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Sommario
I. Premesse 5101
1. Cultura e arte oratoria 5101
2. La 'Popularphilosophie 5103
3. Favorino e Gellio 'Halbphilosophen 5105
II. Religione e filosofia del pepaideumenos 5109
1. Elioteismo e demonologia 5109
2. Il male, il fato e la funzione della preghiera 5112
3. Enoteismo e apologetica cristiana 5120
III. L'etica del pepaideumenos 5120
1. Il pepaideumenos al suo posto nella società 5120
2. Il rifiuto del cinismo 5121
3. Lo speculum morale di Gellio 5122
IV. L'erudizione e le conoscenze filosofiche del pepaideumenos 5126
1. Frontone 5126
2. Favorino 5129
3. Gellio 5130
4. Apuleio 5131
1. Premesse
1
La problematica della Seconda Sofistica ha attirato una viva attenzione e ha suscitato
preziosi contributi soprattutto negli ultimi venti anni. Per non citare che i più significativi:
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5102 CLAUDIO MORESCHINI
G. ANDERSON, The Pepaideumenos in Action: Sophists and their Outlook in the Early
Empire, A N R W II, 33,1, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1989, pp. 7 9 - 2 0 8 ; IDEM, The
Second Sophistic: Some Problems of Perspective, in: D. A. RUSSELL, Antonine Literature,
O x f o r d 1990, pp. 91 - 1 1 0 ; B. P. REARDON, Courants littéraires grecs des Ile et M e siècles
ap. J. C., Annales litt. Univ. de Nantes 3, Paris 1971; IDEM, The Second Sophistic, in:
Renaissances before the Renaissance. Cultural Revivals of Late Antiquity and the Middle
Ages, edited by W. TREADGOLD, Stanford University Press 1984, pp. 2 3 - 4 1 ; E. L. BOWIE,
Greeks and their Past in the Second Sophistic, in: Studies in Ancient Society, ed. by M . I.
FINLEY, London — Boston 1974, pp. 166 — 209 (oltre ai lavori specificamente dedicati alla
poesia greca del secondo secolo dell'età imperiale). Fondamentale, anche se con una
impostazione non prevalentemente letteraria, ma storica e prosopografica, G. W. BOWER-
SOCK, Greek Sophists in the R o m a n Empire, O x f o r d 1969; il medesimo studioso ha
curato anche un breve volume miscellaneo, con contributi di DE LACY, C. P. JONES,
KENNEDY e REARDON, dal titolo: Approaches to the Second Sophistic, University Park,
Pennsylvania 1974; V. A. SIRAGO, La seconda sofistica come espressione culturale della
classe dirigente del II sec., A N R W II, 33,1, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1989,
pp. 3 6 - 7 8 .
2 Q u e s t o emerge a chiare note dal prologo delle 'Noctes Atticae', che è stato sottoposto
ad attento esame da B. BALDWIN, Studies in Aulus Gellius, Lawrence, Kansas 1975,
pp. 51sgg. e da L. HOLFORD-STREVENS, Aulus Gellius, London 1988, pp. 2 0 - 3 4 .
2. La 'Popularphilosophie'
Parlare di filosofia nella cultura del secondo secolo (e così pure del quarto,
che vedrà il rifiorire della seconda ondata della Sofistica 5 ) impone alcune
precisazioni preliminari. Senza dubbio la Sofistica, nella quale, come sopra si
è detto, si manifesta in modo prevalente la cultura dell'epoca, assunse tra i
suoi contenuti non soltanto la letteratura, ma anche la filosofia, anzi, produsse
una paideia nella quale i due elementi si fondevano in modo organico e
omogeneo, come poche volte nel mondo antico. Beninteso, bisogna intendersi
a proposito del termine 'filosofia': erano le nozioni che venivano prima apprese
alla scuola del rhetor, poi divulgate nelle conferenze e nei discorsi epidittici,
non quelle che si insegnavano nelle scuole filosofiche. Tutto ciò produceva
una più ampia diffusione della filosofia, ma anche una sua semplificazione e
una volgarizzazione: l'aneddotica e il biografismo sostituivano spesso le difficili
dimostrazioni, i repertori e i manuali fornivano il materiale che il pepaideume-
nos elaborava letterariamente; le opere filosofiche più divulgate erano, logica-
mente, quelle che meglio si prestavano ad una lettura non filosofica (o non
esclusivamente tale), e in tal caso Platone era colui che meglio si prestava a
siffatta informazione: ad esempio il 'Fedro' conteneva tre discorsi che potevano
essere considerati epidittici6, e il 'Gorgia' era prezioso per le discussioni relative
alla funzione della retorica e del suo antagonismo con la filosofia. „11 secondo
secolo", osserva ancora 1'ANDERSON 7 , „è l'età del Halbphilosoph, e le linee di
demarcazione sono spesso oscurate, anche se non rimosse del tutto". E' la
diffusione di quella che gli studiosi tedeschi definiscono 'Popularphilosophie'.
Il termine deve essere inteso nel modo giusto: con 'popular si intende,
certamente, una volgarizzazione e una diffusione, ma non un imbarbarimento,
come in passato si credeva. E anche se la c Popularphilosophie' è stata studiata
soprattutto nell'ambito dell'etica, essa è riscontrabile a tutti i livelli, compreso
quello della teologia e della dottrina della struttura della realtà.
E' chiaro che questa cultura filosofica è riscontrabile, allora, non nelle
scuole destinate ai filosofi, e la nostra attenzione non sarà appuntata su Galeno
0 Alessandro di Afrodisia o su Apuleio in quanto filosofo platonico. Ancora:
personalità come Dione Crisostomo, Elio Aristide e Luciano rientrano senza
dubbio in questa tematica, ma richiedono un discorso particolare, dato il loro
livello e la posizione individuale che ciascuna di esse ha assunto; ciascuna
deve essere trattata a parte. Invece gli scrittori cosiddetti minori sono forse i
più funzionali in questa ricerca, perché forniscono quella humus che possiamo
ipotizzare con verisimiglianza anche per gli altri.
Giustifica questa nostra interpretazione una famosa affermazione di Filo-
strato (Vit. Soph. 1 , 4 , p. 1 1 , 1 7 K A Y S E R ) , a tutti nota, ma che conviene qui
ripresentare. Subito all'inizio della sua opera, che, per quanto discutibile8,
vuole pur essere un riesame critico dell'oratoria dei suoi tempi, Filostrato
classifica Favorino tra coloro che furono filosofi, pur apparendo dei sofisti:
0 1 (PI^OCTOCPFICAVXEQ èv xoO aocpiaxeOacu (ancora in 11,4, 3 1 K A Y S E R : èrcei8f|
OUK òvx£<; ootpioxai, 8OKOÙVTE<; 5é, 7tapf)M)ov èq xì|v è7ta>vi>|iiav xaóxriv). Tale
affermazione è stata oggetto di particolare controversia, perché sembra oppor-
re gli uni agli altri, opposizione che non avrebbe, in sostanza, ragion d'essere.
Eppure tale opposizione, o, almeno, diversità, fu da sempre giustificata dalle
opinioni tradizionali: che cosa di più noto di una contrapposizione tra filosofia
e sofistica? Né per questo noi saremo obbligati a prendere alla lettera tale
6 C f r . TRAPP, o p . c i t . , p p . 1 5 5 s g g .
7 Cfr. op. cit., pp. 1 1 8 - 1 1 9 .
8 La problematica delle 'Vitae Sophistarum' di Filostrato è stata da sempre oggetto di
interesse proprio per la storia e per l'interpretazione del concetto di „Seconda Sofistica".
Già il BOULANGER (Aelius Aristide et la sophistique dans la province d'Asie au Ile siècle
de notre ère, Bibl. des Écoles Fran<j. d'Athène et de Rome 126, Paris 1923, pp. 58 sgg.)
aveva fatto un uso equilibrato delle testimonianze di Filostrato, al quale aveva prestato
sostanzialmente fede; più problematici REARDON, The Second Sophistic and the Novel,
in: Approaches cit., pp. 2 3 - 2 9 , p. 27; C. P. JONES, The Reliability of Philostratus, ibid.,
pp. 11 — 16; G. ANDERSON, The Second Sophistic cit., in: RUSSELL, Antonine Literature
cit., pp. 9 4 sgg.
9 C f r . JONES, o p . c i t . , p p . 12-13.
10 Cfr. E. ZELLER, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung 111,2,
Hildesheim 1963, pp. 76sgg. (Fotomech. Nachdruck der 5. Auflage, Leipzig 1923).
11 Giuntaci come orazione di Dione Crisostomo (n. L X I V ) . Diciamo più esattamente che
al tempo dello ZELLER queste orazioni non erano state ancora attribuite con sicurezza
a Favorino.
12 Anch'essa pseudocrisostomica (n. X X X V I I ) .
13 Lo scetticismo di Favorino certamente esiste, ma deve essere considerato congiuntamente
alle altre sue idee, come ha fatto recentemente A. BARIGAZZI, Favorino di Arelate,
A N R W II, 34,1 ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1993, pp. 5 5 6 - 5 8 1 .
14
Cfr. op. cit., pp. 8 1 - 8 2 .
15
Cfr. A. GOEDECKEMEYER, Die Geschichte des griechischen Skeptizismus, Leipzig 1905
(Nachdruck Aalen 1968), pp. 248 - 257.
16
Cfr. K. PRAECHTER, Die Philosophie des Altertums, 11. Auflage, Leipzig 1928, Nachdruck
Darmstadt 1961, pp. 5 4 6 - 5 4 7 .
op. cit., p. 66 n. 148; EADEM, Note di cronologia gelliana, Orpheus N.S. 5, 1984,
pp. 422 - 432.
23 Così si legge nei manoscritti di Gellio: tra gli editori più recenti, P. K. MARSHALL,
nell'Oxford Classical Texts, ripristina la forma Calveno Tauro (di Berito), attestata
anche da SIG 868 a (e già PRAECHTER, Nikostratos der Platoniker, Hermes 57, 1922,
pp. 101 - 1 0 3 ; HOLFORD STREVENS, op. cit., p. 227). Respinge, invece, la identificazione
tra i due Tauri, e distingue Calvisio da Calveno, M. L.ASTARITA, Note di cronologia
etc. cit., p. 427; EADEM, La cultura etc., cit., p. 101 n. 80.
24 Su di lui soprattutto il PRAECHTER ha fatto luce nello studio citato nella nota precedente.
25 C f r . HOLFORD-STREVENS, o p . c i t . , p p . 6 6 — 7 1 .
scrittori ben noti per i loro interessi letterari e 'filosofici' insieme, come
Apuleio, come Massimo di Tiro, come Filostrato, e vedremo che, al di sotto
di tutte le differenziazioni che i singoli autori presentano (e non possono non
presentare), vi è una comune cultura: di essa noi intendiamo studiare, appunto,
l'aspetto 'filosofico', la 'filosofia' del pepaideumenos.
1. Enoteismo e demonologia
26
Nel nostro contributo: Monoteismo cristiano e monoteismo platonico nella cultura latina
dell'età imperiale, in: Piatonismus und Christentum. Festschrift für H. Dörrie, hrsg. von
H. BLUME & F. M A N N , JbAC, Erg.-Bd. X, Münster 1983, pp. 1 3 5 - 1 6 1 .
27
Ibid., pp. 1 3 4 - 1 3 8 .
28
Cfr. La vita di Apollonio di Tiana di Filostrato e la cultura filosofica e religiosa dell'età
imperiale, in: Biografia e Agiografia nella letteratura cristiana antica e medievale, a cura
di A. CERESA-GASTALDO, B o l o g n a 1990, pp. 4 3 - 63.
29
Sulla cui esistenza mosse già delle forti critiche il BOWERSOCK, Greek Sophists cit.,
pp. 1 0 1 - 1 1 0 .
30
O meglio, enoteistica. Le pagine presenti vogliono costituire un ampliamento delle
ricerche sopra indicate, con alcune rettifiche.
31
Cfr. Monoteismo cristiano cit., p. 135.
37
Che la demonologia pagana del secondo secolo sia di tradizione platonica, è cosa nota;
è necessario, però, distinguere più di quanto non si facesse nel passato le differenti
posizioni dei vari platonici e retori, i quali, pur sulla base di elementi comuni, assumevano
delle posizioni di volta in volta differenziate.
38
Già a partire dalla edizione del H O B E I N (1895) si sono riscontrate somiglianze tra i due
autori; cfr. C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., pp. 19sgg.
39 E' una tendenza ben nota della filosofia dell'età imperiale: in Massimo le due diverse
componenti della sua cultura, quella retorica e quella filosofica, contribuiscono a sottoli-
neare, in tutte le sue dissertazioni, la autorità di Omero, il quale non è considerato
inferiore a Platone. Il problema meriterebbe un esame a sé.
40 Basti leggere il 'De praescriptione haereticorum' di Tertulliano, tutto incentrato su questa
'curiosità' degli eretici (più precisamente: 7,5); e cfr. anche, sempre del Cartaginese, Adv.
Marc. 1,2, ove si legge una precisa indicazione che la questione 'unde malum' era una
di quelle che più angustiavano gli eretici.
41 Cfr. brevemente C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., pp. 93 - 94.
42 Un esame di questa teodicea di Massimo si può leggere in SZARMACH, op. cit., pp. 59 -
60. - Si osservi, comunque, quanto sia poco 'tecnico' il termine cpuasi«; qui impiegato
da Massimo per indicare la realtà sensibile del male.
43 Cfr. ancora SZARMACH, op. cit., pp. 6 0 - 6 1 .
335 ANRW II 36.7
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5114 CLAUDIO MORESCHINI
tyche, altre sono amministrate dall'arte (cap. 5). Il retore non è molto rigoroso
nell'esposizione della dottrina stoica, perché separa quelle entità che gli stoici,
come si sa, uniscono: provvidenza, destino e caso. Ma, alla maniera di un
'Halbphilosoph', prosegue: „la provvidenza è opera del dio, il destino della
necessità, l'arte dell'uomo, la sorte del caso" (p. 5 7 , 1 - 2 ) . Comunque sia,
quello che noi preghiamo che avvenga, rientra nella provvidenza del dio, o
nella necessità del fato, o nell'arte umana o nel movimento della tyche. La
conseguenza è che „nessuna delle cose che sono secondo la provvidenza del
dio deve essere richiesta né essere oggetto di preghiera" (p. 58,16— 17). Tanto
meno la preghiera può valere per quelle cose che sono sottoposte alja heimar-
mene (cap. 5), alla tyche (cap. 6) o all'arte (ibid., p. 61,4 sgg.). La preghiera
agli dèi, dunque, deve consistere in qualche cosa di diverso, non contenere
cose concrete e meschine che gli uomini comunemente domandano (cap. 7).
44 Buone osservazioni su questa problematica si leggono in SZARMACH, op. cit., pp. 54 sgg.
benevolenza nel più alto grado. Al dio che abbiamo nominato in prece-
denza, il quale è unico e distinto da tutti gli altri, in quanto non possono
essere conosciuti che a partire da lui, non si deve sacrificare primizie, né
accendere il fuoco, né dare alcun nome tratto dal mondo sensibile: infatti
non ha bisogno di nulla, nemmeno da parte degli esseri più potenti di
noi, né esiste prodotto della terra o animale nutrito da essa o dall'aria
che non porti in sé qualche contaminazione. A lui ci si deve sempre
rivolgere con la parola migliore, voglio dire quella che non passa attra-
verso la bocca, e all'essere più bello che esista occorre chiedere il bene
con la cosa più bella che è in noi: ed è questo lo spirito, che non abbisogna
di organo alcuno. Di conseguenza, non si deve assolutamente offrire
sacrifici al dio massimo, che sta al di sopra di ogni cosa." 4 5
45 Seguiamo la traduzione di DARIO DEL CORNO, Milano 1988 2 , qui e nelle citazioni
successive. Le pagine che seguono riprendono le pp. 47 sgg. del nostro studio citato (vedi
sopra, n. 28) su Apollonio di Tiana.
46 Siffatta tendenza del neopitagorismo nell'età imperiale ha fortemente influenzato anche
il platonismo: cfr. le osservazioni di J. DILLON, The Middle Platonists. A Study of
Platonism 80 B. C. to A. D. 220, London 1977, pp. 117 — 126 (per Eudoro e il platonismo
alessandrino); J. WHITTAKER, Ammonius on the Delphic E, Class. Quart. n.s. 19, 1969,
pp. 1 8 5 - 1 9 2 (per Plutarco).
47 Per questa tematica ci permettiamo di fare riferimento a due nostri contributi: C.
MORESCHINI, Monoteismo cristiano e monoteismo platonico nella cultura latina dell'età
imperiale, in: Platonismus und Christentum. Festschrift fiir H. Dòrrie, JbAC, Erg.-Band
X , Miinster 1983, pp. 136 — 161; IDEM, Movimenti filosofici dell'occidente latino in età
tardoantica. Problemi e prospettive, Atti del I Congresso della Associazione di Studi
Tardoantichi (Napoli 1987), Napoli 1990, pp. 8 9 - 1 2 0 .
48 Cfr. La Vita di Apollonio di Tiana etc., cit., pp. 54 — 61.
49 Aeìxai yàp oòSsvóg, suona il testo greco. Potrebbe essere interessante osservare che lo
stesso concetto si trova applicato al sommo dio in Apuleio (nihil indigens \ de Plat.
1,5,190), in Alkinoos (Didask. 10) e frequentemente in Filone di Alessandria (cf. C. MORE-
SCHINI, A p u l e i o e il p l a t o n i s m o , c i t . , p p . 7 1 — 7 3 ) .
335*
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5116 CLAUDIO MORESCHINI
50 Si suole dire che questo era un principio dell'etica pitagorica — ed è vero; ma non era
limitato ad essa, tanto che altre scuole filosofiche lo ripresero, anche senza avere esplicita
coscienza della sua (presunta) origine pitagorica. Può essere considerato, pertanto, come
un topos della filosofia dell'età imperiale.
51 Fondamentale, a questo riguardo, anche il passo di Vita Apollonii VI,19: „Ma cosa vi è
di venerando o di terribile in queste immagini? Gli spergiuri, i sacrileghi e la turba dei
parassiti è logico che le spregino, anziché averne timore; e se esse ottengono venerazione
per il loro senso riposto, gli dèi dell'Egitto sarebbero molto più venerati qualora si
rinunciasse affatto a effigiarli, e voi fondaste la vostra teologia su un'altra ragione più
sapiente e recondita. Era certo possibile erigere templi in loro onore e istituire altari,
stabilire i sacrifici leciti e quelli vietati, definire quando si dovessero fare in quale misura,
con quali formule e con quali riti: e non esporre effigi, bensi lasciare che i devoti si
immaginassero da sè l'aspetto degli dèi. La mente sa delineare e plasmare figure meglio
dell'arte, ma voi avete sottratto agli dèi il privilegio sia di essere visti sia di essere
immaginati secondo bellezza." — Ci si potrebbe domandare, naturalmente, se esso derivi
da Filostrato o proprio da Apollonio; tuttavia, la somiglianza con la dottrina genuina
del Tianeo ci induce a propendere per questa seconda ipotesi. A Filostrato riconduciamo,
naturalmente, tutta la cornice ambientale, relativa all'Egitto, ai Gimnosofisti e alla
polemica che Apollonio avrebbe mosso contro di loro.
Sul passo citato da Eusebio osservazioni fondamentali aveva già fatto a suo tempo
E. NORDEN (Agnostos Theòs. Untersuchungen zur Formengeschichte religiöser Rede,
Berlin 2 1923, pp. 39 ss.); omettiamo, comunque, tutta la problematica relativa agli 'dèi
sconosciuti', ai quali era stato eretto un altare in Atene, che è nominato anche da
Filostrato. (Cfr. P. W. VAN DER HORST, The Altar of the 'Unknown God' in Athens
(Acts 17:23) and the Cult of 'Unknown Gods' in the Hellenistic and Roman Periods,
ANRW II, 18,2, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1989, pp. 1426-1456.)
Essa si trovava, dice Filostrato, nelle case di molti uomini sapienti. Ciò significa
che la teosofia apolloniana e filostratea era professata dai pepaideumenoi
dell'epoca.
Importante, nelle concezioni filosofico-religiose di Apollonio e Filostrato,
mi sembrebbe essere il culto del sole, che Filostrato ci narra che fu particolar-
mente praticato dal Tianeo (cf. 1,31; VI,4; VI,10; VII,31; Vili,13 ecc.): è nota
a tutti l'importanza dell'eliolatria, soprattutto in epoca severiana, ma, in
generale, in tutta l'età tardoantica. La dottrina della struttura dell'universo,
professata da Apollonio e che ci è riferita da Filostrato, potrebbe essere
attribuita a Filostrato stesso ed essere stata comunemente diffusa nei circoli
colti dei pagani della tarda antichità: però abbiamo visto sopra (p. 5114) che
il frammento del Ilepi Gucntòv, citato da Eusebio di Cesarea (Praep. Evang.
IV,13,1), riproduce sostanzialmente la stessa concezione: dovremmo considerarla,
quindi, tipica non solamente di Filostrato e dei suoi tempi, ma già di Apollonio.
Eccola (111,35):
51 ripresenta, dunque, la gerarchia che vede gli dèi inferiori accanto al dio
sommo, e questo è confermato da un altro passo di Vita Apollonii IV,31, ove
la gerarchia è ulteriormente precisata:
„Al suo arrivo ... (gli Spartani) gli chiesero come si debbono venerare gli
dèi; ed egli rispose: 'Come padroni'. Quindi la stessa domanda gli fu
posta per gli eroi, e la risposta fu 'Come padri'...".
Al di sotto degli dèi, dunque, si collocano gli eroi; altrove Filostrato conosce
la gerarchia dèi —demoni, mqstrando interesse per la demonologia, dottrina
tipica della sua epoca e del platonismo a lui contemporaneo (non è il caso di
ricordare che siffatto interesse è confermato propria dall'altra opera di Filo-
strato, T'Heroilcós' 52 ). I demoni appaiono nella 'Vita Apollonii' spesso e
„fu preso da amore per la vita rigorosa dei filosofi, assunse il loro abito
e adottò le abitudini di Apollonio" (IV,20).
Ben noti sono anche gli altri casi in cui Apollonio ebbe a che fare con
demoni: uno è l'incontro con il fantasma di Achille, nella Troade (IV,16).
L'eroe era di statura sovrumana (alto dodici cubiti), e di bellissimo aspetto.
Si potrebbe obiettare che Achille non è un demone; ma è, appunto, un eroe,
secondo la graduatoria delle demonologie dell'età imperiale, come sopra si è
detto (gli studiosi hanno già osservato la corrispondenza che lega questo
episodio alle apparizioni del 'Heroikós'). E ancora, l'episodio dell'innamora-
mento di Menippo per una donna rivelatasi poi un'empusa (IV,25); il satiro
che oltraggiava le donne del villaggio d'Etiopia (VI,27). Certo, in tutti questi
racconti vi è molto di favoloso e di fantastico; non negherei che Filostrato si
sia lasciato prendere la mano dalla 'gioia del raccontare', dal gusto di abbellire
un episodio; ma nemmeno oserei dire che, raccontando tutte queste avventure
di Apollonio, Filostrato coscientemente mentiva.
Certo, Filostrato si sente più a suo agio quando deve parlare di demoni
o esporre l'ascesi pitagorica del suo eroe, seguendo i canoni della cosiddetta
'filosofia popolare' — ma questo non meraviglia, se teniamo presente il milieu
culturale a cui Filostrato stesso apparteneva: non vogliamo certo fare di lui
né degli altri pepaideumenoi un filosofo. Allorquando, dunque, il nostro
scrittore si azzarda ad interpretazioni più impegnative della realtà che lo
circonda (a far conoscere, cioè, per usare un termine logorato dall'uso, la sua
Weltanschauung), ne viene un prodotto un po' salottiero, un po' superficiale.
Tale è, ad esempio, la spiegazione della realtà dell'universo, che non senza
motivo Filostrato mette in bocca a Iarca, il saggio indiano con cui Apollonio
ha avuto rapporti di amicizia e sentimenti di ammirazione. Egli riesce a
inserire nella sua spiegazione dell'universo un po' di tutto: i quattro elementi
empedoclei, il quinto elemento, di cui si nutrono gli dèi, e persino la concezione
orfica (e conosciuta anche dall'ermetismo) del mondo 'maschio e femmina'.
M a il tutto è illustrato con la raffinatezza del sofista:
52bis Questo si ricava anche dallo studio di F. BRENK, In the Light of the Moon: Demonology
in the Early Imperiai Period, ANRW XVI,3, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1986, pp.
2 0 6 8 - 2 1 4 3 , pp. 2 1 3 6 - 2 1 4 2 .
Per terminare questa scelta di motivi teologici e religiosi della cultura del
secondo secolo, vorremmo attirare l'attenzione su di un particolare, peraltro
famoso, delle 'Metamorfosi' di Apuleio. Ci riferiamo alla dottrina di Iside
|iupicóvo|io<;, cioè della dea unica e somma, celebrata con nomi differenti dai
vari popoli, i quali, secondo le loro tradizioni, la venerano, ciascuno esaltando
un aspetto della sua divinità a preferenza degli altri (cfr. XI,5). Forse questa
dottrina apuleiana, per la quale gli studiosi hanno individuato un parallelo
particolarmente significativo nella invocazione a Iside contenuta nel Papiro di
Ossirinco XI,1380, del secondo secolo d. C., può avere un'altra conferma da
quanto si legge in Favorino, De fortuna 8 - 9 . La divinità, questa volta, non
è Iside, ma Tyche, e il BARIGAZZI 53 indica con la consueta dottrina le attesta-
zioni della sua polionimia. Lo studioso riconosce la probabile influenza dello
stoicismo, là dove Tyche è identificata con Nemesi, Moira e Themis; tuttavia
quella dea è chiamata anche Demetra dagli agricoltori, Pan dai pastori,
Leucotea dai naviganti, Dioscuri dai nocchieri. Forse è un'ipotesi azzardata,
tanto più che il 'De fortuna' di Favorino è un naiyviov, ma si potrebbe rilevare
nei due autori la tendenza a riconoscere la polionimia del dio.
stoica e della cinica (se questa può essere definita 'scuola'), e li presentano al
pubblico con facilità, in un'ampia divulgazione, con la coscienza della propria
cultura (e come non lo dovrebbero?), ma le loro conoscenze, quanto sono
vaste, altrettanto sono superficiali. Tutti professano un'etica, ma quale essa
sia, non è facile dire. Gli scritti del secondo secolo dell'età imperiale sono tutti
derivati dalla penna di personaggi autorevoli, o, per meglio dire, di personaggi
che hanno nella ordinata e pacifica società di quell'epoca una loro collocazione
di rilievo, un loro posto eminente. Favorino, Frontone, Erode Attico erano -
con varie avventure e disavventure — alla corte del principe; Apuleio, quando
scrive il suo 'De magia', si appoggia alla autorevole persona del proconsole,
Claudio Massimo, uomo di brillante carriera burocratica e, come se non
bastasse, filosofo 54 ; quando va in giro per l'Africa a tenere le sue conferenze,
è chiamato a celebrare illustri personaggi locali o a far mostra delle sue
capacità letterarie, per le quali è ammirato e applaudito: anche Apuleio,
quindi, è una persona di rilievo e rispettabile, e anche da lui ci si aspettano
insegnamenti gravi e significativi. Altrettanto si può congetturare per Massimo
Tirio, e ancor più per Filostrato, che fu forse personaggio della carriera
burocratica 5 5 e visse presso l'imperatrice Giulia Domna; Aulo Gellio, della cui
posizione sociale non conosciamo, purtroppo, molto di concreto, riferisce
tuttavia di essere stato amico di persone autorevoli come il praefectus Urbi
Erucio Claro. Insomma, il pepaideumenos che scrive nel secondo secolo è un
personaggio autorevole e riverito e si comporta e vive come richiede la sua
posizione sociale, e questa caratterizzazione vale, naturalmente, anche per i
letterati dei secoli successivi, per i quali la Sofistica ha costituito un modello
di vita e di letteratura. Ma, per converso, questa diffusione delle conoscenze
etiche, voluta dalla funzione sociale che assume il personaggio di rilievo, quale
è il letterato, non può attuarsi che attraverso la divulgazione e banalizzazione
delle dottrine. Che l'etica fosse una delle tre parti in cui la filosofia per lunga
tradizione si divideva, era una nozione forse conosciuta da ogni persona di
cultura, ma che, appunto in quanto parte della filosofia, essa ponesse problemi
scientifici precisi, questa era una problematica che il pepaideumenos non
coglieva. Da qui una vaga e intermittente coloritura moraleggiante negli scritti
di tutti questi personaggi; una coloritura uguale per tutti e che, come sopra
si è detto, si può definire blandamente stoica, ma che non va nel profondo,
si accontenta delle apparenze e di quanto può essere compatibile con il grado
che si possiede nella società.
54 Sarebbe stato uno stoico, maestro di Marco Aurelio: su di lui cfr. più ampiamente
l'ottimo studio di E. CHAMPLIN, Fronto and Antonine Rome, Cambridge Mass. — London
1980, pp. 3 2 - 3 3 .
55 Cfr. su di lui G. ANDERSON, Philostratus. Biography and Belles Lettres in the Third
Century A. D., London 1986.
tutti i giorni, fanno sì che questi scrittori (come, in fondo, già era avvenuto
nei secoli precedenti) condannino quasi universalmente il cinismo (e, per
converso, che uno scrittore come Tertulliano scriva, come cristiano, il 'De pal-
lio', a difesa del cinismo). In Gellio il disprezzo per questi filosofi da strada
è più volte manifestato: significativo è che siano due personaggi di rilievo,
come Erode Attico e Musonio, a gettare il ridicolo su di un cinico sfrontato
(IX,2,1 sgg.). Ad essi fa eco Filostrato (Vit. Soph. 563), e il disprezzo è ripetuto
da Apuleio, quando parla come autorevole sofista nei 'Florida' (cfr. VII e IX);
ma quando deve difendersi dall'accusa di essere un arrampicatore sociale e di
agognare alle proprietà della ricca vedova Pudentilla, allora, accanto alle varie
considerazioni moraleggianti sul valore della paupertas (capp. 17 — 23), gli
torna utile ricordare Cratete, il quale per primo rinunciò pubblicamente alla
posizione sociale elevata, di cui godeva, disprezzò le sue ricchezze e si ridusse
a vivere secondo natura (cap. 22). Massimo di Tiro scrive una dissertazione
(n. 36), nella quale esalta la vita del cinico e ne celebra la libertà. Ma anche
Massimo scrive altre dissertazioni, nelle quali la vita del cinico ha scarsa
incidenza sulla dottrina etica che vuole propagandare, e, comunque, anche il
cinismo celebrato da Massimo non ha più la sfrontatezza e la durezza polemica
del cinismo vero, ma si colora soprattutto di caratteristiche che direi stoicheg-
gianti, quali la rinuncia ai beni caduchi della vita, alle ricchezze, alla potenza,
la imperturbabilità dell'animo di fronte alle vicende umane. Il cinico di
Massimo di Tiro è più uno stoico che un cinico, così come molti cinici
dovevano esserlo già da tempo. Demetrio cinico, che Seneca ammira e conosce,
è, in fondo, un predecessore di questi cinici apprezzati dai letterati, i quali,
coscientemente o no, eseguono una scelta tra gli aspetti della filosofia che essi
conoscono Vengono rifiutati e condannati gli atteggiamenti ribelli e di rottura
con il buon ordine sociale, come lo stesso vestire da mendicanti e il parlare
arrogante e sfrontato, 'da cani'; vengono accettati, invece, gli atteggiamenti
più facilmente apprezzabili, come quelli che dicevamo (disprezzo delle ricchezze
e della potenza, indipendenza di vita, imperturbabilità di fronte agli eventi).
Diogene il cinico è spesso citato in questo senso da Massimo Tirio (cfr. diss.
15 e 32 etc.); è spesso citato anche dal contemporaneo Claudio Eliano (cfr.
Var. Hist. 111,29; IV,11; IX,19; IX, 34 etc.), ma si tratta di citazioni che,
innanzitutto, hanno un carattere aneddotico, come si sa, e, in secondo luogo,
sono citazioni che sottolineano soprattutto la battuta pronta e spiritosa, la
libertà di parola di fronte a tutti, potenti o autorevoli (ne fa le spese lo stesso
Platone in Var. Hist. XIV,33).
56 I passi più significativi della posizione di Tauro sono, come è ben noto, Noct. Att.
1 , 2 6 , 1 0 — 1 1 e X I I , 5 , 5 (cfr. MORESCHINI, A p u l e i o e il p l a t o n i s m o c i t . , p p . 139-140).
57 Cfr. più oltre, pp. 5130 — 5131. Sulla figura di Favorino presentata da Aulo Gellio, cfr.
HOLFORD-STREVENS, op. cit., pp. 7 2 - 9 2 ; ASTARITA, op. cit., pp. 1 7 5 - 1 9 0 .
„la morte non è niente per noi: infatti ciò che è dissolto è privo di
sensibilità, e quello che è privo di sensibilità non è niente per noi".
Plutarco, dunque, avrebbe criticato questa forma di sillogismo, e quello che è
singolare è che Gellio non concorda, questa volta, con la communis opittio
58 Rientra in questa tematica la citazione di Panezio in XIII,28,1; in 1,13 e 11,7 non è fatto
il nome di Panezio, ma si parla di Ka8f¡Kov e di officium.
della critica nei confronti di Epicuro, che era costante nell'età imperiale, bensì
ritiene che quel sillogismo non sia stato mal costruito, e che sillogismi analoghi
si trovino anche in Platone. Anche il commentarius immediatamente successivo
(11,9) contiene una critica a Plutarco, e ancora in difesa di Epicuro. Plutarco,
infatti, sempre nel 'De Homero', criticava Epicuro per una questione lessicale
(Sent. Ili, p. 7 2 USENER) a proposito di una sentenza nella quale Epicuro si
sarebbe espresso in modo impreciso; e ancora una volta Gellio rimprovera
Plutarco di accusare Epicuro nimis minute ac prope etiam subfrigide. Infatti,
egli osserva non senza motivo, Epicuro non si curava di proposito della cura
verborum e dell'eleganza dello stile, per cui una critica di tal genere, come
quella di Plutarco, richiede ad Epicuro quello che costui non voleva fare.
Non è questo il caso, naturalmente, di affrontare una ricerca completa
sulle conoscenze filosofiche di Aulo Gellio. Ricordiamo solo che il nostro
scrittore, per rispondere agli interessi suoi personali e a quelli dei suoi lettori,
accomuna alla aneddotica e ai mirabilia, che cita in gran copia, anche commen-
tarti non spregevoli, ma abbastanza acuti e informati su problemi tecnici,
come quello sul sillogismo (XV,26)59, quello sull'à^itona (XV,8)60, quello sulla
provvidenza e il fato secondo Crisippo (VII,1 e 2: due sezioni ricavate probabil-
mente, sì, dal 'De fato' ciceroniano, ma forse anche da manuali stoici); in ogni
caso, la problematica del fato e del libero arbitrio era stata da sempre viva,
fin dal suo sorgere, e, nell'età stessa di Gellio, il platonico Apuleio le dedica
una parte del suo manuale (cfr. de Platone 1,12). Ai pathe, alla dottrina stoica
relativa ad essi e ad Epitteto è dedicata una sezione di rilievo in XIX,1 (la si
è considerata rapidamente a proposito dei rapporti tra Gellio ed Epitteto
stesso poco fa 61 ; il problema del piacere e la interpretazione di che cosa esso
sia, è affrontato in forma di dossografia in IX,5). Non possiamo soffermarci
più a lungo su Gellio.
Le 'Noctes Atticae', per quanto possano essere criticate per certi aspetti
di superficialità, quali la ricerca dell'aneddotica e dei mirabilia, l'evitare
volutamente problemi di difficile interpretazione, appaiono pur sempre un'o-
pera fornita di una sua precisa qualità: l'interesse per certe problematiche che
sono proprie dell'uomo colto del secondo secolo, del pepaideumenos, come
spesso lo abbiamo definito. Anche se difficilmente, o quasi mai, si riescono a
cogliere nei suoi commentarti osservazioni personali, la scelta della materia è,
comunque, abbastanza eloquente, e può permetterci la ricostruzione dell'am-
biente in cui Gellio visse, se non della personalità dell'autore in modo rileva-
to 62 .
59
Su di esso si legga l'interessante nota di A. CAVARZERE, Gellio traduttore e la definizione
aristotelica di sillogismo, Maia 39, 1987, pp. 213 — 215.
60
Su questo punto, interessante per la storia della logica nella cultura latina, torniamo anche
nel nostro contributo: Il 'de interpretatione' pseudoapuleiano: problemi di autenticità e
di cronologia, in: Politica, cultura e religione nell'Impero romano (secoli IV —VI) tra
Oriente e Occidente, Atti del Secondo Convegno dell'Associazione di Studi Tardoantichi,
Napoli 1993, pp. 1 2 7 - 1 3 8 .
61
Poco si legge su di lui in HOLFORD-STREVENS, op. cit., p. 206.
62
C f r . BALDWIN, o p . c i t . , p p . 2 1 - 4 9 ; 9 5 - 1 0 2 ; H O L F O R D - S T R E V E N S , o p . c i t . , p p . 1 0 4 s g g .
1. Frontone
64 II caso di Elio Aristide sembra contraddire questa nostra osservazione, data l'acrimonia
con cui egli attaccò Platone e difese la retorica; ma si tratta di un caso particolare, che
merita di essere considerato a parte. Cfr. C. MORESCHINI, Elio Aristide tra retorica e
filosofia, ANRW II, 34,2, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1994, pp. 1 2 3 4 - 1 2 4 7 .
65 Seguiamo l'edizione: M. Cornelius Fronto, Epistulae... edidit M. R J. VAN DEN HOUT,
Leipzig, Teubner 1988. Su Frontone ora anche R V. COVA, Marco Cornelio Frontone,
ANRW II, 34,1, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1993, pp. 8 7 3 - 9 1 8 , e P. SOVERINI,
Aspetti e problemi delle teorie retoriche frontoniane, ibid. pp. 919 —1004.
66 Conosciamo questo importante uomo politico anche dalla 'Apologia' di Apuleio (cap.
95); su di lui cfr. CHAMPLIN, op. cit., p. 31 - 3 3 (da collocare, come apprendiamo anche
da Apuleio, nell'ambiente di Claudio Massimo).
67 Anche Giulio Aquilino sembra rientrare in questo contesto: cfr. su di lui CHAMPLIN,
op. cit., p. 33 —34; C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., p. 10 (un accenno
insufficiente).
2. Favorino
3. Gellio
71 II BARIGAZZI, veramente (ad locum e a proposito della test. 39 di Favorino), è scettico circa
l'ipotesi che queste osservazioni retorico-grammaticali abbiano origine dallo scrittore di
Arelate; anche HOLFORD-STREVENS (op. cit., pp. 84 - 85) non crede che Favorino abbia
scritto in latino, nonostante il suo interesse per la civiltà latina; al massimo, avrà parlato
in latino. La ASTARITA (e, credo, con ragione) non ritiene fondati questi dubbi.
72 C f r . BALDWIN, o p . c i t . , p . 2 1 .
73 Cfr. sopra, n. 71.
Democrito, che si accieca, per poter meglio concentrarsi sulle sue meditazioni,
senza essere distratto dalle illecebrae esterne (X,17); su Cameade (XVII,15);
su Platone e le sue Leggi (XV,2); su Demostene, considerato discepolo di
Platone (111,13,1), come anche Apuleio sapeva (cfr. Apol. 15); sulla ostilità tra
Platone e Senofonte (XIV,3); sulla successione di Aristotele (XIII,5); sulle
lettere di Aristotele (XX,5); su Protagora ed Euatlo (V,10: Protagora tipico
esempio del sofista inteso in senso deteriore, come anche da Apuleio, Fior.
XVIII,19 sgg.); su Crisippo e Diodoro (XI,12); cronologie e sincronismi nelle
biografie di filosofi (XVII,21). Riferendo questi aneddoti Gellio voleva sicura-
mente intrattenere e dilettare il suo pubblico di lettori con il racconto del
particolare gradevole e insolito, ma l'intendimento didascalico è sicuramente
presente. 74 Tale atteggiamento didascalico si fa poi relativamente più impe-
gnato, allorquando Gellio non riferisce più aneddoti biografici, ma placita
filosofici, presentati non soltanto in uno stile ornato e piacevole, ma anche
scelti allo scopo preciso di insegnare ed intrattenere un pubblico colto, ma
non specialista dei problemi. Ad esempio, il riferire che una gioia improvvisa
può procurare la morte (aneddoto che si poteva leggere anche in Liv. XXII,
7,13, a proposito della morte subitanea di una madre che vide inaspettatamente
il figlio sano e salvo, creduto morto alla battaglia del Trasimeno 75 ), viene
riferito sulla autorità di Aristotele (cfr. fr. 559 ROSE = Noct. Att. 111,15,1); e
il numero straordinario di parti che una donna ebbe (X,2) è raccontato ancora
una volta sulla scorta di un'opera dello Stagirita, alla quale si aggiungono, da
parte di Gellio, attestazioni tratte dalla cronaca e dalla vita romana. Più
impegnativi sono i problemi di carattere fisico: se la voce sia un corpo o un
incorporeo (V,15); sulle caratteristiche dei sensi (VI,6: secondo la filosofia di
Aristotele); X I X , 2 (con osservazioni moralistiche di filosofia popolare, di
condanna — scontata, come si sa, in scritti di tal genere — sui piaceri dei
sensi); sul cristallo (XIX,5 e XX,4); sui TipoP^fmaxa fisici di Aristotele (XIX,4
e 6), studiati, a quanto sembra, anche da Apuleio (cfr. Apol. 36). E natural-
mente anche a questo proposito il numero degli aneddoti potrebbe essere
accresciuto.
4. Apuleio
74 Sugli intenti di Gellio ha scritto alcune pagine (ma molto rapide) anche P. STEINMETZ,
Untersuchungen zur römischen Literatur des zweiten Jahrhunderts nach Christi Geburt,
Palingenesia XVI, Wiesbaden 1982, pp. 2 7 8 - 2 8 0 . Ora si veda anche G. ANDERSON,
Aulus Gellius: A Miscellanist and his World, A N R W I I , 34,2, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w
York 1994, pp. 1 8 3 4 - 1 8 6 2 ; D. W. T. VESSEY, Aulus Gellius and the Cult of the Past,
ibid., pp. 1 8 6 3 - 1 9 1 7 , e M . M . HENRY, On the Aims and Purposes of Aulus Gellius'
'Noctes Atticae', ibid., pp. 1 9 1 8 - 1 9 4 1 .
75 Gellio parla, invece, della battaglia di Canne: pura svista o tradizione differente?
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5132 CLAUDIO MORESCHINI
non si sottrae colui che fu lo scrittore più sensibile a questo ideale del dilettare
e che scrisse nel proemio della sua opera maggiore: lector, intende: laetaberis.
Anche come filosofo egli intende dilettare; e se nel manuale di filosofia
platonica tale intendimento non si riscontra, come è logico, perché è allotrio
allo scopo e alla natura di quel genere letterario, esso è ben presente nelle sue
opere più tipicamente retoriche e sofistiche, come 1' 'Apologia' e i 'Florida'.
L' 'Apologia' fu giudicata, con qualche esagerazione, come un'orazione essen-
zialmente epidittica 76 . Questo è solo in parte vero, ma certi intenti 'sofistici'
emergono chiaramente in varie parti dell'opera: basti tener presenti le ekphra-
seis, le discussioni letterarie — ma anche, come stiamo osservando in questo
contesto, la discussione filosofica e l'aneddotica biografica.
Certo, la discussione sulla demonologia e sulla divinazione (cfr. Apol.,
cap. 43) è centrale nel sistema filosofico e teologico di Apuleio, e non può
essere attribuita solo agli interessi eruditi e salottieri dell'autore; così come
l'intento, particolarmente preciso, di ricondurla alla filosofia platonica: così
facendo il Madaurense si adeguava all'insegnamento del platonismo a lui
contemporaneo (cfr. capp. 25 — 26). Ma ci conduce ad un ambito di pensieri
e di intendimenti affine a quello che abbiamo riscontrato in Aulo Gellio la
discussione sul modo in cui funziona il senso della vista (cap. 15); quella sul
funzionamento dello specchio (cap. 16); le varie questioni di storia naturale,
con riferimento, anche qui, ai npopXfmaxa di Aristotele, che Apuleio avrebbe
studiato in modo particolarmente approfondito (capp. 33 — 38; 40 — 41; 51);
lo studio sul morbo sacro, condotto, sì, sulla scorta del 'Timeo' platonico, ma
con un'evidente esibizione di più vasta cultura (capp. 49 — 50). E l'aneddotica
relativa alle biografie dei filosofi è esibita in modo particolarmente insistito:
dalla bellezza dei vari filosofi (cap. 4), agli amori di Platone e ai suoi versi
lascivi (capp. 1 0 - 1 1 ) , a Cratete e alla filosofia cinica (cfr. anche quanto si è
osservato per Eliano) (cap. 22); l'aneddoto su Diogene e Alessandro (cap. 22);
Pitagora discepolo di Zoroastro e di Omero (cap. 31); il topos dell'atteggia-
mento ostile ai cinici (cap. 39).
Anche nei 'Florida' — l'esempio più evidente dell'esistenza di una sofistica
in lingua latina — Apuleio si richiama più di una volta, come già aveva
osservato il VALLETTE77, alle sue qualità di filosofo (senza precisare sempre di
essere ' p l a t o n i c o ' ) (cfr. V, I X , 4 e 3 3 ; X I I I ; X V , 2 6 ; X V I , 2 9 ; X V I I I , 1 ; X X , 4 ) : l o
si vede litigare, prosegue il VALLETTE, con coloro che gli contestano questo
titolo, ma di filosofia, nei 'Florida', non ce ne è. Ma allora Apuleio parlerebbe
senza un motivo della sua filosofia? E' evidente, allora, che essa va intesa —
quando non è precisata come platonica — come filosofia del pepaideumenos.
Lo stesso VALLETTE78, che intendeva nel significato più ristretto il termine
'filosofia', osservava, d'altra parte, che qualcosa del genere filosofico si poteva
riscontrare anche nei 'Florida', come il framm. X, dedicato alla demonologia.
Ma ecco ancora, a proposito della erudizione filosofica, presentata nello stile
ornato dell'oratoria epidittica: l'aneddotica su Socrate (fragm. II); su Ippia
(fragm. IX,15sgg.); su Diogene il Cinico e Cratete (fragm. XIV e XXII);
su Protagora (fragm. XVIII,19sgg.); sui Gimnosofisti (VI,7sgg.; XV,16); su
Pitagora, i Magi e Zoroastro (IX,33); su Pitagora, splendido tra i filosofi
(XV,22sgg.). In tutte queste sue esibizioni retoriche Apuleio non si stanca di
definirsi 'filosofo': certo, non è il maestro di filosofia, che insegna nel chiuso
della scuola, ma è il pepaideumenos che è al limite della filosofia, e spesso si
sente autorizzato a superarlo, e crede, comunque, di possedere entrambi i
campi. Quella divisione tra filosofia e oratoria, che da sempre era esistita,
diviene molto meno rigida nella cultura letteraria della Seconda Sofistica, e
il pepaideumenos crede di potere essere anche filosofo, senza, per questo,
appropriarsi di un titolo che non gli compete; e in quanto pepaideumenos è
collocato in una posizione sociale adeguata. Per questo egli disprezza i cinici,
come si è detto sopra: e Apuleio, che è addirittura sacerdos provinciae, oltre
che philosophus, insulta i palliata mendicabula (Fior. IX,9).
Lo stesso 'De mundo' apuleiano, infine, normalmente considerato opera
'filosofica' (ma non è caratterizzato dalla aridità stilistica che è propria dei
manuali, come il 'De Platone'), risponde certamente anche a questo interesse
erudito, rivolto ad un pubblico di non specialisti: lo attesta, a nostro parere,
il lungo excursus sui venti (318 - 321), derivato da Gellio (11,22), probabilmente
per desiderio di letterarietà 79 .
79
Letterarietà che caratterizza tutta la traduzione apuleiana del 'De mundo', come bene
ha messo in luce recentemente A. MARCHETTA, L'autenticità apuleiana del 'de mundo',
L'Aquila — Roma 1991. Cfr. anche M. G. BAJONI, Aspetti linguistici e letterari del
'De mundo' di Apuleio, ANRW II, 34,2, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1994,
pp. 1785-1832.