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n. 2
COMITATO SCIENTIFICO
Michele Abbate (Università di Salerno)
Enrico Berti (Professore Emerito, Università di Padova)
Elisabetta Cattanei (Università di Cagliari)
Fulvia De Luise (Università di Trento)
Thomas A. Szlezák (Università di Tubingen)
SALVATORE LAVECCHIA
MIMESIS
Askesis / Studi di filosofia antica
Alla pubblicazione di questo libro ha contribuito un finanziamento del MIUR legato al
programma di incentivi per la mobilità di studiosi italiani impegnati all’estero (“Rientro
dei cervelli”).
RINGRAZIAMENTI p. 6
BIBLIOGRAFIA p. 91
PREMESSA.
IL BENE E LA NON-DUALITÀ
Uno, ovvero dei Molti, e pertanto implica in se stesso, oltre ogni forma
di relazione, la possibilità di una differenza, di una negazione rispetto a
se stesso. In quest’ottica, più che essere indizio di un qualche dualismo, il
rinvio delle fonti ai due Principi Uno e Dualità Indefinita si rivela un se-
gnale della suddetta, eminentemente antinomica Non-Dualità costituita dal
Bene; e più che rinviare ad ingenue asimmetrie concettuali, l’oscillare della
Repubblica fra un Bene oltre l’Essere ed un Bene immanente all’Essere ci
mostra, in modo indiretto, come il carattere non-duale del Bene implichi
la radicale immanenza del Bene stesso nell’Essere. A partire da tali pre-
messe la filosofia platonica del Principio (o, meglio, dei(-l) Principi(o)2), la
protologia di Platone, si manifesta in tutta la propria potenza speculativa.
Una potenza che, intuendo nel Bene un Principio non-duale, colloca nel
Principio, su uno stesso piano, senza alcun subordinazionismo, le radici
(Principi-ajrcaiv) tanto dell’Uno quanto dei Molti, e per questo supera ogni
sterile dualismo fra Bene ed Essere (Idea), fra Assoluto e Manifestazione,
fra Archetipo ed Icona.
Data la sua estensione questo lavoro non pretende di fornire una disa-
mina esaustiva riguardo ad ogni aspetto della protologia platonica; né può
discutere, o anche solo menzionare, le varie interpretazioni che di quella
protologia sono state fornite, ovvero esaminare sistematicamente le fonti
che la riguardano. Suo unico scopo è suscitare interesse verso alcuni oriz-
zonti che potrebbero illuminare in modo più chiaro la sostanza e il senso
della filosofia di Platone.
In qualche suo momento il presente tentativo di esplicitare alcune di-
mensioni della protologia platonica, ossia di colmare le lacune lasciate
dalle fonti che la riguardano, potrebbe dar l’impressione di una (più o
meno eccessiva) dipendenza da concetti non originariamente platonici,
per esempio da concetti legati al Neoplatonismo o all’Idealismo: insomma,
potrebbe esser percepito come un arbitrario modernizzare. Ora, tramite un
esperimento di comparazione, nella sua parte finale questo libro vorreb-
be mostrare come, in realtà, le interpretazioni proposte nelle sue pagine
sembrino restituirci un Platone quanto mai arcaico: un Platone che forse
2 Nel prosieguo della trattazione il lettore noterà un certo oscillare fra il Principio
e i(l) Principi(o), nonché fra la caratterizzazione del Bene da un lato come Prin-
cipio, dall’altro come Metaprincipio. Le suddette oscillazioni vogliono sempli-
cemente segnalare: da una parte il carattere non-dualistico, e quindi antinomico,
della protologia platonica; dall’altro l’ugualmente antinomica non-dualità che
caratterizza la relazione fra il Bene e l’Essere, ovvero fra il Metaprincipio ed il
suo farsi Principio ontopoietico.
Premessa 9
presenta più punti di contatto con la protologia vedica che con le filosofie
del Principio cronologicamente più vicine a noi. Al lettore sia demandata la
scelta: scelga di fermarsi ai testi, e di applicare a tutto ciò che segue l’eti-
chetta di Neoplatonismo, Idealismo, o (perché no?) arcaismo d’accatto; ov-
vero scelga di sperimentare, senza alcun pregiudizio, se si è detto qualcosa
che, in un modo o nell’altro, potrebbe riguardare Platone.
11
1.
PERCHÉ PARLARE DEL PRINCIPIO?
SUL BENE COME FONDAMENTO DELL’ICONA
1 Per l’essere privo di gelosa invidia (a[fqono") come tratto essenziale dell’essere
buono nell’etica platonica cfr. Milobenski 1964, 27-58.
12 Oltre l’Uno ed i Molti
(duvnami" Resp. 509b9-10 e Phil. 64e5), la potenza che trascende ogni altra
potenza e che, trascendendo anche il proprio trascendere, si fa altra da sé,
vale a dire, appunto, Idea, Icona di sé: l’Essere è la luce ontopoietica che
emana dal sole del Principio, la Verità (cfr. Resp. 508d4-6) mediante cui il
Bene si disvela quale Altro e nell’Altro (aj-lhvqeia = non nascondimento),
facendosi pienamente conoscere mediante la propria immagine. Si com-
prende dunque perché Platone connetta intimamente l’Essere e la cono-
scibilità: ciò che è nella maniera più compiuta è conoscibile nella maniera
più compiuta (Resp. 477a3 to; me;n pantelw`" o]n pantelw`" gnwstovn);
ossia, in quanto icona del Bene, l’Essere sarà, come il Bene, potenza che si
autocomunica, che si lascia conoscere. Detto altrimenti: se il Bene è come
il sole, perché la sua natura non è scindibile dal suo automanifestarsi, e
quindi dal risultare conoscibile; e se l’Essere è la luce del suo disvelarsi,
vale a dire il suo non-nascondersi, la Verità-ajlhvqeia; allora l’Idea, il som-
mo manifestarsi del Bene, nell’essere il più vero fra gli enti sarà anche il
più luminoso, il più evidente (tou` o[nto" to; fanovtaton Resp. 518c9), os-
sia la realtà che più di tutte rivela se stessa, che più di tutte è conoscibile.
Tutte le cose che sono, ad ogni livello della gerarchia ontologica, ricevo-
no dal Bene la propria Verità, il disvelarsi della propria natura, e per questo
sono conoscibili (Resp. 508e1-3; 509b6-7): anche quando ciò avvenga in
misura infima, in quanto partecipa dell’Essere ogni ente è nella propria
vera natura immagine del Bene, e quindi potenza che tende ad autocomuni-
carsi, a farsi, appunto, conoscere. Conoscere significa perciò disvelare a se
stessi, in tutte le cose, la traccia, o, riguardo agli enti più elevati, l’autoco-
sciente presenza del Bene; significa, insomma, porsi in cosciente relazione
con la potenza, con la duvnami" mediante la quale il Principio si fa Essere
e radice di ogni ente.
Nel proprio manifestarsi la potenza del Bene non si fossilizza in un solip-
sistico Ente supremo che fa del rapporto col Bene un possesso esclusivo: in
quanto icona del Bene, quel manifestarsi intrinsecamente tende a produrre
un’immagine di sé, a comunicarsi, a produrre una relazione con un altro.
Il sommo grado di questo comunicarsi si realizza, come piena unità nella
molteplicità, nella vita delle Idee, dell’universo intelligibile4: le Idee non
sono scheletriche astrazioni di un più o meno acuto intelletto, ma viventi
essenze (cfr. Soph. 248e7-249a2; Tim. 30c2-d1), somme icone del Bene che
vivono nella più compiuta giustizia (Resp. 500c3-4 ou[t∆ ajdikou`nta ou[t∆
4 All’unità molteplice del mondo delle Idee rinvia chiaramente Tim. 30c5-31a, dove
il Vivente intelligibile viene caratterizzato come unità dei molteplici Viventi intel-
ligibili che esso abbraccia in sé.
14 Oltre l’Uno ed i Molti
10 th;n duvnamin h}n e[cei ejk touvtou tamieuomevnhn w{sper ejpivrruton kevkthtai
ktl.
11 Su questo aspetto dell’analogia fra il sole e il Bene cfr. Calabi 2003. Sulla fisiolo-
gia dell’occhio e della vista in Platone cfr. Napolitano Valditara 2007a, 343-349.
12 jAgaqoeidhv" qualifica la gnw`si" (ejpisthvmh) in Resp. 509a3.
13 Cfr. ad esempio Resp. 504c9-d3; 508e4; 511b7; 517b8-c1; 518c9-10; 519d1-2;
526e1; 532c5-6, e3; 540a7-9; Ep. 6, 323d2-6. Su questo tema si veda pure Szlezák
2003, 79-80, 99-101.
14 Riguardo alla virtù come manifestazione piena della natura del suo soggetto cfr.
Lavecchia 2006, 278-284.
15 Sul tema dell’autoconoscenza in Platone si veda la recente messa a punto in Na-
politano Valditara 2007b (con ampia bibliografia).
16 Oltre l’Uno ed i Molti
16 All’identità fra Bene e Bello Platone rinvia in Resp. 505b3; 508e4-6; 509a6-7; cfr.
inoltre Crito 48b7-9; Charm. 160e12-161a1; Lys. 216d2-3; Hipp. Mai. 295b7-
297d1; Prot. 358b5-6; Gorg. 475a1-b2, 477a1-4; Men. 77b6-e4; Phdr. 246e1; Alc.
I 115a1-116c6; Phil. 64e5-8 e 65a1-5.
17
2.
BENE O UNO-UNO?
SULLA POSSIBILITÀ O IMPOSSIBILITÀ
DI FARSI PRINCIPIO
1 Su questo personaggio, futuro membro del governo dei Trenta Tiranni, e sul suo
possibile essere figura dello Stagirita, si veda Migliori 1990, 380-385.
2 Il tono netto con cui si chiude la prima serie di deduzioni e con cui, immediata-
mente dopo, viene introdotta la seconda; il fatto che la seconda venga presentata
come percorso alternativo alla prima: tutto ciò esclude in partenza un’interpreta-
zione positiva della prima serie di deduzioni, ossia un’interpretazione come quella
neoplatonica, che identifica il Principio con l’Uno-Uno. La suddetta interpretazio-
ne, a partire dalla quale la prima serie di deduzioni conterrebbe i tratti fondamen-
tali di una teologia negativa, è illegittima non perché vada oltre il testo, ma perché
le conseguenze che trae dal testo nel testo stesso non sono neppure implicite:
Parmenide e Aristotele semplicemente assumono l’impossibilità, l’inaccettabilità
dell’Uno-Uno; perciò ogni esegesi che voglia negare quell’impossibilità percorre
una via altra rispetto a quella imboccata nel Parmenide (l’ajlloi`on di 142b2 è
quanto mai pregnante!), ossia rispetto a quella imboccata da Platone. Sulla inac-
cettabilità dell’Uno-Uno nella prospettiva entro cui si colloca la filosofia platonica
si vedano Berti 1971; Krämer 2001 (1982), 200-202; Berti 1988; Migliori 1990,
218-222; Ferrari 2004, 112-113.
3 Sulla correttezza di queste deduzioni, evidente anche a partire da differenti ap-
procci interpretativi, basti rinviare a Migliori 1990, 221 e Fronterotta 2001, 301.
Bene o Uno-Uno? 19
4 Una prima, stimolante introduzione ai problemi discussi riguardo alle Idee nella
prima parte del Parmenide si può trovare in Ferrari 2004, 34-108 (con ulteriore,
ricca bibliografia).
5 Cfr. Migliori 1990, 219-221.
6 Qui l’essere dell’Uno viene considerato altro-diverso rispetto all’Uno in sé, che
appunto non è Essere, ma partecipa dell’Essere: a[llo ti e{teron me;n ajnavgkh
th;n oujsivan aujtou` ei\nai, e{teron de; aujtov, ei[per mh; oujsiva to; e{n, ajll∆ wJ"
e}n oujsiva" metevscen. Cfr. pure b3-6.
20 Oltre l’Uno ed i Molti
3.
OLTRE IL MONISMO E IL DUALISMO.
I(L) PRINCIPI(O) COME UNO
E DUALITÀ INDETERMINATA
Non-Dualità, e che i due Principi indicati dalle fonti, come subito vedremo,
più che rinviare ad una qualche forma di dualismo, di quella stessa Non-
Dualità costituiscano un’icona, una manifestazione.
12 Nel Filebo l’identità di ogni ente è data dalla retta mescolanza fra il Limite (che ha
funzione unificante) e l’Illimitato (la cui nozione rinvia al Principio della molte-
plicità), mescolanza causata, a livello macrocosmico, da un’Intelligenza che vive
in cosciente relazione col Bene (cfr. Phil. 30a9-c7 e 64b2-65e8). Per un approfon-
dimento riguardo al retroterra protologico dell’ontologia presentata nel Filebo cfr.
Migliori 1993, 439-469. Sulla relazionalità come carattere sostanziale dell’Essere
nella filosofia di Platone si vedano le efficaci considerazioni in Donà 2003, 66-92
passim e Le Moli 2005, 76, 78, 98-104.
13 Le varie interpretazioni della protologia platonica basate sui concetti di monismo
e dualismo si trovano riassunte in Erler 2007, 428-429.
14 Cfr. Gaiser 1968, 13, 200. Per la trascendenza dei(-l) Principi(o) rispetto alle leggi
della logica si vedano anche Krämer 1968, 146; Krämer 1980, 34; Krämer 2001
(1982), 155. Il carattere antinomico di ogni consapevole riflessione sull’Inizio
si trova evidenziato nelle stimolanti trattazioni di Cacciari 2001, 17-232 pas-
sim, 527-596 passim e Cacciari 2004, 13-108 passim, 271-310 passim, 331-512
passim.
15 Per la Dualità Indeterminata come ciò che rende possibile il sussistere di un Altro
accanto all’Uno si veda Speus. Fragm. 62 Isnardi Parente = 48 Tarán (Test. 50
Oltre il monismo e il dualismo 27
4.
LA DUALITÀ INDETERMINATA
È UN PRINCIPIO DEL MALE?
ANCORA SUL BENE COME RADICE DEI MOLTI
minata, tanto quanto l’Uno, Principio degli enti intelligibili, e non solo di
quelli sensibili, le Idee stesse si troverebbero ad esser partecipi del male,
mentre Platone identifica col mondo intelligibile il sommo archetipo di
virtù e giustizia (cfr. Resp. 500c2-5!). Pertanto, anche se si vorrà privilegia-
re la testimonianza di Metaph. 988a8-15 rispetto a quella di 1091b13-35,
comunque quella testimonianza andrà opportunamente armonizzata con la
prospettiva di Platone, che essa parzialmente distorce5. Infatti, pur volendo
ammettere che Platone legasse la causa del male alla Dualità Indetermina-
ta, quel legame non potrà essere inteso come diretto.
Certo, nel proprio insegnamento Platone, giova ripeterlo, ha presentato
l’Uno come Principio formale, come determinante-delimitante che, agen-
do sulla Dualità Indeterminata, dona ad ogni cosa la sua essenza. Senza
dubbio questo fatto ha delle implicazioni assiologiche: in quanto Principio
formale l’Uno è Principio di misura, ordine, conoscibilità, bellezza e ve-
rità6. Nelle fonti concernenti le dottrine non scritte alla Dualità Indeter-
minata vengono invece legati il non-essere, il luogo, il vuoto, l’indefinito,
l’assenza di forma, l’inconoscibile7. Questi fatti però, lo vedremo subito,
non implicano necessariamente che la Dualità in sé sia il male.
Particolarmente interessante per comprendere la natura della Dualità, e
quindi il suo eventuale rapporto con il male, risulta la sua connessione con
il non-essere: questa connessione mostra infatti come la Dualità Indetermi-
nata sia prima di tutto, in maniera del tutto neutrale, un Principio della ne-
5 Una costruttiva critica alle testimonianze aristoteliche qui discusse si può trovare
in Robin 1908, 571-580.
6 Cfr. ad esempio Aristot. Eth. Eud. 1218a15-33 (Test. 79 Richard). Per ulteriori
approfondimenti su questi aspetti dell’Uno cfr. Krämer 1959, 214, 298-300, 307,
396-398, 491-492, 510-511, 547-549; Krämer 2001 (1982), 168-171. Per il rap-
porto fra Bene e somma Misura si vedano Plat. Resp. 504c1-3, d8-e3; Phil. 64c1-
65a6, 66a4-8; Tim. 87c4-5; Aristot. fr. 79 Rose (Politikov" fr. 2 Ross) pavntwn
ga;r ajkribevstaton mevtron tajgaqovn. Su questo tema cfr. le importanti precisa-
zioni in Bontempi 2009, 45-50 e 147-170.
7 Nella Dualità Indeterminata hanno radice l’instabile, il senza forma, l’indefinito,
il non-essere (a[staton kai; a[morfon kai; a[peiron kai; oujk o]n ktl.) secondo
Hermodor. ap. Simplic. in Phys. 248, 13-14 Diels (Test. 31 Gaiser, 91 Richard); il
luogo, il vuoto e l’indefinito (tovpo" kai; keno;n kai; a[peiron) secondo Theophr.
Metaph. III 6a28-b1 (Test. 30 Gaiser, 89 Richard); l’indefinito, il non ordinato, il
senza forma (to; a[peiron kai; to; a[takton kai; pa`sa wJ" eijpei`n ajmorfiva)
secondo Theophr. Metaph. IX 11b3-5 (Test. 90 Richard); il non-essere e l’irrego-
lare (to; mh; o]n kai; to; ajnwvmalon) secondo Eudem. ap. Simplic. in Phys. 431,
8-9 Diels (Test. 55B Gaiser, 68 Richard); l’indefinito e l’inconoscibile (a[peiron,
a[gnwston) secondo Simplic. in Phys. 503, 14 e 19 Diels (Test. 53B Gaiser, 6
Richard).
32 Oltre l’Uno ed i Molti
8 Qui potenza non viene inteso nel significato aristotelico di potenzialità, ma vuo-
le rinviare a quella ipertrascendente e intrascendibile duvnami" che caratterizza il
Bene in Resp. 509b9-10: a quel potere, a quella forza a partire dalla quale il Bene
trascende e allo stesso tempo fonda l’Essere in ogni sua forma.
9 Non a caso in Speus. Fragm. 62 Isnardi Parente = 48 Tarán (Test. 50 Gaiser, 92
Richard) la Dualità viene identificata con il principium entium.
10 Giova ripetere che secondo Theophr. Metaph. III 6a28-b1 il vuoto e il luogo deri-
vano dalla Dualità Indeterminata.
11 Questa funzione della Dualità Indeterminata risulta evidente a partire dall’in-
terpretazione della protologia platonica formulata in Simpl. in Phys. 503, 24-35
Diels, dove, in rapporto al mondo intelligibile, la Dualità viene strettamente con-
nessa alla distinzione (diavkrisi") delle Idee.
La Dualità Indeterminata è un Principio del male? 33
pienza la produzione del legame che porta l’anima a superare la dispersione nel
molteplice e a diventare una (Resp. 443c9-444a2, in particolare 443d7-e1), vale a
dire icona del Bene-Uno (per i rinvii all’identità fra Bene e Uno nella Repubblica
cfr. Krämer 1959, 471-478).
18 Queste considerazioni possono far comprendere perché nelle Leggi si rinvii non
ad una, ma a due anime macrocosmiche: l’una responsabile delle azioni conformi
al bene, l’altra delle azioni ad esse contrarie (cfr. 896d10-e7; 898b5-c5). Signifi-
cativamente, nel primo caso l’anima ha nell’intelletto, nel nou`", il proprio dio gui-
da, mentre nel secondo è caratterizzata dalla dissennatezza, ovvero è scissa dalla
guida dell’intelletto (si veda 897b1-4 e 898b8). In altri termini, il male presente
nell’universo sensibile scaturisce dalla direzione che un’anima ha conferito alla
propria vita, ossia non ha alcuna radice nel mondo intelligibile, e tanto meno nella
sfera dei(-l) Principi(o). Alla stessa prospettiva può essere ricondotto il luogo del
Teeteto che a livello macrocosmico situa due paradigmi di vita: l’uno ipostatizza
la forma più elevata di felicità, l’altro il contrario (176e3-177a). Più che un rinvio
implicito o esplicito all’Uno e alla Dualità Indeterminata (in questa direzione si
muove Krämer 1959, 502), il suddetto luogo potrebbe essere legato allo stesso
orizzonte appena discusso riguardo alle Leggi.
19 In Resp. 379b15-6 si dice che il Bene è causa di tutte le cose positive (cfr. pure
517c2), mentre non è causa dei mali (Oujk a[ra pavntwn ge ai[tion to; ajgaqovn,
ajlla; tw`n me;n eu\ ejcovntwn ai[tion, tw`n de; kakw`n ajnaivtion; si veda anche
c6-7). Non necessariamente questo luogo va interpretato come allusione alla Dua-
lità Indeterminata (così Szlezák 2003, 120): se la causa diretta di ciò che è buono
va collocata nella sfera dei(-l) Principi(o), ciò non implica che in quella sfera vada
posta anche la causa diretta del male.
37
5.
LA DUALITÀ INDETERMINATA,
OVVERO DEL FECONDO NULLA
POSTO FRA IL BENE E L’ESSERE
1 Citato secondo il testo del manoscritto più antico, il cod. L (Laon, Bibl. Mun.
412): cfr. Hudry 1989, 133. Le altre fonti hanno quo detinet nihil etc., a quo etc.
vocavit in esse rem quae est quasi circa centrum (edizione critica in Hudry 1997).
Per il possibile legame di questo testo con il de philosophia di Aristotele (quindi
con un’opera influenzata dall’insegnamento protologico di Platone) cfr. Hudry
1989, 31-71, specialmente 38-46 (critico verso questa prospettiva si mostra Lu-
centini 1999, 11-46).
38 Oltre l’Uno ed i Molti
2 To; mevga kai; mikrovn: cfr. ad esempio Aristot. Metaph. 987b20, 26 (Test. 22A
Gaiser, 34 Richard); 988a26; 992a12 (Test. 26A Gaiser, 36 Richard); 998b10;
1083b24, 32; 1085a9 (Test. 27A Gaiser, 59 Richard); 1087a8-11.
3 Su questo tema si vedano pure le considerazioni esposte in Krämer 2001 (1982),
154-155, nonché le testimonianze di Aristot. Phys. 206b27-33 (Test. 53A Gaiser,
71 Richard); Hermodor. ap. Simplic. in Phys., 247, 13-248, 30 (Test. 31 Gaiser, 91
Richard); Alex. Aphrod. in Metaph. 56, 18-20 Hayduck (Test. 22B Gaiser, 10 Ri-
chard); Alex. ap. Simplic. in Phys. 455, 1 Diels (Test. 54B Gaiser, 11 Richard).
4 A partire da una storia della nozione di nulla nel pensiero europeo, interessanti
spunti per un approfondimento della prospettiva qui indicata possono venire da
Givone 1995.
La Dualità Indeterminata, ovvero del fecondo Nulla posto fra il Bene e l’Essere 39
eccedersi non può venir nullificato dall’Uno: il suo eterno eccedere5, ov-
vero la mai completa trascendibilità della Dualità Indeterminata da parte
dell’Uno, infatti costituisce e consente l’autocomunicarsi, l’immediato far-
si diffusivum sui che rende l’Essere immagine del Bene, realtà eminente-
mente relazionale, uni-molteplicità.
Oltre ogni gerarchia e oltre ogni forma di relazione, l’autotrascender-
si sempre trasceso del Bene6 pone immediatamente tanto l’Uno quanto
la Dualità Indeterminata, tanto l’Uguale, principiato dall’Uno, quanto il
Disuguale, principiato dalla Dualità (Alex. Aphrod. in Metaph. 56, 14-
19 Hayduck, Test. 22B Gaiser, 10 Richard), o, ancora, tanto il Principio
dell’Identico quanto il Principio del Diverso(-dell’Altro). Questa agerar-
chica metarelazionalità dei(-l) Principi(o) Platone sembra presupporla, pur
senza alcun esplicito rinvio alla protologia, in un luogo del Parmenide. In
Parm. 150c6-d87, trattando dell’Uno aperto all’Essere (dell’Uno-che-è),
si afferma che da un lato Grandezza e Piccolezza (Grande e Piccolo) in
rapporto all’Uno non hanno la potenza di superare o di essere superate,
e che dall’altro né rispetto ad esse né rispetto agli Altri (scil. a ciò che
è Altro dall’Uno stesso) l’Uno può essere più grande o più piccolo, per-
ché non possiede né grandezza né piccolezza alcuna (150c7-d4)8. Pertan-
to, di necessità, rispetto agli Altri(-Altro) l’Uno non potrà né superare né
6.
BENE OLTRE L’ESSERE O IDEA DEL BENE?1
OLTRE TRASCENDENZA E IMMANENZA
1 Nella sua recente traduzione della Repubblica Mario Vegetti propone di rende-
re ijdeva tou` ajgaqou` con idea del buono e, ovviamente, ajgaqovn con buono.
Ora, tenendo conto della dimensione metaontologica del Metaprincipio, prefe-
risco continuare a rendere ajgaqovn con Bene e ijdeva tou` ajgaqou` con Idea del
Bene. A partire da quella dimensione il Bene è infatti oltre ogni buono, anche
oltre l’identità con l’ente sommamente buono. Quindi, se l’ijdeva tou` ajgaqou` è
l’immediato manifestarsi del Metaprincipio, essa sarà, rispetto al Metaprincipio,
appunto l’Idea, il manifestarsi del Bene, e non del buono. L’Idea del Bene è il
Buono, l’essere buono in sé, vale a dire l’ente sommamente buono, solo a partire
dal proprio rapporto con le altre manifestazioni dell’Essere, ossia quale archetipo
di ogni essere buono: in quest’ottica si potrà dire che essa è anche (e quindi non
è in sé), l’Idea del Buono. Riguardo al problema qui brevemente accennato si
vedano pure le riflessioni di Bontempi 2009, 89-90 e la relativa n. 160.
2 Si riprendono e ampliano qui alcuni spunti presentati in Lavecchia 2005 e Lavec-
chia 2006, 110-118.
44 Oltre l’Uno ed i Molti
3 Il Bene è altro e più bello rispetto a verità e scienza (a[llo kai; kavllion 508e5-6.
cfr. 509a7), e la sua condizione deve essere ritenuta di maggior pregio rispetto alla
loro (e[ti meizovnw" timhtevon th;n tou` ajgaqou` e{xin).
4 La traduzione di oujsiva con essentità riprende il latino essentitas, per il quale
cfr. ad esempio Marius Victor. adv. Arium I 49 unum ante omnen essentitatem.
Per l’interpretazione di oujsiva come termine che esplica ei\nai si veda Krämer
1997, 186, n. 9 «[…] der Ausdruck Seinsheit (ousia) präzisiert den zuerst genan-
nten des (infinitivischen) Seins (einai) und bezeichnet die formale ontologische
Selbständigkeit und Subsistenz der einzelnen Ideen, nicht jedoch ihr inhaltliches
Wesen (Essenz)». L’uso di oujsiva accanto a ei\nai sembra, appunto, proporsi come
una esplicazione che, senza voler tradursi in una qualche terminologia, evidenzia
come il Bene sia Principio non solo della determinazione più universale di essere,
ma anche del fatto che sussistano molteplici enti: in quanto principiato dal Bene,
che dimora oltre l’Uno ed i Molti, necessariamente l’Essere, che del Bene è l’im-
mediato rivelarsi, viene colto come uni-molteplicità, vale a dire tanto come unità
dell’essere (ei\nai) quanto come molteplicità degli enti (delle oujsivai).
5 toi`" gignwskomevnoi" toivnun mh; movnon to; gignwvskesqai favnai uJpo; tou`
ajgaqou` parei`nai, ajlla; kai; to; ei\naiv te kai; th;n oujsivan uJp∆ ejkeivnou
aujtoi`" prosei`nai, oujk oujsiva" o[nto" tou` ajgaqou`, ajll∆ e[ti ejpevkeina th`"
oujsiva" presbeiva/ kai; dunavmei uJperevconto".
6 Se è vero che Resp. 509b7-8 si riferisce a ei\nai e oujsiva, e che Platone non carat-
terizza il Bene come ejpevkeina tou` ei\naiv te kai; th`" oujsiva", d’altra parte in
Platone non è attestata una distinzione terminologica fra ei\nai = essere e oujsiva
= essenza (si veda già Stumpf, 214, n.*; il tentativo più stimolante di presuppor-
re questa distinzione è a tutt’oggi quello compiuto in Baltes 1997). Non a caso
negli scritti platonici o[n, oujsiva e ei\nai sono del tutto interscambiabili: non es-
sendo connotati terminologicamente, senza alcuna distinzione possono, appunto
Bene oltre l’Essere o Idea del Bene? 45
tutti e tre, indicare in generale il rapporto con la nozione di essere, fuori da ogni
sfumatura di contenuto (cfr. i numerosi luoghi menzionati in Halfwassen 2000,
46, n. 16). A questo proposito basti accennare alla totale equivalenza fra oujsiva"
metevcein e metevcein tou` ei\nai nel Parmenide: per la prima locuzione cfr. ad
esempio 141e7-8, 9, 11; 142b8-c2, c5-6; 143a6-7, b3; per la seconda 152a2-3,
in un contesto che subito prima (151e7-8) vede to; ei\nai come equivalente di
mevqexi" oujsiva"; cfr. anche 156a1-2, 4-5 (con metalambavnei tou` ei\nai e
oujsiva" metalambavnein).
7 Su questo aspetto del Bene nel pensiero platonico si veda l’ampia trattazione di
Halfwassen 1992, 183-405 passim; inoltre Krämer 1959, 535-551; Krämer 1969;
Halfwassen 1998. Le strategie e gli strumenti letterari di cui Platone si serve per
manifestare la radicale trascendenza del Bene vengono efficacemente esposti in
Szlezák 2003, 67-68, 121-126. La trascendenza del Bene rispetto all’Essere è ri-
chiamata anche in alcune fonti concernenti l’insegnamento orale di Platone: cfr.
Speus. Fragm. 62 Isnardi Parente = 48 Tarán (Test. 50 Gaiser, 92 Richard); Mo-
derat. ap. Simpl. in Phys. 230, 35 Diels; Porph. fr. 220F Smith (ap. Cyrill. Alex.
contra Iulian. I 31A, PG 76, 549A5-B6); Syrian. in Metaph. 182, 6-7 Kroll; ibid.
183, 1-5 Kroll.
8 L’identità fra Idea del Bene e Bene in sé è presupposta chiaramente in 505b1-3;
507b5-7; 518c9-d1; 519c9-10; 532a5-b2; 534b8-c5.
46 Oltre l’Uno ed i Molti
(tou` o[nto" to; fanovtaton 518c9-10), come l’ente che gode della sorte
più prospera (to; eujdaimonevstaton tou` o[nto" 526e3-4), e come l’ottimo
fra gli enti (to; a[riston ejn toi`" ou\si 532c5-6) … Sarà possibile armo-
nizzare questa immanenza del Bene con l’oltre l’essentità, con l’ejpevkeina
th`" oujsiva" di Resp. 509b99?
I constatati accenti antinomici della protologia platonica ci legittima-
no a verificare se la tensione fra immanenza e trascendenza del Bene
peculiare della Repubblica, piuttosto che tradire ingenue dissimmetrie
concettuali, non si possa interpretare quale implicito richiamo, appun-
to, al carattere antinomico della riflessione condotta da Platone sui(-l)
Principi(o) e sul Metaprincipio. Certamente le esplicite caratterizzazioni
del Bene come ente potrebbero essere intese nel senso di enunciati im-
propri, finalizzati a rappresentare il Principio per analogiam, partendo
dalla realtà principiata10. In questo caso anche la locuzione Idea del Bene
(ijdeva tou` ajgaqou`) avrebbe valenza analogico-metaforica11: infatti il
Bene oltre l’essentità, l’ajgaqo;n ejpevkeina th`" oujsiva", non può essere
considerato un’Idea, perché un’Idea necessariamente rientra nella sfera
dell’essentità, dell’oujsiva (ogni ijdeva è necessariamente una oujsiva). Ma
Platone non fornisce alcun indizio in base a cui si possa sostenere questa
ipotesi: in nessun luogo gli enunciati riguardanti il Bene sono accompa-
gnati da locuzioni, quali trovpon tinav, ph/, pw" etc., marcanti la distan-
za dal significato proprio dei termini usati. Inoltre, un luogo come Resp.
534b3-c5 rivela chiaramente che nella locuzione Idea del Bene il termine
Idea va appunto inteso nel suo significato più proprio. In quel luogo viene
caratterizzato come dialettico chi conosce il vero essere, la oujsiva delle
cose, chi riguardo ad ogni ente sa dar ragione del modo in cui quell’ente
manifesta l’Essere, ovvero chi sa esplicitare il lovgo" th`" oujsiva", l’idea
di quel’ente. Ora, questa caratterizzazione del dialettico viene ritenuta
valida anche riguardo al rapporto con il Bene (534b8): la conoscenza del
Bene è, allora, la conoscenza della sua oujsiva, della sua Idea, del modo in
cui il Bene si manifesta nell’Essere12.
9 Questa tensione fra trascendenza e immanenza, identità e differenza del Bene ri-
spetto all’Essere, peculiare della Repubblica, è stata efficacemente evidenziata in
Ferrari 2001, 14-15, 18, 22, 23-24, 33, 36-37; Ferrari 2002, 267-274, 277-278;
Ferrari 2002a, 284-297; Ferrari 2003b, 295-317. Stimolanti considerazioni in pro-
posito si trovano ora in Bontempi 2009, 90-91.
10 Questa interpretazione è stata proposta in Halfwassen 2000, 48.
11 Si veda Halfwassen 2000, S. 48, che riprende la prospettiva di Procl. Theol. Plat.
II 7, p. 47, 17-23 Saffrey-Westerink.
12 Resp. 534b3-c5 \H kai; dialektiko;n kalei`" to;n lovgon eJkavstou lambavnonta
Bene oltre l’Essere o Idea del Bene? 47
th`" oujsiva"… … Oujkou`n kai; peri; tou` ajgaqou` wJsauvtw": o}" a]n mh; e[ch/
diorivsasqai … th;n tou` ajgaqou` ijdevan, kai; … kat∆ oujsivan proqumouvmeno"
ejlevgcein, … ou[te aujto; to; ajgaqo;n fhvsei" eijdevnai to;n ou{tw" e[conta
ou[te a[llo ajgaqo;n oujdevn, ktl. Al senso proprio del termine idea riguardo al
Bene rinvia anche il fatto che nella Repubblica la caratterizzazione del Bene è
accompagnata da locuzioni peculiari, appunto, della teoria delle Idee: cfr. Ferrari
2001, 12, con il rinvio a 506d8-9 aujto; me;n tiv pot∆ ejsti; tajgaqovn, 507a3 aujtou`
tou` ajgaqou`, 532b1 aujto; o} e[stin ajgaqovn; si vedano pure 507b5-7; 532a5-b2;
534a8-c5.
13 Questo assunto, non supportato da un’esplicita distinzione, nel testo platonico, fra
Idea del Bene e Bene oltre l’Essere, può essere legittimamente criticato a partire
da una lettura univocamente filologica dell’analogia fra il sole ed il Bene. Eppure
lo stesso tipo di lettura conduce a rilevare che la locuzione ejpevkeina th`" oujsiva"
non può armonizzarsi con una nozione del Bene inteso come Idea. Siamo quin-
di di fronte alla scelta fra un atteggiamento agnostico ed il tentativo, certo non
sostenibile mediante argomenti filologici, ma forse più produttivo dal punto di
vista filosofico, di esplicitare fino alle sue ultime implicazioni, nello spirito di un
filosofare platonico, la caratterizzazione del Bene tracciata nella Repubblica. Il
non sufficiente o mancante svolgimento di quelle implicazioni non prova infatti la
loro assenza nel pensiero di Platone: ché l’autore Platone riguardo all’analogia fra
il sole ed il Bene rinvia all’omissione di molte cose (509c7). Ora, il paradossale
presentarci un Bene che è tanto Idea quanto oltre l’esssentità non potrebbe essere
un mezzo tramite cui l’autore della Repubblica vuol provocare alla scoperta di
quelle molte cose?
14 Già Schelling distingueva il Bene ejpevkeina th`" oujsiva" dall’Idea del Bene. Cfr.
Schelling, Philosophie der Mythologie, 570, n. 1: si fa torto a Platone «wenn man
meint, er spreche bloß von der Idee des Guten. Es ist ihm vielmehr to; ajgaqovn
das Gute selbst (dieß liegt deutlich in dem ejpevkeina th`" oujsiva" [Rep. VI, 509
B] und erhellt aus dem Erstaunen des Mitunterredners) – freilich in der Idee, nur
als Gedanke, aber doch das Gute selbst […]. Daß Platon auch von der Idee des
Guten spricht, ist natürlich […], aber to; ajgaqovn (aujto; to; ajgaqovn) heißt ihm
nur ijdeva tou` ajgaqou` in Bezug auf die einzelnen ajgaqav als metevconta tou`
ajgaqou` […], oder die ijdeva ist ihm nur oJ tou` ajgaqou` e[kgono" ([Rep.] VI, 508
B), wie aus dem ganzen Zusammenhang erhellt».
48 Oltre l’Uno ed i Molti
propria opera, una tale ipotesi non può non essere assurda15. In ogni caso,
la distinzione qui assunta non potrà implicare una qualche forma di separa-
zione fra la radice dell’Essere e l’Essere-Ente. Perché, sgorgando dall’abis-
so dell’autonegazione che il Bene pone in se stesso, il sommo Ente non
sarà altro che il primigenio automanifestarsi del Bene, ossia l’assoluto, o,
meglio, principiale autonegarsi dell’autonegarsi implicito nel Bene. In as-
senza di questa negazione della negazione non si potrebbe infatti costituire
alcuna essentità, alcuna oujsiva: il semplice negarsi del Bene darebbe luogo
al nulla di una pura, inessenziabile potenzialità, ad un insostanziabile Non-
Uno-Non-Uno. In altre parole, il sommo Essere, il sommo Ente di necessità
sgorgherà dall’assoluto autoaffermarsi del Bene oltre ogni possibile limite-
negazione, vale a dire sarà, appunto, la più assoluta e concreta identità del
Bene col suo autorivelarsi.
In quanto fondamento il Bene sostanzia la propria identità mediante il
proprio manifestarsi, mediante il proprio farsi Idea, Icona di se stesso, ov-
vero Essere e sommo Ente: l’Idea del Bene è il Bene che abbandona il
proprio trascendere e si comunica, si lascia vedere-conoscere (ijdei`n-ijdeva)
come radice e sommo archetipo di ogni essenza. Detto altrimenti, l’Idea del
Bene è l’autoessenziarsi del Bene come quell’originario Altro cui la sua
bontà può incondizionatamente donarsi.
Nella prospettiva qui aperta si può comprendere perché nella Repub-
blica il Bene venga caratterizzato tanto come al di là dell’Essere quan-
to come Ente-Idea. A partire da questa stessa prospettiva si cercherà ora
di individuare con maggior precisione le modalità secondo cui può venir
qualificata la relazione fra Idea del Bene e Bene oltre l’Essere. Come può
essere pensata una relazione che sembra manifestarsi quale metaidentità,
quale antinomica identità nella distinzione, o, meglio, coincidentia in al-
teritate16? Si può pensare, nonostante questa antinomica identità, anche ad
una qualche forma, altrettanto antinomica, di gerarchia, ovviamente non
ontologica, ma protologica17?
15 La meticolosa cura con cui Platone ha costantemente rivisto i propri scritti viene
significativamente enfatizzata in Dionys. Halicarn. de comp. verb. 25, 32-33.
16 Questa seconda formulazione mi è stata suggerita da Michele Abbate.
17 Dimorando oltre l’Essere, il Bene in sé non potrà rientrare in alcuna gerarchia
ontologica: allora il suo rapporto con l’Idea del Bene, con il sommo Ente, non sarà
interpretabile a partire da coordinate e relazioni applicabili alla sfera dell’Essere.
Bene oltre l’Essere o Idea del Bene? 49
29 Ad un sostrato (o[gko" o sw`ma) da cui emana la luce del sole accenna Plotin. Enn.
V, 5, 7, 11-12 e VI, 4, 7, 44-45 Henry-Schwyzer. La relazione sole-luce nell’ana-
logia fra il sole e il Bene viene efficacemente illustrata in Plotin. Enn. I, 7, 1, 25
segg. Henry-Schwyzer.
30 A questa dimensione metanoetica si accenna anche al di fuori della Repubbli-
ca. Secondo Symp. 211a5-b2 qualsiasi forma di scienza (e quindi di pensiero)
concernente il Bello (= Bene: cfr. 212a2-5) viene trascesa dall’esperienza diretta
del Bello (= Bene) in sé. Nel Fedone il Bene viene presentato come trascenden-
te rispetto all’intelletto (nou`"), perché è fondamento della sua azione (cfr. 97d-
99c6). La trascendenza del Bene rispetto a intelligenza-conoscenza e intelletto
(frovnhsi" e nou`") viene esplicitamente affermata anche nel Filebo (cfr. 61a1-2;
64c1-3; 66b1-6; 67a5-12).
52 Oltre l’Uno ed i Molti
31 Per il nesso fra nou`", Bene e autonomia del soggetto agente cfr. Lavecchia 2006,
1-2, 281-282, 285-286.
Bene oltre l’Essere o Idea del Bene? 53
però, non è un limite ingiunto al manifestarsi del Bene, all’Idea del Bene.
Essa infatti non è posta dal Bene nei confronti del suo automanifestarsi,
ma trova la propria radice e prolessi nella natura del Bene in sé: la bontà
del Bene è, lo si è già visto, costituita da un radicale autonegarsi, autone-
garsi che altrettanto radicalmente si trascende; ossia è costituita, appunto,
da una principiale discontinuità rispetto a se stesso che il Bene implica
in se stesso. Per questo il Bene si può autocomunicare senza invidia,
vale a dire si manifesta nella forma più assolutamente incondizionata, e
quindi in assoluto meno condizionante. Per il suo carattere principiale,
la discontinuità rispetto a se stesso implicita nel Bene è, dunque, ciò che
rende il Bene tanto trascendente quanto immanente rispetto al suo rive-
larsi, vale a dire ciò che, antinomicamente, tanto nega quanto afferma la
sua continuità con l’Essere, con l’Idea. Essa rende il Bene trascendente
perché il principiale autonegarsi fa del Bene l’intrascendibile, ma sem-
pre autotrascendentesi Oltre, non determinato-limitato neppure da una
qualche forma di identità, e, perciò, ancor meno dal proprio manifestarsi.
Essa rende il Bene immanente perché quella medesima intrascendibile e
autotrascendentesi trascendenza sostanzia nel Bene l’assenza di invidia,
sostanzia il suo comunicarsi ad un Altro senza alcuna condizione posta a
se stesso e all’autonomia dell’Altro, ovvero il suo riversarsi pienamente e
integralmente nella propria rivelazione. In quel riversarsi, proprio perché
il suo impulso è del tutto incondizionato, il Bene non vuole affermare la
propria identità: perciò quel riversarsi può disvelare nell’Essere, può im-
manentizzare l’antinomica metaidentità del Metaprincipio, manifestando
la sua Idea.
Se il Bene non trascendesse ogni automanifestazione, al primigenio
Altro cui si comunica non potrebbe donarsi come Assoluto: l’Altro non
potrebbe essere il Metaprincipio che, negando il proprio autonegarsi, si
disvela in tutto e per tutto, anche nella propria assolutezza-incondizio-
natezza. Se il Bene in sé non trascendesse il farsi Principi(o) dell’Es-
sere, ovvero se dal principiare l’Essere, e quindi dall’Essere, fosse de-
terminato, andrebbe infatti identificato con il sommo Essere-Ente. Ora,
in base a questa premessa nessuna sua manifestazione potrebbe essere
autonomo-incondizionato fondamento riguardo alla propria essenza:
coincidendo con il Bene in sé, il sommo Essere-Ente di necessità con-
terrebbe l’essenza del Bene in sé, il che ovviamente condizionerebbe la
sua natura e quella di ogni altra essenza ed ente. L’Essere-Ente sarebbe
dunque vincolato, o, appunto, condizionato dalla continuità-identità con
il proprio fondamento, e, di conseguenza, non potrebbe essenziarsi come
integralmente autonomo-principiale, come radicalmente libero rispetto
54 Oltre l’Uno ed i Molti
32 Con il riferimento a questa implicazione, già presente in Lavecchia 2006, 116, non
si è voluto e non si vuole in alcun modo introdurre nel Bene un elemento di neces-
sità logica o dialettica (riguardo a cui si nutrono le stesse perplessità giustamente
affioranti in Bontempi 2009, 382, n. 165): si tratta di una implicazione a partire
dai principiati, che ovviamente non tocca il radicale essere incondizionato del
Bene.
33 All’assoluta presenza del Bene nell’Essere, presenza che si mostra fin nella sfera
del sensibile, Platone rinvia implicitamente, ma efficacemente, in Phdr. 250d6-8:
qui il Bello, ossia il rendersi visibile del Bene (cfr. Symp. 212a2-7 e Phil. 64e5-7),
viene caratterizzato come l’unica realtà intelligibile che può essere oggetto di im-
mediata percezione sensibile (cfr. in generale 250c7-d).
Bene oltre l’Essere o Idea del Bene? 55
7.
DELLA LIBERTÀ DI FARSI BENE
1 Il sole viene caratterizzato come signore della luce in 508a4-8. Nell’analogia con
il sole il Bene è padre del sole (506e3 segg.; 507a3; 508b12-c2).
2 Sulla causalità dell’Idea del Bene riguardo al mondo sensibile cfr. Szlezák 2003,
112.
58 Oltre l’Uno ed i Molti
Bene si rivela essere prima radice non solo riguardo al cosmo intelligibile,
ma anche riguardo al cosmo visibile (517b7-c5). Ci si manifesta quindi la
sua già accennata coincidenza con l’Artefice del nostro universo, con il
Demiurgo3, al cui assoluto essere buono, lo si è più volte sottolineato, il
cosmo sensibile deve la propria esistenza e sussistenza (Tim. 29e1-30a2;
cfr. Pol. 273d4-e4): non a caso nel Timeo il Demiurgo viene caratterizzato
come l’ottima fra le cause (29a6 a[risto" tw`n aijtivwn), come il supremo
e l’ottimo fra gli intelligibili (tw`n nohtw`n ajeiv te o[ntwn to; a[riston:
cfr. 37a1), ovvero come quel sommamente Ottimo (to; a[riston: cfr. 30a7)
che, appunto, coincide con l’Idea del Bene, con l’Ottimo fra gli enti (to;
a[riston ejn toi`" ou\si Resp. 532c5-6).
Nel proiettarsi oltre ogni identità, nel negare la propria trascendenza4,
estaticizzandosi nella propria Idea, ossia facendosi Idea del Bene, il Bene
esplicita il Principio della negazione-alterità implicito nella sua natura non-
duale. L’esplicitarsi del suddetto Principio, della Dualità Indeterminata, è
radice e archetipo di ogni materia(bi)lità. Quell’esplicitarsi origina dunque
il sostrato a partire dal quale si può realizzare non solo l’alterità, ma an-
che la separazione dal Bene; è, quindi, tanto originario e necessario fon-
damento per la sussistenza dell’Essere, vale a dire di un Altro autonomo
rispetto al Bene, quanto, all’interno dell’Essere, radice del sensibile quale
dimensione che, appunto, separa e, se assolutizzata, può anche scindere
dal supremo fondamento. Ora, da un lato l’Idea del Bene guarda in se
stessa, al Bene oltre l’Essere, e così, nell’interiorità dell’Idea, l’esplicitar-
si della Dualità Indeterminata si fa sostrato per l’identità di Uno e Molti
peculiare dell’universo intelligibile, ossia per quel mondo in cui l’indivi-
dualità e l’autonomia degli enti non implica alcuna reciproca separazione.
Dall’altro l’Idea del Bene, in quanto originaria icona del Metaprincipio,
allo stesso modo del Bene si nega per autocomunicarsi, e dunque indiriz-
za la propria potenza verso la produzione di un altro che le sia simile. A
questo punto, però, l’autocomunicarsi non può più implicare, insieme con
l’affermazione, l’immediata autonegazione dell’alterità, come avviene nel
primigenio rivelarsi del Bene: adesso l’alterità non è più immediata, pa-
radossale identità rispetto al proprio fondamento, come nel rapporto fra
Bene oltre l’Essere e Idea del Bene, ma si manifesta come esteriorità. Al-
lora la Dualità Indeterminata non si esplicita più nell’interiorità della vita
intelligibile: essa si proietta davanti all’Idea del Bene, si esteriorizza come
3 Si veda anche la puntualizzazione fornita alla n. 6 del cap. 1, e, per ulteriori appro-
fondimenti, la bibliografia ivi menzionata.
4 Si riprendono qui le riflessioni proposte in Lavecchia 2006, 117.
Della libertà di farsi Bene 59
5 Molti obietteranno che le presenti riflessioni suonano troppo plotiniane (fra l’altro,
nessuno vuol negare i loro effettivi contatti col pensiero di Plotino …), e, quindi,
poco platoniche. E se, invece, proprio un approccio interpretativo plotiniano fosse
il più atto ad esplicitare, riguardo alla filosofia platonica dei(-l) Principi(o), molte
delle implicazioni presenti non solo nei dialoghi, ma anche nelle fonti concernen-
ti l’insegnamento orale? L’atteggiamento contrario a questo approccio, ovvero
l’iperfilologistico letteralismo del fermarsi ai testi, rifiutandosi di cogliere ciò che
viene presupposto ma non detto, spesso, se messo univocamente in atto, implica
solo la rassegnata rinuncia ad ogni interpretazione.
6 Sul rapporto fra il principio materiale del Timeo e la Dualità Indeterminata si veda
Reale 1997, 598-633.
60 Oltre l’Uno ed i Molti
7 Cfr. Bontempi 2009, 91: «prima di qualsiasi determinazione – uno, identico, es-
sere, etc. – chiameremo agathòn il principio, a dire il contenersi e giustificarsi
di tutte quelle nella loro compiutezza, ma anche la loro non esaustività e non
costrittività rispetto alla natura dell’arché».
8 Si veda pure Bontempi 2009, ibid.
9 In proposito cfr. anche Bontempi 2009, ibid. Le presenti considerazioni possono
essere consolidate o ampliate-approfondite mediante le stimolanti riflessioni sulla
natura del Principio e della sua libertà proposte, a partire da altre correnti di pen-
siero, in Pareyson 2000, 7-81 passim, 119-134, 170-178, 281-292, 295-298, 439-
478 passim; Cacciari 2001, 85-87, 139-149; Coda 2003, 316-331; Donà 2008,
21-234 passim.
10 Interessanti spunti di approfondimento riguardo a questo tema possono venire
dalle considerazioni sull’Inizio svolte in Cacciari 2001, 181-182, 198-205.
Della libertà di farsi Bene 61
12 Più volte negli scritti platonici viene sottolineato l’intrinseco rapporto tra filosofia
(o educazione filosofica) e libertà: cfr. Resp. 387b4-6; 486a-b5; 499a4-6; 590c8-
591a3; Theaet. 172c8-d2; 173a4-b2; 175d6-176a1; Soph. 253c7-9.
13 Efficaci considerazioni sul Principio, sull’Inizio come Possibile uno con la propria
Im-possibilità si possono trovare in Cacciari (2001), 141-145.
Della libertà di farsi Bene 63
8.
UN ESPERIMENTO DI COMPARAZIONE:
UN INNO VEDICO
E LA PROTOLOGIA PLATONICA
1 Citato secondo il testo del manoscritto più antico, il cod. L (Laon, Bibl. Mun.
412): cfr. Hudry 1989, 89. Gli altri manoscritti hanno Deus est monas monadem
gignens etc.
66 Oltre l’Uno ed i Molti
¸g-Veda X 1294
2 Per una breve introduzione generale ai principali motivi cosmogonici del ¸g-
Veda cfr. Oberlies 1998, 363-390 (con ampia bibliografia).
3 Una trattazione riassuntiva riguardo alla datazione dei componimenti raccolti nel
¸g-Veda si può trovare in Oberlies 1998, 152-159. Recentemente le interessanti
possibilità di confronto fra pensiero greco e pensiero indiano antichi sono state
messe in luce nelle ampie trattazioni di Mc Evilley 2002 (su Platone cfr. 157-
224, comunque senza approfondimenti riguardo alla protologia) e Pinchard 2009.
Si vedano le importanti puntualizzazioni in Sassi 2009, 27-50. Ovviamente la
comparazione fra cosmogonia vedica e protologia platonica svolta in questa sede
non vuole stimolare una ingenua, più o meno meccanica ricerca di eventuali fonti
riguardo alla filosofia platonica dei(-l) Principi(o). Semplicemente si vuole mo-
strare che le interpretazioni qui proposte in rapporto a quella filosofia inseriscono
il pensiero platonico in un universo concettuale piuttosto arcaico. Se, come già
detto, in relazione ad alcuni problemi centrali nella protologia di Platone le fonti
sono in parte o del tutto carenti, allora, pur con tutte le doverose cautele del caso,
quell’universo concettuale può fornire importanti integrazioni ad ogni ricerca che,
senza pregiudizi, tenti di attingere le sfere più profonde della riflessione platonica
sui(-l) Principi(o).
4 Il lettore italiano può accedere facilmente ad una traduzione completa (con note di
commento) mediante tre raccolte antologiche di componimenti vedici: Ambrosini
1981, 126-127; Panikkar 2001 [1977], I, 76-78; Sani 2000, 65. Una bibliografia
generale riguardo al ¸g-Veda viene fornita in Sani 2000, 331-335. La traduzione
parziale qui tentata è frutto di una discussione del testo condotta insieme con Sa-
bine Ziegler, che ringrazio sentitamente per l’aiuto fornitomi. Il presente tentativo
si fonda, ovviamente, anche sul confronto con le principali traduzioni di questo
inno. Riguardo ai luoghi più discussi qui non si potrà dare un panorama esaustivo
delle varie ipotesi d’interpretazione. In nota si citeranno solo i contributi e le tra-
duzioni da cui si sono tratti spunti rilevanti ai fini della presente riflessione. Per un
elenco delle principali traduzioni si rinvia a Sani 2000, 331-332.
Un esperimento di comparazione: un inno vedico e la protologia platonica 67
5 Nella traduzione di tád ékam nella strofe 2 mi pongo sulla stessa linea di
Hillebrandt 1913, 133 e Sani 2000, 65, che rendono rispettivamente con «nur
das Das» e con «soltanto Ciò, unico». In questo modo diviene chiara l’ovvia
distinzione rispetto al tád ékam della strofe 3, riferito al Questo che appunto
compie il salto dalla propria assoluta trascendenza al generarsi come Uno. Per
una indagine generale su éka negli inni vedici cfr. Soressi 1987. Il Principio che
è Uno appare preceduto da un Metaprincipio anche in ¸g-Veda X 82, 6, dove
l’Uno è posto nell’ombelico del Non-Nato (ajá). In X 121, 1 l’aureo embrione
68 Oltre l’Uno ed i Molti
del cosmo, ovvero l’Uno (cfr. ¸g-Veda X 82, 5-6), viene rappresentato come
prodotto di una generazione (e quindi, implicitamente, di un genitore). A puro
titolo di comparazione sia concesso menzionare la concezione espressa in Tao
tê ching 42, dove il Tao viene presentato come ciò che genera l’Uno, che a sua
volta genera il Due, che a sua volta genera il Tre, da cui vengono generate tutte
le cose.
6 Ecco perché questo stato, e, in particolare, il passaggio-discontinuità fra questo
stato e il principio, non possono essere colti con precisione a partire da nessuna
forma di essere e di conoscenza, neppure divina: anche gli dèi si trovano infatti
al di qua del momento in cui l’universo viene principiato (6). Ciò spiega il tono
radicalmente interrogativo (in senso apofatico piuttosto che scettico) con cui l’in-
no si conclude (6-7). Lo stesso tono pervade l’inno dedicato al dio che si genera
come aureo embrione del cosmo (¸g-Veda X 121), inno in cui il Principio di tutte
le cose appare come trascendente qualsiasi caratterizzazione se ne possa fornire
(traduzioni italiane annotate in Ambrosini 1981, 114-116; Panikkar 2001 [1977],
I, 94-96; Sani 2000, 68-70).
7 Sul significato di tápas cfr. pure le osservazioni contenute in Panikkar 2001
[1977], I, 78-80.
8 Per il Non-Essere come origine dell’Essere cfr. ¸g-Veda X 72, 2 e 3, e le osserva-
zioni al riguardo in Falk 1994, 20-22. Di nuovo a titolo di comparazione si rinvia
a Tao tê ching 40, dove il Non-Essere viene caratterizzato appunto come origine
dell’Essere.
Un esperimento di comparazione: un inno vedico e la protologia platonica 69
13 L’idea che l’originario desiderio del Metaprincipio sia legato al volersi manifesta-
re è esplicita già nei Bråhma~a: si vedano gli esempi riportati in Panikkar 2001
[1977], 105-107 e 145-147. Cfr. pure Taittir⁄ya-Upani‚ad II, 6.
14 La distinzione fra Ingenerato (Non-Nato) e Uno è evidente nel già menzionato
¸g-Veda X 82, 6.
15 La Parola creatrice può essere intesa come emanazione del respiro senza respiro
cui si accenna in ¸g-Veda X 129, 2; respiro che, a sua volta, quale primigenia,
ancora non manifesta tendenza alla condensazione, può essere considerato origine
delle acque primordiali. In altri termini, il respiro immanifesto del Metaprincipio
è, come ovviamente implicito nell’immagine, presupposto tanto di un alito (pa-
rola) quanto dell’umido (acqua) derivante da quell’alito. In ¸g-Veda X 125, 7
la Parola si presenta come lo spirare di un cosmico vento che, originatosi nelle
acque primordiali (7), si diffonde per tutto l’universo e abbraccia ogni forma di
essere (7-8, traduzioni italiane annotate in Ambrosini 1981, 120-122; Panikkar
2001 [1977], I, 130-132; Sani 2000, 106-107). In Çatapatha-Bråhma~a X, 5, 3,
1-5, che interpreta ¸g-Veda X 129, l’ardore cosmogonico è frutto della Parola
creatrice che desidera manifestarsi. Per il fuoco, e quindi l’ardere come generato
dalle e nelle acque primordiali, quindi nel sostrato in cui si origina la Parola, cfr.
ad esempio ¸g-Veda X 121, 7 (per la nascita del fuoco dall’acqua si vedano i luo-
ghi menzionati in Oldenberg 1917, 106-111; e Gonda 1960, 68-69). Per l’attività
Un esperimento di comparazione: un inno vedico e la protologia platonica 71
luce intelligibile da cui emana ogni ente, il calore e la luce che generano
tanto le radiose essenze divine quanto la luce ed il sole sensibili (Resp.
517b7-c5). Per Platone il manifestarsi del Bene è, allora, fuoco di Pensiero
che, desideroso di rivelarsi-donarsi, diviene Sophía, supremo Principio di
consonanza-armonia22, e, producendo sempre la retta mescolanza fra i co-
stituenti dell’Essere, sostanzia la natura d’ogni cosa (Phil. 30a9-c7): fuo-
co di Sapienza che, come la Parola del ¸g-Veda, fa risuonare l’armonia
che essenzia la vita di un Tutto …23 Da dove potrà generarsi quel fuoco,
quella luce, se non dalla luminosa tenebra posta oltre ogni luce, ovvero,
come nella ontogonia-cosmogonia vedica, dalla sfolgorante tenebra di un
solare Metaprincipio? Chi l’accenderà, senza perché, improvvisamente,
se non un Oltre-l’Uno-ed-i-Molti, ardente di farsi embrione d’un cosmo,
d’immag(in)arsi nel fecondo Nulla dal cui abisso si genera l’Uno?
9.
DALL’ONTOLOGIA ALL’AGATOLOGIA:
LA CONTEMPLAZIONE CREATRICE COME
SOSTANZA DEL FILOSOFARE PLATONICO
L’itinerario fin qui percorso ha svelato alcuni tratti del pensiero plato-
nico che, per l’azione di più o meno asfissianti pre-giudizi ermeneutici,
troppo spesso rimangono occultati. Ora, a conclusione di quell’itinerario,
sia concesso focalizzare l’attenzione su quei tratti e caratterizzarli in una
breve sintesi, articolata in una serie di punti, affinché si delinei nella ma-
niera più limpida il concreto volto della filosofia platonica che essi permet-
tono di ritrarre. Un volto che, per molti versi, a qualcuno risulterà degno
di meraviglia.
1 A partire da una prospettiva diversa da quella della presente ricerca, una recente
valorizzazione del termine agatologia nello studio del pensiero platonico ha avuto
luogo in Delcomminette 2006.
76 Oltre l’Uno ed i Molti
7 … pw`" ga;r a[n … a[neu sumfwniva" gevnoit∆ a]n fronhvsew" kai; to;
smikrovtaton ei\do"…
8 In Resp. 443c9-444a2 tratto peculiare della sapienza è il rendere l’individuo uno
da molti (443e1); questo però non implica che le molteplici componenti della sua
anima debbano essere annientate dal dominio dell’unica componente in tutto e per
tutto divina: quella componente divina dovrà governarle e trasformarle in maniera
tale da formare, insieme con esse, un uni-molteplice organismo retto dall’armonia
e dalla vera giustizia.
9 In questo luogo il filosofo destinato a governare viene caratterizzato come a[ndra
… ajreth`/ pariswmevnon kai; wJmoiwmevnon mevcri tou` dunatou` televw" e[rgw/
te kai; lovgw/ ktl. Particolarmente notevole è la completa ipostatizzazione
della virtù, qui presentata come archetipo della forma di vita che il filosofo vuole
realizzare.
80 Oltre l’Uno ed i Molti
nel Nulla di un Uno-Uno, ma dal sole del Bene l’autentico sapiente trar-
rà impulso per un altrettanto radicale percorso catagogico, per la discesa
nell’Ade della caverna. Lì, a rischio della vita, tenterà di distogliere i pri-
gionieri dalle ombre della falsa sapienza, di renderli partecipi della luce
irraggiata dal Bene (Resp. 516c4-517a7; cfr. 520c1-e3): perché, come lui,
possano anch’essi aiutare gli dèi a compiere il loro pavgkalon e[rgon (Eu-
thyphr. 13e11-12), la loro grande opera produttrice di Bellezza.
81
10.
METAMORFOSI DI UN’AGATOLOGIA.
FRAMMENTI DI PHILOSOPHIA PERENNITER
PLATONICA
2 Con ciò non si vuole disconoscere che anche nella filosofia di Platone il rapporto
fra l’impulso ex-carnatorio e l’impulso in-carnatorio sia caratterizzato da una
tendenza a far prevalere il primo. Questa tendenza viene però sempre riequilibrata
dal carattere eminentemente poietico-automanifestativo, e quindi etico, che anche
la forma più alta di esperienza conoscitiva conserva nel pensiero di Platone. In
ogni caso, la suddetta tendenza mai sfocia in quella demonizzazione del corpo
e del corporeo in ogni sua forma spesso attribuita alla filosofia platonica. Basti
rinviare ad un luogo come Plat. Phaedr. 246d1-2, in cui persino agli dèi viene
attribuito il rapporto con un corpo; anche se, ovviamente, si tratta di un corpo
diverso da quello umano, perché è connaturato alla rispettiva anima, ovvero è
piena manifestazione della sua essenza. Un luogo come quello appena menziona-
to implica quindi che l’ideale dell’assimilazione al divino, centro della filosofia
platonica, non conduce all’annientamento di ogni rapporto con la corporeità, ma
presuppone, anche dopo il suo attingimento, il permanere di una dimensione ma-
nifestativa nella vita dell’anima. Su questa dimensione del pensiero platonico cfr.
anche Lavecchia 2006, 261-268, specialmente 262-264.
3 Si vedano anche le lucidissime considerazioni in Beierwaltes 1980, 54.
4 Emblematico risulta, in proposito, Damasc. de princ. 3, I 3, p. 6, 16-17 Westerink,
dove si enuncia come principio generale l’incondizionata superiorità di ciò che
non è coinvolto in una relazione rispetto a ciò che lo è.
5 L’itinerario del Platonismo antico verso la più radicale trascendentizzazione
dell’Assoluto culmina col tardo Neoplatonismo in quella che può essere caratte-
rizzata, appunto, come mistica del silenzio. Emblematico è a questo proposito, an-
che per l’influenza esercitata, in modo diretto o indiretto, sul successivo sviluppo
del Platonismo, il pensiero di Proclo: si veda al riguardo la chiara esposizione in
Metamorfosi di un’agatologia 83
… Cosa mai potrà avere a che fare tutto ciò con l’agatologia di Platone?
Certo, nessuno che indaghi la lettera degli scritti dionisiani o eriuge-
niani si imbatterà nella Non-Dualità di Uno e Dualità Indeterminata che
sostanzia l’agatologia di Platone. Allo stesso modo, nessuno che si fermi ai
testi (inclusi quelli riguardanti le cosiddette dottrine non scritte) incontrerà
in Platone il Bene nel suo incondizionato autoprodursi(-generarsi) come
18 Cfr. Johannes Scottus Eriugena, Periphyseon (de divisione naturae) III 677C-D,
p. 83, 2396-2413 Jeauneau.
19 Periphyseon III 677C, p. 83, 2407-2409 Jeauneau super omnem creaturam creator,
et intra omnem creaturam creatus, et infra omnem creaturam subsistens.
20 Periphyseon III 678C, p. 85, 2445-2446 Jeauneau in creatura … creatur, se ipsum
manifestans.
21 Sulla teologia trinitaria di Eriugena si veda Beierwaltes 1994, 204-256.
22 Periphyseon III 678D-679A, p. 85, 2455-2469 Jeauneau … hoc … de summae bo-
nitatis, quae unitas est et trinitas, ineffabili condescensione in ea quae sunt ut sint,
etc. Et de se ipsa se ipsam facit; non enim indiget alterius materiae, quae ipsa non
sit, in qua se ipsam facit. etc. Cfr. ibid. 681A, p. 88, 2546-89, 2558 Jeauneau.
23 Periphyseon III 681B-C, p. 89, 2569-2573 Jeauneau Divina igitur bonitas, quae
propterea nihilum dicitur quoniam ultra omnia quae sunt et quae non sunt in
nulla essentia invenitur, ex negatione omnium essentiarum in affirmationem totius
universitatis essentiae a se ipsa in se ipsam descendit, veluti ex nihilo in aliquid.
Cfr. ibid. 683A-B, p. 91, 2635-92, 2657 Jeauneau. Sul concetto di creazione dal
nulla in Eriugena si veda Beierwaltes 1985, 358-363; Beierwaltes 1994, 115-158
passim; Ansorge 1996, 235-246.
24 Cfr. Periphyseon 681C-D, p. 89, 2576-2583 Jeauneau.
Metamorfosi di un’agatologia 87
aprirsi ad ogni cosa, di farsi tutte le cose34: l’ideale di una volontà che
trascende ogni opposizione fra Dio e Natura, reintegrando Io e Mondo
nella dinamica unità e armonia d’una nuova creazione. In questo ideale,
che vuol rendere l’uomo simile al Padre35, par di percepire la vita nova di
un’antica sophía. Vi sembra infatti risuonare quella sapienza che per Pla-
tone è la più bella consonanza-armonia (Leg. 689d6-7): la sapienza che
l’uomo attinge quando si ritrova-riconosce nell’Oltre-l’Uno-ed-i-Molti,
nel punto di luce del Bene, radice dell’Essere, nell’immanente Trascen-
denza che, incondizionato donarsi ad un Altro, si genera come Altro da sé,
principiando-immag(in)ando l’Essere e le sue polarità. Quella sapienza,
sgorgata dalla viva intuizione del Vero-Bene, dall’unione con la somma
Bellezza, è la sophía che, senza invidia, diviene genitrice di autentica virtù
(Symp. 212a2-7): è la poesia d’icone del Bene, l’immaginazione creatrice
del Bello che rende l’uomo simile agli dèi.
34 Allgemeines Brouillon nr. 769 […] Ideal der Alleswollung. Magischer Willen.
Sollte jede freye Wahl abs[olut] poëtisch - moralisch seyn?
35 Vorarbeiten 1798 nr. 115 Einst werden wir seyn, was unser Vater ist.
91
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97
MARCELLO LOSITO
Infatti non c’è dubbio che non possiamo privarci delle grandezze
variabili nel senso dell’infinito potenziale, cosicché si dimostra an-
che la necessità dell’infinito attuale, nel modo seguente: perché una
di queste quantità variabili sia utilizzabile in un’argomentazione
matematica, l’“oggetto” di questa variabilità, a rigore, deve essere
noto in anticipo; tuttavia questo “oggetto” non può essere qualcosa
di variabile, altrimenti verrebbe a mancare qualsiasi fondamento si-
curo a quella argomentazione; l’“oggetto” dunque è un determinato
insieme di valori attualmente infinito. Così un infinito potenziale,
per essere matematicamente utilizzabile in maniera rigorosa, pre-
suppone un infinito attuale.
Georg Cantor*
Inteso come serie convergente ad un valore per quanto grande esso sia
dato, il limite di ogni ars combinatoria equivale al limite di ogni assogget-
tamento dodecafonico della realtà, intesa come assoluta presenza.1
La protologia platonica, nella sua veste primordiale, rappresenta il ten-
tativo più audace di fondere in un’unica matrice la sostanza offerta da una
ontologia formale congiunta ad una materiale.2
*
Georg Cantor, Gesammelte Abhandlungen, Leipzig 1932, pag. 410 (trad. di Alber-
to Giacomelli in Hao Wang, si veda nota 9).
1 Se si considera un qualsiasi insieme di eventi fisici metaforicamente assimilabile
ad un intervallo di ottava, le regole combinatorie di Schönberg consentono una vi-
sualizzazione suggestiva delle potenzialità espressive di tale insieme. Inoltre una
simile lettura metaforica consente di intuire la differenza abissale intercorrente tra
una combinatoria esercitata su un numero finito di elementi ed una esercitata su un
numero infinito, o supposto tale: se la prima convergerà ad un limite, presentando
inevitabilmente una certa monotonia, la seconda divergerà ad infinitum, presen-
tando strutturazioni imprevedibili.
2 Come, di fatto, le millenarie fatiche metafisiche non siano riuscite nell’edifica-
zione di un’ontologia materiale, è un esito ben delineato in Frédéric Nef, L’objet
quelconque: recherches sur l’ontologie de l’objet, Paris 1998 e nell’inesauribile
Enzo Melandri, La linea e il circolo: studio logico-filosofico sull’analogia, Ma-
cerata 2004. Al posto di essa, le ontologie formali, per guadagnare più o meno
debitamente in manegevolezza, hanno dovuto prescindere dalla coriacea resisten-
za opposta dagli eventi individuali ad ogni rinnovato tentativo di classificazione.
98 Oltre l’Uno ed i Molti
L’ars combinatoria barocca, sebbene a tratti occulta ed esoterica, è stato uno dei
tentativi più titanici teso alla sistematizzazione di un’ontologia materiale il cui
cardine poggiasse sull’identificazione delle signaturae rerum proprie a ciascuna
classe di eventi. Allo stesso tempo assimilabile e differenziantesi rispetto a questo
progetto, la protologia platonica è sì formale, nella ricerca di una matrice gene-
rativa primitiva – da cui appunto il suo essere protologia –, ma è pure materiale,
nel tentativo di delineare le modalità applicative, e non più primitive, di quella
matrice riguardo all’articolarsi dell’essere.
3 Nei testi di Paolo Bozzi (Unità identità causalità: un’introduzione allo studio
della percezione, Bologna 1969; Fenomenologia sperimentale, Bologna 1989), e
in quello di Luigi Burigana (Singolarità della visione: spunti di formalizzazione
nello studio fenomenologico del percepire, Padova 1996) sono ravvisabili i pas-
saggi a partire da cui la definizione di “fenomenologia sperimentale” è congiunta
a quella di “singolarità” percettiva o fenomenica.
Per quanto concerne l’approccio qui utilizzato, esso è d’obbligo per due ragioni:
la prima è che dal punto di vista storiografico vi sono prove di una lettura di Pla-
tone da parte di Cantor, ma non vi sono cenni riguardo ad una possibile analogia
tra la protologia del primo ed i transfiniti del secondo; la seconda ragione è che
l’analogia profonda tra queste due impostazioni, che qui si vorrebbe suggerire,
non pare essere oggetto di una trattazione formalizzabile; ma su quest’ultimo pun-
to si veda anche la nota 9.
L’alef con zero: א0 di Marcello Losito 99
α è una parte di a se a=mα (con m intero positivo). Ovvero “il tutto è più
grande della parte”: VIII assioma del primo libro degli Elementi di Eucli-
de.4 Il tutto circoscrive la parte, la parte è inscritta nel tutto: il continuo ed il
discreto, il collettivo ed il partitivo. Ponte, arco teso tra la circonferenza ed
i punti giacenti entro essa è l’ars combinatoria, mentre immagine dei poli
sottoposti a relazione è l’insiemistica.
È come se l’assioma euclideo non fosse un’assioma solamente geome-
trico, bensì la silloge bifronte di un principio congenito(-genetico) alla
classificazione intera del reale: da un lato, in modo visuale, esso viene a
ridurre il tutto ad insiemi; dall’altro, da un punto di vista logico, viene a
ridurre il tutto alla relazione radicale di inclusione. Da qui la matrice di
ogni imago mundi e da qui l’immagine stessa della matrice-insieme, unico
plesso concettuale a presentarsi come uno e molti ad un tempo.5
Paris 1993) e Georg Cantor, Beiträge zur Begründung der transfiniten Mengen-
lehre, Mathematische Annalen XLIX, Berlin 1897, pagg. 207-46.
8 Platone, Carmide 168b-c “Così, anche di ciò che è maggiore, noi affermiamo che
ha questa proprietà: di essere maggiore di qualche altra cosa? – Sicuro – Cioè di
qualcosa di più piccolo, se davvero è maggiore. – Necessariamente. – Se, dunque,
trovassimo una grandezza maggiore delle grandezze maggiori e di se stessa, ma
non maggiore di nessuna di quelle di cui le altre sono maggiori; avrebbe necessa-
riamente, se davvero è maggiore di se stessa, d’essere anche minore di sé; o no?
– Per forza, Socrate, rispose – Cosicché, anche, se è doppia degli altri doppi di se
stessa, sarebbe doppia della metà che la costituisce e delle altre metà, perché una
grandezza non può essere doppia d’altro che della metà” (trad. Emidio Martini).
Proclo (In primum Euclidis elementorum librum commentarius, pag. 196 Fried-
lein) annotò che l’insieme dei diametri di un cerchio è due volte minore di quello
dei raggi dei semicerchi, e Galileo Galilei (Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze, a cura di Enrico Giusti, Torino 1990, Giornata prima,
pag. 43) dice per bocca di Salviati “Io non veggo che ad altra decisione si possa
venire, che a dire, infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, infinite le loro
radici, né la moltitudine de’ quadrati esser minore di quella di tutti i numeri, né
questa maggior di quella, ed in ultima conclusione, gli attributi di eguale maggio-
re e minore non aver luogo ne gl’infiniti, ma solo nelle quantità terminate.”
102 Oltre l’Uno ed i Molti
numeri cardinali taf א₀, א₁, …., אω per cui dovrebbe valere la formula del
continuo c=2א0, da cui l’ipotesi del continuo 2א0=א1 .9
Se tra 2n e 2ω, significanti il computo base delle combinazioni comples-
sive di un dato insieme finito, si riesce a scorgere un’aria di familiarità
anche puramente intuitiva, tra questi ed il 2א0, significante il computo base
delle combinazioni transfinite di un dato insieme infinito, il passo è breve, e
folgorante. L’oltre l’uno ed i molti, ossia l’esponente א₀ applicato alle basi
protologiche platoniche – sostituendo, dunque, al sottoinsieme identità e al
sottoinsieme vuoto rispettivamente l’uno e la dualità indefinita – diverreb-
be ora il primo fattore per la riduplicazione e differenziazione infinita posta
all’origine dell’ontologia di Platone.
In altri termini, sempre da una prospettiva strettamente fenomenologica,
si potrebbe vedere nel 2א0 di Cantor una feconda sintesi o un’analogia pro-
fonda tra il modus operandi dei due principi platonici e lo sviluppo delle
serie infinite degli insiemi infiniti. I principi sarebbero sottesi ad ogni ma-
nifestarsi dell’essere così come la gerarchizzazione degli insiemi infiniti,
grazie alla cardinalità degli א, rappresenterebbe una potente immagine del
10 Ancora più stringente sarebbe la doppia lettura dell’alef solo considerando che la
cardinalità da esso espressa non è, per Cantor, assimilabile ad alcun insieme. Ciò
significa che essa giace al di fuori della “logica” insiemistica, in uno spazio on-
nicomprensivo – quanto diverrà il dominio V in von Neumann – circoscrivente e
non circoscivibile: attributi, questi ultimi, verosimilemte riferibili pure ai principi
platonici. Per una trattazione del dominio V, o Universo di Neumann, si consiglia
la “Set theory” di Johanna Franklin su: unjobs.org/tags/set-theory.
ASKESIS / Studi di Filosofia antica