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FRANCESCO CRAPANZANO
KOYRÉ, GALILEO
IL CULTO DI EPICURO.
E IL ‘VECCHIO SOGNO’
TESTI, ICONOGRAFIA E PAESAGGIO
DI PLATONE
a cura di
MARCO BERETTA, FRANCESCO CITTI
ALESSANDRO IANNUCCI
Leo S. Olschki
Firenze
MMXIV
Tutti i diritti riservati
Centro Studi
La permanenza del Classico
Ricerche 31
— V —
PREMESSA
— VI —
MICHAEL ERLER
Deus ille fuit, deus: Lucrezio presenta così Epicuro, come un maestro
assimilabile a un dio.1 In questo modo Lucrezio trasferisce alla lingua di
culto un topos ben noto alla poesia ellenistica2 e, dal punto di vista del con-
tenuto, riprende la tradizione dei filosofi-poeti ispirati dalla divinità: si
pensi a Empedocle o a Parmenide. Si riferisce, però, soprattutto a quella
venerazione religiosa che si tributava a Epicuro nella sua scuola, rendendo
così evidente quella particolare sfumatura riconducibile all’atomismo come
fondamento della filosofia epicurea, che segna una differenza sostanziale
rispetto ad altre istanze di autodivinizzazione, come quella promessa, ad
esempio, anche da Platone. Mentre in Platone si tratta infatti di vivere da
dio tra gli esseri umani (θεῖος εἰς τὸ δυνατόν),3 il perfetto lucreziano deus fuit
indica che Epicuro ha soltanto vissuto come un dio (ὡς θεός), come afferma
Epicuro stesso nella Lettera a Meneceo: si tratta, quindi, di una divinizzazione
solo temporanea.4 Epicuro come deus mortalis: è meno di quanto promette
* Ringrazio Elisa Dal Chiele e Federico Petrucci per l’aiuto nella traduzione italiana di questo testo.
1
Lucr. 5,7-8 nam si, ut ipsa petit maiestas cognita rerum / dicendum est deus ille fuit, deus, in-
clyte Memmi, cf. 3,1042 e 6,7-8. Sull’encomio di Epicuro da parte di Lucrezio cf. MONICA R. GALE,
Myth and Poetry in Lucretius (Cambridge: Cambridge UP, 1994), pp. 75-80.
2
Cf. HUBERT MERKI, ὉΜΟΙΩΣΙΣ ΘΕΩΙ. Von der platonischen Angleichung an Gott zur
Gottähnlichkeit bei Gregor von Nyssa (Freiburg: Paulusverlag, 1952); JOHN PASSMORE, The
perfectibility of Man, London: Duckwort, 1970); DAVID SEDLEY, “Becoming like god in the Timaeus
and Aristotle”, in Interpreting the Timaeus-Critias, edited by Tomás Calvo, Luc Brisson (Sankt
Augustin: Academia, 1997), pp. 327-339; MICHAEL ERLER, “Epicurus as deus mortalis: Homoiosis
theoi and Epicurean Self-Cultivation”, in Traditions of Theology. Studies in Hellenistic Theology,
its Background and Aftermath, edited by Dorothea Frede, André Laks (Leiden: Brill, 2002),
pp. 159-181.
3
Plat. resp. 500d.
4
Cf. Plat. resp. 500b-d; Tim. 90c-d; Theaet. 176b-c. L’immagine di Epicuro ‘come un dio tra
gli uomini’ non soltanto si differenzia da Platone, ma è in qualche modo assimilabile alla conce-
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MICHAEL ERLER
zione cristiana, cf. Clem. Al. strom. 4,155,1-4 = 130,2 e Der Platonismus in der Antike, vol. 5, Die
philosophische Lehre des Platonismus: platonische Physik (im antiken Verständnis), vol. 2, Bausteine
125-150. Text, Übersetzung, Kommentar, herausgegeben von Heinrich Dörrie, Matthias Baltes
(Stuttgart-Bad Cannstatt: Frommann-Holzboog, 1998), pp. 307-312.
5
Cf. Epic. ep. Men. 135.
6
Cf. ERLER, “Epicurus as deus mortalis” (cit. n. 2), p. 169.
7
DISKIN CLAY, “The cult of Epicurus”, Cronache Ercolanesi, 1986, 16: 11-28.
8
MICHAEL ERLER, “«The Fox Knoweth Many Things, the Hedgehog One Great Thing»: the
Relation of Philosophical Concepts and Historical Contexts in Plato’s Dialogues”, Hermathena,
2009, 187: 5-26.
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
2. EPICURO DIVINIZZATO
9
Cf. DIRK OBBINK, Philodemus. On piety. Part I, Critical Text with Commentary (Oxford:
Oxford UP, 1996), p. 9. Cf. D.L. 10,8; Cic. fin. 2,101; Tusc. 1,48.
10
Philod. lib dic., fr. 45,1-11 Ol. (edizioni: ALEXANDER OLIVIERI, Philodemi Peri parrhesias libellus
[Lipsiae: Leipzig Teubner, 1914]; DAVID KONSTAN – DISKIN CLAY – CLARENCE E. GLAD – JOHAN CARL
THOM – JAMES WARE, Philodemus. On Frank Criticism [Atlanta: Scholars Press, 1998]).
11
Sul valore degli exempla nell’epicureismo, cf. BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicu-
reanism and Philosophical Recruitment in Ancient Greece (Berkeley-Los Angeles-London: University
of California Press, 1982); MICHAEL ERLER, “Einübung und Anverwandlung. Reflexe mündlicher
Meditationstechnik”, in Gattungen wissenschaftlicher Literatur in der Antike, herausgegeben
von Wolfgang Kullmann, Jochen Althoff, Markus Asper (Tübingen: Gunter Narr Verlag, 1998),
pp. 361-381.
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12
Cf. WOLFGANG FAUTH, “Divus Epicurus. Zur Problemgeschichte philosophischer Religiosität
bei Lukrez”, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, herausgegeben von Wolfgang Haase,
Hildegard Temporini, vol. 1,4 (Berlin-New York: De Gruyter, 1973), pp. 205-225; HOLGER ESSLER,
Glückselig und unsterblich. Epikureische Theologie bei Cicero und Philodem. Mit einer Edition von
PHerc. 152/157, Kol. 8-10 (Basel: Schwabe, 2011).
13
Cf. WOLFGANG SCHMID, “Götter und Menschen in der Theologie Epikurs”, Rheinisches
Museum für Philologie, 1951, 54: 97-156; MATTHIAS BALTES, “Nachfolge Epikurs, Imitatio Epicuri”, in
EΠINOHMATA. Kleine Schriften zur antiken Philosophie und Homerischen Dichtung, herausgegeben
von Marie-Luise Lakmann (München: Saur, 2005), pp. 111-133.
14
Cf. DISKIN CLAY, “Individual and Community in the First generation of the Epicurean
school”, in ID., Paradosis and Survival. Three Chapters in the History of Epicurean Philosophy (Ann
Arbor: University of Michigan Press, 1998), pp. 55-74 e in part. 62-67.
15
Sull’utilità della preghiera per chi prega cf. SV 32 e MICHAEL ERLER, “Selbstfindung im Gebet.
Integration eines Elementes epikureischer Theologie in den Platonismus der Spätantike”, in Platonisches
Philosophieren: zehn Vorträge zu Ehren von Hans Joachim Krämer, herausgegeben von Thomas Alexander
Szlezák unter Mitwirkung von Karl-Heinz Stanze (Hildesheim: Olms, 2001), pp. 155-172.
16
Sulla funzione della memoria in generale cf. MICHAEL ERLER, “Philologia medicans. La lettura
delle opere di Epicuro nella sua scuola”, in Epicureismo greco e romano, Atti del Congresso Inter-
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
nazionale, Napoli, 19-26 maggio 1993, a cura di Gabriele Giannantoni, Marcello Gigante, vol. 2
(Napoli: Bibliopolis, 1996), pp. 513-526. Per questo motivo, ad esempio, le epitomi tratte da scritti
di particolare rilevanza rivestono, come ausilio alla memorizzazione, un ruolo essenziale, cf. ep. Hdt.
35 ss. e 82-83, ep. Pyth. 84-85, D.L. 10,12.
17
Cf. Cic. fin. 2,96.
18
Cf. MARCELLO GIGANTE, “Philosophia medicans in Filodemo”, Cronache Ercolanesi, 1975, 5: 53-61.
19
Cf. VOULA TSOUNA, “‘Portare davanti agli occhi’: una tecnica retorica nelle opere ‘morali’ di
Filodemo”, Cronache Ercolanesi, 2000, 33: 243-247.
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MICHAEL ERLER
Dopo di ciò, facendo riferimento alle sensazioni e alle affezioni – perché così
si avrà la più fondata persuasione – bisogna credere che l’anima è un corpo sottile,
sparso per tutto l’organismo.22
20
Lucr. 3,55-58 (trad. da Lucrezio. La natura delle cose, a cura di Guido Milanese, con intro-
duzione di Emanuele Narducci [Milano: Mondadori, 2007]).
21
Cf. D.L. 10,31; Cic. fin. 1,22, Acad. 1,3; epist. frr. 242-243.
22
Cf. ep. Hdt. 63 (trad. da Epicuro. Opere, a cura di Graziano Arrighetti [Torino: Einaudi, 19732]).
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
23
Cf. OBBINK, Philodemus. On piety. Part I (cit. n. 9), p. 345.
24
Cf. ELIZABETH ASMIS, Epicurus’ Scientific Method (Ithaca-London: Cornell UP, 1984), pp. 194-196.
25
Cf. ERLER, “«The Fox Knoweth Many Things»”(cit. n. 8), pp. 21-25.
26
Cf. Plat. Phaed. 89c-91c.
27
Cf. RUBY BLONDELL, The Play of Character in Plato’s Dialogues (Cambridge: Cambridge UP,
2002), pp. 31 ss. e 67 ss.
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MICHAEL ERLER
specifica dei Sokratikoi Logoi platonici, se non addirittura una vera e propria
innovazione.28 Anche solo da uno sguardo superficiale ai dialoghi, Platone si
profila come un maestro di precisione nel rappresentare in modo dettagliato
personaggi storici, situazioni e azioni. Salvo poche eccezioni, Platone mette in
scena le sue figure storiche in scenari realistici. Già nell’antichità il tentativo
di Platone di presentare una cornice storica, il più possibile realistica, con i
rispettivi personaggi godette di grande ammirazione. Con questo espedien-
te Platone suggeriva al lettore di ascoltare un dialogo reale, ‘come a teatro’.
Questo è tanto più sorprendente, se pensiamo che per Platone la caratteri-
stica fondamentale del vero filosofo è l’aspirazione all’unità, abbandonando
la molteplicità. La riflessione sull’unità e sull’ordine è una caratteristica essen-
ziale della filosofia platonica. Platone riserva l’interesse per la poikilia, per
la varietà del mondo, alle persone comuni, ai curiosi, ai philotheamones.29
Come mai – ci si chiede allora – Platone-filosofo, che guarda con scetticismo
alla poikilia di questo mondo, fa ricorso proprio a questo elemento? Questa
domanda sorge con particolare urgenza proprio in relazione alla figura di
Socrate. Nel Socrate protofilosofo, infatti, si percepisce davvero una palintonos
harmonia di realtà e concezione filosofica generale, perché da un lato, l’atopos
Socrate viene caratterizzato in modo dettagliato, che non manca di produrre
il suo effetto sui personaggi presenti nel dialogo – l’encomio di Alcibiade ne
è la dimostrazione – ; dall’altro lato, però, questa figura di Socrate, rappre-
sentata realisticamente, si profila allo stesso tempo come portatrice di tutti gli
elementi caratteristici del concetto platonico del vero filosofo.30 Il personaggio
di Socrate si configura infatti come un filosofo vincolato solo al logos, che
impersona davvero il monito contro la misologia espresso nel Fedone;31 è quel
‘vero politico’ di cui parla il Gorgia;32 è quell’‘uno e verità’ di cui si discute
nel Critone;33 incarna il concetto platonico di filosofia dinamico e ricco di
sfumature ed è quel ‘tis’ che compare nel mito della caverna come liberatore
dall’ignoranza; infine, nel Fedone, dopo la sua morte, Socrate sarà presentato
come paradigma della ragione e della giustizia.34 Chiaramente Socrate non ser-
28
Cf. MICHAEL ERLER, “Idealità e storia. La cornice dialogica del Timeo e del Crizia e la poetica
di Aristotele”, Elenchos, 1998,19: 5-28.
29
Cf. Plat. resp. 475d, 479a, 480a.
30
Cf. MICHAEL ERLER, “Charis und Charisma. Zwei Bilder vom Weisen und ihre Diskussion
in Platons Dialogen”, in Platon und das Göttliche, herausgegeben von Dietmar Koch, Irmgard
Männlein-Robert, Niels Weidtmann (Tübingen: Attempto, 2010), pp. 42-61.
31
Cf. Plat. Phaed. 89e ss.
32
Cf. Plat. Gorg. 521d-e.
33
Cf. Plat. Crit. 47c-48d.
34
Cf. Plat. Phaed. 118b.
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
Ora, è degno di nota il fatto che proprio questa funzione della realtà –
illustrare e legittimare i concetti filosofici – non solo sia esposta da Platone
nei dialoghi, ma che il suo fondamento venga anche discusso in una sorta di
autocommento del Platone filosofo alla struttura letteraria dei dialoghi, costruita
dal Platone-autore; si intravedono così evidenziate le posizioni nell’ambito delle
quali trova spazio anche quella di Epicuro, di cui abbiamo discusso sopra.
In primo luogo, bisogna tener presente che aspettarsi di legittimare un
concetto filosofico attraverso il ricorso alla realtà è una posizione che viene
classificata apertamente da Platone come popolare e sofistica. Questo risulta
35
Cf. Plat. apol. 23bc, 30a, 31ab.
36
Cf. MICHAEL ERLER, “Hilfe der Götter und Erkenntnis des Selbst. Sokrates als Göttergeschenk
bei Platon und den Platonikern”, in Metaphysik und Religion. Zur Signatur spätantiken Denkens.
Akten des internationalen Kongresses vom 13-17 März 2001, herausgegeben von Theo Kobusch,
Michael Erler (München-Leipzig: Saur, 2002), pp. 387-414.
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MICHAEL ERLER
chiaro quando nel Gorgia, nel discutere se una persona ingiusta possa essere
felice, il personaggio di Polo descrive vivacemente la felicità del tiranno
Archelao:37 il suo scopo è convincere Socrate che il tiranno è stato davvero
felice; Socrate, dall’altra parte, cerca di ‘rispondere’ a questo riferimento alla
realtà, che ha funzione di argomento, con un’argomentazione puramente
astratta e filosofica. Analogamente, nella Repubblica, Glaucone, esponente
della sofistica, intende definire la giustizia descrivendo vivacemente i
vantaggi paradisiaci, reali e concreti che conseguono alla giustizia stessa e
gli svantaggi dell’ingiustizia.38 Anche in questo caso, Socrate osserva che una
simile visualizzazione e un simile ricorso alla realtà non possono valere come
argomenti nell’ambito di una discussione filosofica: possono tutt’al più servire
da complemento a quest’ultima. Così si chiarisce anche che questo modo di
argomentare – legittimare facendo ricorso alla realtà – viene ricondotto al
pensiero popolare e alla cerchia dei sofisti.
L’atteggiamento scettico e sfavorevole di Socrate si manifesta pienamente
nella discussione da lui condotta sul problema della possibilità, della realtà
e della plausibilità dei concetti ideali e del loro trasferimento sul piano della
realtà. Nel concreto, si tratta della ricerca dello stato perfetto e dell’uomo
perfettamente onesto, come dovrebbe essere (οἷος ἂν εἴη γενόμενος)39 nella
vita reale, con la funzione di argomento a favore della correttezza e della
capacità persuasiva dell’argomentazione filosofica a sostegno di questo con-
cetto. Ricordiamoci anche che nella Repubblica, Socrate non vuole trattare
determinati aspetti relativi ai difensori, come la condivisione o la parità delle
donne, perché preoccupato della diffidenza (apistia) cui queste teorie potreb-
bero andare incontro da parte della massa (450c); Socrate nutre pertanto delle
riserve riguardo alla possibilità, cioè alla realizzabilità, di tali teorie (450c).
Il dubbio (apistia) che il concetto di stato perfetto e di uomo giusto sia solo
una pia aspirazione rimane così in sospeso.40 Di certo Socrate ritiene che non
sia fondamentalmente necessario fornire una prova per dimostrare se e come
possano esistere nella realtà lo stato ideale o l’uomo perfettamente giusto.41
Per lui, infatti, la possibilità (to dynaton) di tali concetti è già dimostrata dal
fatto che le sue proposte sono coerenti e adeguate alle condizioni naturali
(κατὰ φύσιν).42 Tuttavia, il suo interlocutore, Glaucone, insiste per avere una
37
Cf. Plat. Gorg. 470c ss.
38
Cf. Plat. resp. 358d, 360e ss.
39
Cf. Plat. resp. 472c.
40
Cf. Plat. resp. 450c.
41
Cf. Plat. resp. 472cd.
42
Cf. Plat. resp. 456b, 466d, 471c.
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
prova fondata sulla realtà;43 insiste perché intende indagare «se e come la no-
stra costituzione sia realizzabile».44 Evidentemente, sono in discussione due
possibilità per rendere plausibili i concetti filosofici e per poter così superare
l’apistia. Socrate e il suo interlocutore sono del parere che si possa rimuovere
l’apistia nel destinatario dell’argomentazione, se si dimostra la possibilità (dy-
naton) del concetto filosofico che viene messo in dubbio.45 Altrimenti – Socrate
e Glaucone ne sono convinti – un simile concetto risulta un pio desiderio
(euche), con cui ci si rende ridicoli.46 La prova del dynaton, invece, rende tali
concetti plausibili e conferisce loro forza persuasiva – pithanon è la parola-
chiave. Accanto a questo loro accordo, emerge però anche una fondamentale
divergenza, su cosa si intenda per ‘dynaton’ (‘possibile’): Socrate ritiene che
la prova della possibilità, e quindi della plausibilità, sia già garantita dal fatto
che, nel concetto filosofico discusso, sia rispettato il principio del κατὰ φύσιν
e della coerenza;47 ossia il fatto che questo concetto abbia un intrinseco rigore
logico:48 se, ad esempio, tutti i soggetti agiscono, operano e parlano in modo
conforme alla loro natura tutte le parti costitutive del concetto risultano tra
loro adeguate. Socrate non ritiene quindi necessario fare ricorso alla realtà per
procurare una garanzia al concetto. Glaucone riconosce che questo criterio
nel concetto di stato di Socrate è perfettamente rispettato e che tale concetto
riguarda uno stato veramente buono. Tuttavia, Glaucone vorrebbe sapere
«se e come questo concetto sia realizzabile»:49 indica così che il problema
della possibilità è per lui legato a quello della prova per mezzo della realtà.
Anche Socrate capisce la sua richiesta (epitatteis):50 non riesce a citare alcun
esempio tratto dalla realtà storica, ma allo stesso tempo lascia intendere di non
condividere l’interpretazione di Glaucone del dynaton come criterio di plausi-
bilità. La realtà come garanzia della possibilità di un concetto filosofico e come
mezzo per rimuovere l’apistia non rappresenta un’opzione per Socrate. A mio
avviso, si tratta di un passo importante della Repubblica, sul problema di come
evitare l’apistia a fronte di concetti filosofici che, nella percezione comune,
potrebbero sembrare paradossali. Si tenga presente quindi che Platone discute
le condizioni per stabilire quando i concetti filosofici appaiono plausibili su
43
Cf. Plat. resp. 458ab; cf. 456c, 546d.
44
Cf. Plat. resp. 471c.
45
Cf. Plat. resp. 450d, 540d.
46
Cf. Plat. resp. 451a.
47
Cf. Plat. resp. 456c.
48
Cf. Plat. resp. 456c, 466d.
49
Cf. Plat. resp. 471e.
50
Cf. Plat. resp. 472c.
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MICHAEL ERLER
due livelli. Sul piano fattuale, proprio della massa, egli si pone il problema di
rendere plausibili i concetti filosofici attraverso il ricorso alla realtà.
Torniamo a Socrate: a partire da questo sfondo, se consideriamo nuovamente
la figura di Socrate, vediamo allora che nei dialoghi, il Platone-autore, attraverso
la figura storica di Socrate, dà un nome al concetto di uomo giusto, dell’οἷος ἂν
εἴη γενόμενος – per dirla con la Repubblica – e lo colloca così sullo stesso piano
di un personaggio della realtà storica. In numerosi dialoghi – in particolar modo
nel Fedone, per citare un esempio –, la figura di Socrate è di fatto costruita così
da offrire, in certo qual modo, ciò che Glaucone auspica nella Repubblica, ma
che Socrate, dal canto suo, non ritiene necessario: una prova, tratta dalla sfera
della vita reale, del fatto che il concetto filosofico di virtù esiste e, al tempo
stesso, una garanzia che questa concezione è possibile. Certo, Socrate – e
Platone-filosofo – non ritengono una prova di questo genere necessaria di una
prospettiva filosofica. Teniamo però anche presente che Socrate, guardando
alla massa, aveva ritenuto comprensibile una simile esigenza:
τὸ μέντοι μὴ πείθεσθαι τοῖς λεγομένοις τοὺς πολλοὺς θαῦμα οὐδέν· οὐ γὰρ πώποτε
εἶδον γενόμενον τὸ νῦν λεγόμενον.
Non c’è da meravigliarsi se la massa non vuole credere alle mie parole: infatti,
finora non hanno mai visto realizzato ciò che ho appena esposto.
E poi continua:
ἄνδρα δὲ ἀρετῇ παρισωμένον καὶ ὡμοιωμένον μέχρι τοῦ δυνατοῦ τελέως ἔργῳ τε
καὶ λόγῳ […] οὐ πώποτε ἑωράκασιν, οὔτε ἕνα.
Un uomo che, per quanto possibile, è in sintonia con la virtù, sia nelle azioni sia
nei discorsi, e vive in totale conformità ad essa […] uno così non l’hanno mai visto.51
«Uno così non l’hanno mai visto»:52 il Platone-autore soddisfa quindi que-
sta aspettativa, perché rappresenta Socrate talvolta addirittura idealizzato in
termini religiosi, come trait d’union tra concezione filosofica e realtà, susci-
tando in tal modo, in un pubblico digiuno di filosofia, quella peitho e offrendo
un pithanon che le persone come Glaucone si aspettano e che la massa desi-
dera. La realtà storica e Socrate diventano la prova che il giusto ideale, οἷος
ἂν εἴη γενόμενος, è possibile e conferiscono credibilità al concetto platonico
51
Cf. Plat. resp. 498e-499a.
52
Cf. MICHAEL ERLER, “Epikur in Raphaels ‘Schule von Athen?’”, in Epikureismus in der späten
Republik und der Kaiserzeit, Akten der 2. Tagung der Karl-und-Gertrud-Abel-Stiftung vom 30. Septem-
ber - 3. Oktober 1999, herausgegeben von Michael Erler (Stuttgart: Steiner, 2000), pp. 273-294.
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LA SACRALIZZAZIONE DI SOCRATE E DI EPICURO
dell’uomo giusto ideale. È chiaro quindi che in questo modo l’autore Platone
cerca di rispondere a un’aspettativa generale, che Socrate ha ben presente,
ma che tuttavia non ammette all’interno del dibattito filosofico, ovvero non
ammette di concedere efficacia argomentativa al ricorso alla realtà. Con la
struttura letteraria dei dialoghi, il Platone-autore risponde a un’aspettativa
popolare, sebbene questa strategia giochi un ruolo del tutto subordinato nel
discorso filosofico.
6. TORNIAMO A EPICURO
53
Epic. ep. Men. 122.
— 13 —
MATTEO MARTELLI
Quelli dell’altro corteo sono tutti ordinati e praticanti di qualche arte, e non
corrono né gridano né litigano tra loro: ma in mezzo ad essi sta il dio e intorno a lui
tutti stanno in ordine nel posto che ciascuno ha avuto da quello e che non lascia:
alcuni molto vicino al dio e intorno a lui ordinati in circolo, studiosi di geometria
e matematica e filosofia e medicina e astronomia e filologia, subito dopo questi la
seconda schiera, pittori, scultori, maestri di scuola, artigiani del legno e architetti e
intagliatori di pietra, e dopo questi anche la terza schiera, tutte le restanti arti. Tale
è l’ordine per ciascun gruppo, ma tutti rivolgono gli occhi verso il dio obbedendo
al comando comune che viene da lui. Vedrai anche lì molti che stanno insieme al
dio stesso, appunto una quarta schiera distinta dalle altre, nient’affatto quali erano
quelli insieme alla Fortuna, perché questo dio non ha l’abitudine di distinguere i
migliori per le cariche politiche né per la superiorità della stirpe né per la ricchezza,
ma quelli che vivono onestamente ed eccellono nella loro propria arte e seguono i
suoi precetti e coltivano le arti secondo le regole egli li onora e li antepone agli altri,
tenendoli sempre vicini a sé. Questa schiera, credo, quando saprai quale è, non solo
la considererai degna di imitazione, ma anche di venerazione: c’è Socrate in essa e
Omero e Ippocrate e Platone e i seguaci di questi, che veneriamo in modo uguale agli
dei, come luogotenenti e ministri del dio.1
* Vorrei esprimere un sincero ringraziamento al prof. Philip van der Eijk, alla von Humboldt-
Stiftung (programma ‘Medicine of the Mind, Philosophy of the Body’) e alla Deutsche Forschungs-
gemeinschaft (DFG – SFB 980) per il generoso supporto che stanno dando alla mia ricerca scientifica.
Sono, inoltre, grato a Francesco Citti e Giulia Ecca per i preziosi suggerimenti bibliografici.
1
Gal. protr. 5,1-4 (edizione: Galien. Exhortation à l’étude de la médicine, Art médical, texte
établi et traduit par Véronique Boudon-Millot [Paris: Les Belles Lettres, 2002], pp. 88-89 [= 1,7-8
K.]) ὁ δ᾽ ἕτερος τῶν χορῶν πάντες μὲν κόσμιοι καὶ τεχνῶν ἐργάται, οὐ θέουσι δὲ οὐδὲ βοῶσιν οὐδ᾽
ἀλλήλοις μάχονται· ἀλλ᾽ ἐν μέσοις μὲν αὐτοῖς ὁ θεός, ἀμφ᾽ αὐτὸν δ᾽ ἅπαντες ἐν τάξει κεκόσμηνται,
χώραν ἕκαστος ἣν ἐκεῖνος ἔδωκεν οὐκ ἀπολείποντες. οἱ μὲν ἔγγιστα τῷ θεῷ καὶ περὶ αὐτὸν ἐν κύκλῳ
κεκοσμημένοι γεωμέτραι καὶ ἀριθμητικοὶ καὶ φιλόσοφοι καὶ ἰατροὶ καὶ ἀστρονόμοι καὶ γραμματικοί,
τούτων δ᾽ ἐφεξῆς ὁ δεύτερος χορός, ζωγράφοι πλάσται γραμματισταί, τέκτονές τε καὶ ἀρχιτέκτονες καὶ
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MATTEO MARTELLI
λιθογλύφοι, καὶ μετ᾽ αὐτοὺς δ᾽ ἡ τρίτη τάξις, αἱ λοιπαὶ τέχναι πᾶσαι. κατὰ μέρη μὲν οὕτω κεκόσμηνται,
πάντες δὲ πρὸς τὸν θεὸν ἀποβλέπουσι κοινῷ τῷ παρ᾽ αὐτοῦ προστάγματι πειθόμενοι. θεάσῃ δὲ
κἀνταῦθα πολλοὺς μετ᾽ αὐτοῦ τοῦ θεοῦ, τετάρτην δή τινα τάξιν ἀπὸ τῶν ἄλλων ἔκκριτον, οὐχ οἷοί
τινες ἦσαν οἱ μετὰ τῆς Τύχης· οὐ γὰρ ἀξιώμασι πολιτικοῖς οὐδὲ γένους ὑπεροχαῖς οὐδὲ πλούτῳ τοὺς
ἀρίστους ὁ θεὸς οὗτος εἴθισται κρίνειν, ἀλλὰ τοὺς καλῶς μὲν βιοῦντας, ἐν δὲ ταῖς ἑαυτῶν τέχναις
πρωτεύοντας, ἑπομένους δὲ τοῖς προστάγμασιν αὐτοῦ καὶ νομίμως τὰς τέχνας ἐργαζομένους τιμᾷ
τε καὶ πρὸ τῶν ἄλλων ἄγει, περὶ αὑτὸν ἔχων ἀεί. τοῦτον οἶμαι τὸν χορὸν νοήσας ὁποῖός ἐστιν οὐ
μόνον ζηλώσεις, ἀλλὰ καὶ προσκυνήσεις· Σωκράτης <γάρ> ἐστιν ἐν αὐτῷ καὶ Ὅμηρος καὶ Ἱπποκράτης
καὶ Πλάτων καὶ οἱ τούτων ἐρασταί, οὓς ἴσα καὶ τοὺς θεοὺς σέβομεν, οἷον ὕπαρχοί τινες καὶ ὑπηρέται
τοῦ θεοῦ. Traduzione in Galeni De optimo docendi genere, Exhortatio ad medicinam (Protrepticus),
edidit et in linguam italicam vertit Adelmo Barigazzi, CMG 5,1,1 (Berlin: Akademie Verlag, 1991),
pp. 119-121.
2
Cf. JOHN DILLON, The Middle Platonists, 80 B.C. to A.D. 220 (Ithaca-New York: Cornell UP
1996), pp. 44, 114 e 122 (sul filosofo Eudoro). Per la filosofia ellenistica, con particolare attenzione
all’epicureismo, si veda MICHAEL ERLER, “Epicurus as deus mortalis: Homoiosis theoi and Epicurean
Self-Cultivation”, in Traditions of Theology. Studies in Hellenistic Theology, its Background and
Aftermath, edited by Dorothea Frede, André Laks (Leiden: Brill, 2002), pp. 159-181.
3
Sull’assimilazione galenica di filosofia e τέχνη e la sua ascendenza ellenistica, si veda MARGHE-
RITA ISNARDI PARENTE, “Techne”, La parola del passato, 1961, 16: 257-296.
4
BOUDON-MILLOT, Exhortation à l’étude de la médicine (cit. n. 1), pp. 34-35.
— 16 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
τέχναι, e per questo acquistarono onori pari a quelli degli dei, di cui erano
considerati ministri.5 In modo analogo, un passo del De methodo medendi (10,
12 K.) elenca «Socrate e Licurgo e gli altri che l’oracolo pizio ha lodato come
sapienti, o servi delle Muse, o ministri del dio, o recanti un qualche segno
divino ». In accordo con la religione olimpica tradizionale, il riconoscimento
della natura divina di Licurgo e di Socrate è affidato all’oracolo di Apollo,
che anche nel Protrettico è evocato a proposito delle medesime figure (9,7
Boudon-Millot = 1,22-23 K.): la Pizia, infatti, salutò Socrate come «il più
sapiente di tutti gli uomini» (ἀνδρῶν ἁπάντων σοφώτατος) e Licurgo come
«caro a Zeus e a tutti coloro che abitano le dimore dell’Olimpo» (Ζηνὶ φίλος
καὶ πᾶσιν Ὀλύμπια δώματ’ἔχουσι). Inoltre, aggiunge Galeno, la stessa Pizia ne-
gò l’accesso al tempio all’assassino del poeta Archiloco, ministro delle Muse.
Il valore paradigmatico degli exempla scelti da Galeno è supportato da
una lunga e autorevole tradizione. L’eroizzazione di uomini particolarmente
illustri è, infatti, un processo ampiamente documentato all’interno dell’uni-
verso religioso greco, che non demarca in modo invalicabile la distinzione tra
umano e divino.6 La natura sovraumana di legislatori e poeti è testimoniata
da una ricca tradizione, riflessa nelle biografie di matrice ellenistica; queste
collezionano aneddoti che enfatizzano le straordinarie capacità di tali uo-
mini, ricordano la sacra origine della loro conoscenza (dono degli dèi e
delle Muse),7 e ne richiamano il lignaggio divino.8 Gli stessi furono oggetti
di culti post mortem, in genere celebrati in luoghi specifici, quali tombe o
templi a loro dedicati. Le parole con cui Licurgo fu accolto a Delfi sono già
ricordate da Erodoto, che testimonia la fondazione di un tempio in suo onore
a Sparta (1,65-66). Confermano la notizia Aristotele (pol. 1269a29-1271b19)
e lo storico Eforo (Strab. 8,5,5 = FGrHist 70 F 118), che difende il ruolo
di Licurgo come primo legislatore spartano, evidenziando come «per il solo
Licurgo sia stato innalzato un tempio e si fanno sacrifici ogni anno» (μόνῳ
γοῦν Λυκούργῳ ἱερὸν ἱδρῦσθαι καὶ θύεσθαι κατ᾽ ἔτος).9 Secondo le recenti
5
Del resto, nell’incipit del Protrettico (1,3 Boudon-Millot = 1,2 K.) gli stessi dèi sono presentati
come cultori e maestri d’arte, e le τέχναι sono dette divine (θείαι) in quanto praticate dagli dèi (la
medicina da Asclepio e il tirar d’arco, la musica e la divinazione da Apollo) e patrocinate dalle Muse.
6
Si veda, ad esempio, LEWIS R. FARNELL, Greek Hero Cults and Ideas of Immortality (Oxford:
Oxford UP, 1921), in part. pp. 361-372.
7
Un catalogo di poeti e legislatori che, ancora in vita, furono riconosciuti divini dagli stessi dèi
olimpici con cui ebbero un dialogo diretto, è fornito da Plut. Num. 4,6; sono elencati, tra gli altri,
Esiodo, Archiloco, Pindaro, Sofocle e Licurgo.
8
Sulle vite dei poeti, si veda MARY F. LEFKOWITZ, The Lives of the Greek Poets (Baltimore: The
John Hopkins UP, 20122).
9
Fonti più vicine a Galeno continuano a mantenere viva tale tradizione; si vedano, in
particolare, Diod. Sic. 7,12; Paus. 3,16,6; Plut. Lyc. 31,4-5.
— 17 —
MATTEO MARTELLI
ricerche di Diskin Clay, Archiloco fu eroizzato a Paro già nel VI sec. a.C.; una
viva testimonianza di tale culto è offerta dalla nota iscrizione fatta incidere
da Mnesiepes (III sec. a.C.) in occasione di una ristrutturazione del tempio
dedicato al poeta nell’isola (archilocheion): il testo epigrafico enfatizza la
natura divina di Archiloco, a cui le Muse rivelarono la conoscenza poetica.10
Infine, il culto di Omero – presentato da una ricca tradizione biografica come
discendente degli stessi eroi da lui descritti (ad esempio Odisseo) o della musa
Calliope11 – è ampiamente testimoniato in età ellenistica, quando lo stesso
Tolemeo fece erigere un tempio in onore del poeta ad Alessandria.
A tali figure Galeno equipara Socrate e Platone; del resto, l’associazione
tra poeti, legislatori e antichi sapienti è già attestata in un frammento del
Mousaion di Alcidamante (IV sec. a.C.), allievo di Gorgia, che ricorda gli
onori attribuiti ai poeti Archiloco, Omero e Saffo, ai legislatori Licurgo e
Solone, e ai sapienti Chilone, Pitagora e Anassagora.12 Il culto di Socrate e
Platone sembra essersi sviluppato già all’interno dell’Accademia antica. Lo
stretto rapporto di Socrate col suo δαιμόνιον – la cui natura fu oggetto di
discussione in trattati di vari filosofi medio-platonici13 – sembra all’origine
di una tradizione che insiste sulla figura del filosofo come uomo divino.14
Tale tradizione è ben rappresentata nel dialogo pseudo-platonico Teagene,
che potrebbe supportare l’ipotesi che la figura di Socrate sia stata oggetto
di culto già nell’Accademica antica.15 Speusippo, inoltre, riporta la storia
10
Cf. DISKIN CLAY, Archilochos Heros. The Cult of Poets in the Greek Polis (Cambridge,
Massachusetts: Harvard UP, 2004). Le iscrizioni di Mnesiepes sono riprodotte e tradotte alle pp.
104-110. Lo studio, inoltre, presenta tutte le fonti principali sul culto dei poeti antichi (pp. 99-153).
11
Cf. PAOLA BASSINO, Homer: A Guide to Selected Sources (Durham: 2014), <https://livingpoets.
dur.ac.uk/w/Homer:_A_Guide_to_Selected_Sources>.
12
Fr. 10 in Alcidamante. Orazioni e frammenti, testo, traduzione, introduzione e note a cura di
Guido Avezzù (Roma: L’Erma di Bretschneider, 1982). Il passo, citato dalla Retorica di Aristotele
(1398b11-17), dice riguardo Anassagora (= 59 A 23 D.-K.) Λαμψακηνοὶ Ἀναξαγόραν ξένον ὄντα
ἔθαψαν καὶ τιμῶσι ἔτι καὶ νῦν, «i Lampsaceni, diedero sepoltura ad Anassagora, anche se straniero, e
lo onorano ancora oggi». Si veda anche il fr. A 24 D.-K. (Ael. VH 8,19), dove si ricorda che un altare
fu eretto per il filosofo. Cf. Anaxagoras of Clazomenae, Fragments and Testimonia, A Text and Trans-
lation with Notes and Essays by Patricia Curd (Toronto: University of Toronto Press, 2007), p. 136.
13
Sono giunte fino a noi, ad esempio, le trattazioni complete di Plutarco (De genio Socratis) e
Apuleio (De deo Socratis).
14
Si veda, in particolare, ARTHUR J. DROGE, “That Unpredictable Little Beast: Traces of an
Other Socrates”, in Reading Religions in the Ancient World. Essays Presented to Robert McQueen
Grant on his 90th Birthday, edited by David E. Aune, Robin Darling Young (Leiden: Brill, 2007),
pp. 56-80.
15
Cf. STEPHEN A. WHITE, “Socrates at Colonus. A Hero for the Academy”, in Reason and
Religion in Socratic Philosophy, edited by Nicholas D. Smith, Paul B. Woodruff (Oxford: Oxford
UP, 2000), pp. 151-175. Una statua di Socrate nell’Accademia è ricordata da Filodemo nella sua
Storia dell’Accademia (o Index academicorum); cf. PHerc. 1021 col. 2,12 ss. (passo dipendente
— 18 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
dall’attidografo Filocoro, III sec. a.C.) in Filodemo, Storia dei filosofi. Platone e l’accademia, edizione,
traduzione e commento di Tiziano Dorandi (Napoli: Bibliopolis, 1991), p. 128. Porfirio (III sec.)
nella Vita di Plotino (2,37-43) ricorda come il maestro non rivelò mai ai suoi allievi il suo giorno di
nascita, perché non si celebrassero banchetti o sacrifici in quell’occasione, sebbene lui stesso facesse
sacrifici e offrisse un banchetto in occasione dei genetliaci tradizionali di Socrate e Platone. Marino
(V sec.), inoltre, nella Vita di Proclo (10,259) menziona un Sokrateion vicino le mura del Pireo,
presso il quale Proclo soleva sostare.
16
Cf. frr. 121 (= D. L. 3,2) e 122 (Hier. adv. Jovin. 1,42) in Speusippo. Frammenti, edizione, traduzione
e commento a cura di Margherita Isnardi Parente (Napoli: Bibliopolis, 1980). Si veda anche il fr. 126, tratto
da Su Platone e la sua dottrina (1,2), dove Apuleio commenta la notizia dell’origine divina di Platone
(tratta da Speusippo), dicendo: Talis igitur ac de talibus, Plato non solum heroum virtutibus praestitit,
verum etiam aequiperavit divum potestatibus. Le varie fonti sulla nascita apollinea di Platone sono
presentate e discusse da ALICE SWIFT RIGINOS, Platonica. The Anecdotes Concerning the Life and
Writings of Plato (Leiden: Brill, 1976), pp. 9-32.
17
Cf. Test. 1 in ISNARDI PARENTE, Speusippo (cit. n. 16), con relativo commento, che insiste sul-
l’associazione tra la figura di Socrate e le Cariti/Muse. La notizia è tratta dalla Storia dell’Accademia
di Filodemo (PHerc. 1021, col. 6, in DORANDI, Filodemo [cit. n. 15], p. 136), dipendente anche in
questo caso da Filocoro.
18
Sul rapporto tra culto delle Muse ed eroizzazione/divinizzazione nell’Accademia antica, si
veda PIERRE BOYANCÉ, Le culte des Muses chez les philosophes grecs: études d’histoire et de psychologie
religieuses (Paris: Éd. De Boccard, 19382), pp. 244-275.
19
Pausania (1,30,2-3) ricorda la tomba di Platone ad Atene, e riporta di un sogno premonitore
inviato dagli dèi a Socrate (l’apparizione di un cigno, legato al dio Apollo) per annunciare la
grandezza del filosofo. Sul culto di Platone a Roma presso la scuola di Plotino, cf. supra, n. 15.
20
Cf. OWSEI TEMKIN, Hippocrates in a World of Pagans and Christians (Baltimore-London: The
John Hopkins UP, 1991), pp. 50-75; HELEN KINGS, “The Origins of Medicine in the Second Century
AD”, in Rethinking Revolutions Through Ancient Greece, edited by Simon Goldhill, Robin Osborne
(Cambridge: Cambridge UP, 2006), pp. 246-263, in part. pp. 250-258.
21
Cf. SUSAN M. SHERWIN-WHITE, Ancient Cos. An Historical Study from the Dorian Settlement
to the Imperial Period (Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1978), pp. 354-56; JACQUES JOUANNA,
Ippocrate (Torino: SEI, 1994), pp. 38-41.
— 19 —
MATTEO MARTELLI
22
Si veda GIULIA ECCA, “Un inno cletico nella X Epistola pseudippocratica”, Seminari romani
di cultura greca, 2009, 12: 271-288.
23
Testo greco in Hippocrates Pseudepigraphic Writings. Letters, Embassy, Speech from the Altar,
Decree, edited and translated with an introduction by Wesley D. Smith (Leiden: Brill, 1990), pp. 49-
51 (ep. 2,8-31) Οὗτος θείᾳ φύσει κέχρηται, καὶ ἐκ μικρῶν καὶ ἰδιωτικῶν εἰς μεγάλα καὶ τεχνικὰ προήγαγε
τὴν ἰητρικήν […]· ὥστε κατ᾽ ἀμφότερα τὰ σπέρματα θεῶν ἀπόγονός ἐστιν ὁ θεῖος Ἱπποκράτης, πρὸς
μὲν πατρὸς Ἀσκληπιάδης ὤν, πρὸς δὲ μητρὸς Ἡρακλείδης. Ἔμαθε δὲ τὴν τέχνην παρά τε τῷ πατρὶ
Ἡρακλείδῃ καὶ παρὰ τῷ πάππῳ Ἱπποκράτει. ἀλλὰ παρὰ μὲν τούτοις, ὡς εἰκός, τὰ πρῶτα ἐμυήθη τῆς
ἰητρικῆς, ὅσα πιθανὸν ἦν καὶ τούτους εἰδέναι. τὴν δὲ σύμπασαν τέχνην αὐτὸς ἑωυτὸν ἐδιδάξατο, ἐνθείᾳ
φύσει κεχρημένος, καὶ τοσοῦτον ὑπερβεβηκὼς τῇ τῆς ψυχῆς εὐφυΐᾳ τοὺς προγόνους, ὅσον διενήνοχεν
αὐτῶν καὶ τῇ τῆς τέχνης ἀρετῇ. καθαίρει δὲ οὐ θηρίων μὲν γένος, θηριωδῶν δὲ νοσημάτων καὶ ἀγρίων
πολλὴν γῆν καὶ θάλατταν διασπείρων πανταχοῦ, ὥσπερ ὁ Τριπτόλεμος τὰ τῆς Δήμητρος σπέρματα, τὰ
τοῦ Ἀσκληπιοῦ βοηθήματα. τοιγαροῦν ἐνδικώτατα καὶ αὐτὸς ἀνιέρευται πολλαχοῦ τῆς γῆς ἠξίωταί τε
τῶν αὐτῶν Ἡρακλεῖ τε καὶ Ἀσκληπιῷ ὑπὸ Ἀθηναίων δωρεῶν. […] οὗτος γὰρ ἐπίσταται οὐχ ἕνα τρόπον
τῆς ἰήσιος τοῦ πάθους, οὗτος πατὴρ ὑγείας, οὗτος σωτήρ, οὗτος ἀκεσώδυνος, οὗτος ἁπλῶς ἡγεμὼν τῆς
θεοπρεποῦς ἐπιστήμης. Traduzione di AMNERIS ROSELLI, Ippocrate. Lettere sulla follia di Democrito
(Napoli: Liguori, 1998), p. 25.
— 20 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
Simili notizie sono confermate da fonti del I-II sec. d.C.: Plinio (nat. 7,37)
ricorda gli onori post mortem attribuiti ad Ippocrate, che fu venerato come
Eracle ad Atene poiché salvò gli abitanti della polis dalla peste periclea; onori
in vita, invece, sono elencati nel Decreto degli ateniesi, uno scritto tramandato
da alcuni manoscritti assieme alle Lettere, che elenca i riconoscimenti
attribuiti al medico in cambio dei grandi benefici prestati durante l’epidemia:
l’iniziazione ai misteri a pubbliche spese (come fu per Eracle), l’incoronazione
durante le grandi Panatenee, il diritto per tutti i cittadini di Cos di diventare
efebi in Atene, ed un posto a vita nella pritania al Pireo.24 Simili onori sono
ricordati nella Vita di Ippocrate secondo Sorano, una biografia anonima che
ribadisce la discendenza divina del medico (§ 1), ricorda che gli abitanti di
Cos onoravano Ippocrate ogni anno in occasione del suo genetliaco (§ 3), e
riferisce della sua tomba tra Gritone e Larissa, sulla quale le api producevano
un miele usato da molte nutrici per guarire i bambini (§ 11).25
24
SMITH, Hippocrates Pseudepigraphic Writings (cit. n. 23), pp. 106-107. Si veda anche JODY
RUBIN PINAULT, Hippocratic Lives and Legends (Leiden: Brill, 1992), pp. 35-60.
25
Edizione della Vita in Sorani Gynaeciorum libri IV, De Signis fracturarum, De fasciis, Vita
Hippocratis secundum Soranum, edidit Joannes Ilberg, CMG 4 (Leipzig-Berlin: Teubner, 1927),
pp. 175-178. È noto anche il passo di Luciano (L’amante della menzogna, § 21), che racconta dei
sacrifici offerti annualmente dal medico Antigono ad una statuetta di Ippocrate.
26
Cf. MAREK WINIARCZYK, The “Sacred History” of Euhemerus of Messene (Berlin: De Gruyter,
2013), pp. 41-46 (con ampia bibliografia).
— 21 —
MATTEO MARTELLI
perché hanno ben corso nelle gare e lanciato il disco o lottato fino alla vittoria, ma per
i benefici che derivano dalle arti (διὰ τὴν ἀπὸ τῶν τεχνῶν εὐεργεσίαν)? Così Asclepio
e Dioniso, fossero uomini prima o in origine dèi, sono stimati degni di grandissimi
onori, l’uno per l’arte medica, l’altro perché insegnò la viticultura.27
27
Gal. protr. 9,5-6 (101 Boudon-Millot = 1,57 K.) τίς δ᾽ οὐκ οἶδεν ὡς καὶ τοὺς θεοὺς δι᾽ οὐδὲν
ἄλλ᾽ἢ διὰ τὰς τέχνας ἐπαινουμένους, οὕτως καὶ τῶν ἀνθρώπων τοὺς ἀρίστους θείας ἀξιωθῆναι τιμῆς,
οὐχ ὅτι καλῶς ἔδραμον ἐν τοῖς ἀγῶσιν ἢ δίσκον ἔρριψαν ἢ διεπάλαισαν, ἀλλὰ διὰ τὴν ἀπὸ τῶν τεχνῶν
εὐεργεσίαν; Ἀσκληπιός γέ τοι καὶ Διόνυσος, εἴτ᾽ ἄνθρωποι πρότερον ἤστην, εἴτ᾽ ἀρχῆθεν θεοί, τιμῶν
ἀξιοῦνται μεγίστων, ὁ μὲν διὰ τὴν ἰατρικήν, ὁ δ᾽ ὅτι τὴν περὶ τὰς ἀμπέλους ἡμᾶς τέχνην ἐδίδαξεν.
Traduzione in BARIGAZZI, Exortatio (cit. n. 1), p. 133.
28
Si deve sottolineare che Asclepio sembra essere stato originariamente un eroe e non un
dio olimpico: cf., ad es., BOUDON-MILLOT, Exhortation à l’étude de la médicine (cit. n. 1), p. 136,
n. 4; WINIARCZYK, The Sacred History (cit. n. 26), pp. 31-32. La sua natura divina era comunque
pienamente riconosciuta ai tempi di Galeno.
29
Cf. frr. 70-78 in Prodicus the Sophist, Texts, Translations and Commentary by Robert
Mayhew (Oxford: Oxford UP, 2011). Tale teoria sembra sviluppata nell’opera intitolata Horai; cf. in
part. pp. XXI-XXIII e 175-194.
30
Fr. 18 D.-K. οὔτοι ἀπ’ ἀρχῆς πάντα θεοὶ θνητοῖσ’ ὑπέδειξαν, / ἀλλὰ χρόνωι ζητοῦντες ἐφευ
ρίσκουσιν ἄμεινον. Cf. ALEXANDER TULIN, “Xenophanes Fr. 18 D.-K. and the Origins of the Idea of
Progress”, Hermes, 1993, 121: 129-138.
31
Cf. ALBERT HENRICHS, “The Sophists and Hellenistic Religion: Prodicus as the Spiritual
Father of the Isis Aretalogies”, Harvard Studies in Classical Philology, 1984, 88: 139-158 (in part.
pp. 141-142).
— 22 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
32
THOMAS COLE, Democritus and the Sources of Greek Anthropology (Cleveland: American Phi-
lological Association, 1967). La base testuale per l’indagine di Cole è costituita da cinque passi: Diod.
Sic. 1,7-8 (e passim); Vitr. 2,33; Lucr. 5,925-1457; Sen. ep. 90; scolî di Giovanni Tzetze all’Iliade e ad
Esiodo. Cf. anche JEAN SALEM, Démocrite. Grains de poussière dans un rayon de soleil (Paris: Vrin,
2002), pp. 265-286.
33
Cf. COLE, Greek Anthropology (cit. n. 32), pp. 39-46.
34
Si veda, in particolare, Diod. Sic. 1,13,1 Ἄλλους δ’ ἐκ τούτων ἐπιγείους γενέσθαι φασίν,
ὑπάρξαντας μὲν θνητούς, διὰ δὲ σύνεσιν καὶ κοινὴν ἀνθρώπων εὐεργεσίαν τετευχότας τῆς ἀθανασίας,
ὧν ἐνίους καὶ βασιλεῖς γεγονέναι κατὰ τὴν Αἴγυπτον. Sul rapporto tra Prodico ed Ecateo, si veda in
particolare HENRICHS, “The Sophists and Hellenistic Religion” (cit. n. 31), pp. 147-148.
35
FrGrHist 659 F 5-6; cf. WINIARCZYK, The Sacred History (cit. n. 26), pp. 66-68 e 131-132;
inoltre si veda COLE, Greek Anthropology (cit. n. 32), pp. 153-163 per un raffronto tra Ecateo, Leone
e Evemero.
— 23 —
MATTEO MARTELLI
36
Si veda, in particolare, HENRICHS, “The Sophists and Hellenistic Religion” (cit. n. 31).
37
Cf. ADOLF KLEINGÜNTHER, Πρῶτος εὑρετής. Untersuchungen zur Geschichte einer Fragestellung
(Leipzig: Dieterich’sche Verlagsbuchhandlung, 1933); LEONID ZHMUD, The Origin of the History of
Science in Classical Antiquity (Berlin: De Gruyter, 2006), pp. 23-44.
38
Il lessico Suda (σ 442 Adler, s.v. Σιμωνίδης Κεῖος = FGrHist 7 F 1) attribuisce uno scritto
intitolato Εὑρήματα (Scoperte) anche al mitografo Simonide, attivo prima della guerra del Pelopon-
neso e forse nipote del famoso e omonimo lirico di Chio; cf. ROBERT LOUIS FOWLER, Early Greek
Mythography, vol. 1, Text and Introduction (Oxford: Oxford UP, 2000), p. 368; vol. 2, Commentary
(Oxford: Oxford UP, 2013), p. 729.
39
FGrHist 323a T 1 Ἑλλάνικος, Μιτυληναῖος, ἱστορικός· υἱὸς Ἀνδρομένους, οἱ δὲ Ἀριστομένους,
οἱ δὲ Σκάμωνος, οὗ ὁμώνυμον ἔσχεν υἱόν κτλ., «Ellanico di Mitilene, storico: figlio di Andromene,
secondo altri di Aristomene, secondo altri di Scamone; lo stesso nome portava anche uno dei suoi
figli». Cf. FOWLER, Early Greek Mythography (cit. n. 38), vol. 2, p. 731.
40
Cf. L’opera storiografica di Ellanico di Lesbo, introduzione, traduzione delle testimonianze
e dei frammenti, commento storico a cura di Delfino Ambaglio (Pisa: Giardini, 1980), p. 38. In
campo musicale, l’invenzione dei cori ciclici è discussa nella cronaca intitolata Vincitori delle Car-
nee (FGrHist 4 F 86); la scoperta della fabbricazione delle armi è attribuita ai Sami in Sulla fon-
dazione di Chio (FGrHist 4 F 71b). Si deve, inoltre, ricordare che tra le opere d’ispirazione ge-
nealogico-mitografica (ad es. Deucalionea, Atlantide e Asopide) ritroviamo lo scritto Foronide, che
probabilmente annovera tra le sue fonti un poema epico dal medesimo titolo (inizi VI sec. a.C.) in
cui compare la più antica esplicita menzione del motivo del πρῶτος εὑρετής. Secondo uno scolio ad
Apollonio Rodio 1,1129, il poema Foronide affermava che i maghi Idei «per primi nelle boscose valli
montane scoprirono l’arte dell’ingegnoso Efesto, il livido ferro, e lo posero sul fuoco e diedero vita
a un’opera eccellente». Cf. AMBAGLIO, Ellanico di Lesbo, pp. 63-64. Sul rapporto tra la Foronide di
Ellanico e l’omonimo poema epico, cf. KLAUS ALPERS, “Hellanikos von Lesbos, Apollodor und die
mythographische frühgriechische Epik”, Abhandlungen der Braunschweigischen Wissenschaftlichen
Gesellschaft, 2002, 52: 9-35.
41
In particolare in Erodoto è evidente la tendenza ad attribuire importanti scoperte ai popoli
vicino-orientali, in primis agli antichi Egiziani e al loro clero e, seppur in misura minore, ai Babilonesi;
cf. KLEINGÜNTHER, Πρῶτος εὑρετής (cit. n. 37), pp 43-65.
— 24 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
42
Un chiaro elenco (seppure incompleto) di autori di Περὶ εὑρημάτων è riportato da Clemente
Alessandrino, Stromateis 1,16,77 Σκάμων μὲν οὖν ὁ Μιτυληναῖος καὶ Θεόφραστος ὁ Ἐρέσιος Κύδιππός
τε ὁ Μαντινεύς, ἔτι τε Ἀντιφάνης καὶ Ἀριστόδημος καὶ Ἀριστοτέλης, πρὸς τούτοις δὲ Φιλοστέφανος,
ἀλλὰ καὶ Στράτων ὁ Περιπατητικὸς ἐν τοῖς Περὶ εὑρημάτων ταῦτα ἱστόρησαν, «Scamone di Mitilene
e Teofrasto di Ereso, e Cidippo di Mantinea, e ancora Antifane e Aristodemo e Aristotele, e oltre
costoro Filostefano, ma anche Stratone il peripatetico riportano queste notizie nei loro scritti Sulle
scoperte». La medesima lista è riportata anche da Eusebio (PE 10, 6,14).
43
Per un’analisi di queste fonti rimangono ancora essenziali i lavori di PAUL EICHOLZ, De scrip-
toribus περὶ εὑρημάτων (Halle: Diss. 1867) e MARTIN KREMMER, De Catalogis heurematum (Leipzig:
Diss. 1890). La lista di Plinio è ora commentata in dettaglio in The Elder Pliny on the Human
Animal. Natural History, Book 7, translated with introduction and commentary by Mary Beagon
(Oxford: Clarendon Press, 2005).
44
Plin. nat. 7,191 Ceres frumenta, cum antea glande vescerentur, eadem molere et conficere
in Attica, ut ali<i>, <et> in Sicilia, ob id dea iudicata. Cf. COLE, Greek Anthropology (cit. n. 32),
pp. 49-50.
45
Plin. nat. 7,192 Litteras semper arbitror Assyrias fuisse, sed alii apud Aegyptios a Mercurio ut
Gellius, alii apud Syros repertas volunt, utrique in Graeciam attulisse e Phoenice Cadmum sedecim
numero, quibus Troiano bello Palameden adiecisse quattuor hac figura Ζ Υ Φ Χ, totidem post eum
Simoniden melicum Ψ Ξ Ω Θ, quarum omnium vis in nostris recognoscitur. L’invenzione dell’alfabeto
rappresenta un tema caro alla letteratura Sulle scoperte; già Scamone (FGrHist 476 F 3) nel secondo
libro del suo Περὶ εὑρημάτων la attribuisce a Fenice, figlia del mitico re dell’Attica Atteo, morta
prematuramente. Il padre, per onorare il nome della figlia, diede alle lettere dell’alfabeto il nome di
«lettere fenice».
46
Plin. nat. 7,203 astrologiam Atlans Libyae filius, ut alii, Aegyptii, ut alii, Assyrii, sp<h>aeram
in ea Milesius Anaximander.
— 25 —
MATTEO MARTELLI
sembra sottendere una certa continuità nelle scoperte avvenute in differenti fasi
dello sviluppo della civiltà. Sebbene non vi sia un’esplicita equiparazione tra i
personaggi divini e quelli umani, il loro accostamento potrebbe alludere a una
sorta di assimilazione, in linea del resto col carattere epidittico della letteratura
Περὶ εὑρημάτων.47
D’altro lato, la ricezione delle teorie di Prodico e della Kulturgeschichte
di matrice democritea è ben attestata all’interno di diverse scuole filosofiche
ellenistiche. In ambito epicureo, Filodemo nel suo scritto Sulla pietà (PHerc.
1077, fr. 19,519-41)48 riferisce di un catalogo di antichi atei, tra cui compariva
anche Prodico,49 che erano criticati nel dodicesimo libro del Περὶ φύσεως di
Epicuro. Sedley inserisce tale catalogo nella sezione conclusiva del libro, che
verosimilmente trattava «the origins of civilisation»:50 la filosofia epicurea,
infatti, non negava l’esistenza degli dèi, ma il loro aiuto nel processo di lento
e drammatico affrancamento dell’uomo dal suo originario stato ferino. Temi
cari a Prodico e alla letteratura evemeristica sono stati riconosciuti nell’inno
a Epicuro che apre il V libro del De rerum natura (vv. 1-54);51 proprio contro
tale sfondo emerge la figura del filosofo come deus mortalis, la cui scoperta
della ratio vitae è paragonata ai benefici εὑρήματα falsamente attribuiti agli
dèi. Se Epicuro doveva concordare con Prodico nel riconoscere la prove-
nienza esclusivamente umana degli εὑρήματα, egli non poteva accettare la dei-
ficazione dei loro scopritori. La filosofia epicurea era tesa proprio a liberare gli
uomini dalla paura degli dèi, basata sulla falsa convinzione che questi possano
influenzare la storia dell’uomo e la sua vita presente. Tutta la Kulturgeschichte
sviluppata nel V libro vuole dimostrare l’estraneità degli dèi nel progressivo
processo di invenzione delle arti che aiutano gli uomini. E all’inizio del libro
VI, come sottolinea la Isnardi Parente:52
47
Cf. ZHMUD, The Origin of the History of Science (cit. n. 37), p. 26; KLAUS THRAEDE, “Das Lob des
Erfinders. Bemerkungen zur Analyse der Heuremata-Kataloge”, Rheinisches Museum, 1962, 105: 158-186.
48
Cf. Philodemus. On Piety. Part 1, Critical text with Commentary by Dirk Obbink (Oxford:
Oxford UP, 1996).
49
Fr. 70 MAYHEW, Prodicus (cit. n. 29).
50
DAVID N. SEDLEY, Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom (Cambridge:
Cambridge UP, 1998), p. 122. Cf. anche ALEXANDER L. VERLINSKY, “The Epicureans Against the
«First Inventors»: Lucr. V, 1041-1055; Diog. Oen. fr. 12 Smith; Sext. Emp. Adv. math. IX,30-33”,
Hyperboreus 1998, 4: 302-339 (in russo con abstract in inglese).
51
MONICA R. GALE, Myth and Poetry in Lucretius (Cambridge: Cambridge UP, 1994), pp. 75-
80. Per un’interpretazione dell’incipit del V libro che insiste sulla rielaborazione di elementi tratti
dalla teoria platonica della ὁμοίωσις θεῷ (come sviluppata nel Timeo e nelle Leggi), cf. ERLER, “Epi-
curus as deus mortalis” (cit. n. 2).
52
MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Techne. Momenti del pensiero greco da Platone a Epicuro
(Firenze: La Nuova Italia, 1966), pp. 409-410.
— 26 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
Lucrezio avverte che Epicuro elaborò la sua dottrina filosofica accorgendosi che
questo processo di invenzione utile e positiva, volta a migliorare la vita umana, era
ormai giunto al suo termine, che il regno degli εὑρήματα era chiuso […]. La nuova,
ultima, definitiva téchne, il nuovo εὕρημα venuto a completare tutti gli altri è la filo-
sofia, s’intende, è la filosofia di Epicuro. Essa è la vera sovvertitrice e abolitrice del
dolore, la vera e reale βοήθεια.
La notizia è confermata da Cicerone (De natura deorum 1,38), che critica Perseo
per aver sostenuto che gli uomini venerarono come divinità quanti contribuirono
con le loro scoperte al progresso dell’umanità.54 L’accusa di ateismo mossa a un
filosofo stoico sembra certo una contraddizione in termini; come recentemente
sottolineato da Richard Bett, è verosimile supporre che Perseo reinterpretasse la
teoria di Prodico come una prova del fatto che già gli uomini antichi riconobbero
in qualche misura la natura divina del pneuma che si manifestava tanto negli
elementi benefici del mondo naturale (quali la terra, il sole, i fiumi) quanto nella
parte più elevata dell’anima dei primi inventori.55 L’assimilazione del saggio stoico
53
Il testo greco, come riportato da MAYHEW, Prodicus (cit. n. 29), fr. 71, recita Περσα[ῖος δὲ]
δῆλός ἐστιν [ἀναιρῶν] ὄντω[ς κ]α[ὶ ἀφανί]ζων τὸ δαιμόνιον ἢ μηθὲν ὑπὲρ αὐτοῦ γινώσκων, ὅταν ἐν τῷ
Περὶ θεῶν μὴ [ἀπ]ίθανα λέγῃ φαίνεσθαι τὰ περὶ <τοῦ> τὰ τρέφοντα καὶ ὠφελοῦντα θεοὺς νενομίσθαι
καὶ τετειμῆσθ[αι] πρῶτον ὑπὸ [Προ]δίκου γεγραμμένα, μ[ε]τὰ δὲ ταῦτα τοὺ[ς εὑρ]όντας ἢ τροφὰς ἢ
[σ]κέπας ἢ ἄλλας τέχνας ὡς Δήμητρα καὶ Δι[όνυσον] καὶ τοὺ[ς Διοσκούρ]ου[ς.
54
Il testo latino recita At Persaeus eiusdem Zenonis auditor eos esse habitos deos a quibus aliqua
magna utilitas ad vitae cultum esset inventa, ipsasque res utiles et salutares deorum esse vocabulis nun-
cupatas, ut ne hoc quidem diceret, illa inventa esse deorum, sed ipsa divina.
55
RICHARD BETT, “Language, Gods, and Virtue: A Discussion of Robert Mayhew, Prodicus the
Sophist”, Oxford Studies in Ancient Philosophy, 2013, 44: 299-312 (in part. pp. 300-302). Si veda
anche WINIARCZYK, The Sacred History (cit. n. 26), pp. 129-131, che ricorda come all’interno della
spiegazione data dagli stoici all’origine del concetto di ‘dèi’, fossero individuate sette categorie di
divinità, l’ultima delle quali rappresentata dagli uomini benefattori che furono deificati.
— 27 —
MATTEO MARTELLI
alla divinità è di certo un elemento centrale della filosofia della stoa; la teoria
di Prodico, tuttavia, portava in sé un elemento non facilmente integrabile: la
centralità delle τέχναι, scoperte e insegnate dagli antichi sapienti (o sovrani nelle
rielaborazioni di Ecateo ed Evemero), che non corrispondeva alla ricerca della
virtù, identificata con il principale obiettivo del saggio stoico. Solo con Posidonio,
secondo la testimonianza di Seneca (ep. 90), si delineerà una figura di saggio stoico
‘scopritore’ di arti; il filosofo, infatti, riteneva che reges sapientes, che guidarono
con benevolenza gli uomini di una antichissima età dell’oro, grazie alla loro
sapienza inventarono le arti e le insegnarono agli uomini.56 Inoltre, ancora secondo
Posidonio, tale funzione di εὑρετής è stata continuata anche dai filosofi più re-
centi, quali Democrito (inventore della volta) e Anacarsi (inventore della ruota
da vasaio), che dovranno verosimilmente essere considerati esempi di saggezza
stoica. Se la figura di Anacarsi è caratteristica della tradizione hereumatografica,57
la competenza tecnica e la πολυμαθία di Democrito è evidenziata da varie fonti di
età tardo ellenistica e imperiale.58 In particolare, le lettere pseudo-ippocratiche,
che definiscono Democrito come «corpo della sapienza» (σῶμα σοφίης, ep. 10,2,
p. 56,27 Smith = 9,324 Littré), dipingono il filosofo, visitato dal medico Ippocrate,
come totalmente assorto nella scrittura di un libro sulla follia umana, basato
anche sulle dissezioni che lo stesso avrebbe compiuto sugli animali (cf. ep. 17).
Tale connubio di teoria ed esperimento, cifra di una ricerca filosofica portata
all’estremo (ὑπερφιλοσοφεῖν; ep. 17,1, p. 74,2 Smith = 9,348 Littré), permise al
filosofo di istruire Ippocrate sulla pazzia degli uomini, tanto da essere ricono-
sciuto dal medico come un uomo dall’aspetto divino (θεοειδής; ep. 17,10, p. 90,25
Smith = 9,378 Littré).
56
Cf. GIOVANNI ZAGO, Sapienza filosofica e cultura materiale. Posidonio e le altre fonti dell’Epi-
stola 90 di Seneca (Bologna: il Mulino, 2012) per una convincente ed informata ricostruzione della
teoria che Posidonio sviluppò verosimilmente nel suo Protrettico (si vedano in part. le pp. 139-193
sull’invenzione delle arti).
57
Secondo Diogene Laerzio (1,141 = FGrHist 70 F 182), Eforo – autore di uno scritto Sulle
invenzioni (cf. supra) – avrebbe introdotto Anacarsi al posto di Misone tra i sette sapienti. In un
lungo frammento delle Storie riportato da Strabone (7,3,9 = FGrHist 70 F 42), Eforo si sofferma
sul campione della popolazione scita, dipinto soprattutto come abile inventore: Anacarsi, infatti,
avrebbe, scoperto il mantice per la fiamma, l’ancora a due punte e la ruota da vasaio. Tali attribuzioni –
di cui Eforo sembra la fonte più antica – sono contestate dallo stesso Strabone, che cita un verso
omerico dell’Iliade (Σ 600) in cui si fa menzione della ruota del vasaio. Seneca (ep. 90,31), tuttavia,
ci informa che l’autenticità del verso era contestata dagli antichi, tanto che non si può escludere che
Eforo leggesse una versione dell’Iliade che non lo conteneva; cf. GIOVANNI PARMEGGIANI, Eforo di
Cuma. Studi di storiografia greca (Bologna: Pàtron, 2011), p. 694, n. 239.
58
Sulla ricezione di Democrito come medico, si veda MARIA LAURA GEMELLI MARCIANO,
“Le Démocrite technicien. Remarques sur la réception de Démocrite dans la littérature technique”,
in Democritus: Science, the Arts, and the Care of the Soul, edited by Aldo Brancacci, Pierre-Marie
Morel (Leiden: Brill, 2007), pp. 207-237.
— 28 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
Due secoli più tardi di Posidonio, l’idea che l’uomo sapiente, capace an-
che di scoperte tecnologiche, fosse considerato l’espressione di un pneuma
divino, sembra riecheggiata nell’opera di Galeno. Si tratta, in particolare, di
un passo dell’ultimo libro del De usu partium, in cui il medico mostra la finalità
provvidenziale del funzionamento degli organi, che si svela a un’indagine
anatomo-fisiologica condotta secondo un rigoroso metodo scientifico. Infatti,
nel XVII libro – definito dallo stesso Galeno un inno agli dèi (4,366 K.),
come l’atto di fondazione di una religione della ragione scientifica, utile sia al
medico sia al filosofo59 – il medico scrive:
È possibile riconoscere la natura del nous (intelligenza) anche considerando gli
stessi uomini, Platone, Aristotele, Ipparco, Archimede, e molti altri di pari valore.
Se in una tale melma – come altro si potrebbe definire questo composto di carni,
sangue, flegma, bile gialla e bile nera – si trova un nous straordinario, quale eccellenza
bisognerà accordare al nous che si trova nel sole o nella luna o in qualche altro astro?
Riflettendo su questo, mi sembra che non poco nous si estenda anche nell’aria che
ci circonda. Poiché quest’aria per natura partecipa della luce del sole, non può non
partecipare anche della sua potenza. Tutto questo – lo so bene – apparirà chiaro
anche a te, qualora osservi attentamente e obiettivamente l’arte negli esseri viventi.60
59
Cf. MARIO VEGETTI, “L’immagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina
in Galeno”, Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, herausgegeben von Wolfgang Haase,
Hildegard Temporini, vol. 2,37,2 (Berlin-New York: De Gruyter, 1994), pp. 1672-1717 (in part.
pp. 1712-1714).
60
Gal. de usu part. 17,1 (testo edito in Galeni De usu partium libri XVII, vol. 2, ad codicum fi-
dem recensuit Georgius Helmreich [Leipzig: Teubner, 1909], pp. 446-447 = 4,359-360 K.) ἰδεῖν δ᾽ἔστι
νοῦ φύσιν καὶ κατ᾽αὐτοὺς τοὺς ἀνθρώπους ἐννοήσαντα Πλάτωνα καὶ Ἀριστοτέλη καὶ Ἵππαρχον καὶ
Ἀρχιμήδην καὶ πολλοὺς ἄλλους τοιούτους. ὁπότ᾽ οὖν ἐν βορβόρῳ τοσούτῳ – τί γὰρ ἂν ἄλλο τις εἴποι
τὸ συγκείμενον ἐκ σαρκῶν αἵματός τε καὶ φλέγματος καὶ χολῆς ξανθῆς καὶ μελαίνης – ἐπιγίγνεται
νοῦς περιττός, πόσην τινὰ χρὴ νομίζειν αὐτοῦ τὴν ὑπεροχὴν εἶναι καθ᾽ ἥλιον ἢ σελήνην ἤ τινα τῶν
ἀστέρων; ἐμοὶ μὲν γὰρ ταῦτα ἐννοοῦντι καὶ δι᾽αὐτοῦ τοῦ περιέχοντος ἡμᾶς ἀέρος οὐκ ὀλίγος τις ἐκ
τετάσθαι δοκεῖ νοῦς. οὐ γὰρ δὴ τῆς μὲν αὐγῆς τῆς ἡλιακῆς μεταλαμβάνειν πέφυκεν, οὐχὶ δὲ καὶ τῆς
δυνάμεως αὐτῆς. οἶδ᾽, ὅτι καὶ σοὶ δόξει ταῦτα πάντα τὴν ἐν τοῖς ζῴοις τέχνην ἀκριβῶς τε καὶ δικαίως
ἐπισκεψαμένῳ.
61
Si deve però precisare che non sono attestatati culti legati alle figure di Ipparco e Archimede.
— 29 —
MATTEO MARTELLI
geometria sono del resto elencate assieme a medicina e filosofia tra le τέχναι
praticate da chi si trova nel cerchio più vicino al dio Ermete. Lo stesso Galeno
vedeva nel modello matematico, sia nelle sue discipline teoriche sia in quelle
più pratiche, la possibilità di rifondare la medicina su basi salde e sicure. Non
solo il metodo dimostrativo matematico è preso da Galeno come modello,
ma, come scriveva Vegetti,62
c’è infine la capacità dei matematici di giungere a risultati sicuri perché evidenti e
controllabili, che si tratti di procedure geometriche […], di previsioni astronomiche,
come quelle sulle eclissi di sole e di luna, o infine della costruzione di strumenti per la
misura del tempo, come clessidre e orologi idraulici, pneumatici o meccanici.
62
MARIO VEGETTI, “Galeno e la rifondazione della medicina”, Dynamis 1995, 15: 67-101, p. 85.
Secondo lo studioso, accanto a Ipparco e Archimede, bisognerà porre anche Euclide, Aristosseno e
Aristarco, tutti citati da Galeno nel De methodo medendi, 10,12 K. Si noti, inoltre, che la traduzione
araba del commento galenico a Arie, Acque e Luoghi elenca un canone di astronomi – tra cui com-
pare Ipparco assieme ad autori altrimenti ignoti – la cui opera doveva essere conosciuta dal buon
medico; cf. GERALD J. TOOMER, “Galen on the Astronomers and Astrologers”, Archive for the History
of Exact Sciences, 1985, 32: 193-206.
63
Celebre è, a questo proposito, una pagina del De libris propriis, 14,2-4 in Galien. Introduction
générales; Sur l’ordre de ses propres livres; Sur ses propres livres; Que l’eccellent médecin est aussi
philosophe, texte établi et traduit par Véronique Boudon-Millot (Paris: Les Belles Lettres, 2007), pp.
164-165 (= 19,29 K.). Cf. PIER LUIGI DONINI, “Galeno e la filosofia”, Aufstieg und Niedergang der
römischen Welt, herausgegeben von Wolfgang Haase, Hildegard Temporini, vol. 2,36,5 (Berlin-New
York: De Gruyter, 1992), pp. 3484-3504, in part. pp. 3486-3487.
64
Galeni De constitutione artis medicae ad Patrophilum, edidit et in linguam Italicam vertit
Stefania Fortuna, CMG 5,1,3 (Leipzig: Akademie Verlag, 1997), pp. 58-59 (cf. anche pp. 46-47). Sulle
differenti classificazioni delle arti ed in particolare della medicina in Galeno, si vedano MARIO VEGETTI,
“Modelli di medicina in Galeno”, in Galen. Problems and Prospects, edited by Vivian Nutton (London:
— 30 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
The Welcome Institute, 1981), pp. 47-63; VÉRONIQUE BOUDON-MILLOT, “Art, science et conjecture
chez Galien”, in Galien et la philosophie (Vandoeuvres-Génève: Fondation Hardt, 2002), pp. 269-298.
65
Cf. VÉRONIQUE BOUDON-MILLOT, “La place de la médecine à l’intérieur de la classification des
arts dans le De constitutione artis medicae”, in Galien. Systématisation de la médecine, par Jacques
Boulogne, Daniel Delattre (Villeneuve d’Ascq: Presses Universitaires du Septentrion, 2003), pp. 63-86.
66
Gal. de const. art. med. 2,3 in FORTUNA, De constitutione artis medicae (cit. n. 64), pp. 58-60
(= 1,231 K.) Ὥσπερ οὖν ὁ τὴν ἤδη γεγενημένην οἰκίαν ὁποία τίς ἐστιν ἀκριβῶς γνῶναι βουλόμενος
ἐξ ἀναλύσεως καὶ διαλύσεως ἐπὶ τὴν διάγνωσιν αὐτῆς ἐγένετο, κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον καὶ ἡμεῖς ἐξ
ἀνατομῆς ἀνθρώπου σῶμα γνωσόμεθα. θεὸς μὲν γὰρ καὶ φύσις, ὡς ὁ πρῶτον οἰκίαν ἐργασάμενος,
οὕτω προγιγνώσκουσι τὰ μέρη τῆς χρείας αὐτοῖς τὸ παράδειγμα γεννώσης, ἡμεῖς δ’ὡς ὁ τὴν ἤδη
γεγενημένην οἰκίαν ἰστορῶν∙ καίτοι καὶ ἡμεῖς εἰ μὴ καθ’ὅσον οἶόν τε παραπλησίαν θεῷ ποιησαίμεθα
τὴν γνῶσιν, ἀδύνατον ἡμῖν ἔσται διαγνῶναι, πότερον ἅπαντα διὰ χρείαν τινὰ γέγονεν ἢ μάτην ἔνια.
— 31 —
MATTEO MARTELLI
67
Sulla formazione del buon medico secondo Galeno, si veda VEGETTI, “L’immagine del me-
dico” (cit. n. 59), pp. 1681-1689.
68
Cf. SERAFINA CUOMO, Ancient Mathematics (London-New York: Routledge, 2001), pp. 159-
161 e 202-203.
69
Vitr. 1,17 Quibus vero natura tantum tribuit sollertiae, acuminis, memoriae, ut possint geo-
metriam, astrologiam, musicen ceterasque disciplinas penitus habere notas, praetereunt officia architec-
torum et efficiuntur mathematici. Itaque faciliter contra eas disciplinas disputare possunt, quod pluribus
telis disciplinarum sunt armati. Hi autem inveniuntur raro, ut aliquando fuerunt Aristarchus Samius,
Philolaus et Archytas Tarentini, Apollonius Pergaeus, Eratosthenes Cyrenaeus, Archimedes et Scopinas
ab Syracusis, qui multas res organicas et gnomonicas numero naturalibusque rationibus inventas atque
explicitas posteris reliquerunt.
— 32 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
70
Vitr. 9 proem. 3 Cum ergo tanta munera ad scriptorum prudentia privatim publiceque fuerint
hominibus praeparata, non solum arbitror palmas et coronas his tribui oportere, sed etiam decerni
triumphos, et inter deorum sedes eos dedicandos iudicari. Eorum autem cogitata utiliter hominibus ad
vitam explicandam, e pluribus singula paucorum uti exempla ponam; quae recognoscentes, necessario
his tribui honores oportere homines confitebuntur.
71
CARL A. HUFFMAN, Archytas of Tarentum. Pythagorean, Philosopher and Mathematician King
(Cambridge: Cambridge UP, 2005).
72
La citazione è riportata dal matematico Teone di Smirne (II sec. d.C.), nell’opera La ma-
tematica utile per comprendere Platone (Theonis Smyrnaei Expositio rerum mathematicarum ad le-
gendum Platonem utilium, edidit Eduard Hiller [Leipzig: Teubner, 1878], p. 2, ll. 3-15 = Test. A
15c, text A Huffman]. Nel passo Eratostene ricorda l’oracolo delfino dato agli abitanti di Delo e
l’interpretazione che ne avrebbe proposto Platone, secondo cui il dio non voleva tanto che i Greci
gli innalzassero un altare più grande, quanto che si dedicassero maggiormente allo studio della ma-
tematica e della geometria.
73
In Archimedis opera omnia, edidit Johan Ludvig Heiberg, corrigenda adiecit Evangelos Sta-
matis, vol. 3 (Leipzig: Teubner, 1972), p. 88, l. 3-96, l. 27 (= Test. A 15 Huffman = 47 A 15 D.-K.).
— 33 —
MATTEO MARTELLI
74
HEIBERG, Archimedis opera (cit. n. 73), vol. 3, p. 96, ll. 16-27 μηδὲ σύ γ᾽Ἀρχύτεω δυσμήχανα
ἔργα κυλίνδρων / μηδὲ Μεναιχμείους κωνοτομεῖν τριάδας / διζήσῃ, μηδ᾽εἴ τι θεουδέος Εὐδόξοιο /
καμπύλον ἐν γραμμαῖς εἶδος ἀναγράφεται. /τοῖσδε γὰρ ἐν πινάκεσσι μεσόγραφα μυρία τεύχοις / ῥεῖά
κεν ἐκ παύρου πυθμένος ἀρχόμενος. / εὐαίων, Πτολεμαῖε, πατὴρ ὅτι παιδὶ συνηβῶν / πάνθ᾽, ὅσα καὶ
Μούσαις καὶ βασιλεῦσι φίλα, /αὐτὸς ἐδωρήσω· τὸ δ᾽ ἐς ὕστερον, οὐράνιε Ζεῦ, /καὶ σκήπτρων ἐκ σῆς
ἀντιάσειε χερός. /καὶ τὰ μὲν ὣς τελέοιτο, λέγοι δέ τις ἄνθεμα λεύσσων· / τοῦ Κυρηναίου τοῦτ᾽ Ἐρα
τοσθένεος.
75
Sul passo, si veda il commento di REVIEL NETZ, “Greek Mathematicians: A Group Picture”,
in Science and Mathematics in Ancient Greek Culture, edited by Christopher J. Tuplin, Tracey E.
Rihll (Oxford: Oxford UP, 2002), pp. 196-216, in part. pp. 213-215.
76
Cf. LORENZO PERILLI, “Conservazione dei testi e circolazione della conoscenza in Grecia”, in
Biblioteche del mondo antico. Dalla tradizione orale alla cultura dell’Impero, a cura di Angela Maria
Andrisano (Roma: Carocci, 2007), pp. 36-71, in part. pp. 39-41 su Eratostene.
— 34 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
colomba meccanica capace di volare77 – è presentato come uno dei padri fon-
datori della disciplina.78 Non stupisce, dunque, che Vitruvio equiparasse le
soluzioni del pitagorico a quelle di Eratostene.79
Inoltre, l’autore romano riporta varie notizie sulle scoperte di Ctesibio,
uno dei primi ‘meccanici’ alessandrini (III sec. a.C.). In particolare, ancora
all’interno del nono libro del De architectura (9,8,2-3), si racconta come lo
scienziato, figlio di un barbiere, scoprì l’aria compressa: volendo costruire
per la bottega del padre uno specchio che potesse essere alzato e abbassato a
piacimento, Ctesibio fece passare una corda legata a un peso di piombo all’in-
terno di alcuni tubi e si accorse che, quando il peso di piombo scendeva al-
l’interno di questi, comprimeva l’aria che, per questo, usciva producendo un
sibilo.80 La storia, secondo Vitruvio, ha un valore paradigmatico per gli uomini
di scienza, in quanto illustra il genio dello scopritore, capace di comprendere
un importante principio dall’osservazione dei fenomeni (anche casuali) e di
applicarlo alle proprie invenzioni. Infatti, usando i medesimi principi nello
sfruttare le capacità dell’acqua, Ctesibio fu in grado di «costruire per primo»
(primus instituit) le macchine idrauliche, tra le quali Vitruvio descrive detta-
gliatamente le clessidre.81
Il topos del πρῶτος εὑρετής emerge nuovamente, non associato a mitici
o semidivini scopritori delle arti, ma per enfatizzare l’inventività e il genio
dell’uomo studiosus.82 Se Ctesibio non è esplicitamente assimilato agli dèi, le
77
In particolare Aulo Gellio (II sec. d.C.), nelle sue Notti Attiche (10,12,8 = A 10a Huffman =
47 A 10a D-K) racconta che Favorino ed altri scrittori greci avrebbero riportato che Archita costruì
una colomba in legno secondo le leggi della meccanica (ratione quadam disciplinaque mechanica),
che grazie a contrappesi e la pressione dell’aria racchiusa poteva volare. Si veda il commento di
HUFFMAN, Archytas (cit. n. 71), pp. 571-579.
78
Cf. D.L. 7,83 (= Test. A 1 Huffman = 47 A 1 D.-K.) οὗτος πρῶτος τὰ μηχανικὰ ταῖς μαθημα
τικαῖς προσχρησάμενος ἀρχαῖς μεθώδευε, «Per primo trattò metodicamente questioni meccaniche
servendosi di principi matematici». Archita e Eudosso sono presentati come scopritori della mecca-
nica da Plut. Marc. 14,9.
79
Cf. HUFFMAN, Archytas (cit. n. 71), p. 384.
80
Cf. SILVIA BERRYMAN, The Mechanical Hypothesis in Ancient Greek Natural Philosophy
(Cambridge: Cambridge UP, 2008), pp. 115-117.
81
Vitr. 9,8,4 Ergo Ctesibius cum animadvertisset, ex tractu caeli et expressionibus spiritus <so-
nitus> vocesque nasci, his principiies usus, hydraulicas machinas primus instituit. Item aquarum ex-
pressiones automatopoetasque machinas multaque deliciarum genera, in his etiam horologiorum ex
aqua comparationes, explicuit. Le stesse scoperte di Ctesibio erano indicate con il suo nome, come
emerge nel caso degli organi idraulici, chiamati Ctesibia da Vitruvio, che ne fornisce una dettagliata
descrizione (10,7,1). Tale invenzione è ricordata anche da Ateneo di Naucrati (Deipnosofisti, 4,174b-
d), che indica Ctesibio, il barbiere di Alessandria, come il suo scopritore e sottolinea come per que-
sto egli ottenne grande fama.
82
Si deve sottolineare che nel catalogo di primi scopritori riportato da Plinio il Vecchio (cf.
supra, § 2), una lunga sezione dedicata alla scoperta delle navi (7,209; in parte dipendente dall’opera
— 35 —
MATTEO MARTELLI
sue invenzioni (come quelle di Eratostene) sono però collocate all’interno dei
templi. Un passo dei Deipnosofisti (11,497e) di Ateneo di Naucrati, infatti,
attribuisce allo scienziato la costruzione di un rhyton raffigurante il dio
egiziano Bes, la cui tromba produceva un suono grazie allo sfruttamento della
pressione dell’aria, compressa dall’avanzare di un liquido. Tale invenzione era
collocata all’interno del tempio di Arsinoe, come si ricava dall’epigramma del
poeta ellenistico Edilo, citato da Ateneo:
Qua tutti, bevitori di vino schietto, a vedere nel tempio di Arsinoe
Zefiritide, che porta il sereno, anche questo rhyton
con l’egizio Bes che fa il danzatore: la sua tromba emette una nota
acuta quando la fonte si apre perché il vino scorra;
non è un segnale di guerra, ma dalla tromba d’oro
egli fa risonare un richiamo di festa e di gioia,
simile al canto ancestrale che il Nilo signore fece uscire
dalle acque divine, caro agli iniziati che recano sacre offerte.
E allora, se di Ctesibio apprezzate l’invenzione ingegnosa,
tutti qua, giovanotti, a questo tempio di Arsinoe.83
Sulle scoperte dello storico ellenistico Filostefano) elenca sia i primi inventori, come Danao e
Giasone, sia vari sovrani, tanto siracusani quanto egiziani (tra cui i Tolemei) che ampliarono con-
siderevolmente le dimensioni delle imbarcazioni. L’inclusione di tali scoperte nel catalogo è indi-
cativa, soprattutto se si considera che tale sviluppo tecnologico fu reso possibile dalle invenzioni
meccaniche di età ellenistica. Secondo la descrizione di Ateneo di Naucrati (5,206d e 207a-b), la
gigantesca nave Syracusia, fatta costruire da Gerone II e poi data in dono a Tolemeo, fu disegnata da
Archimede e impiegava la cosiddetta ‘vite di Archimede’ per svuotare l’acqua delle sentine.
83
4 Gow-Page, ap. Athen. 11,497e ζωροπόται, καὶ τοῦτο φιλοζεφύρου κατὰ νηὸν / τὸ ῥυτὸν
εὐδίης δεῦτ᾽ ἴδετ᾽ Ἀρσινόης, / ὀρχηστὴν Βησᾶν Αἰγύπτιον· ὃς λιγὺν ἦχον / σαλπίζει κρουνοῦ πρὸς
ῥύσιν οἰγομένου, / οὐ πολέμου σύνθημα, διὰ χρυσέου δὲ γέγωνεν / κώδωνος κώμου σύνθεμα καὶ
θαλίης, / Νεῖλος ὁκοῖον ἄναξ μύσταις φίλον ἱεραγωγοῖς / εὗρε μέλος θείων πάτριον ἐξ ὑδάτων. /ἀλλ᾽
εἰ Κτησιβίου σοφὸν εὕρεμα τίετε τοῦτο, /δεῦτε, νέοι, νηῷ τῷδε παρ᾽ Ἀρσινόης. Traduzione in Ateneo.
Deipnosofisti. I dotti a banchetto, a cura di Luciano Canfora, vol. 2 (Roma: Salerno, 2001), p. 1230.
84
Le macchine rappresentavano un importante strumento con cui i sovrani mostravano il
proprio potere, come emerge chiaramente dalla descrizione della grande processione di Tolemeo
Filadelfo riportata ancora da Ateneo (5,197c-203b). Tra gli automata elencati, compare anche una
statua semovente del dio Nysa, che poteva alzarsi e sedersi automaticamente e versare libagioni di
latte e miele (Ath. 5,198f). La sua invenzione è attribuita a Ctesibio da ELLEN E. RICE, The Grand
Procession of Ptolemy Philadelphus (Oxford: Oxford UP, 1983), pp. 63 ss. Sull’aspetto performativo
delle scoperte meccaniche (in particolare di Erone) e la loro associazione con la ‘mitologia’ del πρῶτος
εὑρετής, cf. KARIN TYBJERG, “Wonder-Making and Philosophical Wonder in Hero of Alexandria”,
Studies in History and Philosophy of Science, 2002, 34: 443-466, in part. p. 462: «The link between
Hero’s shows and devices, and the divine and mythology is, I believe, central to Hero’s presentation
— 36 —
L’ASSIMILAZIONE AL DIO ATTRAVERSO LE TEXNAI
of mechanics. It recaptures the idea that the crafts are closely connected to divine powers. Thereby
the practical know-how of mechanics is given a mythological ancestry and is elevated from its lowly
tier in the hierarchy of knowledge». Cf. anche MONICA PUGLIARA, Il mirabile e l’artificio. Creature
animate e semoventi nel mito e nella tecnica degli antichi (Roma: L’Erma di Bretschneider, 2003).
85
Tale dipendenza è espressamente dichiarata, per esempio, nella Belopoeica di Filone di Bisanzio
(probabilmente allievo di Ctesibio), che ricorda come i risultati nella costruzione delle catapulte,
ottenuti dai tecnici alessandrini, furono resi possibili dal sostegno dei re che amavano la fama e la
tecnologia (διὰ τὸ φιλοδόξων καὶ φιλοτέχνων […] βασιλέων): edizione del testo in ERIC W. MARSDEN,
Greek and Roman Artillery: Technical Treatises (Oxford: Clarendon Press, 1971), pp. 107-108.
86
Si veda, al riguardo, il recente lavoro di MARY JAEGER, Archimedes and the Roman Imagination
(Ann Arbor: The University of Michigan Press, 2008).
87
Plut. quaest. conv. 8,2,1 = Archytas, Test. A 15a HUFFMAN (cit. n. 71), da vedere (pp. 370-401,
con relativa bibliografia) anche per il contrasto tra Plutarco e il citato passo dell’epistola di Eratostene.
88
Plut. Marc. 14,7-8 = Archytas, Test. A 15b HUFFMAN (cit. n. 71). Sulla platonizzazione della
figura di Archimede, si veda, ad esempio, GIUSEPPE CAMBIANO, “Alle origini della meccanica: Ar-
chimede e Archita”, Arachnion. A Journal of Ancient Literature and History on the Web, 1996, 2.1
<http://www.cisi.unito.it/arachne/num4/cambiano.html>; ID., “Archimede meccanico e la mecca-
nica di Archita”, Elenchos, 1998, 19: 289-324.
89
Plut. suav. viv. Epic. 1,11, in part. 1094B-C su Eudosso e Archimede.
90
Test. 23 in Die Fragmente des Eudoxos von Knidos, herausgegeben, übersetzt und kommen-
tiert von François Lasserre (Berlin: De Gruyter, 1966). Secondo D.L. 8,86-90 (= Test. 7 Lasserre),
— 37 —
MATTEO MARTELLI
Eudosso si sarebbe recato in Egitto dove soggiornò con i sacerdoti egiziani, e dove fu leccato dal
sacro bue Api. Strabone (17,1,29-30 = Test. 12-13 Lasserre) ricorda che l’‘osservatorio’ astronomico
da cui Eudosso compì i suoi studi in Egitto era ancora visitabile ai suoi tempi.
91
Cic. Tusc. 1,62-64 quorum conversiones omnisque motus qui animo vidit, is docuit similem ani-
mum suum eius esse, qui ea fabricatus esset in caelo. Nam cum Archimedes lunae, solis, quinque erran-
tium motus in sphaeram inligavit, effecit idem quod ille, qui in Timaeo mundum aedificavit, Platonis
deus, ut tarditate et celeritate dissimillimos motus una regeret conversio. Quod si in hoc mundo fieri
sine deo non potest, ne in sphaera quidem eosdem motus Archimedes sine divino ingenio potuisset
imitari. Cicerone si riferisce qui alla sfera di Archimede, che lo stesso Marcello avrebbe portato a
Roma dopo la conquista di Siracusa. Nel De re publica (1,21-22) sono invero citate due sfere: l’una
solida, che sarebbe stata costruita da Talete e perfezionata da Eudosso; l’altra mobile, costruita dallo
stesso Archimede, che destava una speciale meraviglia. Cf. JAEGER, Archimedes (cit. n. 86), pp. 48-68.
— 38 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
«Partecipe della divinità degli “dèi salvatori” (θεοὶ ϲωτῆρεϲ), Epicuro rea-
lizza la vita divina nella propria persona, diventando il ϲωτήρ di coloro che
lo seguono e lo imitano nel suo stile di vita». Nulla meglio di queste parole
di Wolfgang Schmid definisce e spiega l’essenza del culto del Fondatore
che si sviluppò nella scuola epicurea sin dai primi decenni di vita.1 Schmid
osserva che di questo concetto sono espressione le parole di Lucrezio nei vv.
5-6 del terzo libro del poema: propter amorem quod te imitari aveo, e che sia
la bellissima chiusa della Lettera a Meneceo sia la concezione della imitatio
dei inducono a credere che il vero sapiente supera la sfera umana e arriva
allo stesso livello della divinità.2 M. Erler, fondandosi sull’analisi di luoghi
* Questo lavoro è stato letto da G. Arrighetti, M. Ferguson Smith, G. Del Mastro, T. Dorandi,
G. Indelli, G. Leone: a loro sono debitrice di preziosi consigli e suggerimenti. A A. Basile e D.
De Sanctis sono grata per diverse indicazioni bibliografiche. Alcuni dei testi antichi citati sono
considerati anche nel contributo di G. Indelli in questo volume. Il 9 giugno 2014 è morto Diskin
Clay, autore dei principali lavori su cui è fondato questo studio. Alla sua persona rivolgo un memore,
affettuoso pensiero.
1
WOLFGANG SCHMID, Epicuro e l’epicureismo cristiano, ed. italiana a cura di Italo Ronca (Brescia:
Paideia, 1984; ed. or. “Epikur”, in Reallexicon für Antike und Christentum, vol. 5 [Stuttgart: Hierse-
mann, 1962], pp. 681-819, p. 100). Una ricca rassegna dei lavori sul culto di Epicuro è in MARIO
CAPASSO, Comunità senza rivolta. Quattro saggi sull’epicureismo, con una premessa di Marcello
Gigante (Napoli: Bibliopolis, 1987), pp. 25-37. Cf. anche ANNA ANGELI – MARIA COLAIZZO,
“I frammenti di Zenone Sidonio”, Cronache Ercolanesi, 1979, 9: 47-133, pp. 91-93; ANNA ANGELI,
Filodemo, Agli amici di scuola (Napoli: Bibliopolis, 1988), pp. 29-37. I frammenti di Epicuro sono
citati secondo HERMANN USENER, Epicurea (Lipsiae: Teubner, 1887) [= Us.] e GRAZIANO ARRIGHETTI,
Epicuro. Opere (Torino: Einaudi, 19732) [= Arr.].
2
Sulla chiusa della III Lettera, cf. anche, ad esempio, CYRIL BAILEY, The Greek Atomists
and Epicurus (Oxford: Clarendon Press, 1928), p. 507; ETTORE BIGNONE, L’Aristotele perduto e
la formazione filosofica di Epicuro, vol. 1 (Firenze: La Nuova Italia, 19732), pp. 120-121; CARLO
DIANO, Scritti epicurei (Firenze: Olschki, 1974), pp. 251-252. Il volume di JEAN SALEM, Tel un dieu
parmi les hommes. L’éthique d’Épicure (Paris: Vrin, 1989), prende le mosse dalla chiusa per uno
studio sull’etica di Epicuro; il luogo è ricordato, in particolare, a p. 56 e nn. 3,5. Cf. ancora ALBERTO
— 39 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
del Timeo e delle Leggi platonici, ha dimostrato che il proemio del V libro
di Lucrezio, con l’equiparazione di Epicuro a una divinità – deus ille fuit,
deus –,3 si inserisce nel dibattito sulla ὁμοίωϲιϲ θεῶι e su come essa si possa
GRILLI, Vita contemplativa (Brescia: Paideia, 2002), pp. 74-75, che sottolinea come Epicuro abbia
scelto un detto proverbiale (ζήϲειϲ ὡϲ θεὸϲ ἐν ἀνθρώποιϲ) che nasce con Omero e ritorna in Platone,
Aristotele, Isocrate. In una Lettera a Pitocle Epicuro afferma (D. L. 10,5 = fr. 165 Us. = 88 Arr.):
καθεδοῦμαι […] προϲδοκῶν τὴν ἱμερτὴν καὶ ἰϲόθεόν ϲου εἴϲοδον «mi accomodo e aspetto il tuo
amabile e divino ingresso». Empedocle (fr. 112,4-6) proclama: ἐγὼ δ’ὑμῖν θεὸϲ ἄμβροτοϲ, οὐκέτι
θνητὸϲ | πωλεῦμαι «e io secondo voi dio immortale, non più uomo mortale, sono stimato». Possiamo
anche ricordare la Lettera alla madre di Diogene di Enoanda (fr. 125, col. 3,9-4,10, p. 314, ed. MARTIN
FERGUSON SMITH, Diogenes of Oinoanda, The Epicurean Inscription [Napoli: Bibliopolis, 1993]): οὐ
γὰρ μει|κρὰ οὐδέ[ν τ’ ἀνύ]τοντα || περιγείνεται ἡ[μ]εῖν | τάδ’ οἷα τὴν διάθεϲι ν | ἡμῶν ἰϲόθεον ποιεῖ |
καὶ οὐδὲ διὰ τὴν θνη|5τότητα τῆϲ ἀφθάρτου | καὶ μακαρίαϲ φύϲεωϲ | λειπομένουϲ ἡμᾶϲ | δείκνυϲιν.
ὅτε μὲν | γὰρ ζῶμεν, ὁμοίωϲ |10 τοῖϲ θεοῖϲ χαίρομεν. «Perché non piccoli o inutili sono per noi questi
vantaggi che rendono la nostra disposizione simile agli dèi e mostrano che neppure a causa della
mortalità siamo inferiori alla natura beata e immortale. Giacché quando siamo vivi siamo felici come
gli dèi ». Cf. fr. 56, col. 1,4-6, p. 243 SMITH: ὁ τῶν | θεῶν βίοϲ εἰϲ ἀνθρώπουϲ | μεταβήϲεται «la vita
degli dèi passerà agli uomini»: è la condizione che l’uomo potrà ottenere se riuscirà a conseguire la
compiuta saggezza, secondo Diogene. In NF 193=YF 263,1-2, secondo la ricostruzione degli editori,
si potrebbe leggere: ὁμοί]ωϲ βίωι θε|[οῦ μακαρίου «come una vita di un dio beato», cf. JÜRGEN
HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries of 2011 (NF
191-205, and Additions to NF 127 and 130)”, Epigraphica Anatolica, 2011, 44: 79-114, pp. 96-97.
Sulla Lettera alla madre e sulla chiusa della Lettera a Meneceo ha richiamato ora l’attenzione DINO
DE SANCTIS, “Utile al singolo, utile a molti: il proemio dell’Epistola a Pitocle”, Cronache Ercolanesi,
2012, 42: 95-109, p. 97.
3
Lucr. 5,8. Sul proemio lucreziano si tenga presente GIUSEPPE CAMBIANO, “Lucrezio e il greco
Epicuro”, in Anthropine sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Gian-
nantoni, a cura di Francesca Alesse, Francesco Aronadio, Maria Cristina Dalfino, Luca Simeoni,
Emidio Spinelli (Napoli: Bibliopolis, 2008), pp. 406-422. CAMBIANO, pp. 420-422, riprende la os-
servazione che, col proemio del quinto libro, risulta chiaro come tra i proemi contenenti gli elogi
di Epicuro vi sia un crescendo: 1,66 homo; 3,9 ss. pater, dotato di divina mens; 5,8 deus ille fuit,
deus, che princeps (equivalente di primus dei libri 1 e 3) scoprì la ratio vitae che ora è detta sapientia
(5,8-10). La constatazione che la scoperta di Epicuro ha dato alla vita dell’uomo la calma dopo le
tempeste e la luce dopo le tenebre consente a Lucrezio di chiamarlo dio. La ripetizione del termine
vuol probabilmente significare che Epicuro era il dio per eccellenza, superiore agli altri dèi. Lucrezio
tiene a precisare che Epicuro non è un dio secondo la concezione della religione tradizionale, che
anzi egli è riuscito a vincere (5,52-53), ma secondo la dottrina epicurea. Epicuro è vir generato ad
Atene (6,51), ma i suoi reperta sono divini, sono diffusi già da molto tempo, anche dopo la sua morte,
e ne innalzano la gloria al cielo (6,7-8). Perciò Lucrezio aveva potuto chiamarlo deus nel proemio
al quinto libro: muore Epicuro come individuo, ma permangono le sue scoperte, disponibili anche
ad altri appartenenti ad altri tempi e luoghi diversi da Atene. A MARTIN FERGUSON SMITH, “Some
Lucretian Thought Processes”, Hermathena, 1966, 102: 73-83, p. 83 n. 9, si deve la riflessione sul
fatto che per Lucrezio Epicuro fu il primo a riscattare l’umanità: (1,66 primum; 3,2 primus; 5,9
princeps; 6,1 e 4 primae). Osserva HOLGER ESSLER, Glückselig und unsterblich. Epikureische Theologie
bei Cicero und Philodem (Basel: Schwabe, 2011), p. 330, che la venerazione che Lucrezio testimonia
per Epicuro, al punto da indurlo a auspicare per lui onori sullo stesso livello di quelli tributati
a Bacco e a Cerere, non significa però equipararlo alla divinità, così come la intende la teologia
epicurea, cioè nello stesso senso della prolessi, secondo la quale la divinità è immortale e beata.
Cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), p. 104. Per DAVID KONSTAN, Lucrezio e la psicologia epicurea, trad.
— 40 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
di Ilaria Ramelli (Milano: Vita e pensiero, 2007), p. 155: «l’invulnerabilità divina che, secondo gli
Epicurei, l’anima può effettivamente raggiungere offre la promessa di una felicità immortale ed
inconcussa». Cf. anche pp. 173-174.
4
MICHAEL ERLER, “Epicurus as deus mortalis: Homoiosis theoi and Epicurean Self-cultivation”,
in Traditions of Theology. Studies in Hellenistic Theology, its Background and Aftermath, edited by
Dorothea Frede, André Laks (Leiden-Boston-Köln: Brill, 2002), pp. 159-181. Erler (p. 162) fa
inoltre notare come la stessa esclamazione ricorra all’inizio delle Leggi di Platone (624a θεόϲ, ὦ ξένε,
θεόϲ) a proposito della fonte dell’ordinamento delle leggi che si appresta a descrivere.
5
Cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 100-101.
6
Cf. ULRICH VON WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Antigonos von Karystos (Berlin: Weidmann,
1881), pp. 263-291; l’ipotesi del Wilamowitz è stata criticata da JOHN P. LYNCH, Aristotle’s School.
A Study of a Greek Educational Institution (Berkeley-Los Angeles-London: University of California
Press, 1972), cf. anche MARGHERITA ISNARDI PARENTE, “Per la biografia di Senocrate”, Rivista di
Filologia e di Istruzione Classica, 1981, 109: 129-162; CARLO NATALI, Bios theoretikos. La vita di
Aristotele e l’organizzazione della sua scuola (Bologna: il Mulino, 1991), pp. 111-113, 119; ALBERTO
MAFFI, “Lo statuto giuridico delle scuole filosofiche greche nel III sec. a.C.”, in L’enseignement
supérieur dans les mondes antiques et médiévaux, par Henri Hugonnard-Roche (Paris: Vrin, 2008),
pp. 113-125.
7
Sul culto di Epicuro cf. PIERRE BOYANCÉ, Le culte des Muses chez les philosophes grecs (Paris: de
Boccard, 1937), pp. 322-327; ANDRÉ-JEAN FESTUGIÈRE, Epicuro e gli dèi, trad. it. di Bruno Bellotto e
Daniela De Agostini (Milano: Coliseum, 1987), pp. 60-62; SALEM, Tel un dieu (cit. n. 2), pp. 176-178.
CLARENCE E. GLAD, Paul and Philodemus (Leiden: Brill, 1995), pp. 8-9, rileva come gli elementi che
costituiscono il culto di Epicuro inducano fortemente al paragone con le comunità protocristiane e
alla convinzione di un’affinità con le prime comunità paoline. Per RENÉE PIETTRE, “Épicure, dieu et
image de dieu: une autarcie extatique”, Revue de l’Histoire des Religions, 1999, 216: 5-30, Epicuro e
Metrodoro, come dimostrano anche i ritratti, sono uniti indissolubilmente dall’amicizia. La imitatio
dei comporta un cambiamento interiore e anche fisico che si può riscontrare sia nella concezione
fisica degli dèi sia nella affettività di Epicuro. Nelle manifestazioni di amicizia si crea un flusso
continuo di immagini mentali che si scambiano con la persona amica e che alimentano l’essenza della
divinità alla quale attinge il sapiente epicureo e ne trae la imperturbabilità.
— 41 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
8
Cf., per questo aspetto, SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 104-105. Per il concetto di eroizzazione
del sapiente, Schmid cita a testimonianza la col. 22,2-3 del PHerc. 1251 (ἡρωικ[ῶ]ν ἀ[ν]|θρώπω[ν ἐν
τ]έλει γε[νό]μενοϲ), da lui stesso edito nel 1939 (cf. WOLFGANG SCHMID, Ethica Epicurea. Pap. Herc.
1251 [Lipsiae: Harrassowitz, 1939], pp. 51, 83), ma i più recenti editori del papiro non ravvisano
le tracce che autorizzino la lettura dell’aggettivo ἡρωικ[ῶ]ν, che è fondata su lettere presenti solo
nella cosiddetta Collectio Altera e fu proposta a Schmid da Christian Jensen, cf. GIOVANNI INDELLI –
VOULA TSOUNA-MCKIRAHAN, [Philodemus. On Choices and Avoidances] (Napoli: Bibliopolis, 1995),
pp. 99, 220.
9
Cf. DISKIN CLAY, Paradosis and Survival. Three Chapters in the History of Epicurean Philosophy
(Ann Arbor: The University of Michigan Press, 1998), pp. 73, 96-97, 100-101. Nel volume sono
confluiti diversi saggi già apparsi in altre sedi. Quelli che ci interessano sono: “Epicurus’ Last Will and
Testament”, Archiv für Geschichte der Philosophie, 1973, 55: 252-280 = Paradosis, pp. 3-31; “Individual
and Community in the first Generation of the Epicurean School”, in ϹΥΖΗΤΗϹΙϹ. Studi sull’epicureismo
greco e romano offerti a Marcello Gigante (Napoli: Macchiaroli, 1983), pp. 255-279 = Paradosis, pp. 55-
74; “The Cults of Epicurus”, Cronache Ercolanesi, 1986, 16: 12-28 = Paradosis, pp. 75-102.
10
Cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 99-100. Cf. anche SV 36: «La vita di Epicuro, paragonata
a quella degli altri, si potrebbe credere leggenda per la mitezza e la capacità di bastare a se stessi». La
sentenza è attribuita a Ermarco, cf. fr. 49 Longo (FRANCESCA LONGO AURICCHIO, Ermarco. Frammenti
[Napoli: Bibliopolis, 1988]). CLAY, Paradosis (cit. n. 9), p. 96 n. 20, sostiene che dalla venerazione per
i primi Maestri (non per uno solo), derivava ai discepoli il bene, in quanto da essi traevano l’esempio
a cui uniformarsi. Nel PHerc. 346, col. 2,3,10, ricorrono il sostantivo ϲεβαϲμόϲ e il verbo ϲέβομαι,
riferiti agli dèi, da intendersi non nel senso della tradizione religiosa dei più, ma quale gradino nel
processo della imitatio dei della teologia epicurea, cf. MARIO CAPASSO, Trattato etico epicureo (PHerc.
346) (Napoli: Giannini, 1982), p. 71. Il verbo ϲέβομαι si trova in una lettera di Batide, sorella di
Metrodoro, indirizzata al padre Ateneo, a proposito della venerazione che egli nutriva per il padre di
Polieno, cf. ANNA ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco nel PHerc. 176 (Fr. 5, coll. 1, 4, 8-23)”,
Cronache Ercolanesi, 1988, 18: 27-51, col. 22,10, pp. 46, 48-51. È ben noto un luogo dell’Economico
di Filodemo in cui si parla della venerazione per il saggio che si identifica con Epicuro, col. 23,23-30,
che cito nell’ed. di MARIO CAPASSO, Margini ercolanesi (Napoli: Le Edizioni dell’Elleboro, 19912),
p. 60. Sua è la traduzione: πρῶτον δὲ | καὶ κάλλιϲτον ἀπὸ λόγων |25 φιλοϲόφων ἀνδράϲιν δεκτι|κοῖϲ
μεταδιδομέν[ων] ἀν|τιμεταλαμβάνειν εὐχάρι|ϲτο[ν νοῦ]ν {α} μετὰ ϲεβαϲμοῦ | παντό[ϲ], ὡϲ ἐγένετ’
Ἐπικού| 30ρωι, «Ma la prima e più bella cosa è il ricevere da ragionamenti filosofici trasmessi ad
uomini propensi a riceverli gratitudine insieme a tutta la venerazione, come accadde ad Epicuro»,
cf. Giovanni Indelli in questo volume per l’indicazione di espunzione da parte dell’editore ({α}) e
non da parte dello scriba (⟦α⟧) dell’alpha che si legge a l. 28. La stessa area semantica occorre, come
è noto, nel POxy. 215, riferita al culto della divinità, cf. DIRK OBBINK, Corpus dei Papiri Filosofici
Greci e Latini (CPF), vol. 1**, Epicurus (Firenze: Olschki, 1992), pp. 170-171, col. 1,20 (ϲέβου), 27-
28 ([ϲέ|βεϲ]θα[ι), 30 (ϲεμνώματοϲ). Cf. anche Philod., de dis 3, PHerc. 152/157, col. 10,3 (τιμᾶν καὶ
ϲέβεϲθαι), 5 (τοῦ ϲεβαϲμοῦ), pp. 262-263, 327, 329-330, ESSLER, Glückselig (cit. n. 3).
— 42 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
a proposito M. Smith (per litteras), che la venerazione per uomini che hanno
raggiunto l’imperturbabilità comporta gli stessi benefici della venerazione per
gli dèi. L’idea che chi trae beneficio sia colui che venera, non colui che è
oggetto della venerazione, corrisponde al rapporto tra uomini e dèi, perché
anche in quel caso la venerazione reca beneficio a colui che la esprime, non
a colui che la riceve, dal momento che gli dèi, essendo perfettamente auto-
sufficienti e beati, non hanno alcun bisogno degli esseri umani. Schmid so-
stiene che gli Epicurei impiegavano per esprimere la loro venerazione nei
confronti del Maestro una «stilizzazione religiosa della dizione» e che talora
il loro entusiasmo e la loro estatica ammirazione per lui non si sono limitati
all’espressione, ma si sono concretizzati in gesti; Konstan rileva che sarebbe
errato considerare il linguaggio dal tono elevato impiegato dagli Epicurei per
esaltare i Maestri Fondatori convenzionale o puramente retorico e ritiene che
si debba considerare in rapporto alle dottrine epicuree relative alla natura del
piacere e dell’anima, che, per certi aspetti, risalgono ad Aristotele. Il piacere è
indipendente dalla durata; il piacere catastematico è la componente principale
della beatitudine degli dèi e il sapiente, la cui disposizione è in accordo con la
natura, è autosufficiente in tutto e indipendente dal caso, «vive tra beni che
sono propri degli immortali»; per gli Epicurei, considerare il sapiente simile
agli dèi trova il fondamento nella fisica e nella psicologia.11
Certo, nella scuola ci fu per Epicuro e per i primi Maestri uno slancio
immenso di affetto e di incondizionata devozione. Προϲ|ελθόντων δ’ ἡμ[ῶ]ν
ἀϲπ[α]ϲ|τῶϲ πρὸϲ τὸν κράτ[ι]ϲτον καὶ | θεῖο[ν καὶ] ϲω[τήριο]ν ἄνδρα «Quan-
do noi giungemmo ben accetti presso il Maestro ottimo e divino e (nostro)
mezzo di salvezza»,12 così il discepolo lampsaceno Leonteo definisce Epicuro.
L’autore del libro trasmesso dal PHerc. 346, da identificare probabilmente
11
SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 106-109; KONSTAN, Lucrezio e la psicologia epicurea (cit. n.
3), pp. 155-171. È ben noto il luogo plutarcheo (Col. 1117b = fr. 141 Us. = 65 Arr.) che descrive la
προϲκύνηϲιϲ di Colote verso Epicuro, cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 109-111; cf., ad es., anche
FESTUGIÈRE, Epicuro (cit. n. 7), pp. 60-61; ANGELI – COLAIZZO, I frammenti di Zenone (cit. n. 1), p.
89 e n. 265; CAPASSO, Comunità (cit. n. 1), p. 30 n. 15; ANGELI, Filodemo (cit. n. 1), p. 35; DISKIN
CLAY, “The Athenian Garden”, in The Cambridge Companion to Epicureanism, ed. by James Warren
(Cambridge: Cambridge UP, 2009), pp. 9-28, pp. 22-23; ESSLER, Glückselig (cit. n. 3), p. 330; DIRK
OBBINK, Philodemus. On Piety, Part 1, Critical Text and Commentary (Oxford: Clarendon Press,
1996), pp. 441-443, a proposito della col. 31,897-898 (cf. fr. 12 Us. = 10,3 Arr.) in cui ricorre il
termine προϲκύνηϲιϲ. Cf. anche col. 39,1117-1118: in questi luoghi dell’opera filodemea De pietate
la προϲκύνηϲιϲ è dedicata agli dèi. Per RENÉE PIETTRE, “La proscynèse de Colotès: une lecture de
Plutarque, Moralia 1117 b-f”, Lalies, 1998, 18: 185-202, l’episodio è un segno del carattere mistico
che connotava il culto di Epicuro; i due protagonisti sono apparsi l’uno all’altro come dèi.
12
Cf. PHerc. 176, fr. 5, col. 12, pp. 34 ss. ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10).
Secondo la Angeli, nella essenziale definizione, sono espresse le motivazioni del culto di Epicuro.
— 43 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
13
Come con cautela propone l’ultimo editore, cf. CAPASSO, Trattato (cit. n. 10), pp. 31-40.
14
Cf. PHerc. 346, coll. 4,27; 7,23-25, pp. 72-73 CAPASSO, Trattato (cit. n. 10). Nella col. 13,
purtroppo lacunosa, a ll. 3-4, si legge: εἰϲ τ[ὴ]ν ἀ̣ληθινὴν ϲωτη[ρ]ίαν. Nell’ottavo libro della Retorica
di Filodemo (PHerc. 1015, col. 54,13-14, p. 59 SUDHAUS, Philodemi volumina rhetorica, vol. 2
[Lipsiae: Teubner, 1896] = fr. 10,4 Arr.), Epicuro accusa Aristotele di essere «nemico della salvezza
della vita»: ἀν[τα]γωνιϲτὴϲ | τῆι τοῦ [β]ίου ϲ[ω]τηρίαι. Per il valore cultuale del processo formativo
epicureo, cf. Dino De Sanctis, “La salvezza nelle parole: l’immagine del ϲωτήρ nel Περὶ παρρηϲίαϲ di
Filodemo”, Cronache Ercolanesi 2013, 43: 63-71.
15
Cf. CAPASSO, Trattato (cit. n. 10), pp. 45-50; BIGNONE, L’Aristotele perduto (cit. n. 2), p. 132;
FESTUGIÈRE, Epicuro (cit. n. 7), pp. 23-31. Vd. infra per i luoghi di Cicerone, Seneca e Plinio.
16
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), p. 101.
17
Filodemo, nella chiusa del I libro della Retorica, afferma, in contrasto con i compagni di scuola
dissidenti, che chi si oppone alle opinioni dei Maestri a proposito dello statuto della retorica sofistica
è da considerare alla stregua di un parricida (PHerc. 1427, col. 7,18-29, p. 21 LONGO, Philodemi Περὶ
ῥητορικῆϲ libri primus et secundus [Napoli: Giannini, 1977]): εἰ γὰρ Ἐπ[ί]κουροϲ | καὶ Μήτροδωροϲ
ἔτι |20 δ’ Ἕρμαρχοϲ ἀποφαί|νονται τέχνην ὑπάρ|χειν τὴν τοι αύτην […] οἱ τούτοιϲ |25 ἀντιγράφοντεϲ
οὐ | πάνυ τι μακρὰν τῆϲ | τῶν πατρα̣λοιῶν | καταδίκηϲ ἀφεϲ|τήκαϲιν «Se infatti Epicuro e Metrodoro e
per di più Ermarco dichiarano che siffatta (retorica) sia un’arte […] non si sono tenuti in certo senso
lontani dalla colpa di parricidio coloro i quali scrivono in contrasto con essi». Ciò è testimonianza
non solo del fervore della polemica filodemea, ma anche del conto in cui erano tenuti i καθηγεμόνεϲ
ancora nel I sec. a.C. Seneca (ep. 6,6) ricorda Epicuro insieme ai tre discepoli Metrodoro, Ermarco,
Polieno: Metrodorum et Hermarchum et Polyaenum magnos viros non schola Epicuri sed contubernium
fecit e ugualmente Alcifrone (epist. 17,9-10) fa dire all’etera Leonzio che Epicuro manderà a lei come
ambasciatori Metrodoro, Ermarco e Polieno. Cf. LONGO, Ermarco (cit. n. 10), frr. 35, 16, 19; ADELE
TEPEDINO GUERRA, Polieno. Frammenti, vol. 11 (Napoli: Bibliopolis, 1991), frr. 21, 23.
18
Fr. 72 3,12-13, p. 268 SMITH, Diogenes (cit. n. 2). Cf. MARTIN FERGUSON SMITH, The
Philosophical Inscription of Diogenes of Oinoanda (Wien: Verlag der Österreichischen Akademie
— 44 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
araldo che vi salvò». Sembra questo l’unico luogo in cui Epicuro è designato
come κήρυξ.19 Il verbo κηρύϲϲω è in SV 52: ἡ φιλία περιχορεύει τὴν οἰκουμένην
κηρύττουϲα δὴ πᾶϲιν ἡμῖν ἐγείρεϲθαι ἐπὶ τὸν μακαριϲμόν, «l’amicizia danza
intorno alle creature che abitano la terra e a tutti noi trasmette il certo messaggio:
destiamoci a lodare la vita beata» ed è integrato da Smith in NF 192 = YF
256 col. 4,14-15:20 πᾶϲιν ῞Ελληϲιν [᾽Επί|κουροϲ αὐτὸν ἐκήρυξεν], nell’ambito di
un’argomentazione contro gli Stoici sul fine morale che gli uomini devono per-
seguire. La congettura potrebbe trovare conferma nel testo del fr. 32 col. 2,12-
13 che riguarda la ἡδονή e nel quale Diogene afferma «Proclamando a gran
voce a tutti, Greci e barbari (πᾶϲιν ῞Ελλη|ϲιν κ[αὶ] βαρβάροιϲ μέγα | ἐνβ̣[οῶν),
che il piacere è il fine del miglior modo di vita»,21 dove μέγα | ἐνβ̣[ο]ῶν sarebbe
l’equivalente di ἐκήρυξεν.22
Il concetto che la dottrina professata da Epicuro è fonte di salvezza per
l’uomo Diogene afferma ancora in fr. 3 col. 5,12-6,2:23 ἠθέληϲα τῆι ϲτοᾶι
ταύ|τηι καταχρηϲάμενοϲ | ἐν κοινῶι τὰ τῆϲ ϲωτη||ρίαϲ προθεῖν[ αι φάρμα]|κα,
«Ho voluto, impiegando questo portico, esporre in pubblico le medicine della
salvezza», il noto, suggestivo luogo che richiama la τετραφάρμακοϲ epicurea.24
der Wissenschaften, 1996), p. 150. Per l’espressione, cf. anche SCHMID, Epicuro (cit. n.
1), p. 100. MARTIN FERGUSON SMITH, “Epicurus’ Whirlpool Bath. Diogenes of Oinoanda fr.
72 Smith”, in Mathesis e Mneme. Studi in memoria di Marcello Gigante, a cura di Salvatore
Cerasuolo, vol. 1 (Napoli: Dipartimento di Filologia Classica ‘Francesco Arnaldi’, 2004),
pp. 247-257, a p. 250, ripropone il testo, e, in base a una nuova lettura dell’originale, suggerisce,
p. 255, per la lacunosa l. 14 (εἶτα γὰρ τυχηνευ[), il supplemento: εἶτα γὰρ τύχῃ Νε[οκλείδη]
«Perché poi per caso il figlio di Neocle», che potrebbe essere al nominativo (Νε[οκλείδηϲ)
o all’accusativo (Νε[οκλείδην). Se si accetta la proposta dello studioso, avremmo il nome di
Epicuro, che sembra si possa adombrare anche in fr. 71 col. 2,8, p. 266 SMITH, Diogenes (cit.
n. 2): ὡϲ λέγει Νε[οκλείδηϲ]. Cf. anche MARTIN FERGUSON SMITH, Supplement to Diogenes of
Oinoanda. The Epicurean Inscription (Napoli: Bibliopolis, 2003), p. 115. Epicuro è nominato
ancora, nell’iscrizione, in frr. 54 col. 3,5; 63 col. 4,13, col. 5,13; 71 col. 1,6; 173 col. 1,15,
pp. 241, 254, 255, 265, 356 SMITH, Diogenes (cit. n. 2) e in NF 186 = YF 247, col. 1,7,
cf. JÜRGEN HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries
of 2010 (NF 182-190)”, Epigraphica Anatolica, 2010, 43: 1-29, p. 22.
19
Cf. SMITH, “Epicurus’ Whirlpool Bath” (cit. n. 18), p. 254.
20
Cf. HAMMERSTAEDT – SMITH, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries of 2011” (cit. n. 2),
pp. 92, 95. La traduzione di SV 52 è di MARCELLO GIGANTE, “Saluto”, in Epicureismo greco e romano,
Atti del Congresso Internazionale, a cura di Gabriele Giannantoni, Marcello Gigante, vol. 1 (Napoli:
Bibliopolis, 1996), p. 19.
21
SMITH, Diogenes (cit. n. 2), p. 199.
22
Cf. HAMMERSTAEDT – SMITH, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries of 2011” (cit. n. 2), p. 95.
23
P. 152 SMITH, Diogenes (cit. n. 2).
24
Cf. Philod. ad contub., col. 5,9-13, p. 173 ANGELI, Filodemo (cit. n. 1). Epicuro usa il termine
φάρμακον nel XIV libro dell’opera Sulla natura, col. 24,4-5, con lo stesso valore, per indicare il
potere terapeutico della scienza della natura, cf. GIULIANA LEONE, “Epicuro, Della natura, libro
XIV”, Cronache Ercolanesi, 1984, 14: 17-107, pp. 56, 77.
— 45 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
Nel fr. 116,6-725 leggiamo: τὸ | γὰ̣ρ ϲωτήριο[ν] ἐνταῦ|θά ἐϲτιν. «Giacché il
mezzo di salvezza è qui», che richiama comunque l’aspetto cultuale. In un
nuovo frammento, appena scoperto, ricorrono i termini ϲωτήριον (l.9) e
κατ[ε]πηνγέλμε|θα (ll. 12-13), quest’ultimo richiama l’area semantica di κη
ρύϲϲω/κῆρυξ:
καὶ τήν|5δε μέν//τοι τὴν γρα|φὴν οὐχ // ἑαυτῶν χά|ριν, ἀλλ’ ὑ//μῶν, ὠ πο|λεῖται,
κ//αταβεβλή|μεθα, ϲ//ωτήριον οὖ|10ϲαν ὑμε//[ῖ]ν, ὡϲ ἐν εἰ|ϲόδῳ τ[ο]//ῦ παντὸϲ λό|γου
κατ//επηνγέλμεθα.
Inoltre abbiamo collocato questa iscrizione non per beneficio nostro, ma vostro,
cittadini, come mezzo di salvezza per voi, come abbiamo annunciato all’inizio dell’in-
tero discorso.26
25
P. 297 SMITH, Diogenes (cit. n. 2). Nel fr. 71 col. 1,11, ricorre il sostantivo ϲεμνότηϲ
(ϲεμνότητοϲ), riferito alla dottrina, cf. SMITH, Diogenes (cit. n. 2), p. 265; in NF 126/127,6 =
NF 127,1, 1-3, secondo la ricostruzione degli editori, la dottrina (δόγμα) è definita [εὐϲεβ]έϲ,
cf. HAMMERSTAEDT, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries of 2011” (cit. n. 2), p. 84.
26
Fr. 29,3 + NF 207 I. Ringrazio vivamente gli amici Smith e Hammerstaedt che mi hanno
trasmesso il testo del frammento prima della pubblicazione. Cf. ora JÜRGEN HAMMERSTAEDT – MARTIN
FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda: New Discoveries of 2012 (NF 206-212) and New Light on
‘Old Fragments’”, Epigraphica Anatolica, 2012, 45: 1-37, pp.11-16. MICHAEL ERLER, “Epicureanism
in the Roman Empire”, in The Cambridge Companion to Epicureanism (cit. n.11), p. 53, rileva come
la terminologia che definisce Epicuro come salvatore o araldo sia mutuata dagli stessi testi epicurei
e riecheggi espressioni del Vecchio Testamento.
27
IG 22 1099, ed. JAMES H. OLIVER, Greek Constitutions of Early Roman Emperors from
Inscriptions and Papyri (Philadelphia: American Philosophical Society, 1989), pp. 174-180, n. 73.
— 46 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
luoghi la terminologia riporta con evidenza alla sfera della venerazione e del
culto.28
Anche Luciano nell’Alessandro (61,8-10 = adn. ad fr. 395, p. 262,11 Us.,
cit. n. 11) afferma:
ho voluto vendicare Epicuro, uomo di natura veramente sacra e divina, l’unico
che sia riuscito a conoscere il bene con verità e che l’abbia trasmesso agli altri,
diventando un liberatore per chi ha seguito la sua dottrina.29
Ἐπικούρωι τιμωρῶν, ἀνδρὶ ὡϲ ἀληθῶϲ ἱερῶι καὶ θεϲπεϲίωι τὴν φύϲιν καὶ μόνωι
μετ’ ἀληθείαϲ τὰ καλὰ ἐγνωκότι καὶ παραδεδωκότι καὶ ἐλευθερωτῆι τῶν ὁμιληϲάντων
αὐτῶι γενομένωι.30
28
Sull’iscrizione, cf. TIZIANO DORANDI, “Plotina, Adriano e gli Epicurei di Atene”, in
Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit herausgegeben von Michael Erler (Stuttgart:
Franz Steiner Vorlag, 2000), pp. 137-148. Cf. anche RIET VAN BREMEN, “‘Plotina to All Her Friends’:
The Letter(s) of the Empress Plotina to the Epicureans in Athens”, Chiron, 2005, 35: 499-532; su
questo articolo vd. le osservazioni critiche di SIMONE FOLLET, Bulletin Épigraphique 2007, nr. 231,
Revue d’Études Grecques, 2007, 120: 648; FRANÇOIS KIRBIHLER, Plotina (Pompeia), in Dictionnaire
des philosophes antiques, publié sous la direction de Richard Goulet, vol. 5b (Paris: CNRS Editions,
2012), pp. 1071-1075. Il fatto che nella testimonianza di Plotina, che risale al II sec. d.C., riguardo
a Epicuro sia impiegato il termine καθηγεμονίαϲ (τῆϲ καθηγεμονίαϲ τοῦ ϲωτῆροϲ), richiama anche
i primi Maestri, i καθηγεμόνεϲ, e potrebbe confermare che alla sua figura di salvatore sono sempre
collegati anche gli altri Fondatori, Metrodoro, Polieno, Ermarco.
29
Cf. Luciano di Samosata. Alessandro o il falso profeta, introduzione di Dario Del Corno,
traduzione e note di Loretta Campolunghi (Milano: Adelphi, 1992), p. 102. ERLER, Epicureanism
(cit. n. 26), p. 53 n. 41, sottolinea come Luciano descriva la persona e gli insegnamenti di Epicuro
con una certa simpatia.
30
Su questi luoghi e sulla lunga sopravvivenza della scuola epicurea, cf. BIGNONE, L’Aristotele
perduto (cit. n. 2), pp. 99-100, 132.
31
D.L. 10,18, trad. di MARCELLO GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei filosofi, vol. 2 (Bari:
Laterza, 1962, 20087), p. 406. Ho scritto «nel ventesimo giorno di Gamelione», anziché «nel decimo
giorno di Gamelione», come si legge nella traduzione di Gigante, perché, come ha dimostrato
KLAUS ALPERS, “Epikurs Geburtstag”, Museum Helveticum, 1968, 25: 48-51, προτέρα δεκάτη si
riferisce al giorno venti (e non dieci) del mese, cf. ora MARCELLO GIGANTE, Filodemo in Italia
— 47 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
(Firenze: La Nuova Italia, 1990), p. 105; DAVID SIDER,The Epigrams of Philodemos (New York,
Oxford: Oxford UP, 1997), p. 156; GIOVANNI REALE, Diogene Laerzio. Vite e dottrine dei più celebri
filosofi, con la collaborazione di Giuseppe Girgenti, Ilaria Ramelli (Milano: Bompiani, 2005),
p. 1482 n. 50.
32
SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), pp. 99-111. Per una trattazione delle linee generali del culto di
Epicuro, cf. anche DIETER TIMPE, “Der Epikureismus in der römischen Gesellschaft der Kaiserzeit”,
in Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit (cit. n. 28), pp. 42-63, pp. 46-47.
33
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 75-102. Il luogo di Diogene Laerzio citato a n. 31 corri-
sponde alle T 1, 2, 6, 12, 13.
34
Col. 51,1472-1476, pp. 206-207, OBBINK, Philodemus (cit. n. 11). Alla venerazione dei fratelli
per Epicuro allude Plutarco, frat. am. 487d = fr. 178 Us.: φαίνεται δὲ πολλὴ καὶ πρὸϲ Ἐπίκουρον
αἰδὼϲ τῶν ἀδελφῶν δι’ εὔνοιαν αὐτοῦ καὶ κηδεμονίαν εἴϲ τε τἄλλα καὶ φιλοϲοφίαν τὴν ἐκείνου
ϲυνενθουϲιώντων· «appare grande anche il rispetto per Epicuro da parte dei fratelli entusiasti per la
sua benevolenza e per la sollecitudine verso ogni cosa e verso la sua filosofia».
35
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 68-70.
36
Cf. T 4, 9 CLAY, Paradosis (cit. n. 9).
— 48 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
37
Cf. SIDER, The Epigrams of Philodemos (cit. n. 31), p. 156. Il testo pliniano costituisce le
T 5 e 10 CLAY, Paradosis (cit. n. 9). Cicerone (fin. 5,3) riferisce: Tum Pomponius: At ego, quem vos ut
deditum Epicuro insectari soletis, sum multum equidem cum Phaedro, quem unice diligo, ut scitis, in
Epicuri hortis, quos modo praeteribamus, sed veteris proverbii admonitu vivorum memini, nec tamen
Epicuri licet oblivisci, si cupiam, cuius imaginem non modo in tabulis nostri familiares, sed etiam in
poculis et in anulis habent; cf. T 25 CLAY, Paradosis (cit. n. 9), che rileva, p. 98 n. 25, che il vasellame
e gli anelli con l’effigie di Epicuro facevano parte dei conviti rituali. Cf. anche p. 67.
38
AP 11,44 = 23 Gow–Page = 27 SIDER, The Epigrams of Philodemos (cit. n. 31) = 33 Gigante,
cf. MARCELLO GIGANTE, Il libro degli Epigrammi di Filodemo (Napoli: Bibliopolis, 2002). È la T 8
CLAY, Paradosis (cit. n. 9).
39
Su μουϲοφιλήϲ, primum dictum di Filodemo, cf. GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 31), p.
108; DAVID SIDER, “The Epicurean Philosopher as Hellenistic Poet”, in Philodemus and Poetry ed. by
Dirk Obbink (New York, Oxford: Oxford UP, 1995), p. 47 SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), p. 101 n. 137,
vede nell’aggettivo un’«allusione scherzosa di Filodemo alla venerazione delle Muse dei partecipanti
alla festa del ventesimo giorno».
40
Trad. di GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 31), p. 104; cf. anche pp. 105-106.
41
Le εἰκάδεϲ celebrate dagli Epicurei sono testimoniate anche dal luogo laerziano (6,101) in
cui è ricordato il libro di Menippo intitolato Τὰϲ θρηϲκευομέναϲ ὑπ’αὐτῶν εἰκάδαϲ. Le onoranze del
— 49 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
giorno venti osservate da loro (Epicurei) = T 3 CLAY, Paradosis (cit. n. 9); Plut., suav. viv. Epic. 4,1089
c = fr. 436 Us. = T 21 CLAY, Paradosis (cit. n. 9), riferisce la critica di Carneade a Epicuro per i conviti
del ventesimo giorno: «A quanti ricchissimi pranzi ho partecipato in occasione delle celebrazioni del
giorno Venti», πόϲαϲ εἰκάδαϲ ἐδείπνηϲα πολυτελέϲτατα, cf. BIGNONE, L’Aristotele perduto (cit. n. 2),
pp. 588-590. Su εἰκάϲ e il suo valore cf., per tutti, SCHMID, Epicuro (cit. n.1), pp. 102-104. ANTONELLA
ARENA, “L’icade di Filodemo ed il genetliaco di Epicuro”, Latomus, 2012, 71: 696-712, p. 698,
conviene sul fatto che la data del venti sia comune a entrambe le celebrazioni, annuale e mensile,
ma si pone il problema di come si possa spiegare la differenza tra il dato relativo al giorno natale di
Epicuro, che si ricava dal Testamento del filosofo (giorno venti appunto), e l’informazione che sullo
stesso evento ci fornisce Apollodoro, citato da Diogene Laerzio, secondo la quale la data di nascita
di Epicuro cadrebbe il sette dello stesso mese (10,14 μηνὸϲ Γαμηλιῶνοϲ ἑβδόμηι). ARENA scarta la
soluzione offerta da DAVID M. LEWIS, “Two Days”, Classical Review, 1969, 19: 271-272, che cioè
l’aggettivo ἑβδόμηι sia una glossa scivolata nel testo per spiegare che Gamelione è il settimo mese
dell’anno, dal momento che lo studioso non ha indicato quale fosse in origine la forma interpolata:
se fosse cioè maschile e per quale processo poi sia diventata femminile (pp. 700-701 n. 22). La
spiegazione di LEWIS è accolta da SIDER, The Epigrams of Philodemos (cit. n. 31), p. 156. ARENA,
pp. 700-703, propone una soluzione particolare che muove dalla constatazione che nella letteratura
biografica la cronologia possa essere modificata e interpretata. Il numero sette ricorre varie volte nelle
date di nascita di Socrate, Platone, Epicuro, biografie per le quali Apollodoro è fonte di Diogene.
Secondo la dottrina ispirata a criteri aritmetici che si è sviluppata nella letteratura greca e latina,
i numeri avrebbero il ruolo di esprimere concetti. Il numero, che anche nell’espressione – ἑπτά è
collegato a ϲεπτά e quindi a ϲεβαϲμόϲ, ϲεμνότηϲ – riconduce a una sfera di elevatezza spirituale,
rappresentava concetti di pienezza, raggiunta maturità; l’impiego del numerale non indicherebbe la
data di nascita del filosofo, ma il fatto che la nascita di Epicuro sia avvenuta in totale compiutezza.
42
Ath. 7,298 d = T 11 CLAY, Paradosis (cit. n. 9). Il nome era dato alla confraternita religiosa
che celebrava la festa in onore di Apollo il venti del mese e fu attribuito, in base a questo, anche
agli Epicurei, cf. BIGNONE, L’Aristotele perduto (cit. n. 2), p. 588. Sul fatto che gli Epicurei erano
conosciuti come «membri del culto del Venti», εἰκαδιϲταί, cf. anche CLAY, “The Athenian Garden”
(cit. n. 11), p. 24; ARENA, “L’icade di Filodemo” (cit. n. 41), p. 706.
43
Fr. 39 Hercher = fr. 218 Us. = T 22 CLAY, Paradosis (cit. n. 9) οὕτω δὲ ἄρα ἦν ἡδονῆϲ ἥττων
ὁ Ἐπίκουροϲ, ὥϲτε διὰ τῶν ἐϲχάτων ἐν ταῖϲ διαθήκαιϲ αὐτοῦ ἔγραψε τῶι μὲν πατρὶ καὶ τῆι μητρὶ
καὶ τοῖϲ ἀδελφοῖϲ ἐναγίζειν ἅπαξ τοῦ ἔτουϲ καὶ Μητροδώρωι δὲ καὶ Πολυαίνωι τοῖϲ προειρημένοιϲ,
ἑαυτῶι δὲ δὶϲ ϲυϲϲιτεῖν, τῆϲ ἀϲωτίαϲ τὸ πλέον προτιμῶν καὶ ἐνταῦθα ὁ ϲοφόϲ. καὶ τραπέζαϲ λίθων
πεποιῆϲθαι καὶ ὡϲ ἀναθήματα ἐν τῶι τάφωι προϲέταξε τεθῆναι ὁ προτένθηϲ τε καὶ ὀψοφάγοϲ οὗτοϲ,
«Tanto schiavo del piacere fu Epicuro che con le ultime disposizioni, nel suo testamento, prescrisse
che si sacrificasse per il padre, la madre, i fratelli una volta l’anno ed una volta, del pari, per i già
menzionati Metrodoro e Polieno, ma per se stesso due volte l’anno, attribuendosi codesto saggio
anche in quest’occasione, per la propria sregolatezza, la porzione maggiore. Dispose, inoltre, goloso
— 50 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
attendibile, rileva Clay; possiamo esser certi che Epicuro non avrebbe mai
dato la disposizione di collocare tavole di marmo come offerta per sé; ma le
tavole, τράπεζαι, erano elementi significativi che facevano parte del culto degli
eroi in Grecia.44 Forse Epicuro non ha disposto la collocazione di tavole di
marmo nella sua tomba, ma κοιναὶ τράπεζαι erano usate dagli Epicurei nelle
celebrazioni della scuola secondo quanto testimonia Plutarco, in un noto
passo: τί γὰρ αἱ κοιναὶ τράπεζαι; τί δ’ αἱ τῶν ἐπιτηδείων καὶ καλῶν ϲύνοδοι;
τί δ’ αἱ τοϲαῦται μυριάδεϲ ϲτίχων ἐπὶ Μητρόδωρον, ἐπ’ Ἀριϲτόβουλον, ἐπὶ
Χαιρέδημον γραφόμεναι καὶ ϲυνταϲϲόμεναι φιλοπόνωϲ, ἵνα μηδ’ ἀποθανόντεϲ
λάθωϲιν; «Cosa sono le mense comuni? E le riunioni dei vostri amici e dei
buoni? E le tante migliaia di linee scritte per Metrodoro, Aristobulo, Che-
redemo e disposte laboriosamente, affinché, neppure da morti, restino igno-
rati?».45 Plutarco biasima Epicuro per la contraddizione fra la pratica delle
celebrazioni commemorative e la concezione della mortalità dell’anima.46
Veniamo ai testi ercolanesi. L’ignoto autore del PHerc. 176 ci offre luoghi
interessanti.47 Nel fr. 5, col. 27,5-18 è un riferimento certo al culto di Polieno.
come fu di primizie e d’intingoli, che si costruissero mense di pietra e si ponessero a guisa di offerte
votive sulla sua tomba». Trad. LIDIA MASSA POSITANO, Epicurea (Padova: CEDAM, 1969), p. 16 n. 8.
44
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), p. 100 e n.30. Lo studioso rimanda opportunamente all’ampio
commento di OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), pp. 432-433 (Philod. Piet. 1, col. 30, 843-844), relativo
alle ἱεραὶ τράπεζαι dedicate agli dèi nelle feste, sulle quali venivano sistemate carni e offerte. Cf.
USENER (cit. n. 2), fr. 100. A Idomeneo Epicuro scrive (Plut. adv. Col. 1117d-e = fr. 130 Us. =
54 Arr.): πέμπε οὖν ἀπαρχὰϲ ἡμῖν εἰϲ τὴν τοῦ ἱεροῦ ϲώματοϲ θεραπείαν ὑπέρ τε αὑτοῦ καὶ τέκνων,
«mandami dunque delle offerte per la cura del sacro corpo, da parte tua e dei tuoi figli». Le ἀπαρχαί
erano primizie, generalmente offerte agli dèi: di qui la definizione del corpo come «sacro».
45
Plut. lat. viv. 3,1129a = fr. 218 e p. 87,24-27 Us. = T 20 CLAY, Paradosis (cit. n. 9). La
traduzione dell’espressione τῶν ἐπιτηδείων καὶ καλῶν ϲύνοδοι non è semplicissima. BENEDICT
EINARSON – PHILIP H. DE LACY, Plutarch’s Moralia, vol. 14 (London: Heinemann, Cambridge, Mass.:
Harvard UP, 1967), p. 328, rilevano come Wilamowitz avesse suggerito dubbiosamente φίλων
invece di καλῶν, forse sulla scia di Lys. 1,22. Gli editori comunque traducono «the meetings of your
friends and of the fair». MASSA POSITANO, Epicurea (cit. n. 43), p. 16 n. 8, evidentemente nella scia
del Wilamowitz: «di familiari ed amici»; CLAY, Paradosis (cit. n. 9), p. 94, intende: «of your associates
and the fine people who join them»; ILARIA RAMELLI, Epicurea nell’edizione di Hermann Usener
(Milano: Bompiani, 2002), p. 381: «di bravi e di belli».
46
Cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 1), p. 104 e n. 146; CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 68, 78, 98-99.
47
Il libro trasmesso da questo testo risale a un tempo anteriore a Filodemo giacché è stato
trascritto nel II sec. a.C., come ha dimostrato GUGLIELMO CAVALLO, Libri scritture scribi a Ercolano,
Suppl. a Cronache Ercolanesi 1983,13: 44, 57, 60, confermando un’intuizione di ACHILLE VOGLIANO,
“Nuove lettere di Epicuro e dei suoi scolari”, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
di Cagliari, 1926-1927, 1-2: 385-444, pp. 388-389, Epicuri et Epicureorum scripta in Herculanensibus
papyris servata (Berlin: Weidmann, 1928), p. 110. Sulla possibile datazione anteriore del rotolo,
sulla presenza di due mani di scrittura e di interventi di restauro, cf. GIANLUCA DEL MASTRO, “Papiri
Ercolanesi vergati da più mani”, Segno e testo, 2010, 8: 3-66, pp. 47-53. Come è noto, il PHerc. 176
contiene un’opera che può essere assegnata al filone biografico della produzione epicurea. Forse
intitolata Sugli amici di Epicuro, come suggerisce SCHMID, Epicuro (cit. n.1), p. 39 (cf. ANGELI, “La
— 51 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
scuola epicurea di Lampsaco”(cit. n. 10), p. 39), illustrava i profili esemplari dei primi discepoli del
Fondatore sul fondamento della documentazione offerta dalle lettere di Epicuro e dei suoi. Sulla
produzione biografica degli Epicurei è fondamentale il lavoro di GRAZIANO ARRIGHETTI, “Filodemo
biografo dei filosofi e le forme dell’erudizione”, Cronache Ercolanesi, 2003, 33: 13-30.
48
La versione qui trascritta è di TEPEDINO GUERRA, Polieno (cit. n. 17), fr. 12; alla sua traduzione
delle ll. 1-12, p. 118, mi sono attenuta. È la T 14 di CLAY, Paradosis (cit. n. 9). La nuova lettura,
che risolve le incertezze del testo, è εἴτ[ε] a l. 9. Già USENER (cit. n. 2), p. 167, aveva adombrato
la possibilità di leggere la congiunzione per la presenza della correlativa εἴτε a l. 11, cf. TEPEDINO
GUERRA, p. 144. Nell’edizione di VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta (cit. n. 47), p. 53, seguita
da CLAY, Paradosis (cit. n. 9), si legge ἕ[κ]τ[ην], lezione suggerita dal Wilamowitz, che indicherebbe
«il sesto giorno di Metageitnione».
49
Si veda quanto VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta (cit. n. 47), p. 119, propone negli
Adnotata, che tuttavia lascia sospesa la parte iniziale della frase. Quanto a TEPEDINO GUERRA, Polieno
(cit. n. 17) e CLAY, Paradosis (cit. n. 9), essi non offrono una versione più completa del testo; CLAY,
Paradosis (cit. n. 9), p. 82, propone un collegamento con T 16 (vd. infra), che TEPEDINO GUERRA,
Polieno (cit. n. 17), pp. 144-145, a ragione non ritiene adeguatamente giustificato dallo stato del
testo.
50
PHerc. 1232, Fr. 8, col. 1 = T 16 CLAY, Paradosis (cit. n. 9) = col. 28, p. 27 ADELE TEPEDINO
GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro (PHerc. 1232, 1289 β)”, Cronache Ercolanesi, 1994, 24: 5-53;
il testo coincide con l’edizione di TEPEDINO GUERRA. Sul De Epicuro e, in particolare, su questo
luogo, cf. MARCELLO GIGANTE, Filodemo nella storia della letteratura greca (Napoli: Accademia di
Archeologia, Lettere e Belle Arti, 1998), pp. 20, 57. Sull’opera di Filodemo nel contesto della sua
produzione biografica, cf. ARRIGHETTI, “Filodemo” (cit. n. 47), pp. 28-30. Per il numero del libro, cf.
GIANLUCA DEL MASTRO, “Il PHerc. 1589 e una nuova testimonianza su Temista e Leonteo”, Cronache
Ercolanesi, 2008, 38: 221-228, p. 226 n. 50.
— 52 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
τούϲ τε | [κ]ατὰ τὴν οἰ[κίαν] ἅπα̣νταϲ καὶ | [τ]ῶν ἔξωθεν [μηδένα π]αραλεί|10πονταϲ,
ὅϲοι τ[ὰ]ϲ [εὐ]νοίαϲ [καὶ | τὰϲ] ἑαυτοῦ [κα]ὶ τὰ[ϲ τῶ]ν ἑαυ|[τ]οῦ φίλων ἔχουϲιν· οὐ γὰρ
δη|μαγωγήϲειν το[ῦ]το πράττον|ταϲ, τὴν κενὴν καὶ ἀφυϲιολό|15γη[τ]ον δ[η]μαγ[ωγ]ίαν,
ἀλλ’ ἐν | τοῖϲ τῆϲ φύϲεω[ϲ οἰ]κείοιϲ ἐνερ|γοῦνταϲ μ[ν]η[ϲθ]ήϲεϲθαι πάντων | τῶν τὰϲ
εὐν[οίαϲ] ἡμῖν ἐχόν|των, ὅπωϲ ϲυ[γκαθ]αγίζωϲιν τὰ |20 ἐπὶ τῆι ἑαυτ[ῶν μα]καρίαι […].
né a coloro che a causa di turbamenti sono angosciati dalle nozioni relative alle
ottime e beatissime nature. (Ma esorta)51 ad invitare a banchetto con cordialità52 sia questi
stessi sia gli altri, sia quelli di casa sia quelli di fuori senza tralasciare nessuno, quanti
mostrano sentimenti di benevolenza verso lui e i suoi amici.53 Infatti, facendo ciò essi non
eserciteranno una demagogia vana e non conforme a natura, ma operando nell’ambito di
ciò che è proprio della natura, si ricorderanno di tutti quelli che hanno sentimenti benevoli
verso di noi, affinché compiano i riti convenienti per la propria beatitudine […].54
51
λέγει δὲ è supplemento di TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 50);
CLAY, Paradosis (cit. n. 9) lascia il testo sospeso.
52
καλῶϲ è supplemento di TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 50); CLAY,
Paradosis (cit. n. 9), integra κα[θ]ῶϲ. Sull’impiego di εὐωχέω nell’opera De pietate, in un’accezione
molto simile a questo luogo, cf. OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), pp. 423-424.
53
Riguardo a questo luogo, inteso come testimonianza sulla pratica dell’amicizia nel Giardino,
cf. SALEM, Tel un dieu (cit. n. 2), p. 158.
54
Trad. TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 50), p. 29. La studiosa, p.
37, sottolinea come, nelle ll. 12 ss., Filodemo intenda porre l’accento sul contrasto tra il culto semi-
privato della scuola e la demagogia del culto pubblico.
55
La colonna è definita dal VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta (cit. n. 47), p. 126:
«reginam columnarum in papyris Herculanensibus adservatarum».
56
Cf. TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 50), p. 11.
57
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 68-70.
58
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 83, 97.
— 53 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
Qui Filodemo riferisce il testo di una lettera che Epicuro ha scritto nel
289/288 a Firsone su Teodoto di Colofone, probabilmente un epicureo che
faceva parte della comunità ateniese, contemporaneo di Epicuro e dei primi
Maestri, e sulle attività cultuali di Epicuro. In questa parte del libro De pietate
il discorso verte sulla partecipazione di Epicuro al culto ufficiale di Atene,
ma, nel passo sopra riportato, non è dubbio che sia un riferimento a una
delle consuete celebrazioni del giorno venti ed è ugualmente chiaro che ci
sono punti di contatto con la colonna 8 del PHerc. 1232 sopra ricordata.
Anche qui si parla di un convito, [δεῖπν]ον (supplemento del Diels, accolto
da Obbink, sul fondamento della presenza dei verbi καλεῖν e εὐωχεῖν alle ll.
818-819), di una casa, οἰκία, dove l’invito veniva esteso a tutti, καλέϲαν|[τα
πάντ]αϲ εὐωχῆϲαι.60 Delle case a cui si fa riferimento non si può determinare
con certezza l’identità; Obbink, a cui rimando per la discussione delle varie
ipotesi, suppone che si tratti di case private, presumibilmente di Epicurei.61
L’occorrenza del verbo ἐπιλαμπρύνω (ll. 817-818) richiama un luogo del
PHerc. 176, in cui si parla di Pitocle che aveva reso splendida la cerimonia
funebre del giovane Apollodoro:62
Πυθοκ[λέ]|ουϲ τοῦ ἀρίϲ[του] καὶ τὰ περ[ὶ] | τ[ὴ]ν ἐκφορὰ[ν μάλ’ ἐπιλα]μπρ [ ύ|ν]αντοϲ
καὶ [τ]ὰ περὶ τ[ὴν πα]|5ραϲκευὴν τῶν εἰ[ω]θότων | ἐπὶ τοῖϲ τηλικούτοιϲ γί|νεϲθαι δείπνω[ν
59
Cf. OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), coll. 28, 806-29, 819, pp. 160-163 = fr. 169 Us. Il testo,
in una forma molto più scarna, costituisce la T 17 CLAY, Paradosis (cit. n. 9); cf. anche ID., pp. 82-83,
85 e n. 16.
60
Per il valore del verbo εὐωχεῖν e le sue occorrenze, ho già rimandato all’ottimo e esauriente
commento di OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), pp. 423-424. Secondo TEPEDINO GUERRA, “L’opera
filodemea Su Epicuro” (cit. n. 50), p. 36 n. 304, nel luogo Filodemo si riferisce esclusivamente al
culto degli dèi.
61
Cf. OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), p. 422.
62
PHerc. 176, col. 18 ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10), p. 40.
— 54 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
poiché l’ottimo Pitocle diede molto splendore sia alla cerimonia funebre sia ai
preparativi dei banchetti, che sono soliti farsi per i cari che muoiono in così giovane
età.63
63
La trad. è di ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10), p. 40.
64
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 94, 96, 98 n. 25. Solo nell’intestazione del F 15 lo studioso
mostra il dubbio che possa trattarsi della cerimonia funebre di Pitocle o di Apollodoro; ma cf.
ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10), p. 45 e n. 170. A quanto si ricava dal
testo proposto dalla Angeli, Apollodoro, altrimenti sconosciuto, sarebbe un fratello più giovane
di Pitocle; forse fu scolaro di Idomeneo, cf. PHerc. 176, col. 17, pp. 39-40 ANGELI, “La scuola
epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10) = Fr. 34 Idomeneo (ANNA ANGELI, “I frammenti di Idomeneo
di Lampsaco”, Cronache Ercolanesi, 1981, 11: 41-101). Che Apollodoro fosse fratello di Pitocle
era stato supposto in un primo momento da VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta (cit. n. 47),
p. 113, che, negli Adnotata al testo del PHerc. 176, osserva: «Apollodorus plane ignotus: erat vel
saltem fuerat Epicureus, artius cum Pythocle coniunctus, fortasse illius frater». Successivamente,
“Dall’Epistolario di Epicuro e dei primi scolari (papiro ercolanese nr. 176)”, Prolegomena, 1952,
1: 43-60, pp. 56-57, lo studioso sosteneva che Apollodoro fu fratello di Leonteo, cf. ANGELI , “La
scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10), p. 45 n. 163. Sul luogo cf. ora anche DE SANCTIS, “Utile
al singolo” (cit. n. 2), p. 102 e n. 36.
65
Cf. fr. 5, coll. 14, 19-20 (morte di Metrodoro); 21-22 (morte di Polieno), pp. 39, 45,46 ANGELI,
“La scuola epicurea di Lampsaco” (cit. n. 10). Cf. ora anche FRANCISCO JAVIER CAMPOS DAROCA
– MARíA DE LA PAZ LÓPEZ MARTíNEZ, “Communauté Épicurienne et communication épistolaire.
Lettres de femmes selon le PHerc. 176: la correspondance de Batis”, in Miscellanea Papyrologica
Herculanensia, a cura di Agathe Antoni, Graziano Arrighetti, M. Isabella Bertagna, Daniel Delattre,
vol. 1 (Pisa: Fabrizio Serra, 2000), pp. 21-36, pp. 31-33; ADELE TEPEDINO GUERRA, “Le lettere private
del Κῆποϲ: Metrodoro, i Maestri e gli amici epicurei (PHerc. 176 e PHerc. 1418)”, ibid., pp. 37-
59, pp. 47-55. Cf. anche MARIO CAPASSO, “Gli Epicurei e il potere della memoria”, in Proceedings
of the XVIII International Congress of Papyrology, edited by Basil G. Mandilaras (Athens: Greek
Papyrological Society, 1988), pp. 257-270, in cui è pubblicato il PHerc. 1041, dove si parla della
— 55 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
Alla pratica del culto per Epicuro e i suoi potrebbe rimandare un altro
luogo della prima parte dell’opera De pietate, come suppone Obbink.
Filodemo riferisce che, secondo Epicuro, nelle feste (ἐν δὲ ταῖϲ ἑορταῖϲ)
si determina un’occasione favorevole a una migliore comprensione della
natura divina da parte dell’uomo: invocando sempre il suo nome, egli la
comprende più intensamente. La frase si riferisce alla partecipazione ai culti
pubblici della religione ateniese, ma, secondo Obbink, l’autore potrebbe
avere in mente anche le celebrazioni private della scuola.66 Nel PHerc. 1005
Filodemo testimonia la sua personale venerazione per il Maestro Zenone,
col. 14, ll. 6-13:
καὶ Ζ̣ήνωνοϲ ἐγεν[ό]|μην περιόν⌞το⌟ϲ ⌞τε⌟ {α} πιϲτ[ὸϲ] | ἐραϲτὴϲ καὶ τ⌞ελευ⌟[τήϲαν]|τοϲ
ἀκοπίατοϲ ὑμνητήϲ, |10 μάλιϲτα παϲῶν αὐτοῦ τῶ[ν] | ἀρετῶν ἐπὶ ταῖϲ ἐξ Ἐπικ[ού]|ρου
κατοχ αῖϲ τε καὶ θεοφ[ο]|ρίαιϲ.
e finché Zenone era in vita ne divenni fedele ammiratore e, dopo la morte,
infaticabile lodatore, soprattutto di tutte le sue virtù fondate sul possesso della
dottrina di Epicuro ispirata dalla divinità.67
condizione di un uomo in punto di morte. Il testo, secondo l’editore, rientra appunto nel filone
encomiastico-commemorativo, caro agli epicurei.
66
Cf. col. 27,765-772, pp. 158-159, 406 OBBINK, Philodemus (cit. n. 11) = fr. 386 Us.
67
Pp. 179-180 ANGELI, Filodemo (cit. n. 1). Il testo è quello costituito da G. Del Mastro in
questo volume, sul fondamento del confronto con il PHerc. 1485, che è un secondo esemplare dello
stesso libro e conferma le lezioni già proposte da Crönert e da Sbordone. La lezione, κατοχαῖϲ, l. 11,
segue il testo proposto, sulla scia di HERMANN DIELS, “Philodemos Über die Götter erstes Buch”,
Abhandlungen der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften (Berlin: Königl. Akademie
der Wissenschaften, 1916), p. 62 n. 1, da DANIEL DELATTRE – ANNICK MONET, Varianti agli Épi-
curiens, in Les Épicuriens, édition publiée sous la direction de Daniel Delattre et Jackie Pigeaud
(Paris: Gallimard, 2010), pubblicate nel portale Herculanensiacispe, <www.herculanensiacispe.org>,
p. 739,4, cf. i lavori di Indelli e Del Mastro in questo volume. Nella col. 13 del PHerc. 1005,9-14,
secondo la Angeli, è riferita l’accusa mossa a Zenone da parte di un avversario di aver modificato il
concetto della venerazione di Epicuro, cf. ANGELI, p. 33.
— 56 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
«Ἀλλὰ τί δεῖ ποιεῖν;» Ἡ δὲ «τὸν κῆπον οἶϲθα» ἔλεγεν «ἔνθα τὸ μνῆμα τῶν
Ἐπικουρείων; Ἐνταῦθα εἰϲ ἑϲπέραν ἐλθὼν περίμενε».
[Cnemone] “Ma cosa si deve fare?” Ed ella [Tisbe] disse: “Conosci il Giardino
dove è il monumento degli Epicurei? Va là di sera e aspetta”.68
Clay associa a questo passo il luogo di Eliano già ricordato in cui si parla di
tavole di marmo che Epicuro avrebbe fatto collocare nella sua tomba e pensa
che, siccome statue e tavole erano elementi che accompagnavano il culto
eroico in Grecia, il Giardino possa essere stato sede anche delle celebrazioni
commemorative.69 Egli si domanda anche se le statue, rinvenute nella zona in
cui si trovava il Giardino e collegate agli Epicurei, non siano anch’esse una
prova del culto.70 Che le statue facessero parte del rituale previsto per il culto
è molto probabile.
È ben noto che i ritratti di Epicuro e dei suoi scolari giunti a noi sono
in gran numero: dalle sculture che riproducono l’intera figura o i busti, alle
gemme intagliate per anelli,71 al bassorilievo sulla tazza d’argento rinvenuta a
Boscoreale,72 ai mosaici trovati a Autun con i ritratti di Epicuro e Metrodoro.
Sulla funzione e sul ruolo delle statue raffiguranti i filosofi epicurei non
tutti gli studiosi concordano e tuttavia a me pare che le varie posizioni possano
in qualche modo conciliarsi. P. Zanker, nel bel volume dedicato ai ritratti
degli uomini di cultura nell’arte antica, ritiene che le statue degli epicurei,
Epicuro, Metrodoro, Ermarco, furono erette dopo la loro morte e pensa
68
Heliod. Aeth.1,16,5. Su questo luogo di Eliodoro ha richiamato l’attenzione MARTIN LOWTER
CLARKE, “The Garden of Epicurus”, Phoenix, 1973, 27: 386-387, dimostrando che il Giardino
doveva trovarsi appunto fuori delle mura di Atene e non in città, come aveva supposto RICHARD
ERNST WYCHERLEY, “The Garden of Epicurus”, Phoenix, 1959, 13: 73-77. Cf. anche lo schizzo della
collocazione delle scuole filosofiche ateniesi che si può vedere in ANTONY A. LONG – DAVID N.
SEDLEY, The Hellenistic Philosophers, vol. 1 (Cambridge: Cambridge UP, 1987), p. 4.
69
A proposito del luogo di Eliano, ARENA, “L’icade di Filodemo” (cit. n. 41), p. 710, rileva
che le disposizioni date da Epicuro per le modalità del culto di sé e dei suoi avevano forti punti di
contatto con i riti della religione tradizionale.
70
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 99-100; GEORGIOS DONTAS, “Eikonistika B”, Archaiologikon
Deltion, 1971 (Athenai 1973), 26: 16-33.
71
Cf. BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicureanism and Philosophical Recruitment in
Ancient Greece (Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press, 1982), p. 87 n. 1;
seconda edizione digitale del 2006, Humanities E-Book Project of the American Council of Learned
Societies: <hdl.handle.net/2027/heb.90022>.
72
Ora al Museo del Louvre (inv. Bj 1923); oltre alla bibliografia ricordata da FRISCHER, The
Sculpted Word (cit. n. 71), pp. 88-89 n. 5, cf. Argenti a Pompei, a cura di Pietro Giovanni Guzzo
(Milano: Electa, 2006), pp. 186-187, scheda a cura di Cécile Giroire, Olivier Tavoso. Sulla tazza
e sulle immagini di Epicuro e Metrodoro rinvenute nella zona vesuviana cf. MARCELLO GIGANTE,
Civiltà delle forme letterarie nell’antica Pompei (Napoli: Bibliopolis, 1979), pp. 109-111.
— 57 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
che la loro collocazione non potesse essere che nel Giardino, dal momento
che lì i filosofi vivevano ritirati, senza svolgere alcuna attività pubblica. Le
statue, sostanzialmente simili tra di loro, rispecchiano, secondo Zanker, la
gerarchia che esisteva nel κῆποϲ, come si può dedurre dall’analisi dei sedili
sui quali esse sono raffigurate: Epicuro siede su un seggio importante, Metro-
doro su una sedia con spalliera, Ermarco su una panca. Il seggio di Epicuro,
che ha fatto pensare a un trono destinato alla divinità, può essere messo in
rapporto col culto che si praticava per lui e per i primi Maestri nel Giardino.
E, in effetti, il tipo di sedile raffigurato con su Epicuro era simile ai seggi dei
proedri che occupavano le prime file del teatro di Dioniso ad Atene. In tal
modo, assegnando al Fondatore questa alta dignità, solitamente riservata ai
funzionari pubblici e ai sacerdoti, si voleva sottolineare la posizione di asso-
luto rilievo che Epicuro aveva avuto nella scuola. Zanker esclude che si possa
intendere il seggio come una cattedra da cui il Maestro impartiva le sue lezioni
ai discepoli. Nella statua che raffigura Epicuro seduto, l’atteggiamento non è
quello di chi si rivolge a un pubblico di scolari, bensì di un pensatore dedito
alla sua riflessione: in base alla ricostruzione, eseguita mediante calchi, il volto
è reclinato in avanti, il corpo e le braccia sono rilassati. Ermarco, invece, si
presenta con la testa alta e leggermente girata a sinistra, come rivolta a un
interlocutore: piuttosto in lui Zanker individua l’atteggiamento di Maestro
che si preoccupa di porre in atto le prescrizioni che Epicuro, morendo, gli
ha dato. Metrodoro, a sua volta, raffigurerebbe colui che, grazie ai precetti
del Maestro, è riuscito a pervenire alla tranquillità interiore e conduce una
vita piacevole.73 I primi Maestri, che hanno raggiunto il traguardo della im-
perturbabilità, rappresentano un modello per gli adepti e il loro ricordo è
inteso come un incitamento all’imitazione. Nel quadro dei riti previsti dal
culto epicureo i ritratti erano, anche secondo Zanker, una componente
significativa.74
Diversa è la posizione di Frischer, che interpreta l’abbondanza di effigi
di Epicuro e dei suoi in una prospettiva nuova. Come le immagini degli dèi,
che esercitano incessantemente nelle loro sedi lontane la vita beata, sono
l’esempio di realizzazione compiuta della ἀταραξία, alla quale il sapiente
epicureo cerca di pervenire, così l’immagine del sapiente agisce sull’inconscio
73
Cf. PAUL ZANKER, La maschera di Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica (Torino:
Einaudi, 1997), pp. 130-138. Sulle immagini dei filosofi epicurei, cf. anche PIETTRE, “Épicure, dieu
et image de dieu” (cit. n. 7), pp. 5-12. La studiosa sottolinea appunto come l’affinità intellettuale
tra Epicuro e i suoi scolari, soprattutto Metrodoro, abbia influenzato anche la rassomiglianza dei
ritratti.
74
Cf. ZANKER, La maschera di Socrate (cit. n. 73), pp. 141-142.
— 58 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
dei futuri adepti con effetto feticistico. Per la natura stessa della scuola, che
escludeva ogni forma di attivismo, il sapiente non usciva dal Giardino per
predicare la dottrina, ma trasmetteva il suo messaggio attraverso i ritratti; le
immagini dei Maestri epicurei erano collocate nei luoghi pubblici. Nei ritratti
si riflettevano le funzioni che il Maestro aveva: Epicuro era insieme filosofo,
padre, eroe della cultura, salvatore, magnanimo, dio, e, in tal modo, i ritratti
influenzavano la psiche dei possibili adepti.
Epicuro, come gli dèi, era chiamato dai suoi discepoli salvatore, conno-
tazione che era riservata al dio Asclepio, le cui raffigurazioni sono fiorite in
particolare nel IV sec. a.C. e sono caratterizzate dagli stessi tratti di sensibilità
che appaiono nei ritratti degli epicurei; in particolare, Frischer sottolinea
come siano state viste affinità tra la tradizione iconografica di Asclepio e una
statuetta raffigurante un filosofo epicureo conservata nel Metropolitan Mu-
seum. Epicuro salvatore come Asclepio, quindi. 75
Epicuro dio è indicato, secondo Frischer, dal fatto che il filosofo è ritratto
sul sedile importante di cui si è detto, che rappresenterebbe, appunto, il trono
su cui erano di solito raffigurati gli dèi.
Frischer offre una ricostruzione della statua di Epicuro seduto sul trono,
diversa da altre, sul fondamento di un’analisi accurata delle testimonianze
su di essa. Il punto focale dell’interpretazione dell’immagine risiede nella
posizione del braccio destro che è perduto. Frischer immagina che il braccio
non fosse appoggiato sul corpo come l’altro, ma alzato, come per stabilire un
contatto con un interlocutore: quindi in un atteggiamento che è in accordo
con quanto lo studioso ritiene in base alla sua interpretazione, cioè che la
statua del filosofo lo rappresenti nell’atto di trasmettere il suo messaggio,76
mentre, come abbiamo visto, la ricostruzione della statua, su cui si fonda
Zanker, nella quale il braccio destro non è ricostituito, offre il ritratto di un
filosofo in meditazione.
75
Cf. FRISCHER, The Sculpted Word (cit. n. 71), pp. 232-233. Diversamente ZANKER, La maschera
di Socrate (cit. n. 73), pp. 142-143, vede nella statuetta l’immagine dell’epicureo gaudente, secondo
la tradizionale interpretazione riduttiva dell’etica epicurea. Un dialogo immaginario tra Epicuro e
Asclepio sarebbe testimoniato nella col. 3,8-11, del PHerc. 1008, che contiene il X libro De vitiis
di Filodemo, cf. FRISCHER, pp. 236-240. Ma la ricostruzione di CHRISTIAN JENSEN, “Ein neuer Brief
Epikurs”, Abhandlungen der Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, 1933, 5, non ha solido
fondamento nell’autopsia del papiro. Sul luogo, cf. GIOVANNI INDELLI, “Per una nuova edizione del
PHerc. 1008 (Filodemo, I vizi, libro X)”, in Atti del XXII Congresso Internazionale di Papirologia, a
cura di Isabella Andorlini, Guido Bastianini, Manfredo Manfredi, Giovanna Menci, vol. 2 (Firenze:
Istituto Papirologico “G. Vitelli”, 2001), pp. 693-698, pp. 696-697. Cf. anche PIETTRE, “Épicure,
dieu et image de dieu” (cit. n. 7), pp. 24-25 e la bibliografia in Catalogo dei Papiri Ercolanesi, sotto la
direzione di Marcello Gigante (Napoli: Bibliopolis, 1979), pp. 31-32.
76
Cf. FRISCHER, The Sculpted Word (cit. n. 71), pp. 129-198, pp. 177-180 e fig. 6.
— 59 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
77
Cf. PASCALE CHARDRON-PICAULT, Métrodore, un philosophe, une mosaïque (Autun: Imprimerie
Pelux, 1992).
78
Cf. MICHÈLE BLANCHARD-LEMÉE – ALAIN BLANCHARD, “Épicure dans une anthologie sur
mosaïque à Autun”, Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres,
1993: 969-984.
79
In un annuncio destinato alla stampa dalla University of California del 20 aprile 1995, BRU-
NILDE RIDGWAY, che ha dal primo momento sostenuto l’esattezza della ricostruzione dello studioso,
osserva che la nuova copia del ritratto è un’«immagine allo specchio» dell’originale perduto, così
come è stato ricostruito da Frischer. L’autore del mosaico aveva realizzato l’immagine orientata nel
modo giusto, ma poi ha dovuto capovolgerla per inserirla nel pavimento; perciò nell’immagine c’è
un orientamento opposto rispetto all’originale. Su questa conferma, cf. l’articolo di B. Frischer in
questo volume.
80
Plut. suav. viv. Epic. 16,1097e. La testimonianza, attribuita a Metrodoro da ALFRED KÖRTE,
“Metrodori Epicurei fragmenta”, Jahrbücher für Classische Philologie, 1890, Suppl. 17: 531-597, p.
560 nr. 46, è rivendicata a Epicuro con buone argomentazioni da CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 65-
66, 99. È la T 24 CLAY (cit. n. 9).
81
La traduzione è di ADELMO BARIGAZZI, Plutarco. Contro Epicuro (Firenze: La Nuova Italia,
1978), p. 32.
— 60 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
82
Cf. D.L. 10,27-28; USENER (cit. n. 2), p. 93 e l’ Index nominum, s.v.; MARIO CAPASSO,
Carneisco. Il secondo libro del Filista (PHerc. 1027) (Napoli: Bibliopolis, 1988), p. 40.
83
Cic. fin. 2,67-68 numquam audivi in Epicuri schola Lycurgum Solonem Miltiadem Themis-
toclem Epaminondam nominari, qui in ore sunt ceterorum omnium philosophorum […] nonne melius
est de his aliquid quam tantis voluminibus de Themista loqui?, cf. p. 101 Us.; lo studioso suppone
che, nell’elenco delle opere di Epicuro trasmesso da Diogene Laerzio, dopo l’indicazione del libro
dedicato a Neocle e indirizzato a Temista (Νεοκλῆϲ πρὸϲ Θεμίϲταν), sia caduto il titolo Temista. Cf.
ora anche HOLGER ESSLER, “Freundschaft der Götter und Toten. Mit einer Neuedition von Phld., Di
III, Frg. 87 und 83”, Cronache Ercolanesi, 2013, 43: 95-111.
84
PHerc. 1027, CAPASSO, Carneisco. Il secondo libro del Filista (PHerc. 1027), (cit. n. 82), pp. 34,
36. Su Carneisco abbiamo una testimonianza di Filodemo, cf. CESIRA MILITELLO, Filodemo. Memorie
Epicuree, vol. 16 (Napoli: Bibliopolis, 1997), col. 19, pp. 129, 231.
85
Cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), pp. 67-68, 87, 98-99.
— 61 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
86
Per tutta questa problematica, cf. DAVID N. SEDLEY, “Philosophical Allegiance in the Greco-
Roman World”, in Philosophia Togata. Essays on Philosophy and Roman Society, edited by Miriam
Griffin, Jonathan Barnes (Oxford: Oxford UP, 1989), pp. 97-119. SEDLEY, p. 104, rileva che si ha
l’impressione che Filodemo verso Zenone sia stato come Arriano nei confronti di Epitteto. Contra,
cf. MARCELLO GIGANTE, “Zenone Sidonio e la poesia”, Cronache Ercolanesi, 1998, 28: 85-98, p. 86.
87
Cf. SEDLEY, Philosophical Allegiance (cit. n. 86), p. 106.
88
Una raccolta dei luoghi in cui è impiegata questa terminologia è in FRANCESCA LONGO AURIC-
CHIO, “La Scuola di Epicuro”, Cronache Ercolanesi, 1978, 8: 21-37. Il termine ἀνήρ è impiegato nel
PHerc. 176, fr. 5, col. 12,13, p. 34 ANGELI (cit. n. 10) = Test. 3 LONGO AURICCHIO (cit. supra), riferito
a Epicuro e a fr. 5, col. 19,7, p. 45 ANGELI (cit. n. 10), che non è incluso nella raccolta di Longo
Auricchio, riferito, probabilmente a Metrodoro. ANGELI – COLAIZZO, “I frammenti di Zenone” (cit.
n. 1), p. 49, individuano un luogo della Retorica di Filodemo in cui ἀνήρ avrebbe lo stesso valore
(Rhet. 2, PHerc. 1674, col. 56,21, p. 159 LONGO [cit. n. 17]) = fr. 19 ANGELI – COLAIZZO (cit. supra),
riferito a Zenone Sidonio). Anche OBBINK, Philodemus (cit. n. 11), ha riscontrato la stessa accezione
per il termine in diversi luoghi nella prima parte dell’opera De pietate, cf. col. 17,1-2, pp. 138-139,
291; col. 24, 680, pp. 152-153, 375; col. 33,956, pp. 170-171, 453 (luogo dubbio: potrebbe essere
riferito, secondo OBBINK, a Pirsone di Colofone); col. 65,1864, pp. 234-235, p. 562. A col. 58,1648,
OBBINK ha accolto l’integrazione καθηγ]εμόνοϲ proposta da ROBERT PHILIPPSON, ”Zu Philodems
Schrift über die Frömmigkeit”, Hermes, 1921, 56: 364-410, p. 404. Nel PHerc. 1232, col. 31, l. 13, in
un contesto molto lacunoso, si legge τἀνδρὸϲ, che, secondo TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea
Su Epicuro” (cit. n. 50), pp. 28, 38, potrebbe essere riferito a Epicuro.
— 62 —
IL CULTO DI EPICURO: TESTI E STUDI. QUALCHE AGGIORNAMENTO
89
Cf. NORMAN W. DE WITT, Epicurus and His Philosophy (Westport, Connecticut: Greenwood
Press, 19541, 19732), pp. 113-115. KONSTAN, Lucrezio e la psicologia epicurea (cit. n. 3), p. 177, spiega
l’affermazione di Epicuro che l’amicizia è un «bene immortale» (SV 78), nell’orma di FESTUGIÈRE,
Epicuro e gli dèi (cit. n. 7), p. 125 n. 86, in quanto essa «conferisce una felicità analoga a quella degli
dèi immortali».
90
Secondo la ricostruzione degli ultimi momenti di vita del filosofo compiuta da Diogene
Laerzio, che, dopo aver esposto la versione della morte di Epicuro attinta da Ermippo, la ha
riproposta in forma poetica, cf. D.L. 10,16 = AP 7,106. Sul passo, cf. CLAY, Paradosis (cit. n. 9), p. 30.
91
Sulle epitomi epicuree, cf. ANNA ANGELI, “Compendi, eklogai, tetrapharmakos: due capitoli
di dissenso nell’Epicureismo”, Cronache Ercolanesi, 1986, 16: 53-66; EAD., Filodemo (cit. n. 1),
pp. 37-61. Secondo M. Tulli, l’epitome, quale mezzo di trasmissione del sapere, è sorta anche
per l’esigenza di fedeltà al pensiero del Fondatore e tuttavia questa forma di scritto non porta a
risultati positivi perché, riferendosi a trattati scritti precedentemente, nell’esigenza della concisione,
spesso mostra incoerenze e ci consegna solo una vaga idea del pensiero originale. La qualità delle
epitomi, secondo lo studioso, potrebbe essere una causa della critica deteriore che ha accompagnato
il pensiero epicureo sin dai tempi di Cicerone e che ha spinto Filodemo e Lucrezio alla difesa
appassionata del pensiero del Maestro. Cf. MAURO TULLI, “L’epitome di Epicuro e la trasmissione
del sapere nel medioplatonismo”, in Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit (cit. n.
28), pp.109-121, pp. 113-114.
92
DE WITT, Epicurus (cit. n. 89), p. 368 n. 32, annovera anche il PHerc. 1044, che contiene la
Biografia dell’epicureo Filonide, tra gli scritti commemorativi.
93
Demetrio Lacone, nell’opera teologica dedicata alla forma del dio, parla dei «ricordi che
saranno salvati», τὰϲ | μ[νή]μαϲ ϲωθήϲεϲ[θαι], con riferimento alle immagini degli dèi che riceviamo
attraverso la mente e che ne costituiscono la prolessi, cf. MARIACAROLINA SANTORO, [Demetrio Lacone.
La forma del dio] (Napoli: Bibliopolis, 2000), pp. 35, 96, 139. Il verbo ϲώιζω, qui usato nell’ambito
della nostra conoscenza della divinità, nello stesso senso di φυλάττω o di τηρέω, può preludere al
valore di «salvare» che poi assume per gli Epicurei in campo etico. Così i ricordi «conservati» delle
persone le «salvano», conferendo ad esse l’immortalità. In Filodemo, nel libro Sull’economia, il verbo
ϲώιζω e il sostantivo ϲωτηρία sono usati nel senso di «conservazione» del patrimonio, prima che di
«salvezza» in senso morale, cf., ad es., coll. 15,27-28: οὐϲ[ί]αϲ ϲωιζο|[μέ]ναϲ, 18,29-31 τὴν ϲω|τηρίαν
το[ῦ] πλούτου [καὶ φυ]λα|κήν, ed. CHRISTIAN JENSEN, Philodemi Περὶ οἰκονομίαϲ qui dicitur libellus
(Lipsiae: Teubner, 1906), pp. 47, 53-54.
— 63 —
FRANCESCA LONGO AURICCHIO
nel solco della tradizione religiosa greca, allo scopo di stimolare la imitatio
dei attraverso l’emulazione dei primi Maestri, risponda anche al desiderio
di immortalità che la dottrina epicurea con i suoi presupposti non poteva
garantire.
— 64 —
GIOVANNI INDELLI
I §§ 1-28 del decimo libro dei Βίοι τῶν φιλοϲόφων di Diogene Laerzio sono
la fonte principale per la biografia di Epicuro, a cui si aggiungono i lemmi
2404-2406 Adler del lessico Suda e accenni che si leggono in autori greci e
latini. Diogene Laerzio1 riferisce una serie di notizie biografiche e le accuse
mosse a Epicuro dai suoi avversari: Timone2 lo definì ὕϲτατοϲ αὖ φυϲικῶν
καὶ κύντατοϲ […] ἀναγωγότατοϲ ζωόντων («ultimo dei fisici, il più porco e
il più cane […] il più ignorante dei viventi»3); lo stoico Diotimo δυϲμενῶϲ
ἔχων πρὸϲ αὐτὸν πικρότατα αὐτὸν διαβέβληκεν, ἐπιϲτολὰϲ φέρων πεντήκοντα
ἀϲελγεῖϲ ὡϲ Ἐπικούρου («manifestò la sua ostilità a Epicuro calunniandolo
molto amaramente con la pubblicazione di cinquanta epistole scandalose sotto
il nome di Epicuro»); alcuni hanno scritto τῶν ἀδελφῶν ἕνα προαγωγεύειν,
καὶ Λεοντίωι ϲυνεῖναι τῆι ἑταίραι. τὰ δὲ Δημοκρίτου περὶ τῶν ἀτόμων καὶ Ἀρι
ϲτίππου περὶ τῆϲ ἡδονῆϲ ὡϲ ἴδια λέγειν («prostituiva uno dei suoi fratelli e
conviveva con l’etera Leonzio, e faceva passare per sue la dottrina atomistica
di Democrito e quella edonistica di Aristippo»); Epitteto κιναιδολόγον αὐτὸν
καλεῖ καὶ τὰ μάλιϲτα λοιδορεῖ. καὶ μὴν καὶ Τιμοκράτηϲ […] φηϲὶ δὶϲ αὐτὸν
τῆϲ ἡμέραϲ ἐμεῖν ἀπὸ τρυφῆϲ […] τόν τε Ἐπίκουρον πολλὰ κατὰ τὸν λόγον
ἠγνοηκέναι καὶ πολὺ μᾶλλον κατὰ τὸν βίον («lo chiama cinedologo, ovvero
predicatore di sconcezze, e lo critica molto aspramente. Inoltre Timocrate
[…] riferisce che Epicuro era così dedito alla dissolutezza che vomitava due
volte al giorno […] E che Εpicuro molte lacune aveva nella preparazione
* Alcuni dei testi antichi citati sono considerati anche nel contributo di F. Longo Auricchio in
questo volume.
1
D. L. 10,1-8.
2
Supplementum Hellenisticum, fr. 825.
3
La traduzione dei passi di Diogene Laerzio è di MARCELLO GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite
dei filosofi (Bari: Laterza, 20087). I frammenti di Epicuro sono citati secondo HERMANN USENER,
Epicurea (Lipsiae: Teubner, 1887) [= Us.] e GRAZIANO ARRIGHETTI, Epicuro. Opere (Torino: Einaudi,
19732) [= Arr.].
— 65 —
GIOVANNI INDELLI
4
Cic. nat. deor. 1,72 = fr. 233 Us.
5
Plut. suav. viv. Epic. 1100a = fr. 233 Us.
6
D. L. 10,9.
7
D. L. 10,9-10.
— 66 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
i fratelli, la mitezza verso i servi, come risulta evidente anche dal suo testamento e
dal fatto che essi prendevano parte al suo insegnamento filosofico […]; e in generale
la sua filantropia, che si dispiegava verso tutta l’umanità. Le parole non riescono a
rappresentare la profondità della sua disposizione spirituale per quel che riguarda
il sentimento di pia devozione verso gli dèi e di amor di patria. E per eccesso di
moderazione non prese neppure parte alla vita politica.
8
Plut. frat. am. 487d = fr. 178 Us.
9
Così è denominata, oltre che da Diogene Laerzio 10,7, da Sesto Empirico, math. 1,4 = fr. 114
Us. = 141 Arr.
10
Così è denominata da Ateneo 8,354b = fr. 171 Us. = 102 Arr.
11
D. L. 10, 7.
12
ARRIGHETTI, Epicuro (cit. n. 3), p. 680.
13
Ibid.
14
Edizione: ADELE TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro (PHerc. 1232, 1289 β)”,
Cronache Ercolanesi, 1994, 24: 5-53.
— 67 —
GIOVANNI INDELLI
Περὶ κακιῶν θ,15 Περὶ παρρηϲίαϲ,16 Περὶ ὀργῆϲ,17 Περὶ θανάτου,18 Περὶ εὐϲεβείαϲ,19
Πρὸϲ τοὺϲ20 e nell’adespoto PHerc. 176,21 prefilodemeo.
Comincio dai brani nei quali vengono sottolineati alcuni aspetti del carat-
tere di Epicuro e alcuni suoi atteggiamenti nei rapporti con gli altri. Filodemo
parla del suo carattere mite e della sua contrarietà a polemizzare, proverbiali
nella Scuola, come nota Arrighetti,22 nel secondo libro del Περὶ Ἐπικούρου,
un’opera in almeno due libri, nella quale ne ricostruisce, in termini enco-
miastici, la vita, basandosi sia su un’ampia documentazione epistolare sia
«forse su alcune opere di Epicuro, come il libro Del fine e il Simposio»;23 in
PHerc. 1232 sono conservati i resti del primo libro,24 in PHerc. 1289 quelli
del secondo.25 Nel secondo libro, Filodemo accenna all’equilibrio e alla mo-
derazione di Epicuro anche quando polemizzava contro gli avversari, metten-
done in rilievo la coerenza tra la dottrina e la vita (col. 24,1-9):26
ἀν⌈ε⌉ϲταλ[κέ]ναι
τινῶν ἀδικία[ϲ]. κα
τὰ δὲ τ]οὺϲ τρόπουϲ ὁμῶϲ
χωρεῖν πρὸϲ τὰϲ τιμω
5 ρ]ίαϲ οὐ κατὰ τὸν [φ]ιλό
ϲ]οφον ἡγεῖτο, καθάπερ
ἥ τε γραφὴ παρέϲτηϲεν
15
Edizione: CHRISTIAN JENSEN, Philodemi περὶ οἰκονομίαϲ qui dicitur libellus (Lipsiae: Teubner,
1907).
16
Edizione: DAVID KONSTAN – DISKIN CLAY – CLARENCE E. GLAD – JOHAN CARL THOM – JAMES
WARE, Philodemus. On Frank Criticism (Atlanta: Scholars Press, 1998).
17
Edizione: GIOVANNI INDELLI, Filodemo. L’ira (Napoli: Bibliopolis, 1988).
18
Edizione: W. BENJAMIN HENRY, Philodemus. On Death (Atlanta: Society of Biblical Literature,
2009).
19
Edizione: DIRK OBBINK, Philodemus. On Piety, Part 1 (Oxford: Clarendon Press, 1996).
20
Edizione: ANNA ANGELI, Filodemo. Agli amici di scuola (Napoli: Bibliopolis, 1988).
21
Edizione: ACHILLE VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta in Herculanensibus papyris ser-
vata (Berlin: Weidmann, 1928), pp. 21-55, 108-120.
22
ARRIGHETTI, Epicuro (cit. n. 3), p. 487.
23
TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 14), p. 6.
24
Dopo che DOMENICO BASSI, “Φιλοδήμου περὶ Ἐπικούρου <A?>, B”, in Miscellanea Ceriani
(Milano: Hoepli, 1910), 511-529, TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 14), pp.
5-6, e MARCELLO GIGANTE, Cinismo e Epicureismo (Napoli: Bibliopolis, 1992), pp. 38-39, lo avevano
dubbiosamente ipotizzato, GIANLUCA DEL MASTRO, “Il PHerc. 1589 e una nuova testimonianza su
Temista e Leonteo”, Cronache Ercolanesi, 2008, 38: 221-228, p. 226 n. 50, ha letto per la prima volta,
«a destra dell’ultima colonna […] in una terza linea di scrittura della subscriptio […], l’alpha che
conferma che questo papiro corrisponde al I libro dell’opera».
25
Nella subscriptio è chiaramente leggibile il beta.
26
Fr. 140 Arr.
— 68 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
27
Nel disegno oxoniense (il papiro è perduto), a l. 12 è scritto αν, che TEPEDINO GUERRA,
“L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 14), conserva, ritenendo che ne sia soggetto il successivo οἵ,
dopo averlo corretto in ]εν (Papyrologica Lupiensia, 1991, 1: 166-178, p. 171).
28
MICHAEL ERLER, “Philodem aus Gadara”, in Grundriss der Geschichte der Philosophie. Die
Philosophie der Antike, vol. 4,1, Die hellenistische Philosophie, herausgegeben von Hellmut Flashar
(Basel: Schwabe, 1994), pp. 289-362, p. 319.
29
MARCELLO GIGANTE, Ricerche Filodemee (Napoli: Macchiaroli, 19832), p. 270.
— 69 —
GIOVANNI INDELLI
30
La congettura εὐχάρι|ϲτο[ν νοῦ]⸌ν̣⸍{α} è di Gigante, ap. MARIO CAPASSO, Margini ercolanesi
(Napoli: Le Edizioni dell’Elleboro, 19912), pp. 60 e 89 (uso le parentesi graffe, rispetto alle doppie
quadre utilizzate da Capasso, perché ritengo che il ν in interlinea non sostituisca α, come, del resto,
sembra essere la prassi dello scriba). Nel papiro e nei disegni si legge ευχαρι|ϲτο[….]ν̣α, che JENSEN,
Philodemi περὶ οἰκονομίαϲ (cit. n. 15) seguendo Herculanensium Voluminum quae supersunt, vol. 3
(Neapoli: Regia typographia, 1827), e un suggerimento di Sudhaus, integra εὐχάρι|ϲτο[ν ἅμ]α.
— 70 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
31
D. L. 10,22.
32
Cic. fin. 2,96 = fr. 122 Us.
33
D. L. 9,41 = fr. 191 Us. = 259 Arr.
— 71 —
GIOVANNI INDELLI
ὁ Ἐπίκουροϲ λέγει ὅτι· ‘ἐν τῆι νόϲωι οὐκ ἦϲάν μοι αἱ ὁμιλίαι περὶ τῶν τοῦ ϲωματίου
παθῶν οὐδὲ πρὸϲ τοὺϲ εἰϲιόνταϲ τοιαῦτά τινα, φησίν, ἐλάλουν, ἀλλὰ τὰ προηγούμενα
φυϲιολογῶν διετέλουν’. 34
Epicuro dice: ‘nella mia malattia non facevo discorsi sulle sofferenze di questo
misero corpo né, dice, parlavo di cose del genere a quelli che venivano a trovarmi, ma
continuavo a investigare le cause naturali dei problemi più importanti’.
Per di più, Epicuro sembra aver graduato la severità nell’uso della fran-
chezza, adattandola alla gravità dell’errore da rimproverare (fr. 6,4-1136):
διὸ
5 καὶ Ἐπί̣κ̣ο̣υροϲ, Λε[οντ]έ̣ωϲ
διὰ Πυθοκλέα πίϲ[τιν] θε
ῶ[ν] ο̣ὐ̣ παρέν̣το[ϲ], Πυθοκλεῖ
μὲν [ἐ]π̣ι̣τ̣ιμᾶι μετ̣ρίωϲ,
πρὸϲ δὲ τὸν γράφει [τ]ὴ̣ν̣
10 λα̣μπρὰν καλουμένην
ἐ̣πι̣ϲ̣[τολ]ήν.
34
ARRIGHETTI, Epicuro. Opere (cit. n. 3), p. 672.
35
USENER, Epicurea (cit. n. 3), p. 131,13-15.
36
Fr. 152 Us. = 69 Arr.
— 72 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
In PHerc. 1050 è conservata la parte finale del quarto libro Περὶ θανάτου,
definito da Gigante «un gioiello di pensiero e di stile»,38 dove Filodemo fonde
37
Col. 75,2175-2177 (PHerc. 229).
38
MARCELLO GIGANTE, Filodemo in Italia (Firenze: Le Monnier, 1990), p. 55.
— 73 —
GIOVANNI INDELLI
la dottrina epicurea e «una concezione della vita e della morte che non è
materiale di scuola»,39 tanto che scompare la distinzione tra chi è sapiente e
chi non lo è, nella consapevolezza che la morte, οὐθὲν πρὸϲ ἡμᾶϲ, è comune
a tutti gli uomini e li rende diversi dagli dèi. Uno dei capisaldi della dottrina
epicurea è il costante richiamo alla φύϲιϲ, al vivere secondo natura, e, nel De
morte, di Epicuro e Metrodoro è sottolineato che sono vissuti «secondo la
dottrina naturalistica».40
La menzione di Epicuro è all’interno del discorso sui vari tipi di morte:
Filodemo non condivide l’opinione che chi muoia in battaglia sia ricordato
nelle epoche successive come autore di un’azione gloriosa, a differenza di
chi sia morto per altre cause, e, accanto a uomini politici, come Temistocle e
Pericle, e a μύριοι ἄλλοι ugalmente ἀοίδιμοι, colloca Epicuro e Metrodoro e
οἱ πλεῖϲτοι τῶν φιλοϲόφων (col. 29,2-12):
θαυμαϲτὸν δ᾽ εἰ κ[αὶ τ]οὺϲ ἐν παρα-
τάξει μόνον ἀποθνήϲκονταϲ ὑπο-
λαμβάνουϲιν οἱ μεταγενέϲτεροι λαμ-
5 πρόν τι πεπραχέναι, Θεμιϲτοκλέα δέ,
ὅν φηϲι Θουκυδίδηϲ νόϲωι τελευτῆϲαι,
καὶ Περικλέα καὶ μυρίου[ϲ] ἄλλουϲ τῶν
ἀοιδίμων οὐ νομίζουϲιν, καὶ φυϲικω-
τέρωϲ ἐζηκόταϲ Ἐπίκουρον καὶ Μητρό-
10 δωρον, ἀλλὰ δὴ καὶ τοὺϲ πλείϲτουϲ τῶν
φιλοϲόφων οὐ πείθονται πάντεϲ οἱ νοῦν
καὶ φρέναϲ ἔχοντεϲ.
Ed è sorprendente se anche i posteri suppongono che soltanto quelli che muoiono
in battaglia hanno fatto qualcosa di splendido, mentre non credono la stessa cosa di
Temistocle – Tucidide dice che morì di malattia –, Pericle e altri innumerevoli uomini
famosi, e di Epicuro e Metrodoro, che vissero maggiormente secondo natura, ma
anche della maggioranza dei filosofi non lo credono tutti quelli che hanno intelligenza.
Nel Περὶ εὐϲεβείαϲ, un’opera nella quale, da un lato, sono esposte le idee
di Epicuro sul vero sentimento della religiosità, dall’altro sono criticati i miti
e le rappresentazioni degli dèi fatte da poeti e pensatori, le credenze popolari
e la teologia di alcuni filosofi, Filodemo ricorda come Epicuro, a differenza
di altri filosofi, abbia vissuto una vita tranquilla, senza essere processato,
condannato, esiliato (anzi, come dice Diogene Laerzio,41 «la patria l’onorò
39
GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 38), 55.
40
MARCELLO GIGANTE, Altre Ricerche Filodemee (Napoli: Macchiaroli, 1998), p. 34.
41
D. L. 10,9.
— 74 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
42
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 526.
43
MARCELLO GIGANTE, Atakta II (Napoli: Macchiaroli, 2002), p. 67.
44
ETTORE BIGNONE, L’Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro (Firenze: La Nuova
Italia, 19732), p. 508.
— 75 —
GIOVANNI INDELLI
non era stato oggetto di satira così acerba come quella di Aristofane verso
Socrate, come non era stato oggetto di un vero bando ufficiale»: il nome di
Epicuro, infatti, compare in alcune commedie45 nelle quali viene «parodiato
come maestro di piaceri e dell’arte del ben vivere».46
Poco prima (col. 49,1402-1412 – PHerc. 1077) Filodemo aveva riferito
che alcuni
τὸν
Ἐπίκουρο̣ν ἐκπεφευ-
⌈γ⌉[έν]αι τὸν Ἀττ[ι]κ[ὸν
1405 ὄ[χλ]ον οὐχ ὅτι ε[…
τηογ̣ηϲοντο̣[… ἧτ-
τον ἀϲεβεῖϲ εἶχ[εν
ὑπολήψειϲ, ἀλ[λὰ τῶι
διαλελ⌈η⌉θένα[ι πολ-
1410 λοὺϲ ἀνθ[ρ]ώπου[ϲ
τ]ὴ̣ν φιλοϲοφί[α]ν α[ὐ-
τ]⌈ο⌉ῦ.
affermano che Epicuro sfuggì alla massa ateniese [cioè, alla condanna o all’esilio
da parte degli Ateniesi] non perché … sostenne opinioni meno empie, ma perché la
sua filosofia rimase sconosciuta ai più.
Dai resti del papiro non si capisce quali fossero le opinioni di Epicuro
ritenute meno empie di quelle che comunemente erano accusate di ἀϲέβεια.
Più di una volta Filodemo sottolinea l’atteggiamento religioso di Epicuro,
e da un luogo, purtroppo molto frammentario, del Πρὸϲ τοὺϲ (PHerc. 1005),
un’opera indirizzata a compagni di scuola che si allontanano dall’ortodossia
riguardo a varie questioni, si capisce, come scrive Angeli,47 che «la religiosità
nell’Epicureismo non si oppone né è di ostacolo al raggiungimento del fine,
a condizione naturalmente che il sentimento del divino venga filtrato da tutte
le ipolessi e restituito alla sua reale dimensione» (fr. 103,9-10):
κ]αὶ γὰ[ρ ο]ἱ̣ περὶ τὸν Ἐπίκου-
10 ρον ……..]ν̣ εὔ̣χ̣ο̣ν[̣ τα]ι̣
e infatti i seguaci di Epicuro pregano …
45
I Ϲύντροφοι di Damosseno (fr. 2, PCG 5, pp. 2-6), l’ Ἀνδροφόνοϲ (fr. 3) e il Ϲυνεξαπατῶν (fr.
5) di Batone (PCG 4, pp. 31 e 33-34), i Φιλέταιροι (fr. 2, PCG 5, p. 551) di Egesippo.
46
EDUARDO ACOSTA MÉNDEZ – ANNA ANGELI, Filodemo. Testimonianze su Socrate (Napoli:
Bibliopolis, 1992), p. 376; cf. OBBINK, On Piety (cit. n. 19), pp. 436-437, 528-529.
47
ANGELI, Agli amici di scuola (cit. n. 20), p. 228.
— 76 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
D’altra parte, in due lettere, delle quali Filodemo, che le riporta una di sé-
guito all’altra (De pietate, col. 33,929-93748 – PHerc. 1098), cita alcune parole,
Epicuro insiste sulla benevolenza degli dèi:
«κἂν πόλ[ε]μ[οϲ ἦι,
930 δεινὸν οὐκ ἂ<ν ἔ>⌈ϲ⌉εϲ-
θαι, θεῶν εἵλ⌈ε⌉[ων ὄν-
των»· καὶ ⌈Π⌉[ολυαίνωι·
«καθαρὰν τ̣[ὴν ζωὴν
διηχέναι ⌈κ⌉αὶ διά-
935 ξειν ϲὺν αὐτ[ῶι
Μάτρωνι, θε[ῶν εἵ-
λεων ὄντων».
«Anche se ci sia la guerra non sarebbe terribile, se gli dèi sono propizi». E a
Polieno: «Ho condotto e condurrò una vita pura insieme con lo stesso Matrone49, se
gli dèi sono propizi».
48
Fr. 99 Us. = fr. 115 Arr.
49
Matrone compare come accompagnatore della ragazza, Apia, destinataria della lettera scritta
da Lampsaco e da alcuni attribuita a Epicuro, conservata in PHerc. 176, fr. 5,22,1-6 VOGLIANO (cit.
n. 21).
50
ROBERT PHILIPPSON, “Zu Philodems Schrift über die Frömmigkeit”, Hermes, 1921, 56: 355-
410, p. 384.
51
MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Epicuro. Opere (Torino: UTET, 19832), p. 148.
52
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), app. crit. ad l. 928 (p. 170) e p. 171 n. 1.
53
ADELE TEPEDINO GUERRA, Polieno. Frammenti (Napoli: Bibliopolis, 1991), fr. 51.
54
THEODOR GOMPERZ, Philodem Über Frömmigkeit (Leipzig: Teubner, 1866), 107, p. 125.
55
TEPEDINO GUERRA, Polieno (cit. n. 53), p. 194.
— 77 —
GIOVANNI INDELLI
56
ANDRÉ-JEAN FESTUGIÈRE, Epicuro e gli dei (Milano: Coliseum, 1987; ed. or. Épicure et ses
dieux [Paris: PUF, 1946]), p. 136.
57
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 447.
58
D. L. 10,10.
59
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), ll. 723-1022 (pp. 154-176; commento, pp. 389-458).
60
Ibid., p. 389.
61
Fr. 13 Us. = 134 Arr.
62
Sul titolo dell’opera di Epicuro, Περὶ βίων o Περὶ θεῶν, vd. OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 398.
— 78 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
Apparirà evidente che Epicuro ha osservato tutte le regole del culto e ha rac-
comandato di osservarle anche ai suoi amici, non soltanto per rispetto alle leggi, ma
anche per ragioni fondate sulla natura.63 Infatti, nell’opera Sui modi di vita dice che
per noi è appropriato pregare, non perché gli dèi saranno ostili se non lo faremo, ma
per la nostra concezione delle loro nature superiori per potenza ed eccellenza.
63
Letteralmente, «per cause fisiche». Per l’integrazione della lacuna iniziale di l. 737 vd. OBBINK,
On Piety (cit. n. 19), pp. 393-396.
64
Fr. 169 Us. = 93 Arr.
— 79 —
GIOVANNI INDELLI
65
289/8 a.C.
66
Quasi certamente è il Pirsone nominato in Plut. suav. viv. Epic. 1101b. La morte prematura
del fratello Egesianatte fu l’occasione nella quale Epicuro gli scrisse questa lettera.
67
Probabilmente un Epicureo, coinvolto con il maestro nella partecipazione alle Antesterie
(su cui vd. infra) e, forse, nella celebrazione del compleanno di Epicuro (de piet. col. 29,811-819).
68
Fr. 157 Us. = 86 Arr.
69
I misteri eleusini?
70
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 416.
71
Ibid., pp. 392, 411.
— 80 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
– PHerc. 1098) sia ricordare che in una lettera lo stesso Epicuro ha dichiarato
«di aver partecipato a tutte le feste» può apparire un’iperbole, sebbene non
manchino testimonianze sull’effettiva partecipazione di Epicuro e dei suoi
seguaci alle attività connesse con le feste, e, d’altra parte, che il sapiente osservi
tutti i culti «in linea di principio può non essere diverso dall’adempimento di
ogni obbligo morale da parte del giusto o dell’obbedienza a tutte le leggi da
parte del cittadino onesto».72
Ancora di osservanza di istituzioni cultuali Epicuro parla in una lettera
scritta nel 291/0 a.C. (ἐπὶ || δὲ Χαρί̣[νου), forse a Polieno, e in una scritta a
Firsone nel 285/4 a.C. (ἐπὶ | Διοτίμ[ου), in cui, come ricorda Filodemo (col.
30,841-84573 – PHerc. 1077),
παραινεῖ
τὴν κα[θ’ ἱερᾶϲ τρα-
πέζηϲ [ϲυνθήκην74 μὴ
845 παραβαί[νειν.
raccomanda di non violare l’accordo della sacra mensa.
La ἱερὰ τράπεζα era una tavola dedicata agli dèi, sulla quale si mettevano
cibi e offerte. Tavole del genere, dove si consumavano pasti in comune, erano
accessori importanti dei culti degli eroi in Grecia,75 e quest’immagine potrebbe
avere avuto per gli Epicurei un significato sociale. Come scrive Isnardi Parente,
«la ‘sacra mensa’ è la scuola filosofica intesa come tiaso filosofico-religioso»,76
e nelle parole di Epicuro è individuato da Erler l’ammonimento «nicht die
heilige Tischgemeinschaft zu verletzen, d. h. der Schulgemeinschaft keinen
72
Ibid., p. 392.
73
Fr. 100 Us. = 107 Arr.
74
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 433, definisce la congettura di Usener «only a guess» e com-
menta: «Such covenants or agreements are said to figure in the commemoration of the social com-
pact that creates justice in the civilized community» (con rimando a RS 32 e 33). Obbink propone la
congettura alternativa κοινωνίαν, definendo la parola «an Epicurean catchword» (OBBINK, On Piety
[cit. n. 19], p. 366).
75
Sia DISKIN CLAY, “The Cults of Epicurus”, Cronache Ercolanesi, 1986, 26: 11-28 (= Paradosis
and Survival. Three Chapters in the History of Epicurean Philosophy [Ann Arbor: The University of
Michigan Press, 1998], pp. 75-102), p. 27 (= Paradosis, p. 100), sia OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p.
433, rimandano a WILLIAM SCOTT FERGUSON, “The Attic Orgeones”, Harvard Theological Review,
1944, 37: 61-140, pp. 80-81.
76
ISNARDI PARENTE, Opere di Epicuro (cit. n. 51), p. 146 n. 5. OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p.
433, ricorda che tali τράπεζαι erano associate anche con «the consumed inner parts of animal sa-
crifices (ἐναγίϲματα) […] Thus it can be established that the Epicureans had no aversion to animal
sacrifice and consumption of the sacrificial victim […] a fact which is at least consistent with the
documented portrayal of stereotyped Epicureans as μάγειροι, ‘cooks’, ‘sacrificers’ in Attic comedy».
— 81 —
GIOVANNI INDELLI
77
ERLER, Philodem (cit. n. 28), p. 116.
78
Plut. lat. viv. 1129a = fr. 218 e p. 87,24-27 Us.: τί γὰρ αἱ κοιναὶ τράπεζαι; τί δ’ αἱ
τῶν ἐπιτηδείων καὶ καλῶν ϲύνοδοι; τί δ’ αἱ τοϲαῦται μυριάδεϲ ϲτίχων ἐπὶ Μητρόδωρον, ἐπ’
Ἀριϲτόβουλον, ἐπὶ Χαιρέδημον γραφόμεναι καὶ ϲυνταϲϲόμεναι φιλοπόνωϲ, ἵνα μηδ’ ἀποθανόντεϲ
λάθωϲιν; («Infatti, che significano le mense comuni e le riunioni di amici e persone perbe-
ne? Che significano le tante decine di migliaia di linee scritte per Metrodoro, Aristobulo,
Cheredemo e composte laboriosamente affinché non restino sconosciuti nemmeno dopo essere
morti?»).
79
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), p. 433.
80
Fr. 39 Hercher (Suda ε 2405 A., s. v. Ἐπίκουροϲ) = fr. 218 Us.
81
Su questo passo vd. CLAY, “The Cults of Epicurus” (cit. n. 75), pp. 26-27 (= Paradosis, p.
100), che lo ritiene «a detail so fantastic […] that it has never been taken seriously».
82
Per quest’aspetto dell’Epicureismo vd. soprattutto CLAY, “The Cults of Epicurus” (cit. n. 75).
83
D. L. 10,18 (cf. Cic. fin. 2,101).
— 82 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
E Plinio scrive:85
Epicuri voltus per cubicula gestant ac circumferunt secum. natali eius sacrificant,
feriasque omni mense vicesima luna custodiunt, quas icadas vocant, ii maxime, qui se
ne viventes quidem nosci volunt.
Espongono le immagini di Epicuro nelle stanze da letto e le portano con sé. Nel
giorno del suo compleanno fanno sacrifici e il 20 di ogni mese osservano una festa,
che chiamano Vigesime, proprio essi, che non vogliono essere conosciuti nemmeno
da vivi.
84
Fr. 39 Hercher (Suda ε 2405 A., s. v. Ἐπίκουροϲ) = fr. 218 Us.
85
Plin. nat. 35,5.
86
Fr. 12 TEPEDINO GUERRA (cit. n. 53).
— 83 —
GIOVANNI INDELLI
87
Fr. 142 Us. = 66 Arr.
88
FESTUGIÈRE, Epicuro e gli dei (cit. n. 56), p. 75.
89
Ibid., p. 146 n. 188.
90
Fr. 387 Us. = 114 Arr.
— 84 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
«ἡμ[εῖϲ θεοῖϲ
880 θύωμέν» φηϲιν [«ὁϲί-
ωϲ καὶ καλῶϲ οὗ [καθ-
ήκει κα[ὶ κ]αλῶ<ϲ> πάν-
τα πράττωμεν [κα-
τὰ τοὺϲ νόμουϲ, μ[η-
885 θὲ[ν] ταῖϲ δόξαιϲ α[ὑ-
τοὺϲ ἐν τοῖϲ περ⌈ὶ⌉
τῶν ἀρίϲτων ⌈κ⌉[αὶ
ϲεμνοτάτων δια-
ταράττοντ⸌ε⸍[ϲ· ἔτι
890 δὲ καὶ δίκαιο[ι θύω-
μεν ἀφ’ ἧϲ ἔλεγον ἑ-
ξῆϲ· οὕτω γὰρ [ἐν-
δέχεται φύϲ[ιν θνη-
τὴν ὁμοίω[ϲ τῶι Διὶ
895 νὴ{ι} Δία <διά>⌈γ⌉ειν, [ὡϲ φαί-
νεται».
«Noi», dice (Epicuro), «sacrifichiamo agli dèi santamente e in maniera adeguata
quando si deve, e facciamo adeguatamente tutto secondo le leggi, per nulla turbandoci
con le nostre opinioni sulle questioni relative agli esseri che sono i migliori e i più
augusti. E inoltre facciamo sacrifici giustamente per quella (causa) che dicevo dopo;
così infatti è possibile che una natura mortale, per Zeus, viva in maniera simile a Zeus,
come sembra».
91
OBBINK, On Piety (cit. n. 19), pp. 437-438.
92
Col. 27,758-765 (PHerc. 1098) πάντα γὰρ ϲο̣|[φὸν] καθαρὰϲ καὶ ἁ|[γίο]υϲ δόξαϲ ἔχειν | [περὶ]
τοῦ θείου καὶ | [μεγ]άλην τε καὶ ϲε|[μν]ὴν ὑπειληφέ|[ναι] ταύτην τὴν | φύϲιν.
93
HERMANN DIELS, “Ein epikureisches Fragment über Götterverehrung”, Sitzungsberichte der
Königlich Preußischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Philos.-hist. Klasse, 1916: 886-909, p.
896 (= Kleine Schriften zur Geschichte der antiken Philosphie, hrsg. von Walter Burkert [Hildesheim:
Olms, 1969], pp. 288-31, p. 298).
— 85 —
GIOVANNI INDELLI
94
DIELS, “Ein epikureisches Fragment” (cit. n. 93), pp. 897-899 (= Kleine Schriften, pp. 299-301).
95
«It would be odd for Philodemus to carry over the reference in quotation into his own text
where it refers to nothing: it could have been easily omitted» (OBBINK, On Piety [cit. n. 19], p. 440).
96
Col. 29,811-819 (PHerc. 1077).
97
VOGLIANO, Epicuri et Epicureorum scripta (cit. n. 21), p. 126, il quale aggiunge: «hic vere
afflatu divino spirantia verba, hic vere aurea dicta perpetua semper dignissima vita!».
98
CLAY, “The Cults of Epicurus” (cit. n. 75), p. 12 (= Paradosis, p. 79): «Philodemus’ short
treatise On Epicurus (PHerc. 1232) preserves what must be our earliest piece of evidence for the cults
of Epicurus as they had been established in his own lifetime».
— 86 —
EPICURO FONDATORE E MAESTRO DEL GIARDINO
99
WOLFGANG SCHMID, “Epikur”, in Reallexicon für Antike und Christentum, vol. 5 (Stuttgart:
Hiersemann, 1962), pp. 681-819, p. 746 (= Epicuro e l’epicureismo cristiano, trad. it. di Italo Ronca
[Brescia: Paideia, 1984], p. 99).
100
CLAY, “The Cults of Epicurus” (cit. n. 75).
101
PHerc. 1005, col. 14,6-13 ANGELI (cit. n. 20). Il testo delle ll. 7 ss. è quello costituito da G.
Del Mastro in questo volume, sul fondamento del confronto con il PHerc. 1485, che è un secondo
esemplare dello stesso libro e conferma le lezioni già proposte da Crönert e da Sbordone.
— 87 —
GIOVANNI INDELLI
102
La proposta di HERMANN DIELS, Philodemos Über die Götter Erstes Buch (Berlin: Königl.
Akad. der Wissensch., 1916), p. 62 n. 1, fondata sul disegno oxoniense, rispetto a καύ̣χαιϲ di WILHELM
CRÖNERT, Kolotes und Menedemos (Leipzig: E. Avenarius, 1906), p. 177, accolto da Angeli, è confer-
mata da G. Del Mastro (vd. il suo contributo in questo volume), che ha letto tracce di το anche nel
papiro. ANGELI, Filodemo, Agli amici di scuola (cit. n. 20), p. 192, traduce « di tutte le sue virtù fondate
sui celebrati precetti di Epicuro, quasi fossero voce divina» e così spiega la sua resa di καύχη, ‘vanto’,
parola usata soltanto da Pindaro, Nem. 9,7, e θεοφορία, che, nel senso di ‘afflatus divinus’ (CORNELIS
VOOYS, Lexicon Philodemeum, Pars prior, s.v. (Purmerend: J. Muusses, 1934), ‘transport d’origine
divine’ (DANIEL DELATTRE, Philodème de Gadara. Sur la musique, livre IV [Paris: Les Belles Lettres,
2007], p. 186), è usato da Filodemo, De musica 4, col. 96,25 e 31 DELATTRE: «Le due forme […] sono
usate da Filodemo per evidenziare il carattere divino dei precetti di Epicuro secondo il senso dato dalla
scuola» (ANGELI, Filodemo, Agli amici di scuola [cit. n. 20], pp. 308-309; per OBBINK, On Piety [cit. n.
19], p. 524, «καύχαιϲ τε καὶ θεοφ̣ορίαιϲ could come from a dactylo-epitrite poem»). DANIEL DELATTRE
– ANNICK MONET, Les Épicuriens (Paris: Gallimard, 2010), p. 739, che accolgono κατ̣οχ̣ αῖϲ (Varianti
agli Épicuriens, in Herculanensiacispe, <www.herculanensiacispe.org/epicuriens.htm>, traducono « de
toutes ses vertus et, j’ajouterai, des délires et transports divins que lui inspirait Épicure».
103
SCHMID, Epikur (cit. n. 99), p. 747 (= Epicuro, p. 101).
104
Ibid., p. 748 (= Epicuro, p. 102).
105
MARCELLO GIGANTE, Premessa a MARIO CAPASSO, Comunità senza rivolta (Napoli: Bibliopolis,
1987), p. 16; cf. ID., L’aspetto cultuale nel rapporto tra Epicuro e i seguaci, in Comunità senza rivolta
(Napoli: Bibliopolis, 1987), p. 32: «Non è da credere che tra queste due forme contemporanee di
‘celebrazione’, quella di Epicuro ϲωτήρ e quella di monarchi e privati εὐεργέται καὶ ϲωτῆρεϲ, non ci
sia un rapporto almeno psicologico».
— 88 —
GIANLUCA DEL MASTRO
1
Rimando soprattutto a MARCELLO GIGANTE, “Zenone Sidonio e la poesia”, Cronache Erco-
lanesi, 1998, 28: 85-98, e ID., Filodemo nella storia della letteratura greca (Napoli: Accademia di
Archeologia, Lettere Belle Arti, 1998), part. pp. 49-54, per il rapporto con Zenone, e pp. 55-61
“Momenti alti di cultura e stile”.
2
Ricordo l’accusa di mancanza di originalità mossa a Filodemo da ACHILLE VOGLIANO (“Gli
studi filologici epicurei nell’ultimo cinquantennio”, Museum Helveticum, 1954, 11: 188-194, pp.
188, 193), che rintracciava l’estro di Filodemo solo nel de dis e affermava che «Filodemo non rap-
— 89 —
GIANLUCA DEL MASTRO
presenta che un riecheggiamento dell’opera del suo maestro», e, in tempi più recenti, il giudizio di
DAVID SEDLEY, “Philosophical Allegiance in the Greco-Roman World”, in Philosophia Togata. Essays
on philosophy and Roman society, edited by Miriam Griffin, Jonathan Barnes (Oxford: Clarendon
Press, 1989), pp. 97-119, sul quale cf. infra. Per TIZIANO DORANDI, “Lucrèce et les Épicuriens de
Campanie”, in Lucretius and his Intellectual Background, edited by Keimpe A. Algra, Mieke H.
Koenen, Piet H. Schrijvers (Amsterdam-Oxford-New York-Tokyo: Royal Netherlands Academy of
Arts and Sciences, 1997), pp. 35-48, p. 47, Filodemo si sarebbe considerato, soprattutto, il «porte-
parole» di Zenone in Italia.
3
Cf. ANNA ANGELI – MARIA COLAIZZO, “I frammenti di Zenone Sidonio”, Cronache Ercolanesi
1979, 9: 47-133, pp. 51-52; ANNA ANGELI, Filodemo. Agli amici di scuola (PHerc 1005) (Napoli:
Bibliopolis, 1988), pp. 33-37; FRANCESCA LONGO AURICCHIO, “La Scuola di Epicuro”, Cronache
Ercolanesi, 1978, 8: 21-37, pp. 29, 35-36.
4
L’ipotesi di ERNST BADIAN (“Rome Athens and Mithridates”, American Journal of Ancient
History, 1976, 1: 105-128, p. 126 n. 43), secondo il quale Zenone non fu a capo della scuola, ma
ne fu solo un illustre esponente, è stata facilmente contraddetta da JEAN-LOUIS FERRARY, Philhel-
lénisme et Impérialisme. Aspects idéologiques de la conquête romaine du monde hellénistique, de
la seconde guerre de Macédoine à la guerre contre Mithridate (Rome: École française de Rome,
1988), pp. 445-447. Come ha giustamente sottolineato TIZIANO DORANDI, “Phèdre d’Athènes”, in
Dictionnaire des Philosophes Antiques, publié sous la direction de Richard Goulet, vol. 5a (Paris:
CNRS Editions, 2012), pp. 287-289, p. 289, già un passo del II libro del De rhetorica di Filodemo
(56, 18-21: edizione di FRANCESCA LONGO AURICCHIO, Φιλοδήμου Περὶ ῥητορικῆϲ libri primus et
secundus, in Ricerche sui Papiri Ercolanesi, a cura di Francesco Sbordone, vol. 3 [Napoli: Giannini,
1977] = fr. 19 ANGELI – COLAIZZO [cit. n. 3], sul quale cf. infra) sembra escludere questa ipotesi.
Anche il riferimento, nel De pietate (PHerc. 1428, col. 10,8 = col. 362,3: edizione di DIRK OBBINK,
Philodemus On Piety [Oxford-New York: Clarendon Press, 1996]) a οἱ ἀπὸ Ζ[ή]νωνοϲ e in Sesto
Empirico (math. 7,422) a οἱ περὶ τὸν Ζήνωνα, mi sembra che porti decisamente verso l’esistenza di
una scuola di Zenone ad Atene.
5
Cic. fin. 1,16; nat. deor. 1,59; acad. 1,46; Tusc. 3,38 e nat. deor. 1,93-94 = frr. 5-9 ANGELI –
COLAIZZO (cit. n. 3).
— 90 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
di Crönert, che nel titolo non leggeva una linea intermedia tra il nome dell’au-
tore e l’informazione su Zenone (e, perciò, aveva pensato che ἐκ τῶν Ζήνωνοϲ
ϲχολῶν fosse il titolo del libro),6 Angeli e Colaizzo, per la prima volta, hanno
ipotizzato la caduta di almeno una linea.7 Solo recentemente ho potuto leg-
gere delle tracce di lettere più consistenti. Il libro, ricavato dalle lezioni di
Zenone, farebbe parte di un trattato più ampio di Filodemo sulle sensazioni,
dal momento che nella terza linea forse possiamo leggere la lettera zeta, che
rappresenterebbe il settimo libro dell’opera.
Il secondo riferimento si trova nella subscriptio del PHerc. 1389. Il papi-
ro conserva i resti molto frammentari del terzo libro (si vede il gamma nel-
la quarta linea del titolo) di un trattato ancora sulle sensazioni.8 Grazie alla
nuova lettura di alcune lettere mi sembra possibile, infatti, recuperare anche
in questo caso, seguendo una congettura di Angeli e Colaizzo,9 κατ[ὰ τῆϲ]
α[ἰϲθ]ήϲεωϲ.10 In esso si difendono, evidentemente sulla base delle lezioni di
Zenone, gli enunciati sillogistici del Maestro dagli attacchi degli avversari.
La linea che segue il nome di Filodemo è di difficile interpretazione, a causa
delle pessime condizioni in cui versa il papiro. È evidente che a questo grup-
po di rotoli che riguardano le sensazioni, bisogna aggiungere anche il PHerc.
19/698, il quale conserva porzioni di testo più estese, ma purtroppo manca
del titolo finale.11
6
WILHELM CRÖNERT, “Die ΛΟΓΙΚΑ ΖΗΤΗΜΑΤΑ des Chrysippos und die übrigen Papyri
logischen Inhalts aus der herculanensischen Bibliothek”, Hermes, 1901, 36: 548-579, pp. 572-576
= WILHELM CRÖNERT, Studi Ercolanesi, a cura di Enrico Livrea (Napoli: Morano, 1975), pp. 63-
101, part. pp. 92-98. Cf. anche ID., Kolotes und Menedemos (Leipzig: Avenarius, 1906; Amsterdam:
Hakkert, 1965), p. 103 n. 498.
7
Questa subscriptio era posta tra i Frammenti Incerti di Zenone da ANGELI – COLAIZZO (cit. n.
3), fr. inc. n. 6, sebbene le due studiose ritenessero altamente probabile la restituzione della dicitura
«dalle lezioni di Zenone» ἐκ [τ]ῶν Ζ[ή]νωνο[ϲ ϲ]χ[ολῶν.
8
CRÖNERT, “Die ΛΟΓΙΚΑ ΖΗΤΗΜΑΤΑ” (cit. n. 6), pp. 88-92.
9
ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n. 3), pp. 102-103, leggevano κ]ατ[ὰ τῆϲ αἰϲθ]ή[ϲ]εωϲ. Se
questa lettura venisse confermata da studi successivi, il titolo si potrebbe tradurre Riguardo alla
sensazione (cf. LSJ: Plat. Phaed. 70d; soph. 253b; Aeschin. 3,50, Plat. ap. 37b; Id. Prot. 323b). È
anche attestata l’accezione avversativa (anche se improbabile in questo contesto): cf. D. L. 8,198 in
cui il titolo dell’opera di Crisippo Κατὰ τῆϲ ϲυνηθείαϲ πρὸϲ Μητρόδωρον ϛʹ, è tradotto con «Attacco
dell’opinione comune, a Metrodoro, in sei libri» da MARCELLO GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei
filosofi (Roma-Bari: Laterza, 20057), p. 317.
10
Ricordo anche l’interessante proposta κατὰ [πα]ρα[ιϲ]θήϲεωϲ di Hammerstaedt (per
litteras). CRÖNERT, “Die ΛΟΓΙΚΑ ΖΗΤΗΜΑΤΑ” (cit. n. 6), p. 88 n. 32, aveva congetturato κατ[ὰ
τῆϲ] ἀ[ποδ]εί[ξ]εωϲ. ROBERT PHILIPPSON, “Philodemos”, in Paulys Realencyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, vol. 19,2 (Stuttgart: J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1938), coll.
2444-2482, col. 2452, ha proposto κατὰ τῆϲ μαθήϲεωϲ.
11
L’edizione del PHerc. 19/698 è stata curata da ANNICK MONET, “[Philodème. Sur les
Sensations] PHerc. 19/698”, Cronache Ercolanesi, 1996, 26: 27-126.
— 91 —
GIANLUCA DEL MASTRO
12
Sulle tipologie e le differenze tra le modalità di riassumere e diffondere il pensiero del Maestro
cf., particolarmente, ANNA ANGELI, “Compendi, eklogai, tetrapharmakos: due capitoli di dissenso
nell’Epicureismo”, Cronache Ercolanesi, 1986, 16: 53-66 ed EAD., Agli amici (cit. n. 3), pp. 37 ss.
Secondo MAURO TULLI, “L’epitome di Epicuro e la trasmissione del sapere nel medioplatonismo”, in
Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit, herausgegeben von Michael Erler (Stuttgart:
Franz Steiner, 2000), pp. 109-121, pp. 113-114, proprio i compendi potrebbero essere stati causa di
errate interpretazioni e delle accuse degli avversari.
13
Nella vasta bibliografia, mi limito a ricordare l’importante volume di GIUSEPPE SCARPAT,
Parrhesia. Storia del termine e delle sue traduzioni in latino (Brescia: Paideia, 1964) e, in particolare
sull’opera filodemea, le belle pagine di MARCELLO GIGANTE, “Filodemo. Sulla libertà di parola”, in
Ricerche Filodemee (Napoli: Macchiaroli, 19832), pp. 55-113. Sorprende che nel recente volume
curato da INEKE SLUITER – RALPH M. ROSEN, Free Speech in Classical Antiquity (Leiden: Brill, 2004)
manchi ogni riferimento all’opera di Filodemo, sebbene già da molti anni si possa contare sulla
traduzione inglese curata da DAVID KONSTAN – DISKIN CLAY – CLARENCE E. GLAD – JOHAN C. THOM –
JAMES WARE, Philodemus. On Frank Criticism (Atlanta, Georgia: Society of Biblical Literature, 1998)
con una breve, ma completa introduzione.
14
Cf., in proposito, MARIO CAPASSO, “Filodemo e Lucrezio: due intellettuali nel Patriai tempus
iniquum”, in Le Jardin Romain. Épicurisme et poésie à Rome. Mélanges offerts à Mayotte Bollack,
— 92 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
textes réunis par Annick Monet (Lille: Presses de l’Université Charles de Gaulle, Lille 3, 2003), pp.
77-107, part. p. 107, che parla di «fedeltà metodologica e dottrinale» di Filodemo nei confronti di
Zenone.
15
Cic. nat. deor. 1,59 = fr. 6 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3). GIGANTE, Filodemo nella storia
(cit. n. 1), p. 24, parla di «una creazione originale che abbiamo il dovere non di ammirare, ma di
capire».
16
PHerc. 1425, coll. 29,19-39,14 Mangoni (edizione: CECILIA MANGONI, Filodemo, Il quinto
libro della Poetica [Napoli: Bibliopolis, 1993]). Bisogna ricordare che l’esposizione delle δόξαι,
secondo uno schema consueto in Filodemo, si trova nella prima parte del libro, rappresentata dal
PHerc. 228 (in particolare questo argomento era trattato nel fr. 3). Questo papiro costituisce una
porzione più esterna del rotolo rimossa dal volumen (e diversamente numerata) per permettere
l’apertura della porzione più interna (PHerc. 1425) con la macchina di Piaggio. Su questo papiro cf.
CECILIA MANGONI, “Il PHerc. 228”, Cronache Ercolanesi, 1989, 19: 179-186.
17
La critica, fin da Philippson, ha formulato le ipotesi più disparate sui possibili autori di
queste accuse. Mi sembra sensata la proposta di MANGONI, Il quinto libro (cit. n. 16), p. 78, che pensa
a una «serie di precetti di varia origine, messi insieme da Zenone per offrire un quadro ampio e il più
possibile completo delle opinioni correnti».
18
Col. 29,19 MANGONI (cit. n. 16). È molto interessante sottolineare, come ha fatto RICHARD
JANKO (“Reconstructing Philodemus’ On Poems”, in Philodemus and Poetry. Poetic Theory and
Practice in Lucretius, Philodemus and Horace, edited by Dirk Obbink [New York-Oxford: Oxford
UP, 1995], pp. 69-96, part. p. 89 e n. 111), il senso inclusivo che qui assume παρά con il dativo, come
nello stesso papiro a col. 12,10-12 (παρὰ τῶι Φι|λομή[λω]ι) e a col. 24,25-26 MANGONI (cit. n. 16),
in cui Filodemo indica le «dottrine che si trovano in Cratete» ([παρὰ] τῶι Κράτ[η|τι «The views in
Crates» traduce Janko).
19
Cf. MICHAEL WIGODSKY, “The Alleged Impossibility of Philosophical Poetry”, in Philodemus
and Poetry (cit. n. 18), pp. 58-68, part. p. 64.
20
Dello stesso avviso anche DAVID ARMSTRONG, “The Impossibility of Metathesis: Philodemus
and Lucretius on Form and Content in Poetry”, in Philodemus and Poetry (cit. n. 18), pp. 210- 232:
223.
— 93 —
GIANLUCA DEL MASTRO
21
DIRK OBBINK, “‘All Gods are true’ in Epicurus”, in Traditions of Theology. Studies in
Hellenistic Theology, its Background and Aftermath, edited by Dorothea Frede, André Laks (Leiden-
Boston-Köln: Brill: 2002), pp. 183-222, pp. 208-209. Dello stesso studioso, in particolare sulla
probabile presenza delle opere teologiche di Diogene di Babilonia e di Apollodoro di Atene in
Zenone e Filodemo, cf. “How to Read Poetry about Gods”, in Philodemus and Poetry (cit. n. 18),
pp. 189-209, in part. pp. 200 ss., e “Craft, Cult, and Canon in the Books from Herculaneum”, in
Philodemus and the New Testament World, edited by John T. Fitzgerald, Dirk Obbink, Glenn S.
Holland (Leiden-Boston: Brill, 2004), pp. 73-84, in part. pp. 81-83.
22
Il giudizio di SEDLEY (Allegiance [cit. n. 2], pp. 97-119), il quale nell’opera De signis, sulla
base del costante riferimento alle teorie e alle polemiche di Zenone (cf. infra), negava un personale
apporto filodemeo, è stato messo in discussione da GIGANTE, Zenone Sidonio (cit. n. 1), p. 86 e ID.
Filodemo nella storia (cit. n. 1), p. 49. Si veda anche ID., Filodemo in Italia (Firenze: Le Monnier,
1990), pp. 53 ss.
23
Col. 19,4-5 De Lacy: edizione in PHILLIP H. DE LACY – ESTELLE ALLEN DE LACY, Philodemus.
On Methods of Inference (Napoli: Bibliopolis, 1978).
24
Definito φίλτατοϲ da Filodemo nel II libro De rhetorica, PHerc. 1674, col. 34,14-15 LONGO
Auricchio (cit. n. 4), anche se lo stesso Filodemo sembra dissentire da lui riguardo ad alcune
concezioni sulla retorica (cf. FRANCESCA LONGO AURICCHIO – ADELE TEPEDINO GUERRA, “Aspetti e
problemi della dissidenza epicurea”, Cronache Ercolanesi, 1981, 11: 25-40, pp. 39-40). I DE LACY
(On Methods of Inference [cit. n. 23], p. 110 n. 67) pensavano che si trattasse di un allievo di Zenone,
come Filodemo. Potremmo credere che questa seconda parte del trattato, con l’approfondimento
del concetto di similarità, sia stata discussa da Zenone e ripresa da Bromio quando Filodemo era
assente e cioè prima del suo arrivo ad Atene, o addirittura quando Filodemo era già in Italia. Questa
seconda ipotesi mi sembra meno probabile, perché nel 79/78 a.C. quando Cicerone e Attico lo
ascoltarono ad Atene, Zenone era definito già senex (Cic. Tusc. 3,38 = fr. 8 ANGELI – COLAIZZO [cit.
n. 3]). Nel De signis si trova un’interessante informazione cronologica: il Gadarese fa riferimento ai
Pigmei «che Antonio ha portato ora dalla Siria» (col. 2,15-18 DE LACY [cit. n. 23], οὓϲ] Ἀντώνιοϲ νῦν
| ἐκ Ϲυρία[ϲ ἐκο]μίϲ[ατο). Per il dibattito sulla datazione di questo avvenimento rimando a MARIO
CAPASSO, “L’Egitto nei Papiri Ercolanesi: il Carmen De bello Actiaco e il De Signis di Filodemo”, in
L’Egitto in Italia. Dall’antichità al Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale Italo-Egiziano, a
cura di Nicola Bonacasa, Maria Cristina Naro, Elisa Chiara Portale, Amedeo Tullio (Roma: CNR,
1998), pp. 51-63, pp. 58 ss. che, come altri studiosi, sembra propendere per una datazione piuttosto
bassa dell’avvenimento, intorno al 40 a.C. Filodemo, in quel tempo, avrebbe potuto leggere in Italia
il testo zenoniano di Bromio. Su questo passo cf. anche ENRICO RENNA, “Rarità antropologiche in
Filodemo, De Sign. (PHerc 1065) col. 2,3 ss.”, Papyrologica Lupiensia, 1995, 4: 233-244, e FRANCESCA
— 94 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
LONGO AURICCHIO, “Filodemo e i nani di Antonio: valore di una testimonianza”, Cronache Ercolanesi,
2013, 43: 209-213.
25
Sulla cosiddetta «sezione di Bromio», dopo le pagine di ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n.
3), pp. 58-63, rimando all’importante lavoro di GIOVANNI MANETTI – DANIELA FAUSTI, “La sezione
di Bromio del De signis: il dibattito sulla vaghezza del concetto di similarità”, Cronache Ercolanesi,
2011, 41: 161-188.
26
VOULA TSOUNA, The Ethics of Philodemus (Oxford-New York: Oxford UP, 2007), pp. 65-66.
27
È definito πολυγράφοϲ ἀνήρ da Diogene Laerzio (10,25 = fr. 2 ANGELI – COLAIZZO [cit.
n. 3]).
28
Cf., ad esempio, ELISABETH ASMIS, “Epicurean Poetics”, in Philodemus and Poetry (cit. n. 18),
pp. 15-34, part. p. 29, che rintraccia l’uso delle teorie di Zenone in Sesto Empirico (in proposito già
CRÖNERT, Kolotes und Menedemos [cit. n. 6], p. 119 e n. 522), e MARCELLO GIGANTE, Scetticismo e
Epicureismo (Napoli: Bibliopolis, 1981), pp. 209-214, che, per quanto riguarda la geometria, in Sesto
ha riconosciuto anche tracce dei testi di Demetrio Lacone.
29
Cic. Tusc. 3,38 = fr. 8 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3).
30
GIGANTE, Zenone Sidonio (cit. n. 1), p. 88.
31
Cic. nat. deor. 1,59 = fr. 6 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3).
32
Contro l’accusa di parlare o forse di comportarsi come un barbaro, mossagli probabilmente
da qualche avversario, Filodemo risponde nel II libro De rhetorica (PHerc. 1674), col. 57 LONGO
AURICCHIO (cit. n. 4) affermando che «Zenone viveva non tra i Persiani, bensì in Atene» (= fr. 20
ANGELI – COLAIZZO [cit. n. 3]).
33
Cic. fin. 1,16 = fr. 5 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3). Cicerone (fin. 2,49) lo definì anche
philosophus nobilis. Su questo filosofo, cf. MARCELLO GIGANTE, “L’Epicureismo a Roma da Alcio
e Filisco a Fedro”, in ID., Ricerche Filodemee (cit. n. 13), pp. 33-34 e DORANDI, Phèdre (cit. n. 4),
in particolare sul problema della cronologia dello scolarcato di Atene tra l’80 e il 70 a.C. Il 70 a.C.
— 95 —
GIANLUCA DEL MASTRO
romana, in cui l’apertura alle nuove filosofie ellenistiche doveva fare i conti
con il pericolo di un’errata ricezione del messaggio epicureo, causata anche dal
nascere di correnti di pensiero considerate alternative all’interno dello stesso
Giardino. Tra queste ebbe un ruolo rilevante la scuola epicurea di Rodi,34 dove
insegnarono Timasagora (la cui polemica sembra rivolta particolarmente contro
i Maestri del Κῆποϲ Basilide e Tespi) e, probabilmente dopo di lui, Nicasicrate.35
È facile ipotizzare che la polemica con i rodiesi nel I sec. a.C. fu portata nel vivo
da Apollodoro e Zenone e continuata, in Italia, dal discepolo Filodemo.36
Zenone fu consapevole dell’importanza del suo ruolo, nel momento in
cui la scuola ateniese rischiava di perdere la sua centralità, e si fece interprete
della necessità di riproporre e riconsiderare i testi dei predecessori di fronte a
una platea nuova e più vasta, che non comprendeva solo il giovane Filodemo
venuto dall’Oriente, ma anche i Romani Cicerone ed Attico. A questo propo-
sito, è testimoniata la sua conoscenza del latino, come dimostra la sua pun-
gente definizione di Socrate, scurra Atticus.37
viene ipotizzato da Sedley (DAVID SEDLEY, “Philodemus and the Decentralisation of Philosophy”,
Cronache Ercolanesi, 2003, 33: 31-41, p. 33) come data possibile della morte di Zenone.
34
Dopo il lavoro imprescindibile di LONGO AURICCHIO – TEPEDINO GUERRA, Aspetti e problemi
(cit. n. 24), mi limito a rinviare all’articolo di MICHAEL ERLER, “Orthodoxie und Anpassung: Philo-
dem, ein Panaitios des Kepos?”, Museum Helveticum, 1992, 49: 171-200 e a FRANCESCO VERDE,
“Ancora su Timasagora Epicureo”, Elenchos, 2010, 31: 285-317. I motivi di dibattito tra i due gruppi
dovevano essere diversi. Purtroppo, per noi sono abbastanza ben documentate solo le divergenze
sulla questione della tecnicità della retorica (cf. De rhetorica 2, PHerc. 1674, col. 52,11-53,14 LONGO
AURICCHIO [cit. n. 4] = fr. 18 ANGELI – COLAIZZO [cit. n. 3]) e circa i modi di intendere l’ira (cf.
Philod. De ira, col. 15 Indelli: edizione di GIOVANNI INDELLI, Filodemo, L’ira [Napoli: Bibliopolis,
1988]).
35
Concordo con JOHN F. PROCOPÉ (“Epicureans On Anger”, in ‘Philanthropia kai eusebeia’.
Festschrift für Albrecht Dihle zum 70. Geburtstag, herausgegeben von Glenn W. Most, Hubert
Petersmann, Adolf M. Ritter [Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1993], pp. 363-386), secondo
il quale, mentre Timasagora è da collocare nel II sec. a.C., Nicasicrate deve essere ritenuto un
contemporaneo di Filodemo. Aggiungo che anche nel noto passo che si legge alla fine del fr. 279,
ll. 7-13, del PHerc. Paris. 2 (che contiene un libro De vitiis sulla διαβολή; cf. MARCELLO GIGANTE
– MARIO CAPASSO, “Il ritorno di Virgilio a Ercolano”, Studi Italiani di Filologia Classica, 1989, 82:
3-6) Filodemo, dopo aver menzionato gli amici Plozio Tucca, Lucio Vario Rufo, Virgilio e Quintilio
Varo, cita οἱ δὲ π[ερὶ τὸν Ν]ικαϲ[ι]κρά|την (si tratta di una fortunata lettura di DANIEL DELATTRE, “Le
retour du Papyrus d’Herculanum de Paris 2 à l’Institut de France: un rouleau épicurien inédit en
279 fragments”, Comptes-rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 2004,
148: 1351-1391, pp. 1383-1384. Credo che anche questo passo contribuisca a rendere più vicina a
Filodemo la cronologia di Nicasicrate.
36
Di questa opinione è anche TSOUNA, The Ethics (cit. n. 26), p. 202.
37
Cic. nat. deor. 1,93 = fr. 9 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3). Lo stesso termine è utilizzato da
Lattanzio (inst. 3,20 = fr. 10 ANGELI – COLAIZZO [cit. n. 3]) che lo riprendeva, riferendosi a Zenone,
dallo stesso Cicerone. Sulla concezione epicurea di Socrate, rimando a KNUT KLEVE, “Scurra Atticus.
The Epicurean View of Socrates”, in ϹΥΖΗΤΗϹΙϹ. Studi sull’Epicureismo Greco e Romano offerti a
Marcello Gigante (Napoli: Macchiaroli, 1983), 227-253.
— 96 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
38
Il PHerc. 1005 contiene il primo libro (Filodemo dice esplicitamente che si tratta della
πρώτη γραφή a col. 18,8-9 ANGELI [cit. n. 3]) di un’opera polemica, in cui l’autore si rivolge a
compagni di dottrina che si sono allontanati dagli insegnamenti e interpretano in maniera non
genuina i libri dei Maestri. Purtroppo il titolo del trattato fino a qualche tempo fa era considerato
perduto e di esso, come per uno strano scherzo del destino, si conservava solo la parte iniziale
Πρὸϲ τούϲ: dopo la proposta di integrare Ϲτωικούϲ di Diels (HERMANN DIELS, Philodemos Über die
Götter erstes Buch [Berlin: Königl. Akademie der Wissenschaften, 1916], p. 62 n. 1), riscosse un
certo credito l’ipotesi di Vogliano (ACHILLE VOGLIANO, “Nuovi testi epicurei”, Rivista di Filologia
e di Istruzione Classica, 1926, 54: 37-48, p. 37 n. 1) che, sulla base dell’esistenza di uno scritto di
Metrodoro Πρὸϲ τοὺϲ ϲοφιϲτάϲ (D. L. 10,24), integrava il nome dei cosiddetti «sofisti» anche nel
PHerc. 1005, lontano, come ha affermato ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), p. 71, da ogni prospettiva
storica per cui i sofisti, contro cui scrive Filodemo, sono diversi e a lui più vicini nel tempo, rispetto
a quelli di Metrodoro. Per Bignone (ETTORE BIGNONE, L’Aristotele perduto e la formazione filosofica
di Epicuro, vol. 1 [Firenze: La Nuova Italia, 19732], p. 467 n. 180), i sofisti erano genericamente
filosofi platonico-peripatetici, mentre, per Sbordone (FRANCESCO SBORDONE, Philodemi Adversus
[sophistas]. E papyro Herculanensi 1005 [Napoli: Loffredo, 1947], comm. ai frr. g4, g5, g7, p. 123
= 90, 95-96 ANGELI [cit. n. 3]), sarebbero stati sia Epicurei che Stoici (e negli altri libri Filodemo
avrebbe attaccato le altre scuole filosofiche). Per una panoramica di queste e di altre ipotesi rimando
ad ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), p. 72. La studiosa, ravvisando una destinazione «esclusivamente
epicurea» (p. 73), ha proposto, su suggerimento di Gigante, di intendere il πρόϲ come adversus e
congettura Πρὸϲ τοὺϲ [ἑταίρουϲ oppure Πρὸϲ τοὺϲ [ϲυνήθειϲ. Solo recentemente ho dato notizia (in
una comunicazione letta nel 2013, nel corso del XXVII Congresso Internazionale di Papirologia di
Varsavia) del ritrovamento della parte inferiore del rotolo (PHerc. 862), dove si legge il numero del
libro, e di una seconda copia di tutto il trattato (PHerc. 1485). In questo secondo rotolo ho letto
il titolo finale Πρὸϲ τοὺϲ φαϲκοβυβλιακούϲ che può essere interpretato come Contro coloro che si
proclamano conoscitori dei libri.
39
Col. 10,1-21 ANGELI (cit. n. 3); cf. fr. 12, pp. 75-76 ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n.
3): ἐν τοῖϲ | Πε]ρ[ὶ τῆϲ τῶν ἀ]τό[μων ἀ]ν|ομοι[ό]τητοϲ καὶ περὶ πα|ρεγκλίϲεωϲ καὶ τῆϲ τοῦ ἀ|θρόου
προκαταρχῆ[ϲ], καὶ | περὶ τελειώϲεωϲ [ἄκραϲ] | καὶ τ[ῆ]ϲ [εὐδαιμ]ον[ίαϲ ἐν] | τοῖϲ Περὶ τελῶν. πρόϲ
γε | μὴν τὰ κατηγορούμενα | τοῦ λόγου καὶ τοῦ βίου τῶν | περὶ τὸν Ἐπίκουρον, δι᾽ | αὐτῶν ἀπελογήθη
τῶν | ἐν τοῖϲ βυβλίοιϲ ἀμύθη|τα περὶ ἑκάϲτου παρατι|θείϲ, ὡϲ Περὶ γραμματι|κῆϲ καὶ Περὶ ἱϲτορίαϲ
καὶ | Περὶ παροιμιῶν καὶ τῶν | ὁμοίων καὶ Περὶ λ[έ]ξεωϲ | καὶ Περὶ ποιημάτων χρή|[ϲεωϲ κ]αὶ Περὶ
εὐϲεβε[ίαϲ | - - -
— 97 —
GIANLUCA DEL MASTRO
per ciascuna di esse innumerevoli prove come nel trattato Sulla grammatica, Sulla
investigazione, Sui proverbi e sui simili e Sullo stile e Sulla utilità della poesia40 e Sulla
religiosità.41
Filodemo parla qui contro quei detrattori che hanno messo in dubbio sia i
capisaldi della dottrina che la moralità dei suoi fondatori. Zenone è stato capace
di difendere la filosofia del Maestro con prove ἀμύθητα, «innumerevoli»,42 in
trattati che spaziano per argomento dalla fisica, all’estetica, all’etica, fino alla
matematica.
E proprio il libro, come possiamo osservare,43 diventa lo strumento privi-
legiato attraverso il quale le dottrine del Maestro si tramandano ai discepoli
e si confutano le opinioni degli avversari che potevano contare su una cir-
colazione capillare dei loro trattati polemici.44 Come nelle filosofie e nelle
religioni tradizionali, anche per gli epicurei, il libro, in tutte le sue forme,
dai rotoli dall’aspetto meno curato, dai brogliacci fino ai prodotti raffinati,
40
Molto dibattuto è il titolo di questo trattato, dal momento che la terza parola è spezzata
su due linee: CRÖNERT, Kolotes und Menedemos (cit. n. 6), p. 23, e SBORDONE, Adversus [sophistas]
(cit. n. 38), p. 144, seguiti da ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), integrarono χρή[ϲεωϲ. DANIEL DELATTRE,
“Les mentions de titres d’œuvres dans les livres de Philodème”, Cronache Ercolanesi, 1996, 26: 143-
168, p. 155 n. 57, e GIGANTE, Zenone (cit. n. 1), p. 95 e n. 55, hanno, invece, proposto χρη[ϲτῶν,
intendendo le poesie «eccellenti» («sur les [bons] poèmes» traducono DANIEL DELATTRE – ANNICK
MONET, Varianti agli Épicuriens, in Les Épicuriens, éd. publ. sous la dir. de Daniel Delattre et Jackie
Pigeaud (Paris: Gallimard, 2010), p. 738; cf. anche le Notes critiques aux textes grecs des Épicuriens
nel sito <www.herculanensiacispe.org>, ultimo accesso maggio 2014).
41
Trad. ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), p. 192.
42
Le prove che Zenone adduce sono tanto numerose e importanti da essere «innumerevoli,
incalcolabili» (si potrebbe anche rendere «inesprimibili»: «unspeakable» si legge in LSJ). L’aggettivo è
usato anche nel IV libro De morte, col. 37,34-35 Gigante (MARCELLO GIGANTE, “La chiusa del quarto
libro «Della morte» di Filodemo”, in Ricerche Filodemee [cit. n. 13], pp. 163-234, p. 181), che rico-
struisce (seguendo Buresch) καὶ τοῦ [π]εριέχοντοϲ | ἅμα τῆι τύχηι διακρίϲεωϲ ἡμῶν ἀ|μύθητα <ὅϲα
ποιητικὰ> γεννῶντοϲ καὶ πολλάκιϲ ἅμα νο[ή]ματι «ed il mondo che ci circonda produce innumerevoli
cause – sia occasionali sia spesso intellegibili – di dissoluzione» (trad. Gigante). «Untold (causes)»
traduce Henry (W. BENJAMIN HENRY, Philodemus. On death [Atlanta: Society of Biblical Literature,
2009], pp. 86-87); «inexprimable» traducono DELATTRE – TSOUNA, Les Épicuriens (cit. n. 40), p. 631.
43
Su questo aspetto cf. DISKIN CLAY, “The Cults of Epicurus”, Cronache Ercolanesi, 1986,
16: 11-28 = ID., Paradosis and Survival: Three Chapters in the History of Epicurean Philosophy (Ann
Arbor: Ann Arbor UP, 1998), pp. 75-102 e MARIO CAPASSO, Comunità senza rivolta. Quattro saggi
sull’epicureismo (Napoli: Bibliopolis, 1987), pp. 37 e 39-57.
44
Nell’opera De electionibus et fugis (PHerc. 1251), col. 1,13-16 Indelli – Tsouna McKirahan
(edizione di GIOVANNI INDELLI – VOULA TSOUNA MCKIRAHAN, [Philodemus, On Choices and
Avoidances] [Napoli: Bibliopolis, 1995], si afferma οἴδα[μεν γὰρ ὄντα | πρό]χειρα καὶ τἀντ[ίγραφα]
ἐν οἷϲ ὁρῶνται κα[κηγοροῦν]|τεϲ ἡμᾶϲ· «Sappiamo, infatti, che le copie dei loro scritti nei quali
essi apertamente ci insultano sono facilmente disponibili» (trad. Indelli). La lettura τἀντ[ίγραφα]
è accettata, sebbene con qualche riserva, da DIRK OBBINK, “The Mooring of Philosophy”, Oxford
Studies in Ancient Philosophy, 1997, 15: 259-281, p. 266 e n. 28.
— 98 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
45
SEDLEY, Allegiance (cit. n. 2), p. 104, e OBBINK, Craft, Cult, and Canon (cit. n. 21), pp. 79-80.
46
Cf. GIANLUCA DEL MASTRO, “Filosofi, scribi e glutinatores nella Villa dei papiri di Ercolano”,
in Il libro filosofico: dall’antichità al XX secolo, Atti del Convegno internazionale, Cassino, 25-26
maggio 2011, a cura di Lucio Del Corso, Paolo Pecere (Turnhout: Brepols, 2011) = Quaestio, 2011,
11: 35-64, p. 53.
47
Su questo punto rimando a MENICO CAROLI, “«Un acquisto per l’eternità». La pubblicità dei
libri nel mondo antico”, Kleos, 2010, 21: 107-176, pp. 115 ss., con ampia bibliografia.
48
Di questa opinione è anche CAPASSO, Filodemo e Lucrezio (cit. n. 14), p. 102.
49
Ζήνωνοϲ | πρὸϲ τὸ Κρατέρου | πρὸϲ τ[ὸ | πε]ρὶ τῶν γεωμετρικῶν | ἀποδείξεων. Cf. KNUT
KLEVE – GIANLUCA DEL MASTRO, “Il PHerc. 1533: Zenone Sidonio A Cratero”, Cronache Ercolanesi,
2000, 30: 149-156. Di questa leggibilissima subscriptio abbiamo pubblicato alcune fotografie molto
eloquenti.
50
Nel V libro del De poematis (col. 35,22-23 MANGONI [cit. n. 16]), le parole di Filodemo
lasciano trasparire un indizio dell’attività di copia delle opere di Zenone: «Se bisogna poi intendere
anche il pensiero o lo scriba lo ha tralasciato, ἢ γρα|φεὺϲ παραλέλοιπε»; cf., in proposito, OBBINK,
The Mooring (cit. n. 44), p. 266 n. 29.
— 99 —
GIANLUCA DEL MASTRO
51
Conservato dal PHerc. 1061. Ho rintracciato un nuovo testo geometrico demetriaco (pro-
babilmente un altro libro Περὶ γεωμετρίαϲ o una riedizione dello stesso libro) nel PHerc. 1064. Nel
PHerc. 1361 (vergato da una mano simile, forse la stessa del PHerc. 1258), per la prima volta, ho
letto parti dei termini τετράγωνοϲ «quadrato» e ϲτρεβλόϲ «curvo». Anche questo papiro sembra
conservare un testo sulla geometria.
52
Frammenti di quest’opera sono contenuti nei PHerc. 1083, 1642, 1647, 1429 (vergati da
una stessa mano) e PHerc. 1258 e 1822 (vergati da un’altra mano). Si riteneva (cf. ANNA ANGELI –
TIZIANO DORANDI, “Il pensiero matematico di Demetrio Lacone”, Cronache Ercolanesi, 1987, 17:
89-103, p. 99) che nella subscriptio del PHerc. 1429 in una terza linea, dopo il nome dell’autore e il
titolo, ci fosse il numero del libro (Ε = quinto libro). Una nuova lettura mi ha permesso di rilevare
che si tratta di un elemento decorativo. Ipotizzo che tutti i papiri vergati dalla stessa mano del
PHerc. 1429 costituiscano porzioni esterne dello stesso rotolo. Non è improbabile, infine, che i
PHerc. 1822 e 1258 (che potrebbero ancora essere parti di uno stesso rotolo) conservino una copia
più antica dello stesso testo Sulle Aporie di Polieno che si trova nel PHerc. 1429 (e nelle scorze ad
esso collegate).
53
Cf. KURT VON FRITZ, “Zenon von Sidon”, Paulys Realencyclopädie der classischen Altertums-
wissenschaft, vol. 10 (Stuttgart: J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1972), coll. 122-138, coll. 125-
128; ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n. 3), p. 7; MICHAEL J. WHITE, “What to say to a geometer”, Greek,
Roman and Byzantine Studies, 1989, 30-2: 297-311, p. 303. Contrariamente si era espresso GREGORY
VLASTOS, “Zeno of Sidon as a critic of Euclid”, The Classical Tradition. Literary and Historical Studies in
honor of Harry Caplan edited by Luitpold Wallach (New York: Cornell UP, 1966), pp. 148-159, p. 152.
54
È molto dibattuto se la critica di Zenone agli Elementi di Euclide (che possiamo ricostruire
praticamente solo attraverso le informazioni deducibili da Proclo, in Eucl. elem. 199,3-200,6; 214,15-
218,11) sia stata solo metodologica (ipotesi di Vlastos) o piuttosto abbia coinvolto anche le stesse ἀρχαί
(Crönert). DAVID SEDLEY, “Epicurus and the Mathematicians of Cyzicus”, Cronache Ercolanesi, 1976,
6: 23-54, pp. 24-26, crede che Zenone abbia accettato i principi geometrici, ma abbia anche affermato
l’insufficienza delle ἀρχαί. Per una panoramica del problema rimando ad ANGELI – COLAIZZO, Zenone
(cit. n. 3), p. 65. Per una puntuale trattazione cf. WHITE, Geometer (cit. n. 53), pp. 300-303.
55
Col. 11,1-19 ANGELI (cit. n. 3): ἐρχόμενον ἀκριβεί]|αι πρὸ[ϲ τὰ τῶν ἀνδρῶν, | πε]ρὶ πολλῶν
ἡγ[εῖϲ]|θαι [τἀ]|κε[ί]νοιϲ ἀρέ[ϲ]κοντ᾽, [ἐκ] τῆϲ ἀ[ρ]|χῆϲ ὑποψί[α]ν τινὰ [λ]αμβά|ν[ει]ν ὡϲ περί τινων ἐπι|ϲτολῶν
καὶ τῆϲ [Πρὸϲ Πυ]|θοκλέα περὶ μ[ε]τεώρων | ἐπιτομῆϲ καὶ τοῦ Περὶ ἀ|ρ[ετ]ῶ[ν], καὶ τῶν εἰϲ Μητρό|δωρον
ἀναφερομένων | Ὑποθηκῶν καὶ τῶν Μαρ|τυριῶν καὶ μᾶλλον [δ]ὲ | τοῦ Πρὸϲ τὸν Πλάτωνοϲ | Γοργίαν δευτέρου,
καὶ τῶν | εἰϲ Πολύαινον τοῦ Πρὸϲ | τοὺϲ ῥήτοραϲ καὶ τοῦ Περὶ | ϲελήνηϲ καὶ τῶν εἰϲ Ἕρ|μαρχον· (trad. Angeli,
con ritocchi) Si vedano, in proposito anche i frr. 13 e 14 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3).
— 100 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
Accostandosi con rigore agli scritti dei Maestri, su molte cose considerò le loro
dottrine: concepiva all’inizio qualche sospetto, come su alcune epistole, persino sulla
Lettera a Pitocle sui fenomeni celesti, e sul trattato Sulle virtù e sui Precetti attribuiti
a Metrodoro e sulle Testimonianze e soprattutto sul secondo libro Contro il Gorgia
di Platone e sui (trattati attribuiti) a Polieno, sul libro Contro i retori e su quello Sulla
luna e sulle opere (attribuite) ad Ermarco.
È naturale, quindi, dal quadro che ho fin qui delineato, che Zenone do-
vette costituire, nell’immaginario filosofico di Filodemo, non solo il conti-
nuatore della dottrina, nel solco più genuino dell’ortodossia e della fedeltà al
Maestro,56 ma il portatore del messaggio salvifico che Epicuro aveva compen-
diato nella celebre τετραφάρμακοϲ.57
Filodemo diventa di Zenone «fedele ammiratore»58 mentre è ancora in
vita, e, dopo la morte, a sancire una devozione quasi religiosa, «infaticabile
lodatore, soprattutto di tutte le sue virtù».59 Questo è il testo del PHerc. 1005
56
La scuola epicurea di Rodi, almeno dal punto di vista di Timasagora e Nicasicrate che ne furono
a capo, si sentiva correttamente aderente al messaggio epicureo: essa, al contrario, accusava gli epicurei
di Atene, Basilide, Tespi e Zenone, di aver stravolto la dottrina del fondatore. Su questo punto cf. VERDE,
Timasagora (cit. n. 34), pp. 291-292 e ANNICK MONET, “[Philodème, Sur les Sensations] (cit. n. 11), p.
59. L’idea che Nicasicrate avesse una propria scuola a Rodi è gustificata dalla lettura dell’espressione
ἐν τῆι ϲχο]λῆι τῆι Νικαϲικράτουϲ nel PHerc. 1746, fr. 2b,3-4 Crönert. Ho letto una seconda volta tracce
del nome di Nicasicrate nella colonna finale del papiro (Νικαϲ]ικράτ[; a meno che la sequenza νω che si
legge prima della frattura non appartenga allo stesso strato, così da leggere ]νωι κρατ[). Ho recentemente
scoperto (GIANLUCA DEL MASTRO, “Frustula Herculanensia”, Cronache Ercolanesi, 2013, 43: 125-138,
pp. 125-128) che questo papiro, insieme al PHerc. 1715, costituisce la porzione terminale del βίοϲ di
Filonide. Secondo l’interpretazione di Gallo del fr. 34, ll. 5-6 del papiro (ITALO GALLO, “Vita di Filonide
Epicureo (PHerc. 1044)”, in Frammenti biografici da papiri, vol. 2, La Biografia dei filosofi, [Roma: Edizioni
dell’Ateneo, 1980], pp. 23-166 = Studi di Papirologia Ercolanese [Napoli, D’Auria: 2002], pp. 59-205,
part. p. 200), sembrerebbe che Filonide sia stato in contatto con Timasagora che, come abbiamo visto, fu
predecessore di Nicasicrate nella scuola dissidente di Rodi (su questo punto cf. anche VERDE, Timasagora
[cit. n. 34], p. 289 n. 10). I progressi su questo testo realizzati da Maria Grazia Assante (nella sua tesi di
dottorato di prossima pubblicazione) conducono decisamente in questa direzione.
57
Cf. Cic. Tusc. 3,38 = fr. 8 ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n. 3). SEDLEY, Allegiance (cit. n.
2), p. 104, istituisce un parallelo tra Zenone e Filodemo da una parte ed Epitteto, le cui lezioni erano
trascritte da Arriano, dall’altra. In questo modo, ritengo che venga ad essere negato, o quanto meno
sminuito, ogni apporto originale di Filodemo rispetto al dettato del Maestro (cf., in proposito, anche
GIGANTE, Zenone Sidonio [cit. n. 1], p. 86).
58
Poco aderente al testo la traduzione di DAVID SIDER, The Epigrams of Philodemos (New York-
Oxford: Oxford UP 1997), p. 234 (T14), che rendeva così il testo ricostruito da ANGELI, Filodemo
(cit. n. 3) οὐκ ἄπιϲτοϲ ἐραϲτήϲ con «obedient follower».
59
Ricordo, per antitesi, il passaggio dell’orazione In Pisonem in cui Cicerone (69) afferma che
Pisone, travisando il messaggio epicureo, credette di trovare in Filodemo non magistrum virtutis
sed auctorem libidinis. Su questo punto, cf. MARCELLO GIGANTE, “Il ritratto di Filodemo nella
«Pisoniana»”, in Ricerche Filodemee (cit. n. 13), pp. 35-53, part. pp. 40-41, che richiama anche un
utile passo della Pro Sestio (§ 23: [Piso] eos [scil. philosophos] laudabat maxime qui dicuntur praeter
ceteros esse auctores et laudatores voluptatis; cuius et quo tempore et quo modo non quaerebat).
— 101 —
GIANLUCA DEL MASTRO
che ho potuto ricostruire grazie all’ausilio del PHerc. 1485 che, come ho re-
centemente dimostrato, conserva una seconda copia dello stesso libro:60
καὶ Ζήνωνοϲ ἐγεν[ό]|μην περιόν⌞το⌟ϲ ⌞τε⌟ {α} πιϲτ[ὸϲ] | ἐραϲτὴϲ καὶ
τ⌞ελευ⌟[τήϲαν]|τοϲ ἀκοπίατοϲ ὑμνητήϲ, | μάλιϲτα παϲῶν αὐτοῦ τῶ[ν] | ἀρετῶν ἐπὶ ταῖϲ
ἐξ Ἐπικ[ού]|ρου κατοχ αῖϲ τε καὶ θεοφ[ο]ρίαιϲ.
Finché Zenone era in vita ne divenni fedele ammiratore e, dopo la morte, infaticabile
lodatore, soprattutto di tutte le sue virtù fondate sul possesso della dottrina di Epicuro,
ispirata dalla divinità.
60
PHerc. 1005, col. 14,6-12 ANGELI (cit. n. 3), pp. 179-180 (cf. fr. 11 ANGELI – COLAIZZO [cit. n.
3]). Su questo passo cf. anche i lavori di F. Longo Auricchio e G. Indelli in questo volume.
61
Cf. OBBINK, On Piety (cit. n. 4), p. 524. In particolare, il termine θεοφορία è utilizzato dallo
stesso Filodemo nel De musica 4, col. 96,25 e 31 Delattre (DANIEL DELATTRE, Philodème de Gadara,
Sur la musique, Livre IV [Paris: Les Belles Lettres, 2007]) con il significato di «transport d’origine
divine» nel contesto di un discorso sull’estasi dionisiaca. A col. 95,41 Delattre si legge θεοφο[ρ.
62
Filodemo cita Pindaro più volte nel IV libro De musica: coll. 31,8; 47,43; [48,14]; 134,9;
135,10; 140,32; 143,28 DELATTRE (Sur la musique, cit. n. 61).
63
ἔϲτι δέ τιϲ λόγοϲ ἀνθρώπων, τετελεϲμένον ἐϲλόν μὴ χαμαὶ ϲιγᾷ καλύψαι· θεϲπεϲία δ᾽ἐπέων
καύχαϲ ἀοιδὰ πρόϲφοροϲ, «C’è un adagio tra gli uomini, quando un’azione valorosa si compie non
deve essere nascosta in silenzio: un canto divino si addice alla glorificazione dei versi». È chiara qui
la contrapposizione tra il silenzio e la gloria che segue un’azione importante. «Vers louangeurs» tra-
duceva AIMÉ PUECH, Pindare. Odes, vol. 3, Les Néméennes (Paris: Les Belles Lettres, 1967).
64
Nel De vitiis 10 (PHerc. 1008), col. 15,21 Jensen (CHRISTIAN JENSEN, Philodemi ΠΕΡΙ ΚΑΚΙΩΝ
Liber Decimus [Lipsiae: Teubner, 1911]) Filodemo usa il termine καύχηϲιϲ, che, in senso negativo,
vale, piuttosto, «vanagloria», come in Epicuro, fr. 101,13 Arr. (GRAZIANO ARRIGHETTI, Epicuro. Opere
[Torino: Einaudi, 19732 ]).
65
CRÖNERT, Kolotes und Menedemos (cit. n. 6), p. 177.
66
SBORDONE, Adversus [sophistas] (cit. n. 38), p. 101, che traduce «gloriationibus afflatibusque
divinis».
67
ANGELI, Agli amici (cit. n. 3).
68
Ricordo OBBINK, Philodemus. On Piety (cit. n. 4), p. 524.
69
κα[το]χαῖϲ proponeva DIELS, Philodemos (cit. n. 38), p. 62 n. 1.
— 102 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
70
κατοχαῖϲ si legge nelle Notes critiques aux textes grecs des Épicuriens (cit. n. 40), raggiungi-
bili al sito <www.herculanensiacispe.org>. D. Delattre e A. Monet hanno modificato anche
l’interpretazione delle linee precedenti, leggendo una citazione di Apollodoro Κηποτύραννοϲ (D.
L. 10,25). Questa la loro traduzione di tutto il passo: «c’est d’ailleurs en leur compagnie que je suis
devenu un fervent des plus fidèles d’Apo[llodo]re et de Zénon, tant que ce dernier lui survécut, et,
après la mort de Zénon, un laudateur inlassable, s’il en est, de toutes ses vertus et, j’ajouterai, des
délires et transports divins que lui inspirait Épicure». Per κατοχή nel senso di «possesso, ispirazione
divina» cf. LSJ, ad loc.
71
«Das bestätigt die Oxforder Photographie 2,464, die Τ und daneben klein ο, aber dies
verwischt, zeigt» afferma DIELS, Philodemos (cit. n. 38), p. 62 n. 1.
72
Col. 6,9 ANGELI (cit. n. 3): ἐ[π]ιδεί|[κνυ]ται δὲ τὴν κατοχὴν | [ὅλων ἐν το]ῖϲ βυβλίοιϲ
τα|[ράττων] «Egli ostenta il possesso di tutta la dottrina, portando scompiglio nei libri (dei Maestri)»
(trad. Angeli).
73
PHerc. 1674, col. 39,11 LONGO AURICCHIO (cit. n. 4): τὸ κοι|νῶν τινων κατοχὴν | ἔ[χε]ιν
διατεινόντων | εἰϲ τὰ κατὰ μέροϲ «(la caratteristica delle arti congetturali è quella di) avere possesso
di alcuni elementi generali che tendono al particolare».
74
PHerc. 1008, col. 20,17 JENSEN (cit. n. 64). MARCELLO GIGANTE, “I sette tipi dell’archetipo
«il superbo» in Aristone di Ceo”, in Synodia. Studia humanitatis Antonio Garzya septuagenario ab
amicis atque discipulis dicata, a cura di Ugo Criscuolo, Riccardo Maisano (Napoli: D’Auria, 1997),
pp. 345-356, p. 349: καὶ | διότι περὶ τοὺϲ πολυμαθεῖϲ ὀϲμαὶ μόνον εἰϲὶ πολλῶν, οὐ κατοχαί «ed è per
questo che gli eruditi hanno solo odori di molte cose senza possederle mentalmente» (trad. M. Gi-
gante). GRAZIANO RANOCCHIA, Aristone. Sul modo di liberare dalla superbia nel decimo libro De vitiis
di Filodemo (Firenze: Olschki, 2007), traduce «vera padronanza».
75
Cf. anche CORNELIS JAN VOOYS, Lexicon Philodemeum (Purmerend: Jacob Muusses, 1934),
s.v. per il quale la traduzione è «scientia».
76
Un passo molto importante, in questo senso, si legge nel PHerc. 346, col. 2,2-15 Capasso
(in MARIO CAPASSO, Trattato Etico Epicureo (PHerc. 346) [Napoli: Giannini, 1982]) in cui si afferma
— 103 —
GIANLUCA DEL MASTRO
Zenone è «equiparato ai capi storici del Kepos, in quanto egli, disponendo dei
mezzi della salvezza, la filosofia di Epicuro, ha svolto la sua funzione di guida».77
Per questo motivo, possiamo pensare che non sia casuale l’epiteto che Filodemo
attribuisce a Zenone nel De rhetorica menzionandone lo scolarcato ad Atene:78
ἐγ]ὼ δ᾽[ἀ]μέλει καὶ τῶν | ἀκουϲτῶν μὲν ἄ]γαμαι | τοῦ ϲχολάζοντοϲ Ἀθή|νηϲιν ἀ[ν]δρόϲ.
Io certamente anche mi sorprendo degli uditori di quel Maestro che tiene scuola
ad Atene.
che «la venerazione non è stata inventata in quanto gratitudine verso i benefattori e gli artefici di
un qualche bene (τοὺ`ϲ´ εὐεργέταϲ καὶ [αἰτίουϲ] τινὸϲ ἀγα|θοῦ) per i prudenti (τοῖϲ φρονοῦϲιν);
essa nasce in generale da tutti i beni presenti» (sul testo di questo papiro cf. anche il lavoro di F.
Longo Auricchio in questo volume). Anche in un frammento del trattato anepigrafo (che per mo-
tivi paleografici, probabilmente, non può essere attribuito a Filodemo) contenuto nel PHerc. 176,
fr. 5, col. 21,11-14 Angeli (ANNA ANGELI, “La scuola epicurea di Lampsaco nel PHerc. 176 (fr. 5
coll. 1,4, 8-23)”, Cronache Ercolanesi, 1988, 18: 27-51) è riportato un excerptum da una lettera in
cui, parlando della morte di Metrodoro, si fa riferimento alla «gratitudine che abbiamo avuto e che
avremo per tutta quella umanità che da lui derivava» (χά[ριν ἐϲχηκ]ό|των πάϲηι τῆι [γ]εν[ομ]ένηι |
παρ᾽αὐτοῦ φιλανθ[ρω]πίαι | καὶ ἑξόντων).
77
Così ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), p. 35.
78
Philod. rhet. II (PHerc. 1674), col. 56,18-30, p. 159 LONGO AURICCHIO (cit. n. 4), = fr. 19
ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3).
79
LONGO AURICCHIO, La Scuola (cit. n. 3), p. 22, nota che, come dimostra l’utilizzo di questo
termine, l’atteggiamento di devozione verso i Maestri ha influenzato anche il linguaggio degli
Εpicurei recentiores. Su questo passo cf. anche JACOB WISSE, “The Presence of Zeno. The Date
of Philodemus’ On Rhetoric and the Use of the ‘Citative’ and ‘Reproducing’ Present in Latin and
Greek”, in On Latin. Linguistic and Literary Studies in Honour of Harm Pinkster, edited by Rodie
Risselada, Jan R. De Jong, Alide Machtelt Bolkestein (Amsterdam: J.C. Gieben, 1996), pp. 173-
202, p. 199, secondo il quale il participio presente ϲχολάζοντοϲ, trovandosi in una citazione, non
costituirebbe una prova certa per poter datare l’attività di Zenone.
80
Cf. ANGELI – COLAIZZO, Zenone (cit. n. 3), p. 49 e ANGELI, Agli amici (cit. n. 3), p. 36.
81
Sen. ep. 34,4: Iam puta nos velle singulares sententias ex turba separare: cui illas adsigna-
bimus? Zenoni an Cleanthi an Chrysippo an Panaetio an Posidonio? Non sumus sub rege: sibi quisque
— 104 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
Il problema del ϲεβαϲμόϲ, vale a dire della forma e dei modi in cui il
culto di Epicuro doveva essere correttamente concepito per non ricadere
negli errori della massa nella venerazione degli dèi, fu evidentemente trattato
dallo stesso Zenone, a sua volta oggetto di profonda dedizione da parte degli
immediati discepoli.82 Come ha ben sottolineato Schmid, proprio da queste
accuse degli avversari doveva nascere l’esigenza per gli epicurei del I sec. a.C.
di rivedere, o meglio, di puntualizzare, le posizioni della scuola in merito
alle modalità di divinizzazione del saggio,83 poiché su questo argomento essi
rischiavano di rendersi oggetto di una critica che tendeva ad assimilarli a quella
massa da cui già Polistrato, duecento anni prima, aveva sentito il bisogno
di prendere le distanze nella sua opera, conservata a Ercolano, Sul disprezzo
irrazionale delle opinioni popolari.84 Anche le forme del culto cambiano deci-
samente. Il banchetto in onore del genetliaco di Epicuro, che aveva luogo il
ventesimo giorno del mese (εἰκάϲ),85 privato del suo valore rituale, acquista
un puro significato commemorativo e serve a rinsaldare lo spirito epicureo
grazie alla presenza degli ἕταροι παναληθεῖϲ, «compagni di tutta verità» e ai
«conversari molto più attraenti delle fiabe della terra dei Feaci» (Φαιήκων
γαίηϲ πουλὺ μελιχρότερα) di cui Filodemo ci parla nel celebre epigramma
se vindicat. Apud istos quidquid Hermarchus dixit, quidquid Metrodorus, ad unum refertur; omnia
quae quisquam in illo contubernio locutus est unius ductu et auspiciis dicta sunt, «Supponi che noi
vogliamo isolare dalla nostra dottrina qualche motto brillante: a chi lo attribuiremo? A Zenone,
o a Cleante, o a Crisippo, o a Panezio, o a Posidonio. Non siamo alle dipendenze di un sovrano;
ciascuno è padrone di sé. Ma in altri sistemi filosofici quello che ha detto Ermarco o Metrodoro
è riferito ad uno solo; tutto ciò che fu detto da tutti i componenti di quella scuola è attribuito al
pensiero di uno solo». Su questo punto cf. anche MARTHA C. NUSSBAUM, The Therapy of Desire
(Princeton: Princeton UP, 1994), p. 131.
82
Una traccia delle accuse di empietà mosse a Zenone potrebbe leggersi nel PHerc. 1005, tra
le coll. 12 e 13 ANGELI (cit. n. 3); cf. il commento alle pp. 303-304.
83
WOLFGANG SCHMID, Epicuro e l’epicureismo cristiano, tr. it. a cura di Italo Ronca (Brescia:
Paideia, 1984), ed. or. “Epikur”, in Reallexicon für Antike und Christentum, vol. 5 (Stuttgart: Hierse-
mann, 1962), pp. 681-819.
84
Forse non è un caso che, tra le scarsissime testimonianze pervenute, l’altro grande Maestro
epicureo Sirone, che teneva scuola dall’altra parte del golfo di Napoli, a Posillipo, si occupò proprio
di temi legati alla teologia, come sembra suggerire il fr. 10 Gigante (MARCELLO GIGANTE, “I fram-
menti di Sirone”, Paideia, 1990, 45: 175-198; Serv. ad Aen. 6,264) .
85
Sul significato numerologico e rituale dell’icade in relazione all’epigramma filodemeo, si
veda ora l’interessante articolo di ANTONELLA ARENA, “L’icade di Filodemo ed il genetliaco di Epi-
curo”, Latomus, 2012, 71,3: 696-712. In una recente rilettura, PIERRE VESPERINI, “Que faisaient dans
la baie de Naples Pison, Philodème, Virgile et autres Épicuriens ? Pour une approche hétérotopique
des pratiques philosophiques romaines”, Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, 2009,
121: 513-543, p. 533, ha visto in questa celebrazione, a mio avviso troppo tendenziosamente, solo
la volontà di mostrare una pratica esteriore, svuotata di ogni profondo significato genuinamente
epicureo che mostra non una «sociabilité spécifiquement épicurienne, mais une sociabilité de
banquet grec».
— 105 —
GIANLUCA DEL MASTRO
86
AP 11,44 = 27 SIDER (Epigrams, cit. n. 58) = 33 Gigante (MARCELLO GIGANTE, Il libro degli
epigrammi di Filodemo [Napoli: Bibliopolis, 2002]). Rimando alle belle pagine di GIGANTE, Filodemo
in Italia (cit. n. 22), pp. 103-116 (si veda anche l’accenno in Il ritratto di Filodemo [cit. n. 59], p. 50).
87
OBBINK, Craft, Cult, and Canon (cit. n. 21), p. 81.
88
SEDLEY, Allegiance (cit. n. 2), p. 105, ha creduto che questo atteggiamento fosse funzionale ad
evitare un’accusa di empietà. Contrariamente OBBINK, Craft, Cult, and Canon (cit. n. 21), p. 79, afferma
che nel I sec. a.C. non abbiamo prove di condanne di filosofi per empietà tali da giustificare questa ipotesi.
89
Philod. piet., PHerc. 1098 fr. 3 N, col. 51,1461-1468 OBBINK (cit. n. 4), p. 206 = fr. 22 ANGELI
– COLAIZZO [cit. n. 3], in cui il testo non era ancora così integrato): τοῖϲ δ᾽ἀν]θρ[ώ]|ποιϲ [τ]α[ύτην]
κ[υριω]|τάτη[ν ἐν] τοῖϲ ϲ[υμ]|βολαίο[ιϲ τὴ]ν [ϲυ]νθε|ϲίαν α<ἱ> πε[ρὶ βί]ου π[αρὰ] | Ζήνωνι γενόμε|ναι
ϲυναγωγαὶ δια|ϲαφοῦϲιν.
90
OBBINK, On Piety (cit. n. 4), p. 523. Ricordiamo che Zenone scrisse un Περὶ εὐϲεβείαϲ (PHerc.
1005, col. 10,20 ANGELI (cit. n. 3) = fr. 12 ANGELI – COLAIZZO (cit. n. 3).
91
Lo stesso significato si trova anche nel βίοϲ di Filonide (PHerc. 1044, fr. 66 GALLO [cit. n.
56]). Cf. CAPASSO, Comunità (cit. n. 43), p. 46.
92
Una traccia di questa attività si potrebbe leggere in PHerc. 1005, col. 12 ANGELI (cit. n. 3).
— 106 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
stesso Zenone (κατ᾽ἐπιτομήν, come abbiamo visto, si legge nella subscriptio del
PHerc. 1471, De libertate dicendi).93
Filodemo ricostruiva le informazioni sul ϲεβαϲμόϲ direttamente dalle parole
di Epicuro, attraverso le epistole, e dal racconto di Zenone nella sua opera
incentrata sul tema della religiosità. Perché, come Zenone afferma per bocca
di Filodemo nel Περὶ παρρηϲίαϲ, attraverso i Maestri che se ne fanno portavoce
e veicolo, «il principio fondamentale e più importante è quello di obbedire ad
Epicuro secondo il quale» i seguaci della dottrina hanno scelto di vivere.94
Obbink95 ha suggestivamente paragonato le forme di questa devozione
all’autorità che gli studiosi moderni riconoscono ai loro Maestri. Credo che
questa riverenza fosse ancora più profonda. Zenone, e Filodemo dopo di lui,
possono essere considerati, a buon diritto, messaggeri della dottrina, così
come Epicuro fu il κῆρυξ ὃϲ διέϲωϲε[ν ὑμᾶϲ], l’araldo della salvezza, come
si legge nella epigrafe di Diogene di Enoanda.96 Come ha acutamente notato
Sedley, Filodemo scrive nel momento in cui termina la centralità di Atene
come sede delle scuole filosofiche che aveva caratterizzato i secoli precedenti:
da una parte la scuola stoica di Posidonio a Rodi e, nella stessa Rodi, la
presenza della scuola epicurea di Timasagora e Nicasicrate che rivendica la
propria presunta ortodossia; d’altra parte, la presenza a Mileto, già dal II
secolo, di una scuola epicurea così importante, rappresentata da Ireneo che,
come sappiamo da Demetrio Lacone, non lasciò mai la città,97 testimoniano
che Atene aveva perso il suo ruolo centrale già ben prima della «cacciata»
dei filosofi conseguente alla presa della città dell’86 a.C. da parte di Silla
durante la guerra Mitridatica. Filodemo in Italia istituisce innegabilmente
una scuola: a questo scopo, vale la pena ricordare e insistere sul passo (10,24)
in cui Diogene Laerzio, parlando di Polieno, afferma che fu «uomo probo
ed amorevole come affermano quelli della cerchia di Filodemo, ὡϲ οἱ περὶ
Φιλόδημόν φαϲι».98 Possiamo solo ipotizzare la diversità, più o meno marcata,
93
Cf. ANGELI, Compendi, eklogai, tetrapharmakos (cit. n. 12), pp. 53 ss.
94
Fr. 45,8-11 in ALESSANDRO OLIVIERI, Philodemi. Περὶ παρρηϲίαϲ libellus (Lipsiae: Teubner,
1914): καὶ τὸ ϲυνέχον καὶ κυρι|ώτ[α]τον, Ἐπικούρωι, κα|θ᾽ὃν ζῆν ἡ<ι>ρήμεθα, πει|θαρχήϲομεν.
95
OBBINK, Craft, Cult, and Canon (cit. n. 21), p. 74.
96
Fr. 72,3,12-13 in MARTIN F. SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription (Napoli:
Bibliopolis, 1993). Su questo passo, cf. il lavoro di F. Longo Auricchio in questo volume.
97
Credo che il riferimento di Demetrio Lacone (PHerc. 1012) possa essere letto nel senso
letterale (Ireneo «fisicamente» non lasciò Mileto), ma anche in senso metaforico, intendendo che,
solo a Mileto, Ireneo continuò la sua attività filosofica, e verosimilmente, fu visitato da Demetrio.
Cf. SEDLEY, Philodemus (cit. n. 33), p. 34 e ENZO PUGLIA, “Demetrio Lacone a Mileto”, Cronache
Ercolanesi, 1983, 13: 21-24.
98
D.L. 10,24 = Polien. fr. 1 in ADELE TEPEDINO GUERRA, Polieno. Frammenti (Napoli:
Bibliopolis, 1991).
— 107 —
GIANLUCA DEL MASTRO
99
VESPERINI, Pour une approche hétérotopique (cit. n. 85), cerca di dimostrare che l’epicureismo
campano riprende quello originario in forme per lo più esteriori, adattate al diverso spirito dei tempi
e alla diversa organizzazione della cultura romana.
100
OBBINK, The Mooring (cit. n. 44), pp. 280-281. Lo studioso (p. 280 n. 76) afferma, sulla base
del confronto con altre iscrizioni, che Epicureius indicherebbe che il protagonista dell’iscrizione era
un Maestro, piuttosto che un semplice seguace della dottrina.
101
Su questa iscrizione si veda ora KENT J. RIGSBY, “Hauranus the Epicurean”, Classical
Journal, 2008-2009, 104: 19-22. Lo studioso, sulla base dell’analisi del nome, pensa che questo per-
sonaggio possa provenire dalla Siria, in cui è attestata l’esistenza di una scuola epicurea. Cf. MARTIN
F. SMITH, “An Epicurean Priest from Apamea in Syria”, Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik,
1996, 112: 120-130, il quale (p. 121) data l’iscrizione siriana (in cui si legge l’espressione διάδοχοϲ ἐν
Ἀπαμείαι | τῶν Ἐπικουρείων) al II sec. d.C.
102
Cf. SEDLEY, Philodemus (cit. n. 33), p. 35, ma anche GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 22)
p. 23.
103
Credo, sulla base della testimonianza ciceroniana (fin. 2,119 = fr. 5 GIGANTE [cit. n. 84]),
che le due scuole dovettero coesistere indipendentemente, ma con reciproche e profonde relazioni
(Torquato pone le questioni filosofiche più spinose a persone paratiores, «più competenti», e Cice-
rone ribadisce che questi non possono che essere gli optimi viri Sirone e Filodemo). GIGANTE, Sirone
(cit. n. 84), p. 185, parla di «cooperazione» tra le due scuole.
104
I due furono contemporanei e si conobbero. Il nome di Sirone compare nella col. 1,4 Crönert
del PHerc. 312 = Sirone, fr. 1 GIGANTE (cit. n. 84): Gigante difende la congettura φίλτατο]ν Ϲίρωνα di
Körte contro ἡμέτερο]ν di Crönert; oggi posso leggere anche tracce dell’omicron che precede il ny) =
T15 SIDER, Epigrams (cit. n. 58; che, erroneamente, riporta il testo come «col 14»). Sul rapporto tra
i due cenacoli epicurei cf. GIGANTE, Sirone (cit. n. 84), p. 179. Sembra superata l’ipotesi di TADEUSZ
MASŁOWSKI, “Cicero, Philodemus, Lucretius”, Eos, 1978, 66: 215-226, secondo il quale è possibile
pensare che esistessero due scuole epicuree in Italia: la prima, di ascendenza greca, con Sirone e
Filodemo, la seconda, indigena, con gli Εpicurei di II-I sec. a.C. Catio, Amafinio, Rabirio e Lucrezio.
Cf. in proposito GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 22), pp. 42 ss. e CAPASSO, Filodemo e Lucrezio
(cit. n. 14), pp. 101-102.
105
SEDLEY, Philodemus (cit. n. 33), p. 35, ipotizza che Filodemo sia venuto in Italia proprio
durante i rivolgimenti conseguenti alla presa sillana di Atene, datata tra l’inverno dell’87 a.C. e
gli inizi del marzo 86 a.C. Se pensiamo che i libri più antichi della collezione epicureo-ercolanese
provenissero dal Giardino ateniese, allora questa ipotesi diventa più plausibile (con la fuga da Atene
vengono portati via anche i libri), diversamente non abbiamo riferimenti per formulare altre ipotesi.
Lo stesso Zenone, inoltre, dovette ritornare ad Atene, se Cicerone e Attico lo ascoltarono nel 79/78
— 108 —
FILODEMO E LA LODE DI ZENONE SIDONIO
trattati dei Maestri in più esemplari, come dimostrano le due copie del II e
dell’XI e le tre del XXV libro del Περὶ φύϲεωϲ. In questo contesto, è chiaro
che diventava una necessità primaria quella di continuare la celebrazione dei
Maestri appartenenti a quella stessa linea «genealogica» che si poteva far ri-
salire direttamente fino a Epicuro: tale celebrazione, pur restando sentita,
serviva soprattutto a legittimare l’ortodossia degli scritti di Filodemo contro
le altre scuole che, invece, si erano allontanate dai dettami del Giardino
ateniese. Il culto dei Maestri recenziori si presenta, senza quella ritualità e
quella religiosità che ne avevano contraddistinto la prima fase (anche per non
incorrere nelle accuse degli avversari),106 in modalità e forme differenti, ma
sempre in espressioni profonde,107 affinché le nuove generazioni epicuree po-
tessero continuare ad assimilare e diffondere il messaggio salvifico di Epi-
curo, in un momento così delicato, come in Grecia così a Roma, di crisi dei
valori tradizionali e di profonda trasformazione della società.108
a.C. Ormai è superata l’ipotesi di Cichorius (CONRAD CICHORIUS, “Persönliches in den Epigrammen
des Philodemos von Gadara”, in Römische Studien [Leipzig: Teubner, 1922], pp. 295-298) che, sulla
base dell’espressione ciceroniana riferita al Graecus facilis et valde venustus Filodemo, il quale nimis
pugnax contra imperatorem populi Romani esse noluit (Pis. 70), pensò che Filodemo cedette alle
lusinghe di Pisone ad Atene e lo seguì in Italia nel 55 a.C. (cf. anche GIGANTE, Filodemo in Italia, cit.
n. 22, p. 64 e ID., Il ritratto di Filodemo [cit. n. 59], pp. 44-45). SIDER, Epigrams (cit. n. 58), pp. 6-7,
non esclude che Filodemo e Pisone si siano conosciuti in Campania o a Roma.
106
Cf. il lavoro di F. Longo Auricchio in questo volume.
107
Di opinione diversa VESPERINI, Pour une approche hétérotopique (cit. n. 85), p. 541, che fa
dell’epicureismo a Napoli «un pur objet d’enseignement». Basti ricordare le parole di GIGANTE,
Filodemo nella storia (cit. n. 1), p. 7, che parlava di un «modo vibrato, simpatetico, solidale in cui
Filodemo presenta la comunità epicurea».
108
A questo proposito è importante ricordare quanto OBBINK, The Mooring (cit. n. 44), p. 260,
dice a proposito dell’opera De electionibus et fugis, attribuita, ormai unanimemente, a Filodemo:
«Herculaneum Papyrus 1251, probably by the Epicurean Philodemus, delineates this syllabus of
issues and offers some solutions to problems raised in ethical debates of the first century BC – in
particular on the epistemological status of the passions and feelings, the classification of desires, and
the Epicurean position on property and ownership – so as to constitute, if not a handbook, at least
a protreptic on the subject of pratical ethics for gentlemen of the late Republic».
— 109 —
GUIDO MILANESE
1. LA CONTINUITÀ DELL’IMMAGINE
— 111 —
GUIDO MILANESE
1
Come riconosce lo stesso Gigante a proposito del Paratore, che passa da valutazioni molto
generiche e imprecise (ETTORE PARATORE, L’epicureismo e la sua diffusione nel mondo latino [Roma:
Edizione dell’Ateneo, 1960]) a più ampi orizzonti nella “voce” dell’Aufstieg und Niedergang der
Römischen Welt, herausgegeben von Wolfgang Haase, Hildegard Temporini, vol. 1,4 (Berlin-
New York: De Gruyter, 1973) ripubblicata in Romanae litterae (Roma: Bardi, 1976), 289-376: cf.
MARCELLO GIGANTE, Filodemo in Italia (Firenze: Le Monnier, 1990), 8-10. Gigante continuò per
decenni a denunciare il permanere di una pigrizia nella valutazione di quanto l’emergere dei nuovi
testi ercolanesi apportava alla valutazione della cultura in Italia in epoca tardo repubblicana: una
frase degli Atakta, la raccolta di brevi note, spesso critiche, tratte da “Cronache ercolanesi”, esprime
bene il rammarico dello studioso: «Che cosa bisogna fare per rendere noti gli uni agli altri viventi
nella medesima repubblica delle lettere i contributi che modificano luoghi comuni della critica?»:
MARCELLO GIGANTE, Atakta. Contributi alla papirologia ercolanese (Napoli: Macchiaroli, 1993), p. 172.
Va osservato che Momigliano utilizzava, nel modo migliore possibile all’epoca, i dati della ricerca
“ercolanese”, che era del tutto ignota al Farrington: cf. BENJAMIN FARRINGTON, Science and Politics in
the Ancient World (New York: Barnes & Noble, 1939; 19662) e ARNALDO MOMIGLIANO, “Epicureans
in Revolt”,The Journal of Roman Studies, 1941, 31: 149-157 = Secondo contributo alla storia degli
studi classici (Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1960), 375-388. La bibliografia sul rapporto tra
politica ed Epicureismo a Roma è ormai massiccia, e limito il rinvio a DAVID SEDLEY, “Epicureanism
in the Roman Republic”, in The Cambridge Companion to Epicureanism, edited by James Warren
(Cambridge, UK-New York: Cambridge UP, 2009), pp. 29-45, pp. 43-44, con bibliografia essenziale,
e a ERIC BROWN, “Politics and Society”, in The Cambridge Companion to Epicureanism (cit. supra), pp.
179-196. Non vorrei però dimenticare GIOVANNI D’ANNA, Alcuni aspetti della polemica antiepicurea
di Cicerone (Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1965), che è ovviamente datato ma ricco di notevoli spunti.
2
Cf. PIERRE GRIMAL, “L’epicurisme romain”, in Actes du VIIIe Congrès Association Guillaume
Budé, Paris, 5-10 avril 1968 (Paris: Les Belles Lettres, 1969), pp. 139-168; TRISTANO GARGIULO,
“Epicureismo Romano”, in ϹΥΖΗΤΗϹΙϹ. Studi sull’epicureismo greco e romano offerti a Marcello
Gigante (Napoli: Macchiaroli, 1983), pp. 635-648; DIETER TIMPE, “Der Epikureismus in der
römischen Gesellschaft der Kaiserzeit”, in Epikureismus in der späten Republik und der Kaiserzeit,
Akten der 2. Tagung der Karl-und-Gertrud-Abel-Stiftung vom 30. September-3. Oktober 1999 in
Würzburg, herausgegeben von Michael Erler, Robert Bees (Stuttgart: Steiner, 2000), 42-63. Sintesi
sull’Epicureismo in epoca romana (non solo sull’Epicureismo romano): sempre da tenere presente
MARCELLO GIGANTE, “L’Epicureismo a Roma da Alcio e Filisco a Fedro”, in Ricerche filodemee
(Napoli: Macchiaroli, 19691 , 19832), pp. 25-34; SEDLEY, “Epicureanism in the Roman Republic”
(cit. n. 1) e MICHAEL ERLER, “Epicureanism in the Roman Empire”, in The Cambridge Companion
to Epicureanism (cit. n. 1), pp. 46-64. Sulla questione politica, sulla quale non mi soffermo in questo
studio, cf. da ultimo JEFFREY FISH, “Not all Politicians are Sisyphus: what Roman Epicureans Were
Taught about Politics”, in Epicurus and the Epicurean Tradition, ed. by Jeffrey Fish and Kirk R.
Sanders (Cambridge: Cambridge UP, 2011), pp. 72-104.
3
Cf. GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 1), p. 8.
— 112 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
4
Nell’ampia bibliografia in merito segnalo DISKIN CLAY, “The Cults of Epicurus”, Cronache
Ercolanesi, 1986, 16: 11-28, poi in Paradosis and Survival: Three Chapters in the History of Epicurean
Philosophy (Ann Arbor: University of Michigan Press, 1998), pp. 75-102, con aggiornamenti; MARIO
CAPASSO, Trattato etico epicureo (PHerc. 346), edizione, traduzione e commento, (Napoli: Giannini,
1982); MARIO CAPASSO, Comunità senza rivolta: quattro saggi sull’epicureismo, con una premessa
di Marcello Gigante (Napoli: Bibliopolis, 1987); MARIO CAPASSO, Carneisco. Il secondo libro del
Filista (PHerc.1027), edizione, traduzione e commento (Napoli: Bibliopolis, 1988), pp. 37-52; ANNA
ANGELI, Filodemo. Agli amici di scuola (PHerc. 1005) (Napoli: Bibliopolis, 1988), pp. 32-36; ADELE
TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro (PHerc. 1232, 1289 ß)”, Cronache Ercolanesi,
1994, 24: 5-53. Su tutto questo aggiorna oggi sapientemente l’articolo di Francesca Longo Auricchio
in questo stesso volume.
5
ALASDAIR MACINTYRE, After Virtue: A Study in Moral Theory (Notre Dame, Indiana: University
of Notre Dame Press, 20073), p. 175. Il riferimento è a JOHN LLOYD ACKRILL, Aristotle on eudaimonia
(London: Oxford UP, 1975). Un primo tentativo di rapporto tra etica epicurea ed etica contemporanea
delle virtù avevo proposto in “La felicità: scoperta, costruzione, ritrovamento (percorsi lucreziani)”,
Paideia, 2003, 58: 235-259. In questo studio faccio riferimento essenzialmente a MacIntyre e al-
l’etica delle virtù, ma ovviamente la considerazione del rapporto a noi contemporaneo con l’etica
antica, soprattutto aristotelica, non può prescindere dalla prospettiva della Rehabilitierung dell’o-
rientamento aristotelico e post-aristotelico (cf. MANFRED RIEDEL, Rehabilitierung der praktischen
Philosophie [Freiburg: Rombach, 1972-1974]) e in modo particolare dal pensiero di Hans Georg
Gadamer. Sul tema dell’unità della vita in una prospettiva non unicamente rivolta all’etica delle virtù
cf. le lucide pagine di ANTONIO DA RE, “Figure dell’etica”, in Introduzione all’etica, a cura di Car-
melo Vigna (Milano: Vita e Pensiero, 2001), pp. 3-117, pp. 19-23, che concede il giusto rilievo alle
ricerche di Julia Annas e di Martha Nussbaum.
— 113 —
GUIDO MILANESE
E pone la “totalità esistenziale” come uno dei nuclei concettuali più forti
nella sua ridefinizione del concetto di virtù, in cui le virtù hanno senso solo
se intese come «qualities contributing to the good of a whole life», come
MacIntyre chiarisce nel poscritto alla seconda edizione di After Virtue.6 Si
tratta ovviamente di concetti aristotelici, che MacIntyre aveva già ben pre-
senti all’epoca della Breve storia dell’etica.7 Lo studio storico di grande in-
fluenza nell’etica contemporanea al quale si faceva riferimento poc’anzi è The
Morality of Happiness di Julia Annas, che da «making sense of my life as a
whole» prende le mosse, citando, nel primo capitolo (pp. 42-43), il possente
testo di Seneca, ep. 12,6-8:8
Tota aetas partibus constat et orbes habet circumductos maiores minoribus: est
aliquis qui omnis complectatur et cingat (hic pertinet a natali ad diem extremum); est
alter qui annos adulescentiae excludit; est qui totam pueritiam ambitu suo adstringit;
est deinde per se annus in se omnia continens tempora, quorum multiplicatione vita
componitur; mensis artiore praecingitur circulo; angustissimum habet dies gyrum, sed
et hic ab initio ad exitum venit, ab ortu ad occasum. Ideo Heraclitus, cui cognomen
fecit orationis obscuritas, ‘unus’ inquit ‘dies par omni est’. Hoc alius aliter excepit.
[…] Itaque sic ordinandus est dies omnis tamquam cogat agmen et consummet atque
expleat vitam.
Tutta la vita, considerata nella sua totalità, risulta costituita da varie parti e pre-
senta una serie di cerchi concentrici. Ve n’è uno che li abbraccia e li recinge tutti esten-
dendosi dalla nascita alla morte; un altro che include gli anni dell’adolescenza, un altro
6
MACINTYRE, After Virtue (cit. n. 5), p. 273. Una lettura simpatetica ed efficacemente critica
in THOMAS D. D’ANDREA, Tradition, Rationality, and Virtue: the Thought of Alasdair MacIntyre
(Aldershot - Burlington, VT: Ashgate, 2006), pp. 276-280.
7
Arist. eth. Nic. 1098a15 τὸ ἀνθρώπινον ἀγαθὸν ψυχῆς ἐνέργεια γίνεται κατ’ ἀρετήν, εἰ δὲ πλείους
αἱ ἀρεταί, κατὰ τὴν ἀρίστην καὶ τελειοτάτην. ἔτι δ’ ἐν βίῳ τελείῳ. μία γὰρ χελιδὼν ἔαρ οὐ ποιεῖ, οὐδὲ
μία ἡμέρα· οὕτω δὲ οὐδὲ μακάριον καὶ εὐδαίμονα μία ἡμέρα οὐδ’ ὀλίγος χρόνος, «il bene dell’uomo
consiste in un’attività dell’anima secondo la virtù: se le virtù sono più d’una, secondo la migliore e la
più compiuta. Ancora: in una vita compiuta. Infatti, una rondine non fa primavera, né un giorno solo:
così [20] un sol giorno o poco tempo non rendono nessuno beato e felice». L’espressione centrale per
il nostro discorso è ovviamente ἐν βίῳ τελείῳ. Cf. ALASDAIR MACINTYRE, A Short History of Ethics: A
History of Moral Philosophy from the Homeric Age to the 20th Century (London: Routledge, 19982),
pp. 41-42: l’etica ellenistica interessa pochissimo MacIntyre in quest’opera storica, e a proposito
dell’Epicureismo la presentazione che ne offre (p. 69) è per lo meno criticabile. Il significato interno
di telos è ribadito anche in anni più recenti da MacIntyre: «The telos/finis of any type of systematic
activity is, on an Aristotelian and Thomistic view, that end internal to activity of that specific kind,
for the sake of which and in the direction of which activity of that kind is carried forward» (ALASDAIR
MACINTYRE, The Tasks of Philosophy, vol. 1 [Cambridge: Cambridge UP, 2006], p. 156).
8
Traduzione di UMBERTO BOELLA, Lucio Anneo Seneca. Lettere a Lucilio, (Torino: UTET, 1983),
pp. 85-87. Sul Boella, figura da non dimenticare nella storia, anche se ‘minore’ della filologia italiana
del Novecento, cf. il bel profilo di ANDREA BALBO, “Tra scuola e università: storia di un classicista,
Umberto Boella”, Bollettino della Società Storica Pinerolese, 2010, 27: 141-153.
— 114 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
ancora che comprende nel suo giro l’intera fanciullezza; quindi vi è l’anno che da solo
racchiude in sé stesso tutti i periodi di tempo, che moltiplicati costituiscono la vita. Il
mese è delimitato da un cerchio più stretto: da un cerchio strettissimo il giorno; ma
anche questo, pur così stretto, ha un principio ed un fine, dall’alba al tramonto. Perciò
Eraclito, che dall’oscurità del suo stile fu soprannominato «l’Oscuro», disse: «un sol
giorno equivale a tutti gli altri» [106 D.-K.]. Questa sentenza, chi la interpretò in un
modo chi in un altro. […] Pertanto dobbiamo disporre di ogni giornata come se fosse
l’ultima, come se essa conchiudesse la nostra vita.
9
Annas osserva che MacIntyre «goes too far in his presentation of ancient ethical life as one
where deeply unsettling reflection did not arise, and the virtues were essentially constituted by certain
shared practices»: cf. JULIA ANNAS, The Morality of Happiness (New York - Oxford: Oxford UP,
1993), p. 451. Che la linea storica di After Virtue sia a tratti troppo semplificante è verissimo, ma
è ingeneroso ridurre l’interpretazione della virtù antica in MacIntyre alla questione delle pratiche
condivise: la totalità della vita nel senso aristotelico (ma, come vedremo, non solo aristotelico) è
costitutivo del concetto di virtù del filosofo scozzese. Annas cita anche l’opera di BERNARD WILLIAMS,
Ethics and the Limits of Philosophy (London: Routledge, 2011; 19851), che tuttavia (nel I capitolo
e poi nel Postscript, p. 223) non accetta l’idea della «vita completa» come punto di partenza o di
arrivo dell’indagine etica. Annas osserva che le intuizioni di F.H. Bradley, che rifiutava energicamente
un’etica “negativa”, rimasero purtroppo «uninfluential in the mainstream of analytical moral
philosophy» (p. 4): cf. FRANCIS HERBERT BRADLEY, Ethical Studies (London: Henry S. King & Co.,
1876); la citazione della Annas è a p. 194 dell’edizione originale del 1876. La stessa osservazione si
potrebbe proporre ad es. in merito a Max Scheler, soprattutto al saggio Crisi dei valori, premessa di
Antonio Banfi, traduzione di Felix Sternheim (Milano: Bompiani, 1936), non richiamato dalla Annas
neanche nel più recente e molto impegnativo saggio Intelligent Virtue (Oxford: Oxford UP, 2011).
DA RE, “Figure dell’etica” (cit. n. 5), 10 n. 20 osserva come molti autori del Novecento degni della
massima attenzione (appunto Scheler, ma anche Bergson o Simmel) siano trascurati nel dibattito degli
ultimi decenni.
10
Cic. fin. 3,4; 4,16; 5,8; Sen. ep. 95,7, cf. 90,27; 117,2. MARCELLO GIGANTE, “Philosophia
medicans in Filodemo”, Cronache Ercolanesi, 1975, 5: 53-61, confluito in Ricerche filodemee (Napoli:
Macchiaroli, 1983, 19691); ANTHONY A. LONG, “Hellenistic Ethics as the Art of Life” in From
Epicurus to Epictetus: Studies in Hellenistic and Roman Philosophy [= Lampas 2003, 36: 27-41]
(Oxford-New York: Clarendon Press, 2006), pp. 23-42.
— 115 —
GUIDO MILANESE
11
CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit. n. 4), in particolare pp. 41 ss. (L’aspetto cultuale nel rapporto
tra Epicuro e i seguaci), ripreso nel volume Comunità senza rivolta (cit. n. 4), pp. 25-38. Sul culto di
Epicuro, oltre al lavoro di Capasso, restano certamente gli studi di CLAY, “The Cults of Epicurus” (cit.
n. 4), “Individual and Community in the First Generation of the Epicurean School”, in ϹΥΖΗΤΗϹΙϹ.
Studi sull’epicureismo greco e romano offerti a Marcello Gigante, vol. 1 (Napoli: Macchiaroli, 1983),
pp. 275-279, ristampati con aggiornamenti in CLAY, Paradosis and survival (cit. n. 4). La tesi di
BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicureanism and Philosophical Recruitment in Ancient Greece
(Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press, 1982) è discussa opportunamente da
CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit. n. 4), pp. 34-37; sul ruolo delle immagini, bibliografia aggiornata in
FRANCESCO VERDE, Epicuro (Roma: Carocci, 2013), p. 219 n. 8, cui aggiungerei, per l’aspetto tipologico,
JOACHIM RAEDER, “Non traditus vultus: Bildnis eines griechischen Philosophen im Getty Museum”, in
Ancient Portraits in the J. Paul Getty Museum, vol. 1 (Malibu: The Museum, 1987), pp. 5-16. Sul valore
terapeutico della memorialistica epicurea cf. VOULA TSOUNA, “Epicurean therapeutic strategies”, in
The Cambridge Companion to Epicureanism (cit. n. 1), pp. 262-263; il ruolo delle immagini nell’antica
ratio studiorum filosofica è individuato da MICHELANGELO GIUSTA, I dossografi di etica (Torino: Aragno,
2012; ed. or. Torino: Giappichelli, 1964-1967), pp. 172-177.
12
Cf. CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit. n. 4), 36-7; CAPASSO, Carneisco. Filista (cit. n. 4);
GIOVANNI INDELLI – VOULA TSOUNA-MCKIRAHAN, [Philodemus, On Choices and Avoidances] (Napoli:
Bibliopolis, 1995).
13
Salvo indicazione diversa le traduzioni italiane dai testi tràditi da Diogene Laerzio o dallo
Gnomologio Vaticano sono tratte dalla mia traduzione di Lucrezio con testi di Epicuro (Milano:
Mondadori, 20072).
— 116 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
Per cui vidi anche Filista dalla pubertà alla morte essere bellamente ornato di un
tale ragionamento come anche non avere mai assunto, come si conviene, alcun vizio
[…] ed essersi sempre ricordato, nel corso della sua vita, del fine che la natura ha dato
all’uomo e non avere tralasciato nulla dell’ottima vita per non essersi procurato le cose
che sono tenute in gran conto dai più.14
14
Col. 16-17, trad. di Capasso, Carneisco. Filista (cit. n. 4), pp. 191-192. Il testo è alle pp.
191-192: ὅθεν |10 δὴ καὶ Φιλίσταν καλῶς | ἐκ μειρακίου κατακοσ|μηθέν̣ θ’ ὑπὸ τοιούτου | [ε]ἶ[δον λό]
γ̣[ου μέχρι τε | [λευτῆς ὥσπερ] καὶ δ[εό]ν|15[τως τὸν οὐ]δεμίαν πω | [κακίαν λ]αβόντα Κ̣Α || [καὶ ἀεὶ
μεμνημένον, κα]| θ᾿ ὃν ἔζ̣η χρόνον, τοῦ φυ|σικοῦ τ̣έλους καὶ οὐθὲν | ἐλλιπόντα τοῦ ἀρίστου | βίου
παρὰ τὸ μὴ τυχεῖ̣ν |5 τῶ[ν] π̣αρὰ τοῖς πολλοῖ̣[ς] | περιβλέπτων. Il commento di Capasso, pp. 242-244,
lega opportunamente i dati biografici relativi all’adesione molto precoce alla prospettiva filosofica
nella vita all’esordio della Lettera a Meneceo, 122: «Nessuno che sia giovane indugi a filosofare, né,
in vecchiaia, si stanchi di filosofare. Infatti non è mai troppo presto né troppo tardi per la salute
dell’anima. Chi dice che non è ancora nel momento giusto per fare filosofia, o che tale momento è
già passato, è come se dicesse che non è ancora giunta l’ora per essere felici o che è già trascorsa».
15
Fr. 5 col. 26,3-10 Vogliano. Sul papiro, del quale manca un’edizione completa che sostituisca
quella del Vogliano, cf. CESIRA MILITELLO, Filodemo. Memorie epicuree (PHerc. 1418 e 310), edizione,
traduzione e commento (Napoli: Bibliopolis, 1997), pp. 49-56, e precedentemente ANNA ANGELI –
MARIA COLAIZZO, “La scuola epicurea di Lampsaco nel PHerc. 176 (fr. 5 coll. I, IV, VIII-XXIII)”,
Cronache Ercolanesi, 1988, 18: 27-51 e ADELE TEPEDINO GUERRA, “Osservazioni su alcuni frammenti
del II libro dell’opera filodemea Su Epicuro”, in Papiri letterari greci e latini, a cura di Mario Capasso
(Galatina: Congedo, 1992), pp. 165-178.
16
«Esse non vanno pensate come completamente inesistenti (οὔτε ὅλως ὡς οὐκ εἰσίν) né che
siano come realtà incorporee inerenti al corpo, né parti di esso, ma ritenere che l’insieme corporeo
riceve da tutte quante le qualità, nel loro insieme, la sua stabile natura (ἀλλ᾿ ὡς τὸ ὅλον σῶμα
καθόλου ἐκ τούτων πάντων τὴν ἑαυτοῦ φύσιν ἔχον ἀίδιον), non però come se il corpo derivasse
dal complessivo apporto di esse (come quando un complesso maggiore si forma appunto dalle
particelle, sia da particelle prime, sia da particelle che siano minori del complesso in questione:
ἢ τῶν τοῦ ὅλου μεγεθῶν τοῦδέ τινος ἐλαττόνων) ma solo, lo ripeto, in quanto il corpo trova la sua
natura permanente dall’insieme di queste qualità».
17
«Cosicché, impiegando la parola symptoma (‘accidenti’) secondo l’accezione più comune
di essa, faremo risultare chiaramente che tali “accidenti” non hanno la natura di quel complesso
che, considerandolo nell’insieme, chiamiamo ‘corpo’, οὔτε τὴν τοῦ ὅλου φύσιν ἔχειν, ma neppure
quella delle proprietà che accompagnano permanentemente un corpo, e senza i quali non è neppure
possibile pensare un corpo».
— 117 —
GUIDO MILANESE
18
Alex. Aphr. quaest. 3,12 ἔστιν ὅλον οὗ μηδὲν τῶν μορίων ἄπεστιν. I testi epicurei in merito
sono molti. Trovo particolarmente fascinoso un passo del PHerc. 1418, le Memorie epicuree, come
intitola Cesira Militello che ne ha curato l’edizione seguendo la proposta di Gigante; (GIGANTE,
Filodemo in Italia [cit. n. 1], p. 27); CESIRA MILITELLO, Filodemo. Memorie epicuree (cit. n. 15), p.
25: forse riferendosi a Idomeneo (cf. pp. 291-6) Epicuro scrive: «ci apparisti degno in tutto il tuo
carattere di una vita libera e diversa da quella sancita dalle leggi» (col 32, 6, p. 142: τῶ[ι] ὅλωι ἤθει).
Aggiungo il recente ritrovamento del NF 167 = YF 240, che precede NF 126 = YF 193 (JÜRGEN
HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda: the Discoveries of 2009 (NF
167-181)”, Epigraphica Anatolica, 2009, 42: 1-38), un passo importante per la teologia epicurea,
dove ritorna, in negativo, la totalità della vita: «they will act completely wrongly, and in consequence
(NF 167 III + NF 126/127 I) the whole [of life] will be confounded», dove il testo è integrato ma
sicuro: τὸν ὅλον [βίον]. Un’esemplarità negativa legata alla totalità negativa di una vita è il caso di
Prassifane nel Filista di Carneisco: Prassifane è un δεῖγμα negativo, per tutta la sua vita, τῆς καθ᾿ὅλον
τὸν βίον φαύλης διαγωγῆς (col. 21, p. 194 CAPASSO [cit. n. 4]).
19
Cf. TEPEDINO GUERRA, “L’opera filodemea Su Epicuro” (cit. n. 4), pp. 168-169: πᾶς ὁ βίος
ἐμαρτύρησεν, «tutta la sua vita testimonia».
20
ALBERTO GRILLI, “Διάθεσις in Epicuro”, in Stoicismo, epicureismo e letteratura (Brescia: Paideia,
1992; ed. or. in ϹΥΖΗΤΗϹΙϹ [cit. n. 1], vol 1, pp. 93-109), pp. 47-64; GIULIANA LEONE, Epicuro. Sulla
natura, libro II, edizione, traduzione e commento (Napoli: Bibliopolis, 2012), commenti alla colonna
14, pp. 514-518, e alla colonna 76, p. 555. Naturalmente ciò non implica una stabilità dell’aggregato
atomico che divenga eternità: i mondi finiscono (l’universo no): cf. l’antiplatonico NF 155 di Diogene di
Enoanda (JÜRGEN HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda. The Discoveries
of 2008 (NF 142-167)”, Epigraphica Anatolica, 2008, 41: 1-37, 24-26). Vale ancora la pena di leggere
il dimenticato CARLO PASCAL, Studi critici sul poema di Lucrezio (Roma-Milano: Società Editrice Dante
Alighieri, 1903), pp. 49-61. Mette bene a fuoco la questione dell’infinità dei mondi il commento di
Francesco Verde al par. 45 dell’Epistola a Erodoto: cf. EMIDIO SPINELLI – FRANCESCO VERDE, Epicuro.
Epistola a Erodoto, introduzione, traduzione e commento (Roma: Carocci, 2010), pp. 114-116.
21
GRILLI, “Διάθεσις” (cit. n. 20), p. 50: fr 1781 Us. = Plut. suav. viv. Epic. 1100a. Cf. l’eccellente
commento di ADELMO BARIGAZZI, Plutarco. Contro Epicuro (Firenze: La Nuova Italia, 1978), p. 37,
che rinvia a de fratr. am. 487d.
— 118 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
22
GRILLI, “Διάθεσις” (cit. n. 20), pp. 50-51. Grilli tendeva abitualmente, in un’ottica rimasta
piuttosto ‘bignoniana’, a staccare l’Epicureismo dai rapporti con i testi scolastici di Aristotele, ma
qui egli stesso ammette, sia pure attenuando la portata dell’osservazione, che la struttura concettuale
epicurea è «non lontana dalla ἕξις aristotelica» (p. 51 n. 20). A mio avviso i rapporti sono molto più
netti, e parlerei di derivazione diretta, molto più che nel caso stoico. Sulla questione cf. MARCELLO
GIGANTE, Kepos e Peripatos. Contributo allo studio dell’aristotelismo antico (Napoli: Bibliopolis,
1999). Nel caso particolare sono convinto che all’eccellente quadro proposto dal Grilli si dovrebbe
aggiungere un passaggio essenziale, cioè il ruolo della – o delle – virtù. È inutile un catalogo
bibliografico per un problema così noto, mentre può essere utile rimandare, per il rapporto tra ἕξις e
virtù, al PHerc. 253 + 1090 pubblicato da RICHARD JANKO, “New Fragments of Epicurus, Metrodorus,
Demetrius Laco, Philodemus, the Carmen De Bello Actiaco and Other Texts in Oxonian Disegni of
1788-1792”, Cronache Ercolanesi, 2008, 38: 5-95, alle pp. 53-55.
23
Considerazioni molto valide sull’essenziale questione del ruolo dell’etica nel sistema epicureo
in rapporto a fisica e canonica offre oggi VERDE, Epicuro (cit. n. 11), pp. 227-228.
24
MARCELLO GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei filosofi (Roma-Bari: Laterza, 19872), p. 438.
Credo abbia ragione il Grilli nel dubitare di questo valore di πλάττειν, ma la questione, che andrebbe
riesaminata, coinvolge un problema testuale e non è determinante per il presente studio. Orientano
comunque nel senso della traduzione di Gigante i passi filodemei in HERMANN USENER, Glossarium
Epicureum, edendum curaverunt Marcello Gigante, Walter Schmid (Roma: Edizioni dell’Ateneo
& Bizzarri, 1977), ad loc. La questione del possibile ‘ritorno’ alla condizione prefilosofica è ben
presente anche all’ambiente stoico: cf. GIUSTA, I dossografi di etica (cit. n. 11), pp. 793-794.
— 119 —
GUIDO MILANESE
tamento: il dio incorruptus est ac beatus quia semper quietus, e infatti la felicità
compiuta, perfecta, è quella tale che nihil sit quod eam vexare aut minuere aut
immutare possit – dunque una διάθεσις che non è reversibile. Esattamente per
questo il saggio esce dal tempo – mentre il dio non è mai entrato nel tempo.
Nel testo di Diogene di Enoanda che è ritenuto riportare la cosiddetta lettera
di Epicuro alla madre, leggiamo, nella traduzione dello Smith:25
[III] Therefore, with regard to these matters, mother, [be of good heart: do not
reckon]5the visions [of us to be bad]; rather [when you see them] think of us daily
[acquiring] something [good] and advancing [further in happiness]. For not small
[or ineffectual] [IV] are these gains for us which make our dispositions godlike and
show that not even5 our mortality makes us inferior to the imperishable and blessed
nature; for when we are alive, 10we are as joyful as the gods.
Il testo della colonna IV, la parte che ci interessa, è ben conservato e privo
di integrazioni:
2
τάδ᾿ οἷα τῆν διάθ̣εσ̣ ιν | ἡμῶν ἰσόθεον ποιεῖ | καὶ οὐδὲ διὰ τὴν θνη|5τότητα τῆς
ἀφθάρτου | καὶ μακαρίας φύσεως | λειπομένους ἡμᾶς | δείκνουσιν. ὅτε μὲν | γὰρ ζῶμεν, ὅ
ὁμοίως |10 τοῖς θεοῖς χαίρομεν.
25
MARTIN FERGUSON SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription (Napoli:
Bibliopolis, 1992). Si tratta del Fr. 125, coll. 3-4, 1-10; testo citato a pp. 313-314, traduzione a
p. 414. Nella citazione ho aggiunto i numeri di colonne e un riferimento approssimativo alla linea; ho
omesso la lunga integrazione finale exempli causa dello Smith. Sull’autenticità epicurea della lettera
la bibliografia è massiccia: oltre a ibid., pp. 555-557, cf. la messa a punto di MARTIN FERGUSON SMITH,
Supplement to Diogenes of Oinoanda The Epicurean Inscription (Napoli: Bibliopolis, 2003), pp. 126-
127, ove si discute delle ipotesi di PAMELA GORDON, Epicurus in Lycia. The Second-Century World of
Diogenes of Oenoanda (Ann Arbor: University of Michigan Press, 1996), pp. 66-93 (il testo sarebbe
un prodotto di scuola). CLAY, Paradosis and Survival (cit. n. 4), p. 211, in una nota di aggiornamento
ad un articolo di parecchi anni prima (“An Epicurean Interpretation of Dreams”, American Journal
of Philology, 1980, 101: 342-365), apprezza ma non condivide le proposte della Gordon, mentre
ALBERTO GRILLI, “Il nuovo Diogene d’Enoanda”, Parola del Passato, 1997, 52: 225-238 ritiene che
il testo sia effettivamente di Epicuro. La questione è destinata a restare aperta fino a quando nuovi
ritrovamenti non la risolveranno.
— 120 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
τῷ σεβομένῳ ἐστί), così come la visione delle statue degli dèi o il pensiero
della loro incorruttibilità.26
c) Qualunque saggio è degno di venerazione,27 ma la venerazione nei con-
fronti di Epicuro ha uno statuto antropologico unico perché solo grazie a
Epicuro è divenuta possibile la saggezza.
26
Nell’amplia bibliografia su questo tema rinvio solo, perché particolarmente efficace nella sua
brevità, al saggio L’aspetto cultuale nel rapporto tra Epicuro e i seguaci, in CAPASSO, Comunità senza
rivolta (cit. n. 4), pp. 25-37.
27
Cf. il noto episodio sulla mutua venerazione di Epicuro e Colote, frr. 141 e 178 Us. = Plut.
adv. Col. 117b; suav. viv. Epic. 1100a (su cui si vedano le osservazioni di ANGELI, Filodemo. Agli amici
di scuola [cit. n. 4], p. 35). Una sorta di ruolo intermediario doveva essere riconosciuto ai primissimi
discepoli, i kathegemones: il caso di Colote venerato in vita mi pare unico, cf. le osservazioni di
CAPASSO, Carneisco. Filista (cit. n. 4), p. 49: la lode epicurea è sempre rivolta ad una «persona non
più in vita»: tuttavia nella letteratura memorialistica anche la vita era descritta, non solo la morte,
e (p. 52) nel caso di Carneisco l’intera vita di Filista, «dall’adolescenza […] alla morte» (16,10-14).
Anche per lo studio di questo problema l’apparato di note e commenti di Anna Angeli all’edizione
del PHerc. 1005 è di grande utilità.
28
WERNER JAEGER, Aristotele: prime linee di una storia della sua evoluzione spirituale, versione
autorizzata di Guido Calogero con aggiunte e appendici dell’autore (Firenze: La Nuova Italia,
1935), p. 140 n. 2. Lo Jaeger discute acutamente le tesi di Wilamowitz che pensava ad una vera
e propria divinizzazione di Platone. Sull’aspetto istituzionale all’interno delle scuole filosofiche in
rapporto al Fondatore cf. DAVID SEDLEY, “Philosophical Allegiance in the Greco-Roman World”,
in Philosophia togata. Essays on Philosophy and Roman Society, edited by Miriam Griffin, Jonathan
Barnes (Oxford: Clarendon Press, 1997; 19891), pp. 97-119, e il saggio di Michael Erler in questo
volume.
29
Il riferimento canonico resta a ERIC R. DODDS, I Greci e l’irrazionale, presentazione di Arnaldo
Momigliano (Firenze: La Nuova Italia, 1959), p. 289, che inclina verso una divinizzazione di Platone
— 121 —
GUIDO MILANESE
I primi due libri del De finibus di Cicerone sono stati anatomizzati da secoli
essenzialmente per il loro grande valore in quanto fonti del pensiero epicureo
(«La bibliographie de cette question est évidemment immense»), ed è inutile
addurre cascate bibliografiche.33 Va notato che esiste, oltre alla questione
delle fonti, anche una questione diversa: come raffigura Cicerone Epicuro e
stesso: per le vicende dell’uso epicureo di questo tema platonico cf. MICHAEL ERLER, “Epicurus as
deus mortalis: Homoiosis theoi and Epicurean self-cultivation”, in Traditions of Theology. Studies in
Hellenistic Theology, its Background and Aftermath, edited by Dorothea Frede, André Laks (Leiden:
Brill, 2002), pp. 159-181; cf. CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit. n. 4), p. 50. In epoca cristiana, è
possibile che questi atteggiamenti siano diventati una sorta di ‘contro-offerta’ pagana nei confronti
del Cristianesimo: cf. ERLER, “Epicureanism in the Roman Empire” (cit. n. 2), p. 53.
30
INGEMAR DÜRING, Aristotele, edizione italiana aggiornata (Milano: Mursia, 1976), p. 532,
che commenta esattamente eth. Nic. 1177b 30 εἰ δὴ θεῖον ὁ νοῦς πρὸς τὸν ἄνθρωπον, καὶ ὁ κατὰ
τοῦτον βίος θεῖος πρὸς τὸν ἀνθρώπινον βίον. οὐ χρὴ δὲ κατὰ τοὺς παραινοῦντας ἀνθρώπινα φρονεῖν
ἄνθρωπον ὄντα οὐδὲ θνητὰ τὸν θνητόν, ἀλλ’ ἐφ’ ὅσον ἐνδέχεται ἀθανατίζειν καὶ πάντα ποιεῖν
πρὸς τὸ ζῆν κατὰ τὸ κράτιστον τῶν ἐν αὑτῷ. Dunque un avvicinamento al livello divino grazie
all’attività intellettuale, secondo le possibilità umane (ἐφ’ ὅσον ἐνδέχεται), in piena continuità con
l’antropologia platonica.
31
Sul rapporto tra saggio e Giove nello Stoicismo cf. CARLOS LÉVY, “Cicéron et l’épicurisme:
la problématique de l’éloge paradoxal”, in Cicéron et Philodème. La polémique en philosophie, par
Clara Auvray-Assayas, Daniel Delattre (Paris: Editions Rue d’Ulm, 2001), pp. 61-76, p. 67.
32
«E al massimo grado imitava la vita degli dèi: Omero, infatti, dice che solo loro ‘vivono
in modo facile’, mentre i mortali passano la vita tra fatiche e difficoltà»: cf. CARLO PASCAL, “La
venerazione degli dèi in Epicuro”, Rivista di Filologia e di Istruzione Classica, 1906, 34: 241-256,
p. 244.
33
LÉVY, “Cicéron et l’épicurisme” (cit. n. 31)
— 122 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
gli Epicurei? Nel già citato studio, il Lévy affronta la questione per esaminare
l’atteggiamento di Cicerone verso la filosofia che egli avversava; qui vorrei pro-
porre una strategia diversa, cioè appunto il rapporto con la dimensione cultuale,
ponendo il testo ciceroniano in confronto con altri testi latini.
L’atteggiamento di Cicerone vuole essere equilibrato, anche se nella dichia-
razione iniziale si può facilmente intuire un’allusione alla pratica epicurea del-
l’attacco diretto agli avversari (fin. 1,27):34
dissentientium inter se reprehensiones non sunt vituperandae, maledicta, contume-
liae, tum iracundiae, contentiones concertationesque in disputando pertinaces indignae
philosophia mihi videri solent.
le critiche tra coloro che sostengono un dibattito non sono una pratica condannabile:
gli insulti, la tendenza all’ira, i litigi capziosi e ostinati quando si discute mi sembrano
un atteggiamento indegno della filosofia.
34
Sulla raffigurazione di Epicuro in Cicerone da ultimo, molto ricco di spunti, STEFANO
MASO, Capire e dissentire: Cicerone e la filosofia di Epicuro (Napoli: Bibliopolis, 2008), pp. 307-
314; sul rapporto con gli avversari la bibliografia è molto ricca: dopo DAVID SEDLEY, “Epicurus
and His Professional Rivals”, in Études sur l’épicurisme antique, par Jean Bollacks, André Laks
(Lille: Publications de l’Université de Lille, 1976), pp. 119-159 vorrei solo indicare, come ottimi
riferimenti complessivi le equilibrate pagine di GIULIANA LEONE, “Questioni di terminologia filo-
sofica: una chiave di lettura delle polemiche di Epicuro”, in Epicureismo greco e romano. Atti del
Congresso Internazionale, Napoli 19-26 maggio 1993, a cura di Gabriele Giannantoni, Marcello
Gigante (Napoli: Bibliopolis, 1996), pp. 239-259 e più recentemente “Epicuro fondatore del
Giardino e l’opera sua conservata nei papiri”, Cronache Ercolanesi, 2000, 30: 21-33, pp. 29-33. È
interessante osservare come anche in un testo estremamente frammentario compaiano tracce di
insulti: ENZO PUGLIA, “PHerc. 1039”, Cronache Ercolanesi, 1988, 18: 19-26, p. 25; ma Filodemo
loda Epicuro per la sua misura ed equilibrio nella discussione filosofica (TEPEDINO GUERRA, “L’o-
pera filodemea Su Epicuro” [cit. n. 4]), pp. 11-12, sul PHerc. 1289 β). Cf. GIGANTE, Filodemo
in Italia (cit. n. 1), p. 31 e l’edizione del PHerc. 1005 di ANGELI, Filodemo. Agli amici di scuola
(cit. n. 4). Un’attenta revisione delle testimonianze in merito a questi aspetti contraddittori della
tradizione su Epicuro è offerta da Giovanni Indelli nel suo saggio in questo stesso volume. Come
si sa, all’immagine di un Epicuro ingrato verso i debiti intellettuali nei confronti dei maestri e
facile all’insulto si accompagna il mito storiografico della presunta Lettera ai filosofi di Mitilene;
molto persuasivo il quadro della vicenda in SEDLEY, “Epicurus and his professional rivals” (cit. n.
34): anche Vittorio Enzo Alfieri, nella presentazione della riedizione dell’Aristotele perduto, rico-
nosceva che il Bignone aveva esagerato sulla questione (ETTORE BIGNONE, L’Aristotele perduto e
la formazione filosofica di Epicuro [Firenze: La Nuova Italia, 19732], p. XV). Giustamente GRILLI,
“Διάθεσις” (cit. n. 20), p. 57 n. 32 ritiene che la questione della famosa Lettera debba essere ristu-
diata a fondo.
35
«In una comune ricerca tra chi ama ragionare ha maggior vantaggio chi viene sconfitto, per il
fatto che impara cose nuove», ᾿Εν φιλολόγῳ συζητήσει πλεῖον ἤνυσεν ὁ ἡττηθεὶς καθ΄ ὃ προσέμαθεν.
— 123 —
GUIDO MILANESE
interlocutori, di non risultare convinti dalla verità del suo dire, se non per
ragioni legate al registro espressivo scelto da Epicuro (fin. 1,14):36
audiam, quid sit, quod Epicurum nostrum non tu quidem oderis, ut fere faciunt,
qui ab eo dissentiunt, sed certe non probes, eum quem ego arbitror unum vidisse verum,
maximisque erroribus animos hominum liberavisse et omnia tradidisse, quae pertinerent
ad bene beateque vivendum. Sed existimo te, sicut nostrum Triarium, minus ab eo de-
lectari, quod ista Platonis, Aristoteli, Theophrasti orationis ornamenta neglexerit: nam
illud quidem adduci vix possum, ut ea, quae senserit ille, tibi non vera videantur.
Vorrei sentire quale sia la ragione per cui non voglio dire che tu abbia in odio il
nostro Epicuro, come più o meno tutti quelli che non sono d’accordo con lui fanno,
ma, certo, la ragione per cui tu lo critichi: lui, che secondo me è l’unico ad avere visto
la verità, ad aver liberato la mente umana dai più gravi errori e ad aver trasmesso agli
altri tutto ciò che è importante se si vuole vivere in un modo felice e ben condotto. Il
mio parere è che tu, come il nostro amico Triario, abbia un basso piacere nella lettura
di Epicuro perché egli ha omesso le raffinatezze stilistiche di Platone, o di Aristotele o
di Teofrasto – perché altrimenti non riesco proprio a convincermi che non ti possano
sembrare vere le sue convinzioni.
36
Sulla questione del modello di comunicazione di Epicuro mi permetto di rimandare al mio
studio Lucida carmina: comunicazione e scrittura da Epicuro a Lucrezio (Milano: Vita e Pensiero,
1989), con bibliografia fino agli anni ’80, e molto più recentemente a GUALTIERO CALBOLI, “Lucrezio
e la retorica”, Paideia, 2003, 58: 187-206 e DANIEL MARKOVIć, The Rhetoric of Explanation in
Lucretius’ De rerum natura (Leiden-Boston: Brill, 2008).
37
Lucr. 1,53-56; 80-82; 3,1053-1059.
— 124 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
Sembra, dalle nostre fonti, che il problema sia emerso nelle generazioni
meno vicine alla predicazione diretta del Maestro, quando il problema del
fallimento – nonostante il successo della conversione epicurea tante volte ri-
chiamato da Cicerone. Anche il fr. 127 (NF 24) di Diogene di Enoanda affron-
ta il problema della conversione. Mentre in Lucrezio il nemico da vincere è
l’impegno pubblico (1,51, citato qui sopra), in Diogene viene evocato l’effetto
negativo della retorica, vinto il quale sarà possibile dare ascolto al verbo
epicureo (ὅπως ἀκούσῃς τι τῶν ἡμεῖν ἀρεσκόντων): vacuas auris […] adhibe
veram ad rationem.38
38
Il testo di Diogene di Enoanda venne interpretato in un primo tempo dallo Smith come
parte della Lettera alla madre (cf. ALBERTO GRILLI, “Sul nuovo Diogene di Enoanda”, Cronache
Ercolanesi, 2005, 35: 195-200, p. 196), ma in séguito a diverse obiezioni lo Smith accettò come
possibile l’ipotesi di una lettera a Ermarco, ipotesi accolta anche dalla Longo Auricchio nella sua
— 125 —
GUIDO MILANESE
edizione di Ermarco (SMITH, Diogenes of Oinoanda [cit. n. 25]), pp. 559-560; SMITH, Supplement
to Diogenes of Oinoanda (cit. n. 25), p. 128; FRANCESCA LONGO AURICCHIO, Ermarco. Frammenti
(Napoli: Bibliopolis, 1988)), con stato della questione alle pp. 176-177. Tuttavia, se (come sembra
altamente probabile) il fr. 127 va unito con NF 174 l’ipotesi che si tratti di una lettera di Epicuro va
scartata e si deve trattare di una lettera di Diogene stesso; cf. HAMMERSTAEDT – SMITH, “Diogenes of
Oinoanda: the Discoveries of 2009 (NF 167-181)” (cit. n. 18), pp. 25-29.
39
VOULA TSOUNA, The Ethics of Philodemus (Oxford-New York: Oxford UP, 2007), pp. 17-19.
40
Mc. 16,13-14 κἀκεῖνοι ἀπελθόντες ἀπήγγειλαν τοῖς λοιποῖς· οὐδὲ ἐκείνοις ἐπίστευσαν.
῞ϒστερον [δὲ] ἀνακειμένοις αὐτοῖς τοῖς ἕνδεκα ἐφανερώθη, καὶ ὠνείδισεν τὴν ἀπιστίαν αὐτῶν καὶ
σκληροκαρδίαν ὅτι τοῖς θεασαμένοις αὐτὸν ἐγηγερμένον οὐκ ἐπίστευσαν, et illi euntes nuntiave-
runt ceteris nec illis crediderunt; novissime recumbentibus illis undecim apparuit et exprobravit
incredulitatem illorum et duritiam cordis, quia his qui viderant eum resurrexisse non crediderant.
41
Cic. fin. 1,71. Cf. TSOUNA, The Ethics of Philodemus (cit. n. 40), p. 23, con riferimento a de
elect. 17,9-16; INDELLI – TSOUNA – MCKIRAHAN, [Philodemus. On Choices and Avoidances] (cit. n.
12), pp. 96-97.
42
CARLOS LÉVY, Le filosofie ellenistiche (Torino: Einaudi, 2002), p. 85.
— 126 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
43
Sulla possibile paternità filodemea cf. le osservazioni del CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit.
n. 4), p. 39.
44
Cf. ibid.: il testo è a p. 72, la traduzione, che ho riprodotto, a p. 84.
45
PHerc. 1424, col. 23,23-32, nella traduzione di RENATO LAURENTI, Filodemo e il pensiero
economico degli Epicurei (Milano: Istituto editoriale Cisalpino-La Goliardica, 1973).
46
Cf. SMITH, Diogenes of Oinoanda (cit. n. 25), pp. 504-505 e pp. 140-141; SMITH, Supplement
to Diogenes of Oinoanda (cit. n. 25), pp. 107-108. Dopo molti anni, è ancora ricco di spunti lo studio
di ADELMO BARIGAZZI, “Un pensiero avveniristico nel Giardino di Epicuro”, Prometheus, 1978, 4:
1-17.
— 127 —
GUIDO MILANESE
lo Smith che anche Epicuro non credeva alla saggezza universale come
raggiungibile de facto, e rinvia giustamente a 226 Us. = 143 Arr. (Clem.
Alex. strom. 1,15,67 p. 42 Stählin), che cita a confronto anche Diogene
Laerzio 10,117. Ambedue i passi sono relativi al problema etnico: solo i
Greci possono essere filosofi, secondo la testimonianza di Clemente, e
οὐδὲ μὴν ἐκ πάσης σώματος ἕξεως σοφὸν γενέσθαι ἂν οὐδ᾿ ἐν παντὶ ἔθνει
secondo Diogene, che utilizza varie volte συνκρίτος per indicare quelli che
sono capaci di filosofia.47 Inevitabile pensare ai bene sani di Torquato in
Cicerone quando si legge che il missionario epicureo è pronto a βοηθεῖν
ἤδη τοῖς εὐσυνκρίτοις (fr. 3,3,4). Recentemente è stato molto bene sotto-
lineato l’aspetto generalistico della predicazione di Epicuro: scritti come
le Epistole debbono «garantire a tutti» l’accesso alla filosofia epicurea:48
e questo, da parte dell’ ‘emittente’ del messaggio filosofico, è certamente
vero, ma occorre fare i conti con la capacità di accogliere il messaggio;
esiste questa sorta di imprevedibile reazione del singolo, cui Epicuro e i
suoi fanno riferimento ma senza darne in realtà una vera spiegazione. Il
filodemeo Περὶ παρρησίας è molto interessante su questo punto perché è
stato oggetto di un’analisi profonda da parte di Gigante. Il fr. 84 Olivieri49 si
riferisce a persone che risultano ἀθεράπευτοι, «non trattabili» dalla medicina
dell’animo, e perciò sono «lasciati andare».50 L’aggettivo è raro nel lessico
filosofico,51 frequentissimo in quello medico; la metafora continuata di
Filodemo, la cura dell’anima, è la medesima che usano i Padri della Chiesa,
nei quali l’aggettivo diventa quasi una vox technica. Come ricorda Gigante,
esiste ἀπρόβατος nel De ira, una vox Philodemi: gli adirati «non riescono a
47
Cf. soprattutto il commento di Smith a SMITH, Diogenes of Oinoanda (cit. n. 25), p. 436 al fr.
2, 6 con rinvio a fr. 30,1,.8-12.
48
EMIDIO SPINELLI, “Breviari di salvezza: comunicazione e scienza in Epicuro”, in SPINELLI –
VERDE, Epicuro. Epistola a Erodoto (cit. n. 20), pp. 9-24, p. 11; cf. i recenti contributi in questo senso
di DINO DE SANCTIS, “Utile al singolo, utile a molti: il proemio dell’Epistola a Pitocle”, Cronache
Ercolanesi, 2012,42: 95-109; “῏Ω φίλτατε: il destinatario nelle opere del Giardino”, Cronache
Ercolanesi, 2011, 41: 217-230; “La salvezza nelle parole: l’immagine del σωτήρ nel Περὶ παρρηϲίας di
Filodemo”, Cronache Ercolanesi, 2013, 43: 63-71. Sono particolarmente d’accordo con il De Sanctis
nell’attribuire importanza alla parola scritta, come già efficacemente rilevato da CAPASSO, Comunità
senza rivolta (cit. n. 4), p. 37.
49
Cf. DAVID KONSTAN – DISKIN CLAY – CLARENCE E. GLAD – JOHAN CARL THOM – JAMES WARE,
Philodemus. On Frank Criticism (Atlanta: Scholars Press, 1998), p. 88, con traduzione inglese a p.
89. Su questo passo cf. GIGANTE, Ricerche filodemee (cit. n. 10), p. 72.
50
Cf. KONSTAN et al., Philodemus. On frank criticism (cit. n. 49), p. 89: «disregarded as
untreatable», oppure «discharged».
51
Plut. lat. viv. 1128c-d ἐγὼ δ’ ἂν εἴποιμι· ‘μηδὲ κακῶς βιώσας λάθε, ἀλλὰ γνώσθητι σωφρονίσθητι
μετανόησον· εἴτ’ ἀρετὴν ἔχεις, μὴ γένῃ (D.) ἄχρηστος, εἴτε κακίαν, μὴ μείνῃς ἀθεράπευτος.’; Epict. 15,
20; 22,33.
— 128 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
progredire».52 Tuttavia si tratta di cose diverse, a mio avviso. Nel caso del De
ira, e forse anche in questo dell’opera sulla franchezza, si parla di un difetto
durante il processo di educazione, di progresso filosofico. Ma se si parla di
non δεκτικοί si tratta di persone che non ricevono il messaggio di salvezza. Il
timore di Lucrezio, non a caso, è che il suo ascoltatore metta da parte i suoi
tentativi di conversione intellecta prius quam sint (1,53).
Il concetto espresso da Diogene è evidentemente parallelo a quello
filodemeo: solo alcuni tra i possibili discepoli sono δεκτικοί. L’aggettivo δεκτικός
fa parte del lessico filosofico greco, ed è presente, come vedremo subito, in
diversi passi di Filodemo: sembra uso di origine academica, visto che si trova
nelle Definizioni pseudoplatoniche, 415a, nella definizione di ‘uomo’:53
῎Ανθρωπος ζῷον ἄπτερον, δίπουν, πλατυώνυχον· ὃ μόνον τῶν ὄντων ἐπιστήμης τῆς
κατὰ λόγους δεκτικόν ἐστιν.
Uomo: essere vivente privo di ali; bipede, dalle unghie piatte; il solo tra gli esseri
viventi capace di acquistare una scienza basata sul ragionamento.
52
Philod. 19,12 p. 77 Indelli ἀπροβάτους δ᾿ αὐτοὺς ἀνάγκη γίνεσθαι (= gli adirati). Traduzione
GIOVANNI INDELLI, Filodemo. L’ira (Napoli: Bibliopolis, 1988), p. 117. Due istanze nel de signis
hanno valore puramente logico-procedurale.
53
Traduzione di GIOVANNA SILLITTI, Platone. Opere complete, vol. 8, Lettere, Definizioni,
Dialoghi spuri, (Bari: Laterza, 1971), p. 83. Sulle Definizioni come certamente non platoniche,
cf. RICHARD KRAUT, “Introduction to the study of Plato”, in The Cambridge Companion to Plato,
edited by Richard Kraut (Cambridge: Cambridge UP, 1992), pp. 1-50, p. 35. L’attribuzione a
Speusippo è negata da LEONARDO TARÁN, Speusippus of Athens: A Critical Study with a Collection
of the Related Texts and Commentary (Leiden: Brill, 1981), p. 197, con bibliografia precedente. In
particolare, la definizione di ‘uomo’ come ζῷον ἄπτερον, δίπουν è alla base di un aneddoto riferito
da D. L. 6,40, sui cui cf. n. 104 in ALICE SWIFT RIGINOS, Platonica: the Anecdotes Concerning the Life
and Writings of Plato (Leiden: Brill, 1976), p. 149.
54
«Essi ci introducono con chiarezza nel cuore delle dispute dell’Accademia intorno alla
questione del concetto della dialettica […] noi vediamo così dispiegarsi davanti ai nostri occhi la
tecnica della discussione filosofica del tempo»: DÜRING, Aristotele (cit. n. 30), p. 85.
— 129 —
GUIDO MILANESE
Anche i numerosi passi del de signis dove si usa questo aggettivo sono tutti
riferibili all’area della trasformazione e precisamente della corruzione, a parte
l’esempio visto prima che è un esempio di scuola. Anche in questi casi si tratta
55
PHILLIP HOWARD DE LACY – ESTELLE ALLEN DE LACY, Philodemus. On methods of Inference,
Revised Edition with the Collaboration of Marcello Gigante, Francesca Longo Auricchio, Adele
Tepedino Guerra (Napoli: Bibliopolis, 1978). Il testo è a col. 22, 22-24, p. 59, e il commento a p. 114.
56
Philod. de ira col. 44,1 INDELLI, Filodemo. L’ira (cit. n. 52), p. 99, commento pp. 235-236,
cf. TSOUNA, The Ethics of Philodemus (cit. n. 40), p. 211.
57
Philod. de dis 3, fr. 8, 7 Diels = 31 Us. = 17,1 Arr.
58
Analisi del passo in SARAH BROADIE, “GC I.4: Distinguishing Alteration”, in Aristotle: On
Generation and Corruption, Book 1, edited by Frans A.J. de Haas, Jaap Mansfeld (Oxford-New
York: Clarendon, 2004), pp. 123-150, p. 136.
— 130 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
59
La numerazione e paginazione si riferisce sempre a DE LACY – DE LACY, Philodemus. On
Methods of Inference (cit. n. 55).
60
Cf. GIGANTE, Kepos e Peripatos (cit. n. 22); GIGANTE, Atakta (cit. n. 1), pp. 132-134. Non
condivido i toni spesso sprezzanti del Gigante nei confronti di Bignone e di suoi onesti continuatori
come Domenico Pesce, ma la conoscenza di Aristotele da parte di Epicuro è innegabile, e ancor
più da parte della Scuola di due secoli dopo. Nel caso di Filodemo risponderei positivamente alla
domanda che il Sedley poneva recensendo MARTIN FERGUSON SMITH, Thirteen New Fragments of
Diogenes of Oenoanda (Wien: Österreichische Akademie der Wissenschaften, 1974): «Isn’t Diogenes
simply adapting traditional Epicureanism to the language and spirit of his times?» Il linguaggio che
Filodemo adopera, se non altro, risente del lessico comune dell’insegnamento filosofico (cf. DAVID
N. SEDLEY, “New Fragments of Diogenes of Oenoanda”, Classical Review, 1976, 26: 217-219, p.
218). Su bene sanus, comunque, converrà tornare altra volta in modo analitico.
— 131 —
GUIDO MILANESE
61
Sen. ep. 52,3 = Ermarco, fr. 118 Longo Auricchio. Cf. l’eccellente commento nella medesima
edizione: LONGO AURICCHIO, Ermarco. Frammenti (cit. n. 39), 117-119.
62
Epic. ep. Hdt. 35 (καὶ τοὺς προβεβηκότας […] τὸν τύπον τῆς ὅλης πραγματείας τὸν κατεστοι
χειωμένον δεῖ μνημονεύειν); nella Lettera alla madre (cf. n. 21) Epicuro, riferendosi a se sesso, usa
lo stesso verbo (προβαίνειν: fr 125, col. 3,9 pp. 313-314 Smith). Il titolo dell’opera di Metrodoro
era Περὶ τῆς ἐπὶ σοφίαν πορείας: l’unica testimonianza è quella di D. L. 10,24, cf. Metrodori Epicurei
fragmenta collegit, Scriptoris incerti Epicurei Commentarium moralem subiecit Alfredus Koerte
(Leipzig: B.G. Teubner, 1890), pp. 537 e 551. Il problema, che qui non può essere affrontato, era
avvertito sia in ambito stoico sia epicureo. Cf. ALBERTO GRILLI, Politica, cultura e filosofia in Roma
antica (Napoli: M. D’Auria, 2000), pp. 182-183, p. 271, dove si mette in luce il ruolo essenziale di
Panezio per il pensiero stoico sulla questione del progresso in filosofia; per l’aspetto dossografico cf.
GIUSTA, I dossografi di etica (cit. n. 11), p. 767 e 808.
63
D. L. 10,117; traduzione in GRAZIANO ARRIGHETTI, Epicuro. Opere (Torino: Einaudi, 19732),
p. 26; diversamente Gigante: «Avvertirà maggiormente le emozioni (i sentimenti), ché non potreb-
bero costituire un impedimento alla sua saggezza»: GIGANTE, Diogene Laerzio. Vite dei filosofi (cit.
n. 24), p. 438. Il testo è discusso: cf. MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Epicuro. Opere (Torino: UTET,
19832), p. 491, ad loc.
64
GIGANTE, Ricerche filodemee (cit. n. 10), p. 76.
65
ISNARDI PARENTE, Epicuro. Opere (cit. n. 63), p. 491, cf. pp. 62-63.
— 132 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
66
ERLER, “Epicureanism in the Roman Empire” (cit. n. 2), p. 48, con bibliografia di riferi-
mento.
67
Ibid., 55-56. Le influenze tra scuole sono un fatto essenziale in epoca romana,
diversamente valutato: per quanto riguarda Filodemo cf. le esatte osservazioni di SEDLEY,
“Epicureanism in the Roman Republic” (cit. n. 1), pp. 38-39; un quadro storico molto efficace,
che mette a fuoco il problema delle istituzioni filosofiche, non solo delle dottrine, è quello di
PIERLUIGI DONINI, Le scuole, l’anima, l’impero. La filosofia antica da Antioco a Plotino (Torino:
Rosenberg & Sellier, 1982), cap. II, oltre a SEDLEY, “Philosophical Allegiance” (cit. n. 28). Esempi
interes-santi in Filodemo sono offerti da TSOUNA, “Epicurean Therapeutic Strategies” (cit. n.
11), p. 250. Lo stesso PIERLUIGI DONINI, Commentary and Tradition: Aristotelianism, Platonism,
and post-Hellenistic Philosophy, edited by Mauro Bonazzi (Berlin: De Gruyter, 2011), pp. 198-
199 osserva come già in Epicuro appaia la disponibilità ad utilizzare in modo costruttivo il
pensiero di altri filosofi, senza cadere in confusioni. Non dimenticherei il ruolo della tradizione
dossografica: forse il Runia va troppo oltre nel riconoscere elementi dossografici in Lucrezio,
ma alcuni dati di fatto che egli apporta mi paiono molto solidi: DAVID T. RUNIA, “Lucretius and
Doxography”, in Aëtiana: the Method and Intellectual Context of A Doxographer, vol. 3, Studies
in the Doxographical Traditions of Ancient Philosophy, edited by Jaap Mansfeld, David T. Runia
(Leiden-New York: Brill, 19971 , 2010), pp. 255-270. Cf. la discussione, per il libro VI, di DAVID
N. SEDLEY, Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom (Cambridge: Cambridge UP,
1998), pp. 157-159; sulla persuasione verso il lettore in Diogene di Enoanda cf. il contributo di
Jürgen Hammerstaedt in questo stesso volume.
68
Efficaci osservazioni in CAPASSO, Trattato etico epicureo (cit. n. 4), p. 46. Spunti importanti
anche nel saggio di CLAY, “Individual and Community” (cit. n. 11) = Paradosis and Survival (cit. n.
4), pp. 55 ss.
— 133 —
GUIDO MILANESE
4. NARRAZIONI DIVERSE
69
Sen. ep. 25,5 Sic fac omnia tamquam spectet Epicurus. E cf. anche 7,11 haec, inquit, ego non
multis, sed tibi; satis enim magnum alter alteri theatrum sumus.
70
Cic. fin. 2,67 ut enim nos ex annalium monimentis testes excitamus eos, quorum omnis
vita consumpta est in laboribus gloriosis, qui voluptatis nomen audire non possent, sic in vestris
disputationibus historia muta est, «noi, dalle testimonianze storiche evochiamo a testimonianza
persone che hanno speso la loro vita in impegni pieni di gloria, gente che non stava neanche a sentire
la parola ‘piacere’: ma nei vostri trattati, la storia non ha voce».
71
Ha certo ragione il GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 1), pp. 42 ss. nel criticare Cicerone
per le sue affermazioni propagandistiche, e avevo esagerato io (“Romani antichi e antichi filosofi.
Note sul valore filosofico della tradizione romana in Cicerone”, Aevum Antiquum, 1989, 2: 129-
144) attribuendo eccessiva originalità a Cicerone. Comunque la questione andrebbe rivista sul
fondamento del valore conoscitivo della storia nel pensiero antico: cf. il breve e forte esame del
problema di GRAZIANO ARRIGHETTI, Poesia, poetiche e storia nella riflessione dei Greci: studi (Pisa:
Giardini, 2006), pp. 372-380.
72
GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 1), p. 42. Anche l’esempio storico di Ciro e Creso
in Diogene di Enoanda (NF 143) non ha valore modellizzante ma è utilizzato nella polemica
antireligiosa: cf. HAMMERSTAEDT – SMITH, “Diogenes of Oinoanda. The Discoveries of 2008 (NF
142-167)” (cit. n. 20), pp. 6-10. Ugualmente nel de signis di Filodemo ci sono riferimenti alla cronaca
contemporanea (Antonio), ma nessun esempio storico.
73
La prospettiva è, in questo, certamente ancorata alla dimensione della ‘vita mista’ di Antioco:
mi riferisco alla prospettiva che, dopo HANS STRACHE, Der Eklektizismus des Antiochus von Askalon
(Berlin: Weidmann, 1921), GEORG LUCK, Der Akademiker Antiochos (Stuttgart: Haupt, 1953) e
WILLY THEILER, Die Vorbereitung des Neuplatonismus (Berlin-Zürich: Weidmann, 1964; 19361),
trova la sua formulazione più matura nelle opere del Grilli, in particolare I proemi del De re publica
di Cicerone (Brescia: Paideia, 1971) e la sintesi finale del suo pensiero in GRILLI, Politica, cultura e
filosofia in Roma antica (cit. n. 63) (i capitoli VIII e IX costituiscono un’autentica monografia su
— 134 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
Cicerone, la politica e la filosofia). Continuo a pensare che il mio “Romani antichi e antichi filosofi”
(cit. n. 71) sotto questo aspetto sia ancora difendibile.
74
Mi riferisco qui ancora all’interpretazione ciceroniana del Grilli, cf. n. 74. Che in tutta la
questione ci sia aria academica è confermato dalla ripresa del problema in Plutarco (suav. viv. Epic.
1097c, con il commento di BARIGAZZI, Plutarco. Contro Epicuro [cit. n. 21], p. 31), e adv. Col. 1127ab.
Su Temista, esempio ciceroniano nel de finibus e nel discorso contro Pisone, LXIII 6, cf. l’informata
nota di ANGELI – COLAIZZO, “La scuola epicurea di Lampsaco nel PHerc. 176 (fr. 5 coll. I, IV, VIII-
XXII)” (cit. n. 15), p. 34 n. 54; GIANLUCA DEL MASTRO, “Il PHerc. 1589 e una nuova testimonianza
su Temista e Leonteo”, Cronache Ercolanesi, 2008, 38: 221-228, p. 225.
75
Deferenza umana ma non sempre scientifica, come bene mette in luce MASO, Capire
e dissentire (cit. n. 34), pp. 55-62. Il GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 1), pp. 41-43 discute in
modo molto proficuo l’interpretazione di TADEUSZ MASLOWSKI, “The Chronology of Cicero’s Anti-
Epicureanism”, Eos, 1974, 62: 55-78.
— 135 —
GUIDO MILANESE
76
Cf. FRANÇOIS PROST, “Aspects de la critique cicéronienne de l’épicurisme en De finibus 2”,
Quaderni del dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica “Augusto Rostagni”, 2003, 2:
87-111, pp. 89-91.
77
Cic. fin. 2,99-100. La stessa tecnica argomentativa (ma non fondata sul rispetto verso
Epicuro) è in Plutarco, ad esempio all’inizio del de latenter vivendo, 1128a ss.: cf. GEERT ROSKAM,
A commentary on Plutarch’s De latenter vivendo (Leuven: Leuven UP, 2007), pp. 95-96, con i rinvii
alle altre opere plutarchee dove si adopera la stessa tecnica, che tenderei, secondo la tradizione
interpretativa che risale a Hirzel, a ricondurre alla polemica di Antioco di Ascalona. Sull’incoerenza
come esito inevitabile della visione epicurea secondo Cicerone cf. di recente MASO, Capire e dissentire
(cit. n. 34), pp. 310-311.
— 136 —
L’ IMMAGINE DI EPICURO, LA TOTALITÀ DELLA VITA, LA CULTURA ROMANA
— 137 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
Bisogna invece fare statue degli dei allegre e sorridenti, perché noi corrispondiamo
al loro sorriso piuttosto che esserne spaventati. Che c’è dunque, o uomini? Veneriamo
gli dei, sia in feste che in […].1
L’ISCRIZIONE DI DIOGENE
1
Diog. fr. 19 col. 2,6-11 δεῖ δ’ ἱλα|ρὰ τῶν θεῶν ποιεῖν | ξόανα καὶ μειδιῶντα, | ἵν’ ἀντιμειδιάϲωμεν
|10 μᾶλλον αὐτοῖϲ ἢ φο|βηθῶμεν; traduzione di ANGELO CASANOVA, I frammenti di Diogene d’Enoanda
(Firenze: Dipartimento di Scienze dell’Antichità, 1984), p. 142.
2
Diog. fr. 2 col. 2,4-3,2 τούτουϲ |5 οὖν ὁρῶν […] διακει|μένουϲ οὕτωϲ, κατω|λοφυράμην μὲν
αὐτῶν | τὸν βίον καὶ ἐπεδάκρυ|ϲα τῇ τῶν χρόνων ἀ|πωλείᾳ, χρηϲτοῦ δέ | τινοϲ ἡγηϲάμην ἀν|δρόϲ, ὅϲον
— 139 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
ἔϲτ’ ἐφ’ ἡμεῖν, | τοῖϲ εὐϲυνκρίτοιϲ αὐ||τ[ῶν – – – βοη]|θε̣ῖν̣; traduzione di CASANOVA, I frammenti di
Diogene d’Enoanda (cit. n. 1), pp. 82-84.
3
Cf. Diog. fr. 2 col. 1,1-2,4.
4
La trasposizione del fr. 2 dopo il fr. 3 da parte di MARTIN FERGUSON SMITH, “The Introduction
to Diogenes of Oenoanda’s Physics”, Classical Quarterly, 2000, 50: 238-246, pp. 238-241; ID.,
Supplement to Diogenes of Oinoanda, The Epicurean Inscription (Napoli: Bibliopolis, 2003), p. 64 e
ID., “Diogenes of Oinoanda. News and notes”, Cronache Ercolanesi, 2006, 36: 233-245, pp. 243-244
è stata respinta da ALBERTO GRILLI, “Sul nuovo Diogene di Enoanda”, Cronache Ercolanesi, 2005, 35:
195-200, p. 198 e JÜRGEN HAMMERSTAEDT, “Zum Text der epikureischen Inschrift des Diogenes von
Oinoanda”, Epigraphica Anatolica, 2006, 39: 1-48, pp. 7-10.
5
Diog. fr. 3 col. 2,7-6,4 [ἐν δυ]ϲμαῖϲ γὰρ ἤδη | [τοῦ β]ίου καθεϲτη|[κότ]ε̣ϲ διὰ τὸ γῆραϲ | [καὶ ὅ]
ϲον οὔπω μέλ|[λοντ]εϲ ἀναλύειν | [ἀπὸ τ]οῦ ζῆν μ̣ετὰ | [καλο]ῦ παιᾶν̣[οϲ ὑ|πὲρ το]ῦ̣ τ̣ῶ̣[ν ἐπιθυμι]||ῶν
πληρώματοϲ, ἠ|θελήϲαμεν, ἵνα μὴ | προλημφθῶμεν, βο|ηθεῖν ἤδη τοῖϲ εὐ|ϲυνκρίτοιϲ. εἰ μὲν | οὖν
εἷϲ μόνον ἢ δύ ἢ | τρεῖϲ ἢ τέτταρεϲ ἢ | πέντε ἢ ἓξ ἢ ὅϲουϲ, | ἄνθρωπε, βούλει τῶν | τοϲούτων εἶναι
πλείο|ναϲ, μὴ πάνυ δὲ πολ|λούϲ, διέκειντο κα|κῶϲ, κἂν καθ’ ἕ[να ]|καλούμενοϲ̣ [πάν]||τα <τὰ> παρ’
ἐμαυτὸν ἔπρατ|τον ε̣ἰ̣ϲ̣ ϲυμβουλίαν | τὴν ἀ̣ρ̣ίϲτην. ἐπεὶ δέ, | ὡϲ προεῖπα, οἱ πλεῖϲτο̣ι | καθάπερ ἐν λοιμῷ
| τῇ περὶ τῶν πραγμάτων | ψευδοδοξίᾳ νοϲοῦϲι | κοινῶϲ, γείνονται δὲ | καὶ πλείονεϲ (διὰ γὰρ | τὸν
ἀλλήλων ζῆλον | ἄλλοϲ ἐξ ἄλλου λαμ|βάνει τὴν νόϲον ὡϲ | [τ]ὰ̣ πρόβατα), δίκαι̣ο̣ν̣ | [δ’ ἐϲτὶ καὶ] τοῖϲ
μ̣[εθ’ ἡ]||μᾶϲ ἐϲομένοιϲ βοη|θῆϲαι (κἀκεῖνοι γάρ | εἰϲιν ἡμέτεροι καὶ εἰ | μὴ̣ γεγόναϲί πω), πρὸϲ | δὲ δὴ
φιλάνθ̣ρωπον | καὶ τοῖϲ μαραγεινομέ|νοιϲ ἐπικουρεῖν ξέ|νοιϲ – ἐπειδὴ οὖν εἰϲ | πλείοναϲ διαβέβη|κε
τὰ βοηθήματα | τοῦ ϲυνγράμματοϲ, | ἠθέληϲα τῇ ϲτοᾷ ταύ|τῃ καταχρηϲάμενοϲ | ἐ̣ν κοινῷ τὰ τῆϲ
ϲωτη||ρίαϲ προθεῖ̣ν̣[αι φάρμα]|κα, ὧν δὴ φαρ̣μ[άκων] | πεῖραν ἡμε[ῖ]ϲ̣ π̣[ ] | εἰλήφαμεν; traduzione
di CASANOVA, I frammenti di Diogene d’Enoanda (cit. n. 1), pp. 90-94, adattata al testo dell’edizione
di Smith (1993) con modifiche proposte da HAMMERSTAEDT, “Zum Text der epikureischen Inschrift
des Diogenes von Oinoanda” (cit. n. 4).
6
La traduzione si orienta all’interpunzione proposta da HAMMERSTAEDT, “Zum Text der
epikureischen Inschrift des Diogenes von Oinoanda” (cit. n. 4).
— 140 —
STRATEGIE DI PERSUASIONE ALL’EPICUREISMO NELL’ISCRIZIONE DI DIOGENE DI ENOANDA
(anche quelli infatti sono nostri, anche se non sono ancor nati) ed inoltre è filantropico
soccorrere anche gli stranieri che capitano qui – poiché dunque i benefici dello scritto
si estendono a parecchie persone, ho voluto, impiegando questo portico, porre in
pubblico i farmaci della salvezza, gli stessi farmaci che abbiamo provato noi.
7
Mentre i testi contenuti nel decimo libro delle Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio risal-
gono in parte ad Epicuro stesso, e comunque furono tutti scritti nel periodo ellenistico, gli ex-
cerpta dell’epicureo Diogeniano nella Praeparatio Evangelica di Eusebio di Cesarea si possono
probabilmente attribuire ai primi secoli della nostra era.
8
Numero raggiunto durante il survey del 2012. Cf. JÜRGEN HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON
SMITH, “Diogenes of Oinoanda. New Discoveries of 2012 (NF 206-212) and New Light of «Old»
Fragments”, Epigraphica Anatolica, 2012, 45: 1-38.
9
Diog. fr. 2 e 3 (vd. supra).
— 141 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
Fig. 1. Ricostruzione tratta da Smith 1993. Fig. 2. Diog. NF 207 (colonne con il testo
del trattato di contenuto etico e, in basso, parti di Epic. SV 1).
— 142 —
STRATEGIE DI PERSUASIONE ALL’EPICUREISMO NELL’ISCRIZIONE DI DIOGENE DI ENOANDA
Il terzo strato dal basso conteneva lettere scritte da Diogene ai suoi com-
pagni della scuola epicurea. I testi offrono preziose allusioni sulla vita dell’au-
tore. L’identica altezza dei blocchi induce a supporre che nello stesso settore
fossero iscritte anche delle massime piuttosto concise. A quanto sappiamo,
queste sentenze erano monolitiche: nessuna di queste sentenze infatti si esten-
deva oltre la singola pietra sui cui era iscritta. Non solo lo stile di queste sen-
tenze, ma anche il fatto che la lunghezza varia dei loro testi scritti in lettere
di media misura con un numero di righe soltanto leggermente variabile si
adegui perfettamente alle diverse superfici dei singoli blocchi iscritti, dimo-
stra che queste sentenze erano state composte dallo stesso Diogene appunto
in vista di una loro scrittura epigrafica, come conferma inoltre un riferimento
autoriale alla realizzazione dell’iscrizione («abbiamo tracciato su pietra tante
lettere»).10
Un quarto strato ospitava alcuni scritti, con lettere di misura media, su colon-
ne di 10 righe ciascuna. Una parte di questi frammenti si può attribuire a Diogene,
altri frammenti appartengono ad una o due lettere da attribuire ad Epicuro.
L’epigrafe era probabilmente coronata da un trattato di Diogene sulla
vecchiaia che – diversamente dalle altre parti dell’iscrizione – si estendeva in
tre strati su colonne di 18 righe, in scrittura grande (2,8-3,0 cm di altezza). La
problematica condizione della vecchiaia è stata oggetto non solo di importanti
trattati filosofici, ma anche di numerosi testi poetici, tuttavia della letteratura
filosofica dedicata al tema soltanto il dialogo Cato maior de senectute ci è per-
venuto in forma completa. Nella filosofia epicurea lo scritto di Diogene, che
non si limita a teorizzare in maniera astratta, ma riflette la condizione reale
dell’età molto avanzata dell’autore, è singolare.
Malgrado i frammenti finora scoperti dell’iscrizione di Diogene offrano
solo una parte minore del testo completo, la lunga riga nel margine inferiore
sotto i blocchi dell’Etica, sulla quale scorrevano le massime di Epicuro, per-
mette di calcolare la complessiva estensione dell’iscrizione di Diogene, pur
con tutte le dovute cautele. Mettendo a confronto le sentenze complete con
i frammenti superstiti in quella riga dell’iscrizione, Martin Ferguson Smith è
arrivato alla conclusione che almeno la fila dei blocchi contenenti l’Etica aveva
una larghezza tra i 65 e gli 80 metri. Lo stesso calcolo vale probabilmente per
gli strati superiori. Poiché nessun blocco dell’iscrizione ha finora permesso di
identificare degli angoli e altre strutture architettoniche verticali, sembra che
la larghezza dell’iscrizione pressupponga un’estensione non inferiore dell’e-
dificio su cui era incisa. L’altezza dei sette strati iscritti arrivava a 3,25 m nella
10
Diog. fr. 116,10-11 τὰ τοϲαῦτα ὑ̣μ̣εῖν ἐ̣λιθο̣|π̣οιήϲαμεν γράμματα.
— 143 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
11
Cf. Diog. fr. 62 e 63.
12
Diog. fr. 3 col. 2,7-12.
13
Diog. fr. 117 Δ̣ιογ̣έ̣ν̣ηϲ τοῖϲ ϲυνγενέ̣ϲι̣ ̣ | καὶ οἰκείοιϲ καὶ φίλοιϲ τά|δε ἐντέλ̣λομαι. | ν̣οϲῶν̣ οὕ̣τωϲ
ὥϲτε μοι νῦ̣[ν] | τὴν τοῦ ζῆν ἔτι ἢ μηκέτ[ι] | ζῆν ὑπάρχειν κρίϲιν | (καρδιακὸν γάρ με διαφο̣|ρεῖ πάθοϲ),
ἂν μὲν διαγέ|νωμαι, διδόμενον ἔτι |10 μοι τὸ ζῆν ἡδέωϲ λήμψ[ο]|μαι· ἂν μὴ διαγένωμαι δ’, ο||[ – – –].
La lettura di ν̣οϲῶν̣ nella quinta riga è stata confermata sul blocco ritrovato nel 2011; cf. JÜRGEN
HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda. The Discoveries of 2011 (NF
191-205, and Additions to NF 127 and 130)”, Epigraphica Anatolica, 2011, 44: 79-114, p. 5 n. 11.
14
Diog. NF 186 col. 1 [ κατὰ πάν]||τα τρόπον ὡϲ ἂν δύνω|μαι. βελτείω δ’ οὐκ
ἔχο|μεν, ὡϲ οἶϲθα, τῶν ἡμε|τέρων ἀγαθῶν αὐταῖϲ | παραϲχεῖν. καὶ γὰρ ἤδη | τι ὑπογεγευμέναι τῶν |
᾽Επικούρου λόγων τυν|χάνουϲι, οὐ μήν γε οὕ|τωϲ, ὥϲτε ῥᾳδίωϲ τ̣[οὺϲ] | προϲπείπτοντα̣[ϲ αὐ||ταῖϲ
ταράχουϲ λελύϲθαι]; cf. JÜRGEN HAMMERSTAEDT – MARTIN FERGUSON SMITH, “Diogenes of Oinoanda.
The Discoveries of 2010 (NF 182-190)”, Epigraphica Anatolica, 2010, 43: 1-29, pp. 21-23.
— 144 —
STRATEGIE DI PERSUASIONE ALL’EPICUREISMO NELL’ISCRIZIONE DI DIOGENE DI ENOANDA
una rete di amici sui due lati del mar Egeo, i viaggi tra i diversi centri del-
l’Epicureismo, l’inclusione delle donne, l’utilizzo di un immobile come luogo
fisico per l’insegnamento e la diffusione della filosofia, e soprattutto le forme
della sua produzione scritta. In accordo con il metodo adottato dagli Epicurei
in primo luogo doveva esser studiato il trattato che riguardava la fisica e la
teologia;15 il trattato sull’etica – e forse anche gli altri – era intitolato Epitome;
le lettere riportate nel terzo settore dell’iscrizione, il cui contenuto va ben oltre
i problemi teorici e di scuola, dimostrano invece la capacità di chi pratica la
filosofia ad adattarsi abilmente ai bisogni e alle sfide della vita; il riferimento ad
Epicuro è rafforzato dalla citazione di una o due lettere attribuibili al maestro
stesso; anche le sentenze monolitiche di Diogene – riportate sempre nel terzo
strato dell‘iscrizione – si ispirano alle Massime capitali del fondatore, che non
ne sono solo il modello, ma formano la base dell’insegnamento di Diogene,
anche da un punto di vista materiale, come sottolinea la loro posizione alla base
dell’intera iscrizione. Anche nella sua forma esterna, l’iscrizione indica che
Diogene non si considera come il personaggio principale ma come seguace del
maestro, offrendo la propria personale testimonianza sulla medicina salutare
appresa dagli insegnamenti di Epicuro.
15
Cf. MARTIN FERGUSON SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription (Napoli,
Bibliopolis: 1993), pp. 85-86.
16
Stabilita da HERMANN USENER, “Epikureische Schriften auf Stein”, Rheinisches Museum,
1892, 47: 414-456, p. 416.
17
SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription (cit. n. 15), pp. 39-41.
18
ALFRED KÖRTE, “T. Lucretius Carus bei Diogenes von Oinoanda?”, Rheinisches Museum,
1898, 53: 160-165. Ma già Gomperz aveva preso in considerazione e respinto un’identificazione con
Lucrezio nelle sue annotazioni manoscritte preparate per l’edizione di RUDOLOF HEBERDEY – ERNST
— 145 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
— 146 —
STRATEGIE DI PERSUASIONE ALL’EPICUREISMO NELL’ISCRIZIONE DI DIOGENE DI ENOANDA
sui risultati dei survey degli anni 2007-2012 sotto la direzione del Secondo
Direttore dell’Istituto Archeologico Tedesco, l’architetto Martin Bachmann.
Le varie indagini, non solo archeologiche ed epigrafiche, che hanno inte-
ressato l’intero sito di Enoanda, potranno fornire nuovi indizi utili alla da-
tazione – assoluta o almeno relativa – degli sviluppi urbanistici, in generale
e della stoa iscritta da Diogene in particolare, il cui sito originale non è stato
sin qui localizzato in misura definitiva. Allo stato attuale non è stato nem-
meno chiarito se l’iscrizione fosse incisa all’interno, e fosse quindi rivolta
esclusivamente a chi entrava, oppure sulla parte esterna della stoa, dove
tutti i passanti avrebbero potuto vederla. E quali erano le funzioni di questa
stoa? Aveva la funzione di insegnamento scolastico, o filosofico? Qual era il
suo ambiente urbanistico? C’erano nelle vicinanze immediatate altri poli di
aggregazione urbana, come ginnasi, bagni pubblici, mercati?
È ancora troppo presto per dare una risposta a tali domande. Ma l’attuale
ricostruzione dell’iscrizione proposta da Martin Ferguson Smith, che proba-
bilmente subirà soltanto delle modifiche puntuali durante le indagini in
corso, invita già adesso a qualche riflessione sulla disposizione verticale dei
trattati contenuti in essa. Smith aveva fatto notare che l’altezza dell’iscrizione
doveva raggiungere certamente più dei 3,25 metri a cui assommano i sette
strati iscritti, perché le massime di Epicuro nell’ultima riga dovevano risultare
leggibili senza doversi chinare. È quindi probabile che il trattato sulla vecchiaia
cominciasse all’incirca a 3,80 m. È anche vero che le lettere del trattato sulla
vecchiaia che probabilmente stava più in alto erano più grandi (fino a 3 cm) di
quelle degli strati inferiori (1,8 cm) che si trovavano probabilmente più vicine
all’altezza degli occhi. Ma in ogni caso leggerle dal basso non doveva risultare
comodo, specialmente per gli anziani.
Certo esistono altri esempi di scrittura incisa in posizioni piuttosto alte
su edifici pubblici e monumenti, e uno di loro si trova proprio nella periferia
meridionale della città di Enoanda. Si tratta del mausoleo di Licinnia Flavilla
e Flaviano Diogene. Secondo una autorevole ricostruzione,23 sulla facciata
orientale di quest’edificio le lettere (grandi 3 cm) cominciavano ad un’altezza
di 4 m, mentre la scrittura più piccola (con lettere alte 2,0-2,5 cm) sulla
facciata occidentale cominciava ad almeno 3,5 m, se non addirittura a 4 m
di altezza. Un caso simile, non troppo lontano da Enoanda e dello stesso
periodo in cui Diogene probabilmente fece scivere la propria epigrafe, è il
mausoleo di Opramoas di Rodiapoli in Licia su cui erano incisi – con lettere
23
ALAN S. HALL – NICHOLAS R. MILNER – JIM J. COULTON, “The Mausoleum of Licinnia Flavilla
and Flavianus Diogenes of Oinoanda. Epigraphy and Architecture”, Anatolian Studies, 1996, 46:
111-143.
— 147 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
alte 2,5 cm fin da un’altezza di 4,60 m – dei documenti delle autorità imperiali
e provinciali che testimoniavano l’evergetismo di Opramoas in tutta la Licia.
Non dimentichiamo nemmeno le Res gestae divi Augusti sulle pareti del
tempio di Roma e Augusto ad Ancara. Sul lato interno delle sue pareti, il testo
latino disposto in colonne con lettere alte 2 cm, cominciava ad una altezza di
4,57 m. Più leggibile era senz’altro il testo greco, che si trovava sulla parete
esterna alla luce del sole, con lettere alte 3 cm, scritte su una superficie che
cominciava a 3,15 m e finiva a 2,20 m.24 Altri documenti che si trovavano sulla
facciata delle ante iniziavano invece a più di 9 m.25
Henner von Hesberg ha messo in dubbio che testi scritti in una posizione
così elevata fossero veramente destinati alla lettura dettagliata, e non servis-
sero piuttosto a sottolineare soltanto con il loro contenuto, che naturalmente
si conosceva, la funzione e il ruolo degli edifici e ambienti dove erano iscritti.26
Dobbiamo concluderne che anche l’iscrizione di Diogene aveva soltanto un
valore simbolico, conferendo alla stoa una certa funzione, come luogo di inse-
gnamento, o magari anche come luogo di commemorazione e quasi di culto di
Epicuro? Si tratta di un’ipotesi sicuramente da escludere non solo sulla base
dell’introduzione già citata,27 in cui Diogene dichiara esplicitamente di aver scelto
l’insegnamento scritto sulla stoa per dare un insegnamento filosofico all’umanità,
anche alle persone che lui non può incontrare personalmente, alle generazioni
future, e ai forestieri, ma soprattutto perché contraddetta dalle istruzioni precise
fornite al lettore, in un altro passo all’inizio dell’epitome sull’etica:28
24
Misure dell’altezza degli inizi delle colonne sulla base di DANIEL KRENCKER – MARTIN SCHEDE,
Der Tempel in Ankara (Berlin: De Gruyter, 1937), p. 16 fig. 11 in combinazione con tav. 6, sottraen-
do le prime tre righe in lettere più larghe dell’iscrizione latina e l’unica riga del titolo dell’iscrizione
greca (ibid. 51). Cf. anche SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription (cit. n. 15), p. 93.
Edizione dei testi e misure dettagliate della scrittura (ma non dell’altezza assoluta delle colonne) in
STEPHEN MITCHELL – DAVID FRENCH, The Greek and Latin Inscriptions of Ankara (Ancyra), vol. 1,
From Augustus to the end of the third century AD (München: Beck, 2012), nr. 1.
25
HENNER VON HESBERG, “Archäologische Charakteristika der Inschriftenträger staatlicher
Urkunden – einige Beispiele”, in Selbstdarstellung und Kommunikation. Die Veröffentlichung staat-
licher Urkunden auf Stein und Bronze in der Römischen Welt, Internationales Kolloquium an der
Kommission für Alte Geschichte und Epigraphik in München (1. bis 3. Juli 2006), herausgegeben
von Rudolf Haensch (München: Beck, 2009), pp. 19-56, p. 22. Edizione MITCHELL – FRENCH, The
Greek and Latin Inscriptions of Ankara (Ancyra), vol. 1, From Augustus to the end of the third century
AD (cit. n. 24), nr. 2 e 4.
VON HESBERG, “Archäologische Charakteristika der Inschriftenträger staatlicher Urkunden –
26
— 148 —
STRATEGIE DI PERSUASIONE ALL’EPICUREISMO NELL’ISCRIZIONE DI DIOGENE DI ENOANDA
Nel passo appena citato Diogene richiede ai futuri lettori della sua iscri-
zione attenzione, concentrazione e dedizione.29 Poiché nell’antichità normal-
mente si leggeva a voce alta,30 la recitazione di un testo non solo faceva rivivere
e quasi resuscitare la voce della persona la quale aveva scritto o formulato
quelle parole, ma, oltre a dar onore agli autori dei testi, gli effetti della lettura
stessa potevano giovare anche all’animo di chi li recitava.
Malgrado l’appartenenza a un altro ambito storico e culturale, si ritro-
vano elementi analoghi nelle iscrizioni rupestri buddiste che furono incise
da monaci cinesi negli ultimi decenni del sesto secolo d.C. sulle rocce di
monti sacri nella zona di Zoucheng.31 Il carattere meditativo e cultuale della
lettura di queste iscrizioni emerge per esempio dall’accorgimento, che in
alcuni casi i lettori dovevano salire e scendere per leggere un’iscrizione, come
nell’iscrizione sulle pendici del monte Tie che si estendeva con 51,70 m di
altezza e 14 m di larghezza in 17 righe verticali.32 La combinazione tra lettura
— 149 —
JÜRGEN HAMMERSTAEDT
33
Epic. sent. 32 ὁ τοῦ ϲοφοῦ ϲεβαϲμὸϲ ἀγαθὸν μέγα τῷ ϲεβομένῳ ἐϲτι. Cf. MICHAEL ERLER,
“Epikur”, in Die Hellenistische Philosophie, von Michael Erler, Hellmut Flashar et al. (Basel:
Schwabe, 1994), p. 168.
— 150 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
1
DOMENICO COMPARETTI – GIULIO DE PETRA, La villa ercolanese dei Pisoni. I suoi monumenti e la
sua biblioteca. Ricerche e notizie (Torino: Loescher, 1883; ristampa conforme all’originale con nota di Al-
fonso de Franciscis, Napoli: Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi, 1972), pp. 221-
224, tav. XXIV; CHRISTOPHER CHARLES PARSLOW, Rediscovering Antiquity. Karl Weber and the Excavation
of Herculaneum, Pompeii and Stabiae (Cambridge: UP, 1998), pp. 77-106, in part. pp. 96-103, fig. 27.
— 151 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
Fig. 1. Planimetria della Villa dei Papiri: particolare del quartiere dell’atrio e del peristilio
quadrato; l’ambiente “V” corrisponde al deposito dei papiri.
2
DOMENICO MUSTILLI, “La Villa pseudourbana ercolanese”, Rendiconti della Accademia di
Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, 1956, 31: 77-97 (rist. in La Villa dei Papiri, Suppl. a
Cronache Ercolanesi, 1983, 13: 7-18).
— 152 —
L’IMPRONTA EPICUREA NELLA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO
3
Ma ad esempio ERIC MARIA MOORMANN, “Le pitture della Villa dei Papiri di Ercolano”, in Atti
del XVIII Congresso Internazionale di Papirologia, Napoli 1983, vol. 2 (Napoli: Centro Internazionale
per lo studio dei Papiri Ercolanesi, 1984), pp. 637-675, aveva datato al 50-40 a.C. alcuni frammenti
pittorici di II Stile del Museo Archeologico Nazionale di Napoli da lui ricondotti alla villa.
— 153 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
4
PIERRE GROS, L’architecture romaine du début du IIIe siècle av. J.-C. à la fin du Haut-Empire,
vol. 2, Maisons, palais, villas et tombeaux (Paris: Picard, 2001), pp. 297-298.
5
GILLES SAURON, “Templa serena. À propos de la «Villa des Papyri» d’Herculanum: les
Champs-Elysées épicuriens. Contribution à l’étude des comportaments aristocratiques romains à la
fin de la République”, Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, 1980, 92: 277-301 (ripub-
blicato in traduzione italiana di Lucia Amalia Scatozza Höricht con il titolo “Templa serena”, in La
Villa dei Papiri [cit. n. 2] pp. 69-82).
6
STEFANIA ADAMO MUSCETTOLA, “Il ritratto di Lucio Calpurnio Pisone Pontefice da Ercolano”,
Cronache Ercolanesi, 1990, 20: 145-156.
7
Bustino di Epicuro: inv. MANN 5465 (il busto di Epicuro inv. MANN 11017 andrebbe
invece identificato con uno di quelli scavati nel tablino nel mese di settembre del 1752); bustino
di Ermarco: inv. MANN 5466 e forse anche inv. MANN 5471; bustino di Demostene: inv. MANN
5467 (il ritratto inv. MANN 5469 andrebbe invece identificato con uno di quelli scavati nel tablino
nel mese di settembre del 1752); bustino di Zenone: inv. MANN 5468
8
L’obiezione mossa da Th. Mommsen alla teoria di Comparetti, fondata sulla mancanza di
attestazioni della gens Calpurnia a Ercolano, è stata superata dopo che LILY ROSS TAYLOR, The Voting
Districts of the Roman Republic. The Thirty-five Urban and Rural Tribes (Rome: American Academy,
— 154 —
L’IMPRONTA EPICUREA NELLA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO
1960), pp. 200 e 311 ha dimostrato che, dopo la Guerra Sociale, i cittadini di Herculaneum erano
stati assegnati alla tribù Menenia, alla quale apparteneva L. Calpurnio Pisone Cesonino.
9
FRANCESCA LONGO AURICCHIO – MARIO CAPASSO, “I rotoli della villa ercolanese: dislocazione
e ritrovamento”, Cronache Ercolanesi, 1987, 17: 37-47. I papiri furono rinvenuti fra il 19 ottobre
1752 e il 25 agosto 1754. Si tratta di 1826 frammenti catalogati, riconducibili a circa un migliaio
di volumina. I papiri di Ercolano sono alti in media 20-23 centimetri e lunghi dai 6 ai 9 metri, con
alcune eccezioni che giungono ai 10-12 metri. L’ambiente “V” era probabilmente il vero e proprio
deposito dei papiri, un locale accessorio rispetto alla biblioteca intesa come centro dell’attività
intellettuale della villa, localizzabile nel cosiddetto tablino (E) e nelle stanze ad esso adiacenti. Da
questo gruppo di stanze provengono poche altre decine di papiri, in questo caso trovati ammucchiati
per terra oppure collocati in una sorta di stipo portatile. I papiri rinvenuti nel cosiddetto tablino
sono prevalentemente in latino. Altri 161 papiri furono trovati in casse di legno in un ambulacro del
peristilio rettangolare.
10
GUGLIELMO CAVALLO, “La formazione della biblioteca di Ercolano. Vicende di libri e
produzione di testi”, in Libri scritture e scribi a Ercolano. Introduzione allo studio dei materiali greci,
a cura di Guglielmo Cavallo, Mario Capasso (Napoli: Macchiaroli, 1983), pp. 58-65; MARIO CAPASSO,
Manuale di papirologia ercolanese (Napoli: Congedo Editore, 1991), pp. 151-199.
11
DIMITRIOS PANDERMALIS,“Zum Programm der Statuenausstattung in der Villa dei Papiri”,
Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts 1971, 86: 173-209 (articolo ripubblicato in
traduzione italiana con il titolo “Sul programma della decorazione scultorea”, in La Villa dei Papiri
[cit. n. 2], pp. 19-50). La ricostruzione di Pandermalis è stata pienamente appoggiata da MARCELLO
GIGANTE, “La biblioteca di Filodemo”, Cronache Ercolanesi, 1985, 15: 5-30; ID., Filodemo in Italia
(Firenze: Il Saggiatore, 1990), che però pensa a una villa costruita nell’età di Lucrezio e Cicerone e
frequentata da Filodemo.
— 155 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
12
SAURON, “Templa serena” (cit. n. 5).
13
Trad. di BALILA PINCHETTI, Lucrezio. La natura delle cose, introduzione di Luca Canali,
premessa al testo e glossario di Salvatore Rizzo (Milano: Rizzoli, 1978).
14
GIGANTE, Filodemo in Italia (cit. n. 11), p. 70.
15
AP 9,412 = 20 G.-P. = 23 Gigante = 29 Sider.
16
RITA WÓJCIK, La Villa dei papiri ad Ercolano (Roma: L’Erma di Bretschneider, 1986).
17
SHEILA DILLON, “Subject Selection and Viewer Reception of Greek Portraits from
Herculaneum and Tivoli”, in Journal of Roman Archaeology, 2000, 13: 21-40, fig. 1-8 e EAD., Ancient
Greek Portrait Sculpture. Context, Subjects and Styles (Cambridge: Cambridge UP, 2006).
— 156 —
L’IMPRONTA EPICUREA NELLA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO
18
VALERIA MOESCH, “La Villa dei Papiri”, in Ercolano, Tre secoli di scoperte, Catalogo della
mostra di Napoli 16 ottobre 2008-13 aprile 2009, a cura di Maria Paola Guidobaldi (Milano: Electa,
2008), pp. 70-79.
19
MARIA PAOLA GUIDOBALDI, “La Villa dei Papiri”, in FABRIZIO PESANDO – MARIA PAOLA
GUIDOBALDI, Gli ‘Ozi’ di Ercole. Residenze di lusso a Pompei ed Ercolano (Roma: L’Erma di
Bretschneider, 2006), pp. 257-270, pp. 269-270.
— 157 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
entrambi a rischio di distruzione nella metà del I secolo a.C. per mano di Gaio
Memmio, in esilio ad Atene e interessato ad abbattere la veneranda sede della
Scuola. C. Memmio, pretore nel 58 a.C., oratore e letterato, marito di Fausta,
figlia di Silla,20 a cui Lucrezio dedicò il De rerum natura,21 accusato de ambitu nel
52 a.C. fu mandato in esilio ad Atene. Qui, attraverso la corrispondenza cice-
roniana, apprendiamo di un suo progetto di demolizione della casa di Epicuro
nel quartiere di Melite.22 Cicerone, infatti, in una lettera scritta da Atene nel
giugno o luglio del 51 a.C.23 si rivolge a lui a nome di Patrone, in quel tempo a
capo della scuola epicurea, affinché egli acconsenta all’abolizione del decreto
dell’Areopago che avrebbe reso possibile la demolizione della veneranda
casa, spianando la strada ai progetti di ricostruzione dello stesso Memmio.24 Il
testamento di Epicuro, che ci è noto attraverso Diogene Laerzio, oltre a lasciare
in eredità ai seguaci della Scuola il Giardino, aveva lasciato ad Ermarco, che nel
270 a.C. succedette al filosofo come scolarca, tutta la biblioteca e la possibilità
di abitare nella casa, insieme ai suoi discepoli, vita natural durante.25 Non
sappiamo cosa sia accaduto alla morte di Ermarco, ma la richiesta di Patrone
lascia intendere che le medesime condizioni si fossero perpetuate fino almeno
alla conquista sillana di Atene.26 Per bocca di Cicerone, Patrone dice infatti
che erano in questione «la sua dignità, il suo dovere, il diritto testamentario, il
prestigio di Epicuro, i giuramenti di Fedro, la sede, il domicilio, il ricordo di
uomini illustri e che toccava a lui difenderli».27 Non sappiamo neppure in che
modo Memmio fosse arrivato in possesso della casa, ma quel che qui interessa è
20
FRIEDRICH MÜNZER, “Memmius (9)”, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertums-
wissenschaft, vol. 15,1 (Stuttgart: Druckenmüller, 1931), pp. 616-618.
21
Cf. Lucr. 1,25.
22
Cf. FABRIZIO PESANDO, La Casa dei Greci (Milano: Longanesi, 1989), pp. 95-96.
23
Cic. fam. 13,1; cf. anche Q. fr. 1,2,4; Att. 5,11,6; 5,19,3.
24
Cicerone (fam. 13,1) precisa che Patrone gli aveva già scritto a Roma, ma che lui aveva
esitato a contattare Memmio perché non voleva che una sua raccomandazione andasse contro i suoi
progetti di ricostruzione (quod aedificationis tuae consilium commendatione mea nolebam impediri).
Se ora, da Atene, si è deciso a intercedere presso Memmio, è perché dai suoi amici è venuto a sapere
che Memmio ha rinunciato alla progettata ricostruzione (quod te abiecisse illam aedificationem
constabat inter omnes amicos tuos) e perciò lo esorta a scrivere ai suoi (dipendenti) che egli accon-
sente all’abolizione di quel decreto dell’Areopago che gli Ateniesi chiamano ipomnematismo
(Quamobrem peto a te, ut scribas ad tuos posse tua voluntate decretum illud Areopagitarum, quem
hypomnematismòn illi vocant, tolli).
25
D.L. 10,17; 21.
26
Sulla scuola filosofica epicurea all’epoca della conquista sillana di Atene cf. JEAN-LOUIS
FERRARY, Philhellénisme et Impérialisme. Aspects idéologiques de la conquête romaine du monde hellé-
nistique (Rome: École Française de Rome, 1988), pp. 445-447 e pp. 471-483.
27
Cic. fam. 13,1,4 Honorem, officium, testamentorum ius, Epicuri auctoritatem, Phaedri obtesta-
tionem, sedem, domicilium, vestigia summorum hominum sibi tuenda esse dicit.
— 158 —
L’IMPRONTA EPICUREA NELLA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO
che nella metà del I secolo a.C. uno dei centri della scuola epicurea era in rovina28
e il suo ricco patrimonio librario a forte rischio di distruzione; perciò, se è vero
che Filodemo venne in Italia portando con sé una serie di libri del fondatore
Epicuro e degli altri maestri della scuola e che fu lui a mettere insieme gran
parte dei volumi rinvenuti nella Villa dei Papiri,29 si potrebbe anche arrivare a
ipotizzare che alcuni di quei volumina provenissero proprio dalla casa ormai
fatiscente dell’ateniese quartiere di Melite.
Tuttavia, se anche la proprietà della villa può essere a mio parere ragio-
nevolmente ricondotta alla nobile famiglia dei Calpurnii Pisones, ciò non
vuol dire che la cronologia del suo impianto debba essere necessariamente
appiattita intorno alla data del consolato del suo più noto rappresentante: il
58 a.C. La cronologia di Filodemo, infatti, ancora attivo nella seconda metà
del I secolo a.C., non costituirebbe un problema in questo senso e del resto
l’orizzonte cronologico al quale appartiene la maggior parte delle sculture
che la decoravano rimanda al terzo quarto del I sec. a.C. A confortare una
cronologia più bassa di quella ipotizzata da D. Mustilli contribuiscono ora
anche i dati archeologici venuti alla luce con gli scavi a cielo aperto della
fine del secolo appena trascorso, che hanno arricchito di nuovi e concreti
elementi di valutazione la discussione. Di conseguenza, la possibile presenza
di Filodemo nella villa, sia come eventuale ispiratore del programma deco-
rativo, sia come organizzatore e frequentatore della biblioteca filosofica de-
vono necessariamente tenere conto di questo dato archeologico. La Villa dei
Papiri, infatti, dopo più di due secoli dalla chiusura dei pozzi e delle gal-
lerie borboniche è stata, sia pure in minima parte rispetto al suo sviluppo
complessivo, portata alla luce. La vicenda della riscoperta della Villa de
Papiri, che ha interessato l’ultimo ventennio del Novecento, rappresenta una
pagina problematica della storia archeologica recente che sarebbe fuori luogo
ripercorrere in questa sede.30 Basterà ricordare che durante gli anni 1996-1998,
in un’area contigua agli Scavi di Ercolano propriamente detti e che versavano
in condizioni di avanzato degrado, fu eseguita un’impressionante operazione
28
Quid illud Epicuri parietinarum è l’espressione usata da Cicerone (fam. 13,1,3) per indicare
la casa di Epicuro.
29
CAPASSO, Manuale (cit. n. 10), pp. 162-163 con riferimenti bibliografici.
30
Riferimenti puntuali, sia amministrativi, sia bibliografici sull’operazione di scavo a cielo
aperto condotta nell’area degli “Scavi Nuovi” e sui resoconti archeologici pubblicati si troveranno
in MARIA PAOLA GUIDOBALDI – DOMENICO ESPOSITO, “Le nuove ricerche archeologiche nella Villa dei
Papiri”, Cronache Ercolanesi, 2009, 39: 331-370; MARIA PAOLA GUIDOBALDI – DOMENICO ESPOSITO –
ELIANA FORMISANO, “L’Insula I, l’insula nord-occidentale e la villa dei papiri di Ercolano: una sintesi
delle conoscenze alla luce delle recenti indagini archeologiche”, Vesuviana. An International Journal
of Studies on Pompeji and Herculaneum, 2009, 1: 43-180.
— 159 —
MARIA PAOLA GUIDOBALDI
di scavo a cielo aperto che riportò alla luce anche una modesta porzione della
Villa dei Papiri, permettendo di certo agli studiosi di confrontarsi per la prima
volta con la realtà di quel prestigioso monumento e rivelandone un’inopinata
articolazione su più piani, ma a prezzo di un’autentica voragine di problemi e
criticità, come quella, fisica e concreta, che era stata aperta con il nuovo scavo.
Alla luce delle nuove scoperte archeologiche, di cui si è dato conto in di-
verse sedi specialistiche,31 si può concludere che non sussistono elementi per
ipotizzare una progressiva aggregazione dei vari settori della villa, mentre ap-
pare sufficientemente documentata la concezione unitaria del complesso resi-
denziale su più piani da ricondurre al terzo quarto del I secolo a.C., con la sola
aggiunta, in età augusteo-tiberiana del padiglione sul mare. L’ambito crono-
logico delineato del resto ben si accorda con la datazione della maggior parte
delle opere scultoree rinvenute durante l’esplorazione borbonica, così come
la datazione all’età augustea delle due sculture provenienti dal padiglione sul
mare è coerente con la cronologia di quest’ultimo. Significativa è la distanza
ideologica e artistica che separa il nucleo principale delle sculture dalle due
più tarde opere del padiglione marittimo: l’interesse prevalente per i ritratti di
sovrani e filosofi di età ellenistica ha ceduto il passo alla scelta di soggetti ideali
e il linguaggio formale si è discostato dalle opere del primo e medio ellenismo
per orientatarsi su un classicismo che porta al recupero delle grandi opere
greche di età classica, rielaborate e reinventate. Una fase di rinnovamento
decorativo di età claudia interessò per lo meno la stanza del I livello inferiore
della villa, mentre negli anni immediatamente precedenti all’eruzione si
registrano l’abbandono del padiglione sul mare, ma anche lavori di rifacimento
e di rinnovamento decorativo della stanza del I livello inferiore, conseguenti
probabilmente ai danni inferti dai terremoti che precedettero l’eruzione. Sulla
base delle attuali conoscenze archeologiche va dunque anche rigettata l’idea
di una condizione di degrado e di abbandono della villa negli ultimi anni di
vita o di una sua riconversione agricola, essendo anche stato chiarito che le
grandi quantità di grano segnalate fra i rinvenimenti borbonici provenivano
da un soppalco in corrispondenza del corridoio (n). Parimenti, sul fronte
papirologico il progredire della ricerca ha determinato un rovesciamento
dell’idea in precedenza in auge di una dismissione della biblioteca dopo
31
Oltre ai contributi cit. a n. 30, cf. MARIA PAOLA GUIDOBALDI, “Arredi di lusso in legno e
avorio da Ercolano: le nuove scoperte della Villa dei Papiri”, Lanx, 2010, 6: 63-99; EAD., “La Villa
dei Papiri di Ercolano: inquadramento architettonico e decorativo alla luce delle recenti indagini
archeologiche”, in Pittura ellenistica in Italia e Sicilia. Linguaggi e tradizioni, Atti del Convegno
Internazionale, Messina, 24-25 Settembre 2009, a cura di Gioacchino Francesco La Torre, Mario
Torelli (Roma: L’Erma di Bretschneider, 2011), pp. 519-529; DOMENICO ESPOSITO, “Il Secondo Stile
nella Villa dei Papiri di Ercolano”, ibid. pp. 531-545.
— 160 —
L’IMPRONTA EPICUREA NELLA VILLA DEI PAPIRI DI ERCOLANO
la morte di Filodemo. Gli studi recenti di Gianluca del Mastro32 hanno infatti
dimostrato come ancora nei primi decenni dell’era cristiana e forse anche
più tardi gruppi omogenei di opere filodemee conservate nella biblioteca
fossero state restaurate e ricopiate, segno tangibile di una vivacità e vitalità
culturale della biblioteca della villa consonante con quanto testimoniato sul
piano archeologico.
32
GIANLUCA DEL MASTRO, “Papiri ercolanesi vergati da più mani”, Segno e Testo, 2010, 8: 3-66.
— 161 —
FABRIZIO PESANDO
1
Plut. Sull. 19; sui trofei cf. anche Paus. 9,40,7. Per una prima notizia del ritrovamento cf. “Il
trofeo di Silla a Cheronea”, SAIA Notiziario 2005, 4: 1-2.
2
MARCELLO GIGANTE, “Gli epigrammi di Filodemo quali testimonianze autobiografiche”, in
Filodemo in Italia (Firenze: Le Monnier, 1990), pp. 63-68.
3
AP 6,349.
— 163 —
FABRIZIO PESANDO
4
MARCELLO GIGANTE, “Dove visse Filodemo?”, Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik,
2001, 136: 25-32.
5
Cf. ENZO PUGLIA, “Filodemo da Alessandria ad Atene (a proposito di PHerc. 1021 XXXIV,
1-8)”, Papyrologica Lupiensia, 1998, 7: 133-142.
6
Philod. rhet. II, p. 145 Sudhaus, frr. 3.8-15.
7
PUGLIA, “Filodemo da Alessandria ad Atene” (cit. n. 5), p. 142, il quale ipotizza che egli sia
giunto ad Atene dopo l’86, quando era ormai sulla trentina, se si accetta come data di nascita il
decennio compreso fra il 120 e il 110 a.C.
8
Per un suo arrivo negli anni 90 sono concordi TIZIANO DORANDI, “Filodemo: gli orientamenti
della ricerca attuale”, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, herausgegeben von Wolfgang
Haase, Hildegard Temporini, vol. 2,36,4 (Berlin-New York: De Gruyter, 1990), pp. 2328-2368, p.
2330 e DAVID SEDLEY, “Philodemus and the Decentralisation of Philosophy”, Cronache Ercolanesi,
2003, 33: 31-41, p. 35.
9
Leggermente ribassista sulla data del trasferimento in Italia è la posizione di DORANDI,
“Filodemo: orientamenti” (cit. n. 8), p. 2330: «da qui [Atene], vivo Zenone, passò in Italia fra gli
anni 80 e 70». Più strettamente collegata agli eventi della crisi mitridatica è la proposta cronologica di
SEDLEY, “Philodemus and the Decentralisation” (cit. n. 8), p. 35, il quale sostiene che «Although we
do not know at what date Philodemus left Athens for Italy, where he would enjoy Piso’ patronage, the
conjecture that it was during the Mithridatic war, that is during or close to the crisis of 88-86, has very
strong claim on plausibility. This is the obvious date for the wholesale evacuation of book collections
from Athens to have occurred, in anticipation of Sulla’ depredations»; su quest’ultimo punto cf. infra.
10
Paus. 1,17,2.
— 164 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
11
Su Atene in età tardo-ellenistica si veda: THEODORE LESLIE SHEAR JR., “Athens: from City-
State to Provincial Town”, Hesperia, 1981, 50: 356-377; CHRISTIAN HABICHT, Athènes hellénistique:
histoire de la cité d’Alexandre le Grand à Marc Antoine (Paris: Académie des inscriptions et belles-
lettres, 2000); THEODOSIA STEFANIDOU-TIVARIOU, “Tradition and Romanization in the Monumental
Landscape of Athens”, in STRAVROS VLIZOS, Athens During the Roman Period. Recent Discoveries,
New Evidence (Athens: Benaki Museum, 2008), pp. 11-42. Una vera crux nella topografia di Atene
è la localizzazione dello Ptolemaion, di cui sappiamo solo che si trovava in prossimità dell’Agorà
(archaia o di Teseo); sul problema: WOLFRAM HOEPFNER – LAURI LEHMANN, Die Griechische agora
(Mainz am Rhein: von Zabern, 2006), pp. 14-16, figg. 12-13; ENZO LIPPOLIS, “Tra il ginnasio di
— 165 —
FABRIZIO PESANDO
Tuttavia, intorno agli anni 90 del I secolo a.C., il quadro si era sensibilmente
trasformato, e si era registrata – insieme a una sorta di tutela imposta dai
Romani sulle istituzioni democratiche ateniesi – anche una profonda crisi
delle scuole filosofiche e dei centri culturali cittadini. È la famosa ‘afonia’
delle istituzioni di studio ateniesi ricordata da Atenione in un infiammato
discorso pronunciato nell’88 dal Bema dell’Agorà, poco prima di diventare
comandante della flotta impiegata nella guerra navale contro i Romani:
non lasciate, o Ateniesi, i santuari chiusi, i ginnasi abbandonati, il teatro privo
di assemblee, i tribunali muti, così come la Pnice, benché quest’ultima sia stata
consacrata da oracoli divini; non lasciate che sia ridotta in silenzio la voce sacra
di Iacco, che il venerabile santuario degli dei sia chiuso, che le scuole dei filosofi
rimangano silenziose.12
È merito di J.-L. Ferrary aver inserito nel suo reale contesto il riferimento
di Atenione alle scuole filosofiche allora attive ad Atene;13 l’analisi dettagliata
delle fonti relative ai principali centri di studio ha infatti permesso di notare
come, più del presunto controllo esercitato dai Romani, il silenzio delle
scuole sia stato in realtà causato dalle diatribe interne all’Accademia –
culminate con la secessione di Antioco di Ascalona, rifondatore dell’Antica
Accademia –, dal declino del Liceo dopo la morte di Diodoro di Tiro
avvenuta intorno al 90 a.C. e dallo spostamento dei principali esponenti dello
stoicismo da Atene a Rodi. Solo il Giardino mostrava solidità e continuità
d’insegnamento, sotto la guida di Zenone, le cui lezioni erano allora seguite
con attenzione anche da nobili romani, come C. Aurelius Cotta, il quale si
ritirò in esilio nella capitale attica fra il 90 e l’88.14 Ma, in quegli anni, la fama
del Giardino è anche legata a un personaggio sinistro, quell’Aristione che,
appoggiando apertamente la causa di Mitridate, fu mandato da Archelao
ad Atene con un piccolo esercito poco dopo i cosiddetti ‘Vespri Asiatici’ e,
giuntovi, s’impossessò della città, elevando a propria residenza fortificata
l’Acropoli come già avevano fatto secoli prima di lui Ippia e Demetrio
Poliorcete. Personaggio descritto in maniera spesso caricaturale dalle fonti,
autore di atti di empietà e di indicibili crudeltà, ma nonostante tutto di
— 166 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
15
App. Mithr. 28,110-111.
16
Cf. FERRARY, Philhellénisme et imperialisme (cit. n. 13), pp. 481-482.
17
PHerc. 1005. Su questa interpretazione del passo, molto mutilo e discusso, cf. FERRARY,
Philhellénisme et imperialisme (cit. n. 13), pp. 479-480; la fuga di Zenone da Atene è considerata
sicura da GIGANTE, “Dove visse Filodemo?” (cit. n. 4), p. 30.
— 167 —
FABRIZIO PESANDO
i verbosi emissari del tiranno, ricordando sdegnosamente loro che «era stato
mandato ad Atene non per imparare la storia, ma per domare una ribellione».
L’unica eccezione fu riservata ad alcuni nobili di posizione filoromana, ai quali
fu concesso di rifugiarsi presso di lui poco prima dell’assalto finale.18 Ma, fin
dall’inizio delle ostilità – ed ancor di più al momento della conquista – anche
i monumenti cittadini ebbero da soffrire. A causa della loro posizione esterna
alle mura, fra i primi a essere colpiti dalla furia della guerra furono proprio due
famosi ginnasi, sedi di altrettante scuole filosofiche: sia l’Accademia che il Liceo
persero infatti i loro alberi secolari – molto probabilmente grandi platani, come
si confaceva ai portici destinati al culto eroico19 – che furono abbattuti e utilizzati
per la costruzione di enormi macchine da guerra destinate al simultaneo assalto
dell’asty e del Pireo, quest’ultimo difeso con successo da Archelao.20 La notte
della conquista fu ricordata a lungo come una delle più tragiche della storia
ateniese;21 il racconto plutarcheo e quanto rivelato dagli scavi archeologici
condotti nelle aree che furono teatro degli scontri illustrano esemplarmente
l’entità della distruzione. Non appena gli informatori riferirono che esisteva un
settore sguarnito delle mura nella zona dell’Heptachalcon, Silla diede l’ordine
di attacco. Il quartiere della città si trovava nel settore est di Atene, fra la Porta
del Pireo a sud e la Hiera Pyle a nord, quest’ultima situata in stretta vicinanza
dell’antica necropoli del Ceramìco, del Pompeion e della Porta del Dipylon;
utilizzato fin dall’età arcaica, come ha mostrato il rinvenimento di alcuni sacelli,
all’epoca degli eventi l’Heptachalcon era occupato da una fitta rete di isolati
abitativi delimitati da una griglia viaria molto regolare, una delle poche esistenti
nella città alta.22 Varcate le mura, i soldati romani distrussero il tratto compreso
fra le due porte e da lì fecero entrare Silla verso mezzanotte, mentre i soldati «per-
correvano le strade con la spada sguainata in mano, sgozzando tutti i cittadini
che incontravano» e creando un fiume di sangue che coprì ben presto tutto
il Ceramìco fino alla Porta del Dipylon. Il successivo percorso di distruzione,
dalla Porta del Pireo all’Agorà, è stato ricostruito con una certa esattezza sulla
base dei livelli d’incendio rinvenuti in associazione con edifici d’età ellenistica:23
18
Paus. 1,20,4-5.
19
Vitr. 5,11,4.
20
Plut. Sull. 12; Strab. 9,3,6; App. Mithr. 30.
21
Plut. Sull.13-14; Paus. 1,20,4-7; Strab. 9,1,15; 14,2,9.
22
LAURA FICUCIELLO, Le strade di Atene (Atene-Paestum: Pandemos, 2008), pp. 125-126.
23
MICHAEL C. HOFF, “Laceratae Athenae. Sulla’s Siege of Athens in 87/86 B.C. and its After-
math”, in MICHAEL C. HOFF – SUSAN I. ROTROFF, The Romanization of Athens (Oxford: Oxbow
Books, 1997), pp. 33-51; in generale, sui danni dovuti ai saccheggi persiani, sillani ed eruliani e
alla loro associazione con i livelli archeologici, cf. HOMER A.THOMPSON, “Athens Faces Adversity”,
Hesperia, 1981, 50: 343-355.
— 168 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
Fig. 2. I monumenti distrutti durante la conquista sillana (in nero) (da HOFF, “Laceratae
Athenae” [cit. n. 23], p. 39).
24
HOMER A. THOMPSON – R.E. WYCHERLY, The Athenian Agora, vol. 14, The Agora of Athens.
The History, Shape and Uses of an Ancient City Center (Princeton: The American School of Classical
Studies 1972), pp. 80-81.
— 169 —
FABRIZIO PESANDO
situato a nord del tempio di Efesto, che, proprio in ragione della sua funzione
di magazzino delle armi, fu incendiato e raso completamente al suolo. Ma
anche all’esterno dell’Agorà i danni furono rilevanti: lungo la via d’accesso
di sud-ovest furono danneggiati alcuni edifici pubblici – fra i quali lo
Strategeion e la cd. Prigione di Stato –, dietro alla Stoà di Attalo e lungo le
pendici meridionali dell’Acropoli vennero bruciate alcune case ellenistiche,
mentre, in posizione più eccentrica e quasi speculare rispetto alla piazza,
furono colpiti seriamente il Pompeion e il Tempio di Asclepio. Infine, alcuni
edifici furono deliberatamente distrutti da Aristione e dai suoi fedeli, ancora
asserragliati sull’Acropoli, per impedire ai Romani di porvi l’assedio;25 fra
questi, una perdita dolorosa fu quella dell’Odeion di Pericle, famoso per i
suoi giganteschi travi lignei.26 Su richiesta di esuli ateniesi e di alcuni senatori
romani fu solo verso l’alba che la strage e la distruzione furono fermate dallo
stesso Silla, il quale «rivolte alcune parole di elogio verso gli antichi ateniesi,
dichiarò che avrebbe graziato la moltitudine per un riguardo ai pochi, e i
viventi per un riguardo ai morti».27 Dopo una resistenza definita lunga da
Plutarco, cadde infine anche l’Acropoli e anche lì furono danneggiati alcuni
edifici, primo fra tutti il venerabile Eretteo, simbolo stesso della comunità
ateniese.
Distruzioni e saccheggi ancor più violenti e indiscriminati si abbatterono
infine sui quartieri abitativi attraversati dall’esercito romano durante lo sfon-
damento delle linee difensive. E fra le case che subirono probabilmente
forti danni va probabilmente compresa anche quella privata di Epicuro.
Dal testamento del filosofo28 sappiamo infatti che la sua casa natale era una
costruzione distinta dal celebre Giardino – acquistato per ottanta mine
dopo la fondazione della scuola – e che questa fu trasmessa in eredità al
successore Ermarco e «ai suoi compagni in filosofia, perché vi abitassero
fino alla sua morte»;29 della casa conosciamo la localizzazione, il quartiere
di Melìte, un rione molto popoloso situato nella zona nord-occidentale di
Atene – attraversato da una lunga strada carrabile che aveva inizio proprio
nel punto in cui Romani avevano effettuato lo sfondamento delle mura –,
abitato fin dall’età classica da influenti personaggi come Milziade e Temi-
stocle e tuttavia rimasto di livello piuttosto modesto, come farebbero
supporre sia i riferimenti letterari alla sobrietà di vita dei suoi illustri abi-
25
App. Mithr. 6,38.
26
Paus. 1,20,4.
27
Plut. Sull. 14.
28
D.L. 10,17.
29
D.L. 10,19.
— 170 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
tanti,30 sia alcuni rinvenimenti archeologici.31 Sul destino della casa di Epicuro,
ricordato in una celebre lettera di Cicerone,32 torneremo fra breve.
SACCHEGGIO ED EVOCATIO
30
FABRIZIO PESANDO, Oikos e ktesis (Perugia-Roma: Istituti di Storia della Facoltà di lettere e
filosofia-Quasar, 1987), pp. 20-21.
31
FICUCIELLO, Le strade di Atene (cit. n. 22), pp. 109-110.
32
Cic. fam. 13,1.
33
RENATE TÖLLE KASTENBEIN, Das Olympieion in Athen (Köln-Weimar-Wien: Böhlau, 1994).
Sintesi critica delle conoscenze in EMANUELA SANTANIELLO, “Olympieion” in Topografia di Atene.
Sviluppo urbano e monumenti dalle origini al III secolo d.C., a cura di Emanuele Greco, vol. 2 (Atene-
Paestum: Pandemos, 2011), pp. 458-463.
34
Su Cossutius, ricordato per la sua magna sollertia scientiaque summa da Vitruvio (7, praef.
15), cf. MARIO TORELLI, “Industria estrattiva, lavoro artigianale, interessi economici: qualche appun-
to”, Memoirs of the American Academy in Rome, 1980, 36: 313-323. Inquadramento del lavoro di
Cossutius nell’ambito della tradizione architettonica ellenistica inTÖLLE KASTENBEIN, Das Olympieion
(cit. n. 32) pp. 151-156, pp. 169-170 e STEFANIDOU-TIVARIOU, “Tradition and Romanization” (cit. n.
11), pp. 12-13.
35
Plin. nat. 36,45.
— 171 —
FABRIZIO PESANDO
36
HERBERT ABRAMSON, “The Olympieon of Athens”, California Studies in Classical Antiquity,
1974, 7: 19-20 e SIMONE DE ANGELI, “Iuppiter Optimus Maximus Capitolinus, aedes (fasi di età tardo-
repubblicana e di età imperiale)”, in Lexicon Topographicum Urbis Romae, edited by Eva Margareta
Steinby, vol. 3 (Roma: Quasar, 1996), pp. 149-150. L’ordine tuscanico del tempio dopo la ricostruzione
terminata nel 69 a.C. da Q. Lutazio Catulo è testimoniato da due serie monetali (del 78 e del 43).
37
Sulla possibilità che le colonne della cella dell’Olympieion siano state reimpiegate nelle celle
del Capitolium e in altri templi dell’area Capitolina, come già suggerito da Abramson, cf. TÖLLE
KASTENBEIN, Das Olympieion (cit. n. 33), p. 49 e SANTANIELLO, “Olympieion” (cit. n. 33), p. 462.
38
Plin. nat. 7,138; Tac. hist. 3,72,3. Il collegamento fra il cognome Sulla/Sylla e la capacità di
interpretare correttamente le oscure indicazioni dei Libri Sibyllini è ricordato da Macr. 1,17,27 Bello
enim Punico hi ludi ex libris Sibyllinis primus sunt instituti suadente Cornelio Rufo decemviro, qui
propterea Sibylla cognominatus est, et postea corrupto nomine primus coepit Sylla vocitari.
39
Da ultima, SUSAN E. ALCOTT, Graecia capta. Politica, economia e società nel paesaggio dell’El-
lade romana (200 a.C.-200 d.C.) (Genova: ECIG, 1999; ed. or. Cambridge-New York: Cambridge
UP, 1993), p. 245.
— 172 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
divinità che erano state le ancestrali garanti della potenza ateniese. Ancor
più simbolico dovette apparire il saccheggio della Stoà di Zeus Eleutherios,
situata presso l’angolo nord-occidentale dell’Agorà del Ceramìco, dalla quale
furono trafugati gli scudi appesi fra le colonne, consacrati solennemente
secondo una consuetudine particolarmente diffusa in Grecia a partire dal
primo ellenismo.40 Il particolare non è secondario, se si pensa che a pochi
anni da quell’episodio ebbe inizio a Roma la consuetudine di decorare gli
edifici romani con le imagines clipeatae, ossia con ritratti entro scudi, i cui
esempi più noti, teste Plinio, furono la domus di M. Emilio Lepido e la
Basilica Emilia, ricostruita dallo stesso personaggio nel 78 a.C. con il chiaro
intento di celebrare la propria gens.41 L’origine o la diffusione di questo
particolare tipo di decorazione celebrativa rimanda significativamente
proprio all’epoca di Mitridate, come illustra la serie di imagines clipeatae
di comandanti militari rinvenuta all’interno del monumento dedicato al
culto del sovrano nell’isola di Delo (GD, 94). Ma scudi di questo tipo e
altri di fattura più realistica, quasi sempre decorati al centro dalla sola stella
macedone, compaiono pochi decenni dopo nelle architetture dipinte tipiche
del II Stile maturo: è, ad esempio, il caso delle pareti lunghe dell’atrio della
cd. Villa di Poppea di Oplontis, databile intorno al 50 a.C., dove sono ben
visibili sia le imagines clipeatae, sia gli scudi macedoni; se le prime, per
la loro posizione, sembrano reinterpretare gli stemmata familiari di norma
presenti negli atri delle domus aristocratiche romane,42 i secondi, associati a
Vittorie alate, potrebbero alludere a edifici trionfali realmente esistenti nella
Roma di quegli anni. Grazie ad un recente studio di F. Coarelli sappiamo
che Silla fece costruire sul Campidoglio ben tre templi, dedicati a Venus
Victrix, Fausta Felicitas e al Genius Publicus [Populi Romani]:43 se, come
40
Paus. 1,26,2 e 10,21,6. Sulla stoa di Zeus Eleutherios cf. HOMER A. THOMPSON RICHARD ERNEST
WYCHERLY, The Athenian Agora, vol. 14 (cit. n. 24), pp. 96-103. Pausania fa esplicito riferimento agli
scudi di Leokritos e Kytios, morti in combattimento rispettivamente contro i Macedoni e i Galati,
ma è probabile che ve ne fossero esposti molti altri, compresi quelli sottratti ai nemici vinti. Sulla
consacrazione degli scudi in edifici pubblici, sacri e celebrativi durante l’età ellenistica cf. ELENA
CALANDRA, The Ephemeral and the Eternal. The Pavilion of Ptolemy Philadelphus in the Court of
Alexandria (Athens: SAIA, 2011), pp. 132-133.
41
Plin. nat. 35,13.
42
Sull’interpretazione allegorica delle pitture dell’atrio della Villa di Oplontis cf. ROLF A.
TYBOUT, Aedificiorum figurae. Untersuchungen zur Architekturdarstellungen des frühen zweiten Stil
(Amsterdam: J.C. Gieben, 1989), pp. 359-360 e GILLES SAURON, La peinture allégorique à Pompèi
(Paris: Picard, 2007), pp. 55-66, il quale ne fornisce una spiegazione filosofico-astrale complessa,
molto differente da quella qui prospettata.
43
FILIPPO COARELLI, “Substructio et Tabularium”, Papers of the British School at Rome, 2010,
78: 107-132, pp. 125-130. L’identificazione rende teoricamente possibile riconoscere in questi edifici
— 173 —
FABRIZIO PESANDO
probabile, gli scudi sottratti alla Stoà ateniese furono inseriti fra le colonne di
questi edifici trionfali, la loro presenza doveva ricordare a tutti una delle più
importanti vittorie del Dittatore e rappresentare una fonte d’ispirazione per
gli apparati decorativi di ricche residenze costruite da personaggi legati al suo
entourage, quale dovette essere il primo proprietario della Villa di Oplontis.44
Infine, nel solco di una tradizione inaugurata quasi un secolo prima da
L. Emilio Paolo, il trafugamento più noto effettuato da Silla nell’84 fu quello
della biblioteca di Apellicone, nella quale, ricorda Plutarco «si trovavano quasi
tutti i libri di Aristotele e di Teofrasto, quest’ultimo allora poco conosciuto
dal grande pubblico».45
Poco tempo dopo, anche un altro piccolo fondo librario, costituito da
testi di indole filosofica, lasciò Atene per l’Italia, ma in questo caso non fra i
bagagli di un comandante romano, ma fra quelli del filosofo Filodemo.
di culto le aedes Capitolinae ricordate da Plinio; tuttavia, le colonne superstiti riferibili ad esse sono
in calcare bianco e non di marmo come dovevano essere quelle provenienti dall’Olympieion.
44
La lettura allegorica delle pitture della Villa ha fatto supporre a G. Sauron che il proprietario
sia da identificare con M. Pupius Piso Frugi Calpurnianus, console nel 61, il quale aveva partecipato
come legato al bellum piraticum del 67 a.C.
45
Plut. Sull. 26. Sul trasferimento delle biblioteche a seguito delle conquiste romane in Oriente
cf. in generale FABRIZIO PESANDO, Libri e biblioteche (Roma: Quasar, 1994), pp. 53-54.
46
Per questa ipotesi, basata sull’identificazione in Filodemo del Socratione sbeffeggiato nel
carme 47 di Catullo, composto proprio nell’anno del proconsolato di Calpurnio Pisone, cf. HERBERT
BLOCH, “L. Calpurnius Piso Caesoninus in Samothrace and Herculaneum”, American Journal of
Archaeology, 1940, 44: 485-493.
— 174 —
EPICURI PARIETINAE: FILODEMO DI GADARA AD ATENE
stesso Silla, interessato a ché gli edifici connessi alle funzioni amministrative
e politiche della città non fossero troppo danneggiati e non venisse pertanto
interrotta troppo a lungo la loro utilizzazione. Tutto il settore occidentale della
South Stoà II era invece occupato da officine e botteghe, la Middle Stoà si
trovava ancora in abbandono, così come le abitazioni situate alle spalle della
Stoà di Attalo. Non stupisce allora che in età cesariana e augustea gli architetti
poterono stravolgere a piacimento l’assetto di queste due zone, impiantando
il grande cantiere dell’Agorà Romana dietro alla Stoà di Attalo e, soprattutto,
costruendo il gigantesco Odeion di Agrippa al centro del lato meridionale del-
l’Agorà che, con la sua mole, determinò un profondo rimodellamento di quanto
restava della Middle Stoà, ridotta allora a una sorta di passeggiata sopraelevata
con vista sulla piazza e sul nuovo edificio per spettacoli. Ma anche lontano
dall’agorà la situazione non era migliore: sull’acropoli si dovette aspettare
la piena età augustea per restaurare l’Eretteo e la stessa sorte fu riservata al
tempio di Asclepio, situato alle sue pendici meridionali; presso la porta del
Dipylon, la necropoli del Ceramìco e il Pompeion giacevano ancora in stato
di totale abbandono e tale situazione fu risolta solo molto tempo dopo, con la
ricostruzione di pieno II secolo d.C. dell’edificio per le processioni. Si potevano
inoltre ancora vedere abitazioni abbandonate e recanti segni di incendio, come
quelle situate alle pendici meridionali dell’Acropoli e la stessa veneranda casa
natale di Epicuro.47 È in stato di profondo abbandono, infatti, che Cicerone
la ricorda pochi anni dopo (51 a.C.): rivolgendosi a C. Memmius, che l’aveva
comprata ottenendo successivamente dall’Areopago la facoltà di abbatterla,
con apparente disinteresse la definisce infatti come Epicuri parietinae. La scelta
di questo termine, molto raro, non lascia dubbi sul suo stato, dal momento
che, secondo la spiegazione etimologica di Isidoro, parietinae sono «i muri in
rovina; sono infatti muri [edifici] senza tetto, senza abitanti».48 Dunque una
casa ormai in abbandono da molto tempo, al punto da essere ridotta in uno
stato tale da poter essere abbattuta, evidentemente a fini speculativi. Abbiamo
visto infatti che essa sorgeva in un quartiere molto popoloso di Atene, ma da
sempre al centro dell’attenzione del locale notabilato per la sua vicinanza alle
grandi vie di comunicazione e alle principali aree politiche e religiose della
città. Tempi e modi della distruzione della casa di Epicuro possono essere
dunque compatibili con il sacco sillano avvenuto quasi trenta anni prima del
suo acquisto da parte di C. Memmius ed è in quello stato di estrema fatiscenza
che Filodemo potrebbe averla vista nel 57/56 a.C. Ma Filodemo la conosceva
47
Sui livelli di distruzione d’età sillana rilevati nel quartiere abitativo a sud del teatro e del tempio di
Dioniso (cd. quartiere ‘Makrygianni’), cf. FICUCIELLO, Le strade di Atene (cit. n. 22), pp. 218-219, n. 1134.
48
Isid. orig. 15,8,4.
— 175 —
FABRIZIO PESANDO
certamente bene anche prima: nello slancio di perorare la causa della sua con-
servazione a Cicerone, Patrone ricorda che era suo dovere di scolarca difendere
«l’onorabilità, il dovere, l’osservanza del testamento, l’autorità di Epicuro, la
fedeltà a Fedro, la sede e il domicilio della sua Scuola, le vestigia degli uomini
sommi». La sede (Giardino) e il domicilio (la casa di Epicuro) della Scuola,
pur distinti fisicamente, sono in quelle parole accomunati dalla stessa finalità
di tramandare l’insegnamento, segno che, al momento della distruzione, alla
casa di Epicuro era attribuita ormai anche questa funzione; essa doveva allora
costituire un ricovero e un luogo d’incontro e di studio per lo scolarca e i suoi
più stretti allievi, fra i quali dobbiamo certamente annoverare, prima e dopo
l’assedio sillano, Zenone e Filodemo. Sappiamo che alla vigilia dell’assedio
proprio Zenone chiese ai synetheis di salvare persone e cose ed è noto che
nella biblioteca della Villa dei Papiri di Ercolano esisteva un gruppo di scritti
epicurei abbastanza antico da poter essere considerato parte di un fondo
librario molto selezionato, frutto di un’accurata collezione antiquaria effettuata
con ogni probabilità da Filodemo;49 è possibile che, almeno una parte di tale
fondo possa essere stata costituita da antichi libri – alcuni dei quali certamente
restaurati dagli scribi attivi nella villa ercolanese50 – tratti in salvo dalla casa
natale di Epicuro alla vigilia della conquista di Atene. Nella villa romana, che
più di ogni altra mostra nella sua struttura e nella sua decorazione il desiderio
di citare monumenti e personaggi connessi con la capitale culturale del mondo
greco, non poteva mancare uno spazio dedicato a Epicuro, uno spazio forse
più intimo e diffuso rispetto a quello creato per evocare idealmente i ginnasi
ateniesi, perché destinato a tramandare gli scritti del fondatore del Giardino e
dei suoi epigoni.51
49
Sulla formazione del più antico nucleo di papiri rinvenuto a Ercolano ed individuato da
GUGLIELMO CAVALLO, “La formazione della biblioteca di Ercolano. Vicende di libri e produzione di
testi”, in Libri scritture e scribi a Ercolano. Introduzione allo studio dei materiali greci, a cura di Guglielmo
Cavallo, Mario Capasso (Napoli: Macchiaroli, 1983), pp. 58-65, pp. 58-60), sintesi in GIGANTE,
Filodemo in Italia (cit. n. 2), p. 23 («Il fondo bibliotecario più antico – è incontrovertibile – si formò
fuori della Campania: fu portato a Ercolano dallo stesso Filodemo molto probabilmente da Atene,
dove egli stesso l’aveva costituito o ereditato dal suo o dai suoi maestri»); DAVID SEDLEY, “Philodemus
and the decentralisation of philosophy” (cit. n. 8), p. 35. Secondo DANIEL DELATTRE, Philodème de
Gadara. De la musique, livre IV (Paris: Les Belles Lettres, 2007), i libri più antichi appartennero forse
alla biblioteca privata di Zenone, acquisiti da Filodemo dopo la sua morte, avvenuta nel 75.
50
Esempi di interventi effettuati su papiri di III o II secolo a.C. provenienti dalla Villa dei
Papiri: GIANLUCA DEL MASTRO, “Papiri ercolanesi vergati da più mani”, Segno e testo, 2010, 8: 3-66,
in particolare pp. 49-55 e 63-64.
51
Sulla Villa dei Papiri e sul significato del suo eccezionale apparato decorativo la bibliografia
è enorme; in questa sede si rimanda a VALERIA MOESCH, “La Villa dei Papiri”, in MARIAROSARIA
BORRIELLO – PIETRO GIOVANI GUZZO – MARIA PAOLA GUIDOBALDI, Ercolano. Tre secoli di scoperte
(Milano: Electa, 2008), pp. 70-79.
— 176 —
BERNARD FRISCHER
The Sculpted Word fu pubblicato per la prima volta nel 1982; la seconda
edizione è del 2006.1 In questo contributo tratterò l’argomento principale
del libro – la ricostruzione e interpretazione del perduto ritratto statuario di
Epicuro – in relazione al dibattito suscitato dal libro e alle nuove scoperte.
Il libro prendeva in esame il modo in cui il maestro epicureo faceva
proseliti per la propria scuola. Ho ipotizzato che la scuola fosse una comunità
alternativa che reclutava nuovi membri sia dall’ambiente più ristretto delle
famiglie e degli amici dei membri stessi, sia da un circolo più esterno, tra gli
sconosciuti. Questa idea è stata largamente condivisa; e gode di un’inaspettata
(per me) e gradita risonanza tra gli storici della Chiesa delle origini. A mio
parere gli Epicurei dovevano affrontare un dilemma: da un lato, definivano la
missione del filosofo non come semplice ricerca della conoscenza, ma anche
come mezzo per ottenere la felicità e la tranquillità. Dall’altro lato, credevano
che per essere al sicuro e in una condizione di felicità, il saggio dovesse ritirarsi
dalla società e al tempo stesso giovare alla collettività – composta ovviamente
soprattutto da sconosciuti – convertendola al proprio modo di pensare e vivere.
Per risolvere questa aporia, ho proposto che nei primi decenni della
scuola, gli Epicurei non reclutassero sconosciuti in modo attivo, tenendo le-
zioni pubbliche o distribuendo scritti di pubblica fruizione, come facevano
altri filosofi. Questo metodo avrebbe rischiato di mettere in pericolo la tran-
quillità interiore del sapiente epicureo. Al contrario, la scuola ricorreva alle
statue di Epicuro e, in seguito, di altri scolarchi quali Ermarco, per diffondere
il proprio messaggio. In questo modo si potevano evitare contatti, poten-
1
BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicureanism and Philosophical Recruitment in Ancient
Greece (Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press, 19821; Berkeley-Los Angeles:
University of California Press, 20072), available online through the Humanities E-Book Project of
the American Council of Learned Societies at: <http://hdl.handle.net/2027/heb.90022.0001.001>.
— 177 —
BERNARD FRISCHER
2
MARTIN FERGUSON SMITH, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription, edited with
Introduction, Translation and Notes (Napoli: Bibliopolis, 1993).
3
Cf. DISKIN CLAY, “Diogenes of Oenoanda”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt,
herausgegeben von Wolfgang Haase, Hildegard Temporini, vol. 2,36,4 (Berlin-New York: De
Gruyter, 1990), pp. 2446-2559.
4
Cf. JOHN M. DILLON, “Philosophy”, in The Cambridge Ancient History, edited by Alan K.
Bowman, Peter Garnsey, Dominique Rathbone (Cambridge: Cambridge UP, 20002), pp. 922-942.
— 178 —
RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
5
Cf. DIRK OBBINK, “POxy. 215 and Epicurean Religious ΘΕΩΡΙΑ”, in Atti del XVII Congresso
internazionale di papirologia, Napoli, 19-26 maggio 1983, vol. 2 (Napoli: Centro internazionale per
lo studio dei papiri ercolanesi, 1984), pp. 607-619.
6
Cf. OBBINK (cit. n. 5), p. 608
7
ELISABETH RAWSON, Intellectual Life in the Late Republic (London: Duckwort, 1985), p. 59.
8
PAMELA GORDON, Epicurus in Lycia: The Second-Century World of Diogenes of Oenoanda (Ann
Arbor: University of Michigan Press, 1996), p. 54.
— 179 —
BERNARD FRISCHER
Metrodoro, Ermarco – sono così simili tra loro che la letteratura scientifica è
estremamente confusa riguardo all’identificazione dei vari busti. Inoltre, abbiamo
molti più ritratti di questi Epicurei che dei rappresentanti di altre scuole filosofiche
antiche. Ho interpretato la questione della somiglianza come una prova decisiva
del fatto che i ritratti fossero più ‘simbolici’ che realistici; il dato quantitativo,
come conferma di quanto gli scrittori antichi ci dicono riguardo al desiderio degli
Epicurei di diffondere l’immagine di Epicuro (Cic. fin. 5,3; Plin. nat. 35,5).
Riguardo poi al simbolismo del ritratto di Epicuro, in base all’idea che, per
giocare un ruolo chiave nel proselitismo, la statua dovesse comunicare qualcosa
riguardo all’essenza di Epicuro e dei suoi ideali, ho interpretato il ritratto come
una combinazione di allusioni a modelli nel repertorio della scultura greca. Tali
modelli potevano essere ingegnosamente combinati in quanto complementari:
quello che un modello non poteva fornire era disponibile in un altro. In par-
ticolare, ho individuato nel ritratto di Epicuro l’integrazione di sei modelli
base: il filosofo, il padre, l’eroe culturale, il salvatore, il megalopsychos, e il dio.
Ad esempio, il modello del filosofo richiedeva che Epicuro avesse la barba e
reggesse un rotolo. Il modello del padre implicava una certa forma della testa e
una certa età del soggetto; ne determinava inoltre la posa e la gestualità.
Questo simbolismo è stato accettato da diversi storici dell’arte. Così Thie-
lemann e Wrede9 citano, approvandolo, il mio confronto dell’iconografia di
Epicuro e quella dell’eroe-culturale Ercole, e accettano la mia intepretazione
secondo cui il trono su cui siede Epicuro deriva da quelli degli dèi. Stewart10
ha riassunto così la mia interpretazione:
il ritratto sembra coinvolgere un certo numero di modelli diversi, con lo scopo di
presentarsi nella luce più favorevole – e accogliente – ai potenziali proseliti. Seduto come
Platone e altri filosofi, Epicuro ricorda anche le figure paterne delle steli attiche; il suo viso
potente, piuttosto allungato, e la barba folta ricordano i due salvatori dell’uomo, Eracle
e Asclepio; i tratti modellati in modo espressivo lasciavano trasparire la ‘grande anima’
all’interno; e infine, i troni erano in passato riservati agli dèi o ai loro sacerdoti.
9
ANDREAS THIELEMANN – HENNING WREDE, “Bildnisstatuen stoischer Philosophen”, Mit-
teilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Athener Abteilung, 1989, 104:109-156.
10
ANDREW F. STEWART, A Greek Sculpture: An Exploration (New Haven: Yale UP, 1990), p. 199.
11
JEREMY TANNER, The Invention of Art History in Ancient Greece (Cambridge: Cambridge UP,
2007), pp. 81-82.
— 180 —
RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
12
MARK ALFANO, Character as Moral Fiction (Cambridge: Cambridge UP, 2013), pp. 183-205.
13
BERNHARD SCHMALTZ, “Das Bildnis des Epikur”, Marburg Winckelmann-Programm, 1985, 17-56.
14
RALF VON DEN HOFF, Philosophenporträts des Früh- und Hoch-hellenismus (München: Biering
& Brinkmann, 1994).
— 181 —
BERNARD FRISCHER
le copie in due gruppi in base a una differenza nel numero di divisioni della
frangia: il tipo A (simmetrico: 3+3); e il tipo B (asimmetrico: 3 a destra + 5 a
sinistra). Riesaminando le copie romane, Schmaltz giunge alla conclusione che
l’Epicuro collocato sulla doppia erma dei Musei Capitolini, di epoca adrianea,
sia il migliore esempio di A. Ritiene poi che il bronzo di Ercolano sia uno dei
migliori esempi di B, più vicino all’originale ellenistico. Questa valutazione è
stata contestata da von den Hoff, per cui i due tipi sarebbero testimoni ugual-
mente validi dell’originale perduto: affermazione che condivido.
Se si passano in rassegna gli ultimi trent’anni di ricerche, colpisce la relativa
mancanza d’interesse per tutta la parte della statua al di sotto della testa. Manca
tuttora uno studio dettagliato che confronti tutti i torsi sopravvissuti. Del
torso è stato studiato solo un aspetto: la gestualità delle mani e delle braccia.
Questo elemento è strettamente legato al modo in cui lo scultore rappresentava
Epicuro: come un pensatore, assorto nelle sue riflessioni; o come un insegnante,
che espone i risultati della sua riflessione a un osservatore immaginario, posto
di fronte alla statua. Richter,15 basandosi su un’incisione pubblicata nel 1732
(fig. 2), propende per la prima ipotesi; The Sculpted Word, per la seconda.
Pollitt tende ad accettare la ricostruzione di Richter per quanto riguarda il
braccio destro della statua, pur affermando che «il punto di vista di Frischer
è certamente sostenibile».16 A suo parere, è decisivo il fatto che le statue di
Metrodoro e Ermarco avessero un braccio sollevato verso la testa; infatti si
presume che tali statue fossero modellate su quella di Epicuro.
A mio parere invece nelle due copie sopravvissute della statua di Ermarco,
il filosofo è rappresentato in posa da insegnante, e non come un pensatore
con il braccio destro rivolto verso l’alto. Al contrario, a giudicare dai torsi di
Copenhagen e soprattutto di Napoli, Metrodoro era rappresentato nell’atto
di ascoltare e imparare. Come si può vedere dal torso di Napoli (la cui testa è
un’aggiunta moderna), Metrodoro sembra ritratto in posa contemplativa, con
il braccio sinistro piegato all’indietro, verso la testa. Peraltro, gli storici dell’arte
concordano generalmente sul fatto che nel ritratto originale, Metrodoro non
fosse seduto sul trono, come nella copia di Napoli, ma sul klismos, come nella
versione di Newby Hall. Ad ogni modo, dal confronto della statua di Epicuro
con quelle dei suoi discepoli si ricavano elementi ambigui. Tuttavia, tale con-
fronto solleva un problema che a suo tempo non ho trattato, vale a dire la
relazione reciproca tra le tre statue. Tornerò su questo punto più avanti.
15
GISELA RICHTER, Portraits of the Greeks (London: Phaidon, 1965).
16
JEROME JORDAN POLLITT, rec. BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicureanism and
Philosophical Recruitment in Ancient Greece (Berkeley-Los Angeles-London: University of California
Press, 1982), Art Bulletin, 1982, 66: 332-335, p. 334.
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RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
VON DEN HOFF, Philosophenporträts des Früh- und Hoch-hellenismus (cit. n. 14), pp. 81-82.
17
18
PAUL ZANKER, The Mask of Socrates: The Image of the Intellectual in Antiquity, translated by
Alan Shapiro (Berkeley-Los Angeles: University of California Press, 1995), trad. it. La maschera di
Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica (Torino: Einaudi, 1997), p. 130.
19
Ibidem, p. 136.
20
Ibidem, p. 136.
21
Ibidem, p. 166, n.32.
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BERNARD FRISCHER
22
HENNING WREDE, rec. a RALF VON DEN HOFF, Philosophenporträts des Früh- und Hoch-
hellenismus (cit. n. 14), Gnomon, 2005, 77: 54-66, 61.
— 184 —
RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
Fig. 3. Epicuro nel mosaico della Casa degli autori greci ad Autun.
23
MICHÈLE BLANCHARD-LEMÉE – ALAIN BLANCHARD, “Épicure dans une anthologie sur mosaï-
que à Autun”, Comptes Rendus des séances de l’Académie des Inscriptions & Belles-Lettres, 1993,
137: 969-984.
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BERNARD FRISCHER
Fig. 4. Metrodoro nel mosaico della Casa degli autori greci ad Autun.
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RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
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BERNARD FRISCHER
Si nasce una volta, due volte non è concesso, ed è necessario non essere più in
eterno; tu, pur non essendo padrone del tuo domani, procrastini la gioia, ma la vita
trascorre in questo indugio e ciascuno di noi muore senza aver goduto del piacere.24
Non è possibile vivere felici se non si vive una vita saggia bella e giusta, né vivere
una vita saggia bella e giusta senza viver felici. A chi manca ciò non è possibile viver
felice.
24
Le traduzioni di Epicuro di GRAZIANO ARRIGHETTI, Epicuro. Opere (Torino: Einaudi, 19732).
25
A. BLANCHARD, “Épicure Sentence Vaticane 14. Épicure ou Métrodore?”, Revue des Études
Grecques, 1991, 104: 394-409.
26
BLANCHARD-LEMÉE – BLANCHARD. “Ėpicure dans une anthologie” (cit. n. 23).
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RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
27
RICHTER, Portraits of the Greeks (cit. n. 14).
— 189 —
BERNARD FRISCHER
E così, nella versione digitale di The Sculpted Word del 2006, ho lavorato
con due talentuosi ingegneri dell’università di Firenze – Alessandro Spinet-
ti e Carlo Atzeni – per ricostruire digitalmente la statua, combinando e ri-
dimensionando scansioni laser di due copie romane ben conservate – il tronco
nel Museo archeologico di Firenze (inv. 70990); e il busto proveniente dalla
Villa dei Papiri nel Museo archeologico di Napoli (inv. 5465). Per la parte
inferiore delle gambe e per i piedi, mancanti nel tronco di Firenze, abbiamo
utilizzato la statua di Firenze di Ermarco (inv. 70989); e (con un classico
esempio di ‘throwing oneself into one’s work’), per il braccio destro man-
cante abbiamo usato il mio stesso braccio destro. Nel posizionare il brac-
cio destro, abbiamo creato versioni che rispecchiassero le due alternative
che avevo considerato possibili in base alle testimonianze: il braccio steso in
avanti, ovvero con l’avambraccio rivolto verso l’alto. Entrambe le pose corri-
spondono all’idea che Epicuro fosse raffigurato nell’atto di comunicare con un
osservatore immaginario, e non assorto nei propri pensieri, ignaro del mondo
circostante. Ho inoltre consultato esperti di scultura quali Andrew Stewart di
Berkeley e Tonio Hölscher di Heidelberg; ora quindi posso presentare ipotesi
ricostruttive che considero più soddisfacenti di quella del 1982 (fig.1).
Possiamo dividere le nuove ipotesi in due tipi principali, con due sotto-
tipi che corrispondono ad altrettante ricostruzioni delle finiture del bronzo:
nel primo caso il bronzo è chiaro, naturale, non trattato; nel secondo è scuro,
annerito con una patina di solfuro. I tipi principali sono quello con il braccio
destro disteso in avanti in gesto di saluto (fig. 5) e quello con il braccio destro
piegato verso l’alto in gesto di insegnamento (fig. 6). Tali sotto-tipi sono com-
pletati dal trono in bronzo, marmo, e marmo dorato. Perché mai una tale
quantità di varianti (12 per essere precisi)? Ci siamo impegnati in un progetto
di ricostruzione e restauro virtuali per cui dobbiamo attenerci alle procedure
definite nella Carta di Londra per la visualizzazione digitale dei beni culturali
(<www.londoncharter.org>). Tra l’altro, questo implica la necessità di rendere
«chiaro agli utenti cosa intenda rappresentare una visualizzazione virtuale:
ad esempio, se le condizioni reali, un restauro basato sulle testimonianze, o
la ricostruzione ipotetica di un oggetto che costituisce bene culturale». Nel
caso della nostra statua, da lungo tempo si è giunti alla conclusione che l’o-
riginale perduto fosse un bronzo, ma non è chiaro se il bronzo fosse al na-
turale o patinato. Inoltre, è possibile che il trono fosse sia di marmo che di
bronzo; ed il marmo poteva essere dorato. Infine dobbiamo rappresentare
le due possibili posizioni del braccio destro: esteso e piegato verso l’alto. È
nostra responsabilità di studiosi presentare tutte queste dodici possibilità ai
nostri interlocutori e, ovviamente, fornire in una pubblicazione pertinente
quelli che nella Carta di Londra vengono definiti «paradata», vale a dire le
testimonianze e le ipotesi su cui si basano le varianti presentate. Le nuove
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RIPENSANDO THE SCULPTED WORD
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BERNARD FRISCHER
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MARCO BERETTA
* Desidero ringraziare Germaine Aujac, Francesco Citti, Ernesto De Carolis, Gianluca Del
Mastro, Nicoletta Guidobaldi, Fabrizio Pesando, Silvana Seidel Menchi, Alessandro Tosi per i pre-
ziosi suggerimenti bibliografici. Non avendo competenze critiche nell’ambito della storia dell’arte,
nell’illustrare le testimonianze iconografiche di Lucrezio mi sono limitato a trattare esclusivamente
gli elementi storici che legano le immagini del poeta alla sua opera e al contesto culturale che le ha
prodotte e identificate.
1
«As to ancient philosophers (with the partial exception of Socrates) and the ancient men
of science, it is more honest to admit our ignorance. The publication of anyone of their so-called
portraits is nothing but a lie, a monumental lie». GEORGE SARTON, “Portraits of Ancient Men of
Science”, Lychnos, 1944-1945, pp. 249-256, p. 256. Altrove però Sarton ammetteva che «scientific
ideas and remembrances are transmitted not only by literary texts but also by monuments, such
as buildings, tombstones, instruments and objects of many kinds. […] The most attractive of the
monuments are the statues, busts, or painted portraits». ID., Horus. A Guide to the History of Science,
(Waltham Mass.: Chronica Botanica Company, 1952), pp. 42-43.
— 193 —
MARCO BERETTA
2
GISELA M. A. RICHTER, The Portraits of the Greeks, vol. 2 (Leichester: Phaidon Press, 1965),
pp. 194-200; BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word. Epicureanism and Philosophical Recruitment
in Ancient Greece (Berkeley-Los Angeles: University of California Press, 1982), p. 175 (con biblio-
grafia) e il contributo dello stersso Frischer in questo volume. La Richter ha individuato ben 22 busti
e statue raffiguranti Ermarco, 19 Metrodoro e 8 Colote.
3
Superiore alla trentina.
4
BERNARD FRISCHER, The Sculpted Word (cit. n. 2).
5
DISKIN CLAY, “The Cult of Epicurus”, Cronache Ercolanesi, 1986, 16: 11-27. Il contributo
di Clay costituisce un’indispensabile integrazione, con numerose testimonianze antiche, ai citati
studi della Richter e di Frischer. Due importanti aggiornamenti che tengono conto, tra le altre cose,
di nuovi ritrovamenti papirologici sono quelli di Francesca Longo Auricchio e Giovanni Indelli
pubblicati nel presente volume.
— 194 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
riserva i contenuti della dottrina epicurea, visto che essa, più di tutte le altre,
si configurava come un’insidia ai fondamenti teologici della nuova religione.
Questa cieca campagna di censura aveva dato i suoi frutti già nel 363 d.C.,
tanto che Giuliano poteva esprimersi nel modo che segue:
Ai trattati di un Epicuro o di un Pirrone sia precluso l’accesso, come del resto
fortunatamente gli dèi hanno già sterminato la maggioranza di queste opere.6
6
Jul. fr. 89b, citato in WOLFGANG SCHMID, Epicuro e l’epicureismo cristiano (Brescia: Paideia,
1984), p. 143: i corsivi sono miei.
7
Cic. Att. 2,8,2.
8
Sul programma epicureo della statuaria della Villa dei Papiri si veda il saggio DEMETRIOS
PANDERMALIS, “Sul programma della decorazione scultorea,” apparso in traduzione italiana in La
Villa dei Papiri, Suppl. a Cronache Ercolanesi, 1983, 13: 19-50; sugli affreschi a Pompei MATTEO
DELLA CORTE, “La scuola di Epicuro in alcune pitture pompeiane,” Studi Romani, 1959, 7: 129-145.
9
KNUT KLEVE, “Lucretius in Herculaneum,” Cronache Ercolanesi, 1989, 19: 5-27. L’identifica-
zione di Kleve è stata contestata in vari saggi da Mario Capasso e confermata nell’efficace sintesi della
— 195 —
MARCO BERETTA
disputa da DIRK OBBINK, “Lucretius and the Herculaneum Library”, in The Cambridge Companion
to Lucretius, edited by Stuart Gillespie, Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP, 2007), pp. 33-40.
10
GILLES SAURON, “Templa serena,” in La Villa dei Papiri (cit. n. 8), pp. 69-82, pp. 81-82.
Su questo stesso tema Andrew Wallace-Hadrill ha scritto che «the burghers of Pompeii were not
incapable of quasi-epicurean sentiment» (“Horti and Hellenization”, in Horti Romani, Atti del
Convegno internazionale, Roma 4-6 maggio 1995, a cura di Maddalena Cima, Eugenio La Rocca
[Roma: l’Erma di Bretschneider, 1998] p. 11). Marcello Gigante ha notato l’assonanza del passo
Lucreziano con un epigramma di Filodemo (MARCELLO GIGANTE, Filodemo in Italia [Firenze: Le
Monnier, 1990], pp. 69-70). La posizione di Sauron è stata recentemente messa in discussione, per
la verità senza argomenti nuovi o del tutto convincenti, da MARIO CAPASSO, “Who Lived in the Villa
of the Papyri at Herculaneum – A Settled Question?” in The Villa of the Papyri at Herculaneum:
Archaeology, Reception, and Digital Reconstruction, edited by Mantha Zarmakoupi (Berlin-New York:
De Gruyter, 2010), pp. 89-113. Si veda il contributo di Maria Paola Guidobaldi in questo volume.
11
“Die Wandinschriften im sog. Haus des M. Fabius Rufus”, in Neue Forschungen in Pompeji
und den anderen vom Vesuvausbruch 79 nach Christi verschütteten Städten, herausgegeben von
Bernard Andreae, Helmut Kyrieleis (Recklinghausen: Aurel Bongers, 1975), pp. 243-266, pp. 250-
251. Sul graffito si veda anche la scheda di ANTONIO VARONE, in Rediscovering Pompeii (Roma:
L’Erma di Bretschneider, 1990), pp. 150-153.
12
Per una più ampia contestualizzazione si veda MARCELLO GIGANTE, Civiltà delle forme
letterarie nella antica Pompei (Napoli: Bibliopolis, 1979).
13
MARIA RITA WOJCIK, La Villa dei Papiri ad Ercolano (Roma: L’Erma di Bretschneider, 1986);
CAROL C. MATTUSCH, The Villa dei Papiri at Herculaneum: Life and Afterlife of a Sculpture Collection
(Los Angeles: The Paul J. Getty Museum, 2005); SHEILA DILLON, Ancient Greek Portrait Sculpture.
Context, Subjects, and Styles (Cambridge: Cambridge UP, 2006); VALERIA MOESCH, La Villa dei Papiri
(Napoli: Electa, 2009). Anche il recentissimo volume curato da MANTHA ZARMAKOUPI, The Villa of
the Papyri at Herculaneum (cit. n. 9) lascia in secondo piano la questione della presenza epicurea.
14
GUIDO DELLA VALLE, Tito Lucrezio Caro e l’epicureismo campano (Napoli: Atti dell’Accademia
Pontaniana, 1933), pp. 185-496.
— 196 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
15
KNUT KLEVE, “Lucretius in Herculaneum” (cit. n. 9). Come accennato più sopra (n. 9), il
ritrovamento di Kleve è stato vivacemente contestato da MARIO CAPASSO, “Filodemo e Lucrezio: due
intellettuali nel Patriai tempus iniquum”, in Le jardin romain. Épicurisme et poésie à Rome. Mélanges
offerts à Mayotte Bollack, édité par Annik Monet (Villeneuve d’Ascq: Université Charles-de-Gaulle
– Lille 3, 2003), pp. 77-107. La critica di Capasso è condivisa da JAMES WARREN, “Lucretius and
Philodemus”, Classical Review, 2005, 55: 116-118. Tra coloro che, al contrario, hanno accettato
la scoperta spiccano gli autorevoli riconoscimenti di Martin Ferguson Smith nella sua riedizione
dell’edizione Loeb del De rerum natura (1992) e di Enrico Flores nella recente edizione del poema
lucreziano. La polemica è ricostruita dallo stesso Kleve nel recente saggio “The Puzzle Picture of
Lucretius: A Thriller from Herculaneum”, in A Master of Science History. Essays in Honor of Charles
Coulston Gillispie, edited by Jed Z. Buchwald (Dordrecth: Springer, 2012), pp. 63-78.
16
TIZIANO DORANDI, “Lucrèce et les Épicuriens de Campanie,” in Lucretius and his Intellectual
Background, edited by Keimpe A. Algra, Mieke H. Koenen, Piet H. Schrijvers (Amsterdam: Royal
Netherlands Academy of Arts and Sciences, 1997), pp. 35-48.
17
Cf. Plin. nat. 35,11 Imaginum amorem flagrasse quondam testes sunt Atticus ille Ciceronis edito de
iis volumine, M. Varro benignissimo invento insertis voluminum suorum fecunditati etiam septingentorum
inlustrium aliquo modo imaginibus, non passus intercidere figuras aut vetustatem aevi contra homines
valere, inventor muneris etiam dis invidiosi, quando inmortalitatem non solum dedit, verum etiam in omnes
terras misit, ut praesentes esse ubique ceu di possent. et hoc quidem alienis ille praestitit (Trad. di ROSSANA
MUGELLESI, Gaio Plinio Secondo. Storia naturale, vol. 5, Mineralogia e storia dell'arte, Libri 33-37, traduzioni
e note di Antonio Corso, R. M., Gianpiero Rosati [Torino: Einaudi, 1988], p. 303).
18
Interessante, per inciso, è il riferimento ad Attico che, come è noto, fu, sia pur blandamente,
un seguace della filosofia di Epicuro. Pochi anni prima della morte di Lucrezio, nel luglio del 51
— 197 —
MARCO BERETTA
a.C., Cicerone aveva informato Attico (Att. 5,11,6) di aver scritto a Memmio, il dedicatario del De
rerum natura e proprietario dei terreni ad Atene ove sorgevano i ruderi della casa di Epicuro, per
dissuaderlo dal progetto di demolirla.
19
«The head of Lucretius is given on a gem». KARL OTFRIED MÜLLER, Ancient Art and its
Remains: or A Manual of the Archaeology of Art, (London: Fullarton, 18472), p. 497.
20
«To this perplexing uncertainty, there is one fortunate and remarkable exception in the
Lucretius, on black agate (formerly Dr. Nott’s), in scribed LVCR in the lettering of his own time;
accepted by the infallibility of the Roman Archaeological Institute, and K. O. Müller, as the
unquestionable vera effigies of the poet-philosopher». CHARLES WILLIAM KING, “The portraiture of
the Ancient,” The Archaeological Journal, 1870, 27: 16-35, p. 29. Vedi anche ID., The Handbook of
Engraved Gems (London: Bell, 1866), p. 376.
21
«To the advice and friendly assistance of my brother fellow Mr King, our highest authority
in that branch of art, is due the likeness of the poet which appears on the titlepage. With K. O.
— 198 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
Müller, Emil Braun and other judges he is convinced that the original on a black agate represents
our Lucretius. The style of art and the finely formed letters of the name point to the late republic».
T. Lucreti Cari de rerum natura Libri Sex, with Notes by [Hugh Andrew Johnstone] Munro, vol. 1,
2nd edition revised throughout and enlarged (Cambridge: Deighton Bell, 1866), p. VIII.
22
JOHN JAKOB BERNOULLI, Römische Ikonographie, vol. 1 (Stuttgart: Spemann, 1882), p. 235.
23
«If there be any portrait of Lucretius, it is profile on a sard, published by Mr Munro in
his famous edition of the poet. The letter LVCR are inscribed on the stone, and appear to be
contemporary to gem. This, at least, is the opinion of Mr. A.S. Murray, of the late Mr C. W. King,
Braun and Müller. On the other hand, Bernoulli (‘Rom. Icon.’ i., 247) regards this, and apparently
most other Roman gems with inscriptions, as ‘apocryphal’. The ring which was in the Nott collection,
is now in my possession. If Lucretius were the rather pedantic and sharp-nosed Roman of the gem,
his wife had little reason for the jealousy which took so deplorable a form. Cold this Lucretius may
have been, volatile-never! Mr Munro called the stone a ‘black agate,’ and does not mention its
provenance. The engraving in his book does no justice to the portrait». ANDREW LANG, Letters on
Literature (London-New York: Longmans - Green and Co., 1889) p. 200.
24
«September 27, I went myself to take out a head in bronze, which proved to be that of
Seneca, and the finest, that has hitherto appeared […] The artist has chosen to represent him in
all those agonies, which the poor man must have suffered when ready to expire». Pubblicato in
DOMENICO COMPARETTI – GIULIO DE PETRA, La Villa ercolanese dei Pisoni. Suoi monumenti. La sua
biblioteca. Ricerche e notizie (Torino: Loescher, 1883), p. 241.
— 199 —
MARCO BERETTA
25
THEODOOR GALLE, Illustrium imagines ex antiquis marmoribus, nomismatibus, et gemmis
expressae: quae extant Romae, maior pars apud Fuluium Vrsinum (Antuerpiae: ex Officina Plantiniana,
1606) tavola 131, p. 149.
26
Oggi conservato negli Staatliche Museen di Berlino.
27
Su questo busto si veda DOMENICO COMPARETTI – GIULIO DE PETRA, La Villa ercolanese (cit.
n. 23) e, con ampi riferimenti bibliografici, il saggio di HELGA VON HEINTZE, “Pseudo-Seneca. Esiodo
o Ennio?”, in La Villa dei Papiri (cit. n. 8), pp. 51-63. Per un descrizione, pressoché completa delle
copie del busto di Pseudo-Seneca si veda il lavoro di RICHTER, The Portraits of the Greeks (cit. n. 2),
vol. 1, pp. 58-66; la Richter propende per identificare il busto con l’effigie di Esiodo.
28
MATTUSCH, The Villa dei Papiri at Herculaneum (cit. n. 12), pp. 249-253.
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IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
Fig. 4a. Statua di Epicuro decollata rinvenuta ad Atene nell’area del Giardino. II sec.
a.C. Atene, Terza Soprintendenza alle Antichità. Fig. 4b. “Filosofo Epicureo” dai tratti
identici allo Pseudo Seneca (fig. 2) ma dalla postura tipica dello scolarca Epicureo (fig.
4a), II sec. d.C., Madrid, Museo El Prado.
29
Statua proveniente dalla collezione romana della Regina Cristina di Svezia e conservata presso
il Museo Nazionale del Prado di Madrid (N. inv. E00160), dimensioni 56 cm x 23 cm x 35 cm. Val la
pena riportare la scheda descrittiva della statua: «El cuerpo es copia romana de un original helenístico
de h. 270 a.C. que acaso representaba a un filósofo de la escuela epicúrea; la cabeza es una obra barroca,
copia del conocido tipo denominado “pseudo-Séneca”. Aparece mencionada por primera vez en la
— 201 —
MARCO BERETTA
un poeta nella copia romana del busto e quelli di filosofo epicureo nella sta-
tua conservata al Prado sembrano ridare un qualche vigore all’ipotesi, for-
mulata all’inizio del secolo scorso, che si tratti di un ritratto di Lucrezio.
Purtroppo, come si vedrà poco oltre, gli argomenti addotti a favore di tale
ipotesi, avanzata senza che si fosse a conoscenza della statua conservata al
Prado, erano piuttosto fragili se non addirittura controproducenti. Solo un
approfondito studio della statua del Prado30 potrà eventualmente riaprire la
questione e dipanare le nebbie che avvolgono questo affascinante ritratto.
Fu Georg Lippold nel 1918 a lanciare l’idea, in una brevissima nota, che il
busto della Villa dei Papiri rappresentasse Lucrezio,31 ma era ancora un volta
Guido Della Valle, fatta propria la congettura di Lippold, ad approfondire
il tema in un lungo saggio apparso nel 1936 nei Rendiconti dell’Accademia
dei Lincei.32 Molti erano gli argomenti addotti da Della Valle in favore di tale
attribuzione: 1. nessuna copia del busto era stata trovata in Grecia; 2. la maggior
parte delle copie proviene da Roma e dalla Campania, centri dove Lucrezio era
stato maggiormente studiato; 3. il busto originale, in ragione della perfezione
della sua esecuzione, era quello rinvenuto nella Villa dei Papiri ove erano stati
trovati numerosi busti di Epicuro e dei suoi seguaci; 4. due copie in marmo del
busto erano state trovate a Pompei assieme a sculture di Epicuro o di personaggi
riconducibili alla cerchia epicurea. Sulla base di queste considerazioni, Della
Valle concludeva che il personaggio effigiato dal bronzo ercolanese e dalle nu-
merose repliche marmoree doveva possedere i seguenti requisiti:
1° esser vissuto in Italia nel primo secolo a. C.;
2° esser rimasto ignoto in tutte le terre di cultura greca (Egeo, Asia Minore, Siria,
Egitto, Ellade, Sicilia).
3° esser stato particolarmente celebre in Ercolano e, subordinatamente, in
Pompei, Stabia, altre città campane e Roma;
colección de Cristina de Suecia y aparece ya restaurada como efigie de Séneca y, desde entonces, no
parece haber sufrido variaciones sensibles hasta hoy. Su historia es común a la del resto de la colección
de la reina Cristina: paso a la colección de Livio Odescalchi, al Palacio de La Granja, y al Real Museo
de Madrid. En cuanto a la identificación de la obra con Séneca, parece generalizada hasta el siglo XIX,
cuando la crítica pone en duda su nombre tradicional. El modelo de la estatuilla, que presenta gran
afinidad estilística con las estatuas de Epicuro y Metrodoro, ha sido esculpido en el mismo momento,
después de la muerte de Epicuro (271/70 a.C.). La pequeña estatua fue colocada hacia 150 d.C. por
su propietario, probablemente un epicúreo, en la biblioteca o en el larario de su casa». <https://www.
museodelprado.es/coleccion/galeria-on-line/galeria-on-line/obra/filosofo-epicureo/>
30
Compito che esula dalle mie competenze e dalla natura introduttiva della presente nota.
31
GEORG LIPPOLD, “Ikonographische Probleme”, Römische Mitteilungen, 1918, 33: 14-18.
32
GUIDO DELLA VALLE, “Il ritratto di Lucrezio. Nuovi motivi a favore della congettura di
Georg Lippold circa il tipo iconografico dello Pseudo-Seneca”, Rendiconti dell’Accademia Lincei,
Sezione di Scienze morali, serie VI, 1936, 12: 571-620.
— 202 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
4° poeta;
5° filosofo;
6° propugnatore della dottrina epicurea;
7° triste, malato, pessimista.33
L’ipotesi seducente che la fama avesse arriso a Lucrezio solo dopo la morte
e la pubblicazione postuma del De rerum natura, offriva un ottimo argomento
a favore di un ritratto idealizzato.
Anche se l’articolo di Della Valle non è privo di altre ingegnose congetture, il
risultato finale non rende la sua ipotesi più probabile delle altre attribuzioni che si
sono susseguite. Del resto Della Valle si era servito di dati del tutto ipotetici, come
i supposti tormenti di Lucrezio, tratti da biografie (si pensi solo alla Vita Borgiana)
che spacciavano per eventi biografici certi deliberate e macroscopiche falsificazioni
di origine patristica e antiepicurea.36 Bisogna però ammettere che, ancora oggi,
non è infrequente imbattersi in profili biografici che danno ancora qualche
credito alla presunta follia e suicidio di Lucrezio e che, salvo qualche eccezione,
insistono sull’inclinazione malinconica che, in apparente contraddizione con la
serenità della dottrina epicurea, pervaderebbe il De rerum natura.
Se attorno al busto delle Pseudo-Seneca aleggia un alone impenetrabile
di mistero, una semplice menzione merita l’incisione, conservata presso il
33
DELLA VALLE, “Il ritratto di Lucrezio” (cit. n. 32), pp. 605-606.
34
Questa obiezione, sostenuta tra gli altri anche da PAUL ZANKER, La maschera di Socrate. L’im-
magine dell’intelletturale nell’arte antica (Torino: Einaudi, 1997), p. 246, è contraddetta, per non fare
che un esempio, da Marziale il quale per schernirsi di un certo Pannico, infatuato superficialmente
dai filosofi greci, si era fatto crescere, a loro imitazione, una lunga barba (Mart. 9,47).
35
DELLA VALLE, “Il ritratto di Lucrezio” (cit. n. 32), pp. 612-613.
36
Cfr. LUCIANO CANFORA, Vita di Lucrezio (Palermo: Sellerio, 1993). Per quanto riguarda le biografie
umanistiche di Lucrezio, GIUSEPPE SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (Bari: Dedalo, 2000).
— 203 —
MARCO BERETTA
37
L’incisione veniva pubblicata, con il riferimento alla sua collocazione, in Lucretius. Of the
nature of things, a Metrical Translation by William E. Leonard (London: Dent, 1916).
38
ALISON BROWN, The Return of Lucretius to Renaissance Florence (Cambridge Mass.: Harvard
UP, 2010).
39
Sulla vicenda dei codici fiorentini e italici si veda il saggio di MICHAEL D. REEVE, “The Italian
Tradition of Lucretius”, Italia Medioevale e umanistica, 1980, 23: 27-48.
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IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
Fig. 6. Incipit miniato di uno dei codici Lucreziani commissionati dai Medici a Firenze nel
Quattrocento. Firenze, Biblioteca Laurenziana Plut. 35.
— 205 —
MARCO BERETTA
Fig. 7a. Frontespizio del De rerum natura, Paris, 1514. Fig. 7b. Dettaglio del frontespizio.
— 206 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
40
ENRICO FLORES, Titus Lucretius Carus. De rerum natura, edizione critica con introduzione e
versione, vol. 1 (Napoli: Bibliopolis, 2002), p. 40.
41
COSMO ALEXANDER GORDON, A Bibliography of Lucretius (London: Davies, 1962), p. 289.
42
Ne sono testimonianze le biografie apparse a Firenze di Pietro del Riccio Baldi o Petrus
Crinitus (1505) e di Pietro Candido (1512). Vedi SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (cit. n. 36).
43
Si veda Immaginare l’autore. Il ritratto del letterato nella cultura umanistica. Ritratti ricardiani,
a cura di Giovanna Lazzi (Firenze: Polistampa, 1998); Immaginare l’autore. Il ritratto del letterato
nella cultura umanistica, a cura di Giovanna Lazzi, Paolo Viti (Firenze: Polistampa, 2000).
44
Riproduzioni degli incipit di alcuni di questi codici si trovano in Biblioteca Corviniana (Budapest:
Kner, 1987), p. 74; Rome Reborn. The Vatican Library and Renaissance, edited by Anthony Grafton
(New Haven: Yale UP, 1993), pp. 159-160; Vedere i classici. L’illustrazione libraria dei testi antichi dall’età
romana al tardo medioevo, a cura di Mario Buonocore (Roma: Palombi, 1996), pp. 506-507.
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MARCO BERETTA
Fig. 8a. Dettaglio dei ritratti di Lucrezio e Ovidio nella Geografia di Strabone (Basilea, 1523).
Giovan Battista Pio.45 In realtà, come era consuetudine dei tipografi del tempo,
Le Petit aveva riprodotto, con qualche insignificante variante iconografica, il
frontespizio delle opere di Origene da lui pubblicate nel 1512.46 Per un’in-
felice e probabilmente involontario paradosso, la prima immagine di Lucrezio
era stata ripresa da quella di uno dei più feroci censori dell’eresia dell’epoca
tardo antica!
Secondo Gordon un nuovo ritratto di Lucrezio apparve nel frontespizio
degli Adagia di Erasmo pubblicato nel 1520 a Basilea da Froben (con le inci-
sioni di Urs Graf),47 ma sia questa edizione sia quella del 1523 sono prive del
ritratto di Lucrezio, mentre quella del 1536 apparve addirittura senza fron-
tespizio inciso.48 In realtà, come ha mostrato di recente Germaine Aujac,49 il
doppio ritratto (figg. 8a-8b) apparve nell’edizione della Geografia di Strabone
45
In carum Lucretium poetam commentarii a Ioanne Baptista Pio editi (Paris: Jean Petit, 1514).
L’edizione originale del commento di Pio, priva di illustrazioni, era apparsa a Bologna nel 1511.
46
Primus [-quartus] tomus operum Origenis Adamantii […] -Venundantur in ędibus Joannis
Parvi et Jodoci Badii […] (Paris; In aedibus Ascensiani, 1512).
47
«In 1520 [Lucretius] had appeared among other classical authors in the folio woodcut title-
page border of Erasmus’ Adagia issued by Froben at Basel. The design may be by Holbein and in it
the poet is shown shaking his fist at the heavens. This border was used again by Gryphius for Dolet’s
Commentarium linguae latinae, 1536». GORDON, A Bibliography of Lucretius (cit. n. 40), p. 154.
48
Ringrazio Christian Scheidegger della Zentralbiblioteck di Zurigo e Silvana Seidel Menchi
per le preziose informazioni circa le edizioni Froben degli Adagia.
49
GERMAINE AUJAC, “La culture classique à Bâle au temps d’Érasme d’après trois frontispices”,
Anabases, 2009, 10: 161-180.
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IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
— 209 —
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50
Valentinus Curio lectori: En tibi lector studiose Strabonis Geographicorum com(m)e(n)tarios,
olim, ut putatur, a Guarino Veronense, & Gregorio Trifernate (sic) latinitate donatos, iam vero denuo
a Conrado Heresbachio. Recognitos (Basilea: in aedibus Valentini Curionis, 1523).
51
CLEMENS ROMANUS, Recognitionum Libri X […] Rufino Torano Aquileiense Interprete (Basel:
J. Bebel, August 1526).
52
ETIENNE DOLET, Commentarium Linguae Latinae (Lyon: Sebastian Gryphius, 1536-38).
53
T. Lucretii Cari Poetae, nec minus philosophi vetustissimi, de rerum nature libri sex. Ad
verorum exemplarium fidem accuratè castigati (Basel: Apud Henricum Petrum, Mense Augusto Anno
1531).
54
Dante Alighieri. Comedia, con l’espositione di Cristophoro Landino: nuovamente impressa
(Venezia: J. Del Burgofranco, 1529). L’esemplare da cui ho riprodotto il frontespizio fu posseduto,
come si evince dall’iscrizione, da Giovan Battista Della Porta ed è conservato nella Waller Collection
(n. 19549) presso la Uppsala University Library.
— 210 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
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MARCO BERETTA
Come si vede il testo che accompagna l’incisione invoca la pace nei pae-
si Bassi e fa quasi certamente riferimento alle guerre intestine e contro gli
spagnoli scoppiate nel 1567 e continuate fino all’Unione di Utrecht nel 1579.
La datazione dell’opera si deve dunque inquadrare entro questo arco di tem-
po, durante il quale, ad eccezione di un breve soggiorno a Napoli nel 1576,
Stradano risedette a Firenze.
Nella parte superiore dell’incisione appare, in profilo, un ritratto di Lu-
crezio laureato e in abito rinascimentale. Se il soggetto di Marte addormentato
tra le braccia di Venere era assai comune tra i pittori fiorentini, il ritratto del
poeta, di cui purtroppo si ignorano sia committente sia contesto intellettuale,
è inedito e sarebbe molto interessante conoscerne l’origine e la destinazione.
Vorrei però brevemente richiamare l’attenzione su un’altra opera di Stradano
a cui non è forse estraneo l’interesse per Lucrezio. Si tratta della celebre serie
di incisioni sulla storia delle scoperte scientifiche e tecnologiche realizzata
negli stessi anni con il titolo di Nova reperta.56 Oltre a testimoniare il profondo
55
Su questa collaborazione vedi ALESSANDRA BARONI VANNUCCI, Jan Van Der Straet detto
Giovanni Stradano: flandrus pictor et inventor (Roma: Jandi Sapi, 1997).
56
New discoveries: the sciences, inventions and discoveries of the Middle Ages and the Renais-
sance as represented in 24 engravings issued in the early 1580s by Stradanus, edited by Bern Dibner
(Norwalk: Burndy library, 1953).
— 212 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
Fig. 10. Giovanni Stradano, Venere e Marte con ritratto di Lucrezio (ca. 1580). Collezione
privata.
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MARCO BERETTA
57
Le poete Lucrèce latin et françois, de la traduction de M.D.M. (Paris: Touissanct, 1650).
58
Lucrèce, de la nature des choses; avec des remarques sur les endroits les plus difficiles. Traduction
nouvelle (Paris: Guillain, 1685).
59
Titus Lucretius Carus De rerum natura (Amsterdam: Janssonium, 1620).
60
An essay on the first book of T. Lucretius Carus De rerum natura interpreted and made English
verse by J. Evelyn (London: printed for Gabriel Bedle and Thomas Collins, 1656).
— 214 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
— 215 —
MARCO BERETTA
Fig. 13. Ritratto di Lucrezio/Creech nella seconda edizione della traduzione inglese del
De rerum natura (1683). Fig. 14. Ritratto di Lucrezio (1713).
della sua traduzione in inglese indica Lucrezio come «The Epicurean philos-
opher» e non rinuncia, come aveva fatto Evelyn, ad affrontare gli spinosi
contenuti del poema.61 Nel frontespizio realizzato da M. Burghers su precise
istruzioni di Creech e pubblicato nel 1683 nella seconda edizione oxoniense
della traduzione inglese (fig. 13), Lucrezio è ritratto come poeta, attorno a
lui sono visualizzati i principali temi trattati nel poema e, per la prima volta
nella storia dell’iconografia scientifica,62 troviamo una rappresentazione di un
fascio di atomi emanati da una sfera circoscritta dal motto casus. Si notano in
primo piano e sullo sfondo specie animali realmente esistenti mescolate con
61
T. Lucretius Carus. The Epicurean Philosopher. His Six Books De rerum natura Done into
English Verse, With notes (Oxford: Lichfield, 16832).
62
CHRISTOPH LÜTHY, “The Invention of Atomist Iconography,” in The Power of Images in
Early Modern Science, edited by Wolfgang Lefèvre, Jürgen Renn, Urs Schoepflin (Basel-Boston-
Berlin: Brikhäser Verlag, 2003), pp. 117-138, p. 122.
— 216 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
63
GAVINA CHERCHI, Tra le immagini. Ricerche di ermeneutica e iconologia (Siena: Cadmo,
2002), p. 105.
64
Titi Lucretii Cari De rerum natura Libri sex (Londini: Ex Officina Jabobi Tonson & Johannis
Watts, 1713).
65
PIERRE GASSENDI, Animadversiones in decimvm librvm Diogenis Laertii, qvi est de vita,
moribus, placitisque Epicvri: continent autem Placita, quas ille treis statuit philosophiae parteis: I,
Canonicam nempe, habitam Dialecticae loco; II, Physicam, ac imprimis nobilem illius partem meteo-
rologiam; III, Ethicam, cuius gratiâ ille excoluit caeteras (Lugduni: apud Guillelmum Barbier, 1649).
— 217 —
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— 218 —
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IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
68
Titi Lucretii Cari De rerum natura Libri sex (Londini: Jacobi Tonson, 1712); Titi Lucretii
Cari De rerum natura Libri sex (Lipsiae: Suickerti, 1776); Titi Lucretii Cari De rerum natura Libri
sex (Bisonti: Typographia Societatis, 1782); The Nature of Things. A Didascalic Poem […] Translated
[…] by Thomas Busby (London: Marchant and Galabin, 1813). Fino all’edizione del 1782 si usarono
copie del ritratto di Epicuro/Socrate pubblicato da Gassendi e non di quello autentico venuto alla
luce dopo gli scavi della Villa dei Papiri del 1754.
69
T. Lucretii Cari de rerum natura Libri sex. Cum notis integris Dionysii Lambini, Oberti
Gifanii, Tanaquilli Fabri, Thomae Creech, et selectis Jo. Baptista Pii, aliorumque, curante Sigeberto
Havercampo (Lugduni Batavorum: Janssonios van der Aa, 1725). Le incisioni sono di Frans van
Mieris jr.
70
De Werken van T. Lucretius Carus (Amsterdam: Petzold, 1701); una seconda edizione è ap-
parsa con le stesse incisioni nel 1709 ma con un titolo diverso: Lucretius Carus, in een natuurkundige
Redeneringe, over de Beginzelen, Voortelinge der Menschen, Gediertens, Boomen, Planten, de oorzaak
van Liefde, Slaap, Droomen, Wind, Onweeder, Donder, Blixem, Pest, Doorzigten, Vlaktens, Kleuren,
en afstand der Voorwerpen. De nietigheid der Gooden en bygeloovigheden der blinde Heidenen zyner
tyd. Uit het Latyn vertaald door J.D. Wit, M.D. (Amsterdam: Jacob Lescailje, 1709).
71
Tale contrapposizione tra la ragione e l’oscurità si evince anche nelle rimanenti tavole di de
Hooge.
— 221 —
MARCO BERETTA
Fig. 19. Frontespizio con Epicuro e Lucrezio (1754). Fig. 20. Profilo di Lucrezio (1831).
72
Di Tito Lucrezio Caro della natura delle cose libri sei tradotti dal latino in italiano da Alessandro
Marchetti (Amsterdam [o Paris?]: a spese dell’editore, 1754). Le incisioni sono di Charles Eisen, C.
N. Cochin fils, N. Le Mire, Tardieu.
— 222 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
— 223 —
MARCO BERETTA
73
T. Lucretii Cari De rerum natura Libri sex (Torino: Pomba, 1831).
74
La natura delle cose di T. Lucrezio Caro recata in verso italiano dal cav. Gaetano Renieri
(Firenze: Batelli e figli, 1833).
75
WILFRID FONVIELLE – CAMILLE GILBERT, Le monde des atomes (Paris: Hachette, 1885).
— 224 —
IMMAGINARE LUCREZIO. NOTE STORICHE SULL’ICONOGRAFIA LUCREZIANA
— 225 —
ELENA NICOLI
1
Sul commento medievale e umanistico, cf., tra gli altri, Il commento ai testi, Atti del seminario di
Ascona, 2-9 ottobre 1989, a cura di Carlo Caruso, Ottavio Besomi (Basel-Boston-Berlin: Birkhauser,
1992) e GIAN CARLO ALESSIO, “Edizioni medievali”, in Lo spazio letterario del Medioevo, Il Medioevo
latino, vol. 3, La ricezione del testo (Roma: Salerno Editrice, 1995), pp. 29-58, in particolare il par. 3,
«Le “edizioni critiche” dei classici».
2
Le notizie sulla vita di Giovan Battista Pio sono scarse e talvolta contraddittorie: egli nacque
probabilmente a Bologna, nella seconda metà del Quattrocento; fu allievo di Filippo Beroaldo il
Vecchio e di Bartolomeo Bianchini. Insegnò a Bologna, Bergamo, Mantova – come precettore di
Isabella d’Este –, Milano, Roma e Lucca. Curò numerose edizioni di autori latini, tra cui quella
di Lucrezio. Cf. VALERIO DEL NERO, “Note sulla vita di Giovan Battista Pio (con alcune lettere
inedite)”, Rinascimento, 1981, 21: 247-263.
3
In una epistola del 1492, Marsilio Ficino dichiarava di aver composto, in gioventù, dei
commentariola in Lucretium, che, successivamente, egli stesso decise di dare alle fiamme; cf. PAUL
OSKAR KRISTELLER, Supplementum Ficinianum (Firenze: Olschki, 1937), p. 163. Come giustamente
ha notato Michael Reeve, «the term surely means “essays”»; cf. MICHAEL REEVE, “Lucretius in the
Middle Ages and early Renaissance: Transmission and Scholarship”, in The Cambridge Companion
to Lucretius, edited by Stuart Gillespie, Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP, 2007), pp.
205-213, p. 210. Inoltre, già nel 1504, il professore fiorentino Raphael Francus aveva pubblicato a
Bologna un opuscolo dal titolo In Lucretium paraphrasis cum appendice de animi immortalitate, in
cui parafrasava il contenuto dei primi tre libri del De rerum natura; cf. UBALDO PIZZANI, “Dimensione
cristiana dell’umanesimo e messaggio lucreziano: la Paraphrasis in Lucretium di Raphael Francus”,
in Validità perenne dell’Umanesimo, a cura di Giovannangela Tarugi (Firenze: Olschki, 1986), pp.
313-333.
4
EZIO RAIMONDI, “Il primo commento umanistico a Lucrezio”, in Politica e commedia: dal
Beroaldo al Machiavelli (Bologna: il Mulino, 1972), p. 111. Nelle Adnotationes posteriores del 1505,
Pio – rifacendosi a Quintiliano – aveva sottolineato la necessaria collaborazione tra grammatica
e filosofia: cum tamen grammaticam carere philosophiae cognitione dedeceat; cf. IOANNES BAPTISTA
— 227 —
ELENA NICOLI
PIUS, “Adnotationes posteriores”, in GRUTERUS JANUS, Lampas, sive fax artium liberalium, vol. 1
(Francofurti: e Collegio Paltheniano, sumptibus Ionae Rhodii, 1602), p. 397. Una simile affermazione
ricorre anche nell’introduzione al commento lucreziano (cf. f. 1r); cf. VALERIO DEL NERO, “Filosofia
e teologia nel commento di Giovan Battista Pio a Lucrezio”, Interpres, 1985-86, 6: 156-199, p. 156,
e soprattutto ID., “Giovan Battista Pio tra grammatica e filosofia: dai primi scritti al commento
lucreziano del 1511”, in Sapere è/e potere. Discipline, dispute e professioni nell’Università medievale e
moderna. Il caso bolognese a confronto. Forme e oggetti della disputa sulle arti, a cura di Luisa Avellini
(Bologna: Istituto per la Storia di Bologna, 1990), pp. 243-257.
5
Cf. RAIMONDI, “Il primo commento umanistico” (cit. n. 4) e DEL NERO, “Filosofia e teologia”
(cit. n. 4), p. 158. Inoltre si vedano SIMONE FRAISSE, L’influence de Lucrèce en France au seizième
siècle (Paris: A.G. Nizet, 1962), p. 34 e la recensione di ALBERTO TENENTI, in Belfagor, 1963, 19: 735-
738, p. 736, dove il commento di Pio viene definito «il primo e sistematico tentativo di confrontare
il pensiero epicureo-lucreziano con la cultura aristotelico-cristiana dominante; non solo cioè di
affiancare il primo alla seconda, ma altresì di far valere di fronte alla seconda alcune contrapposte
istanze mentali e morali, grazie alla forma in cui appaiono nel De rerum natura». Un giudizio in cui
però SERGIO BERTELLI, “Noterelle machiavelliane. Ancora su Lucrezio e Machiavelli”, Rivista Storica
Italiana, 1964, 76: 774-90, p. 781 riconosce «una forzatura forse eccessiva».
6
Sul testo di Lucrezio pubblicato da Pio e i rapporti con la precedente tradizione testuale
(soprattutto con la prima edizione Aldina del 1500), cf. MARIA CARMELA TAGLIENTE, “G. B. Pio e il
testo di Lucrezio”, Res publica litterarum, 1983, 6: 337-345.
7
Il ruolo di Michele Marullo nella trasmissione del testo di Lucrezio, e l’identificazione delle
sue correzioni, sono questioni tanto complesse quanto discusse. Marullo non pubblicò mai una
propria edizione del De rerum natura, ma pare che le sue emendazioni al testo di Lucrezio fossero ben
note nei circoli umanistici fiorentini. Dopo aver pubblicato gli Hymni Naturales – dove la familiarità
con il De rerum natura risulta già piuttosto evidente –, Marullo morì nel 1500, lasciando le proprie
note ed emendazioni a Pietro Candido, che se ne servì per l’edizione giuntina del 1512. Cf. T. Lucreti
— 228 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
tria mira castigatum non defuit exemplar Severo Monaco Placentino8 graece latinaeque
perdocto musarum athleta non gravatim offerente, ex quibus sicuti Zeusis, ex quatuor
diversis corporibus unam, et ut arbitror, integerrimam formam Lucretio praestitimus,
qui sine sapientiae primario poeta sapientes prorsus evadere nequivissent. (f. 1v)
Ho collazionato, non senza fatiche e lunghe veglie, il codice del veneto Ermolao,
quello del romano Pomponio e un altro, non del tutto disprezzabile, che viene con-
servato a Mantova in una biblioteca di periferia, appartenente ad un uomo di cultura
della illustre famiglia degli Strozzi. Ho tenuto in considerazione anche un altro
esemplare – a stampa certo, ma comunque scrupolosamente esaminato – di Filippo
Beroaldo, un tempo mio precettore, ora mio collega. Non ho tralasciato neppure
un esemplare di proprietà dell’erudito bolognese Codro, che è stato fatto copiare
per me da Bartolomeo Bianchini, uomo di raffinatissima eloquenza, e uno del poeta
Marullo, corretto con grande scrupolo: me lo procurò senza alcuna difficoltà Severo,
un monaco piacentino, grande conoscitore del greco e del latino, un vero campione
delle Muse. Così, come fece Zeusi, da quattro diversi corpi ho assicurato a Lucrezio
una forma unica e, a mio avviso, irreprensibile: quei codici, privi di un poeta maestro
di filosofia, non sarebbero certamente potuti risultare pieni di saggezza.9
Cari De rerum natura Libri sex, with Notes and A Translation by Hugh Andrew Johnstone Munro,
vol. 1 (London: G. Bell and Sons, 1886), pp. 6-11; JOHN MASSON, “Marullus’s Text of Lucretius”,
The Classical Review, 1897, 11: 307, p. 307; MICHAEL REEVE, “The Italian Tradition of Lucretius”,
Italia Medioevale e Umanistica, 1980, 23: 27-48, pp. 44-48; ID., “The Italian Tradition of Lucretius
Revisited”, Aevum, 2005, 79: 115-164, p. 145; ID., “Lucretius from the 1460s to the 17th Century:
Seven Questions of Attribution”, Aevum, 2006, 80: 165-84, p. 169-171; MARCUS DEUFERT, “Lukrez
und Marullus: ein kurzer Blick in die Werkstatt eines humanistischen Interpolators”, Rheinisches
Museum für Philologie, 1999, 142: 210-23; ANDRÉ DEISSER, “Le Lucrèce de Marulle”, in Présence
de Lucrèce, Actes du colloque tenu à Tours (3-5 décembre 1998) (Tours: Centre de Recherches A.
Piganiol, 1999), pp. 281-97; ENRICO FLORES, “Su alcuni aspetti della trasmissione del testo di Lucre-
zio nel ’400”, Paideia, 2003, 58: 260-263, p. 260.
8
Si tratta del monaco cistercense Severo Varino da Piacenza; cf. BERTELLI, “Noterelle machia-
velliane”(cit. n. 5), p. 780 e n. 22.
9
Cf. In Carum Lucretium poetam Commentarii a Ioanne Baptista Pio editi: codice Lucretiano
diligenter emendato: nodis omnibus et difficultatibus apertis: obiter ex diversis auctoribus tum grecis
tum latinis multa leges enucleata: que superior etas aut tacuit aut ignoravit (Bononiae: in ergasterio
Hieronymi Baptistae de Benedictis Platonici, 1511). A proposito di questo passo, cf. BERTELLI, “No-
terelle machiavelliane” (cit. n. 5), p. 780.
— 229 —
ELENA NICOLI
10
Sull’Epicureismo nel commento di Pio, cf. CHARLOTTE POLLY GODDARD, Epicureanism in the
Poetry of Lucretius in the Renaissance (Cambridge: Diss. Corpus Christi College, 1991), pp. 212-213.
11
La bibliografia sulla ricezione di Lucrezio nel Rinascimento è particolarmente ampia; tra
i lavori più recenti si vedano: SUSANNA GAMBINO LONGO, Savoir de la nature et poésie des choses.
Lucrèce et Epicure à la Renaissance italienne (Paris: Champion, 2004); VALENTINA PROSPERI, Di
soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio dall’Umanesimo alla Controriforma (Torino: Nino
Aragno Editore, 2004); EAD., “Lucretius in the Italian Renaissance”, in The Cambridge Companion
to Lucretius, edited by Stuart Gillespie, Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP, 2007), pp. 214-
226; EAD., “Per un bilancio della fortuna di Lucrezio in Italia tra Umanesimo e Controriforma”,
Sandalion, 2008, 31: 191-210; ALISON BROWN, The Return of Lucretius to Renaissance Florence
(Cambridge, MA: Harvard UP, 2010) [ed. italiana: Machiavelli e Lucrezio. Fortuna e libertà nella
Firenze del Rinascimento (Roma: Carocci, 2013)]; STEPHEN GREENBLATT, The Swerve: How The
World Became Modern (New York-London: Norton, 2011); ADA PALMER, Reading Lucretius in the
Renaissance (Cambridge MA: Harvard UP, 2014).
12
Non quod vera scripserat et credenda nobis – nam ab academicis etiam et peripateticis, nedum
a theologis nostris multum dissentit –, sed quia Epicureae sectae dogmata eleganter et docte mandavit
carminibus, imitatus Empedoclem, qui primus apud Graecos praecepta sapientiae versibus tradidit.
— 230 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
dal punto di vista della storia dottrinale bastavano dunque a giustificare la lettura
del poema, nonostante l’incompatibilità del pensiero lucreziano con il platonismo e
l’aristotelismo. Alcuni anni dopo – nella prefazione all’edizione del 1515 – Manuzio
precisava ulteriormente la propria posizione nei confronti dell’opera di Lucrezio:
si preoccupava di mettere in guardia il lettore contro i mendacia e i deliramenta13
contenuti nel poema, sottolineando la sostanziale inconciliabilità del pensiero
epicureo-lucreziano con la tradizione platonica.
Cf. Aldo Manuzio editore. Dediche. Prefazioni. Note ai testi, introduzione di Carlo Dionisotti, testo
latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi, vol. 1 (Milano: Il Polifilo, 1975), pp. 33-34.
13
Il termine deliramenta riferito ad Epicuro si trova già in Lattanzio e Gerolamo (cf. ad es.
Lact. inst. 3,17,23; opif. 6,7; Hier. adv. Rufin. 1,30).
14
Cf. Aldo Manuzio editore (cit. n. 12), pp. 152-153. A proposito dei passi citati, cf. PROSPERI,
Di soavi licor (cit. n. 11), pp. 105-106.
— 231 —
ELENA NICOLI
natura, si sentiva in qualche modo responsabile nei confronti del lettore, che
doveva perciò essere avvertito circa i contenuti falsi ed eterodossi del poema
lucreziano. Queste manifestazioni di presa di distanza dal testo di Lucrezio15
ricorrono in numerose edizioni cinquecentesche del poema. La presenza di tali
‘avvertenze al lettore’ assume una particolare rilevanza, dal punto di vista della
fortuna del testo lucreziano, perché garantì per lungo tempo la pubblicazione
e la circolazione del De rerum natura, che entrerà ufficialmente a far parte
dell’indice dei libri proibiti solo a partire dal 1718.16
Date queste premesse, è interessante notare come, nell’epistola introduttiva
al suo commento, Pio non si preoccupi di avvertire il lettore circa il contenuto
empio del poema di Lucrezio: egli si limita a porre l’accento sull’eccezionalità
della propria opera, senza astenersi dal criticare chi, prima di lui, aveva
tentato l’impresa senza successo.17 Tuttavia, pur non condannando in maniera
esplicita le tesi filosofiche esposte nel De rerum natura, al termine dell’epistola,
Pio aggiunge, in chiari caratteri gotici, la dichiarazione Omne ortodoxe fidei
subijcio:18 l’umanista prende prudentemente posizione, confermando la
propria lealtà all’ortodossia.
All’epistola dedicatoria segue l’introduzione al commento con una breve
biografia di Lucrezio,19 in cui vengono ripercorse le principali tappe della
vita del poeta, compresi i dettagli più fantasiosi: l’aneddoto del filtro, della
15
«Codice dissimulatorio» è l’espressione utilizzata da Valentina Prosperi per definire questo
tipo di manifestazioni. Cf. PROSPERI, Di soavi licor (cit. n. 11), p. 97; EAD., “Per un bilancio” (cit. n.
11), pp. 191-198; EAD. “Lucretius in the Italian Renaissance” (cit. n. 11), p. 214-216.
16
Cf. PROSPERI, “Lucretius in the Italian Renaissance” (cit. n. 11), p. 214. Di fatto, l’Index
librorum prohibitorum venne istituito solo alla fine degli anni Cinquanta del XVI secolo. La proi-
bizione, da parte del Concilio Provinciale Fiorentino del 1517, di leggere il De rerum natura nelle
scuole fu dunque l’unica forma di censura in cui potè incorrere in questo periodo il testo lucreziano.
17
Totus Lucretius nodosus, mendosus, impervius et uti graeco inolevit adagio totus fuit echinus
asper. Multi qui ante nos Lucretium attentarunt, fulgur ex pelvi minitantes, echinatam demum
doctrinam aversati, canes nilotici facti sunt, et desperatione suborta rhipsaspides. Non desunt quidam
scioli, quibus etiam alabastra ungenti plena putent, qui buccis tumentibus, librato vestigio, labiis
demorsis, oculo suspenso, cuncta cavillantur et incessunt, subduntque fetores suos et affannias, quibus
ut harpyiae cuncta foedant (f. 4r). Il passo raccoglie una variegata congerie di proverbi, provenienti
per la maggior parte dall’edizione aldina degli Adagia di Erasmo (1508). Inoltre in questo passo si
nota una certa affinità con lo stile apuleiano, soprattutto nelle lunghe sequenze di sintagmi paralleli –
come buccis tumentibus, librato vestigio, labiis demorsis, oculo suspenso – per cui cf. MAX BERNHARD,
Der Stil des Apuleius von Madaura: ein Beitrag zur Stilistik des Spätlateins (Stuttgart: W. Kohlhammer,
1927), pp. 87-91.
18
A questo proposito, Michael Reeve nota che una copia ora a Cambridge (CUL Adv. a 25.6)
reca gli appunti di un lettore, forse Mario Maffei, che sotto Omnia ortodoxe fidei subiicio scrisse
Omnia ergo retractanda: «For this reader, as for many another, the sting was not so easily taken out
of the poem». Cf. REEVE, “Lucretius in the Middle Ages and Early Renaissance” (cit. n. 3), p. 212.
19
Cf. GIUSEPPE SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche (Bari: Dedalo, 2000), pp. 44-48.
— 232 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
follia e del suicidio. Le fonti utilizzate per tale biografia sono composite: dai
testi classici agli scrittori cristiani, in primis i padri della Chiesa Girolamo e
Lattanzio. Del resto – come si avrà occasione di osservare in seguito – tutto il
commento di Pio è articolato sulla base di un continuo dialogo con gli auctores
antichi e contemporanei, in una fittissima rete di citazioni che difficilmente
lascia trasparire il giudizio dell’umanista.
Alcune interessanti considerazioni sulla filosofia lucreziana si trovano
nella sezione intitolata Expositio in Lucretium auctore Pio, in cui viene imme-
diatamente stabilito un paragone tra Lucrezio ed Empedocle:
Ad absolutam et integram cognitionem poematis lucretiani expedit summatim
carptimque dignoscere Empedoclis dogmata, quem litus variis ingenii luminibus
Lucretius poeta sectatur in plurimis, qui nedum sedulo sectam Agrigentini philosophi
identitem sequitur, sed et carminibus utitur Empedoclis flatum spiritumque referen-
tibus. (f. 1v)
Per comprendere in maniera compiuta ed integra il poema lucreziano, è utile
conoscere, in generale e nei singoli aspetti, la dottrina di Empedocle, che il poeta
Lucrezio segue per vari aspetti, cosparso dello splendore vario del suo ingegno; e non
solo egli segue spesso, con attenzione, la dottrina del filosofo agrigentino, ma si serve
anche dei versi di Empedocle che richiamano il respiro e il soffio.
20
Il rapporto tra Lucrezio ed Empedocle è oggetto di un’ampia bibliografia, tra i contributi
più recenti si vedano almeno DAVID SEDLEY, Lucretius and the Transformation of Greek Wisdom
(Cambridge: Cambridge UP, 1998) e ID., “Lucretius and the New Empedocles”, Leeds International
Classical Studies, 2003, 2: 1-12; LISA PIAZZI, Lucrezio e i Presocratici. Un commento a De rerum
natura 1, 635-920 (Pisa: Edizioni della Normale, 2005) e EAD., “Atomismo e polemica filosofica:
Lucrezio e i presocratici”, in Lucrezio, la natura e la scienza, a cura di Marco Beretta, Francesco
Citti (Firenze: Olschki, 2008), pp. 22-25; MYRTO GARANI, Empedocles Redivivus: Poetry and Analogy
in Lucretius (London-New York: Routledge, 2007). Infine, cf. JAMES WARREN, “Lucretius and
Greek Philosophy” e MONICA GALE “Lucretius and Previous Poetic Traditions”, in The Cambridge
Companion to Lucretius, edited by Stuart Gillespie, Philip Hardie (Cambridge: Cambridge UP,
2007), pp. 19-32 e 59-75.
— 233 —
ELENA NICOLI
Pio procede poi nella descrizione della fisica atomistica, riportando alcuni
passi di Servio,24 Seneca25 ed Eusebio.26 L’analisi condotta dall’umanista è de-
cisamente attenta e minuziosa; in una sorta di Ringkomposition, al termine
del passo ricorre nuovamente il paragone con Empedocle: ancora una volta,
vengono rimarcati gli elementi di differenza tra la concezione empedoclea e
quella epicurea, in materia di primi principî.
Empedocles vero agrigentinus quatuor elementa, ignem videlicet, aerem, aquam
et terram principia ponit. Duas etiam virtutes amicitiam atque litem; et amicitiam
21
Cf. DEL NERO, “Filosofia e teologia” (cit. n. 4), p. 168.
22
Termine con cui Pio trascrive l’empedocleo σφαῖρον.
23
Cf. Themistii in Aristotelis Physica Paraphrasis, edidit Henricus Schenkl (Berolini: Reimer,
1900), pp. 13 e 42.
24
Serv. ecl. 6,31, p. 69,14-25.
25
Sen. ben. 4,19.3.
26
Euseb. praep. ev. 14,14. Nel passo, viene stabilito un confronto tra atomismo democriteo
ed epicureo. La traduzione utilizzata da Pio è di Giorgio Trapezunte: Democritus, quem Epicurus
sequitur, principium rerum asserit corpuscula quaedam minutissima, quas atomos appellat ratione
cognoscibiles solidas non generabiles nec corruptibiles, omni fractura superiores, quae alterari non
possunt. Has in vacuo et per vacuum moveri asserit, quod infinitum esse opinatur. Atomos quoque ipsas
infinitas numero dicit, quibus accidunt magnitudo et figura secundum Democritum. Epicurus autem
pondus etiam adiecit. Non enim movebuntur inquit nisi pondere deferantur. Figuras vero atomorum
nec infinitas et eiusmodi esse asserunt ut frangi non possint (f. 2r).
— 234 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
quidem coniungere, litem vero distinguere. Inane vero dicunt spacium in quo sunt
atomi. De his itaque duobus principiis volunt quatuor ista procreari: ignem, aerem,
aquam, terram, et ex iis caetera, ut illa duo elementa sint, haec vero quatuor syntheta
idest composita ex aliis duobus prestent originem aliis omnibus rebus. In principiis
ergo rerum Epicurus et Empedocles diversa sentiunt. (f. 2r)
Dunque l’agrigentino Empedocle pone come principî quattro elementi: cioè il
fuoco, l’aria l’acqua e la terra. Anche due forze, l’amicizia e la discordia; mentre
l’amicizia unisce, la discordia invece separa. Definiscono poi il vuoto lo spazio in cui
si trovano gli atomi. E così pensano che, a partire da questi due principî, siano stati
generati quei quattro: fuoco, aria, acqua, terra, e da questi i restanti, tanto che quei
due sono principî elementari, questi invece syntheta, cioè composti dagli altri due e
danno invece origine a tutte le altre cose. Riguardo ai principî delle cose, Epicuro ed
Empedocle hanno dunque opinioni diverse.
27
Cf. GODDARD, Epicureanism (cit. n. 10), p. 213.
28
Lact. opif. 6,1 Non possum hoc loco teneri quominus Epicuri stultitiam rursum coarguam: illius
enim sunt omnia quae delirat Lucretius.
29
Hier. adv. Rufin. 29,1.
30
Sulla ricezione dell’epicureismo nell’ambito della tradizione patristica, in particolare in
Lattanzio, cf. WOLFGANG SCHMID, Epicuro e l’epicureismo cristiano (Brescia: Paideia Editrice, 1984),
ed. or. “Epikur”, Reallexikon für Antike und Christentum, vol. 5 (Stuttgart: Hiersemann, 1962),
— 235 —
ELENA NICOLI
pp. 681-819; HOWARD JONES, The Epicurean Tradition (London-New York: Routledge, 1989), pp.
94-116; JOCHEN ALTHOFF, “Zur Epikurrezeption bei Laktanz”, in Zur Rezeption der hellenistischen
Philosophie in der Spätantike, Akten der 1. Tagung der Karl-und-Gertrud-Abel-Stiftung vom 22.-25.
September 1997 in Trier, herausgegeben von Therese Fuhrer, Michael Erler, in Zusammenarbeit mit
Karim Schlapbach (Stuttgart: Steiner, 1999), pp. 33-5; UBALDO PIZZANI, “La polemica antiepicurea
in Lattanzio”, in Cultura latina cristiana fra terzo e quinto secolo, Atti del convegno, Mantova, 5-7
Novembre 1998 (Firenze: C. Gallico, 2001), pp. 171-203; SUSANNE GATZEMEIER, Ut ait Lucretius:
Die Lukrezrezeption in der lateinischen Prosa bis Laktanz (Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht,
2013), pp. 221-304.
— 236 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
corporea, è formata dall’aggregazione di questi corpi. Non possiamo poi concepire ciò
che è incorporeo di per sé, ad eccezione del vuoto. Inoltre il vuoto non può né fare, né
subire nulla. Di qui sono stati generati i mondi, dei quali, come Democrito, Epicuro
presuppone l’infinità; essi sono corruttibili, dal momento che le loro parti mutano,
e non hanno una sola forma. Alcuni infatti presentano l’aspetto di una sfera, altri di
un uovo, altri assumono un’altra forma. Sembra poi che egli consideri le anime come
mortali, poiché dà per certa la perdita dei sensi in seguito alla morte; e a lui pare frutto
di fantasia l’idea che le anime scontino pene per la vita presente.
31
Cf. ep. Her. 54, 67, 73-74. Cf. HERMANN USENER, Epicurea (Lipsiae: Teubner, 1887), pp.
16-17.
32
Cf. GODDARD, Epicureanism (cit. n. 10), pp. 25-27. Su Diogene Laerzio e Traversari, cf.
TIZIANO DORANDI, “Diogène Laërce du Moyen Age à la Renaissance”, in Exempla docent: les exem-
ples des philosophes de l’Antiquité à la Renaissance, Actes du colloque international 23-25 octobre
2003, Université de Neuchâtel, édités par Thomas Ricklin, avec la collaboration de Delphine Carron
et Emmanuel Babey (Paris: Vrin, 2006), pp. 35-48; AGOSTINO SOTTILI, “Il Laerzio latino e greco e
altri autografi di Ambrogio Traversari”, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura
di Rino Avesani, Mirella Ferrari, Tino Foffano, Giuseppe Frasso, Agostino Sottili, vol. 2 (Roma:
Edizioni di Storia e Letteratura, 1984), pp. 699-745; JAMES HANKINS – ADA PALMER, The Recovery of
Ancient Philosophy in the Renaissance: A Brief Guide (Firenze: Olschki, 2008), pp. 62-63.
33
Lact. inst. 3,17,41.
34
Mart. Cap. 1,85.
— 237 —
ELENA NICOLI
Che gli dèi non si preoccupano di nulla; che non sono colpiti né dall’ira, né dal
perdono; che non bisogna aver paura delle pene infernali, poiché le anime dopo la
morte muoiono, e gl’inferi non esistono affatto; che il piacere è il sommo bene; che
non esiste comunanza tra gli uomini; che ciascuno pensa per sé; che non c’è nessuno
che ami un altro se non per suo interesse; che l’uomo forte non deve temere la morte
né alcun dolore, che anzi, se viene sottoposto a sofferenze e torture, deve dire che
non gli importa. Davvero qualcuno pensa che sia di un saggio, questo discorso che
potrebbe benissimo essere adatto ai briganti? Così Marziano Capella, nel secondo
libro del De nuptiis philologiae et Mercurii, dice: «Epicuro poi recava rose miste con
viole e tutte le lusinghe dei piaceri».
35
DEL NERO, “Filosofia e teologia” (cit. n. 4), p. 169.
— 238 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
Avrei potuto citare molti altri, ma più spinosi, concetti della dottrina epicurea,
però non sarebbero stati piacevoli per coloro che ricercano gli aspetti dilettevoli
dello studio. Inoltre sarebbe difficile e forse impossibile tramandare in maniera cor-
retta i concetti epicurei; vedo infatti che lui (sc. Epicuro) ora è stoico, ora è dedito
al piacere, ora un Catone, ora un Sardanapalo, ora magro e trasandato, ora inghir-
landato e gaudente; e Marco Tullio pensa che sia “uno che cambia d’abito ogni
ora”, a meno che – cosa che crede Diogene Laerzio – l’invidia di molti non abbia
attribuito in mala fede a questo casto filosofo alcune caratteristiche non sue, perché
sembrasse così spregevole e meritevole di essere espulso dalla schiera e dal collegio
dei filosofi. In Seneca, Epicuro combatte contro la malattia, ed, emulo del rigore
proprio degli stoici, all’entrata degli Inferi e in punto di morte detta alcune lettere,
tanto in contrasto con l’Epicuro noto a tutti, cioè profumato e ubriaco, che penso
sia malafede che pressoché tutti lo considerino lascivo e donnaiolo: seguendo il
parere di costoro, Cicerone piuttosto spesso denigra e bolla Epicuro come dedito ai
piaceri e schiavo degli amori delle donne. E se Cicerone non avesse rivolto gli occhi
della mente all’invidia e non avesse guardato il piacere di Epicuro interpretandolo
come piacere erotico, il suo sguardo si sarebbe volentieri posato su quel piacere.
Avrebbe scoperto, infatti, che quello consiste in una condizione interiore pacifica
e serena, chetrae alimento dalla ricerca minuziosa dei segreti della natura, dalla cui
contemplazione il piacere sorge, allontanandosi da ogni godimento smodato.
36
Cf. Hor. epist. 1,4,15-16 me curata cute vises / cum ridere voles Epicuri de grege porcum. Pio
però sottolinea che qui Orazio non fa che seguire la vulgaris opinio. A proposito di questo topos, cf.
FRANCESCO CITTI, Epicuri de grege porcus: variazioni su un tema oraziano (Bologna: Pàtron, c.d.s.), e
vd. supra i contributi di Francesca Longo Auricchio e di Giovanni Indelli in questo volume.
37
Hic Epicurus de caelestibus nullam nos cognitionem habere testatur, cuius hoc vice proverbi
refertur: «quae supra nos nihil ad nos», quod et ad Diogenem refertur (f. 2v). Il medesimo riferimento
alla concezione epicurea degli dèi, associato alla citazione dello stesso proverbio, verrà richiamato
anche più avanti nel commento, cf. f. 13v.
38
«Epicuri disciplina» auctore Lactantio divinarum institutionum libro tertio «multo celebrior
semper fuit qui caeterorum, non quia veri aliquid affert, sed quia multos ad populare nomen voluptatis
invitat», et reliqua quae sequentur scitu certe dignissima. Cf. Lact. inst. 3,17,2.
39
Cf. GODDARD, Epicureanism (cit. n. 10), p. 213.
— 239 —
ELENA NICOLI
40
Cf. PALMER, Reading Lucretius (cit. n. 16), p. 235. Questo atteggiamento è in linea con quello
di altri umanisti, quali Filelfo, Landino e Bruni; cf. JONES, The Epicurean Tradition (cit. n. 30), p. 150.
41
Per quanto riguarda l’idea che, nel Medioevo e in età umanistica, vi fosse una duplice
immagine di Epicuro – una ‘storica’ e una ‘volgare’ – cf. MARIA RITA PAGNONI, “Prime note
sulla tradizione medievale ed umanistica di Epicuro”, Annali della Scuola Normale Superiore di
Pisa, 1974, 4: 1443-1477. Il dibattito è rispecchiato anche nei commenti danteschi medievali e
umanistici; cf. ad. es., il commento di Cristoforo Landino (1481), a Inf. 10,13-15: «Torno allo
Epicuro […]. Nientedimeno fece meglio che non dixe Imperò che vixe chon somma temperantia,
et ne’ cibi et nelle chose veneree. Sopportò con grande animo e dolori. Fu observantissimo
della fede. Fu fedelissimo nelle amicitie. Il perchè hebbe molti amici. Fu molto liberale et
clemente. Il perchè è molto et in molti luoghi lodato da Seneca philosopho gravissimo». A
questo proposito, cf. CITTI, Epicuri de grege porcus (cit. n. 36), in particolare il paragrafo «La
tradizione dei due Epicuri». In generale, per quanto riguarda il giudizio su Epicuro in età
medievale e umanistica, cf. JONES, The Epicurean Tradition (cit. n. 30), pp. 117-141 e 142-165.
Infine, cf. AURÉLIEN ROBERT, “Epicure et les épicuriens au Moyen Âge”, Micrologus, Nature,
Sciences and Medieval Societies, 2013, 21: 3-46, dove si sviluppa l’idea che, nel Medioevo, vi
fosse già una netta distinzione tra Epicuro e i suoi seguaci, gli epicurei. Il primo – nonostante
gli errori dottrinali – era noto per la sua saggezza e lo stile di vita ascetico, mentre gli altri erano
considerati responsabili di aver frainteso gli insegnamenti del maestro, o di aver dato credito
alle leggende popolari sulla sua vita.
42
Hier. adv. Iovin. 2,11. A questo proposito, cf. JONES, The Epicurean Tradition (cit. n. 30), p. 113.
43
Greg. Naz. carm 1,2,10,787-792 (PG 37,736) Ἐπίκουρος ἡδονὴν μὲν ἠγωνίζετο / Εἶναι τὸν
ἆθλον τῶν ἐμοὶ πονουμένων, / Εἰς ἢν τελευτᾷ πάντα τ᾽ ἀνθρώπων καλά. / Ὡς ἂν δὲ μὴ δόξειεν ἡδονῆ
τινι / Ταύτην ἐπαινεῖν, κοσμίως καὶ σωφρόνως / Ἔζη, βοηθῶν ἐκ τρόπου τῷ δόγματι.
44
SCHMID, Epicuro (cit. n. 30), pp. 179-190.
— 240 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
2. Nel primo elogio di Epicuro (Lucr. 1,62 ss.), Lucrezio esalta il filo-
sofo greco che, per primo, aveva osato rivelare la vera natura del cosmo,
liberando gli uomini dalla superstizione e dal timore degli dei. In questo
passo, non è mai nominato esplicitamente Epicuro, indicato solamente con
l’appellativo di Graius homo. Il passo lucreziano riportato nel commento di
Pio è il seguente:
Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub relligione (f. 12v)
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans,
primum graius homo immortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra,
quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti
murmure compressit caelum, sed eo magis aerem
inritat virtutem animi, confringere ut arcta
naturae primus portarum claustra cupiret.
Ergo vivida vis animi pervicit, et extra
processit longe flammantia moenia mundi
atque omne immensum peragravit mente animoque (f. 13r)
45
Nel De rerum natura, gli elogi di Epicuro ricorrono nei libri I, III, V e VI.
— 241 —
ELENA NICOLI
46
Cf. GODDARD, Epicureanism (cit. n. 10), p. 220.
47
Ut ait Seneca: «Qui deum esse non credit tollat oculos et credet, et re vera permoti quodam
veluti stupore et admiratione mortales machinae celestis, vicissitudinum anni, signiferi decoramentis
sideralibus insigniti, et reliquis ornamentis quae natura omniparens paravit, oculos et mentes erexerunt
ad illa contemplanda meditationeque iugi sunt consecuti rerum caelestium nedum naturalium
cogitationem» (f. 12v). Qui la prospettiva lucreziana appare completamente rovesciata, dal momento
che «in Lucretius man looks upwards to rid himself of religious belief, in Seneca to find it» (ibid.).
48
A questo proposito, Reeve giustamente nota: «a gloss that Lucretius would have rejected if
it implied that there were acceptable religiones». Cf. REEVE, “Lucretius in the Middle Ages” (cit. n.
3), p. 212.
49
Relligione. Superstitione. Haec enim propria significantia est vocabuli huius, etsi nostri
Theologi superstitionem vocent metum quendam deorum, qui peculiaris est aniculis, unde sortita no-
men superstitio a superstitibus scilicet hoc est vetuliset senibus, qui diu superfuerunt (f. 12v). Come si
è detto in precedenza, la condanna della superstizione è un tema comune sia all’epicureismo che al
cristianesimo: cf. SCHMID, Epicuro (cit. n. 30), pp. 187-190; JONES, The Epicurean Tradition (cit. n.
30), pp. 111-112.
50
Come si vede nell’apparato di Flores, gnarus è in L (Laur. 35,30 ca. anni 1430), P (Paris.
Lat. 10306 post 1429), A (Vat. Lat. 3276 anni 1442), B (Barber. Lat. 154 post 1442), p (Pierpont
Morgan M 482 ca anni 1440), I (Monac. Lat. 816 a. ante 1475) – tutti manoscritti del XV secolo;
cf. Titi Lucretii Cari, De rerum natura, edizione critica con introduzione e versione a cura di Enrico
Flores (Napoli: Bibliopolis, 2002), p. 46. Per quanto riguarda le edizioni contemporanee a Pio,
gnarus è in quella veronese del 1486, che riporta a margine stampa anche graius (la mano è forse
quella di Priuli o di un altro lettore); cf. HELEN DIXON, “Pomponio Letos’s Notes on Lucretius
(Utrecht, Universiteitsbibliotheek, X fol 82 rariora)”, Aevum, 2011, 85: 191-216. Inoltre, Gnarus
è anche nella edizione veneziana del 1495 e nell’aldina del 1500, mentre quella del 1515 recepisce
nel testo graius. Sulle lezioni accolte nel testo pubblicato da Pio che divergono da quelle utilizzate
come lemmi nel commento, cf. TAGLIENTE, “G. B. Pio e il testo di Lucrezio” (cit. n. 6), pp. 337-
45, la quale, nel valutare la dipendenza del testo di Pio da quello della prima edizione Aldina,
conclude che: «non si può pensare ad un’unica copia a stampa dell’Aldina utilizzata sia per il testo
che per l’enucleazione dei lemmi. Le copie devono essere state senza dubbio due […] e tutte e due
manoscritte, tratte, ovviamente, dal testo a stampa dell’Avanzi e recanti ciascuna errori peculiari,
dovuti ad errata trascrizione».
— 242 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
51
La stessa iunctura ricorre in un passo del De natura deorum di Cicerone (Cic. nat. deor.
1,47), in cui l’epicureo Velleio si rivolge allo stoico Lucilio, affermando: Vos quidem, Lucili, so-
letis […] cum artificium effingitis fabricamque divinam, quam sint omnia in hominis figura non
modo ad usum verum etiam ad venustatem apta describere. Un uso ‘platonizzante’ del termine
fabrica ricorre invece in Cic. nat. deor. 1,19; cf. la nota di Pease ad. loc., in M. Tulli Ciceronis
De natura deorum libri III, edited by Arthur Stanley Pease, vol. 1 (Cambridge, Mass.: Harvard
UP, 1955), p. 181. Infine, cf. Lact. inst. 2,9,1 Nunc quoniam refutavimus eos qui de mundo et
de factore eius deo aliter sentiunt quam veritas habet, ad divinam mundi fabricam revertamur,
de qua in arcanis religionis sanctae litteris traditur. Se i passi ciceroniani sono rispettivamente
inquadrabili in un contesto stoico e platonico, quello di Lattanzio è perfettamente inserito in
un’ottica cristiana.
52
Pare, tuttavia, che anche nella prima metà del XVI secolo l’identificazione del Graius
homo con Epicuro fosse già abbastanza diffusa. Nel 1536, infatti, Aonio Paleario – nel suo poema
giovanile e antilucreziano De animorum immortalitate – poteva ricorrere alla perifrasi Graius
homo per indicare Epicuro, e confidare nella memoria del suo pubblico, che avrebbe sicuramente
richiamato alla mente il passo lucreziano. A questo proposito cf. PROSPERI, “Proemi lucreziani
nella poesia italiana del Cinquecento”, Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, 2007,
59: 145-162, p. 151. Isolati sono i casi di studiosi moderni secondo cui Lucrezio, in questo passo,
si riferirebbe a qualche altro personaggio, più o meno identificato: cf. ad es. LUDWIG EDELSTEIN,
“Primum Graius Homo”, Transactions and Proceedings of the American Philological Association,
1940, 71: 78-90.
53
Sunt qui Hostanem, qui Zoroastrem intelligant, qui primi magiae et sapientiae sectatores
extiterunt. Quod si coniecturae datur locus nil obstat de Endymione intelligere, qui primus lunae vices
et varietates indagavit, aut Lynceo, cui fabula cernendi data quod in geminis lunae coitum deprendit.
Quid si Anaximandrum intelligas? Qui primus obliquitatem signiferi percepit; signa deinde in eo
Cleostratus… (f. 13r). L’identificazione con Linceo ricorre anche in Praefationes gymnasticae Ioannis
Baptistae Pii Bononiensi aliique varii sermones, in fine, Impressum Bononiae, per Benedictum
Hectoris, 1522, f. 14v: De philosophiae scrutatore ac inventore Lynceo, atque perspicaci sic Lucretius
ore facundo concinit De rerum natura primo (Lucr. 1,64 ss.).
— 243 —
ELENA NICOLI
Tuttavia, lo stesso Pio non sembra essere pienamente convinto di tale con-
clusione; continua perciò a dar conto delle diverse interpretazioni del passo.
Fortasse sensit hunc esset Epicurum, qui primus veram philosophiam, ut sibi
videbatur, tradiderit cum caeteri errassent. Vel intelligit Pythagoram qui se primus
philosophum vocavit, aut Milesium Thalem, qui de rerum natura primus traditur
disputasse, de quo alibi «Dicendum est deus ille fuit deus inclute Memmi». Non
tamen erit sic laudandus Deus, quod sapientiam invenerit, sed quod hominem fece-
rit, qui posset capere sapientiam. Ita interpretatur Lactantius libro divinarum insti-
tutionum tertio.54 (f. 13r)
Forse pensò che costui fosse Epicuro, il quale – dal suo punto di vista – per primo
insegnò la vera filosofia, mentre gli altri avevano sbagliato. Oppure pensa a Pitagora che
per primo chiamò se stesso filosofo, o Talete di Mileto, che, per primo, si dice, discusse
sulla natura delle cose; su questo personaggio altrove [Lucrezio] afferma: «Bisogna dirlo:
un dio fu, un dio, nobile Memmio». Non bisognerebbe tuttavia lodare Dio per questo
motivo, cioè per il fatto che scoprì la filosofia, ma perché creò l’uomo che può ricevere
in dono la filosofia. Così interpreta Lattanzio nel terzo libro delle Divinae institutiones.
Pio non esclude che il Graius homo possa essere proprio Epicuro, ma
prende le distanze da questa ipotesi, attribuendo a Lucrezio (ut sibi videbatur)
l’idea secondo cui sarebbe stato proprio il filosofo greco a trasmettere agli
uomini la vera filosofia. Ricalcando poi un passo di Lattanzio, propone l’iden-
tificazione con Pitagora o Talete; infine rimanda a Lucr 5,8, dove si rimarca
la natura divina del rerum inventor. Di nuovo però la memoria di Lattanzio –
che interpreta il passo in chiave cristiana – interviene a ridimensionare
l’esaltazione del personaggio.
Significativa è anche la scelta tra mortalis e immortalis (v. 66);55 Pio prefe-
risce accettare immortalis, rispetto al più comune mortalis, che tuttavia viene
54
Cf. Lact. inst. 3,14,5, che, nel commentare Lucr. 5,50-51, afferma: unde apparet aut Pytha-
goram voluisse laudare, qui se primus ut dixi philosophum nominavit, aut Milesium Thalen, qui De
rerum natura primus traditur disputasse.
55
Come si desume dall’apparato di Flores, immortalis è in F (Laur. 35,31 ca. 1457). Per quanto
riguarda le edizioni, mortalis è adottato nella veronese del 1486 – che a margine stampa riporta anche
— 244 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
Pio dunque non associa – come gran parte della critica odierna – l’ag-
gettivo mortalis con oculos, ma preferisce scegliere la lezione immortalis in-
tendendola, dopo contra, in riferimento agli dei. Questa scelta assume un
particolare rilievo, se si pensa che, nel testo lucreziano, la natura umana e
mortale di Epicuro è un fattore determinante, poiché conferisce valore alla
lotta impari che il filosofo ha coraggiosamente intrapreso contro gli dei. È
possibile che anche l’intento di Pio vada in questa direzione, enfatizzando
cioè l’opposizione homo vs. immortalis; ma resta il fatto che l’aggettivo mor-
talis, inteso come nella glossa (supra), non sarebbe comunque più adatto a
connotare la figura del repertor sapientiae. Proseguendo nel commento, Pio
chiarisce il nesso quem neque e parafrasa l’intero passo:
Sensus hic: homo sollertissimus, qui primus est ausus oculos alieno immittere
caelo non est absteritus a caelesti contemplatione.(f. 13r)
Il significato è questo: un uomo intelligentissimo, che per primo osò spingere lo
sguardo contro un cielo avverso, non fu distolto dalla contemplazione divina.
la v.l. immortalis –, dalla veneziana del 1495, dall’aldina del 1500 e da quella del 1515 (mortaleis in
entrambe le Aldine).
56
Cf. GODDARD, Epicureanism (cit. n. 10), p. 221.
57
Nonostante nella Praelectio sia presente una sola allusione a Lucrezio, il testo testimonia
il precoce interesse di Pio per il poeta latino. Inoltre la massiccia presenza di lucrezianismi nella
seconda parte, recante il panegirico in versi dei Bentivoglio, fa pensare che Pio, nel 1501, avesse già
una conoscenza approfondita del poema.
— 245 —
ELENA NICOLI
58
La citazione rimanda ad un passo dell’Aetna 86: nec metuunt oculos alieno admittere caelo,
un poemetto in esametri tramandato nell’Appendix Vergiliana. È molto probabile che il Manlius
a cui Pio attribuisce il passo sia in realtà Manilio, autore degli Astronomica. Anche in alcuni passi
del commento a Lucrezio, infatti, Pio chiama Manilio Manlius, cf. ad es. f. 90v. La citazione, poi,
richiama Manil. 4,905 ss.: stetit unus in arcem/ erectus capitis victorque ad sidera mittit / sidereos
oculos propiusque aspectat Olympum/ inquiritque Iovem. Cf. il comm. ad. loc. in Incerti auctoris Aetna,
edited with an Introduction and Commentary by Francis Richard David Goodyear (Cambridge:
Cambridge UP, 1965), p. 122. Altri loci similes sono Lucr. 6,1119 caelum…nobis…alienum, e Manil.
4,311 aliena per astra. Cf. Pseudo-Vergilius. Aetna, herausgegeben und übersetzt von Will Richter
(Berlin-New York: De Gruyter, 1963), p. 35.
— 246 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
fare con noi».59 Alcuni dicono infatti che l’esistenza di Dio non può essere scoperta per
mezzo della ragione, ma viene acquisita solo attraverso la via della fede e della rivelazione.
Ancora una volta Pio interpretava il poema alla luce di fonti non compatibili
con l’orizzonte filosofico lucreziano; in questo modo, però, poteva tentare di
rendere ‘cristianamente accettabile’ l’opera di Lucrezio e, di conseguenza,
giustificabile la propria impresa letteraria.
Un nuovo elogio di Epicuro (Lucr. 3,1 ss.) introduce la seconda coppia di
libri (III-IV), dedicati all’anima, alla psicologia e ai processi della percezione.
Qui Lucrezio esalta Epicuro che, rivelando la natura dell’universo, ha benefi-
cato gli uomini, liberandoli dalle paure e dalle sofferenze. Il testo riportato
nell’edizione di Pio è il seguente:
E tenebris tantis tam clarum extollere lumen
Qui primus potuisti inlustrans commoda vitae,
te sequor o Graiae gentis decus, inque tuis nunc
ficta pedum pono pressis vestigia signis,
non ita certandi cupidus, quam propter amorem (f. 85r)
quod te imitari aveo; quid enim contendat hirundo
cygnis, aut quid nam tremulis facere artubus hedi
consimile in cursu possint et fortis equi vis?
Tu pater es rerum inventor, tu patria nobis
suppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis,
floriferis ut apes in saltibus omnia libant
omnia nos itidem depascimur aurea dicta,
aurea, perpetua semper dignissima vita.
Nam simulac ratio tua coepit vociferari
naturam rerum divina mente coortam
diffugiunt animi terrores, moenia mundi. (f. 85v)
59
Il proverbio è trattato da Erasmo nell’Adagio 1,6,69.
— 247 —
ELENA NICOLI
Esalta Epicuro, ed, elogiandone i meriti, lo considera straordinario; lui che per
primo osò mostrare la verità, che si nascondeva in rifugi tenebrosi; e ne tratta anche,
brevemente, nel primo libro: primum Graius homo […] claustra cupiret.
60
Lactantius librum divinarum tertio gravate tulit laudantem Epicuri doctrinam Lucretium sic
scribens: «hic est ille qui genus humanum ingenio superavit, et omnes/ Extinxit stellas exortus ut
aetherius sol quos equidem versus nunquam sine risu legere possum. Non enim de Socrate aut saltem
Platone dicebat, qui velut reges philosophorum habentur, sed de homine sano et vigenti nullus aeger
ineptius deliravit. Itaque poeta inanissimus leonis laudibus murem non ornavit, sed obruit et obtrivit
(f. 85r). Lo stesso paragone era stato utilizzato da Pio anche nell’introduzione al commento, cf. f. 1r:
Unus Lactantius insanissimum poetam vocat quod Epicurum ut murem leonis laudibus ornavit. L’uso
di unus (‘l’unico che’), in questo contesto, rende evidente l’intenzione di Pio di segnalare come un
caso particolare, isolato, il giudizio negativo di Lattanzio.
61
A questo proposito cf. UBALDO PIZZANI, “La psicologia lucreziana nell’interpretazione di
G.B. Pio”, Studi Umanistici Piceni, 1983, 3: 291-302.
62
Cf. Inf. 10,15 «Suo cimitero da questa parte hanno / con Epicuro tutti suoi seguaci, / che
l’anima col corpo morta fanno». La critica alla concezione epicurea dell’anima si ritrova anche nei
commenti umanistici a Dante: nel commento del Landino (1481) a Inf. 10,13-15, ad esempio, si
dice che, tra tutte le eresie epicuree, quella sulla mortalità dell’anima «è più pernitiosa all’humana
generatione che alchuna altra».
63
A questo proposito, due anni dopo la pubblicazione del commento di Pio, verrà promulgata la
bolla Apostolici Regiminis (1513), con cui la Chiesa cattolica riaffermava il principio dell’immortalità
dell’anima. Negli stessi anni Pietro Pomponazzi, pubblicava il trattato De immortalitate animae
(1516), in cui sosteneva che l’immortalità dell’anima umana non è dimostrabile con la ragione.
— 248 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
Nella sezione in cui si svolge l’analisi puntuale del passo, Pio coglie l’occa-
sione per fornire alcune informazioni circa la biografia di Epicuro.
Gentis decus. Epicurum intelligit, qui graecus fuit immo atticus ex vico, ut quidam
tradunt, Gargetio, propterea Statium in Silvis inquit: «mallet deserto senior Gargetius
orto».64 […] Audivit Nausiphanem Democriti, Pamphili et Platonis discipulum. Epi-
curaei sectatores eius appellati, de quibus Apollinaris:65 «ast epicuraeos eliminat un-
dique virtus». (f. 85r)
Gentis decus: intende Epicuro, che fu greco, anzi attico, dal demo di Gargetto,
come tramandano alcuni, perciò Stazio nelle Silvae dice: «l’anziano uomo di Gargetto
avrebbe preferito, una volta lasciato il giardino». […] Ascoltò le lezioni di Nausifane,
discepolo di Democrito, Pamfilio e Platone. ‘Epicurei’ sono detti i suoi seguaci,
riguardo ai quali Sidonio Apollinare afferma: «d’altra parte ovunque la virtù fa piazza
pulita degli epicurei».
Ancora una volta, l’esegeta mostra di essere prima di tutto interessato alla
completezza della propria opera; cerca perciò di offrire molte informazioni,
anche di carattere meramente erudito.
All’inizio del quinto libro (Lucr. 5,1 ss.), Lucrezio celebra nuovamente
Epicuro, attribuendogli, questa volta, tratti quasi divini. Il testo stampato da
Pio, è il seguente:
Quis potis est dignum palanti pectore carmen
condere pro rerum maiestate hisque repertis?
Quisve valet verbis tantum, quis fingere laudes
pro meritis eius possit, quis talia nobis
pectore parta suo, quaesitaque praemia liquit?
Nemo, ut opinor, erit mortali corpore cretus.
Nemo, si ut ipsa petit maiestas cognita rerum
Dicendumst. Deus ille fuit; deus, inclute Memmi,
qui princeps vitae rationem invenit eam quae (f. 152r)
nunc appellatur sapientia, quique per artem
fluctibus e tantis vitam tantisque tenebris
in tam tranquillo et tam clara luce locavit. (f. 152v)
L’idea, secondo cui la bolla Apostolici Regiminis sarebbe stata sollecitata dalla pubblicazione della
prima edizione aldina (1500) di Lucrezio, è presentata in FELIX GILBERT, “Cristianesimo, umanesimo
e la bolla Apostolici Regiminis”, Rivista storica italiana, 1967, 79: 976-90. Tra i contributi più recenti,
cf. ERIC A. CONSTANT, “A Reinterpretation of the Fifth Lateran Council Decree Apostolici regiminis
(1513)”, Sixteenth Century Journal, 2002, 33: 353-379.
64
Stat. silv. 1,3,94.
65
Sidon. carm. 15,125.
— 249 —
ELENA NICOLI
66
ABCFL ha pallenti, cf. l’apparato di Martin ad loc. L’edizione veronese del 1486 reca un
pallentis, corretto da Priuli in pallenti; cf. DIXON, “Pomponio Letos’s notes on Lucretius” (cit. n. 50),
p. 197. Anche nell’ed. veneziana del 1495 pallentis viene corretto in pollenti. Di nuovo, sul rapporto tra
l’Aldina del 1500 e il testo di Pio, cf. TAGLIENTE, “G. B. Pio e il testo di Lucrezio” (cit. n. 6), pp. 337-345.
67
Cf. Lact. inst. 3,14,1 Rectius itaque Lucretius, cum eum laudat qui sapientiam primus invenit,
sed hoc inepte, quod ab homine inventam putavit.
68
Lact. inst. 3,14,5.
— 250 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
Chi – dice – potè indagare queste cose segrete se non un dio, che per primo diede
ai mortali come guida della vita la ragione, che per primo Pitagora chiamò filosofia,
che chi la conobbe visse una vita tranquilla e senza timore? Ma, secondo Lattanzio,
Lucrezio non intende Epicuro (come ho detto), ma Talete o Pitagora.
Vale però la pena di notare che, nel commento all’elogio del primo libro,
Pio, pur riferendosi al medesimo passo di Lattanzio, non aveva messo in
dubbio il giudizio dell’apologeta, anzi se ne era servito per fornire una pro-
babile interpretazione del passo. Qui, invece, in qualche modo se ne distacca,
identificando senza dubbio il personaggio in questione con Epicuro. Inoltre,
al contrario di Lattanzio che cerca di attaccare la posizione di Lucrezio punto
per punto, Pio limita la sua analisi a una mera parafrasi del passo; al limite,
sottopone al lettore il giudizio di qualche altro autore, ma, ancora una volta,
evita di esprimere direttamente la propria opinione.
Nell’ultimo elogio di Epicuro, che introduce il sesto libro del poema, il
filosofo greco – motivo di vanto per la città di Atene – viene esaltato per
aver liberato gli uomini dagli affanni, insegnando loro a limitare i desideri e i
timori. Ecco il testo di Lucrezio riportato da Pio:
Rimae frugiferos foetus mortalibus aegris
dididerunt quondam praeclaro nomine Athenae, (f. 188r)
et recreaverunt vitam legesque rogarunt,
et primae dederunt solacia dulcia vitae.
Cum genuere virum tali cum corde repertum,
omnia veridico qui quondam ex ore profudit.
Cuius et extincti propter divina reperta
divolgata vetus iam ad caelum Gloria fertur.
Nam cum vidit hic ad victum quae flagitat usus
Omnia iam ferme mortalibus esse parata,
et per quae possent vitam consistere tutam,
divitiis homines et honore et laude potenteis
affluere, atque bona gnatorum excellere fama,
nec minus esse domi cuiquam tamen anxia corda,
atque animi ingratis vitam vexare querelis,
causam quae infestis cogit servire querelis.
Intellexit ibi vitium vas efficere ipsum,
omniaque illius vitio corrumpier intus,
quae collata foris et commoda cumque venirent. (f. 188v)
— 251 —
ELENA NICOLI
Ecco dunque che ricorre di nuovo l’espressione ausus est oculos alieno im-
mittere caelo; alla nuova immagine dell’ateniese Epicuro si sovrappone, ancora
una volta, quella del filosofo che per primo ebbe il coraggio di indagare la
natura degli dèi.
Dall’analisi degli elogi ad Epicuro è possibile farsi un’idea del metodo di
lavoro di Pio; innanzitutto si ha l’impressione che l’esegeta si faccia guidare
dalla struttura del testo, che, di volta in volta, commenta fornendo quan-
te più informazioni possibili. Talvolta, nel commento – ancor più che nel-
l’introduzione – Pio preferisce rimanere fedele al munus interpretis di chiarire
il pensiero dello scrittore, piuttosto che formulare un giudizio esplicito sul
testo. Questo approccio gli permetteva di conservare una posizione il più
possibile neutra, specialmente su un argomento spinoso come poteva essere
il giudizio su Epicuro e sulla filosofia epicurea. Il commento, poi, spesso si
limita alla mera parafrasi del testo lucreziano, altre volte procede per accu-
mulo di materiali, che servono ora a chiarire il significato linguistico di certe
espressioni, ora ad introdurre informazioni di tipo storico, ora a valutare cri-
ticamente i contenuti del poema. Pio, quindi, da una parte, utilizza spesso il
giudizio di altri scrittori, dall’altra, mette in atto una serie di strategie per far
emergere indirettamente il valore del testo di Lucrezio e per mettere in risalto
gli aspetti più interessanti della sua dottrina; offre dunque al lettore accorto
la possibilità di ‘leggere tra le righe’ del commento e di ricavare interessanti
spunti per una valutazione positiva del testo lucreziano.
È probabile che tra questi lettori vi fosse proprio Nicolas Bérault (1470-
1555),69 l’editore della ristampa parigina (1514) dell’edizione bolognese di
69
Su Bérault e su un «premier noyau lucrétien» in Francia all’inizio del XVI secolo cf. CASIMIR-
ALEXANDRE FUSIL, “La Renaissance de Lucrèce au XVIe siècle en France”, Revue du Seizième Siècle,
1928, 15: 134-150, pp. 138-139 e FRAISSE, L’influence de Lucrèce (cit. n. 5), pp. 36-37. Fusil descrive
Bérault come «un savant Orléanais, jurisconsulte et humaniste, qui, après avoir enseigné les Lettres
à Orléans, aux environs de 1500, vint travailler à Paris». Amico di Erasmo, ma nemico della Sorbona
e dei teologi, secondo Fusil, Bérault «est une intéressante figure du commencement du XVIe siècle:
c’est un des humanistes qui travaillèrent ardemment à l’enseignement du latin et du grec, et qui
contribuèrent de toutes leurs forces à la renaissance littéraire. Il est aussi un de ces érudits qui,
vers 1530, n’ont pas encore pris parti entre la Réforme et le catholicisme, mais qui sont hostiles à la
tyrannie scolastique» (pp. 138-139).
— 252 —
IL GIUDIZIO SU EPICURO NEL COMMENTO DI GIOVAN BATTISTA PIO A LUCREZIO
70
Su Deloynes cf. FUSIL, “La Renaissance de Lucrèce” (cit. n. 69).
71
Cf. la lettera di Bérault a Deloynes che introduce l’edizione parigina di Pio (15142), discussa
anche da FRAISSE, L’influence de Lucrèce (cit. n. 5), pp. 35-36 e GAMBINO LONGO (cit. n. 11), p. 41.
72
Cf. Titi Lucretii Cari De rervm natvra libri sex a Dionysio Lambino […] locis innumerabilibus
ex auctoritate quinque codicum manuscriptorum emendati, atque in antiquum ac natiuum statum ferè
— 253 —
ELENA NICOLI
restituti, & praeterea brevibus & perquam utilibus commentariis illustrati (Parisiis et Lugduni, in
G. Rouillij et P.G. Rouillij aedibus, 1563), p. III.
73
Cf. FRAISSE, L’influence de Lucrèce (cit. n. 5), pp. 35-36.
74
Cf. JONES, The Epicurean Tradition (cit. n. 30), p. 150.
— 254 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
EPICURO ALL’OPERA!
I saggi che seguono presentano l’analisi di due drammi per musica che
hanno per soggetto Epicuro e la sua scuola filosofica. Si tratta degli unici
due esempi finora noti nella storia dell’opera, peraltro appartenenti a epoche
tra loro distinte: Gl’atomi d’Epicuro, «drama per musica» di Nicolò Minato
e Antonio Draghi, risale al 1672; Épicure di Charles-Albert Demoustier e
Cherubini-Méhul fu rappresentato in forma di opéra-comique nel 1800.
Nella storia del teatro d’opera solo di rado i librettisti si preoccupano di
svelare al lettore-spettatore le fonti alla base delle proprie scelte poetiche.
L’insieme dei materiali sfruttati nelle loro rielaborazioni è assai composito:
fonti antiche (note per via diretta, per scelta antologica o per citazione),
scienza antiquaria, teatro letterario, svariati generi narrativi. I librettisti, nella
maggioranza dei casi, derivano i propri soggetti da testi precedenti, narrativi o
teatrali.1 Questo assioma è certamente valido per la maggior parte dei drammi
musicali; nel nostro caso invece si applica con fatica, giacché ci s’imbatte in
due drammi musicali non riconducibili a modelli letterari precedenti.
Nel contributo di Sara Elisa Stangalino (pp. 256-275) vengono affrontati
tre ordini di problemi: (1) la contestualizzazione dell’opera di Minato nel-
l’àmbito della corte viennese di Leopoldo I d’Asburgo e nel panorama della
rivoluzione scientifico-filosofica del Seicento; (2) l’individuazione delle fonti
alla base dell’intreccio; (3) l’analisi drammaturgica (struttura e tecniche di
scrittura).
Il saggio di Nicola Badolato (pp. 276-287) propone una ricostruzione del
lavoro di Demoustier sulla base di fonti secondarie giacché dell’opera ci sono
pervenuti soltanto alcuni frammenti di partitura, non già un libretto che rechi
il testo drammatico, e una contestualizzazione nel più ampio quadro delle
riflessioni filosofiche del secondo Settecento francese.
1
Cf. LORENZO BIANCONI, “Introduzione”, in La drammaturgia musicale (Bologna: il Mulino,
1986), pp. 21-22.
— 255 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
2
Su Minato cf. ELLEN ROSAND – HERBERT SEIFERT, “Minato, Nicolò”, in The New Grove Dic-
tionary of Opera, edited by Stanley Sadie (London: Macmillan, 1992), pp. 402-404; degli stessi,
“Minato, Nicolò”, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, edited by Stanley Sadie
(London: MacMillan, 1992), pp. 710-711. Cf. anche NORBERT DUBOWY, “Minato, Nicolò”, in Die
Musik in Geschichte und Gegenwart (Kassel: Bärenreiter, 2004), pp. 242-244; SERGIO MONALDINI,
“Minato, Nicolò”, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 74 (Roma: Istituto della Enciclopedia
Italiana, 2010), pp. 571-575; MARIA GIRARDI, “Da Venezia a Vienna: le ‘Facezie teatrali’ di Nicolò
Minato”, in Il diletto della scena e dell’armonia. Teatro e Musica nelle Venezie dal ’500 al ’700, a cura
di Ivano Cavallini (Rovigo: Minelliana, 1990), pp. 189-221; ALFRED NOE, “Biographische Notizen
zum kaiserlichen Hofdichter Nicolò Minato”, Biblos, 2000, 49: 317-325; ID., “Das Testament des
Hofdichters Nicolò Minato”, Biblos, 2001, 50: 315-317; ID., Nicolò Minato: Werkverzeichnis (Wien:
Österreichische Akademie der Wissenschaften, 2004). Ringrazio Lorenzo Bianconi per la paziente
lettura e per i consigli offerti durante la stesura di questo elaborato.
3
Su Cavalli si veda LORENZO BIANCONI, “Caletti Bruni, Pietro Francesco”, in Dizionario
biografico degli Italiani, vol. 16 (Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973), pp. 686-696;
THOMAS WALKER, “Cavalli Francesco”, in The New Grove Dictionary of Opera (cit. n. 2), pp. 783-
789; THOMAS WALKER – IRENE ALM, “Cavalli Francesco”, in The New Grove Dictionary of Music and
Musicians (cit. n. 2), pp. 302-313.
4
Minato ricorda il maestro nella dedica anteposta alla sua prima pubblicazione, la traduzione
di un trattato erudito: Eruditioni per li cortigiani. Opera latina D’Autor incerto Fiammengo (Venezia:
Guerigli, 1645). Cf. ROSSANA CAIRA LUMETTI, “Le Eruditioni per li cortigiani: teoria e pratica del
poeta cesareo Nicolò Minato”, in Sentir e meditar: omaggio a Elena Sala di Felice, a cura di Laura
Sannia Nowé, Francesco Cotticelli, Roberto Puggioni (Roma: Aracne, 2005), pp. 67-73; e SARA ELISA
STANGALINO, “Eruditioni per li cortigiani di Nicolò Minato: genesi e incidenza di un trattato”, Studi
secenteschi, 2014, 55: 183-197.
5
L’attività teatrale a Venezia è strettamente connessa alla vita delle accademie, che ne rappresen-
tano il centro di propulsione ideologica. Gli Incogniti, epigoni delle idee libertarie sostenute da Cesare
Cremonini nel contesto accademico padovano e sostenitori di una concezione di vita svincolata dalla
rigida morale clericale, promuovono la celebrazione della Repubblica tramite l’esibizione del fasto
scenico e allegorico proprio dell’opera in musica, che diventa così un efficace mezzo di propaganda
ideologica. Minato è membro dell’accademia degli Imperfetti, legata alla più celebre accademia degli
— 256 —
EPICURO ALL’OPERA!
Incogniti (le due accademie condividevano alcuni membri), e a quella dei Discordanti. Cf. GIORGIO
SPINI, Ricerca dei libertini. La teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano (Firenze: La
Nuova Italia, 1983; 19501), e la prefazione di GINO BENZONI (“Istoriar con le favole e favoleggiar con le
istorie”) a GIROLAMO BRUSONI, Avventure di penna e di vita nel Seicento veneto, a cura di Gino Benzoni
(Rovigo: Minelliana, 2001), pp. 9-28. Per l’ascendente esercitato dal Cremonini, dall’animatore
dell’Accademia Giovan Francesco Loredan e da personalità come Ferrante Pallavicino cf. EDWARD
MUIR, “Why Venice? Venetian Society and the Success of Early Opera”, Journal of Interdisciplinary
History, 2006, 36: 331-353; cf. ID. Guerre culturali: libertinismo e religione alla fine del Rinascimento
(Bari: Laterza, 2008) e JEAN-FRANÇOIS LATTARICO, Venise “Incognita”: essai sur l’académie libertine au
XVIIe siècle (Paris: Champion, 2012).
6
Nobili famiglie italiane si stabiliscono a Vienna. Tra queste vi sono membri delle casate di
Montecuccoli, Colonna, Pallavicini, Caprara, Gonzaga, Strozzi, Collalto ecc. Cf. CAIRA LUMETTI, “Le
eruditioni per li cortigiani” (cit. n. 4).
7
Si tratta di Eleonora Gonzaga-Nevers (1630-1686), imperatrice vedova di Ferdinando III
d’Asburgo Lorena (1608-1657). Più di un’imperatrice asburgica portò lo stesso nome, a cominciare
dall’omonima Eleonora Gonzaga che nel 1622 andò in sposa a Ferdinando II, ed Eleonora
Maddalena Teresa, terza moglie di Leopoldo I. Eleonora Gonzaga-Nevers, moglie di Ferdinando
III, giunse a Vienna nel 1652. Cf. HERBERT SEIFERT, “La politica culturale degli Asburgo e le relazioni
musicali tra Venezia e Vienna”, in L’opera italiana a Vienna prima di Metastasio, a cura di Maria
Teresa Muraro (Firenze: Olschki, 1990), pp. 1-15, e ID., “Da Rimini alla corte di Leopoldo, l’opera
di Draghi in àmbito viennese”, in “Quel novo Cario, quel divin Orfeo”. Antonio Draghi da Rimini a
Vienna, Atti del convegno internazionale, Rimini, palazzo Buonadrata, 5-7 ottobre 1998, a cura di
Emilio Sala e Davide Daolmi (Lucca: Libreria Musicale Italiana, 2000), pp. 3-14 e p. 493.
8
Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705) era nato dal primo matrimonio di Ferdinando III con
Maria Anna di Spagna.
9
«Eleonora Gonzaga aveva una buona parte nelle attività musicali della corte imperiale.
[…] L’importanza nelle scelte musicali rivestita da Eleonora fece sì che ogni anno venisse dedicata
un’opera ad un personaggio femminile (Atalanta, Cidippe, Sulpizia, Tessalonica, Iphide, Gundeberga,
Turia Lucretia, Chilonida ecc.), le cui virtù e nobiltà d’animo, messe alla prova da contrasti e sventure,
trionfavano alla fine su ogni avversità». Cf. GIRARDI, “Da Venezia a Vienna: le ‘Facezie teatrali’ di
— 257 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
Nicolò Minato” (cit. n. 2), p. 200; a p. 217, n. 35 leggiamo: «L’imperatrice Eleonora Gonzaga istituì
nel 1667 l’Accademia degli Illustrati […] “i quali ogni giorno festivo raduneranno a servir S.M. e a
far pompa del lor ingegno”. Minato fece parte dell’anonima accademia istituita da Leopoldo I nel
1674, accanto allo storico Galeazzo Gualdo Priorato, all’abate Filippo Maria Bonini, a Giovanni
Fontana, a Filippo Sbarra figlio del poeta Francesco, a Carlo Draghi e altri ancora».
10
Antonio Draghi (1635-1700) dal 1658 è a Vienna dapprima in qualità di cantante nella
cappella fondata l’anno precedente dall’imperatrice vedova Eleonora. Nel 1669 Draghi succede a
Pietro Antonio Ziani come maestro di cappella dell’imperatrice, e nel 1682 è promosso a maestro
della cappella imperiale. Dal 1670 la coppia Draghi-Minato garantisce con stupefacente continuità
e abbondanza il fabbisogno di drammi musicali della corte. Cf. HERBERT SEIFERT, “Da Rimini alla
corte di Leopoldo, l’opera di Draghi in àmbito viennese”, in “Quel novo Cario, quel divin Orfeo”
(cit. n. 7), pp. 3-14, pp. 4, 7, 10-11. Draghi scriverà più di duecento opere tra composizioni teatrali,
cantate, messe. Cf. anche RUDOLF SCHNITZLER – HERBERT SEIFERT, “Draghi, Antonio” in The New
Grove Dictionary of Music and Musicians (cit. n. 2), pp. 545-551, p. 546.
11
Cf. HERBERT SEIFERT, Die Oper am Wiener Kaiserhof im 17. Jahrhundert (Tutzing: Schneider,
1985), “Spielplan”, pp. 429 ss.; e LORENZO BIANCONI, Il Seicento, in Storia della musica, vol. 5 (Torino:
EDT, 1991; 19821), in particolare del cap. 4 “Il teatro d’opera” si vedano il paragrafo 21: “I teatri
d’opera di Venezia”, pp. 195-204, e il paragrafo 24: “L’opera nei paesi tedeschi: Vienna e Amburgo”,
pp. 235-252, alle pp. 235-236.
— 258 —
EPICURO ALL’OPERA!
Minato trae il soggetto del dramma dalle Vite dei filosofi di Diogene
Laerzio (cf. “Argomento”, pp. 279-280).17 Dal dramma emerge la profonda
12
Cf. FRANCO PIPERNO, “Venezia e Vienna. Produzione e circolazione dello spettacolo operi-
stico”, in L’opera italiana a Vienna prima di Metastasio (cit. n. 7), pp. 115-125, p. 119.
13
Per la definizione si veda GIRARDI, “Da Venezia a Vienna” (cit. n. 2), p. 201. Cf. ID., “Elenco
cronologico della produzione teatrale e dei drammi di Nicolò Minato rappresentati a Venezia (1650-
1730) e a Vienna (1667-1699)”, in Il diletto della scena e dell’armonia (cit. n. 2), pp. 222-266.
14
È questo l’obiettivo dei ‘drammi a chiave’, che recano in calce una lista che esplicita la
corrispondenza tra personaggi del dramma e nome del cortigiano satireggiato. Tra i libretti a chiave
ricordiamo La lanterna di Diogene (1674), I pazzi abderiti (1675), Il silentio di Harpocrate (1677).
Cf. MANUELA HAGER, “La funzione del linguaggio poetico nelle opere comiche di Amalteo, Draghi
e Minato”, in L’opera italiana a Vienna prima di Metastasio (cit. n. 7), pp. 17-30, e HERBERT SEIFERT,
Die Oper am Wiener Kaiserhof im 17. Jahrhundert (cit. n. 11), pp. 205-234.
15
La commedia è basata sulla satira greca di Luciano di Samòsata. Si veda il saggio di ALBERT
GIER, “Nicolò Minato, ‘I pazzi Abderiti’: Amore (sintagmatico) e pazzia (paradigmatica)”, Musica e
Storia, 2004, 12: 389-399.
16
GL’ | ATOMI | D’EPICURO. | DRAMA PER MUSICA | Nel giorno natalitio | Della S. C. R. M.tà | Dell’
| IMPERATORE | LEOPOLDO. | Per Com᷉ando | Della S. C. R. M.tà | Dell’ | IMPERATRICE | MARGHERITA. |
L’ANNO MDCLXXII. | Et alla Medesima consacrato. | Musica del S.r ANT: DRAGHI, M.ro di Cap: della |
S. C. R. M.tà dell’IMPETRATRICE [sic] ELEONORA | IN VIENNA D’AUSTRIA, | Apresso Matteo Cosmerovio,
Stampatore di S. M. C.
17
Cf. ALFRED NOE, Nicolò Minato: Werkverzeichnis (cit. n. 2), pp. 42-43. Assumo la seguente
traduzione di riferimento: DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, a cura di Marcello Gigante, vol. 2
(Roma-Bari: Laterza, 2002), pp. 400-575. Numerose le edizioni dell’opera a Venezia e in Europa
tra Cinquecento e Seicento, tra le più diffuse: DIOGENES LAERTIUS, Vita de philosophi moralissime
— 259 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
A Minato, accademico erudito, non sarà sfuggito l’interesse che fin dal
secolo xv gli umanisti avevano manifestato per la cultura antica in genere, in
special modo attraverso il recupero, la traduzione e la riscrittura delle ope-
re scientifiche dei classici, tra i primi Democrito, alla cui dottrina Epicuro
fu iniziato. Né il drammaturgo avrà ignorato le diatribe post-galileiane che
corsero nella penisola all’epoca della rivoluzione scientifica, vertenti sulle
cause generatrici dei fenomeni della fisica moderna e sui principii invarianti
attraverso i quali la natura opera. Argomenti come la composizione della
materia, la resistenza dei materiali, le leggi della dinamica, la composizione
et de le loro elegantissime sententie (Venezia: Sessa, 1508); Le vite degli illustri filosofi di Diogene
Laertio, dal greco idiomate ridutte ne la lingua commune d’Italia (Venezia: Valgrisi al segno d’Erasmo,
1545); De vita et moribus philosophorum libri 10. Nunc iam ad finem graeci codicis diligentium quam
unquam antea recogniti, cum indice locupletissimo (Lugduni: Antonium Griphyum, 1566); Delle
vite e sententie de’ filosofi illustri. Di nuovo dal greco ridutto nella lingua italiana per i Rossettini
da Prat’Alboino (Venezia: Farri, 1566); Compendio delle vite de filosofi antichi greci, et latini, et
delle sentenze, & detti loro notabili. Tratte da Laertio, et da altri gravi auttori (Venezia: Brugnuolo
all’insegna della Porta, 1598); Delle vite de’ filosofi di Diogene Laertio, libri 10. Ripieni d’istorie
giouevoli; soggetti piaceuoli, essempi morali, & di sentenze graui. […] (Venezia: Bertoni al segno
del Pellegrino, 1606); Delle vite de’ filosofi di Diogene Laertio libri dieci. Ripieni d’istorie giovevoli,
soggetti piacevoli, essempi morali, & di sentenze gravi. […] (Venezia: Perchacino, 1611); Le vite de’
filosofi moralissime: estrate da Laertio, & da altri auttori. Nelle quali sono sentenze, & detti notabili,
vtili, & essemplari a’ fanciulli, che negli studij si essercitano (Venezia: Pietro Vsso, 1628).
18
Non occorrerà qui insistere sulle polemiche intorno all’atomismo diffuse in Francia e in Italia
nel Sei e nel Settecento, cf. in questo volume il contributo di M. Beretta.
— 260 —
EPICURO ALL’OPERA!
della luce e la natura del vuoto divengono per Minato spunti da cui trarre
una materia del tutto nuova, inusitata in un dramma per musica. Certo, nel
dramma la scienza e la filosofia sono assunte soltanto per dare una cornice
intellettuale all’opera: il sapere filosofico si pone come elemento posticcio,
comunque assoggettato alle convenienze drammaturgiche.19
Riferimenti alla dottrina atomistica si ravvisano per esempio nell’ampia
scena V del second’atto, dove il filosofo indottrina Anassicrate, arconte di
Atene, proprio in merito alla teoria degli atomi. Gli istituti formali adottati nel
dramma sono quelli collaudati da Minato nelle sue opere veneziane degli anni
‘60: a un pezzo chiuso (un’aria in due strofe polimetriche, con rima baciata
in chiusa) segue una lunga sezione dialogica in versi sciolti.20 La dottrina è
enunciata e dibattuta in forma di dialogo tra due interlocutori, il succitato
Anassicrate e lo stesso Epicuro. Quanto mai appropriato perciò è l’impiego
dello stile recitativo, in cui i versi sciolti tendono a riprodurre il ritmo del
parlato. Nelle quaestiones poste dall’arconte spicca il tema del rapporto tra
microcosmo e macrocosmo; Epicuro replica argomentando intorno alla costi-
tuzione della materia e del nulla, e affiorano altresì riflessioni circa la natura
della luce:
EPICURO Non sia chi resista
a creder ch’il mondo
tutto consista
in atomi congiunti,
s’il tempo che ’l misura è sol di punti.
Se forse v’adombra
vederlo sì grande,
mirate l’ombra
ch’a ricoprirlo basta:
come l’ombra, ch’è un nulla, è tanto vasta?
ANASSICRATE Ma principii sì lievi
avrà sì nobil mole?
EPICURO Non vien da picciol fonte
19
È del 1647 un’opera capitale di Blaise Pascal, Expériences nouvelles touchant le vide, pub-
blicata a seguito degli esperimenti che gli permisero di dimostrare l’esistenza del vuoto sulla scia
delle intuizioni di Evangelista Torricelli, e di sconfessare una volta per tutte il pensiero della fi-
sica antica. Le scoperte della rivoluzione scientifica non dovettero lasciar indifferente Minato, che,
nell’argomento preposto all’opera, precisa: «Ebbe [Epicuro] varie opinioni di quelle che caderono
nella mente de’ primi filosofanti quando ne’ principii delle specolazioni era imperfetta ancora la
cognizione delle cose».
20
Cf. SARA ELISA STANGALINO, I drammi musicali di Nicolò Minato per Francesco Cavalli,
Bologna, Università degli Studi di Bologna, 2011 (tesi di dottorato in Musicologia e Beni musicali),
in particolare parte I, cap. 4: “La morfologia delle arie”.
— 261 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
vastissimo torrente?
E da minuto seme
alta quercia non sorge?
La luce, a chi ben scorge,
è un incorporeo ente,
e pur anima gl’occhi,
colorisce gl’ogetti,
d’un atomo ell’è men, perch’egl’ha corpo.
Ell’è senza figura
e pur per tutto si dilata e spande.
Or, l’atomo che fia, s’il nulla è grande?
ANASSICRATE Da granella sì lievi
uscir opre sì illustri?
EPICURO Odimi, odimi attento.
Il non esser è meno
ch’esser atomo; dunque
il venir dal non esser è più strano
di quel che sia venir d’atomi lievi:
sì ch’è minor stupore
che dagl’atomi uscito il mondo sia,
che non è che sia ciò che non fu pria.
Così di te medesmo
stupir più tosto dei:
men d’un atomo fosti, e un rege or sei.
ANASSICRATE Ammiro tua virtute.
Andiam. Di Teti in grembo
non cadrà ’l novo giorno
che dal Senato ti sarà permesso
poter negl’orti tuoi,
tra i più teneri fiori,
far germogliar de la virtù gl’allori.
(Gl’atomi d’Epicuro 2,5)
— 262 —
EPICURO ALL’OPERA!
ir rintraciando l’orme
de la materia informe,
de l’indistinto caos, degl’enti primi?
Son più proficui studi,
più sicure virtudi
di cittadi e di regni
andar in traccia, e con più fermo piede
filosofar quel che si tocca e vede.
EPICURO Anassicrate, senti.
È d’atomi composto
quanto qua giù rimiri in varie forme,
quivi sono più rari, ivi più densi.
Folle sei, s’altro pensi.
Or di formiche nero stuolo osserva:
scorron l’estate i campi
e di predata messe i tetti angusti
a riempir intente:
una va, l’altra torna, a le più lente
altre porgono aita, altre dan fretta,
e con saggio governo
son poi proviste per l’algente inverno.
Or, che non s’arma Atene
e i loro erari a depredar non viene?
ANASSICRATE Non sarebbe pazzia?
EPICURO E tanto a punto è contro vaste mura
mover armi nemiche:
che tutti atomi son, città e formiche.
(Gl’atomi d’Epicuro 1,5)
— 263 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
Si finge
Che egli venga a chieder licenza dal Senato di Atene di poter aprire la sua scola
di filosofia negl’Orti a tal fine da lui comprati, e ciò col motivo che si ha, perché ciò
era proibito a ciascun filosofo senza la publica permissione.
Che Anassicrate si ritrovasse aver un figlio chiamato Focide e che, essendogli
nata una femina al tempo del cui parto mancò la genitrice, e si ebbe dagl’astrologi
che se prima degl’anni adulti si fosse allevata appresso il padre gli sarebbe avvenuto
grave sinistro, l’avesse perciò fatta nodrire in Mitilene appresso Firite, uomo saggio
e da sé dipendente.
Che in fascie fosse ella morta e che Firite, per timore dello sdegno di Anassicrate,
avesse finto essergli morta una sua bambina ch’aveva, ed avesse quella sostituita
all’estinta allevandola come figlia d’Anassicrate con il nome che quella ebbe, ch’era
stato Euleria.
Che, fatta adulta, venga in Atene con la sua nutrice, e che senta continuare nel
suo petto l’amore per Focide, di cui s’era accesa alcuni anni prima, quand’egli fu a
vederla in Mitilene, ma taccia l’amore, credendo esserli sorella.
In questo stato di cose si tesse il presente drama.
— 264 —
EPICURO ALL’OPERA!
causa delle funeste profezie di un oracolo. Soltanto più avanti si scoprirà che la
principessa Euleria era morta a Mitilene ancora in fasce, e Firite, l’uomo cui fu
affidata, per non incorrere nelle ire di Anassicrate aveva sostituito la propria figlia
alla principessa deceduta. Di Focide è innamorata anche Iblisca, principessa
ateniese a sua volta venerata da Ossinte, giovine che però ella disdegna. Euleria,
gelosa dell’amore – invero piuttosto tiepido – di Focide per Iblisca, macchina
un tranello per dimostrare a Iblisca la presunta infedeltà dell’amato. In seguito
a svariate peripezie i fatti si ribaltano: si scoprirà che Euleria e Focide non
hanno alcun legame di sangue. Nulla sembra ora impedire a Euleria d’unirsi
a Focide; il persistente tentennare del principe stanca Iblisca, inopinatamente
convertita all’amore del giovane Ossinte. Ma l’origine non nobile di Euleria osta
al matrimonio con Focide, e dunque al lieto fine. Giunge allora Epicuro il quale,
proprio come deus ex machina, scioglie il nodo intercedendo presso Anassicrate:
Euleria non ha nobili natali, ma non siamo forse tutti uguali? Non siamo forse
tutti formati da aggregazioni di atomi? Il provvidenziale intervento di Epicuro
consente la felice composizione delle coppie Focide-Euleria e Ossinte-Iblisca.
(b) Epicuro giunge in Atene per aprire la scuola negl’orti. Dialoghi con
Anassicrate.
Nel suo saggio sui Pazzi abderiti, dramma del 1675, Albert Gier propone
un modello analitico applicabile anche a Gl’Atomi d’Epicuro.21 Tale modello è
fondato sull’opposizione tra sezioni definite ‘sintagmatiche’, nelle quali l’azio-
ne procede con una certa qual speditezza e complessità (in questo caso si tratta
della vicenda amorosa (a), cf. sinossi, pp. 270 ss., quarta colonna), e sezioni
dal carattere più riflessivo, nelle quali l’azione ristagna, sezioni definibili ‘pa-
radigmatiche’ (vicenda (b), che coincide con le lunghe tirate dialogiche tra
Epicuro e Anassicrate; cf. sinossi, pp. 270 ss., quinta colonna).
Nelle scene di tipo paradigmatico la dottrina atomistica viene assunta
come modello analogico a sostegno della teoria degli affetti, in quanto l’amore
tra le coppie è concepito come effetto dell’attrazione indotta dal movimento
degli atomi.22
In tal caso l’insegnamento di Epicuro, oltre ad essere un pretesto per
moraleggiare divertendo ed esortare i cortigiani alla virtù, fa luce sulla logica
che sottende i rapporti umani-amorosi nella corte. Nell’affermare una basilare
uguaglianza tra gli uomini in ragione della loro comune ‘composizione’
corporea e animica, il testo è latore di un razionalismo materialistico in linea
con l’eredità del pensiero libertino.
21
GIER, “Nicolò Minato,‘I pazzi Abderiti’” (cit. n. 15).
22
Qui è lampante il riferimento a dottrine meccaniciste; l’uguaglianza tra gli uomini è garantita
da una innegabile realtà condivisa: la comune costituzione del corpo e dell’anima.
— 265 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
Il teatro d’opera del Seicento ama ricorrere a svariati espedienti per com-
plicare l’intreccio drammatico, la cui struttura consente di gestire con una
certa libertà una serie di convenzioni sceniche, topoi drammaturgici che
arricchiscono la nuda trama di intrighi e arrecano scompiglio nella vicenda,
diletto nella varietà.23 Minato ne fa ampio uso, fin dai suoi drammi veneziani.
La letteratura drammatica pullula di oggetti che favoriscono visivamente
sulla scena l’innescarsi di complicazioni:24 oggetti come lettere, per esempio,
recapitate a errati destinatari, o scritti il cui senso si presta a fraintendimenti,
sono tra le cause più frequenti d’equivoco. La parola scritta offre in questo
23
La creazione di un genere teatrale in parte svincolato dalle norme aristoteliche è in linea
con le tendenze poetiche sostenute dagli accademici veneziani, in primo luogo dagli Incogniti. La
moderna drammaturgia si emancipa, i drammaturghi tendono a superare la precettistica antica
per voltarsi a una inaudita varietà di approcci e metodi finalizzati all’accrescimento dell’effetto
spettacolare. Cf. RENATO DI BENEDETTO, “Poetiche e polemiche”, in Storia dell’opera italiana, a cura
di Lorenzo Bianconi, Giorgio Pestelli, vol. 6, “Teorie e tecniche, immagini e fantasmi” (Torino:
EDT, 1988), pp. 3-76; ALESSANDRA CHIARELLI – ANGELO POMPILIO, «Or vaghi or fieri». Cenni di
poetica nei libretti veneziani (circa 1640-1740) (Bologna: CLUEB, 2004); e PAOLO FABBRI, Il secolo
cantante. Per una storia del libretto d’opera in Italia nel Seicento (Roma: Bulzoni, 2003), pp. 114 ss.
24
PAOLO FABBRI, Il secolo cantante (cit. n. 23), p. 191 ss. Per la funzione della lettera nella
drammaturgia musicale del secolo XVII si veda in particolare BETH L. GLIXON, “The Letter as
Convention in Seventeenth-Century Venetian Opera”, in Critica musica: Essays in Honour of Paul
Brainard, edited by John Knowles (Amsterdam: Gordon and Breach, 1996), pp. 125-141.
— 266 —
EPICURO ALL’OPERA!
25
Cf. FABBRI, Il secolo cantante (cit. n. 23), p. 169 ss. Il travestimento è topos caro anche alla
drammaturgia del siglo de oro cf. MARIA GRAZIA PROFETI, Introduzione allo studio del teatro spagnolo
(Firenze: La Casa Usher, 1994), p. 170.
26
La giovane che, velata, misteriosamente scompare per un andito segreto rinvia al dispositivo
scenico e drammatico centrale della Dama duende di Pedro Calderón de la Barca (1629), commedia
che ha dato luogo a numerose traduzioni e riscritture. Cf. GRAZIA GORI, “Fortuna italiana de
‘La dama duende’ nel Seicento”, in Commedia aurea spagnola e pubblico italiano, vol. 4, Spagna
e dintorni, a cura di Maria Grazia Profeti (Firenze: Alinea, 2000), pp. 61-104. Sulle traduzioni e
rifacimenti della Dama duende in Italia si veda in particolare il contributo di CARMEN MARCHANTE
MORALEJO, “Calderón en Italia: traducciones, adaptaciones, falsas atribuciones y ‘scenari’”, in
Commedia aurea spagnola e pubblico italiano, vol. 2, Tradurre, riscrivere, mettere in scena, a cura di
Maria Grazia Profeti (Firenze: Alinea, 1996), pp. 17-64, pp. 30-35. Considerata la consuetudine
coltivata dalla casa imperiale con la drammaturgia teatrale spagnola intorno al 1670, è ipotizzabile
che Minato possa aver attinto alcune trovate da quel repertorio. La stessa imperatrice Margarita
era spagnola (il padre era Filippo IV di Spagna, la madre Marianna d’Austria), e la corte austriaca
fin dal 1666 è solita allestire feste di tipo spagnolo in suo onore: gli anni di punta sono quelli che
corrono dal 1667 al 1673. Ecco le principali pièces spagnole allestite nella corte austriaca: Amado y
aborrecido e Fineza contro fineza di Calderón (entrambe nel 1667), Aun vencido vence amor (1669) di
un autore altrimenti ignoto (Ximenes; musica forse di Draghi), Del mal lo menos di Antonio Folch
de Cardona (1671), La flecha de amor di autore sconosciuto (1672). Maria Grazia Profeti dimostra
però che in sostanza l’interesse dell’imperatore per il teatro spagnolo fu scarso: infatti, morta nel
1673 l’imperatrice Margarita, non si allestiranno più drammi spagnoli a corte. Cf. MARIA GRAZIA
PROFETI, “‘Primiero es la honra’ di Augustín Moreto con le musiche di Antonio Draghi”, in“Quel
novo Cario, quel divin Orfeo” (cit. n. 7), pp. 99-118, pp. 99-103.
— 267 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
27
FABBRI, Il secolo cantante (cit. n. 23), p. 89. Il topos è tra l’altro a fondamento di alcuni dram-
mi veneziani di Minato come L’Orimonte e Antioco. «Nel giorno dell’arivo del sudetto re di Media
in Assiria, per consuetudine annua doveasi mandar un cavaliere a tentar la morte d’un serpe che in
certo bosco alla città vicino quella infestava, di cui correva oracolo che quando fosse rimasto ucciso si
sarebbe confirmata amicizia tra le corone di Media e d’Assiria. Nello stato di queste cose si dà principio
al drama» (L’Orimonte, Argomento). Analogamente in Antioco “si finge”: «Che dopo di ciò nascesse
a Tolomeo Berenice, della quale avesse avuto dagli oracoli che doveva sturbar le nozze tra Laodicea
ed Antioco. Che però Tolomeo, fatta allevar Berenice in una torre con concetto che fosse una schiava
presa in guerra, nominandola Erinta, allevò, in luoco di Berenice, Anassandra, figliola di Lincaste,
Satrape dell’Egitto, suo privato, con il quale il tutto partecipò, sì che crebbe Anassandra con nome di
Berenice, e Berenice, chiusa nella torre, mai da alcuno veduta, se non da chi permetteva Tolomeo, e
tutti la crederono Erinta» (Antioco, Argomento). Il tema della torre rimanda forse a uno dei drammi
più conosciuti del siglo de oro: La vida es sueño di Calderón (1635), che prende le mosse proprio
dalla reclusione del protagonista maschile nella torre-carcere. Ma il tema delle visite amorose notturne
potrebbe a sua volta rimandare a una comedia come La viuda valenciana di Lope de Vega (1620).
Nell’Antioco di Minato la torre è un carcere in cui la principessa Laodicea giace ogni notte, occultata
dalle tenebre della cella, con l’amante Stesicrate, il quale per questo ignora l’identità dell’amata.
— 268 —
EPICURO ALL’OPERA!
Non meraviglia perciò se il personaggio Epicuro sia infine ben lungi dal
configurarsi come protagonista, ma assuma la funzione a latere di aiutante o
‘fautore’,28 intercedendo presso l’arconte affinché questi dia il benestare alle
nozze dei due giovani.
28
Rimando ai modelli di schematizzazione del testo drammatico proposti da ANNE UBERSFELD,
“Le modèle actantiel au théâtre”, nel suo Lire le théâtre, vol. 1 (Paris: Belin, 1996), pp. 43-87.
— 269 —
NICOLA MINATO, Gl’Atomi di Epicuro
INTERVENIENTI:
EPICURO
ANASSICRATE, arconte d’Atene CISSELLO, servo d’Iblisca
EULERIA, creduta sua figlia UN PAGGIO
FOCIDE, suo figlio CORTEGGIO D’ANASSICRATE
IBLISCA, prencipessa ateniese D’EULERIA
OSSINTE, prencipe D’IBLISCA
ALEA, rustica di Mitilene, nodrice d’Euleria DI FOCIDE
Prol. FELICITÀ, POESIA, MUSICA, ORIONE, QUATTRO RAGGI DEL SOLE, VOCE DEL SOLE
— 270 —
– NICOLA BADOLATO
I,1 Camere Affetto di Euleria per Foci- Focide siede sopra un letto, convalescente. Eu-
de. Gelosia di Iblisca. leria ha lasciato Mitilene per venire in Atene,
«per conoscer la patria e il genitore amato» e
per vedere Focide.
I,2 Un paggio annuncia l’arrivo di una lettera per
Focide.
I,3 Iblisca, travestita da paggio, reca lo scritto a
Focide, che vede insieme ad Euleria. Iblisca
è gelosa, e pure Euleria, che non conosce il
contenuto dello scritto. Focide non legge.
I,4 Anassicrate s’accorge dell’affetto di Euleria per
Focide, e mette in guardia la fanciulla: «Eule-
ria, Euleria, un’ombra | parmi veder per l’aria,
| che mi rende essitante. | Avverti, sei sorella,
e non amante!».
Atto/ Mutazioni Sequenze Scene
scena sceniche
I,5 Cortile Gelosia di Iblisca e di Euleria. Epicuro «O stoica stupidità, | vieni, rimira; |
Menzogna di Euleria. Arrivo qui tutto spira | giocondità». Epicuro doman-
di Epicuro. da ad Anassicrate il permesso di aprire la scuo-
la; spiega i principii della sua filosofia. «[…]
che tutti atomi son, città e formiche».
EPICURO ALL’OPERA!
I,8 Iblisca accusa Focide d’infedeltà, ma egli la ras-
— 271 —
ATTO SECONDO
II,1 Logge Inganno di Euleria. Epicu- Ossinte implora l’amore di Iblisca, ma l’affet-
ro espone la dottrina degli to della fanciulla è tutto per Focide.
atomi.
– NICOLA BADOLATO
II,5 Epicuro espone ad Anassicrate la dottrina
degli atomi. «Non vien da picciol fonte | va-
stissimo torrente?» In breve a Epicuro sarà
concesso di aprire la scuola agli Orti.
II,8 Fattasi not- Imbroglio di Euleria. Nella stanza attigua a quella di Euleria Iblisca
te. Stanze attende di vedere la giovane.
EPICURO ALL’OPERA!
che sembra scomparsa nel nulla.
— 273 —
ATTO III
III,1 Portici Rivelazione della lettera di Iblisca interroga Focide sull’identità della
Firite. dama dileguatasi. «Atomi d’Epicuro», replica
egli, «a caso congregati a danno mio, | che in
nulla poi spariro».
– NICOLA BADOLATO
III,8 … irata, porge la lettera ad Anassicrate che
l’apre e apprende la vera identità di Euleria.
Anassicrate sigilla il foglio, lo ridà a Iblisca
perché lo riconsegni a Focide.
scena Epicuro riconosce Euleria, già vista a Mitilene con Firite. Anassicrate non approva le nozze
ultima tra Focide e Euleria perché non sono pari di nascita. Epicuro sfoggia una tirata sull’ugua-
glianza degli uomini, e così facendo innesca il lieto fine schierandosi dalla parte della coppia:
«Mira meglio i mortali, | nascono tutti nudi e tutti eguali; | umile è sempre il ferro | e trae la
calamita anche dorato. […] Atomi siam, benché coperti d’oro».
Segue balletto […] in lode alla maestà di Leopoldo.
EPICURO ALL’OPERA!
— 275 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
L’interesse per la cultura filosofica antica che fin dal primo Cinquecento
gli umanisti coltivarono attraverso la riscoperta e il recupero, in forma di
traduzione e riscrittura, delle opere scientifiche dei classici greci e latini
persiste ancora nel Seicento e per tutto il Settecento. Fra gli argomenti
più largamente dibattuti prevalgono le dispute sull’atomismo, diffuse in
particolar modo in Italia e in Francia tra pensatori illustri come Galileo
Galilei (1564-1642),29 Alessandro Marchetti (1633-1714),30 e soprattutto
Pierre Gassendi (1592-1655),31 la cui reinterpretazione del meccanicismo
atomistico alla luce di un finalismo provvidenziale ebbe vasta eco in tutta
Europa.
Al centro della cultura libertina del primo Seicento troviamo ancora la
riscoperta delle filosofie antiche che si erano applicate all’analisi della condizione
umana e dei rapporti profondi tra ragione e istinto, tra teoria e azione. In àmbito
morale, il libertinismo secentesco rivaluta non solo la filosofia materialista di
Democrito e Lucrezio (a cui anche Molière aveva dedicato una traduzione oggi
29
L’interpretazione galileiana della dottrina atomistica democritea è affrontata nei Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la meccanica ed i movimenti locali
(Leida: Elsevirii, 1638). Cf. FRANCESCO IOVINE, Galileo e la Nuova Scienza (Firenze: La Nuova Italia,
1987); MICHELE CAMEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della controriforma (Roma:
Salerno, 2004); ANDREA BATTISTINI, Galileo (Bologna: il Mulino, 2011).
30
La fama di Alessandro Marchetti è legata soprattutto alla prima traduzione italiana del
De rerum natura di Tito Lucrezio Caro da lui avviata nel 1664 e conclusa nel 1668. Al di là dei
contenuti filosofici e scientifici, centrali per la riflessione coeva sulle dottrine epicuree, l’opera è
considerata fra gli esiti illustri della poesia scientifica italiana. Della traduzione, che ebbe vasta
circolazione in forma manoscritta – la prima edizione a stampa è quella londinese di Pickard,
1717 –, esistono varie redazioni: nel 1884 il Carducci ne curò un’edizione pubblicata a Firenze
presso l’editore Barbèra. Nei suoi elogi a Pierre Gassendi, il Marchetti definisce il significato
profondo da attribuire all’opera di Lucrezio: manifesto di una sintesi culturale rivoluzionaria, in
grado di collegare la nuova scienza dei moderni con la tradizione materialistica antica. Cf. MARIO
SACCENTI, “Il manifesto galileiano di Alessandro Marchetti”, Lettere Italiane, 1965, 18: 407-419;
NICOLA BADALONI, “Intorno alla filosofia di Alessandro Marchetti”, Belfagor, 1968, 23: 283-316;
PIER CARLO MASINI, Lucrezio e Alessandro Marchetti (Firenze: Libreria Antiquaria Palatina, 2008);
GUSTAVO COSTA, Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e l’Anacreonte di Alessandro Marchetti
secondo il Sant’Uffizio (Firenze: Olschki, 2012).
31
Gli opera omnia di Gassendi sono pubblicati nel 1658 in sei volumi a cura di Henri-Louis
Habert de Montmor. Si vedano almeno gli studi seguenti: ANTONINA ALBERTI, Sensazione e realtà.
Epicuro e Gassendi (Firenze: Olschki, 1988); SAUL FISHER, Pierre Gassendi’s Philosophy and Science
(Leiden-Boston: Brill, 2005); LYNN SUMIDA JOY, Gassendi the Atomist: Advocate of History in an Age
of Science (New York: Cambridge UP, 1987); ANTONIA LOLORDO, Pierre Gassendi and the Birth of
Early Modern Philosophy (New York: Cambridge UP, 2006).
— 276 —
EPICURO ALL’OPERA!
32
Si vedano a tal proposito le considerazioni di OLIVIER RENÉ BLOCH, “Molière metteur
en scène de la libre pensée”, in Libertinage et philosophie au XVIIe siècle, vol. 1 (Saint-Étienne:
Publications de l’Université de Saint-Étienne, 1996), pp. 111-124.
33
Su queste riflessioni cf. GERHARD SCHNEIDER, Il libertino. Per una storia sociale della cultura
borghese nel XVI e XVII secolo (Bologna: il Mulino, 1974); TULLIO GREGORY, “Il libertinismo della
prima metà del Seicento”, in Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, Atti
del convegno di Genova, 30 ottobre-1° novembre 1980 (Firenze: La Nuova Italia, 1981), pp. 3-47;
ALESSANDRO METLICA, “Libertini e libertinismo tra Francia e Italia”, Intersezioni, 2013, 33: 25-44.
34
Cf. HOWARD JONES, The Epicurean Tradition (London-New York: Routledge, 1992), trad. it.
La tradizione epicurea. Atomismo e materialismo dall’antichità all’età moderna (Genova: ECIG, 1999),
pp. 207-229 (“La rinascenza francese”) e pp. 231-262 (“Epicurus Britannicus”); Roma triumphans?
L’attualità dell’antico nella Francia del Settecento, a cura di Letizia Norci Cagiano (Roma: Edizioni
di Storia e Letteratura, 2007); ALVARO BARBIERI, Il mito classico nella letteratura francese, in Il mito
nella letteratura italiana, vol. 3, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, a cura di Raffaella Bertazzoli
(Brescia: Morcelliana, 2009), pp. 155-200.
35
Tra le opere principali di Batteux ricordiamo il trattato di poetica Les Beaux-Arts réduits à un
même principe (Paris: Durand, 1746), il Cours de belles lettres (Paris: Desaint & Saillant & Durand,
1753), i Principes de la littérature (Paris: Le Breton, 1773). Tra gli scritti filosofici, oltre al trattato su
Epicuro, ricordiamo l’Histoire des causes premières (Paris: Saillant, 1769).
— 277 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
36
Nato a Villerts-Cotterêts il 13 marzo 1760, Demoustier si proclamava discendente da Racine
per parte di padre e da La Fontaine per parte di madre (la notizia è riportata in tutti gli scritti,
peraltro non abbondanti, sulla vita e l’opera di Demoustier). Morì a Parigi il 2 marzo 1801, di
tubercolosi polmonare. Cf. “Charles-Albert Demoustier. Sa vie et ses œuvres”, Bulletin de la Société
Archéologique, Historique et Scientifique de Soissons, 1887, 12: 1-100 (una vera e propria monografia
sull’autore), e la “Notice sur Demoustier”, La décade philosophique, littéraire et politique, 1803, 8.2:
559-564.
37
Oltre ai titoli citati, una parte cospicua della sua produzione teatrale è raccolta nel Théâtre
de Ch. A. Demoustiers (Paris: A.-A. Renouard, 1804).
38
La prima edizione del volume inaugurale delle Lettres à Émilie sur la mythologie (Paris:
Garnier, 1786) fu seguita da numerose ristampe parigine lungo tutto il corso dell’Ottocento: Tenré,
1820 (I e II tomo); Bureau des Éditeurs, 1830 (I tomo); Librairie des Bibliophiles, 1833 (tomo II);
Langlois, 1835 (I e II tomo). Se ne registrano anche alcune traduzioni italiane: DOMENICO ROSSETTI,
La nascita d’amore. Lettera ad Emilia di C.A.D. (Parma: Luigi Mussi, 1806); ANGELO MARIA RICCI,
Lettere ad Emilia sulla mitologia. Libera imitazione di Demoustier (Livorno: Glauco Masi, 1821).
39
Così nell’«Avis de l’éditeur» in apertura del volume citato (p. 1): «Charles-Albert Demoustier,
non moins recommandable par la pureté de ses mœurs, qu’ami zélé d’un sexe auquel la nature même
sembloit l’avoir attaché par des rapports sympathiques, je veux dire, par la délicatesse de son esprit
et l’aménité de son caractère, avoit ouvert une espèce de Cours de morale, principalement destiné à
l’instruction des femmes».
— 278 —
EPICURO ALL’OPERA!
40
Per questa visione del pensiero di Epicuro anche Demoustier, come il suo predecessore
Batteux, si rifà a Gassendi, cui assegna il merito di aver ricondotto alla ‘purezza originaria’ la
dottrina epicurea (p. 307).
41
Il drammaturgo non era peraltro nuovo a questo genere di scrittura teatrale, avendo già
all’attivo almeno altri due lavori precedenti: Apelle et Campaspe (1798, musica di André-Frédéric
Eler) e L’amour filial (1792, musica di Pierre Gaveaux).
42
Si veda il contributo di Sara Elisa Stangalino qui alle pp. 272-291.
— 279 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
43
L’opéra di Beaumarchais fu messo in musica da Antonio Salieri e rappresentato nel Théâtre
de la Porte Saint-Martin l’8 giugno 1787. Lo stesso dramma fu poi rielaborato da Lorenzo da Ponte
per lo stesso Salieri nell’Axur, re d’Ormus rappresentato a Vienna nel gennaio 1788.
44
Per il contenuto ideologico (l’intreccio, ambientato in Asia, poggia interamente sull’oppo-
sizione tra un sovrano potente ma crudele e un suddito virtuoso e felice nei suoi affetti privati), il
ricorso a episodi spettacolari e l’intensificazione di elementi patetici e sentimentali, Tarare contiene
in nuce alcuni elementi che saranno poi ripresi nell’opera romantica del pieno Ottocento. Cf.
WILLIAM D. HOWARTH, Beaumarchais and the Theatre (New York: Routledge, 1995).
45
Durante il decennio della Rivoluzione e il successivo periodo napoleonico il linguaggio
teatrale in genere, e quello operistico in particolare, si arricchì notevolmente sul piano tanto let-
terario quanto musicale. Nell’intento di sfruttare le arti per fini politici e propagandistici, le autorità
rivoluzionarie incoraggiarono in particolare l’impiego della musica nei grandi spettacoli all’aperto
e nei teatri, dove venivano spesso inscenati soggetti ispirati agli ideali patriottici o che mettessero
in evidenza la dignità dell’uomo indipendentemente dal ceto sociale d’appartenenza. Si prediligono
dapprima opere basate sulla storia francese, poi su argomenti di derivazione classica, quasi a voler
prendere le distanze dalla monarchia e a voler nel contempo rappresentare le origini e il modello
della repubblica francese nelle corrispondenti forme politiche antiche. Per un panorama generale
si veda il saggio di ELIO FRANZINI, Il teatro, la festa e la rivoluzione. Su Rousseau e gli enciclopedisti
(Palermo: Aesthetica, 2002). Il rinnovamento nei costumi, nell’architettura, nella pittura avviene
soprattutto sul modello romano antico: Jacques-Louis David, il noto pittore neoclassico, svolse un
ruolo decisivo anche nell’organizzazione di feste rivoluzionarie e negli allestimenti teatrali, dipinse
un nuovo sipario per l’Opéra in cui tra l’esecuzione capitale dei tiranni e i martiri della libertà
era rappresentato un ‘trionfo del popolo francese’. Si vedano a tal proposito almeno i seguenti
contributi: LAURA MALVONE, “L’Évènement politique en peinture. À propos du Marat de David”,
Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, 1994, 106: 33-54; RÉGIS MICHEL –
MARIE CATHERINE SAHUT, David. L’art et la Politique (Paris: Découvertes Gallimard, 1988).
— 280 —
EPICURO ALL’OPERA!
scita’ era stata anticipata da una maturazione dello stile letterario e musicale
dell’opéra-comique. Strutturato secondo un’alternanza di parti cantate (arie,
duetti, cori), dialoghi parlati senza accompagnamento musicale e mélodrames
(melologhi, ossia scene mimate e recitate in concomitanza, o a rotazione,
con la musica), l’opéra-comique aveva avuto un grande sviluppo soprattutto
a partire dagli anni ’70, grazie a Romualdo Duni (1708-1775), François-
André Danican Philidor (1726-1795) e Pierre-Alexandre Monsigny (1729-
1817).46 Sul finire del secolo, il nuovo genere divenne lo strumento espressivo
privilegiato per veicolare messaggi di carattere politico, sociale, morale e –
come vedremo – filosofico.47
Negli anni più significativi nella storia dell’opéra-comique si stabilisce a
Parigi Luigi Cherubini.48 Nato a Firenze nel settembre 1760 in una famiglia di
musicisti (il padre è ‘maestro al cembalo’ nel Teatro della Pergola), si avvicina
alla composizione operistica attraverso Giuseppe Sarti, col quale lavora a
Bologna e Milano tra il 1778 e il 1780. Nel 1784 lascia l’Italia, dapprima per
Londra, poi per Parigi, dove nel 1788 esordisce all’Opéra col Démophoon.
Il decennio 1790-1800 è senza dubbio il più felice per Cherubini: collabora
con la banda repubblicana di Sarrette, compone inni e marce, riceve incarichi
ufficiali, mette in scena al Feydeau quattro importanti lavori, che lo assurgono
all’Olimpo dei compositori di Parigi: Lodoïska (1791), Éliza (1794), Médée
46
Cf. Lo spettacolo nella Rivoluzione francese, Atti del Congresso internazionale di Milano,
4-6 maggio 1989, a cura di Paolo Bosisio (Roma: Bulzoni, 1989); GIUSEPPE RADICCHIO – MICHEL
SAJOUS D’ORIA, Parigi: i teatri negli anni della Rivoluzione (Milano: Electa, 1989). Dagli anni della
Rivoluzione e dell’Impero Parigi dispone di tre principali organismi teatrali che occupano sale
diverse (con trasferimenti frequenti in nuove sedi), e che hanno la responsabilità di tre tipologie
principali di spettacolo: (1) il Théâtre de l’Opéra, finanziato dal governo nazionale, rappresenta
l’opera seria integralmente cantata e il balletto; possiede un’orchestra numerosa e cori formati da
molti elementi, ampie risorse sceniche e un eccellente corpo di ballo; (2) il Théâtre de l’Opéra-
Comique mette in scena tutta la gamma delle opere francesi che impiegano, oltre al canto, anche il
dialogo parlato; negli anni occupò sale diverse (Feydeau, Favart e Ventadour); (3) il Théâtre Italien
(dal 1801) che accoglie l’opera italiana cantata in italiano ed è luogo d’incontro per i ceti intellettuali
e altolocati; tra i musicisti italiani che ne tennero la direzione figurano Gaspare Spontini (1810-
1812), la cantante Angelica Catalani (1814-1815), Ferdinando Paer (1815-1824 e 1826-1827) e
Gioachino Rossini (1824-1826).
47
Per un panorama sull’opera in Francia sul finire del Sette e il primo Ottocento si veda
HERBERT SCHNEIDER, Il teatro musicale da Rameau al 1830, in Musica in scena, vol. 2, Gli italiani
all’estero. L’opera in Italia e in Francia, a cura di Alberto Basso (Torino: UTET, 1996), pp. 537-610.
48
Dell’ampia bibliografia su Luigi Cherubini segnaliamo qui almeno i seguenti titoli: Luigi
Cherubini nel II centenario della nascita: contributo alla conoscenza della vita e dell’opera, a cura di
Adelmo Damerini (Firenze: Olschki, 1962); BASIL DEANE, Cherubini (London: Oxford UP, 1965);
VITTORIO DELLA CROCE, Cherubini e i musicisti italiani del suo tempo (Torino: EDA, 1983); STEPHEN
CHARLES WILLIS, Luigi Cherubini: A Study of his Life and Dramatic Music, 1795-1815 (Ann Arbor:
UMI, 1984).
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SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
(1797) e Les Deux journées (1800). L’apice della sua drammaturgia arriva
con Médée, da Euripide, un’opéra-comique che farà epoca nella storia del
teatro d’opera. Dopo il 1800 inizia per Cherubini un periodo più difficile:
in contrasto con l’ideologia artistica napoleonica, concentra la sua attività
musicale soprattutto sull’insegnamento in Conservatorio e cerca di lanciare
le sue opere ‘rivoluzionarie’ in Germania e in Austria. Nel 1803 presenta
Anacréon ou L’amour fugitif all’Opéra: l’opera non riscuote un gran successo,
in primis per l’argomento, scevro da qualsiasi eroismo, ma soprattutto per
ragioni strutturali della musica: troppo sinfonica l’ouverture, troppo grevi
i recitativi, troppo simili tra loro i pezzi musicali, scarse le idee melodiche
pregnanti.
Accanto all’italiano Cherubini, l’altro importante autore di opéras-comi-
ques fu il francese Étienne-Nicolas Méhul. Organista di formazione e con solidi
interessi per la musica strumentale, arriva al teatro sulla scia di Gluck, dal quale
fu incoraggiato a intraprendere la carriera di operista. Nel gruppo dei musicisti
rivoluzionari, è quello che più d’ogni altro condivide il nuovo corso repubblicano.
Nel 1793 fu nominato ispettore per la musica nel neonato Conservatoire National
Supérieur de Musique et de Danse di Parigi. Dopo aver pubblicato una raccolta di
sei Sonate per cembalo (1783) si impone al teatro Favart con Euphrosine et Corradin
(1790), poi con la Stratonice (1792) e Le jeune Henry (1797).49
Tra i lavori teatrali dei due musicisti qui sopra sommariamente introdotti,
come s’è detto, compare anche l’Épicure di Charles-Albert Demoustier, rap-
presentato nel Théâtre Favart di Parigi il 14 marzo 1800 in forma di opéra-
comique; i tre atti furono composti a quattro mani da Cherubini e Méhul,
autori l’uno del primo e l’altro del second’atto, e coautori del terzo. Tanto
sul piano musicale quanto su quello della scrittura drammatica, Épicure è
oggi pressoché ingiudicabile, essendosene perduti sia il libretto sia la quasi
totalità della partitura, di cui restano soltanto otto brani in tutto, di mano
di Cherubini: i primi quattro numeri del prim’atto (1-4), due del terzo (8 e
10, quest’ultimo con due appendici che registrano alcune variazioni alla pri-
ma stesura), oltre all’ouverture.50 La tabella qui di seguito riporta l’elenco
49
Su Méhul si vedano ARTHUR POUGIN, Méhul: sa vie, son génie, son caractère (Genève: Minkoff,
1973); MARY ELIZABETH CAROLINE BARTLET, Étienne-Nicolas Méhul and Opera: Source and Archival
Studies of Lyric Theatre during the French Revolution, Consulate and Empire (Weinsberg: Musik-
Edition Lucie Galland, 1999).
50
Gli autografi di Cherubini sono conservati a Brunswick, Stadtarchiv und Stadtbibliothek
(Mus. Ms. Autogr. Cherubini, n. 125). Un’edizione moderna dell’ouverture dell’opera è stata recen-
temente pubblicata a cura di Pietro Spada: LUIGI CHERUBINI, Épicure. Ouverture (Roma: Boccaccini
& Spada, 2007).
— 282 —
EPICURO ALL’OPERA!
dei pezzi superstiti con l’indicazione dei personaggi coinvolti e dei rispettivi
incipit.51
Atto Primo
n. 1 Duetto Aspasie-Épicure «Du tourment cruel que j’endure»
n. 2 Épicure, Aspasie, Coro «Amans, amis» (Andantino grazioso)
n. 3 Épicuro, Coro «Voyez dans mon champêtre asile»
n. 4 Finale: Aspasie, Épicure, Héraclite, «Mon ami, qui vois-je là bas?»
Narcisse, Démocrite, Ruston
Atto Terzo
n. 8 Épicure, Héraclite, Narcisse, Démo- «Répands sur nous, céleste vérité, un pur rayon
crite, Ruston de ta lumière»
n. 10 Finale: Aspasie, Épicure, Héraclite «Voici les maux que mon génie enfante»
Narcisse, Démocrite, Ruston, Coro
n. 10a Finale: Aspasie, Épicure, Héraclite, «Voici les maux que mon génie enfante»
Narcisse, Démocrite, Ruston, Coro
n.10b Finale: Aspasie, Épicure, Héraclite,
Narcisse, Démocrite, Ruston, Coro «Grands dieux»
Quale sarà mai stato il ruolo di Epicuro in quest’opera? Come sarà stato
delineato il filosofo greco da un autore – Demoustier – che già aveva dimo-
strato di conoscere a fondo il mondo antico e le dottrine filosofiche maggiori?
Difficile a dirsi. Una ricostruzione plausibile dell’immagine del filosofo nel
dramma risulta estremamente ardua, in mancanza di un libretto che ci consenta
di analizzarne partitamente i contenuti. E tuttavia possiamo tentare di comporre
un profilo a partire dalle considerazioni ‘di seconda mano’, contenute nelle non
poche descrizioni di corredo alla prima esecuzione dell’opera.
Dalle recensioni coeve sappiamo che alla sua prima apparizione l’opera
ricevette un’accoglienza piuttosto negativa da parte degli spettatori, che giu-
dicarono irrazionale la figura del protagonista e sconclusionata l’intera vicenda.
Una seconda recita dell’opera, data tre giorni dopo la première del 14 marzo
1800, indusse Demoustier a rivedere il testo del libretto in vista di una terza
replica in programma il 20 marzo: l’esito non fu tuttavia dissimile, ed Épicure
venne cancellato dal cartellone del Théâtre Favart. La rumorosa opposizione
del pubblico riecheggiò immediatamente sulla stampa parigina; ce lo dice il
seguente passo tratto dalla Gazette de France del 15 marzo 1800:
L’opéra d’Épicure a excité plus de bruit que d’applaudissements; cependant on
continuera à la jouer. La musique de Méhul et de Cherubini, les tirades qui ont fait
reconnoître l’auteur du Conciliateur, méritent de tenter plus d’une fois le goût du
51
Lo schema è ripreso da MICHAEL FEND, Cherubinis Pariser Opern (1788-1803) (Stuttgart:
Franz Steiner Verlag, 2007), pp. 348-352, p. 349.
— 283 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
public qui, soit dit sans l’offenser, porte à présent au spectacle la turbulence dont il
s’est corrigé dans les affaires politiques.52
52
Il passo è citato in VITTORIO DELLA CROCE, Cherubini e i musicisti italiani del suo tempo
(Torino, EDA: 1983), pp. 292-293.
53
Si veda l’Année théâtrale: Almanach, 1800, 9: 226-229
— 284 —
EPICURO ALL’OPERA!
dont il veut faire son disciple. Cependant on le mène devant l’aéropage. Il est accusé
de séduire la jeunesse, et de prêcher la corruption. Épicure expose les principes les
plus purs de sa morale. Aspasie vient à son aide, et dévoile les motifs criminels de
l’accusation. Épicure est absous et pardonne à ses dénonciateurs.54
54
Cf. l’Almanach des Muses, 1801, 9: 311-312.
55
La figura di Aspasia è ben nota tanto nel teatro per musica quanto nella letteratura e nell’arte
figurativa coeva. Ricordiamo rispettivamente: L’Aspasia di Gaetano Sertor musicata da Giuseppe
Giordani (Venezia: Fenzo, 1790); il romanzo L’amor tra l’armi ovvero La storia militare e amorosa di
Aspasia e Radamisto di Antonio Piazza (Venezia: Fenzo, 1773); il dipinto Aspasia s’entretenant avec
Alcibiadés et Socrate di Nicholas-André Monsiau (1798). Per un quadro complessivo sulla figura di
Aspasia nelle arti in genere si veda ILARIA CROTTI, “Prime note per Aspasia”, Critica letteraria, 2003,
121: 651-669.
56
Per un profilo della connotazione tradizionale di Aspasia cf. NICOLE LORAUX, Aspasia, la
straniera, l’intellettuale, in Grecia al femminile, a cura di Nicole Loraux (Roma-Bari: Laterza, 1993),
p. 135-137; MADELEINE M. HENRY, Prisoner of History. Aspasia of Miletus and Her Biographical
Tradition (Oxford: Oxford UP, 1995).
— 285 —
SARA ELISA STANGALINO – NICOLA BADOLATO
57
Secondo il recensore della Décade philosophique, littéraire et politique, 1800, 8: 560, la scelta
del nome di Aspasia sarebbe semplicemente legata a ragioni tecnico-strutturali: «l’histoire désigne
sa courtisane Leontium, mais les formes lyriques ont fait préférer sans doute le nome d’Aspasie».
58
Il testo è riprodotto in MICHAEL FEND, Cherubinis Pariser Opern (cit. n. 52), pp. 350-351.
— 286 —
EPICURO ALL’OPERA!
59
Cf. “Charles Albert Demoustier. Sa vie et ses oeuvres” (cit. n. 36).
60
Espressione autoironica, con cui Orazio si descrive nell’epistola a Tibullo (Hor. epist. 1,4,10).
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
Bes, 36 Cadmo, 25 e n
Besomi, Ottavio, 227n Calandra, Elena, 173n
Bett, Richard, 27 e n Calboli, Gualtiero, 124n
Bianchini, Bartolomeo, 227n, 229 Calderón de la Barca, Pedro, 267n, 268n
Bianconi, Lorenzo, 255n, 256n, 258n, 266n Caletti, Bruno, 256n
Bignone, Ettore, 39n, 44 e n, 47n, 50n, 75 e n, Caligola, 191
97n, 123n, 131n Callimaco, 200
Billanovich, Giuseppe, 237n Callistrato, 134
Blanchard, Alain, 60n, 185 e n, 188 e n Calogero, Guido, 121n
Blanchard-Lemée, Michèle, 60n, 185 e n, 188n, Calvo, Tomás, 1n
189 Cambiano, Giuseppe, 37n, 40n
Bloch, Herbert, 174n Camerota, Michele, 276n
Bloch, Olivier René, 277n Campoluonghi, Loretta, 47n
Blondell, Ruby, 7n Campos Daroca, Francisco Javier, 55n
Boella, Umberto, 114n Canali, Luca, 156n
Bolkestein, Alide Machtelt, 104n Candido, Pietro, 207n, 228n
Bollack, Jean, 123n Canfora, Luciano, 36n, 145, 146 e n
Bollack, Mayotte, 92n, 197n Capasso, Mario, 39n, 42n, 43n, 44 e n, 55n,
Bonacasa, Nicola, 94n 61n, 70n, 88n, 92n, 94n, 96n, 98n, 99n, 103n,
Bonazzi, Mauro, 133n 106n, 108n, 111, 113n, 116 e n, 117 e n, 118n,
Bonini, Filippo Maria, 258n 121n, 122n, 126 e n, 127 e n, 128n, 133n,
Borriello, Mariarosaria, 176n 155n, 159n, 176n, 195n, 196n, 197n
Bosisio, Paolo, 281n Caplan, Harry, 100n
Botticelli, Sandro, 207 Carducci, Giosué, 276n
Boudon-Millot, Veronique, 15n, 16 e n, 17 e n, Carino, 77, 81
22n, 30n, 31n Carneade, 50n, 66, 200
Boulogne, Jacques, 31n Carneisco, 61 e n, 113n, 116n, 117n, 121n
Bowman, Alan K., 178n Caroli, Menico, 99n
Boyancé, Pierre, 19n, 41n Carron, Delphine, 237n
Bracciolini, Poggio, 204, 207 Caruso, Carlo, 227n
Bradley, Francis Herbert, 115n Casanova, Angelo, 139n, 140n, 149n
Brainard, Paul, 266n Catalani, Angelica, 281n
Brancacci, Aldo, 28n Catio, Caio, 108n
Braun, Emil, 199n Catone, 238, 239
Brisson, Luc, 1n Catullo, 164n
Broadie, Sarah, 130n Cavalli, Francesco, 256 e n, 261n
Bromio, 94 e n, 95n Cavallini, Ivano, 256n
Brown, Alison, 204n, 230n Cavallo, Guglielmo, 51n, 155n, 176n
Brown, Eric, 112n Cerasuolo, Salvatore, 45n
Bruni, Leonardo, 240n, 254, 256 Cerere vd. Demetra
Brusoni, Girolamo, 257n Chardron-Picault, Pascale, 60n
Bruto, 280 Chénier, André, 287
Buonocore, Mario, 207n Cherchi, Gavina, 217n
Buresch, Karl Hermann, 98n Cheredemo, 51, 60, 61, 82n
Burghers, Michael, 216 Cherubini, Luigi, 255, 277, 279, 280, 281 e n,
Burkert, Walter, 85n 282 e n, 283n, 284 e n, 286
Burnacini, Lodovico Ottavio, 258 Chiarelli, Alessandra, 266n
Busch, Stephan, 149n Chilone, 18
Chilonida (personaggio d’opera), 257n
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INDICE DEI NOMI
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INDICE DEI NOMI
Demetrio Lacone, 63n, 95n, 99, 100 e n, 107 Draghi, Carlo, 258n
e n, 119n Droge, Arthur J., 18n
Demetrio Poliorcete, 166 Dubowy, Norbert, 256n
Democrito, 20 e n, 22, 23n, 28 e n, 33, 65, Duni, Romualdo, 281
234n, 236, 249, 259, 260, 276, 283, 284 Dupuy, Pierre, 219n
Demofonte, 281 Düring, Ingemar, 122n, 129n
Demostene, 154 e n
Demoustier, Charles-Albert, 255, 276, 278 e Ecateo, 23 e n, 28
n, 279n, 282, 283, 286, 287 e n Ecca, Giulia, 15n, 20n
Deufert, Marcus, 229n Edelstein, Ludwig, 243n
Di Benedetto, Renato, 266n Edilo, 36 e n
Diano, Carlo, 39n Efesto, 22, 23
Dibner, Bern, 212n Eforo, 17, 25, 28n
Diderot, Denis, 280 Egesianatte, 61
Diels, Hermann, 54, 56n, 85n, 86 e n, 88n, Egesippo, 76n
97n, 102 e n, 103n, 130n Eicholz, Paul, 25 e n
Dillon, John, 16n Eijk van der, Philip, 15n
Dillon, Sheila, 156 e n, 180 e n, 196n Einarson, Benedict, 51n
Diodoro Siculo, 17n, 23 e n, 277 Eisen, Charles, 222n
Diodoro di Tiro, 166 Eler, André-Frédéric, 279n
Diogene di Babilonia, 94n Eliano, 18n, 50, 57 e n, 82 e n, 83 e n
Diogene cinico, 259 e n, 279 Eliodoro, 56, 57n, 133
Diogene di Enoanda, 26n, 40n, 44 e n, 45 e n, Ellanico, 24 e n
46 e n, 103n, 107 e n, 116 e n, 118n, 119 e n, Empedocle, 1, 2, 40n, 217, 230, 233 e n, 234,
120 e n, 125 e n, 126 e n, 127 e n, 128 e n, 235, 243
129n, 131n, 132 e n, 133, 134n, 135, 136, 139 e Ennio, 202 e n
n, 140n, 141 e n, 142, 143 e n, 144 e n, 145 e n, Epaminonda, 61n
146, 148 e n, 149 e n, 150, 178 e n, 179 e n,194 Epitteto, 62n, 65, 105n, 115n, 128n
Diogene Laerzio, 3n, 5n, 6n, 19n, 35n, 37n, Era, 23
40n, 47 e n, 48 e n, 49n, 50n, 61n, 63n, 65 Eracle, 20, 21, 180
e n, 66 e n, 67 e n, 71n, 74 e n, 78 e n, 82 e Eraclito, 114, 115, 283, 284
n, 91n, 95n, 97, 99, 129, 132n, 158 e n, 170n, Erasmo da Rotterdam, 208n, 210, 232n, 247n,
204, 217 e n, 237 e n, 238, 239, 254, 259 e n, 252n
260n, 277 Eratostene, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 35, 36, 200
Diogeniano, 141n Ercole vd. Eracle
Dione Crisostomo, 122 Erinta, 268n
Dioniso, 22 e n, 23, 40n, 58, 175n Erler, Michel, 1n, 2n, 3n, 4n, 7n, 8n, 9n, 12n,
Dionisotti, Carlo, 231n 16n, 26n, 39, 41n, 46n, 47n, 69 e n, 81,
Diotimo, 65 82n, 92n, 96n, 112 e n, 121n, 122n, 132,
Dixon, Helen, 242n, 250n 133 e n, 150n, 236n
Dodds, Eric M., 121n Ermarco, 42n, 44n, 47 e n, 48, 49, 53, 56, 57,
Dolet, Etienne, 212 e n 58, 62, 71, 82, 101, 104, 105, 125, 126n,
Donini, Pierluigi, 30n, 133n 132n, 154 e n, 158, 170, 179, 180, 182, 183,
Dontas, Georgios, 57n 184, 189, 190, 194n
Dorandi, Tiziano, 19n, 39n, 47n, 90n, 95n, Ermete vd. Hermes
100n, 164n, 197 e n, 237 Erodoto di Alicarnasso, 17, 24 e n
Dörrie, Heinrich, 2n Erodoto (filosofo epicureo), 5n, 6 e n, 117,
Draghi, Antonio, 255, 257n, 258 e n, 259 e n, 118n, 128n, 132n, 237 e n
267 e n, 279 Erone, 36n
— 293 —
INDICE DEI NOMI
— 294 —
INDICE DEI NOMI
Frischer, Bernard, 3n, 57n, 58, 59 e n, 60 e Girardi, Maria, 256n, 257n, 259n
n, 116n, 177n, 181, 182 e n, 183, 191, 194 Girgenti, Giuseppe, 48n
e n, 218n Giroire, Cécile, 57n
Fritz, Kurt von, 89, 100n Giuliano, Flavio Claudio, 195 e n
Fuhrer, Therese, 236n Giusta, Michelangelo, 116n, 119n
Fusil, Casimir Alexander, 252n, 253n Glad, Clarence E., 3n, 41n, 68n, 92n, 128n
Glaucone (personaggio di Platone), 10, 11,
Gadamer, Hans-Georg, 113n 12, 13
Gale, Monica R., 1n, 26 e n, 233n Glixon, Bert L., 266n
Galeno, 15 e n, 16, 17 e n, 18, 19, 21, 22n, 29e Gluck, Christoph Willibald, 282
n, 30 e n, 31 e n, 32n, 38 Goldhill, Simon, 19n
Galilei, Galileo, 276 e n Gomperz, Theodor, 77 e n, 145
Galle, Theodor, 200 e n Gonzaga, Eleonora di, 257 e n, 258n
Gallo, Italo, 101n, 106n Gonzaga-Nevers, Eleonora di, 257n
Gambino Longo, Susanna, 230n, 253n Goodyear, Francis Richard David, 246n
Garani, Myrto, 233n Gordon, Alexander Cosmo, 207 e n, 208 e
Gargiulo, Tristano, 112 e n n, 210
Garnsey, Peter, 180n Gordon, Pamela, 120n, 179 e n
Garzya, Antonio, 103n Gorgia da Lentini, 18, 22
Gassendi, Pierre, 217 n, 218 e n, 221n, 276 e Gorgia (personaggio di Platone), 8, 10, 13, 101
n, 277, 279, 286 Gori, Grazia, 267n
Gatzemeier, Suzanne, 236n Goulet, Richard, 47n, 90n
Gaveaux, Pierre, 279n Gow, Andrew Sydenham Farrar, 36n, 49n,
Gell, Alfred, 180 156n
Gellio, Aulo 25n, 35n Graf, Urs, 208, 210
Gemelli Marciano, Maria Laura, 28n Grafton, Anthony, 207n
Gerolamo, 19n, 231n, 233, 235 e n, 240 e n Greco, Emanuele, 171n
Gerone II di Siracusa, 36n, 37, 38 Greenblatt, Stephen, 230n
Getty, Paul, 151 Gregorio di Nazianzo, 240 e n
Giannantoni, Gabriele, 5n, 40n, 45n, 123n, Gregorio di Nissa, 1n
146n Gregory, Tullio, 277n
Giasone, 36n Griffin, Miriam, 62n, 90n, 121n
Gier, Albert, 259n, 265 e n Grilli, Alberto, 40n, 118n, 119 e n, 120n, 123n,
Gifanii, Oberti (Giffen, Hubert van), 221n 125n, 134n, 135n, 140n,
Gigante, Marcello, 5n, 39n, 42n, 45n, 47n, 49n, Grimal, Pierre, 112 e n
52n, 57n, 59n, 62n, 65n, 68n, 69 e n, 70n, 73 Gros, Pierre, 153, 154 e n
e n, 74 e n, 75 e n, 88 e n, 89 e n, 91n, 92n, Gruterus, Janus (Gruiter, Jean), 228n
93n, 94n, 95 e n, 96n, 97n, 98n, 101n, 103n, Gualdo Priorato, Galeazzo, 258n
105n, 106 e n, 108n, 109n, 111, 112 e n, 113n, Guidobaldi, Maria Paola, 157n, 159n, 160n,
115n, 116 n, 119n, 123n, 128 e n, 130n, 131n, 176n, 196n
132 e n, 134n, 135n, 146n, 155n, 156 e n, 163 Guidobaldi, Nicoletta, 193n
e n, 164n, 167n, 176n, 196n, 259n Gundeberga (personaggio d’opera), 257n
Gilbert, Camille, 224n Guzzo, Giovanni, 57n, 176n
Gilbert, Felix, 249n
Gillespie, Stuart, 196n, 227n, 230n, 233n Haas, Frans J. de, 130n
Gillispie, Charles Conlston, 197n Haase, Wolfgang, 4n, 29n, 30n, 112n, 164n,
Giordani, Giuseppe, 285n 178n
Giovanni il Battista, 243n Habert de Montmor, Henri-Louis, 276n
Giove vd. Zeus Haensch, Rudolf, 148n
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INDICE DEI NOMI
Palmer, Ada, 230n, 237n, 240n Pisone Cesonino, Lucio Calpurnio, 49, 101n,
Pamfilio, 249 105n, 106, 109n, 109n, 155n, 156, 164n,
Pan, 157 174 e n, 200
Pandermalis, Dimitrios, 155 e n, 195n Pisone Cesonino detto ‘il Pontefice’, Lucio,
Panezio, 96n, 105n, 132n 154
Pannico, 203n Pitagora, 18, 33 e n, 244 e n, 250, 251
Paolo di Tarso, 41n Pitocle, 6n, 40n, 54, 55 e n, 72, 73, 101, 128n
Paolo, Lucio Emilio, 174 Pizzani, Ubaldo, 227n, 236n, 248n
Parain, De Coutures Jacques, 214 Platone, 1 e n, 2 e n, 3, 7 e n, 8 e n, 9 e n, 10 e
Paratore, Ettore, 112 e n n, 11 e n, 12 e n, 13, 15, 16, 18, 19 e n, 26n,
Parittione, 19 29 e n, 30, 33 e n, 37, 38, 40 e n, 41 e n, 91n,
Parmeggiani, Giovanni, 28n 100n, 121 e n, 124n, 129 e n, 180, 231, 248
Parny, Évariste Désiré de, 287 e n, 249, 279
Pascal, Blaise, 261n Plinio il Vecchio, 21, 25 e n, 35n, 44 e n, 49,
Pascal, Carlo, 118n, 122 e n 50, 83 e n, 172 e n, 173 e n, 174n, 180, 197
Passmore, John, 1n e n, 277, 285
Patrofilo, 31 Plotina, 46, 47n
Patrone, 158 e n, 176 Plotino, 133n
Pausania, 17n, 19n, 163n, 164n, 168n, 170n, Plozio, Tucca, 96n
173n Plutarco, 17n, 18n, 35n, 37 e n, 38, 43n, 48n,
Pease, Arthur Stanley, 243n 50n, 51 e n, 60 e n, 66 e n, 67 e n, 80n, 82 e
Pecere, Paolo, 99n n, 118n, 121n, 128n, 133, 135n, 136n, 163
Pericle, 74, 170, 285 e n, 167, 168n, 170 e n, 174 e n, 277, 285
Perilli, Lorenzo, 34n Polieno (filosofo epicureo), 42n, 44n, 47 e n,
Perseo, 27 e n 50n, 51, 52, 55n, 56, 62, 77 e n, 80, 81, 82,
Pesando, Fabrizio, 157n, 158n, 171n, 174n, 193n 83, 100 e n, 101, 104, 107n, 117
Pestelli, Giorgio, 266n Polistrato, 105
Petersmann, Hubert, 96n Poliziano, Angelo, 207
Petri, Henrico, 210 Pollione, Gaio Asinio, 197
Petrucci, Federico, 1n Pollitt, Jerome Jordan, 182n
Philidor, André Danican, 281 Polly Goddard, Charlotte, 230n, 235n, 237n,
Philippson, Robert, 62n, 77 e n, 91n, 93n 239 e n, 242n, 245n
Piazza, Antonio, 285n Polo (personaggio di Platone), 10, 13
Piazzi, Lisa, 233n Pompilio, Angelo, 266n
Piccinni, Niccolò, 280 Pomponazzi, Pietro, 248n
Pietro, Francesco, 256n Pomponio, Giulio Leto, 229, 242n, 250n
Piettre, René, 41n, 43n, 58n, 59n Popilio, Teotimo, 46
Pigeaud, Jackie, 102 Poppea, 173
Pinchetti, Balila, 156n Portale, Elisa Chiara, 94n
Pindaro, 17n, 88n, 102 e n Posidonio di Apamea, 28 e n, 29, 104n, 105n,
Pio, Giovan Battista, 208 e n, 227 e n, 228n, 107
229 e n, 230 e n, 232, 233, 234 e n, 235, Pougin, Arthur, 282n
236, 237, 238, 239 e n, 240, 241, 242 e n, Priuli, Nicolò, 242n, 250
243, 244, 245 e n, 246 e n, 247, 248e n, 249, Proclo, 100n
250 e n, 251, 252, 253 e n, 254 Procope, 96n
Piperno, Franco, 259n Prodico, 22 e n, 23 e n, 25, 26 e n, 27 e n, 28
Pirrone, 195 Profeti, Maria Grazia, 267n
Pirsone di Colofone, 62n Prosperi, Valentina, 230n, 231n, 232n, 243n
Pisone Frugi Calpurniano, Marco Pupio, 174n Prost, François, 136n
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