono molto rari, colpiscono soprattuto


il sesso maschile. Purtroppo non è presente un fattore eziopatogenetico chiaro. Si riconosce in
più della metà dei casi una mutazione specifica: IDH2; questo gene traduce per una proteina
enzimatica che favorisce la proliferazione cellulare. Quando il gene è mutato, avvengono delle
alterazioni nella maturazione delle fibre collagene e queste alterazioni vanno ad impedire
l’apoptosi cellulare. Le mutazioni di questo gene sono presenti anche in altri tumori, soprattuto nei
gliomi (neoplasia del cervello) e altre neoplasie.
Sono tumori molto aggressivi, possono avere più o meno una differenziazione neuroendocrina.
Generalmente sono tumori molto ampi, estesi, con una tendenza a metastatizzare (soprattuto nel
polmone, ossa e parenchima cerebrale). La diagnosi di SNUC avviene per esclusione: è una
neoplasia così sdifferenziata che ha perso tutti i marker specifici. Nella maggior parte dei casi ha
origine dagli etmoidi. Essendo così aggressivo, si manifesta già con una infiltrazione del
contenuto orbitario, nel seno mascellare e con metastasi linfonodali al collo.
Ha positiva per le pancitocheratine e citocheratina 7. È negativo per altri marcatori, come S100,
tipico dei melanomi.
Alcuni tumori epiteliali scarsamente differenziati perdevano l’espressione della proteina INI1 e la
perdita di questa era associata alla prognosi molto peggiori; si è deciso di separare questi tumori
in una classe specifica -> INI1 deficient.
INI1 è una proteina che fa parte di un complesso detto SWI/SNF complex che regola la
replicazione della cromatina. Durante il ciclo di replicazione, questo complesso agisce sulla
replicazione della cromatica; quando una di queste proteine è mutata, viene alterata la funzione
del complesso in toto = proliferazione cellulare incontrollata.
Davanti a queste neoplasie, il trattamento non è mai chirurgico, ma medico, che va ad agire sulle
cellule altamente proliferanti: chemioterapia di induzione (prima di ogni altro trattamento). Con
questa terapia, il tumore si rimpicciolisce molto. Quando il tumore regredisce ma non scompare
del tutto, il paziente subisce una chirurgia ed una radioterapia ad intensità modulata (66 gray).
Tuttavia, quando si vede che mediante questa radioterapia di induzione la neoplasia risponde
bene, è possibile anche fare un trattamento radiochemioterapico esclusivo (senza operare). Al
contrario, tumori che rispondo alla chemioterapia ma non in maniera brillante, significa che sono
neoplasie poco chemioresponsive = si interrompe la chemioterapia di induzione dopo qualche
ciclo e si procede con un intervento chirurgico e successiva radioterapia.
La radioterapia ad induzione é un fattore prognostico e consente anche di capire perfettamente la
responsività del tumore ai trattamenti.
La radioterapia ad induzione è applicabile a varie neoplasie scarsamente differenziate: in caso di
neoplasie epiteliali e SNUC = schema chemioterapico TPF.
Questi SNUC sono neoplasie a prognosi critica: a 5 anni hanno il 48% di sopravvivenza. Quello
che si cerca di fare è scoprire nuovi marcatori che possono far trovane nuovi farmaci per il
trattamento di queste neoplasie, soprattuto per tumori molto avanzati e metastatici. Ciò che si sta
valutando: HER2; tramite un Ac monoclonale si riesce ad inibire il patway di signaling
intracellulare di HER2 = blocco iperproliferazione.
HER2 induce la proliferazione cellulare. L’Ac contro questo fattore è stato usato nel trattamento
dei tumori alla mammella e si sta cercando di usarli anche per i tumori del massiccio facciale.
Altre molecole che si stanno studiando: p53, oncosoppressore che è presente alterato in
numerose neoplasie. p53 sopprimere la proliferazione cellulare, ma quando è mutato o inattivato
favorisce la proliferazione cellulare. CLCA2 è legato allo SNUC e può essere usato come marker
per tumori che hanno alterata la p53.

CARCINOMA DELLA LINEA MEDIANA (NUT): si sviluppano nella linea mediana, spesso con
differenziazione squamosa. La diagnosi si basa su una proteina di fusione: legata alla proteina
NUT, è un gene patologico che normalmente non è presente. Può colpire pazienti giovani,
sopravvivenza bassissima, colpisce principalmente le donne. Eziologia sconosciuta. La proteina
NUT è generata da una traslocazione cromosomica tra cromosoma 15 e 14 = gene BRD3 si fonde
con altri geni, creando un gene chimerico che codifica per questa proteina. Questa proteina NUT
è una proteina che farà replicare la cellula più in fretta, promuovendo la trascrizione.
Il tumore coinvolge il setto nasale, sulla linea mediana.
La diagnosi si basa sulla istologia, ossia sulla osservazione microscopica dei vetrini mediante
colorazione; si nota positività per le panciocheratine, CK5/6, p63 e p40.
Trattamento chirurgico seguito da radioterapia: la prognosi però è inferiore all’anno (9 mesi). Il
30% delle persone sopravvive per due anni, dove la morte é causata da metastasi sistemiche.
Dal punto di vista del trattamento, si stanno trovando strategie terapeutiche alternative che si
basano su BET inibitori e bromo inibitori. Al momento, queste terapie si possono somministrare
solo su trial clinici specifici.
Il bromo dominio può essere bloccato da un farmaco, impedendo l’interazione tra gruppi acetilati
= blocco della trascrizione dell’elica.

ADENOCARCINOMA (ADC): uno dei più frequenti nei paesi mediterranei, in Sud Europa. Due
classificazioni:
• Non intestinal type (NON ITAC) = architettura più diffusa dove non ci sono estroflessioni sulla
membrana. Neoplasia molto rara e differenziato in alto grado e basso grado. Non ha un agente
eziologico certo. Positività per citocheratina 20.
• Intestinal type (ITAC) = molto diffuso, uno dei pochi tumori massiccio facciali che ha eziologia
nota; è causato nel 100% dei casi dall’esposizione a polveri di legno, cuoio e solventi delle colle
usate nei calzaturifici. Queste polveri si depositano nella mucosa degli etomoidi, vengono
inglobati da questa e nella mucosa scatenano una risposta infiammatoria cronica che va ad
attivare le GFR (grow factor epiteliale). p53 = essenziale ruolo, attiva un signaling pro
oncogenetico nella cellula perché blocca l’apoptosi. Il p53 è un marker importante per la
selezione della terapia: quando la p53 è mutata, la possibilità di risposta alla chemioterapia sarà
poca; nel 20% dei pazienti in cui la p53 è ancora funzionante, il paziente risponderà bene alla
chemioterapia. Essendo una esposizione occupazionale, nella maggioranza dei casi, il tumore di
sviluppa bilateralmente. É un tumore che da segno di se molto tardivamente, quando il paziente
ha un blocco della respirazione da una narice oppure quando l’occhio viene esposto all’esterno
(apoptosi orbitaria). Nelle industrie che si occupano di pelli, cuoio, legname, vengono fatti
controlli obbligatori; gli operai vengono sempre forniti di mascherine per lavorare. Gli ITAC
hanno una differenziazione in base al grado di malignità = diversi livelli di aggressività biologica.
Più il tumore è sdifferenziato, più è maligno. La prognosi é influenzata anche dalla architettura
delle cellule, non sono dallo sdifferenziamento: architettura papillare, colonnare, solido,
mucinoso. La variante “signet-ring” ha una sopravvivenza dello 0%. Trattamento: generalmente
i tumori a basso grado possono essere trattati tramite intervento chirurgico. Quando il tumore è
in stato avanzato e più aggressivo, oltre al trattamento chirurgico, si attua radioterapia. Nei
tumori in stadio avanzato che hanno il p53 wilde-type, il trattamento si basa su una
chemioterapia di induzione (schema PFL). La chirurgia è molto difficile: oltre alla massa tumorale
che deve essere tolta, anche le mucose possono avere piccole alterazioni (lesioni
preneoplastiche). Ecco perché l’operazione chirurgica è più aggressiva del normale, asportando
entrambi di etmoidi e tutte le mucose. I patway MET, RAS, EGFR sembrano avere un ruolo nella
terapia in caso di metastasi e recidive: immunoterapie che vanno a lavorare sul MET (oncogene
intracellulare), che può essere riattivato perché la mutazione di questo gene blocca il
reclutamento delle cellule T e i neutrofili. Andando a risvegliare MET, si migliora la risposta
infiammatoria. Questi farmaci sono già in utilizzo per il carcinomi del polmone e potrebbero
venire usati anche per queste neoplasie. Prognosi: più il tumore è grande, più la prognosi sarà
peggiore. Il tumore raramente metastatizza a livello del collo ed è più frequente che metastatizzi
a livello delle meningi.
La membrana del tumore ricorda i villi intestinali, quindi a seconda che si producano questi
peduncoli o meno il tumore viene così classificato.
In entrambi i casi, le localizzazioni sono sull’etmoide. Molto spesso sono tumori bilaterali, che
colpiscono entrambe le narici.

MELANOMA MUCOSO: sottotipi istologico a prognosi peggiore, perché ha una aggressività


molto elevata (peggiore anche rispetto al melanoma cutaneo). Questo melanoma, che insorge
nelle mucose naso sinulali, non è indotto dalla esposizione al sole. I melanociti sono cellule che
pigmentano la cute e le mucose. Il melanoma mucoso rappresenta l’1% dei melanomi e il 4% dei
melanomi naso sinusali. Nel 67% dei casi è presente la mutazione del gene BRAF nei melanomi
cutanei. Altre mutazioni presenti nei melanomi sono KIT, RAS, sopratutto in quelli mucosi. Le
mutazioni fanno generare una proliferazione eccessiva delle cellule. Esistono farmaci che
bloccano selettivamente le cellule che portano questa mutazione, quindi sapere se è presente la
mutazione o meno fa capire se il paziente risponderà o meno al farmaco.
Il melanoma mucoso nasce sopratutto nelle cavità etmoidali; dal punto di vista
immunoistochimico sono positivi i marcatori S100, SOX10, HMB45 ecc…
Il melanoma mucoso é così aggressivo che la associazione scientifica che crea le TNN, ha deciso
di omettere il T1 e T2 per classificare questo tumore, perché come minimo il tumore è nello stadio
T3. T3 si classificano i tumori che invadono l’epitelio della mucosa.
Come trattare questi tumori? L’intervento chirurgico è il trattamento scelto, più o meno associato
alla radioterapia. Questo tumore però è radioresistente ai fotoni, quindi si cerca di somministrare
un trattamento più efficace. In particolare, le irradiazioni con ioni carbonio pesanti. Questo tipo di
intervento chirurgico con la radioterapia è efficace nel migliorare il controllo locale della malattia,
ma ha un impatto molto limitato sulla sopravvivenza globale. Si riesce solitamente ad ottenere che
il tumore non dia recidive a livello locale, ma il paziente può comunque andare in contro a
metastasi sistemiche. La tendenza a metastatizzare, per questi tumori, è molto alta.
Servirebbero trattamenti sistemici che vadano a lavorare su tutte le cellule del corpo, cercando di
migliorare i tassi di sopravvivenza. Si sono usati trattamenti differenti con decarbazzina ad
esempio, con scarsi risultati. Servirebbero altri farmaci sistemici che vadano a bloccare la
metastatizzazione, in base al profilo molecolare della patologia. Si cercano farmaci che blocchino
cellule tumorali con particolari mutazioni, in particolare nelle cellule con mutazione di KIT e RAS si
possono usare farmaci inibitori, oppure in alcuni casi si possono usare i MEK inibitori, bloccando
la trasduzione del segnale. Questi punti convergono molte linee cellulari, quindi con farmaci
monoclonali si possono bloccare MEK e quindi meccanismi cellulari a monte. In alcuni casi si può
anche bloccare la patway di mTOR.
Altra possibilità terapeutica: immunoterapia -> ipilimumab e nivolumab. Questi anticorpi bloccano
CTLA-4 e PD-L1, presenti sui linfociti. Mediante il primo anticorpo, il marker CTLA-4 non si lega
alla cellula APC, che si attiva e riesce a presentare l’Ag al linfocita T. Secondo meccanismo dato
da interazione PD-1 e PD-L1: il PD-L1 si lega al PD-1 sul linfocita T, impedendo che si attivi.
Usando il farmaco, si blocca il PD-L1, che non potrà legarsi sul linfocita T, il quale sarà libero di
attivarsi. É indispensabile in questi tumori usare entrambi i farmaci, per permettere l’attivazione
del linfocita T (double checkpoint inibitors). Con questa terapia, si riducono i tassi di
metastatizzazione.
La sopravvivenza nei 5 anni, in quattro casi su cinque, sarà negativa portando il paziente alla
morte (sopravvivenza del 20%). Colpisce sopratutto i pazienti giovani.

CARCINOMA ADENOIDO-CISTICO (AdCC): é un carcinoma che origina dalle ghiandole salivari


minori, che sono puntiformi e tappezzano tutte le mucose delle vie respiratorie superiori. Dalle
ghiandole possono originare questi carcinomi, l’eziologia è sconosciuta. Dal punto di vista della
diagnosi: MYB-NFIB, nel 50/60% dei casi. È una proteina di fusione che fa crescere la cellula,
stimolando la replicazione cellulare. Dal punto di vista della prognosi, sono presenti delle metallo
proteasi che sono proteine associate alla adesione cellulare e la migrazione cellulare. Le proteine
aiutano le cellule tumorali a migrare e diffondersi, in particolare modo, le 9 e 15 quando sono
molto espresse nel tumore, sono associate ad una prognosi peggiore. Queste metallo proteasi
aiutano il tumore a sfuggire lungo le guaine dei nervi (diffusione perineuronale). In questo modo, le
cellule fuggono dal compatimento naso sinusale verso il cervello, il collo e provocando così
metastasi sistemiche. Correndo lungo i nervi cranici, il tumore raggiunge il seno cavernoso e poi
raggiunge il cervello. Da qui, il tumore può diffondersi nei vasi sanguigni.
Le metallo proteasi 7 e 25 sono associate ad una prognosi migliore.
Secondo la classificazione di Perzin, ci sono tre varianti:
1. Variante cribrinosa= prognosi intermedia, aree vacuolate.
2. Variante tubulare = prognosi migliore, strutture fatte a dotti con un piccolo lume centrale che
contiene una sostanza mucinosa.
3. Variante solida = elevato numero di mitosi cellulare ed elevate massa di cellule tumorali.
Estese aree di necrosi, è il sottotipo con prognosi peggiore.
Tutte e tre le componenti nella maggior parte del caso convivono nel tumore, ma con percentuali
differenti: quando la componente tubulare è predominante, si ha una prognosi migliore ad
esempio. Quando la componente solida é maggiore del 30%, la prognosi è peggiore.
Dal punto svista immunoistochimico, riconosce positività per CD117 e p63.
Trattamento: chirurgia e radioterapia; ha dei risultati limitati e poco incoraggianti.
L’intervento chirurgico deve essere eseguito per asportare tutta la massa tumorale, il trattamento
radioterapico é migliore se di tipo ione carbonio (poiché il tumore é radioresistente). Ciclotrone =
acceleratore di particelle enorme per produrre le particelle pesanti. Problema della radioterapia =
elevato rischio di radionecrosi a distanza (tardive): dopo qualche anno dal trattamento, il paziente
può sviluppare delle necrosi nelle ossa e nel cervello. Le aree in necrosi perdono la
vascolarizzazione, il trofismo cellulare e sono quindi esposte ad elevato rischio di infezione.
In alcuni casi, il trattamento chirurgico serve anche per gestire complicanze, come nel caso della
necrosi -> bonifica dei tessuti necrotici.
Esistono anche altre possibilità terapeutiche con farmaci: la chemioterapia è poco efficace, non ci
sono farmaco in grado di prevenire le metastasi sistemiche. Come chemioterapia quindi i risultati
sono scarsi. Target terapy: non si hanno grandi risultati, perché i tumori con mutazioni, come c-
Kit, sono pochi e hanno risultati poco soddisfacenti. Sono stati usati farmaci che bloccano i fattori
EGFR, ma i risultati sono stati poco soddisfacenti.
Sono in corso altri studi per valutare la presenta di cellule staminali del cancro, sarebbero un
ottimo modello per studiare i patway cellulari. Ad oggi, gli studi sono ancora in corso. La proteina
MYB sembra interessante, come anche NOTCH1.
Altre possibilità: immunoterapia anti PD-L1 e CDLA-4.
Ciò che sta emergendo è la possibilità di creare un vaccino contro le cellule staminali del cancro,
andando a far iperesprimere MYB in modo poi da attivare il sistema immunitario. Vengono
iniettare queste cellule iperespresse, per poi poterle far riconoscere dal SI.
Sopravvivenze critiche: più o meno intorno al 66% a 5 anni.
Altro elemento importante: recidive molto tardive; queste neoplasie crescono lentamente e si
sono osservate recidive anche dopo 10 anni. Il paziente quindi deve essere controllato per tutta la
vita. La sopravvivenza a 10 anni cade al 40%. I pazienti colpiti sono prettamente giovani.

Particolare carcinoma adenoido-cistico: multifenotipico HPV related. Non presenta MYB o NFBI.
Sembra un carcinoma nella variante solida, ma la assenza di MYB e NFIB, e la presenta constante
di HPV (di tipo 33, 35, 52, e 56) nella patogenesi, ha fatto sì che questo tipi di tumore venga
considerato come una entità separata. È un tumore molto raro. La terapia: chirurgia e
radioterapia.

TERATO CARCINO-SARCOMA (TCS): neoplasia maligna con caratteristiche combinate tra


teratoma e carcinosarcoma, che non presenza la componente germinale. Colpisce anziani,
eziologia sconosciuta. In alcuni casi, è presente la perdita di SMARCA4, che fa parte del
complesso coinvolto nella replicazione della cromatina. Le cellule tumorali presentano una
trisomia del segmento P del cromosoma 12, altro elemento distintivo. Il tumore si localizza nelle
cavità nasali e può spingersi nelle fosse craniche nel 20% dei casi. Dal punto di vista istochimico
è difficile da differenziare, perché presenta elementi non epiteliali e matrice a rosette come il
teratoma, difficile da differenziare anche dal sarcoma e anche altri carcinomi. Terapia: intervento
chirurgico e radioterapia. In alcuni casi, quando il carcinoma è scarsamente differenziato, si può
aggiungere anche un trattamento chemioterapico. Il tasso di sopravvivenza é poco: i tassi a 2
anni sono dal 45 a 60%. Rischio di recidiva del 33% e rischio di metastasi del 10%.
Quando la malattia é metastatica, si cercano altre terapie: in particolare modo, sono stati
analizzati vari tipi di alterazioni molecolari, come la espressione e la mutazione della beta
catenina, proteina coinvolta nella attivazione di mTOR. Si possono somministrare farmaci che
blocchino questi patway ma non sono ancora presenti in commercio.

TUMORI MALIGNI DI ORIGINE MESENCHIMALE:

CONDROSARCOMA: origina principalmente da cartilagini ialine, colpisce pazienti anziani, no


fattori eziologici. In questi tumori si notano proteine di fusione che si generano per traslocazione
cromosomica tra due segmenti del cromosoma 8 = HEY1-NCOA2. La fusione viene evidenziata
con la tecnica FISH. Il tumore può originare a livello del naso, nel setto nasale, sulla cartilagine,
ma anche nella volta del naso. Dal punto di vista istologico, si manifesta con cellule condrociti
sparsi, con espressione molto diffusa di D2-40. Terapia: intervento chirurgico e radioterapia. In
casi rari (condrosarcoma scarsamente differenziato), si può anche somministrare la chemioterapia
adiuvante, seguita poi dai trattamenti classici. La prognosi dipende da due fattori:
• Ad alto o basso grado.
• Dai margini di intervento.
INTRODUZIONE

Tecnologie applicate in ortopedia: protesi, come si consuma, come si fissa, mezzi di sintesi.
Le protesi si impiantano per sostituire qualcosa che non funziona più. Dobbiamo sostituire la
zona per garantire la funzione di ciò che sostituiamo.

Uomo bionico: non arriviamo ad avere una intima relazione con le macchine, è un successo
cinematografico, non esiste davvero. Ci sono delle protesi di arto che possono essere modulate
tramite un controllo elettronico.
L’uomo bionico è un essere che può avere una serie di dispositivi artificiali, per ridare la funzione
al determinato ristretto. Noi ci interessiamo delle protesi ortopediche: protesi articolari ->
sostituendo una articolazione, mezzo di sintesi, utilizzando viti diverse, ingegneria tessutale,
usando cellule staminali per poter produrre un filo cellulare che va a stimolare la copertura di
tessuti danneggiati.

Protesi in ortopedia: sono state fatte per ridare la funzione a quella articolazione malata e togliere
il dolore ai pazienti. Dietro alle protesi c’è una ingegneria -> ingegnere e medico collaborato per
ottenere dispositivi che possano durare il più a lungo possibile (fissa all’osso).

Articolazione: mette in comunicazione due epifisi di ossa che generano movimento. I muscoli si
inseriscono nell’osso e contraendosi fanno muovere l’articolazione. Nell’articolazione abbiamo
quindi due epifisi che si contrappongono. L’articolazione é composta da due capi articolari.

Come chiamiamo le protesi:


1) Parziali = sostituiscono una parte dell’articolazione, sostituiscono un solo componente
articolare. Sono chiamate anche endoprotesi. La protesi é all’interno dell’articolazione.
2) Totali = sostituiscono tutta l’articolazione, entrambi i capi articolari. Sono chiamate anche
artroprotesi.
3) Unicompartimentali = nel ginocchio, sostituisce solo un compartimento. Tracciando una linea
verticale nel ginocchio, questo è comporto da due compartimenti esattamente uguali. Sono
delle protesi totali, poiché sostituiscono in parte entrambe le componenti articolari.
4) Ad ampia resezione = sono delle protesi usate per grossi traumi o grosse patologie
neoplastiche (femore). Sostituiscono un pezzo di osso. È una artroprotesi, ma può essere
endoprotesi a livello dell’anca.

PROTESI PARZIALI: es. endoprotesi di spalla, femore, anca.

PROTESI TOTALI: es. anca. Nella caviglia, sia la stragalo che il femore sono rivestiti.

In ortopedia si fanno molte protesi: il 90% sono protesi di anche e ginocchio, con una leggera
prevalenza dell’anca.

Protesi cementata e non cementata: fissa o meno all’osso. Nelle protesi non cementate l’osso
cresce sulla protesi senza essere fissato.

La protesi deve ridare movimento: per questo motivo, la protesi deve essere fatta di materiale che
non si consuma, in modo che la vita media della protesi sia lunga. Ad oggi, dopo 15 anni, la
protesi è ancora per il 90% funzionante.

Indicazioni di una protesi: si attuano nelle artrosi, nelle fratture, in patologie varie che coinvolgono
le articolazioni.
Non si attuano quando si hanno infezioni, gravi patologie neuromuscolari, pazienti non
collaboranti.
FISSAZIONE NON CEMENTATA

Nelle protesi non cementate, i metodi sono due:


1) Osteointegrazione = sfruttiamo le capacità del materiale di crescere sulla protesi, di
stabilizzarla e fare un tutt’uno con l’osso.
2) Cemento acrilico (PMMA) = resina che si indurisce che cementa la protesi e crea ponti tra
osso e protesi. Fissazione immediata.

L’obiettivo è ottenere una fissazione rigida e permanente il più possibile per far sì che il paziente
possa tornare alle sue normali attività di vita.

Osteointegrazione: fu definita nel 1983 da un autore scandinavo che era un odontoiatra. La


definizione è microscopica; capacità di avere in microscopica ottica un contatto diretto tra osso e
protesi. Il fattore più importante nella determinazione dell’osteointegrazione è la qualità del
materiale: se uso un pezzo di acciaio, di avorio, di legno, l’osso non riuscirà a crescere su questo
materiale.
Quando mettiamo una protesi non cementata, nell’osso creiamo un danno = buco, che viene
riempito dalla protesi. Il buco crea delle microfratture nell’osso, e il loro effetto comporta ad una
reazione che produce osso per riparare il danno.

Quando parliamo di osteointegrazione dobbiamo distingue due fasi diverse:


1) In sala operatoria devo ottenere una fissazione primaria = meccanica, cioè devo ottenere una
buona stabilità, il mezzo utilizzato deve essere molto incastrato nell’osso. L’incastro sarà
legato principalmente al design della protesi.
2) Fissazione secondaria = biologica, l’osso cresce sulla protesi in modo ben adeso. In questa
fase, tutto dipende dal materiale e dalla superficie della protesi.
La fissazione primaria é quella che otteniamo in sala operatoria ed è caratterizzata dagli aspetti
geometrici, di design della protesi e sono prerequisiti fondamentali per la fissazione secondaria.
Se la protesi non fosse adesa e continuasse a muoversi, l’osso non crescerebbe e verrebbe
distrutto ogni volta. Il processo con cui la protesi si integra è simile al processo di guarigione di
una frattura. Stabilità primaria significa assenza di movimento tra impianto e tessuto osseo
circostante.

Lavori che hanno dimostrato come la presenza di micromovimenti ha caratterizzato la qualità del
tessuto osseo che si forma sulla protesi; quanto più piccolo è il movimento, si ha una interfaccia
ossea. Più è ampio il movimento, più si forma tessuto cicatriziale e non osso.

Design dello stelo di una protesi? La protesi non deve avere micromovimenti.
Questo può essere fatto mediante un incastro per punti: immagino di mettere in
un osso qualcosa che sia quadrato, o comunque che si possa incastrare bene +
viti. Questo design viene detto filosofia per “fit” = incastro. Esistono degli steli che
hanno questa metodica di fissazione incastrandosi a livello dell’osso grazie alla
forma per creare contatti per punti. Indipendentemente dalla forma dell’osso,
questo avviene.
Altro meccanismo per cercare stabilità meccanica: riempire
completamente il canale creato nell’osso. Uno stelo che la stessa
forma del canale, lo riempie e non si muove. Questa capacità è detta “fill”. Questo
stelo avrà una sezione più o meno rotonda e riempie tutto il canale.

Differenza sostanziale: nel “fit” la protesi può essere dritta, retta, deve garantire un
incastro e quindi non c’è un destro o un sinistro. Nel “fill” la protesi è anatomica,
perché presenta le stesse caratteristiche anatomiche del femore, quindi lo stelo se
deve seguire la curvatura dell’osso sarà diverso per il femore destro e sinistro.

La protesi anatomica riempie e quindi si ha maggiore stabilità, mentre nell’altra è possibile che ci
siano angoli vivi aggiuntivi che possano determinare un incastro nell’osso per ottenere una
stabilità massimale. Le protesi anatomiche si basano sul concetto del riempimento completo del
canale femorale, la zona prossimale, mentre quelle rette ricercano un fit prossimale mediante un
contatto per punti.
Negli steli retti la forma é spesso a cuneo, da una parte più grossi e da una parte restringono e
spesso hanno spigoli vivi per ottenere stabilità meccanica. Mentre la protesi anatomica riempie
completamente l’osso.

Si preferisce utilizzare maggiormente le protesi rette, poiché le protesi anatomiche possono fare
una problematica: impianto un materia in un osso, quindi si dovrebbe parlare di coefficiente di
elasticità. Un ingombro completo nel femore cambia radicalmente il coefficiente per la parte
prossimale dell’osso. Un ingombro parziale è meglio tollerato.

Andiamo al cotile -> per la fissazione non cementata abbiamo due opzioni:
1) Emisferico = fatto a mezza sfera. Come si può ottenere stabilità? Si ottiene con il precarico
dell’osso, in cui il cotile è leggermente sovradimensionato rispetto al buco dell’osso. Quando
vado a impattare con il martello, sfrutto l’elasticità dell’osso che si allarga leggermente per poi
richiudersi e stabilizzate la protesi. In più, a volte, nel cotile ci sono dei buchetti che possono
essere usati per inserire delle viti per completare la stabilità. Solitamente però si utilizzano
materiali porosi che hanno un alto coefficiente di attrito. Oggi vengono usati cotili in materiale
trabecolari.
2) Avvitato = fatto a trapezio con delle alette che viene avvitato nel cotile.
I più utilizzati sono i cotili emisferici, poiché quello avvitato se si muove continua a scavare
nell’osso.

La stabilità biologica, secondaria, si ottiene a distanza. Se la stabilità iniziale sono le radici di un


albero, la stabilità biologica è l’albero cresciuto. Ciò vuol dire che la stabilità secondaria è
garantita dalla stabilità meccanica, ma dipende dal materiale impiantato. Si ottiene in alcuni mesi
ed è dovuta all’integrazione tra protesi e osso. Se si sbaglia la scelta del materiale, non si può
ottenere osteointegrazione. La superficie deve avere un coefficiente di rugosità.

Per quanto riguarda la superficie, non esiste una superficie liscia negli steli non cementati.
Possono essere porose o rugose. Queste danno una reazione ossea diversa:
1) Nella protesi porosa, la crescita dell’osso avviene dentro la protesi. La protesi può presentare
sulla superficie delle palline, a volte si utilizzano delle reti, a volte il materiale è già trabecolato.
Questo permette all’osso di insinuarsi nella protesi, tramite i pori.
2) Nelle protesi rugose, la crescita dell’osso avviene sopra la protesi.
La differenza tra le due é solo a livello istologico, microscopico.

Materiale della protesi: ce ne sono molti


1) Cromo cobalto = oggi non è più così utilizzato perché ha un coefficiente di elasticità molto
alto, e non ha capacità di biointegrazione -> devo mettere tante sfere. Viene utilizzato
soprattuto per protesi cementate.
2) Titanio = coefficiente di elasticità più alto dell’osso, ma abbastanza basso, e resiste alla
corrosione. Oggi viene fatto trabecolare ed è molto utilizzato. Posso rivestire questo materiale
con l’idrossiapatite che è un costituente dell’osso -> integrazione maggiore.
Il problema dell’idrossiapatite: nello stelo da una integrazione del 60%, nel cotile non ha una
fissazione così importante. Il cotile poi ha un problema di movimento maggiore, quindi può
slaminarsi facilmente.

Oggi la scelta è quella di mettere un materiale trabecolare e rivestirlo di idrossiapatite.


MATERIALI TRABECOLARI

Sono stati utilizzati soprattutto a livello del cotile, perché nello stelo il titanio, anche semplice, fa
un buon risultato.

Cotile: per ottenere una buona fissazione del cotile, che da più problemi, si ha bisogno di un
materiale con caratteristiche ancora migliori di quello dello stelo.

Presa -> posso preparare bene il cotile per ottenere un buco preciso, ma le alterazioni anatomiche
a volte non lo permettono. Come migliorare la presa del materiale sull’osso? Il coefficiente di
presa è un rapporto tra la forza di scivolamento rispetto al carico applicato sulla superficie. Se il
materiale ha un forte coefficiente di frizione, una volta posizionato non si muove. La superficie
ideale si pensava che potesse essere uno scaffold tridimensionale di titanio poroso e ruvido. Sfere
esagonali (= porose) e ruvide.

Il materiale che si sceglie per il cotile:


1) Acciaio, nessuna integrazione.
2) Cromo cobalto, 6% di integrazione.
3) Titanio.
4) Tantalio poroso = fa parte della terra rara, come il titanio. Integrazione del 90%.
Il coefficiente di elasticità è molto alto nel cromo cobalto, la metà nel titanio e nel tantalio diventa
molto basso perché riesco a diminuire lo spessore del cotile, che diventa più elastico.

Oggi si utilizza molto il tantalio poroso, a causa della sua integrazione massiva e un fit notevole.

Altro materiale molto utilizzato -> Titanio trabecolare = come il tantalio ha una alta porosità, l’osso
può stabilizzate l’impianto molto bene. La crescita dell’osso avviene sia fuori che sopra la protesi.

Quando più il materiale ha un coefficiente di attrito importante, tanto meno le viti vengono
utilizzate.
ACCOPPIAMENTO TESTINA-COTILE

Rapporto tra testa della protesi e cupola acetabulare. È importante parlane poiché a questo livello
avviene l’usura della protesi. Oggi come accoppiamenti si utilizzano solamente ceramica
polietilene e ceramica ceramica. Questo perché se si parla del punto dove avviene il movimento,
cambiare gli accoppiamenti é legato a trovare un accoppiamento che si consuma poco. Gli
accoppiamenti duri non si usano più.

I fattori meccanici dell’impianto e i fattori biologici determinano una reazione = detriti che si
accumulano sempre più. Quando queste reazioni vengono scatenate, verrà riassorbito l’osso
attorno alla protesi e la protesi si mobilizzerà.

Alla base di tutto c’è il movimento: la protesi a sinistra è quella di prima generazione, quella a
destra è ancora precedente, che ha determinato una completa crescita di osso attorno alla
articolazione che determina la immobilità dell’arto.

Quantità di particelle asportate in un anno: passando da accoppiamenti duri a quelli usati oggi, si
passa da 0,1 mm all’anno a 0,001. Per diminuire ancora di più i detriti prodotti, si possono anche
migliorare le caratteristiche del polietilene, oltre a migliorare gli accoppiamenti.

Accoppiamenti:
• Metallo polietilene = semplicità costruttiva, molto economico (si possono sostituire le testine) ed
essendo il polietilene deformabile si può adattare ad inclinazioni sbagliate della coppa.
• Ceramica polietilene = uguale.
Il vantaggio di usare il polietilene è che si deforma più dei materiali duri, e concede delle magagne
nel posizionamento del cotile. Se invece si usano materiali duri, questi possono determinare dei
picchi di stress in determinati punti che possono dare un fallimento della protesi.

I detriti di polietilene: hanno una caratteristica birifrangente alla luce polarizzata.


Da un punto di vista istologico, la cellula riconosce la particella estranea: essendo plastica, però, i
macrofagi fagocitano i detriti ma non li eliminano. Arrivano allora delle cellule giganti polinucleate
che cercano di distringere il materiale, non riuscendoci, e determinando molta morte cellulare.
Oltre agli enzimi lisosomiali nei macrofagi, sono presenti stimoli chemotattici che attivano una
cascata biologica determinando un assorbimento di osso.

• Ceramica ceramica = se non è impiantata bene, essendo fragile, può rompersi. Produce pochi
detriti e piccoli, che causano sempre il riassorbimento di osso.
• Metallo metallo = non c’è il rivestimento di polietilene, la coppa aumenta tantissimo le
dimensioni della testa. I problemi: gli svantaggi sono i costi e una possibile cancerogenicità dei
residui. È stata descritta anche una reazione allergica con creazione di masse = pseudotumor.
Deve esserci una ottima congruenza tra la testa e la protesi: non è un materiale deformabile. Si
possono avere mal congruenza tramite un accoppiamento troppo stretto oppure un
accoppiamento troppo largo tra testina e cotile.
FISSAZIONE CEMENTATA DELLA PROTESI

Sono quelle protesi che vengono utilizzate mediante l’uso di un polimero detto PMMA. Oggi la
fissazione non cementata è il metodo preferito. Gli unici paesi che ancora utilizzano il metodo
cementato sono gli scandinavi e gli inglesi.

Quando parliamo di cemento, dobbiamo dire come è fatto: è un polimero, che in sala operatoria
viene miscelato, ed è composto da una parte liquida e solida che mischiate insieme solidificano
polimerizzando in modo solido e stabilizzando la protesi. Se paragoniamo le due componenti,
nella polvere ci sono delle particelle di PMMA semplici, mentre nella parte liquida ci sono degli
attivatori della reazione con dei monomeri = polimeri semplici + monomeri -> polimero
complesso, cioè il cemento. Nella parte liquida si possono aggiungere dei fattori, come qualcosa
di radiopaco in modo che il cemento venga visto alle radiografie. In alcuni casi possono essere
inseriti degli antibiotici per la cura soprattutto delle infezioni dell’osso. La scelta di ciò che si
inserisce nella parte liquida deve essere mirata e attuata a livello industriale, perché il cemento
deve mantenere le sue caratteristiche meccaniche.

La fase di preparazione del cemento è composta da più fasi: i primi due minuti vengono
mescolate le due parti (solide e liquide) in modo che il cemento abbia una certa consistenza,
dopo di che si hanno dei minuti di lavorazione per pulire gli eventuali eccessi di cemento. In totale
l’operazione dura 15 minuti. Durante la polimerizzazione si ha una reazione esotermica, che può
determinare delle complicanze importanti = bone cementic implantation sindrom (aumenta la
pressione sanguigna).

Esistono dei fattori che possono condizionare la resistenza e la durata del cemento:
1) Temperatura del locale dove viene conservato e della sala operatoria;
2) Età del cemento;
3) Quanto tempo il cemento è stato conservato prima dell’impianto;
Alcuni fattori si possono però controllare mediante la tecnica chirurgica: per cercare di ottenere
qualcosa che sia il più resistente possibile, il manto di cemento deve essere il più standardizzato
possibile = se da una parte è più spesso e da una più sottile, si hanno alterazioni della meccanica.
Sono state introdotte delle modifiche per standardizzare la metodica di cementazione. Tra i fattori
controllati si ha la inclusione di sangue nel tessuto, poiché il sangue potrebbe creare delle bolle
nel cemento; lo stesso vale per le bolle d’aria. Può essere controllato anche quale antibiotico
inserire nel cemento; oggi la modalità di preparazione sottovuoto del cemento è quella migliore.

Generazioni di cementazione: nel tempo si è passati a una serie di generazioni in cui si sono
migliorate le caratteristiche del cemento. Le caratteristiche intrinseche del cemento non possono
essere modificate dal chirurgo, ma le tecniche di cementazione moderna sono invece ad opera
del medico operante. La cementazione può essere usata sia a livello dello stelo che
dell’acetabolo, anche se sull’acetabolo difficilmente viene utilizzata. La cementazione nello stelo
dipenderà: dal tipo di protesi, poiché in questo caso non si deve ricorrere alla integrazione ossea
quindi la superficie della protesi sarà liscia, dalla tecnica chirurgica per preparare al meglio la sede
dell’osso e da come si mette il cemento.
Queste tecniche di cementazione negli anni sono migliorare: oggi siamo arrivati alla IV/V
generazione.
• I generazione: il primo che iniziò a parlarne fu Charnley -> lui metteva uno stelo in acciaio,
preparava una resina acrilica che introduceva manualmente mediante la tecnica di finger
packing = prendeva il cemento e lo spingeva dentro l’osso, non si aveva una corretta
distribuzione del cemento.
• II generazione: si è pensato che il cemento doveva andare solo lungo la protesi, poiché deve
fissare semplicemente la protesi. Sono nati i plug, che sono dei tappi che servono per chiudere
il canale osseo per ottenere così una camera dove disporre meglio il cemento. Si iniziò a lavare
tanto l’osso poiché il cemento si interdigita a livello dell’osso, quindi quanto è più pulito tanto
più il cemento può entrare meglio. Si iniziò anche a migliorare la modalità di preparazione del
cemento: preparato manualmente, con ancora il rischio di bolle di aria, ma veniva pressurizzato
tramite una siringa per via retrograda.
• III generazione: cosa è stato aggiunto? Miglioramento della preparazione del cemento poiché
era l’unico fattore che poteva essere migliorato. Si lava sempre più accuratamente la sede e il
cemento viene preparato sottovuoto = la fiala del monomero viene rotta nella polvere e viene poi
tutto mescolato sottovuoto. Tutto ciò viene pressurizzato tramite la siringa.
La cementazione ottima = tra cemento, osso e protesi si ha una visione bianca totale ai raggi.
• IV generazione: la posizione dello stelo viene variata, in modo tale che sia più al centro
possibile. Questo consente che quando viene messo lo stelo, esso possa essere centrato nel
canale femorale mediante centratori prossimali e distali = manto simmetrico, spessore del
cemento uguale su tutti i lati.
Quando si deve cementare una protesi? Oggi si cementano il 25% delle protesi. La risposta è
nella osteointegrazione: nelle protesi non cementate l’osso deve crescere sulla protesi, quindi in
caso il paziente abbia un osso scadente, che si sbriciola, si predilige usare una protesi cementata.
Il fattore discriminante è l’età biologica del paziente. Altra caratteristica da tenere in
considerazione è il sesso: le donne in menopausa vanno in contro ad osteoporosi. Esiste anche
una forma senile di osteoporosi, che quindi colpisce ambo i sessi ed è legata all’età.

Oggi esistono dei registri nella chirurgia protesica, in modo da poter fare delle statistiche. Lo stelo
cementato di solito si utilizza negli over 75/80. Di solito, in seguito alla rottura del collo del femore,
causato dall’osteoporosi negli anziani, si usa una protesi cementata.
USURA DELLE PROTESI

Usura: asportazione meccanica di particelle a livello del materiale. È l’asportazione da parte della
testina, in caso di protesi d’anca, di particelle di polietilene.
L’usura si verifica a livello delle superfici di scorrimento: non si vedrà usura dove si ha fissato lo
stelo, poiché non dovrebbe esserci movimento.
La testa della protesi non risulta più simmetrica rispetto alla misura della coppa.

Esistono dei fattori meccanici correlati all’impianto, e biologici correlati al fatto che l’impianto è
presente nel nostro corpo.

Meccanismi di usura:
1) Abrasiva = es. quando con carta vetrata di asporta materiale dal legno. Può essere legata sia
a piccole asperità di una delle due superfici oppure in caso qualche altro corpo si interponga
tra le due superfici, creando una superficie più erosiva. I frammenti sono piccoli.
2) Adesiva = tipicamente nelle protesi superiori di scorrimento circolari (nel ginocchio). Il metallo
si attacca al polietilene e ne stacca dei frammenti. I frammenti sono scaglie, grossi.
3) Da fatica = i materiali che si impiantano perdono delle caratteristiche, ossidandosi ad
esempio. Un materiale invecchiato scorrendo produce detriti da usura.

Modi di usura:
1) Tipo 1 = tra due superfici articolari primarie, cioè dove si verifica il movimento. Tra la testa
della protesi e l’inserto di polietilene nella
protesi d’anca.
2) Tipo 2 = tra due superfici articolari
secondarie, che non dovrebbero essere a
contatto. Avvengono sempre in seguito al
modo di usura di tipo 1.
3) Tipo 3 = cosiddetta usura da terzo corpo;
frammenti di metallo interposti tra la testa e il
polietilene aumentando ancora di più l’usura.
4) Tipo 4 = usura della parte dietro. Il polietilene
è incastrano nella coppa; se non è incastrato
bene, si potrebbe verificare l’usura nella parte
dietro della luna.
Si possono verificare tutti e quattro i tipi di usura.
Partendo da un singolo detrito di usura, si
possono ottenere tutti.

Fattori che determinano l’usura:


1) Problemi relativi al paziente = età, peso, movimento, sesso. Il movimento è la causa di tutto:
una persona di 40 anni determinerà più usura in una protesi rispetto ad un anziano di 80 anni,
in base al movimento che compie. Più la persona è pesante, più la protesi si usura. Le donne
sono meno propense all’usura rispetto all’uomo, poiché hanno meno massa muscolare che
poggia sulla protesi.
2) Problemi relativi al chirurgo = se si impianta male la protesi, questa funzionerà però può dare
un aumento del consumo. Se non viene centrata, questa può dare usura più da un lato che
l’altro (esempio a 45 gradi e 55 gradi di inclinazione). Quando si devono ripristinare i parametri
biomeccanici, nell’anca, il tensionamento dei tessuti molli è fondamentale.

Dove si verifica il movimento si hanno tassi di usura diversi, passando da tanta usura a poca
usura. Questo varia in base all’accoppiamento dei materiali della protesi. Oggi si utilizza
ceramica-polietilene e ceramica-ceramica. Usando questi due accoppiamenti: il polietilene può
deformarsi facilmente, la ceramica no ma si può rompere.

A livello dell’anca, i metodi di sterilizzazione del polietilene possono alterare le sue caratteristiche,
così come il tempo per cui viene conservato nei magazzini, il diametro della testa femorale, che
possono andare ad influenzare l’usura. Aumentando il diametro della testina, si riduce il rischio di
lussazione, però aumenta il movimento e quindi aumenta l’usura.
L’usura è la storia naturale delle protesi: ogni protesi andrà ad usurarsi.
Scoperto che l’usura non è evitabile, si può solo cercare di capire cosa accade: non esiste il
rigetto nelle protesi, poiché non si hanno
antigeni di istocompatibiliità. La protesi
o non si integra, cioè il materiale che
compone la protesi non fa crescere
l’osso sopra questa, oppure a lungo
andare la reazione dei detriti scatena la
mobilizzazione. I detriti vengono
fagocitati ma siccome sono inerti non
possono essere digeriti. La cellula
muore e va a richiamare altre cellule
polinucleate, che hanno al loro interno
citochine. Queste citochine portano ad
attivare delle cellule per il
riassorbimento di osso attorno alla
protesi.
I detriti più sono piccoli e più vengono
fagocitati, altrimenti inducono la
formazione di fibromi attorno al detrito.

Le particelle che si possono trovate nei preparati istologici dei tessuti fibrosi che si sono creati:
• Detriti metallici = metallosi a livello cellulare e dei tessuti.
• Detriti dì polietilene = birifrangente alla luce polarizzata.
• Detriti di ceramica = come il metallo, piccoli detriti all’interno delle cellule.
• Detriti di cemento = può staccarsi, si manifesta con buchi bianchi circolari. Questo perché il
cemento si perde con il processo di disidratazione durante la preparazione dei vetrini.

Idrossiapatite: si può avere una severa osteolisi poiché se non viene attaccato in maniera idonea,
questo materiale può staccarsi ed entrare nella coppa provocando una usura da terzo corpo.

Quando una protesi si mobilizza, va tolta. Non è così semplice, poiché dipende dal manto di
cemento se è ancora fermo o meno. A volte si può togliere una sola parte della protesi.

Futuro: migliorare i materiali, per cercare di ottenere una usura tendente allo zero. Cambiare
materiali, scegliere accoppiamenti che tendono allo zero oppure migliorando le capacità dei
materiali. Il polietilene è l’anello debole, poiché è plastica e quindi si usura facilmente.
POLIETILENE RETICOLATO

Polietilene ad alto peso molecolare = quello che viene usato nelle protesi. La formula chimica è
CH2 ripetuto n volte con catene più o meno ramificate. CL UHMWPE -> polietilene cross linkato;
oggi viene utilizzato questo.

Nel polietilene, le fibre inizialmente seguivano un andamento parallelo; oggi sono stati aggiunti dei
cross-link per poter rendere più resistente il materiale all’usura. Ciò veniva attuato mediante
irraggiamento, un fenomeno che rompeva dei legami e creava legami covalenti. Facendo questa
reticolazione si creano dei legami crociati che aumentano la stabilità sul movimento. Il polietilene
reticolato), grazie alla struttura tridimensionale, offre buona resistenza alle forze di trazione in tutte
le direzioni, contrariamente a ciò che avviene nel polietilene convenzionale (UHMWPE).
Durante la fase di irraggiamento mediante raggi gamma, si poteva pregiudicate la resistenza
meccanica del polietilene stesso. Se si attua la radiazione in presenza di ossigeno, si possono
formare dei radicali con l’ossigeno creando ossidazione del materiale. Si è iniziato ad attuare
questa metodica senza ossigeno.

STERILIZZAZIONE del materiale:


• Ossido di etilene
• Gas Plasma
• Raggi gamma

ANNEALING METHOD
Processo termico sotto il punto di fusione. Aumento della cristallinità e dello spessore dei cristalli
Permanenza dei radicali liberi entro le strutture cristalline.

REMELTING METHOD
Processo termico sopra il punto di fusione. Dissoluzione e creazione di nuovi cristalli Ridotta
possibilità di formazione di radicali liberi entro le strutture cristalline.

Polietilene ideale:
• Bassa usura
• Elevate proprietà meccaniche
• Elevata stabilità ossidativa
PROTESI ALL’ANCA

Artrosi: malattia degenerativa delle porzioni articolari. Le protesi d’anca si


attuano a causa della coxartrosi.

Stelo femorale: ciò che va dentro il femore.


Cotile o coppa acetabulare: ciò che va dentro l’acetabulo.
Testina: che ha una dimensione fissa, 32 mm. La coppa esterna è più grande.
Inserto bianco in polietilene.

Stelo e cotile acetabulare: vanno fissati nell’osso. Si possono utilizzare:


1) Cemento acrilico = resina che mettiamo in sala operatoria, diventa dura e
stabilizza la protesi. Fissazione cementata.
2) Sfruttare materiali che possono far arrivate l’osso su di essi = fissazione biologica, l’osso fissa
la protesi. La protesi di osteointegra -> osteointegrazione = contatto diretto osso-impianto.

Una stessa ditta può produrre più protesi differenti: lucide, che utilizzano fissazione tramite
cemento, ruvide, che servono per far crescere l’osso sopra.

A livello delle protesi, perché possono fallire? Dovendo causare movimento, uno dei due materiali
(protesi e osso), se leggermente più fragile dell’altro, si consuma. I materiali rilasciati vengono
rilasciati nel corpo, che possono innescare una cascata infiammatoria che porterà
all’assorbimento dell’osso attorno alla protesi = usura della protesi. L’usura è l’asportazione di
particelle microscopiche legate al consumo dei materiali. Più il movimento sarà veloce, più l’usura
aumenterà.

La protesi interviene sulla qualità della vita. La qualità di vita è l’aspettativa da parte del paziente.

Quali sono i materiali che si possono utilizzare? Nell’anca sono tutte ibride solitamente.
Stelo -> acciaio al cromo cobalto, titanio.
Inserto -> coppa che fa da riduttore: polietilene o polietilene speciale. Ad altissimo peso
molecolare, aumentata stabilità.
Testina -> acciaio, cromo cobalto, ceramica.
La componente acetabolare -> componente non cementata in titanio.

Design della protesi d’anca: come disegno lo stelo. Il metodo di fissazione sarà influenzato dal
design della protesi, soprattutto nelle non cementate.

Accoppiamento testa e acetabolo = è importante, è qui che avviene il movimento, è qui che si
possono produrre i detriti.
1) Testina metallo, inserto polietilene = non lo fa nessuno.
2) Testina ceramica, inserto polietilene = il metodo più usato.
3) Testina ceramica, inserto ceramica = accoppiamento duro, tasso di usura basso.
4) Testina metallo, inserto metallo = accoppiamento duro, tasso di usura basso.
Nell’accoppiamento duro, questi materiali se non vengono ben impiantati possono andare in
contro a rottura quindi non si utilizzano sempre, soprattuto per persone anziane.

Tecnica chirurgica: si crea una sede con delle raspe per poi impiantare la protesi definitiva. In
alcuni casi, possiamo utilizzare il cemento.
Le incisioni sono piccole = 10 cm. Più il soggetto è magro, più le incisioni sono piccole.
Si taglia la testa del femore e si espone la cavità acetabolare. Si puliscono i residui di osso per
fare spazio e poi si impianta la coppa metallica e al suo interno si mette l’inserto in plastica che
accoglierà la testina. Femore = quando si trova la dimensione corretta della protesi, viene
impiantata, messa a pressione. Vengono poi reinseriti tutti i muscoli e si richiude.

Le complicanze possono essere generali: possono colpire l’organismo, oppure locali: possono
colpire l’impianto.
La più importante complicanza generale è l’infezione e si può prevenire attuando prevenzione
antibiotica prima dell’intervento e lavorando in modo sterile. Altra complicanza: lesione nervosa,
prerogativa del chirurgo. Malattia trombo embolica: il sangue rimane al livello delle gambe, non
risale verso il cuore, si formano coaguli che possono andare in circolo = embolia polmonare.
Lesione di parete, aggregazione piastrine, astasi = in ortopedia si verificano tutte e tre. Questo
può causare trombosi -> eparina somministrata per 6 settimane prima che il paziente possa
tornare a camminare bene + calze comprimenti che simulano la compressione dei muscoli della
gamba.
Complicanze locali: lussazione, la protesi ha una testina più piccola, quindi potrebbe uscire dalla
sede. Bisogna educare il paziente. Differente lunghezza.
PROTESI DEL GINOCCHIO

A differenza dell’anca, la protesi del ginocchio è come se fosse una piastrella che va a rivestire la
zona interessata.
Il ginocchio è una delle articolazioni più stabili del corpo: è come se fossero due sfere che
scorrono su un piatto.
2 articolazioni:
• femoro-femoro.
• tibiale-rotulea.
Quando si parla di ginocchio, per comodità, si pensa solo alla articolazione tra femore e tibia, ma
in realtà esistono altre due articolazioni: tra femore e rotula (articolazione mobile), tra la testa del
perone e la tibia (articolazione fissa). La rotula aumenta il braccio di lega del quadricipite rispetto
al centro di rotazione del ginocchio e fa sì che il quadricipite debba svolgere un lavoro minore per
muovere il ginocchio. Quando il quadricipite si contrae, schiaccia la rotula sul femore, forze che
intervengono sopratutto quando si fanno le scale. Il ginocchio è anche una carrucola perfetta.
Per far sì che il ginocchio completi il suo arco di flessione (125 gradi), devono esserci due
meccanismi: rotolamento e scivolamento.

Strutture posizionate nel ginocchio per far sì


che questa articolazione sia stabile:
• Legamenti = strutture importanti (due
legamenti crociati e due legamenti
collaterali). Il collaterale è laterale, al di
fuori del ginocchio. I crociati si incrociano
al centro del ginocchio e si oppongono ai
movimenti di rotazione della tibia sul
femore. I crociati si oppongono anche alla
traslazione anteriore e posteriore della
tibia.
• Menischi = cuscinetti tra il condilo
femorale esterno e la tibia esterna, il
condilo femorale interno e il piatto tibiale
interno. I menischi sono vascolarizzati solo
perifericamente, ricchi di innervazione e
sono importanti per la stabilità della articolazione. Sono triangolari in sezione, assomigliano ai
cunei che nelle navi vengono messi sotto le gomme per dare stabilità.

La protesi di ginocchio si fa in caso di artrosi del ginocchio -> gonartrosi.


Eziologia:
• Primaria = essenziale. Non si conoscono le cause.
• Secondaria = malattie che danno una patologia secondaria.

Le finalità delle protesi di ginocchio:


1) Risoluzione della sintomatologia dolorosa.
2) Recupero della funzione

Cenni storici: le protesi di ginocchio sono molto giovani, il primo impianto di protesi al ginocchio
infatti risale agli anni ‘40/50. Si iniziò ad usare inizialmente il modello a cerniera, che garantivano il
movimento del ginocchio ma che rovinavano i legamenti. La cerniera era un perno tra le due parti
della gamba, passando dal ginocchio.
Allora negli anni ‘70 comparirono dei modelli con una cerniera che, oltre che permettere la
flessione, permetteva la rotazione = risultati scadenti perché:
• Non rispettano la cinetica del ginocchio.
• Stabilità articolare affidata solo alla protesi.
• Necessità di steli lunghi per distribuire le forze in varo-valgo e torsionali.
Altro cambiamento, passo successivo: mantenere i legamenti, rivestendo solo ciò che interessa =
mono e bicompartimentale.
Le protesi a scivolamento sono quelle usate anche oggi:
• Rappresentano una svolta nelle protesi di ginocchio.
• Resezione ossea limitata.
• Sollecitazioni meccaniche assorbite da formazioni capsulo legamentose.
• Rispetto della normale cinetica articolare.

Tipi di protesi:
1) Monocompartimentale = sostituiscono solo il compartimento consumato; è una protesi molto
di nicchia dove tutti i legamenti devono essere conservati.
2) Bicompartimentale = si rivestono entrambi i compartimenti. La stabilità e la funzione dei
legamenti sarà legata a degli accorgimenti tecnici che si mettono nella protesi.
3) Tricompartimentale = in cui si sostituisce anche la rotula. La rotula normalmente non si
sostituisce mai.

Stabilità correlata alle protesi bicompartimentali e tricompartimentali:


• A conservazione del crociato; se si conserva il crociato posteriore, il movimento di
rotoscivolamento del femore è stressato e l’inserto terrà conto di questo. Se si conserva il
crociato, quando il femore va indietro, deve esserci qualcosa che blocchi il movimento
eccessivo. Sono presenti quindi degli inserti che impediscono al femore di uscire dalla sede.
• Semivincolante = se il ginocchio è particolarmente vago o valgo, si deve cercare di aumentare la
modifica nella protesi per garantire la stabilità.
• Vincolate e a cerniera = in caso di ginocchio totalmente deformato in cui i legamenti non
servono più. In questo caso, i perni sulla protesi sono ancora più grandi e più alti per consentire
una bella stabilità. Vengono usate in caso di grande deformità o in una chirurgia di revisione
(protesi precedente che ha distrutto tutti i legamenti).

A ritenzione del crociato o a stabilizzazione del crociato = protesi più usate.

Nell’ambito delle protesi anatomiche, sono state fatte delle modifiche sopratutto al menisco: ora il
menisco è reso quasi mobile.

Strumentario per operare: il femore viene totalmente smussato per


far sì che la protesi si possa attaccare meglio. Nella tibia viene
messo un perno per attaccare la parte piatta.

Il paziente viene trattato in modo tale che l’arto durante


l’operazione risulti ischemico, si incide attorno alla rotula per
esporre il ginocchio all’esterno. Spostando la rotula fuori, si flette
il ginocchio. Si attua un buco al centro del femore, si entra nel
canale femorale e si inizia a tagliare l’osso per ottenere la
correzione desiderata. La superficie emisferica diventa quasi
ortogonale e la piastrella si può attaccare.

A differenza dell’anca, la protesi è in cromo cobalto e rivestita di titanio internamente. Sono


protesi cementate (70%) e non cementate (30%, titanio trabecolato). La protesi di ginocchio è un
rivestimento in cui si deve mantenere la funzione delle strutture filamentose.

Meccanismi di usura: se il ginocchio si flette e scivola indietro, l’usura più frequente è di tipo
adesiva.

Complicanze:
• Infezioni = importante per evitare problematiche sulla funzione; si tratta il paziente con terapia
antibiotica ad ampio spettro.
• Malattia tromboembolica.
Metodi meccanici:
-Compressione meccanica intermittente
-Calza elastica
-Mobilizzazione precoce
Metodi farmacologici:
-Anticoagulanti (LMWH) -> eparina.
Identificazione fattori di rischio:
-Obesità
-Terapia estroprogestinica
-Anamnesi positiva per TVP
• Lesioni vascolo-nervose indotte dalla azione chirurgica.

Complicanze al ginocchio:
• Rigidità
• Instabilità
• Dolore rotuleo
A lungo termine:
• Mobilizzazione componenti protesiche
• Usura del polietilene = solo questo materiale, poiché il ginocchio subisce molta compressione
meccanica.
IMPIANTI NELLA TRAUMATOLOGIA

Frattura -> interruzione della continuità di un segmento scheletrico.


Eziologia di una frattura: il più delle volte, le fratture diventano da traumi (fratture traumatiche) in
cui il trauma può essere:
• Diretto = punto di applicazione della forza é dove si è creata la rottura.
• Indiretto = punto di applicazione della forza è dove non si verifica la rottura.
Tipi di fratture:
• Frattura ad alta energia = energia talmente alta che supera le resistenze dell’osso.
• Frattura a bassa energia = fratture determinate dal fatto che l’osso ha una resistenza minore,
legata a condizioni che alterano la resistenza dell’osso stesso.
• Fratture patologiche = esiste una variazione patologica (qualitativa) dell’osso che determina una
rottura, come ad esempio un tumore.
• Fratture chirurgiche = ortopedici attuando la rottura per correggere deformità.

Le fratture hanno aggettivi che si utilizzano per descriverle: scomposta, a legno verde, composta,
esposta. Oltre a ciò, la frattura è associa anche al luogo dove avviene (femore, bacino).
• Frattura esposta = quando la cute sovrastante l’osso è lesionata e quindi si ha una esposizione
del focolaio della frattura. Si può vedere visivamente quando l’osso è fuori dalla pelle. Mediante
la radiografia, non è possibile stabilire se la frattura sia esposta o meno. In questo caso, si tratta
di una urgenza che deve quindi essere trattata subito, per evitare che si possa contaminare
l’osso.

Frattura in base al livello:


• Fratture epifisarie
• Fratture diafisarie
• Fratture metafisarie

Fratture distinte in rapporto all’eventuale spostamento dei frammenti ossei:


• Fratture composte = i frammenti ossei rimangono in contatto, sono allineati.
• Fratture scomposte = i frammenti ossei non rimangono in contatto, si spostano. I muscoli legati
tramite tendini alle ossa potrebbero muoversi, e questo può causare uno spostamento delle
ossa. Per questo, é importante non spostare il corpo di una persona che ha subito una frattura
scomposta. L’energia del trauma o la trazione dei muscoli può portare quindi a spostare le ossa.

Lo spostamento dell’osso nella frattura scomposta può avvenire su assi differenti:


• Asse longitudinale
• Asse trasversale
• Asse angolare
• Asse rotatorio
In realtà, ciò che importa è quali manovre vengono fatte per riportare le ossa in contatto.

Diagnosi di frattura: mediante radiografia. Si deve poi pensare a che trattamento attuare per
correggere la rottura e riparare l’osso: in primis, l’osso è l’organo più importante nel corpo. È
l’unico organo che guarisce con lo stesso tessuto. La funzione dell’osso è la protezione degli
organi interni, quindi per fare ciò deve guarire utilizzando lo stesso tessuto di partenza. Altra
funzione dell’osso: locomozione. In passato, gli uomini primitivi quando si rompevano le gambe
non riuscivano più a scappare. Siccome però è una funzione così importante, l’osso guarisce da
solo.
Come guarisce? È un tessuto molto vascolarizzato, quindi si crea inizialmente una cicatrice che
poi viene sostituita da osso.
L’ortopedico ha la funzione di allineare le fratture scomposte e accelerare la guarigione funzionale
dell’osso.

Il trattamento ha due fasi:


1) Riduzione = ripristinare l’allineamento anatomico.
2) Contenzione = mantenere allineato l’osso in modo che la frattura guarisca in maniera
anatomica in termini di lunghezza, rotazione ecc…
Queste due fasi possono essere compiute in modo cruento o incruento.
• Cruento = mediante un intervento.
• Incruento = in pronto soccorso, senza intervento.
Riduzione incruenta: mediante il raddrizzamento delle ossa che sono uscite fuori sede, ad
esempio tirando il polso. Avviene mediante trazione, “a cerotto”.
Riduzione cruenta: con le pinze e le mani in sala operatoria, si riposiziona l’osso nella sua sede
originaria. Avviene mediante una esposizione del focolaio di frattura in sala operatoria.
Contenzione incruenta: il gesso.
Contenzione cruenta: mezzi di sintesi = cerco di fare l’unione della frattura.

Tre casi:
1) Frattura di un polso, dove tiro il polso per riposizionare l’osso = RI. A questo punto, si mette
un gesso per stabilizzare = CI.
2) La frattura del polso però da problemi, quindi si raddrizza il polso manualmente e poi in sala
operatoria si usano dei fili da inserire nel polso, in modo da stabilizzare = RI + CC.
3) In sala operatoria di apre il polso, si riduce manualmente la frattura e si mette una placca con
delle viti = RC + CC.
La contenzione può essere sia incruenta che cruenta, in caso la riduzione sia incruenta. Siccome
la riduzione cruenta avviene sempre in sala operatoria, la contenzione sarà sempre cruenta,
poiché ormai l’osso è stato esposto.

MEZZI DI SINTESI:
Tutti i mezzi metallici sono mezzi di sintesi. I mezzi di sintesi sono tantissimi.
Tutti i tessuti guariscono con cicatrice: in ortopedia, l’osso deve guarire bene
quindi si sfrutta il fenomeno della compressione tra i frammenti di frattura. Si
usano delle viti ortogonali alla frattura, in modo che le ossa possano essere
compresse tra loro. I mezzi di sintesi non devono integrarsi nell’osso. Tre
metodi della sala operatoria per comprimere le ossa mediante metodo di
sintesi (in base al tipo di frattura) ->
Mezzi di sintesi usati:
• Viti = il passo della vite è differente ed è ciò che le distingue.
• Placche = oggi possiamo avere anche placche dette “a stabilità angolare”, dove la vite si avvita
sulla placca stessa.
• Chiodi = i chiodi endomidollari hanno cambiato la storia della guarigione delle ossa lunghe. Vari
chiodi disponibili: i colori nel materiale diversi e la diversa geometria dei chiodi. Il chiodo di
Kuntcher fu il primo creato (quello grigio); era trifrangiato ed aveva una stabilità rotatoria. Il
passo successivo furono dei chiodi circolari, che però non garantivano tanta stabilità rotatoria, e
sono stati allora inseriti i chiodi trasversali. I chiodi inizialmente erano fatti in acciaio, oggi
vengono fatti in titanio o acciaio magnetico: questo perché non devono deteriorarsi e devono far
guarire la frattura in modo ottimale. Deve essere rigido nelle fasi iniziali, ma poi si può anche
togliere dalle ossa una volta saldate. L’acciaio non è compatibile con la risonanza magnetica,
quindi il materiale venne cambiato per questo motivo.
• Fissatori esterni = sintesi esterna. Oggi nella traumatologia ci sono due concetti diversi: si può
controllare il danno cercando di non peggiorarlo, oppure si possono trattare tutte le fratture
presenti (che non si fa più, grazie ai fissatori). È un mezzo di sintesi temporaneo; alcuni fissatori
sono usati anche nei trasporti, per allungare le ossa delle gambe.
• Fili di K.
• Cerchiaggi.
I mezzi di sintesi in alcuni casi vengono tolti, ma è un processo complicato. Gli interventi di
rimozione sono consigliati nei giovani. Si levano solo quelli che sono facili da rimuovere e che
danno fastidio, a distanza di almeno 1 anno/1 anno e mezzo dall’impianto.

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