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Rocco Quaglia

Claudio Longobardi

Manuale
di psicologia
dinamica

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO 9
Heinz Kohut
La dimensione del Sé
Rocco Quaglia, Claudio Longobardi

MANUALE DI
PSICOLOGIA DINAMICA

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO 9
Heinz Kohut.
La dimensione del Sé

La psicoanalisi è nella sua infanzia […]


è riuscita soltanto a scalfire in superficie
l’affascinante mistero dell’uomo.
(kohut, 1981)

Heinz Kohut (1913-1981), viennese di nascita e di famiglia ebraica, co-


me molti suoi correligionari fu costretto a emigrare negli Stati Uniti,
dove arrivò nel 1939. A Chicago divenne professore di psichiatria del-
la locale università, e membro del Chicago Institute for Psychoanalysis.
Nell’anno 1964-1965 fu nominato presidente della Società psicoanali-
tica americana.
La psicologia del Sé (Self Psychology) nasce dalla nuova visione che
Kohut aveva acquisito trattando i disturbi narcisistici della personalità.
Egli aveva iniziato il suo lavoro utilizzando il modello pulsionale, che
tuttavia non contemplava il trattamento di pazienti con gravi disordi-
ni mentali. Il lavoro con pazienti narcisistici lo portò a elaborare non
soltanto nuove strategie tecniche ma anche riflessioni teoriche che gra-
dualmente egli organizzò in un’originale visione dell’esperienza umana
e, quindi, in un nuovo sistema teorico.
Identificare la riflessione di Kohut non è facile: essa può essere con-
siderata sia come un completamento del modello pulsionale, sia come
un’estensione ad ambiti considerati non suscettibili di trattamento, sia
infine come un costrutto inedito, ossia “una psicologia del Sé onnicom-
prensiva che intende sostituire il modello psicoanalitico dell’Es-Io”
(Eagle, 1984, p. 38).
Come già Sullivan, Kohut, indagando i “casi impossibili”, giunge al-
la convinzione che anche i pazienti più gravi possano essere curati, ma
2 Scheda di approfondimento 9

a condizione di un riesame della psicoanalisi classica, cioè dei suoi prin-


cipi teorici e clinici. Pur riconoscendo il valore della teoria pulsionale e
del suo procedimento terapeutico nei casi di nevrosi strutturali, egli evi-
denzia nei disturbi narcisistici della personalità una diversa natura dei
difetti psicologici. Scrive:

Quando ci volgiamo ai disturbi narcisistici della personalità, però, non


abbiamo più a che fare con gli esiti patologici di soluzioni insoddisfa-
centi di conflitti tra strutture sostanzialmente intatte, ma con forme di
disfunzione psicologica insorte in conseguenza del fatto che le strutture
centrali della personalità – le strutture del Sé – sono difettose. (Kohut,
1977a, p. 20)

Non si tratta più di mettere d’accordo l’Io e l’Es, con esigenze e


pretese diverse e socialmente incompatibili, ma di indagare su strut-
ture più profonde della personalità. All’uomo di Freud, alle prese con
forze tra loro in conflitto e sostanzialmente concepito dall’attività del-
le pulsioni, Kohut affianca una diversa idea di uomo, le cui mete non
si orientano più verso la scarica pulsionale, ma “verso la realizzazione
del Sé” (ibidem, p. 126).
In Kohut, le sorgenti del Sé non mutano rispetto a quelle indicate da
Edith Jacobson: il Sé è generato dagli scambi interpersonali, è una sor-
ta di “luogo” relazionale (Goldberg, 1981). Tuttavia, in Kohut, il Sé è
considerato “come un reale centro indipendente di iniziativa e come un
polo di percezioni e di esperienze” (Kohut, 1977a, p. 94).
Kohut dunque pone il Sé a fondamento della sua teoria e dell’elabora-
zione del suo nuovo modello di apparato psichico. Il Sé – per le sue origi-
ni interpersonali – diventa, così, una sorta di cavallo di Troia mediante il
quale il modello relazionale entra nel torrione della fortezza pulsionale.

La concezione dello sviluppo

Freud considerava la prima fase della vita come essenzialmente autoe-


rotica: le pulsioni parziali del neonato sono dirette e trovano soddisfa-
zione sul proprio corpo. Poiché il bambino non percepisce l’oggetto
come una realtà esterna, si può dire che l’autoerotismo sia “senza og-
getto”. Passo successivo è il narcisismo primario; se pure il soddisfaci-
mento pulsionale sia orientato ancora in modo autoerotico, il bambino
in conseguenza dell’aggregazione delle pulsioni ha ora un’immagine
unificata del corpo. In questa fase è l’Io del bambino a essere investito
di libido. In un terzo momento, la libido investita sull’Io, ossia la libido
narcisistica, si rivolge in direzione dell’oggetto. I due concetti di libido
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 3

narcisistica e di libido oggettuale sono in Freud in opposizione tra lo-


ro, nel senso che un aumento di un tipo di libido provoca un impove-
rimento dell’altro. Kohut supera tale opposizione, facendo derivare il
conseguimento dell’amore oggettuale dallo sviluppo di un narcisismo
individuale corrispondente. Il modello definitivo elaborato da Kohut
dopo il 1977 considera narcisismo e amore oggettuale due concetti in-
terdipendenti e complementari. Amore oggettuale maturo e narcisismo
maturo sarebbero, dunque, due prodotti di uno sviluppo psichico sod-
disfacente che si completano nella manifestazione matura di schemi
comportamentali contenuti nel Sé, concepito quale nucleo della sog-
gettività. Il concetto di sviluppo in Kohut è pertanto riferito priorita-
riamente al Sé, agente di iniziative e luogo di impressioni, che avrebbe
una sua specificità con una propria individualità, unitarietà e integrità.
Le condizioni opposte a queste sono, rispettivamente, indifferenziazio-
ne rispetto agli altri, discontinuità spazio-temporale e frammentazione
dell’identità. “Kohut ritiene che debba compiersi un completo svilup-
po del Sé nucleare, che possediamo fin dalla nascita, in un Sé coesivo
adulto. Quest’ultimo guiderà le forme più evolute di narcisismo, e par-
teciperà alla soddisfazione dei bisogni di autoaffermazione e dei biso-
gni sessuali” (Carotenuto, 1991, p. 123).
Con lo sviluppo del Sé, il narcisismo può evolvere da un carattere pri-
mitivo di grandiosità, onnipotenza e inviolabilità, proprio di una mente
infantile, a forme mature in cui è presente il senso della fragilità, della
debolezza e della caducità dell’uomo.
Kohut non elabora una definizione del Sé con un significato esatto;
egli stesso precisa – pur avendo scritto molte pagine riguardanti il Sé –
di non averne mai definito il contenuto per scelta.
In ogni modo, Kohut adopera il Sé in due accezioni, una stretta e una
ampia del termine, rispettivamente come una “struttura dell’appara-
to mentale” e come “il centro dell’universo psicologico dell’individuo”
(Kohut, 1977a, p. 269). Il Sé non è stato definito poiché è indefinibile.
È possibile descrivere le varie forme che il Sé assume, identificare i di-
versi costituenti che lo compongono, distinguere i suoi differenti tipi,
ma senza giungere a conoscere la sua essenza.
Quando ha inizio il Sé, vale a dire quella particolare organizzazio-
ne che Kohut chiama “Sé nucleare”? L’ultimo Kohut esclude che il
bambino alla nascita abbia un Sé, almeno nel senso stretto del termi-
ne. Per sopravvivere, il bambino necessita sia di una predisposizione
a un ambiente specifico sia di una presenza di oggetti-Sé, vale a di-
re di genitori capaci di instaurare con lui un’empatica relazione. In
quest’ambiente di persone che rispondono alla presenza del bambino
4 Scheda di approfondimento 9

e soddisfano il suo sano bisogno di essere si formerebbe il Sé nucleare


(Kohut, Wolf, 1978).
La formazione del Sé nucleare è, pertanto, il punto di arrivo di un
lungo processo che avrebbe inizio nella mente dei genitori con la for-
mazione di sogni, di speranze e di desideri riguardanti il figlio atteso. Il
Sé del bambino avrebbe dunque un inizio virtuale e senza una tale ori-
gine non potrebbe subire l’influenza esercitata dalle prefigurazioni dei
genitori. “Il Sé sorge, pertanto, come un risultato dell’interazione tra le
dotazioni innate del neonato e le risposte selettive degli oggetti-Sé (ge-
nitori)” (Kohut, Wolf, 1978, p. 169). Attraverso tale interazione sono
potenziate alcune disposizioni innate del bambino, mentre altre sono
trascurate, oppure scoraggiate.
In sintesi, il Sé virtuale ha inizio nel periodo dell’attesa e si concreta
immediatamente dopo la nascita, cioè nel momento in cui potenzialità
innate e aspettative dell’oggetto-Sé s’incontrano “all’interno della ma-
trice dell’empatia reciproca” (Kohut, 1977a, p. 99).
Il Sé rudimentale si riferisce alle prime fasi evolutive in cui avvengo-
no le interazioni di natura empatica tra il Sé, incoraggiato dall’ambiente
familiare mediante le fantasie e i desideri attribuiti al neonato, e il “caos
prepsicologico” del bambino. In questo periodo, il bambino sperimen-
terebbe delle oscillazioni tra il caos prepsicologico e uno stato di fusio-
ne con l’oggetto-Sé. Questo Sé primario è veramente debole, ed è privo
di forma e di continuità; perciò sono indispensabili gli altri – chiamati
oggetti-Sé in quanto non ancora separati dal Sé – affinché sostengano il
Sé nascente del bambino fornendogli un senso di coesione e di perma-
nenza nel tempo. Mediante la fusione empatica con l’altro, il bambino
entra nell’esperienza che il genitore sta vivendo nelle diverse situazioni,
soprattutto nella relazione che ha con il figlio. “La psiche rudimentale
del bambino partecipa dell’organizzazione psichica altamente sviluppata
dell’oggetto-Sé; il bambino percepisce gli stati affettivi dell’oggetto-Sé –
che gli sono trasmessi attraverso il tocco, il tono della voce e forse anche
altri mezzi – come fossero i propri” (ibidem, p. 89).
Mediante l’intesa empatica, il bambino sperimenta l’oggetto-Sé, con
le sue caratteristiche, come facente parte di sé. Il destino di uno sviluppo
sano del Sé dipende dal modo in cui evolve il primo rapporto simbiotico
del bambino con la madre. Questo primo processo di formazione del Sé
si completa nel secondo anno di vita, in cui si ha il primo delineamento
del Sé adulto. In breve, con il costituirsi del Sé nucleare termina il pro-
cesso primario e ha inizio il processo che porta alla creazione del Sé del-
la persona, “processo che continua durante tutta l’infanzia e in misura
minore durante tutta la vita” (ibidem).
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La natura bipolare del Sé


L’esperienza della relazione tra il Sé e l’oggetto-Sé empatico costitui-
sce per Kohut la configurazione psicologica primaria, soppiantando la
pulsione. Un atteggiamento della madre che rivela orgoglio e interesse
per il bambino e per i suoi comportamenti, oppure che manifesta indif-
ferenza, risponderebbe non a una pulsione ma al Sé in formazione del
bambino. I tipi di relazione che un bambino cerca con i suoi oggetti-Sé
arcaici esprimono due qualità di bisogni narcisistici di base. Inizialmen-
te, il bambino per esprimere il suo senso di grandiosità e di onnipoten-
za chiede di essere ammirato per tutte le capacità che progressivamente
sviluppa ed esibisce. In un secondo tempo, sente il bisogno di formarsi
un’immagine idealizzata dei genitori, o almeno di uno di essi. Se lo svi-
luppo procede senza ostacoli, queste due tipologie relazionali si succe-
dono. Nella prima configurazione, le immagini di un Sé grandioso sono
connesse con oggetti-Sé speculari; nella seconda configurazione, in cui
il bambino ha perduto parte della sua grandiosità, le immagini del Sé
sono connesse con oggetti-Sé idealizzati.
Il narcisismo primario è pertanto mantenuto, o ristabilito – in caso
di un’inadeguata cura materna – con il recupero della perfezione pre-
cedente, stabilendo un Sé grandioso (“Io sono perfetto”), oppure con
il trasferimento della propria perfezione su un oggetto-Sé ammirato e
sentito onnipotente: l’imago parentale idealizzata (“Tu sei perfetto, e io
sono parte di te”) (Kohut, 1971, p. 35).
Gli inevitabili fallimenti dei genitori nel riflettere il bambino pro-
muovono gradualmente una modificazione delle immagini sia del Sé sia
dell’oggetto-Sé, che acquistano un carattere più articolato e flessibile.
In uno sviluppo favorevole i fallimenti dell’oggetto-Sé speculare non
provocano delusioni traumatiche e non interferiscono nella struttura-
zione dell’apparato psichico. Anche la delusione provata nei confronti
dell’oggetto-Sé idealizzato non è traumatica. “In circostanze ottimali il
bambino sperimenta una delusione graduale nei confronti dell’oggetto
idealizzato o, per dirla differentemente, la valutazione che il bambino
dà dell’oggetto idealizzato diventa sempre più realistica” (ibidem, p. 52).
La delusione provoca un ritiro da parte del bambino del proprio inve-
stimento narcisistico dall’oggetto-Sé idealizzato; tale ritiro porta all’inte-
riorizzazione, “cioè all’acquisizione di strutture psicologiche permanen-
ti che continuano endopsichicamente le funzioni che precedentemente
aveva svolto l’oggetto-Sé idealizzato” (ibidem, p. 53).
Kohut evidenzia così l’esistenza di un rapporto tra il disinvestimento
narcisistico degli oggetti-Sé e la formazione delle strutture psichiche; tut-
tavia, l’interiorizzazione riguarda aspetti delle imago oggettuali. In caso
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di “frustrazione ottimale” (optimal frustration), ossia di frustrazione di


un’esagerata esibizione di onnipotenza del bambino, si ha il ritiro degli
investimenti narcisistici con gradualità, consentendo il processo chiama-
to di interiorizzazione trasmutante e la formazione di una struttura psi-
chica permanente, ossia il Sé. L’interiorizzazione trasmutante sarebbe,
invece, impedita qualora la delusione nei confronti dell’oggetto-Sé fosse
riferita all’oggetto nella sua totalità.

In un particolare ambiente oggetto-Sé, attraverso un processo specifico


di formazione della struttura psicologica chiamato “interiorizzazione tra-
smutante” (transmuting internalization), si cristallizzerà il “Sé nucleare”
(nuclear Self) del bambino […] che non può verificarsi senza uno stadio
precedente in cui i bisogni di rispecchiamento e di idealizzazione del bam-
bino abbiano ricevuto una risposta adeguata. (Kohut, Wolf, 1978, p. 169)

Un Sé saldo è così costituito da due poli: uno esprime le attitudini al


potere e al successo; l’altro ospita aspirazioni e ideali. La bipolarità del
Sé emerge con la formazione del Sé nucleare, cioè nel secondo anno di
vita, in cui il polo della grandezza si esprime mediante i desideri, e il polo
degli ideali si manifesta con gli obiettivi che si vogliono perseguire. Tra i
due poli, Kohut identifica un’area intermedia in cui si palesano i talenti
e le abilità “che sono attivati dall’arco di tensione che si stabilisce tra le
ambizioni e gli ideali” (ibidem, 165).
Il Sé nucleare, dunque, si organizza all’inizio in Sé bipolare cui succe-
de il Sé integrato-coesivo, chiamato anche semplicemente “Sé”, il quale
evolve anche nella vita adulta.
In sintesi, i primi rapporti che il bambino vive con la figura materna
sono ispirati da un bisogno di approvazione e di ammirazione: i bisogni
del bambino, infatti, sono narcisistici. Se non ci sono ammiratori, i com-
portamenti del bambino perdono dapprima ogni significato di grandio-
sità, quindi si affievoliscono fino a estinguersi. Il Sé grandioso del bam-
bino, poiché fragile, richiede per sussistere di essere rispecchiato dalla
madre, la quale risponde ricuperando il proprio senso di grandiosità. La
madre risponde restituendo, come fosse uno specchio, un’immagine del
bambino desiderabile.
La funzione speculare della madre è dunque di conferma per il bambi-
no, che vive l’approvazione in unione con l’immagine di Sé. Una madre
capace di rispecchiare in modo adeguato i bisogni narcisistici del bam-
bino favorisce la nascita di un senso interno di fiducia e quindi lo stabi-
lirsi del Sé in maniera sicura. Kohut descrive la mancanza di empatia da
parte della madre per i bisogni di rispecchiamento del bambino come
assenza di “luccichio degli occhi della madre” (Kohut, 1970, p. 120).
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Le esperienze di rispecchiamento sono, pertanto, la condizione es-


senziale per la costituzione del Sé nucleare; nulla più dell’approvazio-
ne può fornire al Sé un fondamentale senso di sicurezza che, in seguito,
troverà espressione nei desideri di gratificazioni narcisistiche nelle di-
verse fasi evolutive.
Si precisa ancora che le funzioni di oggetto-Sé rispecchiante e di og-
getto-Sé idealizzato non sono in sequenza ma simultanee: “La creazione
dell’oggetto-Sé idealizzato e quella del Sé grandioso sono due aspetti
della stessa fase evolutiva, o in altre parole che esse si verificano contem-
poraneamente” (Kohut, 1971, p. 110). Secondo Kohut, il narcisismo ori-
ginario si sviluppa in due diverse direzioni, due linee evolutive: la perso-
nalità può organizzarsi con riferimento sia a un sentimento di grandiosità
e di ostentazione di sé, sia all’idealizzazione del rapporto Sé-oggetto. In
circostanze favorevoli, il bambino riconosce i propri limiti, rinunciando
da un lato alle sue fantasie di grandiosità e alle tendenze esibizionistiche,
e perseguendo dall’altro traguardi di vita in sintonia con l’Io. In questo
caso, il piccolo sperimenta una sana ambizione, una fondamentale fidu-
cia espressa dalla sicurezza di sé e un’autostima realistica. Uno sviluppo
soddisfacente pertanto si svolge tra conferme speculari e frustrazioni
ottimali. “Il riconoscimento graduale delle imperfezioni” e “dei limiti
realistici del Sé, la diminuzione cioè graduale del dominio e del potere
delle fantasie grandiose, è in genere un requisito essenziale della salute
mentale nel settore narcisistico della personalità” (ibidem, p. 112).
Qualora la personalità si realizzi con riferimento al Sé grandioso, de-
terminante è l’oggetto-Sé rispecchiante, normalmente la madre; se in-
vece si realizza con riferimento all’imago parentale idealizzata, questa è
rappresentata di solito dal padre. Per il maschio soprattutto, il rappor-
to con l’oggetto-Sé idealizzato, derivato dalla relazione con il padre, si
esprime nei valori professati e negli ideali perseguiti. Dai contenuti di
questi due poli e dalle loro reciproche relazioni deriverebbero i caratteri
di una specifica personalità.
Uno sviluppo povero di uno di questi due aspetti del Sé sarebbe causa
di un disturbo narcisistico della personalità. Qualora la patologia prin-
cipale ricada nella linea evolutiva del Sé grandioso, i pazienti tendono
a stabilire con il terapeuta una traslazione speculare; se invece la pato-
logia deriva da una fissazione all’oggetto-Sé idealizzato, si sviluppa una
traslazione idealizzante.

Le traslazioni di oggetto-Sé

Il narcisismo non è un fenomeno patologico ma un costituente sostan-


ziale per la formazione del Sé ed essenziale per stabilire relazioni con gli
8 Scheda di approfondimento 9

altri. Dall’individuazione di certi fenomeni di traslazione, in realtà, ha


inizio l’avventura intellettuale di Kohut. Egli, infatti, riconosce specifi-
che traslazioni narcisistiche da parte del paziente, definite “traslazioni
d’oggetto-Sé”, mediante cui è possibile identificare quali funzioni l’og-
getto-Sé assolva e quali sono state le mancanze delle figure genitoriali,
mediante la riattivazione terapeutica delle strutture arcaiche.
Kohut segnala tre forme di traslazioni di oggetto-Sé: speculare, idea-
lizzante e gemellare.
■ Traslazioni d’oggetto-Sé speculare. In situazione analitica, Kohut cor-
rela la riattivazione terapeutica del Sé grandioso con tre specifiche for-
me, ognuna riferita a uno stadio evolutivo:
1. la fusione arcaica attraverso l’estensione del Sé grandioso;
2. una forma meno arcaica chiamata traslazione alteregoica o gemellare;
3. una forma ancora meno arcaica definita traslazione speculare nel sen-
so più stretto.
Si ribadisce che sia la creazione dell’oggetto-Sé grandioso, sia quella
dell’oggetto-Sé idealizzato non appartengono a due differenti periodi
evolutivi ma sono aspetti diversi della stessa fase evolutiva. Queste con-
figurazioni narcisistiche, infatti, possono presentarsi contemporanea-
mente e di conseguenza anche le due rispettive traslazioni, nel setting
terapeutico, si presentano interconnesse.
Con riferimento alle traslazioni speculari, Kohut propone due tipi
di classificazione.
Nella prima classificazione la rievocazione terapeutica del Sé gran-
dioso si basa su considerazioni di tipo evolutivo; nella seconda, è ba-
sata, invece, su considerazioni dinamico-genetiche. Secondo il criterio
evolutivo la distinzione è operata tra le traslazioni più primitive e quelle
più evolute.
La forma più arcaica di traslazione è di tipo fusionale: il paziente con
disturbi narcisistici vive l’analista come un’estensione del Sé grandioso.
L’analista è come se fosse incluso in modo regressivo entro i confini del
paziente; questa struttura allargata assicura una maggiore sicurezza e
un’esperienza del Sé grandioso. In breve, l’analista diventa il deposita-
rio della grandiosità del Sé e delle manifestazioni dell’organizzazione
narcisistica del paziente.
Una forma meno arcaica di fusione è la traslazione alteregoica o ge-
mellare, in cui l’oggetto è vissuto come identico o molto simile al Sé
grandioso. Una forma più evoluta di relazione d’oggetto-Sé speculare è
la traslazione speculare vera e propria in cui l’analista è vissuto come una
persona separata dal paziente. Questa forma di traslazione richiama la
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 9

fase evolutiva del Sé grandioso in cui le risposte materne approvavano


le esibizioni del bambino, rafforzando la sua autostima.
La seconda classificazione è elaborata su considerazioni dinamico-
genetiche e i tipi di traslazioni d’oggetto-Sé speculare sono connessi non
alle fasi evolutive ma ai fattori ambientali, quali l’ambiente infantile e
l’ambiente attuale, cioè terapeutico.
Anche in questo caso, Kohut distingue tre diversi modi in cui le tra-
slazioni speculari che il paziente ha conosciuto nella prima infanzia sono
riproposte nella situazione analitica. Le traslazioni speculari sono così
suddivise in primarie, reattive e secondarie.
– La traslazione speculare primaria si stabilisce nel paziente spontanea-
mente e quasi immediatamente, soprattutto se l’analista assume un
appropriato atteggiamento empatico, incoraggiando l’analizzando e
non interferendo con osservazioni critiche o fuori luogo.
– La traslazione speculare reattiva si attiva in conseguenza degli errori
commessi dall’analista, che potrebbe dare un’interpretazione erronea,
fuori tempo, o con una modalità non appropriata. In breve, “la reat-
tiva” è in risposta a una mancata comprensione da parte dell’analista.
– La traslazione speculare secondaria, come la precedente traslazione,
può prodursi quando si verifica un ritiro da una traslazione idealiz-
zante, non in seguito a un errore dell’analista, ma in seguito alla riat-
tivazione di dinamiche relazionali sperimentate in modo traumatico
con le figure familiari nel periodo infantile.
■ Traslazioni d’oggetto-Sé idealizzato. Il bambino di Kohut è fin dall’ini-
zio della vita alle prese con l’equilibrio del narcisismo primario; quando
le cure materne provocano un disequilibrio in seguito a qualche falli-
mento o imperfezione, egli dapprima crea un’immagine grandiosa del Sé,
quindi trasferisce “la perfezione precedente a un oggetto-Sé ammirato e
onnipotente (transizionale): l’imago parentale idealizzata” (ibidem, p. 33).
L’idealizzazione è un aspetto complementare del Sé grandioso; in
base alle vicissitudini evolutive sperimentate durante l’infanzia, può in-
staurarsi con l’analista sia una “fusione idealizzante” (idealizing mer-
ger), che rappresenta la forma più arcaica di questo tipo di traslazione,
sia una traslazione “d’oggetto-Sé idealizzato” (idealizing selfobject), che
è la forma più evoluta.
Durante l’analisi può stabilirsi una grande varietà di traslazioni idea-
lizzanti. Può essere, infatti, riattivato uno stato così primitivo che può
riprodursi l’imago idealizzata della madre, oppure uno stato riferito a
un periodo evolutivo corrispondente alla fase pre-edipica, o edipica, o
anche della prima latenza.
10 Scheda di approfondimento 9

I traumi che eventualmente si producono in queste fasi, sotto forma


soprattutto di una delusione improvvisa e intollerabile, possono provo-
care un’insufficiente idealizzazione del Super-Io. Una tale insufficienza
può portare a un arresto evolutivo con riferimento ai bisogni narcisistici
insoddisfatti. In età adulta, questi soggetti cercano un oggetto idealizzato
cui aderire per conservare il loro equilibrio narcisistico. La traslazione
idealizzante può presentarsi evolutivamente più arcaica o più matura,
pur con diversi punti di fissazione, focalizzandosi, di volta in volta, su
stadi arcaici e su stadi edipici.
In breve, nella traslazione idealizzante è l’imago parentale idealizzata
a essere riattivata. Questo momento corrisponde alla condizione in cui,
rotto l’equilibrio del narcisismo primario, nella perdita della primitiva
perfezione, una parte è salvata imputandola a un oggetto-Sé idealizzato.
“Poiché ora tutta la felicità e il potere risiedono nell’oggetto idealizzato,
il bambino si sente vuoto e impotente quando è separato da esso, e cer-
ca di conseguenza di mantenere un’unione costante con esso” (Kohut,
1971, p. 45).
■ Traslazioni d’oggetto-Sé gemellare. Tra la traslazione di estensione del
Sé grandioso, la più arcaica, e quella speculare propriamente detta, la
meno arcaica, Kohut inserisce un terzo tipo di traslazione, chiamata
“gemellare” (twinship self objects transference). Infatti, nella prima for-
mulazione (1971), essa è considerata una forma intermedia di trasla-
zione speculare, ma nel 1978, insieme con Wolf, riconoscerà a questo
modo traslativo una propria configurazione autonoma, considerandola
un’area distinta dalle altre. In questa traslazione il terapeuta diventa un
“doppio”, un alter ego del paziente. L’oggetto (oggetto-Sé gemellare) è
sentito simile a sé, e ciò serve a rendere più solide le strutture mentali.
Kohut ipotizza l’esistenza di oggetti-Sé gemellari sulla base di espe-
rienze infantili con primitive forme di alter ego che non rientrano nei bi-
sogni del Sé di rispecchiamento e neppure in quelli dell’idealizzazione.
All’oggetto-Sé gemellare corrisponderebbe l’area intermedia, o terza
area, posta tra i due poli del Sé. Quest’area non costituirebbe un terzo
polo, come chiarisce Siani (1992): stabilita tra ambizioni e ideali, è invece
l’area in cui si manifestano i talenti (talents) e le abilità (skills). Questi ta-
lenti e abilità sarebbero attivati come risposta alle tensioni derivanti dalle
due direzioni rappresentate appunto dalle ambizioni e dagli ideali. Il Sé
è come se navigasse tra Scilla e Cariddi; per sfuggire al naufragio, cioè a
un arresto del suo sviluppo, deve poter funzionare in modo conforme a
uno specifico percorso evolutivo. Kohut non parla di progetto evoluti-
vo, ma fa dipendere uno sviluppo ottimale, ossia la costituzione del Sé
coesivo, dalle qualità delle relazioni che i genitori stabiliscono con i figli.
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 11

Genitori che rispondono, approvando l’esibizionismo del Sé grandioso


del figlio, infondono fiducia. “Per quanto seri possano essere i colpi ai
quali è esposta dalla realtà della vita la grandiosità del bambino, il sor-
riso orgoglioso dei genitori manterrà vivo un frammento originario che
sarà conservato come il nucleo della fiducia in sé stessi e della sicurez-
za interiore” (Kohut, Wolf, 1978, p. 170). Così è anche per gli ideali; se
pure delusi dalle scoperte dei limiti dei genitori idealizzati, la sicurezza
mostrata nei confronti dei figli sarà da questi conservata sia per afferma-
re i propri ideali sia per perseverare nei propri obiettivi.

La psicopatologia

Freud aveva fatto dell’Edipo il punto centrale del conflitto psichico;


per l’importanza del suo ruolo – fondamentale nell’organizzazione del-
la personalità – l’Edipo è diventato l’elemento di riferimento principale
della psicopatologia, in particolare delle nevrosi strutturali. Per Kohut,
invece, il Sé del bambino conserva la propria coesione a condizione che
l’oggetto-Sé produca risposte empatiche. “Secondo la qualità delle in-
terazioni tra il Sé e i suoi oggetti-Sé nell’infanzia, il Sé emergerà come
una struttura solida e sana oppure in parte gravemente danneggiata”
(Kohut, Wolf, 1978, p. 165).
Ogni deviazione dei genitori dall’empatia perfetta che concerne una
totale comprensione e una completa consonanza induce il bambino a
vivere i genitori come aggressori, che attentano all’integrità del suo
Sé. Uno sviluppo non sano del bambino, con conseguente psicopato-
logia, è il prodotto di una mancanza permanente di empatia da parte
dei genitori.
Kohut classifica le patologie in tre classi di disturbi: disturbi prima-
ri del Sé, comprendenti stati psicotici e borderline; disturbi narcisistici
della personalità; disturbi strutturali.
Nei disturbi primari del Sé, il Sé nucleare non si sarebbe formato.
Questo rende molto arduo ogni trattamento terapeutico. L’ipotesi di
una guarigione prevedrebbe uno smantellamento delle strutture difen-
sive che impedirebbero al paziente di cadere nell’esperienza del caos
prepsicologico. Un processo psicoanalitico, in questo caso, dovrebbe
permettere al paziente “una nuova prolungata sperimentazione delle
oscillazioni tra il caos prepsicologico e la sicurezza fornita dalla fusio-
ne primitiva con un oggetto-Sé arcaico” (Kohut, 1984, p. 27). Tuttavia,
se la terapia non può né creare un Sé nucleare, né demolire le strutture
difensive può fare in modo che il paziente utilizzi il terapeuta come og-
getto-Sé per rafforzare le proprie difese.
12 Scheda di approfondimento 9

I disturbi narcisistici della personalità sono meno gravi dei precedenti,


poiché si sono organizzati dopo la formazione del Sé nucleare. Si tratta
però di un Sé fragile perché incompleto e reattivo alle ferite narcisisti-
che. Si genererebbero, in tal caso, fenomeni di depressione o di perdita
del senso di autostima in seguito a eventi di fallimento o di delusione.
In questa classe di disturbi – a differenza dei disturbi psicotici – i difetti
strutturali del Sé sono compensati da una richiesta di appoggio narcisi-
stico, per esempio, di rispecchiamento.
Le nevrosi da conflitto strutturali si riferiscono alla nevrosi isterica e a
quella fobico-ossessiva. Il problema di Kohut è come inserire la lettura
di questi disturbi nell’ambito della psicologia del Sé, appurando in qua-
le modo risposte inadeguate o improprie degli oggetti-Sé, nei primi due
anni di vita, possano aver prodotto problemi di questo tipo. I disturbi
narcisistici sono preedipici, poiché insorgono in fasi precoci dello svi-
luppo e riguardano quindi alterazioni di relazioni molto precoci. Nelle
nevrosi strutturali non vi è indebolimento o frammentazione della strut-
tura del Sé, e ciò suggerirebbe l’avvenuto sviluppo di un Sé nucleare in-
tegrato in conseguenza di relazioni oggettuali corrispondenti. Pertanto,
i problemi che hanno portato all’insorgenza delle nevrosi strutturali de-
vono aver avuto luogo nel periodo edipico.
Nei termini della psicologia del Sé, secondo Kohut, si dovrebbe ipo-
tizzare che, pur essendosi formato nella prima infanzia un Sé nucleare,
tuttavia tale Sé si mostrerebbe incapace di realizzare le sue potenzialità
a causa del conflitto edipico che ne avrebbe assorbito tutte le energie.
Questa formulazione, tuttavia, è stata respinta da Kohut stesso.
D’altronde, per Kohut, l’Edipo segna un momento normale dello
sviluppo e non una fase patogena; egli distingue, infatti, tra situazione
edipica e complesso edipico e soltanto quest’ultimo è considerato pato-
logico: si manifesterebbe nelle nevrosi di traslazione, facendo presume-
re l’esistenza di un Sé debole e non coesivo. La spiegazione delle nevro-
si strutturali, o edipiche, si fonderebbe dunque su due ipotesi tra loro
contraddittorie; vale a dire che da un lato si ipotizza la formazione di un
Sé sufficientemente integrato e coeso nella prima infanzia, e che le ne-
vrosi edipiche siano conseguenza di un indebolimento del Sé a causa dei
conflitti edipici; dall’altro, si suppone che soltanto la presenza di un Sé
non coesivo possa determinare un complesso edipico patogeno. Il pro-
blema resta irrisolto: Kohut dichiara di non avere risposte precise e di
necessitare di ulteriori dati empirici riguardanti le nevrosi di traslazione
per chiarire e risolvere tale questione.
Kohut, mentre affida al dato empirico la risoluzione del problema del-
le nevrosi strutturali, nell’elaborare la sua ultima concezione, afferma:
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 13

“Quale psicologo del profondo ho osservato che, regolarmente, dietro


il disturbo edipico si celano risposte difettose d’oggetto-Sé, e che dietro
di esse è ancora viva la speranza primaria di un ambiente normale, pro-
motore della crescita del Sé” (Kohut, 1981, p. 222).
Tale riflessione conclusiva è basata soprattutto sulla sequenza delle
traslazioni che dapprima riflettono quelle della seconda infanzia e in
seguito quelle della prima infanzia (Kohut, 1979), seguendo così un
cammino opposto allo sviluppo delle fasi evolutive. Nell’evoluzione
della traslazione secondo un ordine inverso, Kohut indica tre fasi di
traslazione, ognuna preceduta da una fase iniziale di resistenza. Sche-
maticamente si possono identificare tre periodi, ognuno formato di
due momenti.
Nel primo periodo, alle resistenze iniziali succede “una fase di espe-
rienze edipiche nel senso tradizionale, dominata dall’esperienza di una
forte angoscia di castrazione, che si può definire complesso edipico”
(Kohut, 1984, p. 44).
Nel secondo periodo, si attivano resistenze particolarmente “tena-
ci”, seguite da una fase dominata dall’angoscia di disintegrazione del Sé.
Nel terzo periodo, precedute da leggeri stati d’ansia, l’analista assu-
me la funzione di oggetto-Sé (speculare e idealizzante), confermando il
paziente nel suo bisogno di vitalità e assertività con l’attivazione di dina-
miche primitive. Kohut precisa di riservare a tale fase il termine di sta-
dio edipico, “per indicare la sua importanza come stadio dello sviluppo
affrontato in modo sano e gioioso, inizio di un Sé saldo, sessualmente
definito, che punta verso un soddisfacente futuro creativo-produttivo”
(ibidem, p. 44).
Seguendo la successione delle traslazioni durante l’analisi, è possibile,
secondo Kohut, ricostruire gli eventi che progressivamente hanno por-
tato il bambino a trasformare le esperienze gioiose della sua prima fase
evolutiva in esperienze dominate da angosce patologiche, come quella
della disintegrazione del Sé, o quella di castrazione che caratterizza il
complesso edipico, generando avidità sessuale e distruttività.
In breve, l’esperienza edipica è ridimensionata nel suo significato, e
l’intero complesso edipico è ridotto a un fenomeno consecutivo di di-
sturbi aventi la loro origine in relazioni con gli oggetti-Sé parentali. Nel
caso specifico della nevrosi strutturale, tuttavia, il fallimento vero non
sarebbe avvenuto nelle relazioni speculari e idealizzanti con gli oggetti-Sé
genitoriali, ma piuttosto nell’ambito della relazione con i genitori nella
loro funzione di “oggetto-Sé edipico”. Il Sé edipico si sarebbe, infatti,
indebolito per aver suscitato da parte dei genitori risposte inadeguate,
espresse mediante proibizioni o con il ritiro dell’affetto.
14 Scheda di approfondimento 9

Un oggetto-Sé paterno non empatico può rispondere in modo ses-


sualmente seduttivo con la bambina; allo stesso modo può rispondere
con il bambino un oggetto-Sé materno non empatico. Parallelamente,
l’oggetto-Sé paterno può rispondere in modo ostile e competitivo con
il bambino, invece di mostrare orgoglio; così, l’oggetto-Sé materno
può avere lo stesso atteggiamento con la bambina, invece di mostra-
re compiacimento. Alla presenza di tali oggetti-Sé, vissuti talora come
seduttivi, talora come ostili, insorgerebbero le angosce edipiche di ca-
strazione e di disintegrazione. “Dopo una fase edipica in cui i genitori
sono stati carenti di risposte sane, si stabilisce nel bambino un difetto
del Sé” (ibidem, p. 46). Le conseguenze di un difetto del Sé si rivela-
no nel non saper trarre gioia nel funzionamento sessuale e nell’inde-
cisione nel perseguire i propri obiettivi; al contrario, si sperimentano
“frammenti” di amore e di assertività a causa dell’angoscia legata a ta-
li esperienze. Può esservi dunque una “fase” edipica da considerarsi
parte del normale sviluppo del Sé, se il suo attraversamento è accom-
pagnato da oggetti-Sé empatici e riflettenti; oppure, può instaurarsi
un complesso edipico prodotto da un attraversamento avvenuto in
modo patologico. In questo caso si attiva l’angoscia edipica sia prima-
ria, che si presenta come angoscia di disintegrazione del Sé, sia secon-
daria, qualificata come angoscia di castrazione. La prima nasce come
risposta alla mancanza di empatia dei genitori, la seconda sorge dopo
la disintegrazione del Sé edipico sano, quando “prende il sopravvento
il Sé edipico frammentato, caratterizzato da fantasie e da impulsi sia
sessuali sia distruttivi” (ibidem, p. 36).
Segue che l’angoscia di castrazione, di per sé patologica, non è per
Kohut né fisiologica né universale; inoltre, dietro ogni espressione di an-
goscia di castrazione si nasconderebbe quella più profonda di disintegra-
zione del Sé. È – questa – l’angoscia più terrificante che un essere uma-
no possa provare. L’uomo non temerebbe la sua distruzione fisica ma
“la perdita di umanità”, ossia la morte psicologica. A questo riguardo,
Kohut riferisce: “Chiaramente, quando si cerca di descrivere l’angoscia
di disintegrazione, si cerca di descrivere l’indescrivibile” (ibidem, p. 36).

I modelli della psicologia del Sé

Secondo Greenberg e Mitchell, “Kohut è stato un teorico in perpetua


transizione” (1983, p. 353). Kohut nasce nel bozzolo del modello struttu-
rale delle pulsioni, e sembra aver lottato per tutta la vita per non uscirne,
se pure alla fine ne abbia rotto il guscio. I testi fondamentali circa i due
modelli elaborati da Kohut sono Narcisismo e analisi del Sé (1971) e La
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 15

guarigione del Sé (1977a). Tuttavia, nel 1984 è pubblicato postumo il vo-


lume La cura psicoanalitica, in cui sarebbe contenuto un terzo modello.
Con riferimento a tale questione, Siani e Siciliani scrivono:

Il terzo modello è finora passato inosservato, anche perché Kohut non


l’ha formalizzato in modo esplicito. Basta però mettere assieme le sue ul-
time osservazioni, empiriche e teoriche, sulle nevrosi strutturali […], e
tale modello viene fuori: è il modello alternativo a quello freudiano. (Sia-
ni, Siciliani, 1992, p. 104)

Nel primo modello, comunemente denominato il modello misto, i


nuovi concetti si sviluppano all’interno del modello pulsionale, vale a
dire in un tentativo di integrazione della nascente psicologia del Sé con
la mediazione della psicologia dell’Io, nel solco tradizionale della psi-
coanalisi freudiana.
Da questo tentativo di integrazione, Kohut avrebbe ipotizzato una
divisione dell’energia libidica in due linee evolutive indipendenti: libi-
do oggettuale e libido narcisistica. La prima sarebbe rivolta verso og-
getti della realtà, separati dal soggetto; la seconda, invece, investirebbe
oggetti-Sé, che sarebbero sperimentati come estensioni del Sé. Ai due
tipi di libido dunque corrisponderebbero due differenti modi della re-
lazione con riferimento a due diverse posizioni dell’oggetto rispetto al
Sé. Secondo Kohut, una linea evolutiva della libido porterebbe all’amo-
re oggettuale, e l’altra al sano amore di sé.
A ogni modo, i primi rapporti narcisistici del bambino con i suoi og-
getti-Sé, inseriti oppure no nel modello delle relazioni oggettuali, non
sono motivati dalla soddisfazione pulsionale ma dalla qualità dell’inte-
razione. A giustificare la qualifica del modello come misto è la divisione
dei disturbi in psicotici e in nevrotici strutturali. I primi rientrano tra i
disordini del Sé, avente origine nelle interazioni con gli oggetti-Sé. Gli
ostacoli all’evoluzione del Sé sono quindi da ricercarsi nei fallimenti
delle risposte offerte dai genitori ai bisogni del bambino nelle fasi pre-
coci dello sviluppo. Le nevrosi strutturali, invece, hanno ancora la loro
spiegazione nel modello freudiano, con riferimento alla linea di libido
oggettuale che è dominio dei derivati pulsionali.
Le nuove formulazioni di Kohut si mescolano in questo modo alla
teoria delle pulsioni, che è conservata per la spiegazione di specifici di-
sturbi, come le nevrosi strutturali e per precisi periodi evolutivi, in par-
ticolare quello edipico. La distinzione diagnostica tra disturbi narcisistici
e nevrosi strutturali è giudicata da Greenberg e Mitchell “politicamente
abile”. Tuttavia, non si comprende – si chiedono i due autori – “come
possano le ‘nevrosi strutturali’ non contenere, nello stesso tempo, né pa-
16 Scheda di approfondimento 9

tologie del Sé né conflitti riguardanti le pulsioni, che, per definizione, ri-


flettono una grave patologia del Sé” (Greenberg, Mitchell, 1983, p. 355).
Il secondo modello è orientato in modo deciso al ruolo che le relazio-
ni con gli oggetti-Sé hanno nell’organizzazione della vita psichica. Kohut
abbandona la visione di una mente attraversata da forze pulsionali con
mete specifiche e diverse, vale a dire di una mente sede di un conflit-
to tra esigenze contrapposte. Le distorsioni della personalità, secondo
Kohut, non sarebbero il prodotto di un’eventuale fissazione a una fase
evolutiva dell’organizzazione pulsionale. Segue che non l’Io, con le sue
deficienze e infantilismi, costituirebbe l’elemento centrale della psico-
patologia, bensì il Sé.

È il Sé del bambino che, in conseguenza delle risposte empatiche grave-


mente disturbate dei genitori, non si è stabilito in modo saldo. Inoltre, è
il Sé indebolito e tendente alla frammentazione che (nel tentativo di ras-
sicurarsi di essere vivo, e addirittura di esistere) si volge difensivamente a
mete di piacere, attraverso la stimolazione di zone erogene, e poi secon-
dariamente determina l’orientamento pulsionale orale (e anale) e l’asser-
vimento dell’Io alle mete pulsionali correlate alle zone corporee stimola-
te. (Kohut, 1977a, p. 79)

L’organizzazione psichica si altererebbe in seguito alla mancata ri-


sposta degli oggetti-Sé ai bisogni narcisistici fondamentali del bambino,
alimentando sia attività finalizzate alla ricerca spasmodica del piacere sia
un’insopprimibile rabbia distruttiva. Kohut non si emancipa dalla teoria
pulsionale, ma la riconsidera alla luce della psicologia del Sé: le mete di
ricerca di piacere, come anche l’aggressività, sono conseguenze di un Sé
frammentato. I conflitti pulsionali trovano all’interno della situazione
evolutiva del Sé la loro nuova lettura. Kohut, pur riconoscendo i limiti
della concezione teorica classica nell’affrontare molti fenomeni psicolo-
gici, non ritiene, in questa fase dello sviluppo del suo pensiero, di dover
abbandonare tale concezione e si pronuncia favorevolmente affinché le
formulazioni della psicoanalisi classica “continuino a essere adoperate
all’interno di una certa area chiaramente definita” (ibidem, p. 12).
Kohut introduce così il principio di complementarità, che è, appunto,
conseguente alla necessità di ampliare la concettualizzazione psicoanali-
tica classica e la visione della natura dell’uomo con la teoria complemen-
tare del Sé. Scrive a questo proposito:

Dobbiamo, in accordo a un principio psicologico di complementarità,


riconoscere che per cogliere i fenomeni che incontriamo nel nostro lavo-
ro clinico […] è necessario far uso di due approcci: una psicologia in cui
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 17

il Sé è visto come il centro dell’universo psicologico, e una psicologia in


cui il Sé è visto come il contenuto di un apparato mentale. (Ibidem, p. 11)

In entrambi i casi tuttavia – Sé come centro d’iniziative, Sé come


struttura – il Sé non condivide mai né la natura né le mete delle espres-
sioni pulsionali.
Nonostante il tentativo da parte di Kohut di mantenere una conti-
nuità di quella che egli chiama la “nostra scienza” (Kohut, 1980), è av-
venuto un cambiamento nella concezione delle pulsioni, che non sono
più centrali nell’organizzazione dell’apparato psichico e neppure sono
forze che motivano l’organismo verso una meta. La stessa esperienza edi-
pica, che costituirebbe una normale fase evolutiva, si trasformerebbe in
un’esperienza caratterizzata da conflitti e da angosce soltanto qualora i
genitori non sappiano accogliere i nuovi sentimenti del bambino e of-
frire risposte appropriate.
In ogni modo, nel tentativo di conservare un ruolo primario delle pul-
sioni accanto a quello attribuito al Sé, Kohut, sempre con riferimento al
principio di complementarità, assegna a ognuno dei due approcci una
diversa dimensione dell’esperienza umana: rispettivamente alla psicolo-
gia delle pulsioni corrisponderebbe la dimensione dell’uomo in conflit-
to con le forze degli istinti, e alla psicologia del Sé quella dell’uomo che
combatte per la realizzazione del Sé. Derivano così due aspetti dell’es-
sere umano: l’Uomo Colpevole, che – tra desiderio e interdizione – ten-
de alla gratificazione pulsionale, e l’Uomo Tragico, che non può attuare,
invece, gli autentici contenuti del proprio Sé, cioè le sue mete esistenzia-
li. Questi due aspetti rappresenterebbero l’intera psicologia dell’uomo.
Il complesso edipico, per i suoi elementi di conflitto, diventa così
il centro germinativo sia dello sviluppo dell’Uomo Colpevole, sia del-
le nevrosi strutturali connesse ai sensi di colpa. Di competenza della
psicologia del Sé sarebbero, invece, tutte le patologie connesse a un
Sé frammentato (schizofrenia, disturbi narcisistici della personalità, de-
pressione), vale a dire i combattimenti e i disturbi psichici dell’Uomo
Tragico.

Riassumendo quindi: l’Es (sessuale e distruttivo) e il Super-io (inibente e


proibitivo) sono le componenti dell’apparato mentale dell’Uomo Colpe-
vole. Le ambizioni e gli ideali nucleari sono i poli del Sé; fra essi si tende
l’arco di tensione che forma il centro delle attività dell’Uomo Tragico.
(Kohut, 1977a, p. 215)

Tracciando un’eventuale corrispondenza fra i due ordini di strutture


– Es, Io, Super-io e i due poli del Sé, cioè dell’Uomo Colpevole e dell’Uo-
18 Scheda di approfondimento 9

mo Tragico – l’Es (l’energia libidica e aggressiva) aderirebbe al polo del-


le ambizioni del Sé; il Super-io corrisponderebbe, invece, al polo degli
ideali del Sé. La sfera dell’Io libera da conflitti identificata da Hartmann
(1939a) coinciderebbe con l’area intermedia dei talenti e delle abilità e
l’Io come rappresentante della realtà, infine, collimerebbe con gli aspetti
relativi all’autostima e alle aspirazioni del Sé.
Per il terzo modello che Kohut sviluppa nelle sue ultime opere si rin-
via a Siani e Siciliani (1992): si tratta, in sintesi, del modello descritto co-
me sviluppo del Sé, in cui ogni riferimento alla metapsicologia dinamico-
strutturale freudiana è assente.

L’empatia come strumento terapeutico

Nel volume Introspezione, empatia e il semicerchio della salute mentale,


Kohut riprende un tema trattato molti anni prima che avrebbe dato una
svolta decisiva al suo pensiero, e che – lamentava – non sarebbe stato
compreso. “Nessuno” scrive “si era accorto del messaggio essenziale,
semplice e scientificamente chiaro che esso conteneva” (Kohut, 1981,
p. 200). Il messaggio è che non vi sono fatti psicologici che possano pre-
scindere da un’osservazione introspettiva: introspezione ed empatia so-
no necessariamente coinvolte in ogni atto di osservazione.
I fenomeni mentali, a differenza di quelli meramente fisici, richiedo-
no modi di osservazione che abbiano come ingredienti indispensabili,
appunto, l’introspezione e l’empatia. Alla neutralità e al distacco emo-
tivo dell’analista, Kohut propone così il rapporto emotivo, considerato
come apportatore di un sollievo terapeutico. Non è stato facile per lui
comunicare quest’ultima formulazione, e lo confessa nel suo saggio, re-
datto per il 50º anniversario della fondazione del Chicago Institute for
Psychoanalysis, in cui comunica che l’empatia non si limita a essere un
metodo di conoscenza e un elemento necessario del trattamento psicoa-
nalitico, ma qualcosa che agisce a livello terapeutico.

Vi assicuro che vorrei evitare di fare questo passo: non è l’assenza di rigo-
re scientifico ma la sottomissione a esso che mi impone di aggiungere che
[…] sfortunatamente, l’empatia in sé e per sé, la sua semplice presenza,
ha un effetto benefico e, in senso lato, un effetto terapeutico, sia nella si-
tuazione analitica, sia nella vita in generale. (Kohut, 1981, pp. 204-205)

Riconoscendo al rapporto emotivo un valore terapeutico, Kohut si di-


stanzia dal metodo dell’interpretazione, e si ricollega, attraverso Alexan-
der, a Sándor Ferenczi che per primo aveva evidenziato l’importanza di un
rapporto in terapia capace di trasmettere comprensione (Migone, 1999).
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 19

L’empatia è definita da Kohut come la capacità di avvertire la vita in-


teriore di un’altra persona, di pensarsi all’interno dell’altro in una situa-
zione di sintonia emozionale. Essa è la via per avere accesso alla mente
dell’altro, ed è un’abilità, che, per prendere forma, richiede al bambino
un particolare rapporto con il genitore. Il bambino deve poter includere
nel proprio Sé, cioè nella propria organizzazione mentale, i sentimenti
e i comportamenti della madre. In conformità a questa empatia prima-
ria, il bambino potrà riconoscere l’equivalenza tra le proprie esperienze
interne e quelle degli altri. La capacità di empatia, tuttavia, è secondo
Kohut una dotazione innata della psiche e funziona in modo conforme
al processo primario. Un’osservazione non empatica impedirebbe di en-
trare in contatto con le esperienze emotive dell’altro, mentre un’osserva-
zione governata da forme arcaiche di empatia porterebbe a sviluppare
concezioni animistiche e prerazionali della realtà. Kohut suggerisce un
“addestramento all’empatia”, considerandolo un requisito importante
anche ai fini di una preparazione analitica.
L’osservazione psicoanalitica si avvale soprattutto dell’introspezione
che, d’altronde, consente all’analista di essere testimone dell’auto-osser-
vazione introspettiva effettuata dal paziente. A sostegno dell’importanza
dell’introspezione Kohut fa riferimento all’autoanalisi di Freud (1900).
L’empatia può essere considerata un’estensione dell’introspezione: ta-
le abilità, infatti, qualora si esprima in un equilibrio di giusta distanza,
opera come introspezione vicariante. In questo caso l’analista riesce ad
armonizzarsi con i sentimenti del paziente, pur conservando la consa-
pevolezza di un osservatore obiettivo. L’introspezione vicariante con-
sentirebbe all’analista di investigare il mondo interno dell’analizzando
esattamente come i nostri organi di senso ci permetterebbero di esplo-
rare il mondo esterno. Quando non è conservata la necessaria distan-
za, la sintonia o risonanza empatica, potrebbe compromettere il lavoro
dell’introspezione, cioè della chiarificazione empatica.
Il processo della guarigione è concepito da Kohut come un percor-
so in tre stadi: il primo è costituito dall’analisi delle difese, il secondo
dall’evolversi delle traslazioni e il terzo, che definirebbe la meta e l’esito
della cura, “consiste nell’apertura di un canale di empatia fra Sé e og-
getto-Sé, e in particolare nello stabilirsi di un accordo empatico, a livelli
adulti e maturi, fra Sé e oggetto-Sé” (Kohut, 1984, p. 95). Kohut, poco
più avanti, afferma: “La graduale acquisizione di un rapporto empatico
con oggetti-Sé maturi costituisce l’essenza della guarigione psicoanali-
tica” (ibidem).
L’importanza dell’empatia come fattore di vita e di guarigione è più
volte indicata da Kohut come un fatto; anzi egli giunge ad affermare che
20 Scheda di approfondimento 9

l’effetto benefico della semplice presenza dell’empatia sia “un’ipotesi


scientifica” (Kohut, 1981, p. 205). Tralasciando il discorso sullo statuto
epistemologico della psicoanalisi in genere, l’empatia assume nella ri-
flessione teorica di Kohut una posizione centrale. La paura della perdi-
ta dell’ambiente empatico rappresenta la paura più grande dell’uomo:
la stessa paura di impazzire, oppure di morire, ne sarebbero espressio-
ne. L’ambiente empatico è una sorta di Eden in cui ogni cosa risponde
al Sé del bambino, mantenendolo psicologicamente vivo. Al contrario,
la sua perdita è fonte di genuina angoscia, di sessualità caotica e di rab-
bia. Kohut riconosce al Sé non soltanto una posizione capitale nell’or-
ganizzazione psicologica dell’uomo, ma anche un programma di svilup-
po; dalla realizzazione o non realizzazione del suo potenziale evolutivo,
infatti, dipenderebbe la possibilità di sentirsi “psicologicamente mala-
ti, oppure sani” (ibidem, p. 210). Il rapporto empatico diventa centrale
nella riflessione di Kohut per lo sviluppo del Sé. Di vitale importanza
per tale sviluppo sarebbe il passaggio da un tipo di sostegno, che si av-
vale della “comprensione” dell’analista, al sostegno relativo alla “spie-
gazione”. Si tratta di un passaggio da una forma inespressa a una forma
manifesta di empatia.

I disturbi del Sé

Nel volume Profilo riassuntivo dei disturbi del Sé e del loro trattamento
(1978), scritto con Ernest S. Wolf, Kohut propone una classificazione
di tipologie del Sé sviluppate in seguito alle interazioni tra il bambino e
i suoi oggetti-Sé. Le qualità delle interazioni – sane o difettose – si riflet-
terebbero nella struttura solida oppure danneggiata del Sé.
■ Il Sé sottostimolato descrive la situazione di una continuata assenza di
stimoli da parte dell’oggetto-Sé. Il bambino reagirebbe a tal esperienza
attivando comportamenti con significato compensatorio. Nella prima
infanzia, il bambino potrebbe procurarsi autostimolazioni mediante il
dondolio; nella seconda infanzia mediante la masturbazione; nell’adole-
scenza potrebbe compensare il senso del proprio “vuoto” rifugiandosi
in un mondo di fantasia: si tratta dunque di comportamenti che variano
nell’arco evolutivo.
■ Il Sé sovraccaricato denuncia il fallimento dell’oggetto-Sé idealizzante e
gemellare. Il Sé non avrebbe condiviso l’emotività derivante dalla fusione
con tali oggetti, e non avrebbe sperimentato la rassicurante risposta. Nel-
la prima infanzia, il bambino potrebbe avere disturbi del sonno; in età
adulta potrebbe soffrire d’insonnia, associata a irritabilità e sospettosità.
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 21

■ Il Sé con propensione a frantumarsi è una tendenza, nelle sue forme


lievi, comune a tutti. In seguito a fallimenti o a esperienze frustranti che
mettono a dura prova la propria autostima, ogni individuo può sentir-
si ridotto “a pezzi” e incapace di coordinare efficacemente le proprie
funzioni mentali. In questi casi le ferite arrecate al proprio narcisismo
farebbero sentire in “grande disaccordo con sé stessi” (Kohut, Wolf,
1978, p. 173). Sono ferite, tuttavia, che è possibile “curare” con un sem-
plice gesto di amicizia. Tipico è il comportamento di pazienti borderline
che cercano rassicurazione dal timore della frammentazione compiendo
esplorazioni sul proprio corpo per accertarsi di essere integri. La pato-
logia legata alla frammentazione del Sé è correlata con la mancanza da
parte degli oggetti-Sé di risposte al Sé emergente nella sua integralità. Il
senso di frammentazione del Sé può riflettersi a livello del corpo nella
preoccupazione esagerata per il suo sano funzionamento. In altre paro-
le, l’esperienza della frammentazione, avvertita come discontinuità tem-
porale e non integrazione spaziale del Sé, genera un’indefinita e assolu-
ta angoscia che si attua nella paura che le parti del proprio corpo siano
disarticolate oppure mal funzionanti.
■ Il Sé sovrastimolato, a differenza dei precedenti, non ha sperimentato
una mancanza ma un eccesso delle risposte offerte dagli oggetti-Sé ge-
nitoriali; tuttavia si tratta di risposte fornite in modo non empatico. “Se
il polo grandioso-esibizionistico del Sé di una persona è stato esposto a
una iperstimolazione non empatica, nessuna sana gioia può essere da lei
ottenuta in un successo esterno” (ibidem, p. 175).
Inoltre, la sovrastimolazione degli oggetti-Sé può aver interessato sol-
tanto uno dei due poli. Nel caso di una risposta prematura al polo del-
le ambizioni, in assenza di risposta all’esibizionismo del Sé nucleare, il
soggetto può sviluppare la tendenza a temere e a rifuggire dalle proprie
ambizioni.
“Se il polo che contiene gli ideali è stato iperstimolato […] l’equili-
brio del Sé sarà minacciato da un persistente, intenso bisogno di fusione
con un ideale esterno […]; il contatto con l’oggetto-Sé idealizzato è quin-
di sperimentato come un pericolo e deve essere evitato” (ibidem, p. 176).
Uno sviluppo positivo è agevolato da un’equilibrata stimolazione di
entrambi i poli; in questo modo, l’autostima si afferma unitamente alle
aspirazioni, mentre tra essi si sviluppa l’arco di tensione stimolato dalla
variazione energetica tra i due poli del Sé. In caso contrario, possono
verificarsi vari tipi di disturbi narcisistici.
Diverse sono le personalità che possono configurarsi con riferimento
agli atteggiamenti narcisistici più comuni.
22 Scheda di approfondimento 9

■ Il carattere tendente all’esibizionismo si esprime in una continua ri-


cerca di ammirazione e nei tentativi di essere in primo piano in ogni si-
tuazione. L’inadeguata risposta ricevuta all’esibizione del Sé grandioso
nella prima infanzia ha reso tali soggetti “affamati di rispecchiamento”
e di nuovi oggetti-Sé che con la loro ammirazione possono alleviare il
proprio sentimento di disistima.
■ Il carattere tendente agli ideali descrive le persone alla costante ricer-
ca di altre persone, considerate dotate di una qualche virtù o potere,
per ammirarle incondizionatamente. Privi di mete e di ideali propri si
appoggiano agli altri partecipando alle loro realizzazioni e successi. Il
nuovo oggetto-Sé idealizzato occupa così il posto dell’oggetto-Sé geni-
toriale che non è stato possibile idealizzare. Si tratta del tentativo di ri-
stabilire la propria autostima e di riempire un vuoto interno che si rive-
lerà sempre incolmabile.
■ Il carattere tendente al gemellaggio è alla ricerca, invece, di una per-

sona sentita simile a sé, come se fosse un gemello, o un alter ego, con
cui condividere pensieri e interessi. Non appena però avviene la sco-
perta che l’altro non è “il gemello” la relazione è interrotta e sostitui-
ta con una nuova. Queste personalità si sentono a loro agio nei grup-
pi, soprattutto se i membri sono accomunati dalle stesse idee, valori,
o preferenze.
■ Il carattere tendente alla fusione qualifica le personalità bisognose di
fondersi con l’altro, fino a non distinguere più i bisogni propri da quelli
altrui. L’altro è sentito come parte del proprio Sé, di conseguenza non
ne tollera l’indipendenza. In questo caso, a differenza dei precedenti,
non si tratta più di varianti di una personalità normale: il problema di
questa personalità, infatti, non si riferisce a un aspetto della fragilità del
Sé ma a una struttura del Sé globalmente debole.
■ Il carattere tendente all’isolamento identifica quelle persone che eludo-
no il contatto con gli altri al fine di non incorrere nell’eventualità che il
loro bisogno di approvazione e di intimità sia frustrato. Tuttavia, queste
persone temono che il loro bisogno sia soddisfatto: un’eccessiva intimi-
tà potrebbe trasformarsi in un rapporto fusionale capace di annichilire
il proprio Sé. Questo tipo di personalità, ritenuto da Kohut come il più
frequente, pur avendo molte analogie con le personalità schizoidi, se ne
differenzia per l’assenza di un latente “nucleo psicotico”.
Questa classificazione, tuttavia, non è né completa né definitiva, ma
è offerta da Kohut come risorsa per un’utile identificazione delle forme
espressive della personalità secondo la psicologia del Sé.
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 23

Tra i disturbi narcisistici veri e propri del Sé, Kohut suddivide i di-
sturbi primari del Sé e quelli “reattivi”, o secondari.
Questi ultimi comprendono manifestazioni reattive nelle personali-
tà con un Sé strutturalmente non danneggiato. Tra le forme espressive
più comuni tra questi disturbi vi sono le reazioni di rabbia o di dispera-
zione in seguito a eventi che compromettono l’autostima. La perdita di
autonomia nella cura del proprio corpo, dopo un incidente, può provo-
care una reazione di rabbia narcisistica acuta anche cronica. Qualora il
Sé presentasse qualche fragilità, potrebbero prodursi reazioni di avvi-
limento. Una personalità inibita e afflitta da senso di inferiorità, infatti,
potrebbe non accettare di essere “fatta” in un certo modo. In molti casi,
i disturbi secondari compaiono in conseguenza di disturbi primari che
limitano l’individuo nelle sue aspirazioni. Possono aversi così reazioni
secondarie del Sé a causa di restrizioni imposte dai sintomi e dalle inibi-
zioni dei disturbi primari del Sé (Kohut, 1977a).
Kohut legge l’intera gamma dei sentimenti dell’uomo come indizi
della condizione del Sé. In altre parole, non liquida gli stati affettivi di
gioia, di prostrazione, di furore, di autoconsiderazione o di umiliazione
come semplici espressioni dell’umana condizione, ma li valuta con rife-
rimento alle ambizioni e agli ideali del Sé.
I disturbi primari del Sé sono da Kohut suddivisi in cinque entità psi-
copatologiche.
1. Le psicosi: la frammentazione e l’alterazione del Sé sono permanenti.
2. Gli stati al limite, o borderline: la frammentazione e l’alterazione del
Sé sono mascherate da efficaci meccanismi difensivi.
3. Le personalità schizoidi e paranoidi: rappresentano due diverse dispo-
sizioni psichiche, che ricorrono al distanziamento come misura di di-
fesa. Tuttavia, le personalità schizoidi preservano la propria sicurezza
mantenendo una distanza emotiva dagli altri mediante la freddezza e
il disinteresse; le personalità paranoidi si proteggono invece con l’o-
stilità e la diffidenza. Kohut considera non analizzabili queste tre for-
me di psicopatologia, poiché la parte del Sé malato non si lascerebbe
coinvolgere nei fenomeni traslativi con l’analista oggetto-Sé, e pertanto
non sarebbe terapeuticamente trattabile. Seguono altre due forme di
disturbo primario del Sé, che sono invece suscettibili di analisi.
4. I disturbi narcisistici della personalità: la frammentazione e l’altera-
zione del Sé presentano un adattamento all’ambiente di tipo auto-
plastico.
5. I disturbi narcisistici del comportamento: la frammentazione e l’altera-
zione del Sé presentano, invece, un adattamento all’ambiente di tipo
alloplastico.
24 Scheda di approfondimento 9

I sintomi autoplastici della prima di queste due forme di disturbi si ma-


nifestano con una sensazione di “vuoto” interiore e con la conseguente
ricerca di altri che possano diventare oggetti-Sé rispecchianti o idealizzan-
ti per corroborare il senso di autostima. Questi sintomi sono l’espressio-
ne diretta di infantili bisogni narcisistici non soddisfatti nel periodo della
formazione del Sé nucleare. Altri sintomi di tali disturbi, in conseguenza
di una rimozione dei bisogni di rispecchiamento, possono presentarsi in
modo trasformato con una grande varietà di atteggiamenti, tra cui le for-
me ipocondriache, depressive e di ipersensibilità alle offese. Il Sé nuclea-
re di questi soggetti avrebbe raggiunto un certo grado di coesione, sebbe-
ne conservi alcune fragilità e sia soggetto a temporanee frammentazioni.
I sintomi alloplastici dei disturbi narcisistici del comportamento si
rivelano attraverso le azioni del soggetto e non – come i precedenti –
mediante uno stato psicologico. Costituiscono esempi clinici di tale ca-
tegoria diagnostica le diverse forme di perversione, le condotte delin-
quenziali, le tossicodipendenze. Anche in questi soggetti, nonostante le
diverse manifestazioni dei sintomi, il Sé presenta un’analoga debolezza
strutturale e una temporanea frammentazione.
Resta aperto il quesito della “scelta” tra queste due forme di sinto-
mi; cioè il motivo per cui un individuo sadico, in un caso, possa limitar-
si a coltivare fantasie sadiche nei confronti di altre persone e nell’altro
possa impegnarsi in azioni sadiche. Kohut ipotizza che nel caso dei di-
sturbi narcisistici della personalità siano state sviluppate strutture com-
pensatorie. Opera così una distinzione tra strutture difensive e strutture
compensatorie.
“Chiamo difensiva una struttura quando la sua funzione esclusiva
o predominante è quella di coprire il difetto primario del Sé. Chiamo
compensatoria una struttura quando, invece di coprire semplicemente
un difetto del Sé, compensa tale difetto” (ibidem, p. 21).
La compensazione sovviene alla debolezza di un polo del Sé raffor-
zando l’altro polo. Una nuova definizione di cura psicologica potrebbe
essere prospettata con riferimento a uno sviluppo o a un aumento dell’ef-
ficacia delle strutture compensatorie.

La psicoterapia

La psiche si organizza nei rapporti umani, pertanto può essere riorganiz-


zata modificando tali rapporti, oppure guarita proponendo nuovi rap-
porti qualitativamente efficaci.
“Kohut (1977a) per primo introdusse il concetto di struttura compen-
satoria come risanamento di un difetto primario del Sé e non sua sem-
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 25

plice copertura, differenziandolo così dalla struttura difensiva” (White,


Weiner, 1986, p. 118).
Nella situazione terapeutica, dopo aver superato le resistenze iniziali,
si riattivano le potenzialità del Sé difettoso in vista di un completamento
dello sviluppo, in particolare mediante il ripristino dell’arco di tensione
posto tra ambizioni e ideali di base. Talenti e abilità fondamentali ripren-
dono valore e l’“uomo tragico” è motivato nuovamente al successo. La
struttura compensatoria emerge naturalmente, promuovendo una ria-
bilitazione funzionale del Sé, mediante la compensazione dei fallimenti
dei primi oggetti-Sé. Nelle nevrosi strutturali le traslazioni ripresentano
le relazioni con oggetti-Sé edipici, poiché il periodo edipico riguarda la
fase avanzata dello sviluppo del Sé. Con il procedere della terapia, le tra-
slazioni propongono le più primitive relazioni con oggetti-Sé preedipici,
cioè relazioni speculari, gemellari e idealizzanti.
Con riferimento al disturbo narcisistico della personalità, Kohut va-
luta la cura psicoanalitica come un processo in due fasi: la prima fase
riguarda la comprensione empatica; la seconda fase è quella della spie-
gazione.
Della comprensione empatica si è già parlato; in ogni modo, questa
fase ricopre il periodo che precede l’attivazione delle traslazioni d’ogget-
to-Sé. L’adozione dell’atteggiamento chiamato comprensione empatica
dovrebbe avere come compito prioritario non l’intervento interpretativo
ma quello di facilitare l’instaurarsi delle manovre traslative.
Questa fase del processo terapeutico si articola in tre momenti che si
succedono in sequenza:
1. attivazione del bisogno narcisistico di relazione con l’oggetto-Sé ri-
flettente, oppure idealizzante;
2. frustrazione ottimale, operata mediante l’“astinenza”, cioè non sod-
disfacendo il bisogno;
3. sostituzione dell’appagamento diretto del bisogno mediante l’instau-
rarsi di un legame empatico fra Sé e oggetto-Sé.
La fase della spiegazione (explaining phase) è caratterizzata dall’in-
troduzione delle “spiegazioni” che sono offerte sia come “elaborazioni
dinamiche” sia come “ricostruzioni genetiche”. Le prime fanno riferi-
mento alle traslazioni attivate nella situazione analitica, le seconde si ri-
feriscono, invece, al materiale analitico prodotto dalla storia evolutiva
del paziente.
Non in tutti i casi, tuttavia, il primo sviluppo del Sé può essere com-
pletato in terapia, poiché alcuni gravi difetti narcisistici non sono analiz-
zabili. Non è possibile riattivare, infatti, “le situazioni traumatiche della
26 Scheda di approfondimento 9

primissima e prima infanzia alle quali il Sé aveva reagito per suo conto
in modo costruttivo durante il primo sviluppo” (Kohut, 1984, p. 69).
Secondo Kohut non sarebbe neppure possibile rivivere nella traslazione
tali situazioni, e in ogni caso non ci sarebbero risultati. In altre parole, il
Sé nucleare si sarebbe ritirato dagli aspetti traumatici dei primi oggetti-
Sé, perciò diventa impossibile riviverli. Inoltre, il Sé, sia per essersi di-
staccato dagli oggetti-Sé, sia per aver elaborato strutture compensative,
non ha più alcuna necessità di tali oggetti.
“In questi casi di patologia del Sé, quindi, il compito essenziale del
trattamento diventa l’analisi delle manifestazioni provenienti dalle com-
pensative che si sono formate in modo incompleto nella prima parte del-
la vita” (ibidem, p. 70).
In breve, queste strutture riattivate nei movimenti di traslazione pos-
sono completare il loro sviluppo. D’altronde, per Kohut ogni Sé, anche
il Sé sano, è in parte composto di strutture compensative, oltre che di
strutture primitive. Come vi sono molti Sé sani, così esistono molti per-
corsi verso la guarigione in base alla disponibilità alla salute che ogni
paziente manifesta. È nella capacità di acquisire nuove strutture, infatti,
nonostante i traumi sofferti nell’infanzia, che è possibile tentare nuove
vie per vivere una vita produttiva e creativa.
In sintesi, il processo terapeutico ha inizio con l’attivazione di espe-
rienze importanti del paziente avvenute – con riferimento ai bisogni del
Sé – durante le prime fasi della sua storia evolutiva. Il processo, quindi,
continua con la comprensione empatica da parte dell’analista di tali bi-
sogni e degli elementi indicativi delle traslazioni. La comprensione de-
ve essere comunicata in modo che il paziente “comprenda” che il suo
stato di sofferenza è stato accolto. Il terapeuta può esprimere approva-
zione (traslazione speculare), manifestare condivisione (traslazione ge-
mellare) o fornire ideali (traslazione idealizzante). Alla comprensione
segue la spiegazione riferita soprattutto agli aspetti cognitivi e affettivi
di quel che riguarda il difetto primario del Sé. Anche l’interpretazione,
il più possibile semplice, deve essere formulata con accortezza e comu-
nicata con empatia.
Centrale nel processo terapeutico è la formazione di strutture psichi-
che che nel paziente gradualmente si costituiscono attraverso la relazio-
ne con l’analista. Dapprima il paziente utilizza, come se avesse preso in
prestito, la personalità dell’analista; in seguito s’identifica con l’analista,
passando da una condizione di fusione a una di imitazione; infine, in-
troietta le funzioni esercitate dall’analista mediante l’interiorizzazione
trasmutante, cioè assimilando tali funzioni con un procedimento simile
a quello metabolico.
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 27

Obiettivo del processo terapeutico è la salute mentale, non più intesa


come estensione del sistema conscio a spese dell’inconscio, o dell’Io nei
territori sottratti all’Es (Freud, 1932), ma come espansione delle strut-
ture che rendono gli individui capaci di realizzare le proprie aspirazioni
e i personali programmi evolutivi.

Il contromito di Edipo

Nell’ultimo saggio Introspezione, empatia e il semicerchio della salute


mentale (1981), Kohut affronta, dopo l’empatia, un secondo tema im-
portante: quello della natura essenziale dell’uomo. Il distacco di Kohut
da Freud diventa profondo; non si tratta più dell’attribuzione al Sé di
funzioni che nella teoria delle pulsioni erano svolte dalle tre istanze della
personalità (Es, Io, Super-io), ma della stessa concezione dell’uomo. La
teoria classica del modello delle pulsioni ha adottato la visione di Uomo
Colpevole, cui la psicologia del Sé risponde con una diversa visione, cioè
di Uomo Tragico. Freud, secondo Kohut, aveva eletto oggetto della psi-
coanalisi l’homo natura. Tuttavia, egli, pur avendo privilegiato la matrice
biologica dello sviluppo dell’apparato psichico attraverso il concetto di
pulsione, non si sarebbe attenuto a una visione biologica dell’uomo. “A
emergere” scrive Kohut “non era l’homo natura, unità biologica intera-
gente con l’ambiente, ma l’Uomo Colpevole” (ibidem, p. 214). In altre
parole, Freud sarebbe approdato a una visione essenzialmente psicolo-
gica dell’Uomo, considerato un animale soltanto in parte addomesticato
e soprattutto “riluttante ad abbandonare il desiderio di vivere secondo
il principio del piacere e incapace di distaccarsi dalla sua innata distrut-
tività” (ibidem, p. 213).
Si tratta dunque di un uomo che non abbandona né le sue mete gui-
date dal principio di piacere né quelle ispirate dagli impulsi aggressivi,
e perciò in “conflitto” con l’azione educativa della dimensione sociale.
La natura dell’uomo risulta così colpevole, mentre le nuove generazio-
ni sono in perenne conflitto con le generazioni dei “padri”, dando vita
al “complesso di Edipo”. Non così è per la psicologia del Sé, la quale,
pur riconoscendo la quasi universalità del fenomeno edipico, lo consi-
dera non una fatalità ma una possibilità patologica, una possibilità che
avviene tutte le volte che il rapporto tra genitore e figlio riflette quello
tra Laio e Edipo. Quest’ultimo è, infatti, un figlio non desiderato, non
accettato e infine abbandonato.
La psicologia del Sé ha dell’uomo una visione essenzialmente psico-
logica, la cui natura al livello più interno è quella dell’Uomo Tragico,
cioè di un essere smanioso di realizzare nella sua breve esistenza, senza
28 Scheda di approfondimento 9

possibilità di riuscirci, “il programma esistente nel suo profondo” (ibi-


dem, p. 216).
L’Uomo Tragico non è schiacciato dalla colpa ma è pieno di strate-
gie nel tentativo di realizzare il suo Sé, lottando contro tutti gli ostacoli
del mondo interno ed esterno. Non si tratta di un padre che cerca di uc-
cidere il figlio, ma di un padre che partecipa e s’impegna per la crescita
del figlio, sperimentando la vera gioia riservata agli esseri umani, “quella
di costituire un anello nella catena delle generazioni” (ibidem, p. 219).
La visione dell’uomo nella psicologia del Sé è giustificata da Kohut
sulla base dell’osservazione psicoanalitica. Nelle ultime pagine del sag-
gio considerato, Kohut sembra pronunciare la sua arringa, non contro
Freud, ma in difesa dell’uomo:

Perché non riusciamo a convincere i nostri colleghi che lo stato normale,


per quanto raro possa essere, sia un movimento evolutivo vissuto gioiosa-
mente nell’infanzia, ivi incluso il passaggio nello stadio edipico, durante il
quale i genitori rispondono con orgoglio e crescente empatia, con gioio-
so rispecchiamento alla nuova generazione, affermandone così il diritto
a crescere e a essere diversa? (ibidem, p. 216)

Kohut scende infine sul terreno della mitologia e oppone alla figura di
Edipo un’altra grande figura del mondo mitologico greco, quella di Ulis-
se, l’uomo della conoscenza e dell’avventura, ma soprattutto uomo degli
affetti familiari e perciò sempre moderno. L’episodio riferito di Ulisse
non proviene da Omero, ma è raccontato da Igino nelle sue Fabulae 95.
Ulisse era stato il primo pretendente alla mano di Elena, e sarebbe
stato lui a proporre che fosse Elena stessa a scegliere il suo sposo, la
quale scelse Paride. Nessuna meraviglia se non voleva prendere parte
alla spedizione contro Troia. L’oracolo, inoltre, lo aveva avvertito che
sarebbe tornato in patria a Itaca dopo venti anni: dieci spesi in guerra e
dieci peregrinando per il mare. Quando Agamennone, accompagnato
da Palamede si presentò a Ulisse, questi finse di essere pazzo. Abbiglia-
to in modo strano, con un cappello di foggia conica e con atteggiamen-
ti poco onorevoli, si mise ad arare i campi, buttando sale nei solchi. Fu
Palamede a indurlo alla ragione, svelando l’inganno. Depose, infatti, il
piccolo Telemaco davanti all’aratro costringendo Ulisse a una scelta. Per
non travolgere il figlio, Ulisse tracciò intorno al piccolo un semicerchio
e, in questo modo, dimostrò la sua salute mentale.

Ed è qui la soluzione dell’enigma. Io oppongo il semicerchio di Ulisse,


quale semicerchio della salute mentale, al parricidio di Edipo, in modo
forse non scientifico e con un richiamo emotivo, affascinante nella sua
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 29

semplice umanità; ma tale è d’altra parte anche il fascino di re Edipo e del


suo complesso. Il semicerchio dell’aratro di Ulisse, siamo d’accordo, non
prova nulla, ma è un simbolo appropriato della consapevolezza gioiosa
del Sé umano di essere transitorio, di avere un destino che si evolve, il cui
inizio è di preparazione, la parte centrale di maturazione e il finale rivolto
al passato: simbolo convincente del fatto che l’uomo sano vive, e con la
gioia più profonda, la generazione successiva come un’estensione di sé
stesso. Quindi, normale e umano è il sostegno alla generazione successi-
va, e non il conflitto intergenerazionale e i desideri reciproci di uccidere
e distruggere. (Ibidem, p. 220)

I desideri dell’Edipo di Sofocle, identificati da Freud, sarebbero dun-


que prodotti patologici di disintegrazione, non contenuti di una normale
fase evolutiva del bambino. Tali desideri, infatti, sarebbero la risposta
a un imperfetto Sé del genitore. Competitività e seduttività sono gli at-
teggiamenti di un genitore il cui Sé non è sano; al contrario, un genitore
con un Sé normale e coesivo manifesta orgoglio e affetto al figlio. Lo svi-
luppo di un Sé vigoroso è testimoniato, in particolare, dal livello di as-
sertività e di generosità che il bambino raggiunge intorno ai cinque anni.
Kohut, nell’analizzare il mito, sposta l’attenzione dal figlio al padre,
e indica nel genitore la sorgente dell’ostilità del figlio. Edipo è il figlio
infine “abortito”, segnato da un rifiuto che precede le sue stesse origini.
Laio viene contro il figlio Edipo e gli chiede di spostarsi; al contrario,
Ulisse devia il solco dell’aratro e disegna un semicerchio intorno al figlio
Telemaco. In un caso, l’esito è il parricidio seguito dall’incesto; nell’al-
tro caso è l’alleanza tra il padre e il figlio. Ulisse e Telemaco, infatti, si
ritroveranno a fianco a fianco proteggendosi e combattendo contro chi
voleva infrangere il loro nucleo familiare.
Alla fine della sua carriera professionale, Kohut scrive: “Il messaggio
principale di oggi è lo stesso di venticinque anni fa” (ibidem, p. 221). È ur-
gente prendere coscienza dei danni di un’errata visione dell’uomo, la cui
essenza è ridotta alla sola dimensione biologica, la quale ci impedisce di
osservare in tutta la sua estensione, la natura sostanzialmente psicologica
dell’uomo. Kohut si è fatto carico di tracciare, con la sua teoria, un semi-
cerchio intorno all’uomo indicando uno spostamento “dalla psicobiologia
alla psicologia”, e individuando nella forza e nella volontà impiegate per la
deviazione il “nucleo più profondo del nostro Sé” (Kohut, 1981, p. 222).

Conclusione

Un elenco delle innovazioni contenute nella psicologia del Sé togliereb-


be valore e significato alle stesse innovazioni. D’altronde, non necessa-
30 Scheda di approfondimento 9

riamente un’innovazione per essere tale richiede concetti nuovi; talora,


è sufficiente organizzare in modo nuovo vecchi concetti.
Tuttavia, di Kohut si può affermare che all’interno di una dimensione
relazionale pose l’accento su due aspetti mai sufficientemente considerati,
vale a dire il concreto comportamento dei genitori e il loro tangibile risul-
tato, sia nella genesi del difetto primario del Sé, sia nel promuovere l’in-
ternalizzazione delle loro funzioni nel bambino. Nell’ambito della cura,
inoltre, egli ha trasformato il processo terapeutico da luogo in cui si ap-
prendono le proprie verità edipiche, e quindi da luogo dell’oracolo in cui
ogni trasformazione è affidata all’interpretazione, a momento di esperienza
capace di supplire antichi fallimenti nelle vicende evolutive del paziente.
Kohut, tuttavia, accanto a molti sostenitori ebbe altrettanti opposi-
tori; tra i principali compaiono Kernberg (1975) e Cremerius (1988).
Per Kernberg, il Sé è una sub struttura dell’Io e il narcisismo è l’inve-
stimento libidico del Sé. I due effetti differiscono per quanto riguarda
la genesi e la struttura del narcisismo patologico. Il disturbo narcisisti-
co per Kohut è la manifestazione della funzione di un Sé normale, che è
stato ostacolato nel suo sviluppo e ha mantenuto una coesione arcaica.
Per Kernberg, invece, non si tratta di una fissazione o di una regressione
a una fase narcisistica infantile normale, ma sarebbe l’espressione di un
Sé che, in seguito a una mancata integrazione dell’identità, è divenuto
patologicamente difensivo.
Sono mosse, inoltre, precise accuse a Kohut su questioni di corret-
tezza “storica”, con la negazione della paternità di molte innovazioni a
lui attribuite.

Il modo di pensare smaccatamente “astorico” di Kohut, che non sa nulla


dei precursori, ci ferisce in modo particolare in un membro dell’Istituto
psicoanalitico di Chicago […]. Esso ci costringe a mostrare la linea sul-
la quale le sue innovazioni perdono l’unicità dell’originale, il “Made by
Kohut”, e si rivelano come anelli di una catena che comprende un mo-
vimento mondiale di riforma all’interno della teoria e della prassi della
tecnica. Il suo solipsismo astorico diventa spiacevole e indecente se ap-
pare chiaro che le pietre per la sua opera, la “nuova teoria del Sé”, fu-
rono silenziosamente sottratte a edifici teorici già esistenti. (Cremerius,
1988, p. 285)

Le considerazioni di Kohut sono sicuramente inseribili nel lungo pro-


cesso evolutivo che ha portato molti teorici a confrontare la teoria strut-
turale delle pulsioni con i dati progressivamente offerti dal trattamento
analitico. Le idee non sono mai assolutamente nuove, neppure quella
dell’Edipo lo era al suo esordio, eppure nessuna idea fu e rimane più ori-
Heinz Kohut. La dimensione del Sé 31

ginale. Quel che è nuovo in Kohut è la sensibilità maturata nei confronti


dell’uomo, un essere da non mortificare più (Freud, 1932), intimando-
gli di disconoscere il suo Sé grandioso, ma da comprendere e sostenere
perché sopporti le inevitabili e innumerevoli “mortificazioni” della vita.

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