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NEUROLOGIA-Lezione 1

Il telencefalo prevede il
controllo del pensiero, delle
funzioni intellettive. E’ abilitato
a organizzare le varie funzioni
della memoria a breve, medio e
lungo termine, la working
memory (=memoria di lavoro)
che ci permette di svolgere tutte
le nostre funzioni; controlla
l’attività motoria volontaria
(organizzazione, pianificazione e
controllo); controllo delle
funzioni viscerali, quindi il
controllo del sistema autonomo
diviso in simpatico e
parasimpatico. Gli emisferi
cerebrali sono divisi in 4 lobi, in
senso cranio caudale: lobo
frontale, lobo parietale, lobo
occipitale e poi più
inferiormente il lobo temporale.
In ognuno di questi lobi c’è una
corteccia primaria, cioè una
corteccia che è deputata al
controllo di alcune mansioni specifiche. Il lobo frontale è un lobo essenzialmente a dotazione motoria. Nel
lobo frontale c’è l’area motoria primaria (M1 o area 4 di Brodman oppure area prerolandica) che è situata
anteriormente al solco di Roland. Accanto a questa area motoria che è quella che invia le informazioni ai
nervi periferici e quindi ai muscoli, ci sono delle altre aree supplementari motorie che servono per
organizzare il movimento. Il movimento prima di essere eseguito ha necessità di essere pianificato e
sequenziato in tutte le sue singole componenti. Quindi io per muovere il braccio devo pensare a muovere i
muscoli del braccio, per esempio flettere i flessori, inattivare i muscoli estensori, o comunque modulare il
controllo attivazione/inibizione, dare la giusta potenza al movimento che voglio eseguire, quindi tutta una
serie di organizzazioni che precedono il movimento vero e proprio. Tutta questa pianificazione ha controllo
dell’area supplementare motoria e premotoria. Quindi insieme all’area motoria verrà dato poi l’input e
vedremo poi la via piramidale, secondo motoneurone, e cosi via fino ai muscoli, che sono gli effettori finali
di questo movimento. Il lobo frontale quindi ha occupazione motoria, area motoria primaria (M1), aree pre
motorie, aree supplementari motorie, controllo del movimento. Il lobo parietale si trova posteriormente al
solco di Roland (corteccia postero-rolandica) è l’arrivo delle sensazioni, la percezione cosciente delle
sensazioni che vengono registrate a livello della cute, di tutti i vari recettori periferici sensitivi che possono
portare le varie sensazioni tattili, pressorie, meccaniche, termiche, dolorifiche. Nella corteccia somato-
sensoriale (S1,S2,S3) arrivano le informazioni coscienti, cioè quelle che hanno superato il vario del midollo
spinale, delle strutture sotto-corticali. Una piccola parte delle informazioni che vengono registrate a livello
periferico raggiungono la consapevolezza. Molte vengono scartate perché non sono importanti, non sono
necessarie in quel momento al nostro corpo. Quindi il lobo parietale corteccia somato-sensoriale primaria,
arrivo delle informazioni sensitive alla coscienza e sempre nel lobo parietale ci sono una serie di aree
integrative associative che interconnettono i vari lobi fra loro, per esempio il lobo parietale è strettamente
collegato con il lobo frontale. Addirittura la via piramidale inizia in parte dal lobo parietale stesso. Al lobo
occipitale arrivano le informazioni visive. Nel lobo occipitale c’è la corteccia visiva che significa integrare

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tutte le informazioni che arrivano all’occhio, che sono sul colore, sulla forma dell’oggetto, sul movimento,
tutto quello che è caratteristico di quello che vediamo, un’azione in movimento, quindi la velocità
dell’azione, i vari personaggi coinvolti. Tutto questo viene integrato a livello corticale-occipitale per darci la
percezione di quello che vediamo, di quello che è intorno a noi, di quello che vediamo davanti ai nostri
occhi. Nella corteccia occipitale ci saranno poi una serie di aree, ciascuna deputata ad una funzione
particolare: quella che rileva l’accelerazione angolare, quella che rileva la forma, e cosi via. Il lobo
temporale, al di sotto della scissura di Silvio, si trova la corteccia primaria uditiva (Girodiecile). Tutte le
informazioni uditive, che può essere un suono, che può essere un rumore, una musica, dal recettore
periferico arrivano fino alla corteccia dove vengono analizzate e integrate, e noi abbiamo la capacità di
discriminare tra un discorso di parole sensate e recepire la musica. Questi sono tutti lobi la cui corteccia è
nella superficie dell’encefalo. Poi nella parte più profonda c’è un quinto lobo che è il lobo limbico, deputato
alla organizzazione degli stati emotivi e anche delle attività collegate alla visceralità (fame, sete..), ed è
soprattutto collegato all’intenzionalità, alla componente affettiva dell’atto motorio per esempio. Vedremo
poi che il lobo limbico è in stretta connessione con il lobo frontale proprio per l’importanza della
compartecipazione affettiva nell’azione che andiamo a compiere, nell’organizzazione dell’atto motorio. Se
dobbiamo andare a fare una visita medica siamo meno contenti rispetto a se dobbiamo andare a bere una
birra con gli amici. La spinta emotiva delle due azioni è essenzialmente diversa, anche se magari il percorso
da fare è lo stesso. Quindi al di sotto di questi emisferi c’è il diencefalo, costituito da talamo e ipotalamo. Il
talamo è un grosso centro di coordinamento delle informazioni sensitive, al talamo arrivano informazioni
dalle vie ascendenti del midollo che portano informazioni sensitive, tattile, termica, dolorifica, profonda ma
anche informazioni che arrivano dagli organi speciali, ossia vista e udito, e qui vengono integrate tutte
queste informazioni prima di arrivare in corteccia. Il talamo inoltre è un centro di raccordo tra i nuclei della
base e la corteccia motoria proprio per la modulazione dell’attività della corteccia motoria. Sempre nel
diencefalo troviamo l’ipotalamo, che fa parte del sistema limbico. E’ un centro per il controllo delle
emozioni, delle funzioni autonome e della produzione ormonale. Poi abbiamo il tronco dell’encefalo, diviso
in mesencefalo, ponte e bulbo. Il bulbo nei libri di origine anglosassone viene anche chiamato midollo
allungato. Nel mesencefalo ci sono dei centri che servono per controllare l’attività motoria dei nervi oculo-
motori, quindi sono utili per elaborare le risposte degli oculo-motori, per le risposte riflesse e soprattutto
c’è quello che chiamiamo sistema reticolare che provvede al mantenimento dello stato di veglia o
all’organizzazione dello stato di sonno, quindi che provvede all’alternanza dei cicli di sonno-veglia in
accordo con l’ipotalamo, a cui sono proposti il controllo dei ritmi circadiani. Il ponte ha un controllo
somatico e viscerale. Per esempio ci sono dei centri per il controllo della pressione, della FC. Serve da ponte
appunto per trasportare le informazioni sensitive dal cervelletto e al cervelletto e al talamo. Anche nel
bulbo o midollo allungato ci sono dei centri per il controllo di funzioni viscerali, è deputato al trasporto di
informazioni sensitive al cervelletto, al talamo, ci sono anche importanti stazioni di passaggio per tutte le
vie ascendenti (dal midollo all’encefalo), e discendenti (dall’encefalo al midollo). Posteriormente al tronco
dell’encefalo e inferiormente ai due emisferi cerebrali c’è il cervelletto. Anche questo ha una grossa
importanza nel controllo dell’attività motoria (coordina le azioni motorie somatiche complesse); corregge i
comandi di altri centri motori, somatici dell’encefalo e del midollo spinale. Oltre a questo fa parte del
sistema nervoso centrale anche il midollo spinale, contenuto nel canale vertebrale. Alcune differenze fra
SNC e SNP. Il raggruppamento neuronale del SNC da luogo a nuclei, mentre nel SNP parliamo di gangli (per
esempio i gangli spinali annessi poi alle radici posteriori), tanto è vero che nel SNC troviamo i nuclei della
base, che sono appunto aggregati di cellule, quindi di sostanza grigia, situati in prossimità dei ventricoli del
talamo. Gli assoni dei fasci che discendono o ascendono nel midollo al SNC o viceversa si chiamano tratti,
mentre nel SNP gli assoni vanno a formare i nervi periferici. Quali sono le cellule che costituiscono il SNC?
Abbiamo gli oligodendrociti che sono quelle cellule che provvedono a rivestire di mielina l’assone con la
particolarità che l’oligodendrocita mielinizza un trattino di assone, poi l’assone ha un tratto in cui non ha
mielina, e l’oligodendrocita successivo mielinizza il successivo tratto di assone. Questo tipo particolare di

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mielinizzazione è importante perché permette la conduzione saltatoria, cioè l’impulso nervoso passa da un
nodo di Ranvier all’altro, quindi chiaramente permettendo una velocizzazione nella trasmissione
dell’impulso, che non dovrà passare lungo tutto l’assone, ma appunto può saltare tratti dell’assone stesso.
Poi troviamo gli astrociti che vanno a costituire la barriera ematoencefalica, quindi il contatto tra il sistema
vascolare e il sistema nervoso vero e proprio. Hanno anche la funzione di avere una sorta di sostegno, un
supporto strutturale nel SNC. Inoltre appunto per questo contatto con il sangue regolano la concentrazione
di ioni, nutrienti, e gas. Permettono il passaggio di sostanze che devono essere espulse dal SNC e passare
nel sangue, e quindi essere eliminate. Hanno la funzione di assorbire metaboliti dei neurotrasmettitori per
riformare il neurotrasmettitore e riutilizzarlo. Per una lesione ad esempio dei neuroni, prendono il posto dei
neuroni che sono morti, che sono andati in necrosi, quindi formano una cicatrice. Anche le cellule della
microglia hanno il compito di rimuovere sostanze che devono essere eliminate, come rifiuti patogeni,
dendriti cellulari. Nel SNP invece la cellula che provvede alla mielinizzazione dei nervi periferici è la cellula
di Schwann. Poi c’è il neurone, la cellula nervosa per eccellenza nel SNC. E’ quella che porta l’informazione,
anche se delle vedute precedenti suggeriscono la presenza di altre cellule del SNC che possano contribuire
in qualche modo alla trasmissione delle informazioni, dell’impulso nervoso. Come è organizzato il neurone?
C’è un corpo cellulare che contiene tutti gli organelli che sono contenuti in una normale cellula, quindi i
mitocondri, i ribosomi, l’apparato di Golgi. La cosa particolare è che nel SNC, cosi come nel muscolo striato
e nell’unico muscolo striato involontario che è il cuore, c’è un’abbondante presenza di mitocondri, perché
sono tessuti ad alta richiesta energetica e vedremo che fra tutti il SNC è sicuramente quello che ha la
maggiore richiesta energetica rispetto a tutti gli altri sistemi del nostro corpo. E i mitocondri sono la
centrale energetica della cellula. Quindi i neuroni sono molto ricchi di mitocondri. A questo corpo cellulare
arrivano delle afferenze che si chiamano dendriti. Questi raccolgono informazioni provenienti dall’ambiente
e dalle altre cellule e li convogliano verso il corpo cellulare del neurone, verso la struttura organizzativa del
neurone che è appunto il corpo cellulare. Da questo, in direzione opposta rispetto all’arrivo dei dendriti,
parte l’assone, un prolungamento tendenzialmente unico che trasporta l’informazione verso le
terminazioni sinaptiche (le quali possono contrarre contatto con altre cellule, altre ghiandole e il muscolo);
l’informazione è trasportata come potenziale d’azione. Più è mielinizzata la cellula, l’assone, più è veloce la
capacità di condurre di quella cellula. Il corpo cellulare dei neuroni può avere diverse forme. La classica
forma è quella a piramide, che è tipica delle cellule piramidale, le quali si trovano soprattutto nella corteccia
motoria, da cui prende origine la via piramidale, che è quella che porta l’informazione dalla corteccia
motoria primaria fino ai motoneuroni situati nel midollo spinale. Però ci sono anche cellule a forma di stella
nella corteccia cerebrale, le cellule a forma di granulo che sono presenti nel cervelletto, nella corteccia
cerebellare e infine abbiamo la cellula di Purkyne, caratteristica della corteccia cerebellare. In alcune cellule
l’assone può avere una diramazione, sdoppiarsi nei due prolungamenti diversi, o addirittura esserci cellule
che hanno solo assoni in entrata e in uscita. Il neurone è una cellula altamente differenziata dal punto di
vista funzionale, che attraverso prolungamenti si collega con altre cellule della stessa specie o con organi
endocrini, o altri muscoli. Il concetto di neurone risale alla fine del 1800 con Cajal e His che avevano fatto
delle colorazioni istochimiche proprio per evidenziare questa cellula particolare. Ma soltanto 70 anni fa se
ne è dimostrata la presenza con il microscopio elettronico. I neuroni sono tutti collegati gli uni agli altri a
formare delle catene che possono essere anche estremamente complesse, costituite da molte migliaia di
neuroni, tutti collegati attraverso giunzioni sinaptiche. Il minimo della catena sono due neuroni (catena
bineuronale), come ad esempio la via piramidale (primo motoneurone-corteccia motoria; secondo
motoneurone-corna anteriore del midollo spinale). Chiaramente se parliamo di catene neuronali con
tantissimi neuroni, quelli che collegano il primo all’ultimo neurone sono gli interneuroni, posti tra il primo e
l’ultimo neurone di ogni catena. Più sono presenti interneuroni, più è complessa la risposta che questa
catena neuronale può dare. Abbiamo detto che i neuroni possono presentare diversi prolungamenti che
partono dal corpo cellulare e mediante i quali prendono rapporto con altri neuroni o cellule di altri tessuti.
Il corpo cellulare o soma presenta i vari organuli presenti nelle altre cellule (mitocondri, apparati di Golgi,

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lisosomi). Presenta anche numerose isole di reticolo endoplasmatico granulare che costituiscono la
cosiddetta sostanza tigroide (corpi di NIssl o colle tigroidi). Sono presenti inoltre neurofilamenti e
neurotubuli che vanno ad organizzare il citoscheletro. Tra i prolungamenti si riconoscono i dendriti, molto
ramificati e mai molto lunghi, che arrivano al
corpo cellulare, e poi l’assone che da le
informazioni alle altre cellule. Le terminazioni
del neurite o assone si dilatano nel bottone
sinaptico mediante il quale il neurone prende
rapporto con altre cellule, manda
informazioni alle altre cellule. Il neurite è
caratterizzato da neurofilamenti e
neurotubuli, che servono per il trasporto
delle vescicole sinaptiche (trasporto
assonico), contenenti i mediatori chimici
sintetizzati nel soma e assemblate
dall’apparato di Golgi, fino ai bottoni
sinaptici. Mancano nel neurite il reticolo
granulare, i ribosomi e l’apparato di Golgi.
L’assone può essere rivestito da manicotti mielinici, formati dagli oligodendrociti o cellule di Schwann (in
quel caso si parla di fibre mieliniche), e notiamo lo spazio internodale da un rivestimento di oligodendrociti
all’altro. Poi ci sono invece altre cellule che non presentano questo rivestimento mielinico e quindi saranno
sicuramente più lente nel trasferire l’informazione (in quel caso si parla di fibre amieliniche). Le capacità
funzionali del neurone che sono le caratteristiche principali del neurone stesso sono la capacità di
trasdurre, di condurre, di trasmettere e di memorizzare le informazioni. Nella trasduzione il neurone viene
eccitato, reagisce allo stimolo che gli arriva, trasformandolo, nel
punto di stimolazione in una differenza di potenziale, e quindi
generando una corrente elettrica. Questo è l’impulso nervoso, il
famoso potenziale di azione che varia nella cellula. Oltre alla
capacità di reagire ad uno stimolo trasformandolo, il neurone
può propagare questo impulso nervoso (conduzione) lungo la
sua membrana cellulare. L’altra capacità è quella di poter
stimolare uno o più neuroni con cui viene a contatto, sempre a
livello delle sinapsi, trasmettendo l’impulso che si è formato in
seguito alla prima stimolazione sul neurone che è stato
stimolato per primo. Ogni volta che un neurone viene stimolato
e a sua volta stimola neuroni successivi, genera un potenziale
d’azione per stimolare neuroni successivi, modifica il suo
metabolismo proteico cosi che, se venisse ristimolato dal suo
stesso segnale in una fase ssuccessiva può modificarsi come la
prima volta, cioè ricorda quello che ha fatto la prima volta e
agisce come quella volta (memorizzazione). Questo è un
fenomeno di economia perché il neurone non deve ogni volta rinventare quello che deve fare, ma ricorda
quello che ha fatto, arriva lo stesso stimolo e si comporta nello stesso modo. E’ importante questa capacità
di memoria del neurone nell’economia globale del sistema. Nell’immagine vediamo il potenziale d’azione di
una cellula neuronale. Il potenziale di riposo della membrana della cellula nervosa è -70. Quando arriva uno
stimolo c’è un’alterazione di concentrazioni ioniche su questa membrana, per cui la membrana viene a
depolarizzarsi, cioè il potenziale di membrana passa da negativo, -70, fino a un plateau che è +40, che è il
potenziale di equilibrio del Na. A questo punto finisce la depolarizzazione e invece la membrana tende a

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rinegativizzarsi, cioè a ritornare al suo valore iniziale. In questa fase di ritorno al potenziale iniziale, c’è una
brevissima fase in cui il potenziale di membrana è ancora più basso di quello che succede nello stato di
riposo, è ancora più inferiore a -70. In questa fase la membrana della cellula è assolutamente non
eccitabile. Questo è il potenziale di equilibrio del K. Torniamo al potenziale di riposo. Ma in questo
momento c’è uno scambio di concentrazioni di ioni potassio e di ioni sodio che deve essere reintegrata e
qui poi interverranno le pompe a richiesta energetica, quelle che richiedono ATP, e quindi un consumo
energetico per riportare Na e K all’equilibrio prepolarizzazione. Depolarizzazione e Ripolarizzazione
avvengono a livello del nodo di Ranvier.
Nella sinapsi di tipo elettrochimico, uno stimolo elettrico (in questo caso un nervo che arriva sul muscolo),
libera un neurotrasmettitore che è contenuto all’interno delle vescicole sinaptiche, l’impulso fa si che
queste vescicole sinaptiche vadano ad aderire e fondersi con la membrana presinaptica, liberare il
contenuto nello spazio pre sinaptico e poi questo neurotrasmettitore si andrà a legare al recettore specifico
situato nella membrana post-sinaptica, generare un potenziale di azione, e quindi far si che abbiamo la
contrazione muscolare. In questo caso allo stimolo elettrico si associa la liberazione di un
neurotrasmettitore, quindi si tratta di un sistema elettrochimico. Il sistema elettrochimico ha quindi
un’azione di movimento. Il sistema motorio è un sistema che si definisce gerarchico integrato, cioè con una
serie di livelli che sono in contiguità, ma che uno è successivo all’altro (ciascun livello superiore controlla il
livello immediatamente sottostante grazie all’azione combinata di larghe popolazioni neuronali). Partendo
dall’alto, abbiamo la corteccia pre-frontale, poi abbiamo i motoneuroni della regione frontale posteriore,
infine i neuroni spinali e del tronco. La motivazione, l’intenzionalità, la programmazione del movimento
volontario, legato alle cortecce frontali, sono sempre modulate, sono in stretto contatto con l’attività del
lobo parietale (corteccia somato-sensoriale). In questo sistema gerarchico quali sono le principali
componenti? La corteccia pre-frontale, la corteccia pre-motoria e supplementare motoria, i sistemi
sottocorticali strettamente di controllo su queste aree motorie che cono i gangli della base e il cervelletto; i
neuroni del tronco encefalico (pontini, formazione reticolare discendente, nucleo rosso, nuclei vestibolari i
quali formano la posizione della testa nei tre assi direzionali x,y,z e sono quindi fondamentali per qualsiasi
tipo di movimento che vogliamo fare, dobbiamo sapere in ogni momento come è posizionata la testa
rispetto al resto del corpo intanto per evitare di muovere in maniera abnorme il collo, la testa rispetto agli
arti e per evitare anche le vertigini); fasci discendenti (il fascio piramidale soprattutto, il fascio rubrospinale,
il fascio vestibolo-spinale). Il fascio piramidale parte essenzialmente dai motoneuroni piramidali (giganti
cellule piramidali di Betz), i cui assoni finiscono sull’alfa motoneurone sia spinale per i nervi somatici, sia del
tronco encefalo per i nervi cranici. Gli assoni di questi che partono dall’alfa motoneurone cranico e spinale
(cellule motorie specifiche) sono destinati ai muscoli scheletrici e andranno a costituire la via finale comune
attraverso la quale gli impulsi vengono trasmessi ai muscoli (unità motoria) per muovere gli occhi piuttosto
che la mano o le gambe. Abbiamo parlato di motilità volontaria. Esiste poi una motilità automatica e una
motilità riflessa. Il controllo segmentale del movimento avviene sulle unità motorie che possono essere di 3
tipi: 1) Classe 1 sono fibre rosse, prevalentemente aerobie, ricche di mitocondri (esempio muscolo soleo)

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2) Classe 2B sono fibre bianche anaerobiche, più grandi, a contrazione più veloce
e sviluppanti tensione maggiore, rapidamente vanno incontro a fatica (ad
esempio fibre contenute nei muscoli oculari), tanta è l’immediatezza dell’azione
quanto subito queste fibre accusano fatica 3) Classe 2° sono fibre intermedie,
aerobiche e anaerobiche, resistenti alla fatica. Le fibre più lente hanno quindi un
metabolismo aerobico che necessita di più tempo per svilupparsi, quelle più
rapide hanno un metabolismo anaerobico. Poi chiaramente c’è il reclutamento di
unità motorie secondo una formazione, sommazione spaziale (modulazione di
reclutamento) e temporale (modulazione di frequenza). C’è una differenza di
frequenza tra i muscoli prossimali e distali. I muscoli distali: soprattutto
modulazione di frequenza (9-40 Hz), mentre i muscoli prossimali: modulazione
spaziale (10.25 Hz). Vi è un iniziale reclutamento di unità più piccole,
successivamente quelle più grandi meno resistenti alla fatica (principio dimensionale di Henneman). In
tutto questo il motoneurone controlla il trofismo e il tono muscolare. Per tono muscolare intendiamo la
sensazione di resistenza apprezzata dall’esaminatore alla mobilizzazione passiva degli arti. Il soggetto deve
stare in posizione di riposo, completamente immobile. La resistenza che avvertiamo ha una duplice origine:
l’elasticità intrinseca dei muscoli, ma anche il fatto che si evoca il riflesso di stiramento. I motoneuroni
controllano anche il normale rapporto nutritivo del muscolo correlato alle azioni, funzioni che il muscolo fa.
Un muscolo che rimane
inattivo è un muscolo
che va in atrofia proprio
perché non si muove. Il
trofismo indica lo stato
di nutrizione del
muscolo. Il tono e il
trofismo sono due cose
che andremo a valutare
quando eseguiremo un
esame neurologico.
Abbiamo detto che il
controllo della motilità
è a carico del sistema
piramidale. Nella
corteccia motoria primaria il corpo umano non è rappresentato secondo la morfologia, ma secondo la
funzione. Infatti vediamo l’homunculus di Penfield, dove la mano, il pollice, le dita si presentano molto
grandi. Il volto, quindi tutti i nervi cranici, gli occhi, la lingua, la bocca sono molto rappresentate, mentre ad
esempio il tronco, e gli arti inferiori sono decisamente molto più piccoli rispetto alla mano, perché hanno
sicuramente meno funzioni, nel senso che la mano nell’uomo è quella che ha più funzione (scrivere,
suonare, attività sportive). La mano è quindi un organo molto importante e questo spiega questa differente
rappresentazione corticale. Nell’homunculus motorio di Penfield, nella rappresentazione corticale del corpo
umano c’è una rappresentazione per funzione e non per grandezza dell’organo stesso. Tutti gli assoni di
queste cellule piramidali si uniscono a formare la via piramidale. Il ripiegamento in solchi e giri fa si che
possiamo avere una superficie corticale estesa in uno spazio ristretto, il famoso concetto del nastro piegato.
Se io tengo il nastro di un metro completamente esteso, occuperà un metro, se invece io in questo nastro
faccio una serie di ripiegature occuperà uno spazio ristretto. Più il cervello è ricco di solchi, più è una
corteccia organizzata. Proprio la differenza tra gli animali e l’uomo è che c’è una maggior organizzazione in
solchi e giri. La via piramidale poi discende lungo il tronco dell’encefalo, arriva al bulbo dove si incrocia. Gli
assoni che partono dalla corteccia motoria di dx andranno a finire nel midollo spinale a sx. Gli assoni, la via

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piramidale che parte dalla corteccia motoria di sx, si incrocia a livello del bulbo e andrà a discendere nel
cordone anteriore di dx. Questo è fondamentale per comprendere la patologia neurologica. La lesione
corticale dell’area motoria di sx da una paresi a soma di dx, e viceversa, la corteccia motoria di dx da una
lesione al soma di sx. La via piramidale dove arriva? Arriva sul corno anteriore del midollo dove sono situati
i motoneuroni, il secondo motoneurone fondamentalmente. In parte arriva poi su dei motoneuroni più
piccoli, che sono i motoneuroni gamma che servono per controllare il circuito gamma. E qui finisce la via
piramidale. Da qui poi si organizzerà il secondo motoneurone, l’assone andrà a formare il nervo periferico.
Nella rappresentazione tridimensionale dell’homunculus motorio che abbiamo descritto vediamo come le
enormità della mano, della bocca, di alcuni organi del capo rispetto al resto del corpo che è decisamente
più piccolo (notiamo anche la mano e l’avambraccio rispetto alla mano quanto sono poco rappresentati).
L’homunculus sensitivo ha una organizzazione molto simile. L’organizzazione sulla corteccia somato-
sensitiva riconosce sempre una grande importanza alla mano, al capo. Questa organizzazione somatotopica
(cosi viene chiamata questa rappresentazione dell’homunculus di Penfield) persiste lungo tutta la via, dalla
corteccia agli alfa-motoneuroni, quindi anche il midollo spinale ha la stessa organizzazione. Questa via
piramidale per la maggior parte inizia dalla corteccia motoria che è divisa in 6 strati. Il più importante è il
quinto strato che contiene le cellule piramidali giganti di Betz, dalle quali origina poi il fascio piramidale. Lo
strato 6 contiene le fibre
associative e di connessione.
Il quarto strato è la sede di
terminazione delle fibre
afferenti provenienti da
nuclei talamici specifici.
Contiene cellule stellate, che
sono appunto cellule di
contatto tra le cellule
piramidali e che portano
informazioni per esempio dal
talamo. Il primo strato è lo
strato più superficiale,
contiene scarsi pirenofori,
numerosi prolungamenti
dendritici e assonali in
interazione sinaptica. Il
secondo strato contiene
numerosi neuroni di piccole
dimensioni impegnati in
connessioni intracorticali. Il terzo strato contiene neuroni di medie dimensioni che danno origine a fibre
associative e commessurali. La maggior parte della corteccia motoria è recente da un punto di vista
filogenetico e ad essa ci si riferisce in termini di “neocortex”. La maggioranza delle fibre piramidali si
incrociano almeno all’80% a livello delle piramidi bulbari. Esisterebbe un piccolo contingente di fibre
piramidali che ha il decorso omolaterale e che terminerebbe soltanto nei primi distretti midollari, sarebbe
relativa all’arto superiore. Il fascio piramidale origina per un terzo delle fibre dall’area motoria primaria
(area 4 di Broadmann), un terzo origina dall’area 6 che è una delle aree pre-motorie e un terzo
originerebbe dalla regione parietale posteriore, quindi da questa corteccia somato-sensoriale. Dove
termina il fascio piramidale? Alcuni assoni (il tratto cortico-tronco-encefalico) vanno ai motoneuroni per i
nervi cranici che hanno una parte motoria (gli oculomotori), quindi terzo, quarto e sesto, il trigemino che
innerva alcune strutture della bocca, il settimo, il nono, il decimo e l’undicesimo: tutti a innervazione
piramidale bilaterale. Le fibre di questa via piramidale (fascio corticospinale) terminano per il 55% nel

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midollo cervicale, 20% toracico, 25% lombosacrale. Vediamo che la parte più importante è dedicata all’arto
superiore, conservando quell’importanza somatotopica che avevamo gia visto nell’organizzazione motoria
della corteccia primaria. La via piramidale man mano che si organizza in maniera più completa il sistema
occupa via via più spazio. Nell’uomo occupa il 30%, mentre la via piramidale occupa il 4,8% della sostanza
bianca nell’encefalo del topo, il 6,7% nel cane, il 10,1% nella scimmia. Recenti dati sperimentali sembrano
dimostrare che una singola cellula piramidale contrae rapporti sinaptici con motoneuroni che innervano
muscoli diversi. La funzione della cellula corticospinale sarebbe quella di guidare l’attività di unità motorie
appartenenti a muscoli ad azione sinergica al fine di compiere un movimento in una determinata direzione.
A livello corticale non sarebbero rappresentati i singoli muscoli ma i vari movimenti possibili.
Area 6= area supplementare motoria+ area premotoria. Se noi applichiamo delle stimolazioni su queste
aree, dalla 6 abbiamo dei movimenti complessi che sono bilaterali se stimoliamo area supplementare
motoria. Mentre se stimoliamo l’area motoria primaria (area 4) abbiamo soltanto delle scosse muscolari
semplici. L’area supplementare motoria sarebbe attivata soprattutto nella pianificazione di sequenze
motorie iniziate spontaneamente. L’area premotoria agirebbe nella programmazione di sequenze di
movimenti indotti da stimoli sensoriali (ad esempio ci avviciniamo ad una fiamma, sentiamo calore e quindi
dobbiamo allontanare la mano dalla fiamma). In uno schema semplificato l’ideazione dell’attività motoria
volontaria la diamo all’area supplementare motoria, alle aree associative motorie con l’importante
partecipazione del sistema limbico per quella componente affettiva di cui abbiamo parlato. La
programmazione, quindi la sequenzazione di tutti i gesti che ci serviranno per compiere quel movimento è
ancora a carico del SMA, insieme all’area pre-motoria e all’area motoria (M1). Sulla programmazione
interviene il controllo dei sistemi sensoriali, del cervelletto, dei nuclei della base o del talamo tramite i
nuclei della base con la facilitazione o l’inibizione di M1, o del tronco dell’encefalo. Nell’esecuzione
interviene la via piramidale, il neurone motorio, i nervi periferici con il controllo sempre della via extra-
piramidale. Cosi abbiamo la contrazione dei muscoli scheletrici e l’effettuazione del movimento. Tutto
questo con un feedback di controllo man mano che il movimento viene portato avanti. Nello stato di
pianificazione: decisione nei lobi frontali; aree di associazione motoria. Nel movimento: aree di
associazione motoria; nuclei encefalici; corteccia motoria primaria; via piramidale; neuroni motori inferiori;
nervo periferico e muscoli. Tutto è controllato dal cervelletto e dai nuclei della base. Che cosa succede se
c’è un’interruzione a qualsiasi livello della via di moto? Noi distinguiamo due tipi di paralisi. Una paralisi di
tipo centrale e una paralisi di tipo periferico. Nella paralisi di tipo centrale c’è un’interruzione a qualsiasi
livello, dalla corteccia fino all’arrivo della via piramidale sul secondo motoneurone. L’interruzione del
motoneurone centrale, primo motoneurone, a qualsiasi livello essa avvenga, comporta:

1) Perdita della motilità volontaria controlateralmente alla lesione cerebrale proprio perché abbiamo
detto che la via piramidale almeno per l’80% si incrocia. Quindi parliamo di paralisi piramidale o
centrale
2) Aumento del tono muscolare, per cui la paralisi si definisce spastica. La spasticità impiega sempre
un certo tempo per instaurarsi. Nel caso di una emorragia cerebrale o nel caso di una lesione acuta
del midollo possiamo avere all’inizio una paralisi flaccida, con abolizione dei riflessi, e poi si instaura
invece la spasticità.
3) Aumento dei riflessi osteotendinei li dove abbiamo la lesione di forza (quindi la paresi non la
paralisi) con la comparsa di riflessi patologici. I riflessi patologici per lesioni piramidali sono: il
fenomeno di Babinski che è l’estensione dorsale, lenta e maestosa dell’alluce, con sventagliamento
delle altre 4 dita. Come si evoca il Babinski? Noi strisciamo la pianta del piede con una punta
smussa che passa sul margine esterno del piede fino sotto le dita. La risposta normale in un
soggetto normale è la flessione dell’alluce e di tutte le dita. Ancora, i riflessi possono essere
talmente accentuati da susseguirsi in una successione rapida e ritmica di contrazioni e
decontrazioni senza interruzione (clono della rotula e del piede). Normalmente il riflesso
osteotendineo evoca un’unica risposta. Quando manca questo controllo sovra-spinale si può avere
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NEUROLOGIA-Lezione 1
l’esagerazione del riflesso con questa successione rapida e ritmica di contrazioni e decontrazioni
che possiamo osservare per esempio quando andiamo ad evocare il riflesso achilleo. Normalmente
percuotiamo il tendine d’achille e otteniamo la flessione dorsale del piede. In questo modo il piede
invece flette ed estende, flette ed estende e nel clono vero non c’è interruzione di questa azione. Lo
stesso si può avere dando una brusca spinta alla rotula verso il basso e anche in questo caso
abbiamo l’astragalo che va in alto e basso.
4) Sempre per alterazione della via piramidale ci possono essere la scomparsa di riflessi superficiali,
dei riflessi cutanei addominali dallo stesso lato della paralisi piramidale. Vedremo che questo è
tipico della sclerosi multipla.

La plegia è assenza di movimento, mentre paresi è una diminuzione del movimento che va, nella
definizione, da un deficit minimo a un deficit che può essere quasi plegico. Esiste una scala che è
universalmente accettata per valutare il grado di paresi. E’ una scala che va da 0 a 5 dove 0 è assenza di
movimento, 5 è il movimento normale. Quindi 0 corrisponde a plegia, 1,2,3,4 sono diversi gradi di paresi. 4
è quasi un movimento che sicuramente è possibile contro gravità. In 1 si è persa la contrazione muscolare.
Invece per una lesione del motoneurone periferico, il secondo motoneurone, quindi una lesione sul corno
anteriore o una lesione del nervo, abbiamo una paralisi omolaterale alla sede della lesione; abbiamo una
perdita del tono muscolare, quindi una paralisi che si definisce flaccida; abbiamo molto rapidamente una
diminuzione del trofismo dei muscoli interessati dalla paralisi, quindi una ipotrofia dovuta proprio
all’attività e i riflessi propriocettivi sono assenti. In comune con la lesione del primo motoneurone, abbiamo
la perdita della funzione, la paralisi, il tono muscolare, il trofismo diminuiscono in maniera significativa,
rapidamente nella lesione del secondo motoneurone e i riflessi osteotendinei vengono aboliti, mentre nella
paralisi di origine centrale abbiamo un aumento del tono, un aumento dei riflessi e il trofismo impiega più
tempo per andare incontro ad una atrofia. C’è un’unica malattia neurologica in cui troviamo insieme lesioni
da primo e secondo motoneurone. Sono due mondi distanti (primo motoneurone-corteccia motoria;
secondo motoneurone-midollo spinale), è difficile che possiamo trovare una lesione che colpisse
contemporaneamente sia l’uno che l’altro. Questa malattia è la sclerosi laterale Amiotrofica (morbo di Lou
Gehrig, uno sportivo che ne era stato colpito). La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia
degenerativa dei motoneuroni della corteccia, del tronco encefalico, del midollo spinale (che vanno
incontro a necrosi) a decorso progressivo e ad esito infausto, descritta per la prima volta da Charcot e
Joffroy nel 1869. Al momento non abbiamo una terapia che possa arrestare questo tipo di patologia anche
se la conosciamo da almeno due secoli. Sclerosi Laterale amiotrofica perché c’è una gliosi reattiva (= li dove
il neurone muore, gli astrociti vanno a formare una cicatrice). Muore il neurone quindi sclerosi, gliosi
reattiva; laterale cordoni laterali del midollo spinale che sono quelli della via piramidale; amiotrofica, cioè
riduzione della massa, trofismo muscolare. E’ una malattia abbastanza rara che colpisce circa 1-3 persone
per 100.000 ogni anno. La prevalenza è di 5-9 casi su 100.000 (la prevalenza dipende dalla sopravvivenza
che non è molto lunga; in media questi pz dalla diagnosi vivono circa 4 anni, poi ci sono forme molto più
rapide, fulminanti e anche forme che durano 10-11 anni in condizioni compromesse). L’esordio è nell’età
adulta tra i 55 e i 65 anni. Non sembra ci sia una differenza tra uomini e donne. Esiste una forma sporadica
e una forma familiare (molto rara) in cui è stata trovata un’alterazione del gene superossidodismutasi-1.
Non si sa che cosa porti a questa morte neuronale. E’ stato chiamato in causa, come per tutte le patologie
degenerative, il glutammato, neurotrasmettitore ad azione attivante. E’ il neurotrasmettitore più
importante in questo senso. Il glutammato può portare ad un aumento dell’afflusso di calcio intracellulare
che si traduce nella degenerazione e necrosi cellulare. Una ipotesi etiopatogenica è quindi questa
eccitotosssicità glutammatergica. L’altra ipotesi è quella dell’autoimmunità per la presenza di linfociti T
attivati ed immunoglobuline nel tessuto nervoso, di anticorpi contro i canali del calcio voltaggio-dipendenti
nel siero, che provocherebbero quindi un eccesso di calcio e conseguente morte della cellula. Altra ipotesi è
la mancanza di fattori neurotrofici. E’ stato chiamato in causa l’Insulin-like Growth Factor-1 (IGF-1) che è
stato utilizzato anni fa in via sperimentale per vedere se poteva in qualche modo aiutare questi pz con
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NEUROLOGIA-Lezione 1
scarso successo. Sono stati chiamati in causa anche il CIliary Neurotrophic Factor (CNTF) e Brain-derived
Neurotrophic Factor (BDNF). Altra ipotesi è lo stress ossidativo: aumentato livello di lipoperossidi o
comunque di radicali ossidrilici con alterazioni mitocondrali. Al momento non abbiamo un’ipotesi che
spieghi la malattia. Sono stati chiamati in causa anche tossicità da cianobatteri. Questo per alcune isole
particolari dove c’era un’aumentata prevalenza, incidenza di questa malattia e si era ipotizzato che queste
popolazioni che si nutrivano di pipistrelli. I pipistrelli mangiavano i semi della pianta Cycas e in questi semi
c’erano dei cianobatteri che potevano provocare questa morte cellulare. I pipistrelli ormai non si mangiano
più. La prevalenza e l’incidenza della SLA in queste isole è andata cosi a diminuire, a perdersi. Altri focolai
molto attivi di SLA si trovano in Australia in una zona in cui si trovano miniere di manganese. Quindi l’ipotesi
è che il manganese potesse creare questa necrosi dei motoneuroni. Da un punto di vista neuropatologico,
abbiamo la degenerazione, la morte dei motoneuroni nelle corna anteriori del midollo spinale, nel tronco
encefalico e nella corteccia motoria, con aumento della lipofuscina, perdita della sostanza di Nissl e perdita
o frammentazione di dendriti. E di conseguenza una degenerazione del fascio cortico-spinale quindi della
via piramidale. Quali sono i sintomi di malattia? Abbiamo detto che sono colpiti il primo e il secondo
motoneurone. Abbiamo detto che danni del primo motoneurone danno ipertonia muscolare con
conservazione del trofismo muscolare, iperreflessia osteo-tendinea, presenza del segno di Babinski. La
lesione del secondo motoneurone da una ipotonia muscolare con progressiva perdita del trofismo
muscolare, iporeflessia osteo-tendinea, presenza di crampi e fascicolazioni. Quindi alcune cose sono in
contrasto, o c’è ipertono o c’è ipotono, o c’è iperriflessia o iporiflessia. E quindi quali sono i sintomi che si
presentano nella SLA? Abbiamo un deficit di forza che può essere attribuito sia al primo che al secondo
motoneurone, spasticità, disfagia e disartria, labilità emotiva. Tutto questo appartiene al primo
motoneurone. Contemporaneamente, abbiamo i sintomi da secondo motoneurone: atrofia, fascicolazioni,
crampi, disfagia e disartria, insufficienza respiratoria. Quindi qual è la caratteristica? Abbiamo una spasticità
che è segno di primo motoneurone, insieme ad una precoce atrofia, con fascicolazioni e crampi, che sono
segno di secondo motoneurone. Insieme a questo, deficit di forza, disartria e disfagia possono essere
attribuiti sia all’uno che all’altro. E i riflessi sono aumentati con la presenza di Babinski. Quando vediamo
una mano così atrofica, che ha perso completamente la salienza nell’eminenza tenar e ipo-tenar (“mano ad
artiglio”). Se evochiamo un riflesso, troviamo dei riflessi vivaci. Questo ci deve già far pensare ad una SLA, è
l’unica malattia in cui troviamo questo segno cosi periferico con una iperriflessia. Abbiamo detto che la SLA
è una malattia progressiva con alterazioni motorie. La progressiva perdita infatti dei motoneuroni risulta in
una progressiva disabilità che in ultima analisi confina il pz a
letto. Il decesso avviene entro 3 anni nel 50% dei casi. La
diagnosi di SLA viene sospettata in base all’anamnesi,
quello che il pz ci racconta. Deve essere confermata in base
ad esami elettrofisiologici e sconfessare altre possibili
ipotesi diagnostiche. La diagnosi è basata infatti su criteri
clinici, su esami di laboratorio ed elettrofisiologici, e sulle
neuroimmagini. Non esiste un marcatore specifico della
malattia e spesso ci vuole anche tempo per fare la diagnosi.
Nei casi dubbi è l’evoluzione dei segni e dei sintomi che consentono di differenziare la SLA dalle altre
malattie primitive del motoneurone o da altre condizioni patologiche del sistema nervoso (centrale e/o
periferico). I criteri diagnostici sono la contemporaneità di alterazioni attribuibili al primo e secondo
motoneurone (quest’ultimo non solo da un punto di vista clinico, quindi l’atrofia che insorge rapidamente,
ma anche la presenza a livello elettromiografico di fibrillazione e fascicolazioni che esprimono il danno a
livello periferico), la progressione della malattia e le fascicolazioni. Man mano che il pz si aggrava le unità
motorie nel tracciato elettromiografico tendono ad essere meno presenti. Nelle fascicolazioni, nel pz a
riposo dovrebbe comparire soltanto una linea, non dovrebbe comparire niente all’elettromiografia. Nella
RM possiamo avere un’iperintensità che segna la corteccia motoria e la via piramidale, però non è un segno

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NEUROLOGIA-Lezione 1
patomniomonico. Può essere presente in altre malattie cosi come possiamo trovare un quadro simile in
patologie che non sono SLA. Se il sospetto è quello di SLA questa iperintensità dell’area motoria che indica
un de popolamento neuronale, può convenire supportare l’ipotesi diagnostica. Però se non la troviamo,
non significa niente. Non esiste un trattamento curativo specifico in grado di arrestare il processo di
degenerazione dei motoneuroni (terapia eziologica). E’ stato provato il Riluzolo che è un antagonista del
glutammato, ed è in grado di prolungare di 3-6 mesi (in media) la sopravvivenza libera da tracheostomia
(terapia patogenetica). E poi c’è una terapia sintomatica per aiutare la respirazione, per prevenire le ulcere
da decubito, eventualmente un’alimentazione tramite Peg se il pz non ingoia. La novità di trattamento di
SLA sono i farmaci che proteggono nei confronti dello stress ossidativo; farmaci inibitori dell’apoptosi;
farmaci neurotrofici e gliotrofici (IGF); terapia con cellule staminali; terapia genica con i-RNA e s-RNA. Una
cosa che si sta provando nell’ultimo momento sono degli oligonucleotidi antisenso, cioè una sequenza a
singolo filamento di DNA e in alcuni casi di RNA, complementare a una sequenza a cui si lega impedendo
che ne vengano lette le istruzioni che in genere portano alla produzione di proteine o RNA. Gli
oligonucletoidi antisenso interferiscono con la sintesi di uno specifico RNA satellite (miRNA), riducendone la
quantità. La somministrazione di un ASOmiR-129-5p in un modello animale di SLA genetica (topi SOD1)
determina un aumento significativo della sopravvivenza e migliora le capacità motorie dei topi. Si sta
iniziando adesso a fare la sperimentazione sull’uomo. Gli oligonucleotidi antisenso sono quelli che si stanno
utilizzando con successo nella SMA, che è una malattia che colpisce i bambini e che portava a morte entro
poco tempo, invece adesso questi bambini hanno una sicuramente una sopravvivenza più lunga. Questo è
quindi un approccio terapeutico valido, che può dare una speranza a questi malati.
Torniamo alla neuroanatomia e parliamo dei nuclei della base. I nuclei della base sono: il nucleo caudato,
costituito
da una
testa e una
coda;
nucleo
lenticolare
(putamen e
pallido). In
anatomia i
nuclei della
base vanno
a costituire
il corpo
striato. I
ventricoli
sono
strutture
che sono
poste
all’interno
del SNC, in
cui passa il liquido cefalorachidiano con tutte le qualità che questo liquido ha non soltanto da un punto di
vista fisico, ma anche proprio di far passare sostanze buone nell’encefalo e buttare quello che non serve e
cosi via. Il putamen è strettamente connesso con il nucleo caudato. Il globo pallido è la parte più antica del
sistema e viene anche chiamato paleo-striato ed è anche quello da cui si dipartono tutte le informazioni
(tutte le informazioni che partono dai nuclei della base partono dal pallido), mentre putamen e caudato
formano insieme il neo-striato, la porzione filogeneticamente più moderna. Il neostriato costituisce la

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NEUROLOGIA-Lezione 1
porzione “afferente” del corpo striato, cioè tutte le informazioni che arrivano allo striato arrivano al
putamen e al caudato. Le informazioni arrivano dalla corteccia motoria soprattutto e in parte dalla corteccia
parietale, dal talamo e dalla sostanza nera per cui vedremo che il sistema nigrostriatale sarà coinvolto nella
genesi delle alterazioni motorie del morbo di Parkinson. Le afferenze al neostriato: dalla corteccia sono
prevalentemente omolaterali e derivano soprattutto dai lobi frontali (parte motoria al putamen, altre
regioni frontali al caudato) e dai lobi parietali (al caudato). Pertanto consideriamo il putamen la parte più
“motoria” del neostriato, il caudato la parte “associativa”. Le proiezioni dal talamo derivano dai nuclei
intralaminari del talamo omolaterale. E poi infine le proiezioni nigrostriatali che originano dalla “pars
compacta” della sostanza nera omolaterale. Il neurotrasmettitore è la dopamina, con effetto sia inibitorio
che eccitatorio sui nuclei della base. C’è tutta una circuitistica che fa si che attraverso il talamo, attraverso la
sostanza nigra, noi possiamo controllare la corteccia motoria, inibendola o facilitandola a seconda di quello
che ci serve nel movimento che stiamo facendo (circuito diretto o indiretto). Altre fibre afferenti allo striato
provengono dal nucleo del rafe del tronco-encefalico ed hanno come neurotrasmettitore la serotonina. Le
efferenze dal neostriato sono tutte al pallido e utilizzano come neurotrasmettitore il GABA, che è un
neurotrasmettitore a funzione inibitoria. Tra le efferenze del neostriato troviamo fibre strio-pallidali, dirette
al globo pallido e fibre striato-nigriche, dirette alla sostanza nera. Dal globo pallido le afferenze arrivano
essenzialmente dalle altre parti dei nuclei della base (via strio-pallidale funzione inibitoria,
neurotrasmettitore GABA) o anche dal subtalamo, quindi una via subtalamo-pallido con una funzione
eccitatoria sui neuroni del globo pallido (neurotrasmettitore acido glutammico che è il più forte
neurotrasmettitore eccitatorio del nostro SNC). Il nucleo subtalamico è inoltre in contatto anche con la
sostanza nera, quindi rientra sempre in questo circuito striato-nigrico che è fondamentale per il controllo
del movimento. Le efferenze dal pallido (sono di tipo inibitorio e utilizzano come neurotrasmettitore il
GABA) vanno al subtalamo con funzione inibitoria (neurotrasmettitore GABA) e al talamo (n. ventrale
anteriore, ventrale laterale, da dove partono vie eccitatorie alle aree motorie primaria e supplementare del
lobo frontale). Nello schema sono rappresentati in maniera riassuntiva tutti i vari circuiti che connettono i
nuclei della base con il talamo, con i nuclei del subtalamo e con la sostanza nigra. A seconda che parliamo di
un sistema eccitatorio o
inibitorio abbiamo il rosso
oppure il blu. Questo è legato
anche ad un utilizzo di
neurotrasmettitori diversi.
Abbiamo nominato il GABA
enc- che ha una funzione
eccitatoria, il GABA p- che è
eccitatorio e poi chiaramente
il glutammato. La via
piramidale è quella che da il
controllo motorio primario.
Accanto a questa ci sono una
serie di circuiti che in maniera
del tutto arbitraria chiamiamo
via extrapiramidale, anche se
extrapiramidale non è il
termine esatto. La via
extrapiramidale include tutte
le vie motorie al di fuori del
sistema piramidale, le vie discendenti, che formano connessioni indirette tra cervello e midollo spinale.
Soprattutto hanno un’azione prevalente sui muscoli del tronco, del collo e porzione prossimale degli arti. La

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NEUROLOGIA-Lezione 1
via extrapiramidale esercita quindi un controllo sui muscoli correlati alla postura e all’equilibrio. Sono una
serie di fasci che vediamo nell’immagine rappresentati e che partono dalla formazione reticolare, come ad
esempio il fascio reticolo spinale, il tetto-spinale, il rubro-spinale, il vestibolo spinale, quindi tutta una serie
di vie discendenti tutte legate al controllo dell’attività motoria. Si ritiene che i nuclei della base forniscano
un feed-back alla corteccia per lo sviluppo delle strategie motorie. Potrebbero avere un ruolo importante
nelle attività motorie automatiche. I nuclei della base ricevono segnali dalla corteccia e li riinviano di nuovo
in corteccia tramite il talamo: una delle funzioni di questo circuito neuronale è quella di ottimizzare l’inizio
dei movimenti intenzionali, eliminando quelli indesiderati. Le principali connessioni dei nuclei della base
sono: talamo, nucleo subtalamico (diencefalo), sostanza nera (mesencefalo).
Ancora un altro organo che è implicato nel controllo dell’attività motoria è il cervelletto. Il cervelletto si
trova sotto gli emisferi cerebrali, posteriormente al tronco dell’encefalo. Cervelletto perché piccolo
cervello. Anche questo è organizzato in emisferi. La parte centrale è il verme. Anche qui una parte di
sostanza grigia e di sostanza bianca.
Nell’encefalo la sostanza grigia è
situata nella porzione più esterna,
mentre la corteccia, ossia quelle che
contiene i nuclei dei neuroni, è
situata all’esterno degli emisferi
cerebrali. La sostanza bianca che è la
sostanza mielinizzata e presenta
questo colore per la presenza di
mielina, è presente al di sotto
dell’area corticale. La differenza tra
bianca e grigia è proprio per quello
che appare al taglio anatomico: i
nuclei sono più grigi, gli assoni
mielinizzati sono bianchi, rosacei per
la presenza di questa mielina. Nel
midollo spinale avviene il contrario,
nel senso che la parte dei nuclei sta
nell’interno del midollo spinale,
mentre la sostanza bianca sta
all’esterno del midollo spinale
stesso. Il cervelletto conserva la
stessa organizzazione del cervello,
quindi abbiamo una sostanza grigia più esterna e la sostanza disposta più internamente che va a costituire il
cosiddetto arbor vitae. Nel cervelletto da un punto di vista macroscopico distinguiamo tre porzioni sempre
in relazione alla filogenetica: una parte più antica che è costituita dal cosiddetto lobulo flocculo nodulare-
archicerebello che è in connessione con il sistema vestibolare (per questo detto anche vestibolo-cerebello);
il lobo anteriore che va a formare il paleocerebello ed è in contatto con il midollo spinale (spino-cerebello);
infine il lobo posteriore che va a costituire il neocerebello che attraverso il tronco dell’encefalo trae contatti
con gli emisferi cerebrali e ponte (ponto-cerebello) ed è la parte più nuova, più moderna la parte
organizzata per maggiormente controllare i gesti. Il cervelletto è costituito da corteccia, nuclei e fibre
afferenti ed efferenti. La corteccia cerebellare è divisa in 3 strati: molecolare (cellule a canestro); strato
intermedio (cellule di Purkinje); strato dei granuli. Allo strato molecolare e allo strato dei granuli arrivano le
afferenze cerebellari: fibre rampicanti (dall’oliva inferiore vanno a terminare sulle cellule di Purk), fibre
muschiose che arrivano sullo strato dei granuli. Mentre le cellule di Purkinje danno origine ad assoni
efferenti verso i nuclei centrali e i nuclei vestibolari. Quindi le cellule di Purkinje vanno a costituire la parte

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NEUROLOGIA-Lezione 1
efferente del cervelletto. La corteccia cerebellare e i nuclei cerebellari (sostanza grigia) sono implicati nella
coordinazione e nel controllo involontario del movimento. La sostanza bianca (arbor vitae, peduncoli
cerebellari superiori, medi e inferiori) manda dei fasci che mettono in contatto attraverso i peduncoli
cerebellari il cervelletto con il mesencefalo, diencefalo, emisferi e poi attraverso fibre trasverse il ponte il
bulbo verso il midollo spinale. Al cervelletto arrivano moltissime informazioni per esempio dai nuclei
vestibolari attraverso il lobulo flocculonodulare e dai fasci spinocerebellari attraverso il verme ed infine
informazioni visive tramite i collicoli superiori. Tutte le vie motorie inviano informazioni al cervelletto
quando ricevono comandi motori. Al procedere del movimento il cervelletto ha la capacità di controllare ed
integrare le informazioni propriocettive e vestibolari, le confronta con quelle già sperimentate in movimenti
precedenti. Quindi è un controllo online del movimento che stiamo eseguendo. I nuclei presenti nel
cervelletto sono il nucleo fastigiale presente nel verme; nella zona intermedia troviamo il nucleo globoso e
emboliforme; nella zona laterale troviamo il nucleo dentato. Secondo l’organizzazione, la funzione
principale, possiamo dividere il cervelletto in tre moduli via via più complessi. Il primo modulo è il vestibolo-
cerebellare che contrae rapporto con i nuclei vestibolari per il controllo della testa rispetto al resto del
corpo. Poi abbiamo il modulo spino-cerebellare dove invece le informazioni vanno in entrata e in uscita
verso il midollo spinale. E infine il modulo ponto-cerebellare, la parte posteriore, la parte più moderna,
attraverso il ponte, il tronco dell’encefalo le informazioni arrivano dal talamo alla corteccia, quindi questo è
il vero e proprio controllo sul movimento mentre viene fatto.
Ancora, fa parte del SNC, il midollo spinale. Il midollo spinale è molto piccolo come superficie rispetto
all’encefalo, agli emisferi cerebrali, al diencefalo, al tronco dell’encefalo, al cervelletto. E’ contenuto
all’interno del canale vertebrale, protetto dal canale vertebrale. Alla nascita, quando il feto si forma, il
midollo spinale segue in maniera pedissequa la colonna, ha la stessa lunghezza della colonna. Poi con
l’accrescimento la colonna si sviluppa molto di più che non il midollo e quindi il midollo si trova ad
ascendere, finisce più o meno a livello della vertebra L1. Dopodichè le varie radici che danno appunto
origine ai nervi si continuano nel canale vertebrale per uscire dal rispettivo foro intervertebrale. Quindi c’è
questo prolungamento di radici che va a formare la cauda equina. Nel midollo non ha la parte grigia, la
parte di neuroni, non ha la stessa grandezza lungo tutto il midollo. E’ decisamente più grande a livello del
midollo cervicale dove abbiamo un rigonfiamento e a livello del midollo lombare dove abbiamo un altro
rigonfiamento. Il rigonfiamento cervicale serve per tutti i movimenti dell’arto superiore, mentre il
rigonfiamento a livello lombare serve per tutti i movimenti
dell’arto inferiore. Notiamo rispetto alla porzione della
farfalla della zona grigia, quanto sia più rappresentata nel
tratto cervicale e lombare rispetto al midollo toracico. Il
midollo spinale è quella parte dell’asse nervoso che sta nel
canale midollare della colonna vertebrale. E’ lungo 40-50
cm, ha sezione trasversale ellittica con diametro maggiore
medio di 1 cm e pesa meno di 50 g. Ha colore bianco
candido in quanto superficialmente è formato da sostanza
bianca. Il MS no occupa il canale midollare per tutta la sua
lunghezza, ma si ferma tra la prima e la seconda vertebra
lombare. Il fenomeno è dovuto al diverso accrescimento
del MS e della colonna vertebrale che determina la
cosiddetta ascensione midollare durante gli anni
dell’adolescenza. Il MS è collegato alla periferia da 33 paia
di nervi spinali, ciascuno dei quali prende rapporto con il
MS con due radici, una anteriore motoria e una posteriore
(che porta invece le informazioni sensitive verso il midollo
e poi ascenderanno al cervelletto o all’encefalo), passando

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NEUROLOGIA-Lezione 1
per i forami intervertebrali. Le radici anteriori sono formate dai neuriti dei neuroni motori situati nella
sostanza grigia del midollo, mentre le radici posteriori sono formate dai neuriti dei neuroni a T (cellule
pseudounipolari) dei gangli spinali, che portano ai neuroni del MS le informazioni da tutta la periferia. I
gangli spinali sono situati lungo le radici posteriori, a livello dei forami intervertebrali. I nervi spinali sono
suddivisi in 8 cervicali,
12 toracici, 5 lombari,
5 sacrali e 3 coccigei. Il
primo paio cervicale
passa tra l’osso
occipitale e la prima
vertebra e questo
giustifica il numero di
8 paia contro sette
vertebre cervicali. A
causa del diverso
accrescimento del MS
rispetto alla colonna vertebrale di cui si è detto, i forami
intervertebrali si spostano man mano verso il basso, per
cui le radici dei nervi, che fuoriescono appunto
attraverso quei forami, sono costrette a compiere
tragitti man mano più lunghi entro il canale midollare,
formando, al di sotto della seconda vertebra lombare,
un fascio di filamenti nervosi detto cauda equina. Il
diametro trasverso del MS non è costante ma a livello
cervicale e lombare sono presenti due rigonfiamenti
dovuti al maggior numero di formazioni neuronali
interne in corrispondenza degli arti. Il MS, infine, è
percorso per tutta la sua lunghezza, da due fessure
longitudinale mediane, una anteriore più profonda e
divaricabile, una posteriore meno accentuata, più
virtuale. Il MS ha dimensioni inferiori a quelle del canale
midollare ed è completamente circondato da un
manicotto di tessuto adiposo che lo separa dalla parete ossea, oltre che dalle meningi. Nell’aracnoide è
abbondante il liquido cefalo-rachidiano (liquor) che quindi protegge completamente il MS. La presenza
delle radici dei nervi spinali, a disposizione metamerica, permette di suddividere l’organo in tante parti
successive dette neuromeri, ciascuna collegata alla periferia da una coppia di nervi. Chiaramente, cosi come
per l’encefalo, il midollo è circondato da 3 membrane di rivestimento: pia madre, aracnoide e dura madre.
La pia madre è sottilissima, è come la pellicola che usiamo per coprire gli alimenti, è strettamente adesa alla
struttura che va a coprire, difficilmente è staccabile da questa struttura. Poi c’è l’aracnoide, e infine la dura
madre che invece è più resistente, più dura, quasi fosse un cuoio, più protettiva, che per esempio nella
scatola cranica è adesa all’osso, quindi protegge il contenuto encefalico rispetto all’osso. Il cervello è
contenuto in questa scatola inestensibile che è la scatola cranica che da un certo punto è estremamente
protettiva verso la formazione di qualsiasi altro agente, ma che dall’altra parte costituisce una barriera
importante a qualsiasi processo si verifichi all’interno del SNC, cioè qualsiasi processo che aumenta il
volume dell’encefalo, si trasferisce rapidamente con un danno perché appunto questo edema non ha
possibilità di espandersi (l’osso impedisce qualsiasi espansione). Se ci facciamo un ematoma in un muscolo
questo darà fastidio, ma se espande verso l’esterno difficilmente darà perdita di funzione. Un ematoma nel
tessuto cerebrale invece da una perdita di funzione. Abbiamo detto che da un punto di vista organizzativo il

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NEUROLOGIA-Lezione 1
midollo presenta queste H o farfalle centrali, quindi situate nella sezione profonda del midollo. Sono due
corna anteriori e due corna posteriori. Il corno anteriore è deputato all’attività motoria, qui sono contenuti i
motoneuroni midollari su cui va a finire la via piramidale, mentre il corno posteriore riceve informazioni
sensitive. La fessura anteriore evidenzia uno spazio tra le due parti del midollo, mentre il solco mediano
posteriore è più virtuale e divide i due cordoni posteriori. Tra il corno anteriore e il corno posteriore c’è una
parte di sostanza grigia che riceve le informazioni viscerali. Cosi come per l’homunculus, quindi
l’organizzazione somatotopica, questa è rappresentata anche a livello midollare chiaramente in termini
molto più modesti proprio per la piccolezza del midollo rispetto alla superficie cerebrale. Però sicuramente
riconosciamo un’organizzazione motoria della mano, flessori ed estensori, spalla, braccio, avambraccio,
tronco. Come si organizza il nervo periferico? Si organizza dall’unione della radice anteriore, dall’assone che
parte dal corno anteriore che si unisce poi alla parte che porta informazioni sensoriali che poi arriverà alle
radici dorsali, e andrà a finire nel midollo. L’insieme di questa parte motoria e sensitiva formerà il nervo
periferico.
La sostanza bianca del MS circonda la colonna grigia centrale (i nuclei di cellule nervose presenti nella parte
centrale del midollo spinale) e viene suddivisa in 4 porzioni dalle corna, che si estendono verso la superficie
del MS: un cordone anteriore fra le due corna anteriori, diviso in due antimeri dalla fessura longitudinale
anteriore; due cordoni laterali fra le corna anteriori e quelle posteriori; un cordone posteriore diviso in due
antimeri dalla fessura longitudinale posteriore. I cordoni sono costituiti dai fasci di neuriti prevalentemente
mielinici che portano gli impulsi in salita (vie sensitive afferenti) oppure in discesa (vie efferenti motrici che
portano informazioni dall’encefalo al midollo) oppure che collegano in salita e in discesa neuromeri diversi
del MS (vie associative funicolari o intersegmentali). Questi ultimi sono presente in tutti i cordoni.
I principali fasci del cordone anteriore sono fasci discendenti del sistema piramidale diretto e del sistema
extrapiramidale, che portano ai motoneuroni somatici gli ordini per la contrazione delle fibre muscolari
striate scheletriche, e fasci del sistema riflesso dalla lamina quadrigemina e dai nuclei vestibolari che
portano sempre ai motoneuroni somatici impulsi per le attività motorie riflesse in risposta a stimoli uditivi e
visivi relativi all’equilibrio. Nei fasci del cordone laterale troviamo soprattutto le vie della sensibilità
propriocettiva protopatica dirette al cervelletto (vie spino-cerebellari), con origine dai neuroni sensitivi
somatici delle corna posteriori (che a loro volta ricevono informazioni dall’apparato locomotore (impulsi
propriocettivi) tramite i neuroni pseudounipolari gangliari. Poi troviamo le vie della sensibilità esterocettiva
protopatica, cioè che trasmettono informazioni soprattutto sul dolore o sulla sensibilità non molto
discriminata (lemnisco spinale). Sono dirette al talamo e alla lamina quadrigemina, anch’esse con origine
dai neuroni sensitivi somatici delle corna

posteriori. Infine troviamo le vie della sensibilità viscerale


(lemnisco viscerale) dirette alla formazione reticolare,
all’ipotalamo e al talamo, formate dai neuriti dei neuroni sensitivi
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NEUROLOGIA-Lezione 1
viscerali della parte più anteriore delle corna posteriori. Sono presenti inoltre fasci discendenti, i principali
dei quali sono il fascio piramidale crociato con origine dai neuroni piramidali giganti della corteccia
telencefalica, che terminano sui motoneuroni somatici alfa e gamma, e fasci appartenenti al sistema
extrapiramidale provenienti da varie stazioni del tronco encefalico, anch’essi diretti ai motoneuroni
somatici delle corna anteriori. Il cordone posteriore è formato esclusivamente da fasci ascendenti costituiti
dai neuriti dei neuroni pseudounipolari gangliari che non si mettono in sinapsi con neuroni sensitivi delle
corna posteriori, ma salgono direttamente verso il tronco encefalico dove trovano la prima interruzione.
Formano i fascicoli gracile e cuneato e trasportano impulsi della sensibilità epicritica (tattile estremamente
discriminata), sia estero che propriocettiva, ai nuclei gracile e cuneato del bulbo.
Come è organizzata la percezione sensitiva nel corpo umano? E’ organizzata in dermatomeri, ossia l’area
della cute innervata dalla radice posteriore (sensitiva) di un singolo nervo spinale. Per cui nell’esame
neurologico ci sono queste figurine in cui sono rappresentati i vari dermatomeri. Se il pz ha una lesione
sensitiva nel tratto del braccio, probabilmente la lesione è a livello C5, cioè la parte sensitiva corrispondente
a questo tratto di cute è di pertinenza di C5. I dermatomeri servono per fare una diagnosi di sede. In base a
cosa troviamo nell’esame neurologico possiamo già ipotizzare dove può essere la lesione e quindi che tipo
di accertamento diagnostico possiamo fare per confermare la nostra diagnosi oppure per farci un’altra idea
se questa nostra ipotesi è sbagliata. I miomeri invece sono i muscoli innervati dalla radice motoria
(anteriore) di ogni singolo nervo spinale. Quindi il dermatomero è la parte sensitiva, il miomero la parte
motoria.
L’informazione sensoriale dal midollo spinale passa al tronco dell’encefalo, poi al talamo e dal talamo
(almeno quello che arriva alla coscienza) arriva alla corteccia cerebrale. Una parte di questa informazione
va invece direttamente al cervelletto.
La sensibilità si definisce cosciente se le informazioni, giunte alla corteccia cerebrale, vengono decodificate
e valutate in modo da poterci mettere in relazione con la sorgente della stimolazione. La sensibilità si
definisce invece incosciente se le informazioni non giungono alla corteccia cerebrale, ma a centri
sottostanti, e quindi gli stimoli vengono percepiti in modo vago o apparentemente non vengono percepiti, e
ad essi non si potranno dare risposte volontarie. La sensazione è una eccitazione dei recettori sensoriali, i
quali registrano le informazioni provenienti dall’interno del corpo o dall’ambiente esterno e le convogliano
verso il SNC. La sensazione arriva al SNC come potenziale d’azione di una fibra afferente sensitiva. La
maggior parte dei processi di elaborazione dell’informazione sensoriali ha luogo nel midollo spinale o nel
tronco dell’encefalo e solo l’1% raggiunge la corteccia cerebrale e il nostro stato di coscienza. I recettori di
senso si possono suddividere, a seconda del mantenimento o meno della sensibilità al perdurare della
stimolazione, in recettori tonici a lento adattamento (per esempio i propriocettori, compresi quelli
vestibolari, che non devono smettere di trasmettere informazioni sulla posizione del corpo e lo strato di
contrazione dei muscoli) e recettori fasici a rapido adattamento (esterocettori tattili, che diventano incapaci
di trasmettere dopo un periodo di tempo più o meno lungo dall’inizio della stimolazione). Ad esempio
quando andiamo alle terme dove ci sono acque con odore sgradevole di zolfo, dopo un po' non sentiamo
più l’odore. Non è che l’odore non c’è, è che il recettore si è adattato, noi non abbiamo messo in atto
nessuna risposta contro questo odore, non lo abbiamo percepito come potenzialmente nocivo per il nostro
corpo, e quindi non c’è più necessità di trasmettere queste informazioni. Ogni tipo di recettore che
trasporta una sua sensibilità avrà pure degli attributi relativi allo stimolo per cui viene attivato o attributi
che riguardano la modalità di attivazione, l’intensità, la durata, la localizzazione e la qualità. Per esempio
per la visione sarà il colore, il movimento, la forma. Per il gusto sarà la qualità del gusto, e cosi via. Quindi
ogni stimolo avrà un tipo di recettore particolare (i più tipici sono sicuramente i fotorecettori, i coni e i
bastoncelli per la vista; ma anche per il senso del tatto, della pressione, il caldo, il freddo avremo dei
recettori specifici). E poi vedremo che tanto più sono densamente rappresentati questi recettori tanto più la
sensazione verrà discriminata, verrà percepita in maniera più completa, più precisa. Mentre in alcuni casi
abbiamo delle percezioni non discriminate, piuttosto vaghe, per esempio nel caso del dolore. Il dolore è una

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NEUROLOGIA-Lezione 1
sensazione soggettiva, non c’è un termine per obiettivarla. Per questo utilizziamo delle scale analogiche, in
questo caso da 0 a 10° a volte ci sono delle faccine, degli smile, dalla faccina piangente fino a quella
sorridente, e il pz ci riferisce nella sua percezione soggettiva qual è la sua sensazione di dolore. Quindi qual
è l’utilità di queste scale analogiche? Chiaramente non hanno una validazione oggettiva, nel senso che la
percezione del dolore è anche chiaramente legata al soggetto che la esprime, alla sua cultura, al suo
vissuto. Per questo ha una validazione nel soggetto. Se per esempio abbiamo un pz che soffre di mal di
testa e facciamo una scala analogica prima e dopo aver somministrato un determinato tipo di farmaco, il
soggetto è sempre lo stesso, ma può avere una validazione in questo senso per dirci se quel farmaco è
attivo. Quindi hanno una validazione intrapersonale, ma non interpersonale. La sensibilità viene anche
definita sulla base del maggiore o minore contenuto affettivo o emozionale e sulla base della maggiore o
minore discriminazione (riconoscimento) dello stimolo che l’ha generata: sensibilità protopatica, ad elevato
contenuto affettivo ed emotivo (ad esempio una carezza, il sapore di un cibo di cui siamo ghiotti, un dolore
dovuto ad’ un’infiammazione ecc.) ma scarsa o nulla componente discriminativa; sensibilità epicritica, a
basso contenuto affettivo ed elevata capacità di riconoscimento (ad esempio la sensibilità tattile dei
polpastrelli delle dita che esplorano una superficie, la sensibilità visiva degli occhi che leggono le lettere e le
parole di uno scritto ecc.). La sensibilità esterocettiva (tattile, termina e dolorifica, oltre a quelle specifiche
visiva, uditiva, gustativa e olfattiva) può essere epicritica o protopatica, cosi come la sensibilità
propriocettiva mentre è sempre protopatica la sensibilità viscerale. Mentre le varie sensibilità epicritiche
sono sempre coscienti, quelle protopatiche possono non esserlo. La percezione degli stimoli a livello
esterno o interno è resa possibile dalla presenza alla superfice del corpo o al suo interno di recettori,
formati da semplici terminazioni neuritiche delle cellule sensitive a T dei gangli, o da formazioni più
complesse come i corpuscoli o da veri e propri organi di senso. Nel caso delle terminazioni semplici (o
libere) e dei corpuscoli viene stimolato il terminale neuritico di un neurone pseudounipolare che sta in un
ganglio cerebro-spinale. Le terminazioni neuritiche possono finire libere fra le cellule di un tessuto, come
appunto le terminazioni libere degli epiteli, oppure essere circondate e completate nella loro funzione
recettrice, da cellule epiteliali, connettivali, muscolari o gliali, come si verifica nei corpuscoli di senso. Le
sensibilità le distinguiamo anche in soggettive (sintomo): dolore (profondo), prurito e parestesie
(=sensazioni soggettive di formicolio, di puntura di spillo, di avere un arto ovattato o di avere una pressione
su un arto, tutte cose che il pz ci riferisce e che non abbiamo la possibilità di valutare effettivamente, ci
dobbiamo fidare e affidare a quello che il pz stesso ci dice); ed oggettive (segno) che possiamo in qualche
modo valutare toccando la cute del pz, facendo dei segni sulla cute del pz. Queste sono distinte in
protopatiche (vitali) ed epicritiche (gnosiche); esterocettive e propriocettiva; superficiali, profonde e
combinate. Le sensibilità superficiali sono quella tattile (il soggetto percepisce che noi tocchiamo la sua
cute, i vari punti del corpo), termica (sensibilità per il caldo e per il freddo) e dolorifica (evochiamo uno
stimolo dolorifico, che può essere la punta di uno stuzzicadenti o anche una punta smussa e il pz ci riferisce
se percepisce o no questa sensazione che portiamo sulla sua pelle). Le sensibilità profonde (cordoni
posteriori) sono quella batiestesica (posizione: pz ad occhi chiusi, tocchiamo l’alluce e lo spostiamo verso il
dorso del piede e chiediamo al pz se sa dirci dov’è il suo alluce) chinestesica (movimento: muoviamo
l’alluce del pz che sta ad occhi chiusi e chiediamo se percepisce un movimento del piede oppure no),
pallestesica (vibrazione con il diapason sulle emergenze ossee, questa vibrazione è trasmessa per via ossea
e quando il pz ha una pallestesia intatta ci dirà se questo apparecchio sta vibrando oppure se lo fermiamo e
dice che sta vibrando), barestesica (pressione). Le sensibilità combinate presuppongono che ci sia una
sensibilità superficiale indenne perché se noi disegniamo una lettera o un numero sulla cute è necessario
che ci sia una sensibilità tattile indenne. Se il pz ha una anestesia su tutto il braccio dx possiamo disegnare
qualsiasi cosa ma non lo riconosce. Accanto a questo ci deve essere una cognizione: il pz con una anestesia
deve conoscere le lettere e i numeri, se non li conosce non può riconoscerli. Le sensibilità combinate sono
quella topognosica (localizzazione dello stimolo, cioè portiamo uno stimolo al corpo del pz e chiediamo
dove è stato toccato o in alcuni casi particolari si portano due stimoli contemporanei a due parti del corpo

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NEUROLOGIA-Lezione 1
dello stesso lato o a dx o sx e chiediamo al pz di dire dove è stato toccato; il pz normale riconosce
sicuramente tutti e due gli stimoli, il pz
che ha delle alterazioni magari tende a
sopprimere uno dei due stimoli); quella
grafestesica (lettere o numeri sulla cute),
streognosica (identificare oggetti con il
tatto= il pz è ad occhi chiusi, gli poniamo
nella mano un oggetto di uso comune, il
pz deve, toccando questo oggetto con la
mano, dirci che cosa ha in mano, o se
non riesce a identificare l’oggetto,
almeno ci può dire qual è il materiale
che lo compone, come pensa che sia
fatto). Abbiamo detto che abbiamo dei recettori specifici per le diverse sensibilità. Questi recettori sono
situati insieme in un tratto di cute a costituire un campo recettoriale. Quanto più è piccola la superficie del
campo recettoriale, tanto più sarà precisa la discriminazione sensoriale che ne consegue. Nell’immagine
vediamo la distribuzione dei recettori cutanei. I recettori per il freddo sono molto pochi, come i recettori
per il caldo. Abbiamo moltissimi recettori tattili, divisi in vari tipi di recettori, sono 150/cm2. Anche i
recettori per il dolore sono molto presenti, circa 100/cm2. Sono pochi per il caldo e per il freddo perché la
sensibilità termica è per temperature che non possono avere un effetto nocivo per il corpo. Il molto caldo,
l’acqua bollente o la fiamma, attiva il recettore dolorifico, perché è necessaria una risposta immediata,

quindi qui abbiamo una notevole densità recettoriale. Il ghiaccio eccita il recettore dolorifico. Quindi i
recettori per il freddo e per il caldo lavorano a delle temperature che non sono pericolose per il corpo,
quindi questo spiega il perché infondo la densità recettoriale per il freddo e per il caldo è abbastanza bassa,
molto limitata rispetto agli altri recettori che sono presenti nel cm2 di cute. Nei tessuti ci sono una serie di
sostanze (potassio, serotonina, bradichinina, istamina, prostaglandine, leucotrieni, sostanza P) in grado di
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NEUROLOGIA-Lezione 1
formare il
lemnisco
mediale, e poi
andranno al
talamo e dal
talamo in
corteccia.
Mentre la via
del fascio
spino-talamico
decussa
all’entrata nel
midollo
spinale,
attraversa il
midollo e
decorre nel
fascio
controlaterale
rispetto alla
zona di
sensazione che

ha prodotto la sensazione stessa. Questo è importante


perché da un punto di vista poi lesionale, per una lesione midollare, avremo una alterazione spinotalamica
da un lato ed una alterazione della sensibilità tattile, epicritica, pressoria, vibratoria e propriocettiva
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NEUROLOGIA-Lezione 1
Quali sono le vie che portano la sensibilità alla coscienza, la consapevolezza? Sono essenzialmente due: le
vie del cordone posteriore e il fascio spinotalamico che hanno una differenza importante da un punto di
vista morfologico e di organizzazione della via: decussano in due posizione diverse. Le vie del cordone
posteriore decussano, si incrociano a livello del bulbo, ai livelli dei nuclei gracile e cuneato. Da qui vanno a
formare il lemnisco mediale, e poi andranno al talamo e dal talamo in corteccia. Mentre la via del fascio
spino-talamico decussa all’entrata nel midollo spinale, attraversa il midollo e decorre nel fascio
controlaterale rispetto alla zona di sensazione che ha prodotto la sensazione stessa. Questo è importante
perché da un punto di vista poi lesionale, per una lesione midollare, avremo una alterazione spinotalamica
da un lato ed una alterazione della sensibilità tattile, epicritica, pressoria, vibratoria e propriocettiva
dall’altro lato. Quindi se noi conosciamo l’anatomia del midollo quando visitiamo il pz sappiamo anche dove
possiamo trovare la lesione. La via del cordone posteriore incrocia a livello del bulbo, mentre la via
spinotalamica incrocia direttamente all’ingresso nel midollo spinale. Queste vie, sia la spinotalamica sia i
cordoni posteriori, arrivano comunque al talamo, al nucleo ventropostero laterale, che è in stretta vicinanza
con il gruppo dei nuclei posteriore del talamo dove arrivano le afferenze visive e uditive e con il cervelletto.
Come vediamo al talamo arrivano le informazioni della sensibilità generica, della visione e dell’’udito,
cervelletto, nuclei della base, sistema limbico, lobi frontali, aree associative della corteccia cerebrale.
Quindi il talamo è veramente un grosso centro di raccordo di tutte le informazioni in entrata all’encefalo. E
poi vedremo come queste informazioni possono essere utilizzate. Quindi i fasci ascendenti nel midollo
spinale sono: il fascicolo gracile, vie del cordone posteriore, fascicolo cuneato, via spinotalamica (laterale e
anteriore), via spinocerebellare (dorsale e ventrale).

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NEUROLOGIA-Lezione 1
Nella via del cordone posteriore primo
ordine: ganglio spinale; assoni
ascendono nei cordoni posteriori
senza entrare nella sostanza grigia del
midollo. Arriva al nucleo gracile, nel
bulbo. Qui gli assoni decussano e
arrivano al talamo e dal talamo
arrivano nella corteccia chiaramente
lato opposto rispetto a quello che ha
prodotto lo stimolo. Quindi è una via
con tre neuroni. Anche la via
spinotalamica con il suo fascio laterale
e anteriore è una via a tre neuroni. La
destinazione finale è sempre la
corteccia somatosensoriale nel lato
opposto allo stimolo che ha creato la
sensazione. Portano una sensibilità

termica, dolorifica e tattile non


discriminata. C’è un’altra via che è la via spinocerebellare (parliamo di sensibilità non cosciente, arriva al
cervelletto, ed ha informazioni ad esempio sullo stato di tensione dei tendini, apparato di Golgi e cosi via).
Sulla trasmissione degli impulsi, soprattutto quelli nocicettivi, esiste la teoria del cancelletto che riguarda la
modulazione delle afferenze nocicettive. Infatti l’attività dei neuroni spinali che ricevono afferenze
nocicettive può essere modificata da altre afferenze di natura non nocicettiva. Secondo la teoria del
cancelletto la percezione del dolore può essere inibita attraverso afferenze somatiche non dolorifiche.
L’attività delle cellule del corno dorsale può venire modificata da fibre afferenti mieliniche (cioè ad alta
velocità di trasmissione) Aalfa e Abeta e da quelle amieliniche C., dai neuroni di proiezione del corno
dorsale che ritrasmettono centralmente verso l’encefalo le informazioni e da interneuroni inibitori che
agiscono sui neuroni di proiezione. Quando vengono attivate le fibre mieliniche a bassa soglia, queste
attivano interneuroni inibitori e pertanto l’attività dei neuroni di proiezioni, e quindi la percezione del
dolore, si riduce. Nella trasmissione del dolore non modulata (immagine a sx), le fibre collaterali di
afferenze nocicettive (fibre C) inibiscono gli interneuroni inibitori permettendo la trasmissione del dolore.
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NEUROLOGIA-Lezione 1
Secondo lo schema: nocicettori, fibra C,
interneurone inibitorio (- -=+), si attiva il
neurone di secondo ordine e il segnale arriva
al talamo. Nella modulazione del dolore
(immagine a dx), le fibre collaterali di fibre
afferenti di grosso diametro (Abeta)
provenienti da recettori di tatto o pressione,
eccitano gli interneuroni inibitori riducendo
cosi la trasmissione di segnali dolorifici.
Secondo lo schema: nocicettore, fibra C che
arriva all’interneurone inibitorio che però è
attivato in questo caso da un altro tipo di
stimolazione (che arriva per esempio da
meccanocettori cutanei con fibre
mielinizzate, quindi più potenti, più veloci),
l’interneurone inibisce il secondo neurone e
quindi inibisce la trasmissione del segnale
dolorifico. Quindi attraverso l’interneurone,
bloccato da questa attivazione di una fibra
che porta l’informazione meccanica,
blocchiamo la trasmissione del dolore. La via
è bloccata da quest’altro tipo di informazione. E’ questa ad esempio la sensazione che abbiamo quando
abbiamo mal di testa, ci massaggio le tempie, e abbiamo la sensazione che il dolore diminuisca. Il concetto
è proprio questo: blocchiamo la trasmissione nocicettiva, attivando una terminazione meccanica. Poi
appena smettiamo di massaggiare la testa, il dolore rimane tale e quale, si è riattivata la normale via
nocicettiva, e quindi normalmente non abbiamo nessun
miglioramento.
Infine vediamo il concetto di deambulazione. Nonostante la sua complessità la deambulazione è un’attività
prevalentemente automatica, che coinvolge un vasto sistema di comando e di controllo. Richiede, oltre ai
sistemi gerarchici integrati, anche una serie, una concatenazione precisa di riflessi posturali e una
coordinazione con le componenti della locomozione. Nella deambulazione intervengono numerose
strutture del SNC e SNP. Le risposte riflesse tendono a mantenere il baricentro all’interno della base di
appoggio e una posizione adeguata contro la forza di gravità. Queste risposte riflesse sono di vario tipo.
Abbiamo ad esempio il riflesso miotatico tonico (integrato da risposte transcraniche), i riflessi vestibolari,
cervicali, visivi, risposte adattative, anticipatorie, variabili. Tutte queste andranno poi sfruttate nella nostra
professione per mantenere, per riabilitare il soggetto a riprendere la sua funzione motoria o per mantenere
le abilità che ha ottenuto. Il tono muscolare dei muscoli agonisti e antagonisti è fondamentale per il
corretto angolo articolare (elementi passivi e attivi). I fusi neuromuscolari e il riflesso miotatico tonico sono
alla base del tono muscolare. Nei riflessi posturali rientrano: la reazione di raddrizzamento, la reazione di
sostegno (muscoli antigravitari), mantiene il centro di gravità all’interno della base di appoggio; riflesso di
anticipazione; reazioni riflesse allo spostamento del centro di gravità (cioè piccoli aggiustamenti per far si di
mantenere sempre la posizione): 1)riflessi precoci spinali, mono e polisinaptici “)riflessi a lunga latenza (120
msec) che passano attraverso tronco cerebrale e encefalo provando la contrazione del gastrocnemio e
tibiale anteriore (si valuta osservando la risposta alla spinta); reazione di soccorso adattate (piccoli passi o
allargamento delle braccia); reazioni di protezione (protrusione degli arti superiori in caso di caduta perché
quello che proteggiamo è sempre il contenuto della scatola cranica). La postura e la locomozione
convergono sui motoneuroni spinali e sono coordinate nella bipedia. La coordinazione tra postura e
locomozione interviene all’inizio della deambulazione. L’inizio della deambulazione corrisponde ad una vera

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NEUROLOGIA-Lezione 1
e propria caduta dovuta all’inibizione della postura. 1) il centro di gravità si sposta in direzione del piede,
permettendo al soggetto di sollevarsi; 2) il centro di gravità si sposta in avanti, permettendo al corpo di
portarsi sul piede avanzato; 3) la contrazione è ridistribuita ai muscoli posturali che ristabiliscono
l’equilibrio. Quindi è come una sorta di caduta e spostamento di baricentro per far si che possiamo
spostarci in avanti. Per gli animali c’è uno starter che è il centro oscillatorio spinale, che inizia il movimento
ritmico di questa oscillazione, facilitato da clonidina e levodopa. Lo starter non dipende da un feedback
sensoriale. Gli oscillatori spinali subiscono le influenze sovraspinali dal ponte e dalla regione subtalamica,
con nucleo cuneiforme, il nucleo colinergico peduncolo-protuberenziale, la sostanza reticolare
troncoencefalica, strettamente connessa al pallidum interno e locus niger. Tale regione riceve inoltre
afferenze motorie corticali. Nell’uomo gli oscillatori spinali non sono indipendenti, ma dipendono da
integrazioni sovraspinali e dalla integrazione della locomozione con il controllo posturale. Cosa dobbiamo
andare a valutare nella deambulazione?

 BASE D’APPOGGIO. La base d’appoggio deve avere un’ampiezza normale (pochi cm di distanza fra i
due piedi). Durante la deambulazione la base d’appoggio si mantiene ai lati di una linea retta
passante al centro del bordo mediale dei due talloni.
 FASI DEL PASSO. Le differenti fasi del passo si susseguono ritmicamente senza differenze di lato
 DURATA DEL PASSO. La durata fra due appoggi calcaneali consecutivi varia normalmente fra 0.3 e
1.0 secondo
 ESCURSIONE ARTICOLARE. Le articolazioni dell’anca, del ginocchio e del piede devono avere
un’escursione normale (triplice flessione anca-ginocchio-piede)
 FASE DI APPOGGIO DEL PIEDE. La fase d’appoggio del piede avviene con una normale progressione
in avanti dal tallone alla punta del piede (rotolamento anteriore del piede)
 DIREZIONE DI MARCIA. La deambulazione avviene senza scostamenti dalla linea retta.
 LUNGHEZZA DEL PASSO. La lunghezza del passo dipende dall’altezza del pz e diminuisce con
l’avanzare dell’età (circa 2,5 volte la lunghezza del piede nei soggetti giovani)
 ATTEGGIAMENTO DEL TRONCO. Il tronco deve restare in posizione verticale e non presentare
oscillazioni.
 ATTEGGIAMENTO DEL BACINO. Il bacino deve presentare solo minime oscillazioni verticali rispetto
alla linea orizzontale.
 MOVIMENTO PENDOLARE DEGLI ARTI SUPERIORI. I movimenti pendolari degli arti superiori devono
essere di normale ampiezza
 DIETRO FRONT. Il dietro-front è eseguito in modo fluido da entrambi i lati.

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NEUROLOGIA-Lezione 1
La valutazione della deambulazione deve essere completata
chiedendo al pz di: camminare ad occhi chiusi; camminare segnando
il passo
(marcia
senza

avanzamento) ad occhi chiusi, e a braccia protese; camminare sulla punta dei piedi e sui talloni per
evidenziare alterazioni di tipo centrale; camminare ponendo il tallone di un piede davanti alla punta
dell’altro piede (marcia tandem o andatura del funambolo) per mettere ancora più in evidenza la
capacità di equilibrio. Notiamo nell’immagine a dx in A la traiettoria descritta da un soggetto normale:
una linea retta che passa tra il bordo mediale del piede, la lunghezza del passo è sempre la stessa. In b
vediamo un soggetto con andatura atassica cerebellare. Qui la distanza tra i due piedi varia al variare di
ogni passo cosi come varia la lunghezza del passo tra un passo e l’altro, gli arti vengono lanciati. Quella
che viene descritta è una linea tortuosa con moltissime alterazioni rispetto alla linea retta. In C vediamo
un’andatura a piccoli passi. Vediamo come ogni passo è nettamente più corto rispetto a quello che è
l’andamento normale. I piedi quasi si toccano. La linea è retta, ma con una progressione molto lenta

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NEUROLOGIA-Lezione 1
dell’andatura. E vedremo parlando poi appunto di patologia neurologica, che le singole patologie
avranno un’andatura caratteristica. Per cui l’andatura spastica che sarà caratteristica della lesione
piramidale (ad esempio la riduzione della triplice flessione); l’andatura parkinsoniana, in genere a
piccoli passi; l’andatura cerebellare; l’andatura talloneggiante (atassia sensitiva); steppage; andatura
vestibolare; andatura cauta per la persona anziana; disturbo della deambulazione di origine frontale
(atassia della marcia); deficit isolato dell’inizio della deambulazione; andatura coreica; andatura
atetosica; andatura distonica; paralisi del quadricipite; miopatie; andatura “antalgica” (per esempio pz
con lombosciatalgia mette in campo una serie di modificazioni dell’assetto posturale per non avere
dolore); andatura degli stati depressivi; andatura vacillante di origine farmacologica e intossicazione
alcoolica; andatura isterica. Nell’immagine vediamo l’andatura tabetica (complicanza della sifilide
terziaria in cui vengono ad essere compromessi i cordoni posteriori e il pz presenta una atassia di tipo
sensitivo). Nell’aprassia della marcia invece il pz non riesce più ad organizzare la sequenza dei
movimenti che servono per procedere durante l’andatura.
Come interpretiamo l’andatura? Dobbiamo far camminare il pz
per 2-3 m, a seconda dello spazio che abbiamo a nostra

disposizione. In base alle risposte che


abbiamo tentiamo di fare una diagnosi. Se
abbiamo una base allargata che peggiora per
esempio con la chiusura degli occhi possiamo
pensare ad un’atassia sensoriale. Se ha
un’andatura falciante, il pz che
striscia sul pavimento, non c’è più
la triplice flessione dell’arto,
possiamo pensare ad un’andatura
spastica. Oppure una andatura da
lesione piramidale, a piccoli passi,
con il tronco flesso in avanti,
come la sindrome parkinsoniana.

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