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Aspetti della cultura filosofica negli ambienti della Seconda

Sofistica

di CLAUDIO MORESCHINI, Pisa

Sommario

I. Premesse 5101
1. Cultura e arte oratoria 5101
2. La 'Popularphilosophie 5103
3. Favorino e Gellio 'Halbphilosophen 5105
II. Religione e filosofia del pepaideumenos 5109
1. Elioteismo e demonologia 5109
2. Il male, il fato e la funzione della preghiera 5112
3. Enoteismo e apologetica cristiana 5120
III. L'etica del pepaideumenos 5120
1. Il pepaideumenos al suo posto nella società 5120
2. Il rifiuto del cinismo 5121
3. Lo speculum morale di Gellio 5122
IV. L'erudizione e le conoscenze filosofiche del pepaideumenos 5126
1. Frontone 5126
2. Favorino 5129
3. Gellio 5130
4. Apuleio 5131

1. Premesse

1. Cultura e arte oratoria

Il presente lavoro vuole essere un contributo alla conoscenza di un aspetto


importante della cultura del secondo secolo dell'età imperiale: abbisogna,
perciò, di qualche precisazione. Il titolo di esso fa riferimento alla Seconda
Sofistica, perché noi intendiamo in senso lato questo termine 1 , il quale do-

1
La problematica della Seconda Sofistica ha attirato una viva attenzione e ha suscitato
preziosi contributi soprattutto negli ultimi venti anni. Per non citare che i più significativi:
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5102 CLAUDIO MORESCHINI

vrebbe, a rigore, essere riferito solamente alla oratoria epidittica dell'epoca.


M a noi pensiamo che sia lecito servirsi di un termine che indica, sì, una precisa
attività, una posizione sociale determinata, un aspetto limitato della cultura
di un'epoca (l'oratoria, appunto), per indicare una situazione culturale più
ampia, che non comprende solamente l'arte oratoria, ma che comunque in
essa soprattutto si rispecchia e ad essa tende come modello. Se si ammette,
come è evidente, che l'arte oratoria, e più precisamente la sua connotazione
epidittica, costituisce l'episodio centrale della cultura del secondo secolo, ne
consegue che anche se non tutti i letterati di quell'epoca furono oratori, in
ogni caso la loro attività fu ispirata e conformata come in poche altre epoche
proprio dall'arte oratoria. Nell'ambiente latino, ad esempio, Frontone non
esercitò esclusivamente la professione dell'oratore, né fu un sofista che rappre-
sentasse al più alto livello gli interessi della città in cui era nato, come era
consuetudine per i più illustri sofisti dell'Asia Minore. M a il problema della
funzione e della dignità dell'arte oratoria fu centrale nella cultura frontoniana,
non meno che per un Elio Aristide o un Erode Attico o un Filostrato. Nemmeno
Aulo Gellio può essere definito sofista; anzi, la sua attività fu dichiaratamente 2
umbratile ed erudita, e non ebbe mai a manifestarsi all'aperto e in mezzo al
pubblico; e purtuttavia le sue 'Noctes Atticae' sono incentrate, in gran parte,
sulle tematiche della Sofistica contemporanea, ed egli fu anche amico di sofisti
e letterati come Favorino ed Erode Attico. Tali tematiche si risolsero, per
Gellio, soprattutto nell'angolatura dell'erudizione e della critica letteraria, ed
il metodo di Gellio fu esclusivamente il metodo dell'erudito raccoglitore di
notizie di ogni genere; ma è ben noto che la Sofistica fu interessata proprio
alla erudizione e alla molteplicità delle conoscenze, per quanto superficiale
potesse essere il metodo di raccolta e di valutazione dei dati eruditi, che i
sofisti mostrarono. A questa variegata realtà culturale del secondo secolo

G. ANDERSON, The Pepaideumenos in Action: Sophists and their Outlook in the Early
Empire, A N R W II, 33,1, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1989, pp. 7 9 - 2 0 8 ; IDEM, The
Second Sophistic: Some Problems of Perspective, in: D. A. RUSSELL, Antonine Literature,
O x f o r d 1990, pp. 91 - 1 1 0 ; B. P. REARDON, Courants littéraires grecs des Ile et M e siècles
ap. J. C., Annales litt. Univ. de Nantes 3, Paris 1971; IDEM, The Second Sophistic, in:
Renaissances before the Renaissance. Cultural Revivals of Late Antiquity and the Middle
Ages, edited by W. TREADGOLD, Stanford University Press 1984, pp. 2 3 - 4 1 ; E. L. BOWIE,
Greeks and their Past in the Second Sophistic, in: Studies in Ancient Society, ed. by M . I.
FINLEY, London — Boston 1974, pp. 166 — 209 (oltre ai lavori specificamente dedicati alla
poesia greca del secondo secolo dell'età imperiale). Fondamentale, anche se con una
impostazione non prevalentemente letteraria, ma storica e prosopografica, G. W. BOWER-
SOCK, Greek Sophists in the R o m a n Empire, O x f o r d 1969; il medesimo studioso ha
curato anche un breve volume miscellaneo, con contributi di DE LACY, C. P. JONES,
KENNEDY e REARDON, dal titolo: Approaches to the Second Sophistic, University Park,
Pennsylvania 1974; V. A. SIRAGO, La seconda sofistica come espressione culturale della
classe dirigente del II sec., A N R W II, 33,1, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1989,
pp. 3 6 - 7 8 .
2 Q u e s t o emerge a chiare note dal prologo delle 'Noctes Atticae', che è stato sottoposto
ad attento esame da B. BALDWIN, Studies in Aulus Gellius, Lawrence, Kansas 1975,
pp. 51sgg. e da L. HOLFORD-STREVENS, Aulus Gellius, London 1988, pp. 2 0 - 3 4 .

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5103

contribuiscono, dunque, oratori di professione e non oratori; oppure oratori


scrissero anche opere non di oratoria, come Apuleio; ma, in ogni caso, l'oratore
si interessa spesso e volentieri di letteratura e di grammatica e di filosofia, e
il grammatico o il letterato interessato alla filosofia videro nell'oratoria la
manifestazione più nobile e più elevata della propria e dell'altrui cultura, e
l'oratoria fu sempre sullo sfondo della attività anche di coloro che non furono
oratori.
Forse, allo scopo di evitare equivoci (che, comunque, non dovrebbero
sorgere), e per chiarire meglio il nostro punto di vista, gli intenti e gli interessi
della presente ricerca, potrebbe essere più funzionale impiegare, invece della
parola 'sofista', la parola pepaideumenos, proposta da G. ANDERSON in un
saggio fondamentale dedicato alla cultura del secondo secolo 3 : avremmo
potuto indagare gli interessi filosofici del pepaideumenos del secondo secolo
dell'età imperiale. Lo stesso ANDERSON, del resto, nel saggio che abbiamo or
ora citato, prende in considerazione 4 , sia pure succintamente, l'interazione
esistente tra retorica e filosofia e tra retorica e religione: se gli interessi della
ricerca dell'ANDERSON sono indirizzati a tutt'altra problematica, noi, invece,
vogliamo approfondire, per mezzo di un contributo e senza essere convinti di
potere esaurire l'argomento, gli interessi filosofici e le conoscenze filosofiche
di questi letterati; in sostanza vogliamo riprendere le indagini sulla cultura
filosofica della tarda antichità, che abbiamo più volte studiato.

2. La 'Popularphilosophie'

Parlare di filosofia nella cultura del secondo secolo (e così pure del quarto,
che vedrà il rifiorire della seconda ondata della Sofistica 5 ) impone alcune
precisazioni preliminari. Senza dubbio la Sofistica, nella quale, come sopra si
è detto, si manifesta in modo prevalente la cultura dell'epoca, assunse tra i
suoi contenuti non soltanto la letteratura, ma anche la filosofia, anzi, produsse
una paideia nella quale i due elementi si fondevano in modo organico e
omogeneo, come poche volte nel mondo antico. Beninteso, bisogna intendersi
a proposito del termine 'filosofia': erano le nozioni che venivano prima apprese
alla scuola del rhetor, poi divulgate nelle conferenze e nei discorsi epidittici,
non quelle che si insegnavano nelle scuole filosofiche. Tutto ciò produceva
una più ampia diffusione della filosofia, ma anche una sua semplificazione e
una volgarizzazione: l'aneddotica e il biografismo sostituivano spesso le difficili
dimostrazioni, i repertori e i manuali fornivano il materiale che il pepaideume-
nos elaborava letterariamente; le opere filosofiche più divulgate erano, logica-

3 Cfr. The Pepaideumenos etc., cit., p. 104 sgg.


4 Cfr. op. cit., pp. 1 1 8 - 1 2 4 ; PH. DE LACY, Plato and the Intellectual Life of the Second
Century, in: Approaches etc. cit., pp. 4 - 1 0 ; M. B. TRAPP, Plato's Phaedrus in Second
Century Greek Literature, in: RUSSELL, Antonine Literature, cit., pp. 141 —173.
5 Sulla quale mancano, finora, degli studi d'insieme come quelli dedicati al secondo secolo
dagli studiosi sopra indicati.

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5104 CLAUDIO MORESCHINI

mente, quelle che meglio si prestavano ad una lettura non filosofica (o non
esclusivamente tale), e in tal caso Platone era colui che meglio si prestava a
siffatta informazione: ad esempio il 'Fedro' conteneva tre discorsi che potevano
essere considerati epidittici6, e il 'Gorgia' era prezioso per le discussioni relative
alla funzione della retorica e del suo antagonismo con la filosofia. „11 secondo
secolo", osserva ancora 1'ANDERSON 7 , „è l'età del Halbphilosoph, e le linee di
demarcazione sono spesso oscurate, anche se non rimosse del tutto". E' la
diffusione di quella che gli studiosi tedeschi definiscono 'Popularphilosophie'.
Il termine deve essere inteso nel modo giusto: con 'popular si intende,
certamente, una volgarizzazione e una diffusione, ma non un imbarbarimento,
come in passato si credeva. E anche se la c Popularphilosophie' è stata studiata
soprattutto nell'ambito dell'etica, essa è riscontrabile a tutti i livelli, compreso
quello della teologia e della dottrina della struttura della realtà.
E' chiaro che questa cultura filosofica è riscontrabile, allora, non nelle
scuole destinate ai filosofi, e la nostra attenzione non sarà appuntata su Galeno
0 Alessandro di Afrodisia o su Apuleio in quanto filosofo platonico. Ancora:
personalità come Dione Crisostomo, Elio Aristide e Luciano rientrano senza
dubbio in questa tematica, ma richiedono un discorso particolare, dato il loro
livello e la posizione individuale che ciascuna di esse ha assunto; ciascuna
deve essere trattata a parte. Invece gli scrittori cosiddetti minori sono forse i
più funzionali in questa ricerca, perché forniscono quella humus che possiamo
ipotizzare con verisimiglianza anche per gli altri.
Giustifica questa nostra interpretazione una famosa affermazione di Filo-
strato (Vit. Soph. 1 , 4 , p. 1 1 , 1 7 K A Y S E R ) , a tutti nota, ma che conviene qui
ripresentare. Subito all'inizio della sua opera, che, per quanto discutibile8,
vuole pur essere un riesame critico dell'oratoria dei suoi tempi, Filostrato
classifica Favorino tra coloro che furono filosofi, pur apparendo dei sofisti:
0 1 (PI^OCTOCPFICAVXEQ èv xoO aocpiaxeOacu (ancora in 11,4, 3 1 K A Y S E R : èrcei8f|
OUK òvx£<; ootpioxai, 8OKOÙVTE<; 5é, 7tapf)M)ov èq xì|v è7ta>vi>|iiav xaóxriv). Tale
affermazione è stata oggetto di particolare controversia, perché sembra oppor-
re gli uni agli altri, opposizione che non avrebbe, in sostanza, ragion d'essere.
Eppure tale opposizione, o, almeno, diversità, fu da sempre giustificata dalle
opinioni tradizionali: che cosa di più noto di una contrapposizione tra filosofia
e sofistica? Né per questo noi saremo obbligati a prendere alla lettera tale

6 C f r . TRAPP, o p . c i t . , p p . 1 5 5 s g g .
7 Cfr. op. cit., pp. 1 1 8 - 1 1 9 .
8 La problematica delle 'Vitae Sophistarum' di Filostrato è stata da sempre oggetto di
interesse proprio per la storia e per l'interpretazione del concetto di „Seconda Sofistica".
Già il BOULANGER (Aelius Aristide et la sophistique dans la province d'Asie au Ile siècle
de notre ère, Bibl. des Écoles Fran<j. d'Athène et de Rome 126, Paris 1923, pp. 58 sgg.)
aveva fatto un uso equilibrato delle testimonianze di Filostrato, al quale aveva prestato
sostanzialmente fede; più problematici REARDON, The Second Sophistic and the Novel,
in: Approaches cit., pp. 2 3 - 2 9 , p. 27; C. P. JONES, The Reliability of Philostratus, ibid.,
pp. 11 — 16; G. ANDERSON, The Second Sophistic cit., in: RUSSELL, Antonine Literature
cit., pp. 9 4 sgg.

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C U L T U R A FILOSOFICA E S E C O N D A SOFISTICA 5105

contrapposizione. Anche la interpretazione proposta da chi pensa 9 che Filo-


strato volesse intendere la contrapposizione tra coloro che esercitarono una
oratoria epidittica (i sofisti) e coloro che non la esercitarono (i filosofi), non
può reggersi, proprio perché cade se applicata a Dione o a Favorino. D'altra
parte, proprio per Favorino la definizione di Filostrato viene confermata da
Aulo Gellio, il quale più di una volta (es. 1,10,1; 111,1,1; IX,13,5; XII,1,1)
definisce Favorino philosophus, e, soprattutto, tale definizione ha tutta l'aria
di non essere occasionale, ma di corrispondere ad una etichetta che Favorino
stesso voleva attribuirsi e che i suoi amici e discepoli (quale fu Gellio)
comunemente gli assegnavano.

3. Favorino e Gellio 'Halbphilosophen

Forse fu questo il motivo che indusse due autorevoli studiosi di filosofia


antica a includere Favorino nelle loro trattazioni della storia della filosofia
nel secondo secolo dell'età imperiale: mi riferisco allo ZELLER10, in primo
luogo, il quale, non conoscendo, peraltro, del nostro sofista le due orazioni
ora giudicate sicuramente sue (il 'De fortuna' 11 e la 'Corinthiaca' 12 ), né, tanto
meno, il 'De exilio', conservataci in un papiro della Biblioteca Vaticana,
scoperto nel 1930, considera Favorino in modo certo oramai del tutto insoddi-
sfacente. In poche parole: poiché Gellio (Noct. Att. XX,1,9.20) ci fa sapere che
Favorino era stato seguace dell'Accademia, e che aveva distinto lo scetticismo
accademico da quello di Pirrone, lo ZELLER collocava Favorino tra i seguaci
di Enesidemo. Ancora: poiché Plutarco, che era amico più anziano di Favorino,
dice di quest'ultimo (cfr. quaest. conviv. Vili, 10,2, p. 734) che Favorino è
amante di Aristotele e attribuisce grande importanze al TtiGavóv, il retore di
Arles viene ad essere considerato soprattutto come scettico, alla cui posizione
filosofica, comunque, aveva mosso forti obiezioni già Galeno nel 'De optimo
genere docendi' 13 . Il giudizio finale dello ZELLER era conforme alla sua
valutazione del complesso della filosofia preplotiniana, e si inseriva nella bene
architettata dialettica che dominava la sua interpretazione della storia, e, più
in particolare, della storia della filosofia: in Favorino emerge la sfiducia del
pensiero umano nei propri confronti, l'incertezza della coscienza scientifica,
che costituiva la base dell'eclettismo allora imperante; essa era un sintomo
della debolezza senile, che si era impadronita dello spirito scientifico, con la

9 C f r . JONES, o p . c i t . , p p . 12-13.
10 Cfr. E. ZELLER, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung 111,2,
Hildesheim 1963, pp. 76sgg. (Fotomech. Nachdruck der 5. Auflage, Leipzig 1923).
11 Giuntaci come orazione di Dione Crisostomo (n. L X I V ) . Diciamo più esattamente che
al tempo dello ZELLER queste orazioni non erano state ancora attribuite con sicurezza
a Favorino.
12 Anch'essa pseudocrisostomica (n. X X X V I I ) .
13 Lo scetticismo di Favorino certamente esiste, ma deve essere considerato congiuntamente
alle altre sue idee, come ha fatto recentemente A. BARIGAZZI, Favorino di Arelate,
A N R W II, 34,1 ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1993, pp. 5 5 6 - 5 8 1 .

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sua mancanza di originalità; tale scetticismo, analogamente al dogmatismo


contemporaneo, si riduceva a ripetere i pensieri dei predecessori. Da qui la
necessità di cercare la verità, del cui possesso non ci si sentiva sicuri, in una
manifestazione più alta; da questa fonte era sorto, nel corso del terzo secolo,
il neoplatonismo 1 4 .
Ci siamo soffermati alquanto sul giudizio dello ZELLER, per mostrare
quanto angusta fosse una valutazione di Favorino prima che si conoscesse di
lui qualcosa di più ampio e di diretto; e anche perché il giudizio che era stato
formulato voleva tenere in considerazione solo quello che avesse una apparente
etichetta di 'filosofia'. Anche l'interpretazione del GOEDECKEMEYER15 poco si
discosta da quella dello ZELLER, in quanto insiste esclusivamente sullo scetti-
cismo di Favorino. Il GOEDECKEMEYER, tuttavia, impiega per il retore quel
concetto di 'Popularphilosoph', che la filologia tedesca aveva cominciato ad
attribuire frequentemente in quel tempo a certi scrittori della età imperiale,
ma riserva al termine (come spesso allora) l'accezione più negativa e più
limitativa: Favorino aveva cercato di ottenere la sua fama anche per mezzo
della trattazione di argomenti meschini o spregevoli; ciò ci autorizza a collo-
carlo in un gradino più basso, e a dare ragione a coloro che lo consideravano
un sofista conformato come un filosofo: è la famosa sentenza di Filostrato,
semplicemente invertita. Tale giudizio, conclude il GOEDECKEMEYER, è confer-
mato anche dai suoi scolari, i quali furono solo dei retori e dei sofisti. Né
molto di più si legge nel manuale del PRAECHTER16, il quale riassume, in
sostanza, le opinioni e le interpretazioni precedenti.
Il caso di Favorino non meriterebbe molta attenzione, perché, in fondo,
non è raro che dei giudizi critici risultino totalmente inattendibili, quando
sono il frutto di una informazione limitata e di una interpretazione prestabilita
e aprioristica; merita, invece, attenzione, perché è emblematico di quanto fosse
difficile, o addirittura impossibile, cogliere l'essenza della cultura di un'epoca,
come quella del secondo secolo e della Seconda Sofistica, così sfuggente per
molti aspetti e non collocabile in definizioni comode e adusate. Né, certamente,
poteva favorire una più giusta comprensione di questi 'filosofi in fama di
sofisti' la considerazione che comunemente si aveva della sofistica e della
retorica alla fine del secolo decimonono e nei primi decenni del ventesimo.
A questa insufficiente interpretazione di Favorino (che a noi interessa, lo
ripetiamo, perché è emblematica della cultura filosofica del secondo secolo)
arreca rimedio il BARIGAZZI, ma in modo indiretto, se così possiamo esprimerci.
Intendiamo dire, infatti, che la sua eruditissima edizione, la prima esauriente,
che tenga conto delle opere ora sicuramente attribuibili a Favorino, contiene
una ricchissima messe di materiale e di annotazioni indispensabili alla com-

14
Cfr. op. cit., pp. 8 1 - 8 2 .
15
Cfr. A. GOEDECKEMEYER, Die Geschichte des griechischen Skeptizismus, Leipzig 1905
(Nachdruck Aalen 1968), pp. 248 - 257.
16
Cfr. K. PRAECHTER, Die Philosophie des Altertums, 11. Auflage, Leipzig 1928, Nachdruck
Darmstadt 1961, pp. 5 4 6 - 5 4 7 .

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5107

prensione del retore di Arles, mentre la introduzione17 è assai scarna e assoluta-


mente insufficiente per una ricostruzione della figura di Favorino, per cui si
può dire che il BARIGAZZI, che pure si era procurato tutti gli strumenti e
gli elementi utili per presentarci una nuova, più equilibrata e dettagliata
interpretazione, non lo ha fatto, ma ha soltanto allestito i mezzi e li ha messi
a disposizione degli altri.
Se di Favorino fu data per lungo tempo un'immagine dimidiata, cioè di
scettico, un erudito come Aulo Gellio non fu considerato, invece, altro che
come serbatoio per ricavare notizie che, con Gellio, non avevano niente a che
fare. Lo scrittore latino serviva solo come repertorio di dottrine altrui —
grammaticali, linguistico-letterarie, storiche e filosofiche. Eppure, se non altro,
Aulo Gellio scriveva per essere letto, e per raggiungere tale scopo avrà almeno
mirato a individuare gli interessi dei suoi lettori; e per fare questo avrà anche
lui impiegato il materiale che elaborava, seguendo una linea o più coordinate,
per organizzarlo. Cercheremo di rintracciare qualche elemento significativo
della attività di Gellio nelle pagine che verranno; intanto, non si può fare a
meno di notare che solo in tempi assai recenti, con il BALDWIN 1 8 e il HOLFORD-
STREVENS19, se è cercato di comprendere Gellio come scrittore animato da
degli intenti precisi, anche se difficili da enucleare (e in questo risiede la
difficoltà dell'interpretare Gellio: a che scopo sono indirizzate le sue scelte e
i suoi excerpta1). Il BALDWIN20, ad esempio, è stato molto attento a ricostruire
i rapporti tra Gellio e Favorino, di cui si è parlato fino ad ora, ponendo
l'accento, questa volta, non tanto sulla 'fonte' greca, ma sull'utilizzatore latino.
Nuova indagine, esauriente e attenta, è quella di M. L. ASTARITA21, soprattutto
per quanto riguarda gli interessi culturali dello scrittore romano. Se per Gellio
si accetta una cronologia alta, per quanto attiene alla sua vita 22 , egli appare
singolarmente bene informato non soltanto dei filosofi antichi, ma anche di

17 Facciamo riferimento a: Favorino di Arelate, Opere, Introduzione, testo critico e com-


mento a cura di A. BARIGAZZI, Testi greci e lat. con comm. filol. 4, Firenze 1966.
L'introduzione comprende, per quel che ci interessa, le pp. 12 — 21 (opere di Favorino) e
le pp. 22 — 26 (Favorino filosofo). Ora si veda anche A. BARIGAZZI, Favorino di Arelate,
ANRW II, 34,1, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1993, pp. 5 5 6 - 5 8 1 .
18 Cfr. op. cit., pp. 101 - 1 0 3 .
19 Cfr. op. cit., pp. 237 — 239. Lo studioso non nasconde più volte la sua 'simpatia' per
l'autore che esamina.
20 C f r . o p . c i t . , p p . 2 1 - 2 9 ; c f r . a n c h e HOLFORD-STREVENS, o p . c i t . , p p . 7 2 - 9 2 .
21 Cfr. M. L. ASTARITA, La cultura nelle 'Noctes Atticae, Catania 1993.
22 II problema è, purtroppo, tutt'altro che risolto, ma ininfluente, tutto sommato, su quanto
stiamo dicendo. Per una cronologia alta si era espresso il MARACHE nella sua edizione
per Les Belles Lettres (Paris 1967, pp. X —XII), collocando la pubblicazione dell'opera
gelliana intorno al 155 (compatibile con il famoso plagio dell'apuleiano 'De mundo').
Per una datazione bassa propendono, invece, il BALDWIN (op. cit., pp. 13 — 20): circa
166 —176, e HOLFORD-STREVENS, op. cit., pp. 14—15; la fine del principato di Marco
Aurelio. Per quanto riguarda il problema dei rapporti con il 'De mundo', lo studioso
pensa anche di collocarlo addirittura nel terzo secolo, pur non nascondendosi la difficoltà
di tale ipotesi. — Sembra inevitabile, comunque, ammettere che il 'De mundo' (che,
quindi è opera tarda di Apuleio) abbia plagiato Favorino, apud Geli. 11,22. Cfr. ASTARITA,

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5108 CLAUDIO MORESCHINI

quelli a lui contemporanei, come Favorino, come già si è detto, Plutarco ed


Epitteto, di poco più anziani di Favorino, e soprattutto dei contemporanei:
Calvisio 23 Tauro, Erode Attico e il non filosofo Frontone, di cui fu allievo e
che cita (XIX,8 e 10; XIX,13). Calvisio Tauro è il filosofo contemporaneo
presentato in tutto e per tutto favorevolmente da Gellio, dopo Favorino. Non
ci interessa qui la ricostruzione della filosofia di Tauro, alla quale si dedicano
gli studiosi del medioplatonismo 24 , ma, a meno che non vogliamo credere che
Gellio scrivesse senza un intendimento preciso, potremmo pur supporre che
10 scrittore latino vedesse in Tauro — come in Favorino — un ideale filosofico
(questo io credo si possa ricavare dalla affermazione 'Taurus noster di IX,5,8).
Se Favorino non è classificato da Gellio come seguace di una scuola ben
definita, Tauro, invece, è conosciuto come platonico, come ostile agli Stoici e
alla filosofia stoica in sé (cfr. XII,5,5 —6). M a d'altra parte, ecco che Gellio
opera una scelta, o, comunque, non è informato in tutto e per tutto della
filosofia di Tauro: i problemi più impegnativi del platonismo di questi, come
quello della cosmogonia e della interpretazione del 'Timeo', non hanno avuto
alcuna eco in Gellio, che scrive, evidentemente, per un pubblico di persone
colte, sì, ma non 'tecniche', cioè non informate e non interessate ai dibattiti
di scuola. A Tauro e ai suoi lettori interessano, se mai, i problemi etici, e più
precisamente quelli che non implicano i dumeta degli Stoici; egli prende lo
spunto, invece, da fatti realmente avvenuti, o comunque da episodi di carattere
biografico, come il viaggio di Tauro a Delfi, in occasione dei giochi Pitici
(XII,5sgg.), durante il quale sarebbe da collocarsi l'episodio della malattia
dell'amico del filosofo, la sosta a Lebadea, e la conseguente discussione sul
dolore 25 . Il problema che più interessa questa società di persone colte, ma non
dedite esclusivamente alla filosofia, è la parenesi e la raffigurazione esemplare
del filosofo, che lotta con il dolore: la raffigurazione, cioè, di un personaggio
che ha una sua collocazione elevata nei valori della società del tempo. Non è
11 problema del pathos in quanto tale che interessa, ma l'atteggiamento
dell'uomo di fronte ad esso, che in tal modo può servire da esempio.
Con queste considerazioni, che riguardano due figure apparentemente
lontane dalla paideia filosofica del secondo secolo, che a noi qui interessa,
abbiamo voluto mostrare come, in realtà, vi fosse una humus nella quale
potevano trovare il loro posto anche personalità diversissime tra di loro, ma
accomunate dall'interesse per la oratoria e la letteratura, per la aneddotica e
per la filosofia. Le pagine che seguono prenderanno in considerazione anche

op. cit., p. 66 n. 148; EADEM, Note di cronologia gelliana, Orpheus N.S. 5, 1984,
pp. 422 - 432.
23 Così si legge nei manoscritti di Gellio: tra gli editori più recenti, P. K. MARSHALL,
nell'Oxford Classical Texts, ripristina la forma Calveno Tauro (di Berito), attestata
anche da SIG 868 a (e già PRAECHTER, Nikostratos der Platoniker, Hermes 57, 1922,
pp. 101 - 1 0 3 ; HOLFORD STREVENS, op. cit., p. 227). Respinge, invece, la identificazione
tra i due Tauri, e distingue Calvisio da Calveno, M. L.ASTARITA, Note di cronologia
etc. cit., p. 427; EADEM, La cultura etc., cit., p. 101 n. 80.
24 Su di lui soprattutto il PRAECHTER ha fatto luce nello studio citato nella nota precedente.
25 C f r . HOLFORD-STREVENS, o p . c i t . , p p . 6 6 — 7 1 .

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5109

scrittori ben noti per i loro interessi letterari e 'filosofici' insieme, come
Apuleio, come Massimo di Tiro, come Filostrato, e vedremo che, al di sotto
di tutte le differenziazioni che i singoli autori presentano (e non possono non
presentare), vi è una comune cultura: di essa noi intendiamo studiare, appunto,
l'aspetto 'filosofico', la 'filosofia' del pepaideumenos.

IL Religione e filosofia del pepaideumenos

1. Enoteismo e demonologia

Soffermandoci sulle concezioni religiose diffuse nell'occidente latino tra


l'età degli Antonini e l'età costantiniana 26 , abbiamo avuto occasione di avan-
zare alcune considerazioni sulla problematica dell'enoteismo nel secondo se-
colo 27 ; parimenti, studiando la 'Vita Apollonii' di Filostrato 28 , abbiamo avuto
modo di riscontrare la presenza di certe concezioni filosofiche e religiose, che
accomunavano l'età dei Severi e il presunto 'circolo di Giulia Domna' 2 9 all'età
degli Antonini, di cui il principale rappresentante è Apuleio. Filostrato e
Apuleio: due scrittori che possono essere considerati essenziali per la loro
epoca e per la cultura di essa, per la cultura della Seconda Sofistica, intesa in
senso lato, come proponevamo all'inizio delle presenti pagine. Non vogliamo
qui ripetere quanto abbiamo detto altrove: osservammo, comunque, a propo-
sito dei passi teologici delle opere platoniche di Apuleio (e più precisamente
de Plat. 1,5,190 — 191 e 1,11,204 — 205), che essi non valgono solo per la storia
del medioplatonismo, ma possono „essere considerati espressione di fede
monoteistica 30 , purché ... le dottrine ivi esposte siano riprese anche dalle altre
opere di Apuleio, purché non siano un puro e semplice placitum platonico,
limitato alla scuola filosofica e al chiuso dell'insegnamento scolastico, ma
siano confermate anche all'aria aperta, se così si può dire, nel corso della
restante attività letteraria e sofistica del nostro scrittore" 31 . E un esame del
'De deo Socratis', la conferenza sofistica dedicata alla demonologia, e delle
'Metamorfosi' sembrò convalidare la nostra ipotesi: l'enoteismo, con la sua

26
Nel nostro contributo: Monoteismo cristiano e monoteismo platonico nella cultura latina
dell'età imperiale, in: Piatonismus und Christentum. Festschrift für H. Dörrie, hrsg. von
H. BLUME & F. M A N N , JbAC, Erg.-Bd. X, Münster 1983, pp. 1 3 5 - 1 6 1 .
27
Ibid., pp. 1 3 4 - 1 3 8 .
28
Cfr. La vita di Apollonio di Tiana di Filostrato e la cultura filosofica e religiosa dell'età
imperiale, in: Biografia e Agiografia nella letteratura cristiana antica e medievale, a cura
di A. CERESA-GASTALDO, B o l o g n a 1990, pp. 4 3 - 63.
29
Sulla cui esistenza mosse già delle forti critiche il BOWERSOCK, Greek Sophists cit.,
pp. 1 0 1 - 1 1 0 .
30
O meglio, enoteistica. Le pagine presenti vogliono costituire un ampliamento delle
ricerche sopra indicate, con alcune rettifiche.
31
Cfr. Monoteismo cristiano cit., p. 135.

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5110 CLAUDIO MORESCHINI

collocazione in posizione di preminenza del dio sommo e con la conservazione,


in posizione subordinata, degli dèi tradizionali e quindi dei demoni, appariva
dottrina non soltanto medioplatonica tout court, ma anche proponibile a dei
lettori non filosofi, come erano quelli delle 'Metamorfosi', o a degli ascoltatori
genericamente pepaideumenoi in una città dell'Africa, quali erano quelli che
si erano radunati per udire il 'De deo Socratis'. Questa concezione enoteistica,
che appare così bene evidenziata in Apuleio 32 , è il risvolto più esterno, il lato
aperto, di quello che il platonismo insegnava nell'ambito della scuola, con
una terminologia, un tecnicismo e uno stile, naturalmente, differenti. Un
esempio istruttivo di questo atteggiamento a due faccie di Apuleio, il quale da
platonico si esprime in un modo, da sofista in un altro, ma senza contraddirsi, è
fornito dalla 'Apologia', la quale contiene un passo famoso per la storia del
medioplatonismo (il cap. 64) e per la teologia del platonismo del secondo
secolo, ma anche una affermazione dell'autore, che, in Grecia, sarebbe stato
iniziato a moltissimi riti sacri (cap. 55). La stessa forma di enoteismo, alimen-
tato da una koiné platonico-pitagorica, si riscontra, come già dicemmo, nella
'Vita Apollonii' di Filostrato, con la gerarchia dio sommo - dei — demoni ed
eroi 3 3 .

Abbiamo accennato sopra a Massimo di Tiro. Ebbene, anche questo


retore assume, nella cultura del secondo secolo, una posizione analoga a
quella di Apuleio, nel senso che appare discretamente informato delle dottrine
platoniche del suo tempo, tanto che è comunemente considerato come un
testimone del medioplatonismo 34 , ma d'altra parte è studiato anche come
retore 35 o come educato nella 'Popularphilosophie , di cui si è parlato. Sennon-
ché questa 'filosofia popolare' è solitamente studiata con riferimento ai pro-
blemi dell'etica, e questo è giustificato dal fatto che le testimonianze di tale
forma di filosofia investono soprattutto l'etica e sono, in questo ambito, le

32 Un'altra testimonianza di questo enoteismo generico, già affermatosi nell'età degli


Antonini, può essere fornita da Frontone, il quale, consolandosi per la perdita del nipote,
osserva: ...sed utcumque sunt ista divinitus ordinata ... (De nepote amisso 6, p. 237,5
VAN DEN HOUT, ed. Teubner, Leipzig, 1988). Le opere non filosofiche di Apuleio hanno
una funzione 'volgarizzatrice' della filosofia, assolvono ad una funzione di mediazione
culturale molto sottile, come ha bene osservato G. F. GIANOTTI, 'Romanzo' e ideologia.
Studi sulle Metamorfosi di Apuleio, Forme materiali e ideologie del mondo antico 26,
Napoli 1986, soprattutto pp. 95 sgg. Sull'argomento anche C. MORESCHINI, Elementi
filosofici nelle 'Metamorfosi' di Apuleio, Koinonia 17, 1993, pp. 109 —123.
33 Cfr. più oltre, pp. 5 1 1 5 - 5 1 1 8 .
34 Rimandiamo alle nostre osservazioni a lui relative che si possono leggere in: C. MORE-
SCHINI, Apuleio e il platonismo, Accademia Toscana di scienze e lettere „La Colombaria",
Studi 51, Firenze 1978. Naturalmente, la bibliografia su Massimo Tirio medioplatonico
è assai ampia, se si tiene conto di tutti gli studi sul platonismo del secondo secolo.
Restiamo, comunque, in attesa della edizione critica per la Collezione Bude che sta
a l l e s t e n d o il PUIGGALI.
35 E' soprattutto l'aspetto retorico-letterario che è preso in considerazione da M. B. TRAPP,
Philosophical Sermons: The 'Dialexeis' of Maximus of Tyre, ANRW II 34,3, ed. W.
HAASE, Berlin —New York 1995 (in corso di stampa).

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5111

più numerose. Ma noi pensiamo che l'enoteismo possa essere considerato a


buon diritto come la religiosità del pepaideumenos, come la forma in cui si
presenta la teologia della 'Popularphilosophie , che crede nell'esistenza di un
dio sommo e degli dèi, della provvidenza e della bontà divina. E così l'eno-
teismo di Massimo Tirio è bene attestato dalla sua fede nell'esistenza di un
dio sommo, superiore agli altri dèi (cfr. diss. 2 , 1 0 , p. 2 8 , 8 sgg. H O B E I N ; 4 , 8 ,
p. 50,2 sgg.; 8,8, p. 96,8 sgg. etc.). Dunque, il nostro retore, come Apuleio,
come Filostrato, come le persone colte del secondo secolo, appare convinto
enoteista; e ciononostante (ma con questo non vogliamo affatto dire che le
due cose siano in contraddizione) Massimo di Tiro è testimone del medioplato-
nismo e pronuncia un'orazione su 'Quale sia il dio secondo Platone' (diss.
11). Questo è significativo: un argomento filosofico e tecnico non è trattato
solo da Alkinoos o da Attico, ma esce dal chiuso delle scuole filosofiche e si
riveste dei colori della retorica. Evidentemente, perché Massimo si accingesse
a questa divulgazione di temi filosofici, bisognava che ci fosse un uditorio
interessato ad ascoltarli. Certo, gli strumenti di cui si serve il retore sono
diversi da quelli dei filosofi di scuola, ma in parte coincidono.
Dopo un solenne esordio, con la presentazione del topos che la nobiltà
dell'argomento richiederebbe una particolare ricercatezza di stile36, il retore
respinge (11,3) quelle che egli ritiene essere le opinioni insostenibili che si sono
diffuse riguardo all'essere divino: dio sarebbe antropomorfo oppure simile
allo Zeus omerico. Sono opinioni derivate dalla incapacità della vista, dalla
debolezza della mente umana, che si sforza in vari modi, o nella pittura o
nella scultura o nella poesia, ciascuno rivolgendosi ad esprimere quello che
gli sembra essere il meglio. Ma tutte le arti e tutti i popoli e tutti gli uomini
concordano, sia pure impiegando varie espressioni, a credere che dio esista,
perché tale nozione è innata (cap. 4). Dopo questa serie di considerazioni
abbastanza banali, il retore afferma che sia i Greci sia i barbari concordano
nell'affermare che dio è uno solo, re di tutte le cose, e padre, e che vi sono
molti dèi, figli di dio, che signoreggiano insieme con lui. Le bellezze del creato
sono tutte manifestate dai sensi umani; che siano tutte opere di dio, lo dice
l'anima, che desidera conoscere l'artefice di esse e ne indovina l'arte. Anche
coloro che ebbero, su dio, errate opinioni, comunque lo confessarono, come
fecero Leucippo, Democrito, Epicuro etc. (cap. 5). Ma a questo punto si
impone la ricerca sulla natura del dio sommo, per il quale il vero insegnamento
ci è fornito da un è!; 'AKa8r]|iia<; i)7co<pf|ir|<; xoC 9eo0, àvfip 'ATTIKCK;, IXAVTIKÓQ
(p. 135,6). Con queste parole Massimo comincia a caratterizzare la sua ricerca
sul dio sommo non più limitandosi, come si è visto prima, alla professione di
un generico enoteismo, ma insistendo sulla concezione di un dio inesprimibile,

36 Esso conterrebbe un riferimento a Dione di Prusa, secondo lo SZARMACH (Máximos von


Tyros. Eine literarische Monographie, Torun 1985, p. 38). Lo studio dello SZARMACH
presenta numerosi spunti interessanti, ma è alquanto manchevole per l'aspetto filosofico
delle 'Dialexeis' di Massimo di Tiro. Egli infatti, parla di una 'conferenza quasi cristiana'
(p. 36) e di 'neoplatonismo', il che mal si concilia con quello che lo studioso giustamente
osserva, trattarsi cioè di pensieri popolari nelle scuole retoriche (ibid.).

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5112 CLAUDIO MORESCHINI

Nus sommo, indefinibile con le risorse dell'intelletto umano, conoscibile sol-


tanto per mezzo dell'esclusione di ogni impressione sensibile (capp. 8sgg.): è,
dunque, una sezione, questa, che interessa in prima istanza gli studiosi del
medioplatonismo. Per la nostra problematica vediamo che il retore ripropone
l'esistenza degli dèi inferiori al dio sommo, i Geoì 0eoC itaìSeq (p. 144,4), e dei
demoni (p. 144,6). (Cfr. Plat., Tim. 41 Asgg.).
Ai demoni Massimo di Tiro dedica due dissertazioni (nn. 8 e 9), sì che il
retore è stato considerato, anche a questo proposito, come per quel che
riguarda la dottrina di dio, un esponente del medioplatonismo; è noto, infatti,
che tutti i platonici del secondo secolo hanno professato una ben precisa
demonologia, la quale si ispirava, in ultima analisi, alle dottrine dell'Ateniese,
debitamente modificate e organizzate in modo sistematico 37 . Ma tutto questo,
che ha a che fare con il medioplatonismo, ancora una volta non ci interessa
in questo contesto. Ci interessa, invece, considerare la demonologia non
tanto come elemento della dottrina medioplatonica, quanto come componente
dell'enoteismo dell'epoca. Le stesse somiglianze tra le due dissertazioni di
Massimo e il 'De deo Socratis' apuleiano, che in gran parte sono state già
colte dagli studiosi prima di noi 38 , possono valere come prova non soltanto
della diffusione della demonologia platonica, ma anche della collocazione di
essa a un livello medio di cultura, interessato, si, a certe problematiche
filosofiche, ma soprattutto alla esigenza di trovare una mediazione tra il dio
sommo e la umanità, che si trova così in basso. Vale a dire, la dottrina
demonologica può essere intesa non solo e non tanto come elemento di storia
del platonismo, ma soprattutto come strumento di cui si servì la cultura
dell'epoca per tracciare, da una parte, la sua dottrina enoteistica, e, dall'altra,
per manifestare la sua esigenza della mediazione tra il dio sommo e gli uomini.

2. Il male, il fato e la funzione della preghiera

Interessante anche è la tematica della dissertazione 41, sebbene non sia


del tutto nuova. Massimo si domanda (e, logicamente, propone la sua stessa
domanda agli ascoltatori), quale sia l'origine del male, dato che dio compie
il bene (TOÙ GeoC TÒ àyaOà noiovvroq: naturalmente, il dio unico, come oramai
abbiamo inteso). Infatti dio è padre e benefattore dell'universo, ripete il retore
al cap. 2, come già a proposito del dio secondo Platone; e come in quel
contesto, è ripetuto che dio è un Nus, che giunge a tutte le nature e tutte le

37
Che la demonologia pagana del secondo secolo sia di tradizione platonica, è cosa nota;
è necessario, però, distinguere più di quanto non si facesse nel passato le differenti
posizioni dei vari platonici e retori, i quali, pur sulla base di elementi comuni, assumevano
delle posizioni di volta in volta differenziate.
38
Già a partire dalla edizione del H O B E I N (1895) si sono riscontrate somiglianze tra i due
autori; cfr. C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., pp. 19sgg.

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5113

governa (p. 475,1)- Con riferimento a un verso di Omero, autorità indiscussa 39


(cfr. A 528), Massimo afferma che tutto ha avuto origine dal volere del dio.
Donde, dunque, i mali? E' la domanda tipica delle varie teodicee dell'età
imperiale, propria non soltanto dei pagani, ma anche dei cristiani e degli
gnostici 40 . Il cielo, riprende Massimo, è una sede non toccata dal male, la
terra è mescolata con il bene e con il male; il bene proviene dal cielo, il male
è E, aÒTocpooùc; |iox9r|piaq (p. 479,1), cioè dalla malvagità che si genera da sé,
innata. M a innata in che cosa? Innata nella materia, come si ricava da quanto
viene detto dopo: e qui, ancora una volta, Massimo è in contatto con le
dottrine del medioplatonismo a lui contemporaneo, che, più coerentemente,
tende a vedere nell'anima malvagia l'origine del male 41 . Secondo Massimo,
invece, il male non è altro che un uÀ,r|<; 7tà0o<; (p. 479,15). La materia, infatti,
è sottoposta alla attività del demiurgo, che, come si è detto, è buono; la
presenza della materia è, nel mondo, una manifestazione conforme all'ordine
e all'arte del demiurgo; invece quello che è disordinato (tc^timietei;) non deriva
dall'arte né dalla volontà dell'artista: è una modificazione subita dalla materia
nel corso della creazione, una sorta di scintille che sprizzano dall'incudine
picchiatta dal martello dell'artefice. Così, del male che è sulla terra è incolpe-
vole l'arte del demiurgo: si tratta di nature 42 necessarie e conseguenti alla
creazione del tutto (p. 480,1 sgg.). Quello che noi chiamiamo 'male' e 'distru-
zione' è, per il demiurgo, salvezza dell'universo: egli si interessa, infatti, del
tutto, ed è inevitabile che la parte subisca danno dal tutto. La dottrina che
qui Massimo espone è di origine stoica 4 3 , ed egli la accosta tranquillamente
a precedenti piatita medioplatonici: si può pensare che il retore si sia compor-
tato non diversamente da altri platonici dell'epoca, sensibili a certe dottrine
di origine stoica; e anche che, come si conveniva a un 'Popularphilosoph', egli
abbia tranquillamente accostato le une alle altre, senza esigere né da sé né dai
suoi ascoltatori quel rigore libresco che noi vogliamo a tavolino.
In ambito stoico sembra muoversi anche la dissertazione 5, che è di
notevole interesse: Massimo si domanda se si deve pregare. Infatti, secondo
la dottrina stoica, tra tutte le cose che gli uomini pregano che avvengano,
alcune sono soggette alla sorveglianza della provvidenza, altre sono costrette
a forza dalla heimarmene, altre sono sottoposte al mutamento ad opera della

39 E' una tendenza ben nota della filosofia dell'età imperiale: in Massimo le due diverse
componenti della sua cultura, quella retorica e quella filosofica, contribuiscono a sottoli-
neare, in tutte le sue dissertazioni, la autorità di Omero, il quale non è considerato
inferiore a Platone. Il problema meriterebbe un esame a sé.
40 Basti leggere il 'De praescriptione haereticorum' di Tertulliano, tutto incentrato su questa
'curiosità' degli eretici (più precisamente: 7,5); e cfr. anche, sempre del Cartaginese, Adv.
Marc. 1,2, ove si legge una precisa indicazione che la questione 'unde malum' era una
di quelle che più angustiavano gli eretici.
41 Cfr. brevemente C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., pp. 93 - 94.
42 Un esame di questa teodicea di Massimo si può leggere in SZARMACH, op. cit., pp. 59 -
60. - Si osservi, comunque, quanto sia poco 'tecnico' il termine cpuasi«; qui impiegato
da Massimo per indicare la realtà sensibile del male.
43 Cfr. ancora SZARMACH, op. cit., pp. 6 0 - 6 1 .
335 ANRW II 36.7
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5114 CLAUDIO MORESCHINI

tyche, altre sono amministrate dall'arte (cap. 5). Il retore non è molto rigoroso
nell'esposizione della dottrina stoica, perché separa quelle entità che gli stoici,
come si sa, uniscono: provvidenza, destino e caso. Ma, alla maniera di un
'Halbphilosoph', prosegue: „la provvidenza è opera del dio, il destino della
necessità, l'arte dell'uomo, la sorte del caso" (p. 5 7 , 1 - 2 ) . Comunque sia,
quello che noi preghiamo che avvenga, rientra nella provvidenza del dio, o
nella necessità del fato, o nell'arte umana o nel movimento della tyche. La
conseguenza è che „nessuna delle cose che sono secondo la provvidenza del
dio deve essere richiesta né essere oggetto di preghiera" (p. 58,16— 17). Tanto
meno la preghiera può valere per quelle cose che sono sottoposte alja heimar-
mene (cap. 5), alla tyche (cap. 6) o all'arte (ibid., p. 61,4 sgg.). La preghiera
agli dèi, dunque, deve consistere in qualche cosa di diverso, non contenere
cose concrete e meschine che gli uomini comunemente domandano (cap. 7).

„Se tu ti presenti rivolgendo le tue preghiere agli dèi, tu ti sei presentato


ad un tribunale severo ed inflessibile: nessun dio ammetterà che tu preghi
cose che non devono essere pregate e nessun dio ti darà quello che non
deve essere dato. Inquisitore e ricercatore severo, dio sovrintende alle
preghiere di ciascuno, e corregge le cose tue con il metro del conve-
niente . . . " (p. 62,11 sgg.).

M a Socrate, Platone, Pitagora elevavano preghiere al dio: di che genere erano,


dunque, tali preghiere? Esse non avevano certo, come contenuto, la richiesta
di cose che essi non possedevano, ma significavano l'amicizia e la conversazione
di quei grandi uomini con gli dèi, a proposito delle cose presenti, ed erano
una mostra della loro virtù (p. 63,12 —14). Le cose che Socrate domandava
agli dèi erano cose nobili, ma, in ogni caso, egli se le procurava con le sue
sole forze. Per concludere: la preghiera vera, quella del filosofo, non consiste
nel domandare qualcosa agli dèi, ma significa una conversazione con essi, un
rapporto amichevole e nobile. 44
Il contenuto di questa dissertazione non è banale, né privo di motivazioni
culturali: lo dimostra il fatto che anche in ambito cristiano tale problematica
era sentita, e una personalità di prim'ordine, e aperta alla speculazione pagana
(pur con tutte le cautele e le opposizioni del caso), come Origene, scrisse un
'De oratione', nel quale si colgono molti punti di contatto con quanto leggiamo
in Massimo.
M a anche senza rivolgerci al mondo della cultura cristiana contempora-
nea, che pure ha tanti motivi in comune con quella pagana, leggiamo quanto
dice il pitagorico Apollonio di Tiana a proposito del dio e del modo in cui lo
si deve adorare, e che cosa si deve a lui domandare. Ce lo riferisce un
importante passo di Eusebio (Praep. Evang. IV,13,1), che riprende la dottrina
contenuta nel Ilepì GUCTIWV, opera di Apollonio:
„Secondo il mio pensiero, tale è il modo migliore di tributare alla divinità
gli onori che le sono dovuti, e di ottenere così il suo favore e la sua

44 Buone osservazioni su questa problematica si leggono in SZARMACH, op. cit., pp. 54 sgg.

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5115

benevolenza nel più alto grado. Al dio che abbiamo nominato in prece-
denza, il quale è unico e distinto da tutti gli altri, in quanto non possono
essere conosciuti che a partire da lui, non si deve sacrificare primizie, né
accendere il fuoco, né dare alcun nome tratto dal mondo sensibile: infatti
non ha bisogno di nulla, nemmeno da parte degli esseri più potenti di
noi, né esiste prodotto della terra o animale nutrito da essa o dall'aria
che non porti in sé qualche contaminazione. A lui ci si deve sempre
rivolgere con la parola migliore, voglio dire quella che non passa attra-
verso la bocca, e all'essere più bello che esista occorre chiedere il bene
con la cosa più bella che è in noi: ed è questo lo spirito, che non abbisogna
di organo alcuno. Di conseguenza, non si deve assolutamente offrire
sacrifici al dio massimo, che sta al di sopra di ogni cosa." 4 5

Dunque, secondo il pitagorico Apollonio, dio è Tcpraio«;, è eig, è KE^ctìpiapivoc;


da tutti gli altri dèi. La religiosità del nostro taumaturgo concorda con
l'enoteismo che i pitagorici dell'età imperiale professavano 4 6 , per cui egli
dichiara che dio è unico; ma d'altra parte dio è anche 'il primo', in quanto
dopo di lui vengono gli dèi inferiori. Sono nozioni, queste, che, a parte la
rispondenza che possono avere con quello che noi chiamiamo 'pitagorismo'
dell'età imperiale, hanno ampia diffusione anche nella cultura del tardoantico 4 7
e che noi troveremo puntualmente confermate da quello che ci racconta
Filostrato a proposito del pensiero del suo eroe 4 8 . Parimenti corrispondono
alle idee comunemente diffuse nell'epoca filostratea e più tarda anche le
convinzioni di Apollonio, che ricaviamo dal frammento che stiamo esami-
nando: dio non ha bisogno di nessuna cosa 4 9 , nemmeno da parte degli esseri
più potenti di noi (Apollonio voleva intendere i secondi dèi e i demoni); non
può essere nominato con nessun termine che sia ricavato dal mondo sensibile;
non c'è niente che sia tanto puro quanto lui. Quest'ultima caratteristica del

45 Seguiamo la traduzione di DARIO DEL CORNO, Milano 1988 2 , qui e nelle citazioni
successive. Le pagine che seguono riprendono le pp. 47 sgg. del nostro studio citato (vedi
sopra, n. 28) su Apollonio di Tiana.
46 Siffatta tendenza del neopitagorismo nell'età imperiale ha fortemente influenzato anche
il platonismo: cfr. le osservazioni di J. DILLON, The Middle Platonists. A Study of
Platonism 80 B. C. to A. D. 220, London 1977, pp. 117 — 126 (per Eudoro e il platonismo
alessandrino); J. WHITTAKER, Ammonius on the Delphic E, Class. Quart. n.s. 19, 1969,
pp. 1 8 5 - 1 9 2 (per Plutarco).
47 Per questa tematica ci permettiamo di fare riferimento a due nostri contributi: C.
MORESCHINI, Monoteismo cristiano e monoteismo platonico nella cultura latina dell'età
imperiale, in: Platonismus und Christentum. Festschrift fiir H. Dòrrie, JbAC, Erg.-Band
X , Miinster 1983, pp. 136 — 161; IDEM, Movimenti filosofici dell'occidente latino in età
tardoantica. Problemi e prospettive, Atti del I Congresso della Associazione di Studi
Tardoantichi (Napoli 1987), Napoli 1990, pp. 8 9 - 1 2 0 .
48 Cfr. La Vita di Apollonio di Tiana etc., cit., pp. 54 — 61.
49 Aeìxai yàp oòSsvóg, suona il testo greco. Potrebbe essere interessante osservare che lo
stesso concetto si trova applicato al sommo dio in Apuleio (nihil indigens \ de Plat.
1,5,190), in Alkinoos (Didask. 10) e frequentemente in Filone di Alessandria (cf. C. MORE-
SCHINI, A p u l e i o e il p l a t o n i s m o , c i t . , p p . 7 1 — 7 3 ) .

335*
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5116 CLAUDIO MORESCHINI

dio di Apollonio corrisponde a quello che Filostrato riferisce di Apollonio


stesso, cioè del suo continuo praticare l'ascesi e del suo ricercare la purezza 5 0 .
E ' questa, dunque, un'altra testimonianza dell'ascesi pitagorica dell'età impe-
riale. Dio deve essere pregato con l'intelletto (voC<;) (non tradurrei, quindi,
'con lo spirito'), e pertanto non è lecito offrire sacrifici al dio s o m m o : quante
volte nella 'Vita Apollonii' l'eroe di Tiana prega il dio in forma 'privata',
rifiutando ogni sacrificio di tipo rituale e tradizionale 5 1 .
Filostrato conosceva, verisimilmente, quest'opera di Apollonio, il Ilepì
GIXTMBV, perché la nomina in Vit. Apoll. 111,41 e IV,19. In 111,41 ne dà un
resoconto abbastanza dettagliato, anche se ci dice meno di quanto abbiamo
appreso dalla tradizione diretta, che è rappresentata dal passo di Eusebio che
abbiamo ora letto.

„Alle discussioni dialettiche prendevano parte entrambi; m a quando trat-


tavano delle scienze occulte, ragionando di astrologia o di divinazione,
discutendo della conoscenza del futuro ed esaminando i sacrifici e le
invocazioni di cui si compiacciono gli dèi, Damis attesta che solamente
Apollonio restava insieme a Iarca. D a queste conversazioni il sapiente
trasse quattro libri intorno alla divinazione per mezzo degli astri, di cui
fa menzione anche Moiragenes; e scrisse pure intorno ai sacrifici, espo-
nendo in quale m o d o si debba sacrificare a ciascun dio con esito conve-
niente e a lui gradito. Invero, io ritengo che la divinazione per mezzo

50 Si suole dire che questo era un principio dell'etica pitagorica — ed è vero; ma non era
limitato ad essa, tanto che altre scuole filosofiche lo ripresero, anche senza avere esplicita
coscienza della sua (presunta) origine pitagorica. Può essere considerato, pertanto, come
un topos della filosofia dell'età imperiale.
51 Fondamentale, a questo riguardo, anche il passo di Vita Apollonii VI,19: „Ma cosa vi è
di venerando o di terribile in queste immagini? Gli spergiuri, i sacrileghi e la turba dei
parassiti è logico che le spregino, anziché averne timore; e se esse ottengono venerazione
per il loro senso riposto, gli dèi dell'Egitto sarebbero molto più venerati qualora si
rinunciasse affatto a effigiarli, e voi fondaste la vostra teologia su un'altra ragione più
sapiente e recondita. Era certo possibile erigere templi in loro onore e istituire altari,
stabilire i sacrifici leciti e quelli vietati, definire quando si dovessero fare in quale misura,
con quali formule e con quali riti: e non esporre effigi, bensi lasciare che i devoti si
immaginassero da sè l'aspetto degli dèi. La mente sa delineare e plasmare figure meglio
dell'arte, ma voi avete sottratto agli dèi il privilegio sia di essere visti sia di essere
immaginati secondo bellezza." — Ci si potrebbe domandare, naturalmente, se esso derivi
da Filostrato o proprio da Apollonio; tuttavia, la somiglianza con la dottrina genuina
del Tianeo ci induce a propendere per questa seconda ipotesi. A Filostrato riconduciamo,
naturalmente, tutta la cornice ambientale, relativa all'Egitto, ai Gimnosofisti e alla
polemica che Apollonio avrebbe mosso contro di loro.
Sul passo citato da Eusebio osservazioni fondamentali aveva già fatto a suo tempo
E. NORDEN (Agnostos Theòs. Untersuchungen zur Formengeschichte religiöser Rede,
Berlin 2 1923, pp. 39 ss.); omettiamo, comunque, tutta la problematica relativa agli 'dèi
sconosciuti', ai quali era stato eretto un altare in Atene, che è nominato anche da
Filostrato. (Cfr. P. W. VAN DER HORST, The Altar of the 'Unknown God' in Athens
(Acts 17:23) and the Cult of 'Unknown Gods' in the Hellenistic and Roman Periods,
ANRW II, 18,2, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1989, pp. 1426-1456.)

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5117

degli astri e ogni altra divinazione di tale genere sia al di là dell'umana


natura, e non so se alcuno possegga quest'arte; ma ho trovato il trattato
sui sacrifici in molti templi e in molte città, e nelle case di molti uomini
sapienti: e se lo si esamina a fondo, risulta che è un'opera elevata e che
riecheggia la personalità dell'autore."

Essa si trovava, dice Filostrato, nelle case di molti uomini sapienti. Ciò significa
che la teosofia apolloniana e filostratea era professata dai pepaideumenoi
dell'epoca.
Importante, nelle concezioni filosofico-religiose di Apollonio e Filostrato,
mi sembrebbe essere il culto del sole, che Filostrato ci narra che fu particolar-
mente praticato dal Tianeo (cf. 1,31; VI,4; VI,10; VII,31; Vili,13 ecc.): è nota
a tutti l'importanza dell'eliolatria, soprattutto in epoca severiana, ma, in
generale, in tutta l'età tardoantica. La dottrina della struttura dell'universo,
professata da Apollonio e che ci è riferita da Filostrato, potrebbe essere
attribuita a Filostrato stesso ed essere stata comunemente diffusa nei circoli
colti dei pagani della tarda antichità: però abbiamo visto sopra (p. 5114) che
il frammento del Ilepi Gucntòv, citato da Eusebio di Cesarea (Praep. Evang.
IV,13,1), riproduce sostanzialmente la stessa concezione: dovremmo considerarla,
quindi, tipica non solamente di Filostrato e dei suoi tempi, ma già di Apollonio.
Eccola (111,35):

„Qualcosa di simile dobbiamo pensare anche a proposito del nostro


universo, contemplandolo sotto l'immagine di una nave. Il posto princi-
pale e supremo va assegnato al dio che ha generato quest'essere, e quello
successivo agli dèi che reggono le sue parti. Accettiamo infatti le opinioni
dei poeti, dal momento che affermano esservi molti dèi nel cielo e molti
nel mare, molti nelle fonti e nei fiumi, molti sulla terra e alcuni pure
sotterra. Ma questi luoghi sotterranei, se pure esistono, preferiamo esclu-
derli dall'universo, poiché vengono celebrati come sede dell'orrore e della
morte."

51 ripresenta, dunque, la gerarchia che vede gli dèi inferiori accanto al dio
sommo, e questo è confermato da un altro passo di Vita Apollonii IV,31, ove
la gerarchia è ulteriormente precisata:
„Al suo arrivo ... (gli Spartani) gli chiesero come si debbono venerare gli
dèi; ed egli rispose: 'Come padroni'. Quindi la stessa domanda gli fu
posta per gli eroi, e la risposta fu 'Come padri'...".

Al di sotto degli dèi, dunque, si collocano gli eroi; altrove Filostrato conosce
la gerarchia dèi —demoni, mqstrando interesse per la demonologia, dottrina
tipica della sua epoca e del platonismo a lui contemporaneo (non è il caso di
ricordare che siffatto interesse è confermato propria dall'altra opera di Filo-
strato, T'Heroilcós' 52 ). I demoni appaiono nella 'Vita Apollonii' spesso e

52 Su cui cfr. T. MANTERO, Ricerche sull'Heroikos di Filostrato, Pubblicazioni dell'Istituto


di filologia classica dell'Università di Genova 21, Genova 1966, soprattutto pp. 21 - 9 9 .

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5118 CLAUDIO MORESCHINI

volentieri con caratteristiche negative, dominati dalle passioni, come normal-


mente si immaginava la demonologia dell'età imperiale 52bls : in 111,38 Apollonio
incontra un demone „di indole beffarda e menzognera" che è innamorato di
un bellissimo ragazzo, e lo tiranneggia. Un sapiente tra gli Indiani, presso i
quali Apollonio si era recato, metterà il demone malvagio al suo posto.
Malvagio è anche il demone che procura la pestilenza agli Efesini, come
leggiamo in un episodio famoso (IV,10); oppure quello che, a Corcira, si è
impossessato di un giovinetto e lo costringe a comportarsi in modo indecente.
Qui sarà Apollonio a guarire il vero e proprio 'indemoniato', tanto che il
giovane, guarito,

„fu preso da amore per la vita rigorosa dei filosofi, assunse il loro abito
e adottò le abitudini di Apollonio" (IV,20).

Ben noti sono anche gli altri casi in cui Apollonio ebbe a che fare con
demoni: uno è l'incontro con il fantasma di Achille, nella Troade (IV,16).
L'eroe era di statura sovrumana (alto dodici cubiti), e di bellissimo aspetto.
Si potrebbe obiettare che Achille non è un demone; ma è, appunto, un eroe,
secondo la graduatoria delle demonologie dell'età imperiale, come sopra si è
detto (gli studiosi hanno già osservato la corrispondenza che lega questo
episodio alle apparizioni del 'Heroikós'). E ancora, l'episodio dell'innamora-
mento di Menippo per una donna rivelatasi poi un'empusa (IV,25); il satiro
che oltraggiava le donne del villaggio d'Etiopia (VI,27). Certo, in tutti questi
racconti vi è molto di favoloso e di fantastico; non negherei che Filostrato si
sia lasciato prendere la mano dalla 'gioia del raccontare', dal gusto di abbellire
un episodio; ma nemmeno oserei dire che, raccontando tutte queste avventure
di Apollonio, Filostrato coscientemente mentiva.
Certo, Filostrato si sente più a suo agio quando deve parlare di demoni
o esporre l'ascesi pitagorica del suo eroe, seguendo i canoni della cosiddetta
'filosofia popolare' — ma questo non meraviglia, se teniamo presente il milieu
culturale a cui Filostrato stesso apparteneva: non vogliamo certo fare di lui
né degli altri pepaideumenoi un filosofo. Allorquando, dunque, il nostro
scrittore si azzarda ad interpretazioni più impegnative della realtà che lo
circonda (a far conoscere, cioè, per usare un termine logorato dall'uso, la sua
Weltanschauung), ne viene un prodotto un po' salottiero, un po' superficiale.
Tale è, ad esempio, la spiegazione della realtà dell'universo, che non senza
motivo Filostrato mette in bocca a Iarca, il saggio indiano con cui Apollonio
ha avuto rapporti di amicizia e sentimenti di ammirazione. Egli riesce a
inserire nella sua spiegazione dell'universo un po' di tutto: i quattro elementi
empedoclei, il quinto elemento, di cui si nutrono gli dèi, e persino la concezione
orfica (e conosciuta anche dall'ermetismo) del mondo 'maschio e femmina'.
M a il tutto è illustrato con la raffinatezza del sofista:

52bis Questo si ricava anche dallo studio di F. BRENK, In the Light of the Moon: Demonology
in the Early Imperiai Period, ANRW XVI,3, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1986, pp.
2 0 6 8 - 2 1 4 3 , pp. 2 1 3 6 - 2 1 4 2 .

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5119

„ 'Dovremo allora considerare l'universo un essere vivente?', domanda


Apollonio 'Certo, se ben rifletti: in quanto esso genera ogni cosa': è la
riposta di Iarca, il sapiente indiano. 'Ma dobbiamo pensare che sia
femmina, oppure del genere opposto, ossia maschile?'. 'Partecipa di
entrambe le nature', fu la risposta, 'in quanto, unendosi a se stesso, svolge
le parti del padre e della madre nella generazione degli esseri viventi.
L'universo prova per se stesso un amore più ardente che quello di alcun
essere animato per un altro, e ciò lo tiene insieme in un tutto armonico;
e non è affatto illogico che con se stesso si unisca. Come l'atto delle mani
e dei piedi proviene dal movimento del corpo e dalla mente che dà
l'impulso, allo stesso modo dobbiamo ritenere che pure le parti dell'uni-
verso per opera del suo intelletto si adattino a tutto ciò che è generato e
viene alla vita. Così, ad esempio, i mali causati dall'eccesso di siccità
accadono per disposizione dell'intelletto universale, allorché la giustizia
degli uomini è messa al bando e disonorata. E quest'essere si regge da sé
non con una mano sola, ma con molte mani misteriose, che ha a sua
disposizione: a causa della sua immensità non ha freni, ma si muove
docilmente e facilmente." (111,34).
In questo universo, Apollonio-Filostrato non ha dubbi che si debbano
rivolgere le preghiere e il culto agli dèi, più ancora che al dio sommo: il culto
esteriore, infatti, è normalmente rivolto ai secondi dèi. Un passo di IV,40 è
interessante non solo a questo proposito, ma anche per altri aspetti. Allor-
quando Apollonio, sotto il principato di Nerone, giunse a Roma, ebbe subito
l'amicizia e l'ammirazione di uno dei due consoli, Telesino. Questi gli do-
mandò, „ben consapevole che parlava ad un sapiente", come pregasse gli dèi.
La risposta è quella che si conviene ad un sapiente: Apollonio prega „che vi
sia giustizia né si contravvenga alle leggi, che i sapienti siano poveri e ricchi
tutti gli altri, ma senza frode". O meglio, Apollonio racchiude tutto in una
sola preghiera, dicendo: „O dèi, datemi ciò che mi spetta".

Per terminare questa scelta di motivi teologici e religiosi della cultura del
secondo secolo, vorremmo attirare l'attenzione su di un particolare, peraltro
famoso, delle 'Metamorfosi' di Apuleio. Ci riferiamo alla dottrina di Iside
|iupicóvo|io<;, cioè della dea unica e somma, celebrata con nomi differenti dai
vari popoli, i quali, secondo le loro tradizioni, la venerano, ciascuno esaltando
un aspetto della sua divinità a preferenza degli altri (cfr. XI,5). Forse questa
dottrina apuleiana, per la quale gli studiosi hanno individuato un parallelo
particolarmente significativo nella invocazione a Iside contenuta nel Papiro di
Ossirinco XI,1380, del secondo secolo d. C., può avere un'altra conferma da
quanto si legge in Favorino, De fortuna 8 - 9 . La divinità, questa volta, non
è Iside, ma Tyche, e il BARIGAZZI 53 indica con la consueta dottrina le attesta-
zioni della sua polionimia. Lo studioso riconosce la probabile influenza dello
stoicismo, là dove Tyche è identificata con Nemesi, Moira e Themis; tuttavia

« Cfr. op. cit., pp. 273 - 274.

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5120 CLAUDIO MORESCHINI

quella dea è chiamata anche Demetra dagli agricoltori, Pan dai pastori,
Leucotea dai naviganti, Dioscuri dai nocchieri. Forse è un'ipotesi azzardata,
tanto più che il 'De fortuna' di Favorino è un naiyviov, ma si potrebbe rilevare
nei due autori la tendenza a riconoscere la polionimia del dio.

3. Enoteismo e apologetica cristiana

Alla fine di queste nostre considerazioni sull'enoteismo, vorremmo volgere


(anche se brevemente) lo sguardo ad un altro versante del secondo secolo, e
più precisamente a quello della cultura cristiana. Era logico che l'enoteismo
non potesse apparire agli apologeti, che furono i rappresentanti di quella
cultura più a stretto contatto con il pepaideumenos pagano, una soluzione
soddisfacente. La gradazione dio sommo — dei minori — demoni ed eroi, se
manifestava una esigenza monoteistica, alla pari del cristianesimo, appariva
pur sempre una struttura politeistica, e Tertulliano, come notammo nel nostro
studio sul 'Monoteismo' da cui abbiamo preso le mosse, colse bene l'impossibi-
lità di ogni conciliazione tra enoteismo e cristianesimo. Rifiutata la soluzione
enoteistica, il cristianesimo si volse con decisione alla filosofia platonica:
Giustino, Taziano, Atenagora, Teofilo sono, anch'essi, rappresentanti del
medioplatonismo del secondo secolo. Possiamo ben dire che gli scrittori
cristiani attuarono una scelta ponderata e ricca di conseguenze. Pur non
essendo filosofi alla maniera tradizionale, vollero essere filosofi a pieno diritto,
cioè filosofi cristiani: Giustino ebbe subito il titolo di 'Filosofo e martire', e
tutti furono ben consci della loro responsabilità culturale e religiosa, rifiutando
il fumoso e indistinto enoteismo pagano. Si volsero decisamente ad una
filosofia più elitaria, quale era il platonismo; e la svolta che impressero al
pensiero cristiano fu decisiva e duratura per tutti i secoli successivi.

III. L'etica del pepaideumenos

1. Il pepaideumenos al suo posto nella società

Se le nostre considerazioni sull'enoteismo, sulla gerarchia dell'essere di-


vino e la demonologia (argomenti dei quali ci siamo occupati nelle pagine
precedenti) hanno permesso una sintesi, nella quale emergessero le idee e le
convinzioni diffuse su quei problemi, pur così disparati a prima vista, assai
ardua, invece, si presenta l'impresa di voler sintetizzare e comprendere in
modo omogeneo l'etica della 'Popularphilosophie , . Se escludiamo Filostrato,
che sembra ben caratterizzato nel suo interesse per il pitagorismo e per
l'insegnamento pitagorico di Apollonio Tianeo, gli altri scrittori del secondo
secolo che vediamo muoversi ai margini della Seconda Sofistica, sono tutti
informati e interessati ai placita delle scuole più famose, in particolare della

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5121

stoica e della cinica (se questa può essere definita 'scuola'), e li presentano al
pubblico con facilità, in un'ampia divulgazione, con la coscienza della propria
cultura (e come non lo dovrebbero?), ma le loro conoscenze, quanto sono
vaste, altrettanto sono superficiali. Tutti professano un'etica, ma quale essa
sia, non è facile dire. Gli scritti del secondo secolo dell'età imperiale sono tutti
derivati dalla penna di personaggi autorevoli, o, per meglio dire, di personaggi
che hanno nella ordinata e pacifica società di quell'epoca una loro collocazione
di rilievo, un loro posto eminente. Favorino, Frontone, Erode Attico erano -
con varie avventure e disavventure — alla corte del principe; Apuleio, quando
scrive il suo 'De magia', si appoggia alla autorevole persona del proconsole,
Claudio Massimo, uomo di brillante carriera burocratica e, come se non
bastasse, filosofo 54 ; quando va in giro per l'Africa a tenere le sue conferenze,
è chiamato a celebrare illustri personaggi locali o a far mostra delle sue
capacità letterarie, per le quali è ammirato e applaudito: anche Apuleio,
quindi, è una persona di rilievo e rispettabile, e anche da lui ci si aspettano
insegnamenti gravi e significativi. Altrettanto si può congetturare per Massimo
Tirio, e ancor più per Filostrato, che fu forse personaggio della carriera
burocratica 5 5 e visse presso l'imperatrice Giulia Domna; Aulo Gellio, della cui
posizione sociale non conosciamo, purtroppo, molto di concreto, riferisce
tuttavia di essere stato amico di persone autorevoli come il praefectus Urbi
Erucio Claro. Insomma, il pepaideumenos che scrive nel secondo secolo è un
personaggio autorevole e riverito e si comporta e vive come richiede la sua
posizione sociale, e questa caratterizzazione vale, naturalmente, anche per i
letterati dei secoli successivi, per i quali la Sofistica ha costituito un modello
di vita e di letteratura. Ma, per converso, questa diffusione delle conoscenze
etiche, voluta dalla funzione sociale che assume il personaggio di rilievo, quale
è il letterato, non può attuarsi che attraverso la divulgazione e banalizzazione
delle dottrine. Che l'etica fosse una delle tre parti in cui la filosofia per lunga
tradizione si divideva, era una nozione forse conosciuta da ogni persona di
cultura, ma che, appunto in quanto parte della filosofia, essa ponesse problemi
scientifici precisi, questa era una problematica che il pepaideumenos non
coglieva. Da qui una vaga e intermittente coloritura moraleggiante negli scritti
di tutti questi personaggi; una coloritura uguale per tutti e che, come sopra
si è detto, si può definire blandamente stoica, ma che non va nel profondo,
si accontenta delle apparenze e di quanto può essere compatibile con il grado
che si possiede nella società.

2. Il rifiuto del cinismo

Esigenze di questo genere, come la necessità di adeguarsi a un comporta-


mento che richiede rispetto e possiede la sua giusta collocazione nella vita di

54 Sarebbe stato uno stoico, maestro di Marco Aurelio: su di lui cfr. più ampiamente
l'ottimo studio di E. CHAMPLIN, Fronto and Antonine Rome, Cambridge Mass. — London
1980, pp. 3 2 - 3 3 .
55 Cfr. su di lui G. ANDERSON, Philostratus. Biography and Belles Lettres in the Third
Century A. D., London 1986.

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5122 CLAUDIO MORESCHINI

tutti i giorni, fanno sì che questi scrittori (come, in fondo, già era avvenuto
nei secoli precedenti) condannino quasi universalmente il cinismo (e, per
converso, che uno scrittore come Tertulliano scriva, come cristiano, il 'De pal-
lio', a difesa del cinismo). In Gellio il disprezzo per questi filosofi da strada
è più volte manifestato: significativo è che siano due personaggi di rilievo,
come Erode Attico e Musonio, a gettare il ridicolo su di un cinico sfrontato
(IX,2,1 sgg.). Ad essi fa eco Filostrato (Vit. Soph. 563), e il disprezzo è ripetuto
da Apuleio, quando parla come autorevole sofista nei 'Florida' (cfr. VII e IX);
ma quando deve difendersi dall'accusa di essere un arrampicatore sociale e di
agognare alle proprietà della ricca vedova Pudentilla, allora, accanto alle varie
considerazioni moraleggianti sul valore della paupertas (capp. 17 — 23), gli
torna utile ricordare Cratete, il quale per primo rinunciò pubblicamente alla
posizione sociale elevata, di cui godeva, disprezzò le sue ricchezze e si ridusse
a vivere secondo natura (cap. 22). Massimo di Tiro scrive una dissertazione
(n. 36), nella quale esalta la vita del cinico e ne celebra la libertà. Ma anche
Massimo scrive altre dissertazioni, nelle quali la vita del cinico ha scarsa
incidenza sulla dottrina etica che vuole propagandare, e, comunque, anche il
cinismo celebrato da Massimo non ha più la sfrontatezza e la durezza polemica
del cinismo vero, ma si colora soprattutto di caratteristiche che direi stoicheg-
gianti, quali la rinuncia ai beni caduchi della vita, alle ricchezze, alla potenza,
la imperturbabilità dell'animo di fronte alle vicende umane. Il cinico di
Massimo di Tiro è più uno stoico che un cinico, così come molti cinici
dovevano esserlo già da tempo. Demetrio cinico, che Seneca ammira e conosce,
è, in fondo, un predecessore di questi cinici apprezzati dai letterati, i quali,
coscientemente o no, eseguono una scelta tra gli aspetti della filosofia che essi
conoscono Vengono rifiutati e condannati gli atteggiamenti ribelli e di rottura
con il buon ordine sociale, come lo stesso vestire da mendicanti e il parlare
arrogante e sfrontato, 'da cani'; vengono accettati, invece, gli atteggiamenti
più facilmente apprezzabili, come quelli che dicevamo (disprezzo delle ricchezze
e della potenza, indipendenza di vita, imperturbabilità di fronte agli eventi).
Diogene il cinico è spesso citato in questo senso da Massimo Tirio (cfr. diss.
15 e 32 etc.); è spesso citato anche dal contemporaneo Claudio Eliano (cfr.
Var. Hist. 111,29; IV,11; IX,19; IX, 34 etc.), ma si tratta di citazioni che,
innanzitutto, hanno un carattere aneddotico, come si sa, e, in secondo luogo,
sono citazioni che sottolineano soprattutto la battuta pronta e spiritosa, la
libertà di parola di fronte a tutti, potenti o autorevoli (ne fa le spese lo stesso
Platone in Var. Hist. XIV,33).

3. Lo speculum morale di Gellio

Esemplare della mentalità moralistica di quest'epoca è l'opera di Aulo


Gellio, pur che si leggano per ampio tratto i suoi excerpta e i suoi apomnemo-
neumata. Anche Aulo Gellio è stato studiato soprattutto come miniera di
notizie e di frammenti, come sopra si è detto (p. 5107); ma da lui si può
ricavare molto di più che non testimonianze sul medioplatonismo. La dottrina

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5123

della metriopatheia e la polemica antistoica (conservata, comunque, su di un


livello di grande cortesia) caratterizzano le citazioni gelliane dall'opera di
Calvisio Tauro 5 6 ; ma gran quantità di spunti e idee moraleggianti Gellio ha
ricavato anche dall'opera di un'altra delle sue auctoritates, cioè Favorino. I
riferimenti a Favorino da parte di Gellio sono tutti del tipo della 'Popularphilo-
Sophie' (per quanto riguarda la morale; ve ne sono anche altri, ma dobbiamo
considerarli in un altro contesto 57 ): in generale Favorino presenta un'etica di
tipo blandamente stoico, con molte caratteristiche proprie della problematica
romana (sull'amicizia, ad esempio: test. 26 BARIGAZZI; interpretazione di un
passo moraleggiante di Sallustio: test. 29; l'episodio del parto della moglie di
un amico di Favorino, che fornisce lo spunto al problema dell'allattamento
degli infanti ad opera delle madri loro: test. 38; e altre testimonianze, che ci
forniscono frammenti di dottrine etiche di tipo popolare, che noi qui non
possiamo esaminare per intero). Quello che ci interessa sottolineare (lo ripe-
tiamo) è il nostro convincimento che Gellio non si limita a presentare i
frammenti di Favorino o di Tauro per puro gusto erudito, ma anche perché
vuole diffondere presso i suoi lettori un certo messaggio, convinto che esso
sarà accolto. Con tutto questo non vogliamo certo annoverare Gellio tra i
filosofi del secondo secolo, ma consideriamo che, nella cultura di quell'epoca,
la differenza tra filosofia e retorica era assai spesso molto modesta. D'altra
parte, bisogna anche guardarsi dal credere che Gellio fosse un moralista puro
e semplice, alla maniera di Dione Crisostomo o di Plutarco (se ci è permesso
attribuire a costoro il termine un po' vago di 'moralista'). Lo dimostra il fatto
che le sue letture dei tre grandi moralisti greci suoi contemporanei (o quasi)
e già famosi, come Musonio, Epitetto e Plutarco, non ci arrecano apprezza-
menti delle dottrine per le quali essi sono noti, ma notizie di carattere
soprattutto letterario ed erudito (e con questa osservazione, cioè dello scadi-
mento delle riflessione filosofica ad erudizione e congerie di notizie, prepa-
riamo la strada a quanto diremo nel prossimo capitolo). Di Epitteto si osserva
che le sue 6iaA.é^ei<; 'Ab Arriano digestae' non contrastano con gli insegnamenti
di Zenone e di Crisippo (XIX,1,21). Altrove Epitteto è conosciuto attraverso
quanto riferisce su di lui Favorino (XVII,19): lo stoico avrebbe condannato
coloro che erano filosofi soltanto a parole, e non nei fatti, e avrebbe richiesto
da coloro che si davano ai problemi teorici della filosofia in primo luogo una
purificazione dei propri costumi e del proprio modo di vivere; Epitteto, inoltre,
avrebbe condannato aspramente la debolezza d'animo nel sopportare il dolore
(intolerantia), e l'incontinenza. Tutto questo è noto a Gellio attraverso Favo-
rino. In 1,2 Gellio introduce un altro personaggio famoso, Erode Attico, che
condanna la loquacità e la cavillosità dialettica di un giovane stoico, che si
trovava insieme ad altri nella villa ateniese dello stesso Erode. Gellio riferisce
che Erode condanna l'interesse esclusivo dello stoico, ivi presente, per i

56 I passi più significativi della posizione di Tauro sono, come è ben noto, Noct. Att.
1 , 2 6 , 1 0 — 1 1 e X I I , 5 , 5 (cfr. MORESCHINI, A p u l e i o e il p l a t o n i s m o c i t . , p p . 139-140).
57 Cfr. più oltre, pp. 5130 — 5131. Sulla figura di Favorino presentata da Aulo Gellio, cfr.
HOLFORD-STREVENS, op. cit., pp. 7 2 - 9 2 ; ASTARITA, op. cit., pp. 1 7 5 - 1 9 0 .

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5124 CLAUDIO MORESCHINI

sillogismi e i sofismi. In effetti, però, lo stoicismo originario aveva coltivato


anche la logica non meno della fisica e dell'etica; ma nell'età di Gellio si
preferisce il moralismo di Epitteto, di cui Erode cita un ampio brano dalle
dissertazioni ( 1 1 , 1 9 , 1 2 — 1 7 ) .
Poco si legge, invece, a proposito delle dottrine di Musonio: tradizionale
luogo comune è quello di contrapporre la compostezza del vero filosofo a
coloro che nel discutere si agitano e assumono atteggiamenti che vogliono
essere ammirati dagli ascoltatori (V,l). In XVI,1 si cita un èv0U|iTuiàxiov di
carattere morale, ma di non grande significato, e in XVIII,2,1 un altro detto
di Musonio, dal quale non molto si ricava: remittere equivale quasi ad animum
amittere.
In questo contesto di letture, in questa interpretazione degli scrittori del
passato e di quelli contemporanei si può inserire abbastanza coerentemente,
in fondo, anche Plutarco. Le citazioni di Gellio sono le prime, o tra le più
antiche che abbiamo dall'opera del Cheronese. Ma anche a proposito di
Plutarco - come per Calvisio Tauro - Gellio ha fatto una cernita. Le opere
più strettamente filosofiche e tecniche, come quelle sulla cosmogonia platonica,
il 'De Iside et Osiride', quelle contro gli Stoici e gli Epicurei sono completa-
mente trascurate. Plutarco apre la serie dei commentarli gelliani, ma con un
aneddoto sul modo in cui Pitagora sarebbe riuscito a ricavare, con il calcolo,
la statura di Ercole, basandosi sulle misure dell'impronta del suo piede, trovata
a Pisa, presso il tempio di Giove Olimpio. Non è molto, sul piano filosofico,
e, quel che è più importante, sembra essere stato ricavato da un'opera minore,
oggi perduta, di Plutarco (fr. 7 SANDBACH). Altri aneddoti e mirabilia sono
numerosi: in 111,6 sono citate le 'Quaestiones convivales' (724 E), insieme a
frammenti di opere aristoteliche; tratta dalla stessa opera (698 B), si riferisce
la critica di Erasistrato a Platone (XVII,11); in 111,5 si cita un detto memorabile
di Plutarco; in XI,16 si prende lo spunto dal Ilepì 7ioA.U7rpay(ioc7ÚVT]5 del
Cheronese per domandarsi il significato preciso, in latino, della parola; in
1,3,31 si cita un'altra opera perduta, il Ilepì vu%f¡<;, m a s ° l ° P e r ricordare un
detto dello spartano Chilone, a proposito dell'amicizia. Questo commentarius
di Gellio è, comunque, abbastanza ampio, probabilmente perché lo scrittore
tocca un problema fondamentale per l'etica romana, come sopra si è detto:
la sentenza di Chilone, ricavata da Plutarco, costituisce, infatti, solo la conclu-
sione della discussione sull'amicizia alla quale prendevano parte Cicerone e
Teofrasto.58 Ma è l'aneddotica che prevale anche nelle citazioni dal 'De Ho-
mero' (IV,11,11 sgg.), mentre in 11,8 Gellio ricava una critica di Plutarco al
famoso 'sillogismo' di Epicuro:

„la morte non è niente per noi: infatti ciò che è dissolto è privo di
sensibilità, e quello che è privo di sensibilità non è niente per noi".
Plutarco, dunque, avrebbe criticato questa forma di sillogismo, e quello che è
singolare è che Gellio non concorda, questa volta, con la communis opittio

58 Rientra in questa tematica la citazione di Panezio in XIII,28,1; in 1,13 e 11,7 non è fatto
il nome di Panezio, ma si parla di Ka8f¡Kov e di officium.

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5125

della critica nei confronti di Epicuro, che era costante nell'età imperiale, bensì
ritiene che quel sillogismo non sia stato mal costruito, e che sillogismi analoghi
si trovino anche in Platone. Anche il commentarius immediatamente successivo
(11,9) contiene una critica a Plutarco, e ancora in difesa di Epicuro. Plutarco,
infatti, sempre nel 'De Homero', criticava Epicuro per una questione lessicale
(Sent. Ili, p. 7 2 USENER) a proposito di una sentenza nella quale Epicuro si
sarebbe espresso in modo impreciso; e ancora una volta Gellio rimprovera
Plutarco di accusare Epicuro nimis minute ac prope etiam subfrigide. Infatti,
egli osserva non senza motivo, Epicuro non si curava di proposito della cura
verborum e dell'eleganza dello stile, per cui una critica di tal genere, come
quella di Plutarco, richiede ad Epicuro quello che costui non voleva fare.
Non è questo il caso, naturalmente, di affrontare una ricerca completa
sulle conoscenze filosofiche di Aulo Gellio. Ricordiamo solo che il nostro
scrittore, per rispondere agli interessi suoi personali e a quelli dei suoi lettori,
accomuna alla aneddotica e ai mirabilia, che cita in gran copia, anche commen-
tarti non spregevoli, ma abbastanza acuti e informati su problemi tecnici,
come quello sul sillogismo (XV,26)59, quello sull'à^itona (XV,8)60, quello sulla
provvidenza e il fato secondo Crisippo (VII,1 e 2: due sezioni ricavate probabil-
mente, sì, dal 'De fato' ciceroniano, ma forse anche da manuali stoici); in ogni
caso, la problematica del fato e del libero arbitrio era stata da sempre viva,
fin dal suo sorgere, e, nell'età stessa di Gellio, il platonico Apuleio le dedica
una parte del suo manuale (cfr. de Platone 1,12). Ai pathe, alla dottrina stoica
relativa ad essi e ad Epitteto è dedicata una sezione di rilievo in XIX,1 (la si
è considerata rapidamente a proposito dei rapporti tra Gellio ed Epitteto
stesso poco fa 61 ; il problema del piacere e la interpretazione di che cosa esso
sia, è affrontato in forma di dossografia in IX,5). Non possiamo soffermarci
più a lungo su Gellio.
Le 'Noctes Atticae', per quanto possano essere criticate per certi aspetti
di superficialità, quali la ricerca dell'aneddotica e dei mirabilia, l'evitare
volutamente problemi di difficile interpretazione, appaiono pur sempre un'o-
pera fornita di una sua precisa qualità: l'interesse per certe problematiche che
sono proprie dell'uomo colto del secondo secolo, del pepaideumenos, come
spesso lo abbiamo definito. Anche se difficilmente, o quasi mai, si riescono a
cogliere nei suoi commentarti osservazioni personali, la scelta della materia è,
comunque, abbastanza eloquente, e può permetterci la ricostruzione dell'am-
biente in cui Gellio visse, se non della personalità dell'autore in modo rileva-
to 62 .

59
Su di esso si legga l'interessante nota di A. CAVARZERE, Gellio traduttore e la definizione
aristotelica di sillogismo, Maia 39, 1987, pp. 213 — 215.
60
Su questo punto, interessante per la storia della logica nella cultura latina, torniamo anche
nel nostro contributo: Il 'de interpretatione' pseudoapuleiano: problemi di autenticità e
di cronologia, in: Politica, cultura e religione nell'Impero romano (secoli IV —VI) tra
Oriente e Occidente, Atti del Secondo Convegno dell'Associazione di Studi Tardoantichi,
Napoli 1993, pp. 1 2 7 - 1 3 8 .
61
Poco si legge su di lui in HOLFORD-STREVENS, op. cit., p. 206.
62
C f r . BALDWIN, o p . c i t . , p p . 2 1 - 4 9 ; 9 5 - 1 0 2 ; H O L F O R D - S T R E V E N S , o p . c i t . , p p . 1 0 4 s g g .

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5126 CLAUDIO MORESCHINI

Altrettanto non si può dire, invece, di un'opera simile per intendimenti,


ma che è esasperantemente piatta e mediocre nella ricerca quasi esclusiva dei
'detti e fatti memorabili' come la 'Varia Historia' di Eliano. A questo si
aggiunga il fatto che Eliano non ci presenta mai degli excerpta, per cui tutto
è presentato quasi per sentito dire. Difficile ricavare qualcosa dalla massa di
aneddoti, anche se ci limitiamo a quelli relativi ai filosofi e alle dottrine loro,
che costituiscono l'argomento della presente ricerca. Tra gli episodi relativi a
Platone può essere interessante registrare l'aneddoto secondo il quale il grande
filosofo, prima di dedicarsi alla filosofia, avrebbe studiato musica e poesia
(Var. Hist. 11,30): questa tradizione della biografia platonica è conosciuta
anche da Apuleio (cfr. de Plat. 1,2,184). Pitagora è già mitizzato, e considerato
un filosofo dotato di natura sovrumana, capace di compiere miracoli (cfr.
IV,17), come poi avverrà più ampiamente nel 'De vita Pythagorica' di Porfirio.
Solo Socrate e Diogene il cinico sono presentati come personaggi quasi perfetti,
ai quali non si possano muovere loro critiche; da biasimi non è immune
neppur Platone, mentre i contrasti tra Platone e Aristotele sono presentati in
forma di autentici pettegolezzi in 111,19 e IV,9. Le opinioni personali di Eliano
sono pressoché inesistenti: qualche considerazione di banale e piatto moralismo
sulla nobiltà di Alessandro Magno (IX,38), sull'episodio di Enea, simbolo
della pietas verso gli dèi e i genitori (111,22)é3; sulla generosità dell'uomo (V,5);
sui mutamenti inaspettati della sorte (IV,8) e sul valore educativo che essi
possono avere (VI,12), e pochi altri spunti che non vale neppur la pena
ricordare. Anche la lode della sapienza dei barbari (11,31) non è da inquadrare
nella tendenza, già forte nel secondo secolo, ad ammirare i popoli dell'oriente,
ma è una banale osservazione sul fatto che neppur le genti più primitive sono
prive dell'idea innata della divinità.

IV. L'erudizione e le conoscenze filosofiche del pepaideumenos

1. Frontone

Nel corso delle pagine precedenti ci è capitato più di una volta, e


soprattutto là dove consideravamo l'etica del pepaideumenos, di fare accenno
alla erudizione che caratterizza la civiltà letteraria del secondo secolo: dottrine
che possono essere comunemente definite come 'morali' si trovano divulgate
e semplificate presso i letterati dell'epoca, i quali indulgono spesso e volentieri
al risvolto erudito della filosofia. E', appunto, soprattutto questo l'aspetto che
ora vogliamo considerare, ai fini di una caratterizzazione più compiuta della
cultura letteraria negli ambienti vicini alla Seconda Sofistica. Abbiamo visto,

63 Siffatto episodio è, comunque, narrato in una versione notevolmente diversa da quella


virgiliana: Enea è risparmiato dagli stessi Greci, conquistatori di Troia, grazie alla sua
pietas.

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5127

infatti, che i problemi etici si frantumavano spesso in aneddoti, in detti e fatti


memorabili, in battute intelligenti e di profondo signficato, o che tali erano
credute. All'indagine sulle dottrine dei filosofi del passato e del presente si
sostituiva la ricerca erudita, la tendenza all'accumulo dei dati, delle notizie,
delle sententiae, dei placita e delle dossografie. E' nota, del resto, la mania, si
può dire, che mostra il secondo secolo per l'erudizione e per l'accumulo delle
nozioni, ma, a parte il fatto che non sempre è agevole distinguere tra erudizione
pura e semplice (cioè infruttuosa) ed erudizione quale strumento del sapere,
quale mezzo per giungere alla formulazione di un'idea, di un pensiero, di una
dottrina, è certo che senza conoscenze non è possibile neppure pensare. Dire,
dunque, quale sia stata la funzione precisa della erudizione (chiamiamola così,
tout court), nella cultura del pepaideumenos, certamente non è facile; tanto
meno, d'altra parte, siamo autorizzati a considerare zavorra tutta la erudizione;
cercheremo, quindi, di individuarla secondo certe linee generali, ben consci
che una sintesi in questo ambito è cosa pressoché disperata.
Tuttavia ci sembra che la erudizione possa essere considerata come il
tessuto connettivo tra filosofia e retorica, le due discipline che, da sempre in
contrasto, sembrano godere nel secondo secolo di un periodo di pace64.
L'accordo tra le due discipline può talora essere contestato, con la ripresa
pigra e fiacca di motivi tradizionali, come .da parte di Frontone, il quale non
esita a sottolineare il vecchio motivo della superiorità della retorica sulla
filosofia. Su questa antinomia tra le due discipline, che emerge dalle opere del
retore di Cirta, hanno a lungo insistito gli studiosi, i quali si sono basati su
affermazioni indubbie ed esplicite dello stesso Fronton: nella epistola inviata
ad Apollonide (ad amicos 1,2, p. 171,16-17 VAN DEN HOUT65) lo scrittore
contrappone la paideia filosofica a quella dei retori: quest'ultima è, almeno,
umana, mentre quella dei filosofi è, sì, divina, ma irraggiungibile. Non senza
un chiaro intento è l'insistenza, che Frontone manifesta, sulla eloquenza e
l'attività retorica di Marco Aurelio (cfr. 11,2,2, p. 1 8 , 3 - 4 ; ad Antonin. imp.
1,2,5 — 6, p. 88,11 sgg.). Esalta l'eloquenza in una lettera (ad amicos 1,3,2,
p. 172,17) a Lolliano Avito66 e in una ad Verum imp. 11,1,9, p. 122,11 sgg.;
sottolinea il contrasto con la filosofia in una lettera 'Ad M. Antoninum de
eloquentia' (11,2,7-12), p. 138,3 sgg.); rimprovera Marco Aurelio per avere
abbandonato l'eloquenza (de eloquentia 4,5, p. 148,15 sgg.).

64 II caso di Elio Aristide sembra contraddire questa nostra osservazione, data l'acrimonia
con cui egli attaccò Platone e difese la retorica; ma si tratta di un caso particolare, che
merita di essere considerato a parte. Cfr. C. MORESCHINI, Elio Aristide tra retorica e
filosofia, ANRW II, 34,2, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1994, pp. 1 2 3 4 - 1 2 4 7 .
65 Seguiamo l'edizione: M. Cornelius Fronto, Epistulae... edidit M. R J. VAN DEN HOUT,
Leipzig, Teubner 1988. Su Frontone ora anche R V. COVA, Marco Cornelio Frontone,
ANRW II, 34,1, ed. W. HAASE, Berlin-New York 1993, pp. 8 7 3 - 9 1 8 , e P. SOVERINI,
Aspetti e problemi delle teorie retoriche frontoniane, ibid. pp. 919 —1004.
66 Conosciamo questo importante uomo politico anche dalla 'Apologia' di Apuleio (cap.
95); su di lui cfr. CHAMPLIN, op. cit., p. 31 - 3 3 (da collocare, come apprendiamo anche
da Apuleio, nell'ambiente di Claudio Massimo).

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5128 CLAUDIO MORESCHINI

L'atteggiamento di Frontone, dunque, è chiaro: è nettamente in favore


della retorica, anche se non assume posizioni così aspre nei confronti della
filosofia o dei filosofi (ad esempio, Platone) come il suo contemporaneo Elio
Aristide, al quale la difesa della retorica, che Platone aveva a suo tempo
criticato, suggerisce lunghe e dettagliate considerazioni in difesa dell'arte che
gli era cara. D'altra parte, la stessa attività che Frontone esercitava, e la
funzione, tutta particolare, che il letterato aveva a corte, lo indirizzavano
quasi di necessità (si può dire) ad assumere posizioni di questo genere. Infatti
la posizione sociale di cui Frontone godeva, quella di essere maestro di Marco
Aurelio e, quindi, intimo del principe, condizionava, in un certo senso, le sue
convinzioni, anche se esse non fossero state già ben definite per conto proprio.
Difficilmente, infatti, Frontone avrebbe potuto insegnare a colui che sarebbe
salito sul trono imperiale che la filosofia era la prima, la più importante
disciplina e che Marco Aurelio si sarebbe dovuto affidare ad essa. La filosofia
non era certo un insegnamento né, tanto meno, una professione che si adattasse
facilmente alla attività di imperatore, o di cui il sovrano si sarebbe potuto
servire con profitto; l'arte oratoria, invece, era stata da sempre lo strumento
privilegiato ed essenziale dell'uomo di stato. Inevitabile, dunque, che il maestro
di un imperatore sottolineasse la maggiore importanza della retorica rispetto
alla filosofia, anche se poi, in pratica, Marco Aurelio fece esattamente il
contrario — ma per scelta propria.
Ma gli stretti rapporti tra filosofia e retorica, che caratterizzano l'epoca
di Frontone, vengono alla luce anche nell'epistolario del retore di Cirta. Egli
conosce un platonico, Giulio Aquilino, il quale è, insieme, doctissimus e
facundissimus (ad amicos 1,4, p. 174,10): la filosofia platonica non gli impe-
diva, dunque, di dedicarsi alla oratoria e alla attività forense 67 .
Per quanto riguarda, infine, le letture di Frontone, è logico che esse siano
influenzate dalla tradizione retorica, e dal gusto arcaizzante, del quale egli fu
sostenitore e rappresentante precipuo. In questo contesto si situa lo studio
dedicato a Sallustio, frequentemente citato; ma forse possiamo anche ipotiz-
zare, nell'ambito di quella interazione tra oratoria e filosofia di cui stavamo
parlando, che Sallustio fosse prediletto da Frontone non soltanto per i suoi
valori stilistici e letterari, ma anche perché rappresentava la figura tipica dello
storico moralista: il moralismo, come si è visto sopra, era parte essenziale
della cultura dell'epoca. Incontriamo elenchi di filosofi, considerati sempre
dal punto di vista dell'eloquenza (cfr. de eloquentia 1,3, p. 134,7 sgg.; 2, 14,
p. 141,20 sgg.): non si può negare che Frontone abbia una certa dimestichezza
con il loro stile e la loro dizione. Nemmeno il nostro retore, infine, sfugge
alla caratteristica del secolo, l'aneddotica: ecco, dunque, l'aneddoto su Platone
(cfr. de eloquentia 2,9, p. 139,20 sgg.), che il VAN DEN HOUT osserva essere
riscontrabile anche in Ateneo, Deipn. XI,507 D. Marco Aurelio legge i libri di
Aristone lo stoico; ne è vivamente impressionato (epist. ad M . Caes. IV,13,2,

67 Anche Giulio Aquilino sembra rientrare in questo contesto: cfr. su di lui CHAMPLIN,
op. cit., p. 33 —34; C. MORESCHINI, Apuleio e il platonismo cit., p. 10 (un accenno
insufficiente).

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CULTURA FILOSOFICA E S E C O N D A SOFISTICA 5129

p. 67,26 sgg.) e lo riferisce al maestro. Interessanti, anche se sempre ad un


livello di Halbphilosoph, sono i riferimenti ai dialoghi platonici ('Protagora',
'Gorgia', primo libro della 'Repubblica'), dei quali sembra che Frontone abbia
una certa conoscenza (epist. ad M . Caes. 111,16,2, p. 48,9 sgg.): il 'Gorgia' era,
del resto, un dialogo abbastanza noto nel secondo secolo, citato ampiamente
da Gellio ed Elio Aristide. Famoso è il passo del 'Fedone' (60 bc), nel quale
Platone presenta Socrate, in carcere, che, liberato della catena e provando per
quel motivo un forte piacere, osserva che il piacere e il dolore sono intimamente
legati: è possibile credere che Frontone lo abbia conosciuto per lettura diretta
(epist. ad M . Caes. IV,9, p. 64,12); parimenti, credo che sia derivata da una
lettura diretta il passo del 'Fedro' (262c sgg.), nel quale Socrate rimprovera
Lisia per aver composto il suo discorso sull'amore senza alcun intrinseco
ordine, senza nessun legame razionale che tenesse insieme gli argomenti (cfr.
Laudes fumi 4, p. 216,2 sgg.): sia il 'Fedone' sia il 'Fedro' erano senza dubbio
dialoghi platonici assai letti in quell'epoca 6 8 .

2. Favorino

Di Favorino ci siamo già occupati più volte. Sofista e poligrafo, conside-


rato filosofo da Aulo Gellio (e anche da alcuni studiosi moderni, come si è
visto), egli è la figura che meglio corrisponde all'enciclopedismo della sua
epoca. Il monumentale lavoro di edizione, allestito dal B A R I G A Z Z I venticinque
anni fa, ha raccolto molti titoli (accompagnati, purtroppo, da frammenti di
assai scarso rilievo) di opere di contenuto moraleggiante ('Yraèp xcov |iovo|ià)ccov;
' E T Ù TCÙV Àfipcov; ITepì xfjq 8T||IG)8OI)<; ocoq>poai>vr|<;69; Ilepi EÙ^fj«;70); altri titoli
sono quelli delle orazioni brillanti e di argomento 'volgare' (cioè le infames
materiae), come le 'Thersitae laudes' e le 'Laudes febris quartanae' (citati da
Geli., Noct. Att. XVII,12), alla maniera delle composizioni analoghe di Fron-
tone. Numerosi anche gli scritti di erudizione, che citiamo solo per ricordare
che il Ilepì S c o K p à x o u q Kai ifj<; K<XT' aòxòv èpamKfjq Té%VTIQ doveva essere affine,
probabilmente, per contenuto, alle due dissertazioni Ilepì epcDTO<; di Massimo
Tirio (nn. 19 — 21). La navioSarcf) i a t o pia è fin troppo nota e ha attirato da
sola (si può dire) tutta l'attenzione dei 'ricercatori delle fonti' del secolo scorso
e dei primi decenni del nostro; il Ilepi tfji; '0|if)pou cpi^oao<pia<; si inquadra in
una ben nota tradizione dell'esegesi omerica. Più interessanti sono i frammenti

68 Per il 'Fedro' cfr. lo studio M . B. TRAPP, Plato's Phaedrus in Second-Century Greek


Literature, in: RUSSELL, Antonine Literature cit., p. 141 - 1 7 3 . Bisogna osservare che
Frontone cita la critica di Platone a Lisia, vale a dire che Lisia era incapace di ordinare
coerentemente la materia trovata: è una critica che si era diffusa anche in ambienti
grammaticali e retorici (cfr. Cecilio Calact. fr. 110 OFENLOCH; Anon. Sub. 32,8) e riappare
nel commento al 'Fedro' di Ermia (p. 230,23 sgg. COUVREUR).
69 Giustamente ricondotta, quest'opera, alla problematica delle 'Leggi' platoniche (696 de)
d a l BARIGAZZI, o p . c i t . , p . 1 5 1 .
70 Probabilmente trattava la stessa problematica che si è considerato sopra (p. 5114), a
proposito del pregare, o no, gli dèi, e del valore della preghiera.

336 ANRW II 36.7


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5130 CLAUDIO MORESCHINI

citati da Gellio, che, come già si è osservato, fa di Favorino il campione della


sua opera, il tipico esempio di filosofo. M a Favorino è un filosofo conforme
alla cultura del secondo secolo: egli si interessa, infatti, con pari intensità
(stando, almeno, al ritratto che ce ne fa Gellio — ritratto che però potrebbe
accentuare, forse, appositamente l'aspetto letterario del personaggio, per ren-
derlo conforme agli interessi dell'epoca sua), si interessa, dicevamo, anche di
problemi letterari e linguistici, e, soprattutto, cosa assai rara per un greco,
della civiltà romana. Qui si manifesta, forse, la origine occidentale di Favorino,
il quale, nativo di Arles, aveva avuto nella cultura latina la sua formazione
originaria, accanto alla quale egli pose poi, ben presto, anche la cultura greca,
per la quale è assai più noto. Problemi letterari, dunque, sono assai interessanti,
perché mostrano un Favorino rivolto all'arcaismo latino non diversamente da
Frontone, da Gellio e da Apuleio: letture di Sallustio (test. 29 BARIGAZZI), di
Plauto (test. 30), di Claudio Quadrigario (test. 37); confronti di carattere
stilistico tra Pindaro e Virgilio (test. 42). 7 1 Interessanti anche i problemi
linguistici, che egli affronta, e che riguardano il latino: è un topos esprimere
1' esigenza di arcaizzare, evitando, però, l'accusa di arcaizzare in modo ecces-
sivo (test. 23) 7 2 ; altri problemi del genere sono esaminati (stando alla presenta-
zione che ce ne dà Gellio) da lui insieme a Frontone (test. 28); e poi ancora
frequentemente si incontrano nelle testimonianze di Gellio (nn. 31; 32; 33; 36;
39 7 3 ; 40; 45 BARIGAZZI). Chiudono quest'immagine variata (ma anche un po'
scontata) del sofista-filosofo sentenze (test. 26; fragm. 104) e aneddoti (fragm.
97; test. 34).

3. Gellio

Da Favorino a Gellio il passaggio è obbligato, perché si possono ripetere


le medesime considerazioni: l'opera stessa di Gellio presenta problemi indisso-
lubili da quelle degli scrittori che sono da essa citati, come sopra abbiamo
avuto occasione di rilevare; lo scrittore e il destinatario sono strettamente
uniti. Sono noti, d'altra parte, gli aspetti eruditi delle 'Noctes Atticae' e delle
biografie antiche, alle quali le 'Noctes Atticae' attingono abbondantemente.
Ciò premesso, parlare della erudizione gelliana per quanto attiene sue cono-
scenze filosofiche, e dei suoi lettori, può apparire quasi superfluo. Erudizione
significa per Gellio, nell'ambito della biografia, quasi sempre aneddotica; una
ricerca sulla attendibilità di tale aneddotica esula dal nostro tema, e riguarda,
se mai, la problematica della biografia antica. Ecco, dunque, l'aneddoto su

71 II BARIGAZZI, veramente (ad locum e a proposito della test. 39 di Favorino), è scettico circa
l'ipotesi che queste osservazioni retorico-grammaticali abbiano origine dallo scrittore di
Arelate; anche HOLFORD-STREVENS (op. cit., pp. 84 - 85) non crede che Favorino abbia
scritto in latino, nonostante il suo interesse per la civiltà latina; al massimo, avrà parlato
in latino. La ASTARITA (e, credo, con ragione) non ritiene fondati questi dubbi.
72 C f r . BALDWIN, o p . c i t . , p . 2 1 .
73 Cfr. sopra, n. 71.

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5131

Democrito, che si accieca, per poter meglio concentrarsi sulle sue meditazioni,
senza essere distratto dalle illecebrae esterne (X,17); su Cameade (XVII,15);
su Platone e le sue Leggi (XV,2); su Demostene, considerato discepolo di
Platone (111,13,1), come anche Apuleio sapeva (cfr. Apol. 15); sulla ostilità tra
Platone e Senofonte (XIV,3); sulla successione di Aristotele (XIII,5); sulle
lettere di Aristotele (XX,5); su Protagora ed Euatlo (V,10: Protagora tipico
esempio del sofista inteso in senso deteriore, come anche da Apuleio, Fior.
XVIII,19 sgg.); su Crisippo e Diodoro (XI,12); cronologie e sincronismi nelle
biografie di filosofi (XVII,21). Riferendo questi aneddoti Gellio voleva sicura-
mente intrattenere e dilettare il suo pubblico di lettori con il racconto del
particolare gradevole e insolito, ma l'intendimento didascalico è sicuramente
presente. 74 Tale atteggiamento didascalico si fa poi relativamente più impe-
gnato, allorquando Gellio non riferisce più aneddoti biografici, ma placita
filosofici, presentati non soltanto in uno stile ornato e piacevole, ma anche
scelti allo scopo preciso di insegnare ed intrattenere un pubblico colto, ma
non specialista dei problemi. Ad esempio, il riferire che una gioia improvvisa
può procurare la morte (aneddoto che si poteva leggere anche in Liv. XXII,
7,13, a proposito della morte subitanea di una madre che vide inaspettatamente
il figlio sano e salvo, creduto morto alla battaglia del Trasimeno 75 ), viene
riferito sulla autorità di Aristotele (cfr. fr. 559 ROSE = Noct. Att. 111,15,1); e
il numero straordinario di parti che una donna ebbe (X,2) è raccontato ancora
una volta sulla scorta di un'opera dello Stagirita, alla quale si aggiungono, da
parte di Gellio, attestazioni tratte dalla cronaca e dalla vita romana. Più
impegnativi sono i problemi di carattere fisico: se la voce sia un corpo o un
incorporeo (V,15); sulle caratteristiche dei sensi (VI,6: secondo la filosofia di
Aristotele); X I X , 2 (con osservazioni moralistiche di filosofia popolare, di
condanna — scontata, come si sa, in scritti di tal genere — sui piaceri dei
sensi); sul cristallo (XIX,5 e XX,4); sui TipoP^fmaxa fisici di Aristotele (XIX,4
e 6), studiati, a quanto sembra, anche da Apuleio (cfr. Apol. 36). E natural-
mente anche a questo proposito il numero degli aneddoti potrebbe essere
accresciuto.

4. Apuleio

A questo atteggiamento del pepaideumenos, che riprende a tutti i livelli


la vecchia norma dell'insegnare attraverso l'intrattenimento e la piacevolezza,

74 Sugli intenti di Gellio ha scritto alcune pagine (ma molto rapide) anche P. STEINMETZ,
Untersuchungen zur römischen Literatur des zweiten Jahrhunderts nach Christi Geburt,
Palingenesia XVI, Wiesbaden 1982, pp. 2 7 8 - 2 8 0 . Ora si veda anche G. ANDERSON,
Aulus Gellius: A Miscellanist and his World, A N R W I I , 34,2, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w
York 1994, pp. 1 8 3 4 - 1 8 6 2 ; D. W. T. VESSEY, Aulus Gellius and the Cult of the Past,
ibid., pp. 1 8 6 3 - 1 9 1 7 , e M . M . HENRY, On the Aims and Purposes of Aulus Gellius'
'Noctes Atticae', ibid., pp. 1 9 1 8 - 1 9 4 1 .
75 Gellio parla, invece, della battaglia di Canne: pura svista o tradizione differente?

336*
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5132 CLAUDIO MORESCHINI

non si sottrae colui che fu lo scrittore più sensibile a questo ideale del dilettare
e che scrisse nel proemio della sua opera maggiore: lector, intende: laetaberis.
Anche come filosofo egli intende dilettare; e se nel manuale di filosofia
platonica tale intendimento non si riscontra, come è logico, perché è allotrio
allo scopo e alla natura di quel genere letterario, esso è ben presente nelle sue
opere più tipicamente retoriche e sofistiche, come 1' 'Apologia' e i 'Florida'.
L' 'Apologia' fu giudicata, con qualche esagerazione, come un'orazione essen-
zialmente epidittica 76 . Questo è solo in parte vero, ma certi intenti 'sofistici'
emergono chiaramente in varie parti dell'opera: basti tener presenti le ekphra-
seis, le discussioni letterarie — ma anche, come stiamo osservando in questo
contesto, la discussione filosofica e l'aneddotica biografica.
Certo, la discussione sulla demonologia e sulla divinazione (cfr. Apol.,
cap. 43) è centrale nel sistema filosofico e teologico di Apuleio, e non può
essere attribuita solo agli interessi eruditi e salottieri dell'autore; così come
l'intento, particolarmente preciso, di ricondurla alla filosofia platonica: così
facendo il Madaurense si adeguava all'insegnamento del platonismo a lui
contemporaneo (cfr. capp. 25 — 26). Ma ci conduce ad un ambito di pensieri
e di intendimenti affine a quello che abbiamo riscontrato in Aulo Gellio la
discussione sul modo in cui funziona il senso della vista (cap. 15); quella sul
funzionamento dello specchio (cap. 16); le varie questioni di storia naturale,
con riferimento, anche qui, ai npopXfmaxa di Aristotele, che Apuleio avrebbe
studiato in modo particolarmente approfondito (capp. 33 — 38; 40 — 41; 51);
lo studio sul morbo sacro, condotto, sì, sulla scorta del 'Timeo' platonico, ma
con un'evidente esibizione di più vasta cultura (capp. 49 — 50). E l'aneddotica
relativa alle biografie dei filosofi è esibita in modo particolarmente insistito:
dalla bellezza dei vari filosofi (cap. 4), agli amori di Platone e ai suoi versi
lascivi (capp. 1 0 - 1 1 ) , a Cratete e alla filosofia cinica (cfr. anche quanto si è
osservato per Eliano) (cap. 22); l'aneddoto su Diogene e Alessandro (cap. 22);
Pitagora discepolo di Zoroastro e di Omero (cap. 31); il topos dell'atteggia-
mento ostile ai cinici (cap. 39).
Anche nei 'Florida' — l'esempio più evidente dell'esistenza di una sofistica
in lingua latina — Apuleio si richiama più di una volta, come già aveva
osservato il VALLETTE77, alle sue qualità di filosofo (senza precisare sempre di
essere ' p l a t o n i c o ' ) (cfr. V, I X , 4 e 3 3 ; X I I I ; X V , 2 6 ; X V I , 2 9 ; X V I I I , 1 ; X X , 4 ) : l o
si vede litigare, prosegue il VALLETTE, con coloro che gli contestano questo
titolo, ma di filosofia, nei 'Florida', non ce ne è. Ma allora Apuleio parlerebbe
senza un motivo della sua filosofia? E' evidente, allora, che essa va intesa —
quando non è precisata come platonica — come filosofia del pepaideumenos.
Lo stesso VALLETTE78, che intendeva nel significato più ristretto il termine

76 Cfr. le osservazioni di R. HELM in: Apulei Platonici Madaurensis Florida, recensuit


R. HELM, Leipzig 1921, p. X X - X X I , e, in generale, B. L. HIJMANS JR., Apuleius Orator:
'Pro se de Magia' and 'Florida', ANRW II, 34,2, ed. W. HAASE, Berlin - New York 1994,
pp. 1708 - 1 7 8 4 , spec. 1715 ss.
77 Cfr. Apulée, Apologie. Florides, Texte établi et traduit par P. VALLETTE, Paris 1922,
pp. X X I X - X X X I , e , in g e n e r a l e , HIJMANS, o p . c i t . , p p . 1 7 1 9 ss.
78 Cfr. op. cit., p. X X X .

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CULTURA FILOSOFICA E SECONDA SOFISTICA 5133

'filosofia', osservava, d'altra parte, che qualcosa del genere filosofico si poteva
riscontrare anche nei 'Florida', come il framm. X, dedicato alla demonologia.
Ma ecco ancora, a proposito della erudizione filosofica, presentata nello stile
ornato dell'oratoria epidittica: l'aneddotica su Socrate (fragm. II); su Ippia
(fragm. IX,15sgg.); su Diogene il Cinico e Cratete (fragm. XIV e XXII);
su Protagora (fragm. XVIII,19sgg.); sui Gimnosofisti (VI,7sgg.; XV,16); su
Pitagora, i Magi e Zoroastro (IX,33); su Pitagora, splendido tra i filosofi
(XV,22sgg.). In tutte queste sue esibizioni retoriche Apuleio non si stanca di
definirsi 'filosofo': certo, non è il maestro di filosofia, che insegna nel chiuso
della scuola, ma è il pepaideumenos che è al limite della filosofia, e spesso si
sente autorizzato a superarlo, e crede, comunque, di possedere entrambi i
campi. Quella divisione tra filosofia e oratoria, che da sempre era esistita,
diviene molto meno rigida nella cultura letteraria della Seconda Sofistica, e
il pepaideumenos crede di potere essere anche filosofo, senza, per questo,
appropriarsi di un titolo che non gli compete; e in quanto pepaideumenos è
collocato in una posizione sociale adeguata. Per questo egli disprezza i cinici,
come si è detto sopra: e Apuleio, che è addirittura sacerdos provinciae, oltre
che philosophus, insulta i palliata mendicabula (Fior. IX,9).
Lo stesso 'De mundo' apuleiano, infine, normalmente considerato opera
'filosofica' (ma non è caratterizzato dalla aridità stilistica che è propria dei
manuali, come il 'De Platone'), risponde certamente anche a questo interesse
erudito, rivolto ad un pubblico di non specialisti: lo attesta, a nostro parere,
il lungo excursus sui venti (318 - 321), derivato da Gellio (11,22), probabilmente
per desiderio di letterarietà 79 .

79
Letterarietà che caratterizza tutta la traduzione apuleiana del 'De mundo', come bene
ha messo in luce recentemente A. MARCHETTA, L'autenticità apuleiana del 'de mundo',
L'Aquila — Roma 1991. Cfr. anche M. G. BAJONI, Aspetti linguistici e letterari del
'De mundo' di Apuleio, ANRW II, 34,2, ed. W. HAASE, B e r l i n - N e w York 1994,
pp. 1785-1832.

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