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Fondazione Arbor

Nata dal fertile incontro con Raimon Panikkar


opera nel mondo con progetti umanitari, interculturali e interreligiosi
perché le differenze diventino opportunità di conoscenza, relazione
e trasformazione frutto del sapere della ragione e del cuore.

Fondazione Arbor intende offrire in ambito umanitario, sociale e culturale i mezzi


e gli strumenti utili a favorire l’armonia tra popoli, fedi e culture. La sua coope-
razione, capace di ascolto e soccorso, è aperta ad ogni essere e ad ogni comunità
che senta la necessità di una vicinanza, umanitaria, culturale e spirituale, al fine
di ri-creare una vita comune degna di dirsi umana”.

La sua attività riguarda il microcredito in India; borse di studio e stages per giovani
che intraprendono la strada del dialogo tra culture e religioni; la pubblicazione di
libri che aiutino e promuovano il dialogo tra differenti cosmovisioni; l’edizione
della collana “Tita”, dove il Bambino sia creatore poetico di cultura per gli adulti
e non consumatore della cultura degli adulti; l’edizione degli Atti dei “momenti di
riflessione” tra studiosi da tutto il mondo da Arbor creati e organizzati: Diventare
il Presente, Milano 2008/2009; L’economista mistico, Milano 2012/2013; “Quale
Europa?”, Milano, 2014; l’organizzazione e la cura di un “novenario” annuale sul
pensiero di Raimon Panikkar e, su questi temi, spettacoli teatrali: Milano Ictus, La
tragedia del grande inquisitore, Il banchiere di Dio, Pagina 40, Jannacci, il Tessa e
alter du’ sciupaà; una Stagione annuale di Poesia. Fondazione Arbor coopera fattiva-
mente con le Università di Bergamo, Torino e Urbino.

www.arborfoundation.net
LIBERARE L’EUROPA
Tra pensiero critico e nuove visioni

Atti del convegno

a cura di
Patrizia Gioia e Gianni Vacchelli

MIMESIS
Questi atti sono pubblicati grazie al contributo di Fondazione Arbor, partner di un
processo di pensiero, azione ed educazione da molti anni.

© 2015, Arbor Foundation

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)


www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it

n. 3
Isbn: 9788857531274

© 2015 – MIM EDIZIONI SRL


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INDICE

Liberare l’Europa. Prologo 7


I curatori

Tommaso D’Aquino. Una comunità di saperi: la coscienza 9


Antonietta Potente

Il continente boreale 19
Antonio Moresco

Dante e la “selva Oscura” dell’europa e del nostro tempo 29


Gianni Vacchelli

Ripensare l’Europa a partire da Edmund Husserl 41


Diego Fusaro

Relatori e curatori 55
LIBERARE L’EUROPA
Prologo

Ci troviamo in mezzo al guado, o, dantescamente, in una “selva oscura”.


Quella che viviamo è in primo luogo una crisi di civiltà. Forse un’intera
cultura è nella sua fase terminale. Serve un passaggio di coscienza planeta-
rio, una trasformazione profonda che rimetta al centro l’umano.
Se il problema è mondiale (e coinvolti sono anche il cosmo, l’ambiente),
qui il nostro focus è l’Europa.
Il titolo del presente libro è quanto mai emblematico e non dà adito ad
equivoci. L’Europa ha bisogno di liberazione. Da che cosa? Intanto da un
economicismo asfissiante, da un capitalismo ultraliberista (o finanzcapita-
lismo che sia), che aliena la vita, che asservisce alle sue leggi assolutizzate
gli stati, le nazioni, i cittadini, l’uomo.
L’economia, pervertita in economicismo, detta ogni condizione. Il “ver-
bo economicista” è di fatto una teologia monoteistica, quando non un ni-
chilismo. Ridurre tutto a quantità a profitto a utile riduce di fatto la vita, la
ingloba, la sussume.
Lo spettro della povertà e dell’impoverimento è sempre più ingombran-
te: il caso-Grecia è emblematico, e forse il governo neo-eletto e il recen-
tissimo referendum stanno aprendo reali spazi di discussione, di resistenza
e di cambiamento. Ma anche la Spagna, l’Italia e la Francia stessa, pur se
meno sensibilmente, sono nella morsa neoliberista. Il debito imprigiona i
popoli. Non dobbiamo dimenticarci che questo sistema economico nel suo
complesso ha già impoverito il cosiddetto Sud del mondo. Ora la decaden-
za investe anche parte dei “privilegiati”.
Se i simboli sono importanti, e lo crediamo, come non inquietarsi quan-
do l’unità europea è rappresentata solo da una moneta, da una Banca cen-
trale, da una Commissione europea e da un Fondo Monetario Internaziona-
le (la fatidica Troika)?
Solo l’economico impera. Dove sono finiti il politico, il culturale, l’arti-
stico, l’ecologico, il filosofico, lo spirituale?
8 Liberare l’Europa

Karl Polanyi ci ha spiegato magistralmente come un’economia sana è “ar-


monizzata” con tutto il resto, compresa negli altri aspetti della realtà. Non
assolutizzata e feticizzata come la nostra. L’economico non è dio. Ma al mas-
simo diventa un idolo sanguinario, un Moloch, se acquista tutto il potere.
Le pagine che seguono riflettono su questi problemi, su queste sfide,
cercando di tenere insieme pensiero critico e nuove visioni, lucidità e spe-
ranza, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.
Una tesi del libro è che l’Europa che ci troviamo di fronte è una caricatura
di quello che l’Europa è o potrebbe essere, se guardiamo alle sue straordina-
rie radici culturali, artistiche, filosofiche, spirituali (intese in senso lato). Per
questo rincontrare Tommaso d’Aquino, Dante ha qui un sapore tutto “poli-
tico” nel senso di polis, di comunità, di bene comune. Le anime dell’Europa
sono plurime, variegate, ricchissime. L’Europa è (anche) Omero, Virgilio,
Dante, Petrarca, Michelangelo, Shakespeare, Galileo, Voltaire, Rousseau,
Kant, Dickens, Leopardi, Hegel, Marx, Freud, Simone Weil, Heidegger,
Planck, per citare solo alcuni dei suoi spiriti magni. Non possiamo acconten-
tarci di una eterna discussione sullo spread, esito di un dominio finanziario
che distrugge libertà e democrazia reali (e non virtuali o solo proclamate).
Riscoprire le nostre radici culturali è un atto umano e di risveglio.
I quattro testi1 qui riuniti, simili e molto diversi tra loro, lavorano però
nella stessa direzione e nello stesso spirito. Volutamente intrecciano anche
discipline e saperi: Antonietta Potente è una teologa della liberazione; Die-
go Fusaro un filosofo; Antonio Moresco e Gianni Vacchelli due scrittori,
che ci ricordano il potere critico e rivoluzionario della letteratura, in sé o
declinata dal potente genio dantesco.
Ancora una volta torna l’idea di una cultura che sappia unire senso critico
e utopia (nel senso di possibile trasformazione), smascheramento dell’ideo-
logia e nuovi orizzonti, logos e interiorità, riflessione e prassi. Se rivoluzio-
ne è una parola sospetta, perché macchiata di violenza e sangue, se riformi-
smo appare categoria debole e insufficiente rispetto alla svolta richiesta, se
trasformazione rischia di essere solo interiore e non esteriore, abbiamo bi-
sogno di una nuova articolazione, di una trasformazione rivoluzionaria, che
sappia unire un risveglio dall’intimo con una pratica radicale di liberazione.

I curatori

1 I saggi di questo libro sono stati presentati in forma di relazione per la giornata di
studio e dialogo Quale Europa? Tra pluralismo e “buone radici”. Nuove visioni e
grandi tradizioni europee, tenutasi a Milano al Teatro Filodrammatici, il 10 marzo
2014. In occasione di questa pubblicazione i testi sono stati ripensati e completa-
mente riscritti.
Antonietta Potente
TOMMASO D’AQUINO.
UNA COMUNITÀ DI SAPERI: LA COSCIENZA

Prima di tutto vorrei fare alcune premesse, per facilitare la comprensio-


ne di ciò che dirò successivamente. Quello che dirò, infatti, sarà – voluta-
mente – solo un vero e proprio tentativo ermeneutico e non tanto una pro-
gressiva e ordinata lettura del pensiero della complessa opera di Tommaso
d’Aquino.
Un racconto, dunque, su Tommaso, dove non si vuole dire tutto, sulla
sua dottrina e sul suo pensiero, per altro molto complesso, o fare un excur-
sus sulla sua opera, altrettanto multiforme e ampia.
Vorrei piuttosto condividere una vera e propria narrazione ermeneutica
su un solo aspetto della dettagliata lettura che lui farà, per tutta la vita, delle
trame più segrete dell’esistenza umana, sia individuale che collettiva.
Quindi, da parte mia, farò solo un’ermeneutica, appunto, cioè un tenta-
tivo di interpretazione, perché, penso che sia questo il modo più corretto,
per avvicinarci a delle radici così distanti da noi e dal nostro contesto con-
temporaneo.
Nel mio tentativo ermeneutico, infatti, c’è il desiderio di contribuire con
qualcosa di bello preso da queste radici, per poter ricreare, con altri che
hanno altre radici, la nostra storia presente.
Per far questo, raccoglierò il riflesso dello sguardo di Tommaso, sul
tema della coscienza.

Chi era Tommaso

Sarebbe bello fare uno studio su questa personalità, perché – secondo


me – l’opera di Tommaso rispecchia le sue vicende storico-esistenziali. Ma
provo solo a dire qualcosa.
L’arco di storia in cui collochiamo Tommaso va dal 1224/25 circa, data
imprecisa della sua nascita, al 1274, anno della sua dormitio.
Fu costretto dalla sua famiglia, per questioni di potere, ad entrare nel
monastero benedettino di Montecassino, dove ricevette la sua prima for-
10 Liberare l’Europa

mazione. Dal 1239 al 1243 frequentò la facoltà delle arti dello Studium
generale di Napoli, dove egli venne avviato allo studio della filosofia
aristotelica e averroista. Ma anche, dove egli incontrò i Frati Domeni-
cani che volle e riuscì a seguire, nonostante la famiglia non lo gradisse,
nel 1244.
Con i frati domenicani, andò a Parigi per proseguire i suoi studi. All’U-
niversità di Parigi frequentò i corsi di teologia, sotto la guida di Alberto
Magno, che diventò il suo maestro. Quando nel 1248 questi lasciò Parigi
alla volta di Colonia, dove era stato incaricato di costituire uno Studium
generale dell’Ordine dei predicatori, portò con sé Tommaso, al fine di per-
mettergli di completare gli studi di teologia e di averlo come assistente
nell’insegnamento.
Quel periodo esercitò una forte influenza sulla formazione di Tommaso:
egli poté penetrare a fondo il pensiero filosofico e teologico del maestro, se-
guì le sue lezioni sul De divinis nominibus dello Pseudo Dionigi e sull’Etica
a Nicomaco di Aristotele. Di queste lezioni si conservano alcuni appunti.
Poi Tommaso comincia a insegnare e dalle sue lezioni nascono alcune delle
sue opere: il Super Isaiam, composto nell’ultimo periodo di soggiorno a
Colonia. In seguito, torna a Parigi, dove continua l’insegnamento, mentre
procede negli studi, per diventare maestro in teologia prima e per avere
la licentia docendi in un secondo momento. Nel febbraio del 1256 e nella
primavera dello stesso anno, infatti, conseguì il titolo di maestro in teologia.
Da quel momento in poi, Tommaso comincia a sistematizzare il suo pensie-
ro, che si dipana tra l’etica e la teologia. Un vero pensiero filosofico-teolo-
gico di tipo sapienziale. In altre parole, un amore sapienziale, alla teologia.

Un pensiero tra tanti pensieri

Personalmente, amo ricordare che il pensiero di Tommaso è solo un pen-


siero; un pensiero tra tante sintesi di pensiero presenti nella sua epoca. Un
pensiero che, lui stesso dirà tante volte, non ha nessuna pretesa di essere
l’unico, anche se, lungo la storia, qualcuno cercherà di renderlo tale.
Così che, per essere fedele a questa scia metodologica, anch’io ribadisco
che altresì la mia ermeneutica su questo pensiero non è l’unica. Questo lo
riaffermo, anche per non suscitare reazioni di rifiuto da parte di eventuali
“tomisti” o conoscitori o conoscitrici di Tommaso nei confronti di questa
mia particolare ermeneutica.
Il mio approccio è più che altro per mettere in evidenza una metodologia
e non per esporre una dottrina, aspetto che penso molto utile nella realtà di
A. Potente - Tommaso d’Aquino. Una comunità di saperi: la coscienza 11

oggi in cui siamo sempre più carenti di metodologie di vita quotidiana sia
nella politica che nella spiritualità.
Il fatto che tra tutti i temi di cui tratta Tommaso, io abbia scelto la co-
scienza, è dovuto al fatto che considero questa tematica il punto di partenza
per una trasformazione verso la responsabilità di ciascuno e ciascuna di
noi, nella storia di oggi. Ma, d’altra parte, è una delle proposte più signifi-
cative, perché questa responsabilità sia tale, nella costruzione e nella cura
della comunità umano-cosmica.
La coscienza, infatti, secondo questa prospettiva, è a mio avviso uno
degli aspetti dell’umano più belli, attorno a cui intraprendere dialoghi in-
terdisciplinari, interculturali e interreligiosi.
Dunque – e anticipo già qualcosa – cammino comunitario e non solita-
rio come lo vedranno quei pensatori che, lungo i secoli, cominceranno a
isolarci piano piano dal DNA umano e cosmico a cui tutti apparteniamo.
Mi addentro dunque in questo spazio di pensiero di Tommaso. Lo faccio
raccogliendo alcuni punti salienti della sua storia, accennata appena sopra,
soprattutto per capire ancora meglio il suo itinerario di pensiero sulla co-
scienza.

Itinerario contestuale e metodologico

Tommaso d’Aquino, come abbiamo sentito, era un medievale e apparte-


neva a quella porzione di popolo che, nella cultura medievale, aveva fatto
una scelta molto particolare: era diventato membro di un ordine mendican-
te: i domenicani. Fuori dunque da privilegi e dai poteri propri dell’epoca,
ma piuttosto dedicato a quello che oggi chiameremmo una vera e propria
ricerca scientifica.
Amante per antonomasia della ricerca, tanto da far diventare lo studio
una virtù; abituato dunque a una vita piuttosto gratuita, che forse gli avreb-
be solo permesso di fare carriera nell’ambito universitario, ma che invece
per lui significò soprattutto: lavorare molto, ricercare intensamente, senza
coprire ruoli particolari, se non alcuni, verso la fine della sua vita, ma co-
munque sempre legati alla sua attività di studio.
Le sue opere sono davvero tante, una lunga produzione scritta, composta
quasi sempre in modo dialogico; dialogo con varie discipline e vari autori,
soprattutto di diverse culture.
Oggi, Tommaso lo potremmo leggere come chi, nella sua epoca, ricerca
intensamente e solo in seguito compone una sintesi, nell’eco della ricerca
di tutti e di ciascuno.
12 Liberare l’Europa

Il legame tra il suo pensiero e la realtà è così intimo che in certi momenti
le sue descrizioni teologiche o etiche potrebbero essere lette come veri e
propri quadri del comportamento di piccole porzioni di umanità, dell’e-
poca medievale: una specie di “tipi psicologici” come direbbe Carl Jung.
Ogni sua opera è cosparsa di esempi.
Così, le sue sintesi non appaiono tanto come una dottrina, ma come un
patio, su cui si affacciano tante porte da aprire e attraversare.
La sua opera è scritta quasi sempre per gli studenti che frequentavano i
suoi corsi o per coloro che volevano intraprendere – secondo una vocazio-
ne particolare – l’ordine mendicante a cui anche Tommaso apparteneva.
Dunque è un’opera scritta per chi studia e cerca; pertanto qualcosa af-
fidato all’incertezza, alla precarietà, e ad un ulteriore ricerca. La sua opera
lascia, persino nello stesso Tommaso, un senso di profonda incompiutez-
za: “sono solo paglia” dirà dei suoi scritti, alla fine della sua vita.
È un’opera che si costruisce su tante domande, in parte formulate da
lui e in parte fatte da altri. Frutto di un bellissimo viaggio introspettivo tra
i meandri dell’umano, della cultura della sua epoca, del pensiero antico e
delle Scritture Sacre.
Le sue sintesi portano il gusto della sua stessa esperienza esistenziale.
Le sue scelte di vita infatti sono state vere e proprie opzioni. Ha dovuto
sostenere le sue posizioni esistenziali, fin da giovane, anche nei confronti
della sua famiglia, che non gli permetteva vivere con dei semplici frati,
molto diversi dai monaci, dove aveva passato parte della sua infanzia.
All’epoca, essere frate domenicano non era senz’altro un privilegio;
significava appartenere a un ordine religioso di “mendicanti”, cioè quegli
ordini che in qualche modo avevano portato, pacificamente, la chiesa a
fare un cammino di progressiva autocritica, soprattutto rispetto al suo
modo di agire di fronte alle eresie e a quella ormai istituzionalizzata bra-
mosia verso i privilegi.
Era membro di un ordine che apparteneva alla “città” e la sua riflessione
è dunque da “cittadino” (anche se il termine città ha senz’altro un sapore
molto più moderno).
Ma nonostante queste risonanze con epoche più vicine a noi, tuttavia
non è conveniente chiedere alla sintesi di pensiero di Tommaso cose post-
moderne, o pretendere di trovare in lui risposte chiare alle nostre proble-
matiche attuali.
Piuttosto, io cercherei in Tommaso, quegli “universali” al di là del tem-
po e dei contesti; quegli “universali” che stanno più vicini all’archè origi-
nale dell’umano, solo perché umano, come natura, animus-anima etc., che
sono humus esistenziale di ogni evoluzione storica e cosmica.
A. Potente - Tommaso d’Aquino. Una comunità di saperi: la coscienza 13

Dunque, a lui dobbiamo chiedere e in lui dobbiamo cercare un metodo


di approccio alla realtà e all’essere umano, nel suo archè più profondo ap-
punto.
Penso che la sua sintesi è come un’opera d’arte, una costruzione com-
plessa che va guardata nei suoi dettagli. Penso inoltre che la sua sintesi
nasce in un periodo storico e artistico, dove già si era sviluppato uno stile
che in qualche modo assomiglia molto a questa minuziosa costruzione dei
dettagli nella ricerca del senso della realtà, della vicenda storica dell’uma-
nità e degli interstizi più profondi dell’essere umano e del divino: il Gotico.
Non solo un’esperienza del sentire, di un Romanico introspettivo, con
la sua luce soffusa, ma l’inizio di una visione spaziale più chiara: l’inse-
rimento degli oggetti nello spazio, agibile e misurabile, attraverso la pro-
spettiva, ossia ricerca di ciò che conferisce all’immagine la funzione di un
efficace strumento conoscitivo (Romanini).
La sua visione è nuova dunque come è nuovo lo stile architettonico
dell’epoca. Nel suo modo di vedere c’è spazio per i dettagli e per la pro-
spettiva: il contesto, la realtà reale, con la quale, per esempio, si confronta
anche la nostra ricerca della verità. Quella famosa verità, sintetizzata da
Tommaso come adeguatezza dell’intelletto1.
Lo spazio – la storia – non ha bisogno di essere immaginata, ma va
guardata, nei suoi più precisi dettagli, non solo immersi in una luce soffusa
e imprecisa, ma in chiaroscuri più nitidi: la prospettiva, appunto. Perché
per lui, il legame tra il vero e la realtà è essenziale, perché la verità non è
prestabilita, ma scoperta, trovata e, possibilmente, accolta anche dagli altri
diversi da noi.
Il suo profondo riconoscimento – direi una vera e propria contempla-
zione – verso quella facoltà umana chiamata ratio, che tiene Tommaso
lontano da tutti quei determinismi religiosi, teologici e filosofici, propri del
medioevo. Ma anche: tiene lontano l’essere umano, di cui Tommaso parla
tanto, da ogni falsa dipendenza o legame con tutti coloro che chiedono
qualcosa che va contro la ragione (nella società o nella chiesa) di fronte ai
quali siamo anche tenuti a disobbedire. Agire secondo ragione, è una frase
che ritorna spesso nell’opera di Tommaso2.
Lo stesso potremmo dire di quel fascino che lui ha per quel bellissimo
rapporto di condivisione tra il divino e l’umano, cioè la grazia, che non to-
glie nulla alla natura, ma anzi la rende ancora più armonica e più consona
al suo destino.

1 Cfr. De Ver., I.a.1c.


2 Cfr. S. Th.,Ia-IIae,q. 94,art. 2.
14 Liberare l’Europa

Ma riprendo quell’aspetto a cui accennavo sopra, e che riguarda pro-


priamente la sua metodologia e che servirà anche per comprendere la sua
sintesi sulla coscienza: la questio.
Vera e propria mendicità, del vero e del buono, come se tutto dovesse in
qualche modo ricomporsi, attorno a questo chiedere agli altri o all’Altro,
con la A maiuscola.
Un modo di adeguare la sua ricerca intellettuale alla realtà storica; al suo
essere “mendicante”, non solo come stile di spiritualità e di solidarietà con
una parte di storia quasi costretta o trascinata a vivere nella mendicità, ma
come una vera e propria scelta metodologica, perché domandando la verità
a qualcuno, costui non sarà più mendicante.
Cammino di dignità e riscatto, dunque; metodo non arrogante, non ge-
rarchico ma circolare. Un metodo in cui anche nella costruzione di un’idea,
di un progetto, transita la cultura e l’esperienza di coloro ai quali tu hai
domandato qualcosa
Mi sembra bello ricordare o sottolineare che Tommaso, appartenendo a un
ordine mendicante, ha un’esperienza di autorità, molto particolare. Nelle co-
munità domenicane, l’autorità non era qualcuno che stava al di sopra di tutti
gli altri – l’Abate – il primo di tutti, ma piuttosto il Priore, e cioè: il primo tra
uguali. Oramai, siamo nell’epoca dei comuni e delle corporazioni: la volontà
da ricercare e a cui obbedire non è più quella del Principe, ma quella reale,
oggettiva, che nasce da una ricerca comune, tra tutti (Dominque Chenu).
Nelle sue opere ci sono sempre degli interlocutori: dice il filosofo, per
esempio e cioè Aristotele; dice il teologo, e cioè Dionigi l’Areopagita; al-
cuni dicono o, molto solennemente, dicono le Scritture…
In questa mendicità dialogica, quindi, si intersecano tante discipline.
Ma un altro punto fermo della sua metodologia è, a mio avviso, il
viaggio che Tommaso fa nelle sue introspettive analisi della vita umana.
Alcuni dei suoi testi sembrano quasi studi di anatomia. Il suo è un viag-
gio nella vita umana più segreta. Ogni volta che spiega qualcosa, entra,
senza perdersi, nei dettagli. Le sue descrizioni minuziose, quasi a mostrare
la ricerca dell’umano, nel suo archè più profondo.
Ed ecco, è questo il cammino che porta alla sua sintesi sulla coscienza:
introspezione e domande.

La coscienza

Non posso addentrarmi nella vastità di significati che questo concetto


ha nel mondo contemporaneo. Posso solo ricordare che questo termine, nel
A. Potente - Tommaso d’Aquino. Una comunità di saperi: la coscienza 15

corso della storia, assume forme diverse e segue metamorfosi esistenziali


molto profonde. Coscienza come consapevolezza, coscienza psicologica,
coscienza morale, autocoscienza, ecc.
Ma Tommaso, ricordiamoci, è un medievale e, come tale, si muove in
quell’universo simbolico e pratico, dove il concetto di coscienza evoca il
sapere con (syneidesis in greco) e, in alcuni casi, richiama anche la dinami-
cità di un processo di tipo più introspettivo che è l’auto-coscienza: sapere
di sapere.
Questi due poli, di per sé, basterebbero per trovare il contributo che ser-
ve a noi, nel nostro tempo, per tornare a partecipare in modo sapienziale,
nella costruzione della storia di oggi.
Ambedue, dunque, sono rivolti al sapere etico. Essere presente e sapere
di essere presente, cioè il vasto mondo etico della responsabilità dell’essere
presente nei differenti contesti.
Raccolgo alcuni frammenti, di un testo molto famoso di Tommaso: “Il
nome di coscienza significa l’applicazione del sapere rigoroso (scienza)
a qualcosa; perciò consapere (conscire) è detto quasi un sapere insieme
(simul scire)3.
Per Tommaso, lo sguardo più introspettivo e quello sulla realtà, ossia
la considerazione della soggettività da una parte e lo sguardo obbiettivo
dall’altra, non sono due prospettive che si escludono a vicenda, ma anzi,
tra le due visioni c’è una sinergia profonda.
Questo modo di vedere supera ogni soggettivismo occupato nelle sue
solitudini egocentriche, e anche ogni apriorismo che impedisce l’ascolto di
altri o altro. La coscienza non è nient’altro che l’applicazione della scienza
a qualche atto4.
Si tratta di una reflexio: la realtà esterna, quello che succede attorno, va
raccolto e quell’intelletto che prima aveva raccolto “qualcosa”, ora deve
avere per questo “qualcosa” un atteggiamento di molta attenzione: un com-
plesso lavoro riflessivo.
Comporre e scomporre è ciò che avviene in questo spazio abitato dalla
realtà reale: e l’intelletto non conosce la verità se non componendo e di-
videndo per mezzo del suo giudizio. Il quale giudizio, se è conforme alle
cose, è vero; falso, invece, quando discorda dalla realtà5.
D’altra parte, è quasi superfluo ma doveroso ricordare che, comunque,
essendo un pensiero medievale, è anche un pensiero teologico. Un Dio che

3 Cfr. De Ver.,q.17, art.1, re.


4 Cfr. S. Th.,I-II,q.19,a.5.
5 Cfr. In Perì Herm.,l.I, lect. III,n.31.
16 Liberare l’Europa

non tradisce né la natura, né la storia e che per questo si capisce comunque


in questa sapienziale riflexio, tra natura e storia; tra realtà reale e fede, fatta
anch’essa di cammini sapienziali composti nel tempo.
Ma, a differenza di altri pensatori, il sapere della coscienza, per Tom-
maso, non è solamente un giudizio a posteriori (l’esame di coscienza), ma
qualcosa di previo, un tempo di preparazione, uno spazio di dialogo in cui,
in un primo momento intervengono altri.
È profezia, immaginazione previa e creativa.
Tommaso ha la capacità di far confluire nella persona o soggetto pensan-
te un’infinità di elementi che sorgono dal confronto con la realtà.
Ma in tutto ciò vi è un presupposto molto bello, che riguarda l’essere
umano: siamo portati a fare il bene, abbiamo una capacità interiore di com-
prendere ciò che è bene e ciò che non lo è. La sinderesis: inclinati al bene,
principio di illuminazione e ispirazione della coscienza che è operativa
dice nel libro II delle Sentenze6
In questo agire vertono sia la volontà, sia la coscienza, ma la coscienza
ha una sua autonomia, un suo percorso e in questo percorso ci sono margini
di sbaglio, di incompletezza e insufficienza. Ignoranza, o forse un qualche
rifiuto, magari un pre-giudizio.

La mia proposta

È dunque in questo senso che propongo la coscienza come comunità di


soggetti e dunque di saperi. Stile di vita pensante riflessivo; né pura spon-
taneità, né facile moda o facile e ottusa obbedienza, ma piuttosto dialogo
costante, ricerca, mendicità nei confronti della storia passata, della realtà
presente e delle infinite epifanie del Mistero.
Spazio abitato da un atteggiamento di ricerca, di studio: atteggiamento
di pensositas, possibilità di spostare il proprio baricentro dall’ego: uscita
da sé e per questo, possibilità di costruzione dialogica con tutti e tutto.
Coltivare, allenare la coscienza perché si possa educare al bene, ma non
dimenticare l’errore, il sapere apparente, la superficialità del sapere, la cu-
riositas. Fino ad arrivare a quell’atto della coscienza che è la reflexio… An-
dare verso se stessi, reditio o conversio. Andare verso se stessi è prendere
coscienza e responsabilità.
Ora, per noi, riprendere questa metodologia, questo sapere da un me-
dioevale, non significa tornare indietro. Non vorrei dunque, solamente,

6 Cfr. II Sent.,q.2,a.4 co.


A. Potente - Tommaso d’Aquino. Una comunità di saperi: la coscienza 17

ri-scoprire le radici, ma ricordarmi e ricordarvi che abbiamo a che fare


con quelle radici. Ma provo a cambiare il termine radici con quello di
fonti.
A questo punto direi che alla fonte si arriva o per la sete o perché qual-
cuno ci accompagna. Io posso dire che a Tommaso come fonte ci sono
arrivata sia per la sete, sia perché qualcuno mi ha accompagnato.
Le cose belle infatti non si scoprono per obbligo, ma quasi senza accor-
gercene, perché qualcuno ci ha accompagnato verso di loro.
Forse anche questo è un passo che ci fa ripensare all’urgenza di rifare
le nostre metodologie di studio, di formazione, di approccio alla vita. In-
segnare oggi è un’azione, come direbbe Tommaso7 e, io aggiungo, è oggi
è un’azione politica di risveglio della coscienza dialogica, pensante, rifles-
siva, obbediente perché sintonica con il bello, il vero, il buono (pulchrum,
verum, bonum). Ma anche, disobbediente per parresia, per affetto profondo
verso l’umano e verso il Principio di ogni principio. Restituzione della di-
gnità del pensare e del creare, per ogni persona, con il suo bagaglio sapien-
ziale, culturale, sociale, spirituale.
Un pensiero e una metodologia, dunque, che risvegliano i sensi: la vista
e l’udito protagonisti nel percepire la varietà delle forme e delle armonie
del sensibile8. Un pensiero e una metodologia che risvegliano le potenze
dell’anima. Ma anche una prospettiva che oltre ad essere affascinata dalla
realtà reale, è soprattutto ammirata dalla facoltà intellettiva dell’umano, dal
cervello, diremmo oggi, l’organo del pensiero umano (almeno nella cultura
occidentale), che lui descrive nelle sue anatomie più profonde e io direi una
sensibilità propria dell’umano. Capace di accogliere e di trasformare, come
qualcuno ha detto: recettivo ed eminentemente plastico9.
Ma questo “spazio” recettivo e plastico non è certamente la fredda sede
del “penso e dunque sono” cartesiano, ma piuttosto il bellissimo ricono-
scimento della realtà: le cose esterne. È necessario che nella conoscenza
dell’anima (potremmo dire per giungere all’autocoscienza) procediamo
dai dati più esterni (ossia i dati dell’esperienza sensibile)10.
Allora, il dialogo è costante: una comunità di saperi: raccolti dall’espe-
rienza del sè, consapevolezza e autocritica, reditio, conversio; ma anche
di quei saperi raccolti dall’esperienza di tutti coloro che abitano la storia
nelle loro armoniche o disarmoniche differenze. Responsabilità di ciò che

7 Cfr. S.Th. II-II,q. 181,a.3.


8 Cfr. S. Th., I, q. 91,a.3.
9 Cfr. S.Th., I, q.8,a. 47 e 85
10 Cfr. De An.,l. II, lect.VI,n.308.
18 Liberare l’Europa

ascoltiamo; responsabilità e cura per ciò che nella storia e in noi è ancora
lontano dalla sintonia con il bello, il buono, il vero.
Ricerca quotidiana in una storia frammentata, che si potrà solo rifare,
ancora e tante volte, nella reciprocità di un dialogo di sapienze disperse
nella vita dei popoli; richiesta del risveglio della coscienza che è maturo
fondo dell’anima (Eckhart).
Antonio Moresco
IL CONTINENTE BOREALE

Alcuni anni fa, invitato a parlare dell’Europa alla Buchmesse di Lip-


sia, ho cominciato a interrogarmi su questo nostro continente particolare
e unico e sul suo futuro. Cosa sta bollendo nella pancia dell’Europa? mi
domandavo. Che trasformazioni stanno avvenendo in questi anni nelle
sue zone gastriche e digestive? Perché non bisogna vedere solo quel-
lo che succede nella testa dell’Europa, bisogna vedere anche quello che
succede nella pancia dell’Europa. C’è la percezione netta che stia suc-
cedendo qualcosa di enorme sotto i nostri occhi, qualcosa di inaspettato
che non ha ancora assunto un volto preciso e non è ancora emerso. Sono
tante e tali le cose che – nel bene come nel male – stanno bollendo nella
sua pancia che non si può prevedere cosa sarà l’Europa non dico tra cento
anni ma nemmeno tra venti.

La pancia dell’Europa

Oggi, a soli sette anni di distanza da allora, il quadro è divenuto


se possibile ancora più inquietante. L’Europa che abbiamo di fronte
sembra immobilizzata da un incantesimo, sembra incapace di produrre
anticorpi contro il male antico e nuovo che si sta riformando al suo
interno. Inimicizia, odio, egoismi nazionali di breve respiro, enfatiz-
zati dalle endemiche crisi economiche, sopraffazione dei paesi forti su
quelli più deboli, idolatria del vitello d’oro e della dimensione econo-
mica eretta a orizzonte unico della vita e del mondo, nuove satrapie
finanziarie e bancarie mosse da incontrollabili e spietate dinamiche
interne, che si spostano come nuvole di cavallette lasciando dietro di
sé desertificazione e dolore, mentre gli occhi delle maggioranze sono
invece puntati sulle disonorevoli gesta di altre caste politiche ormai
in declino, esplosioni pilotate di movimenti fondati sulla sola rabbia
e il rancore economico, il razzismo e la xenofobia, migrazioni uma-
20 Liberare l’Europa

ne, popoli, culture, identità e religioni diverse che si intersecano e si


fronteggiano, insicurezze, paure, antagonismi – ingigantiti ad arte da
chi trae il suo potere dalla gestione delle identità separate e dai con-
flitti – avidità, mancanza di coraggio, subalternità, strutture crimina-
li divenute parte integrante delle economie continentali e mondiali,
monopolismi, gioco truccato tramite il condizionamento economico
e mediatico, disfattismo, demagogia, populismo, deprogrammazione
delle menti e della loro capacità di conoscere – in mezzo all’ alluvione
di informazioni e notizie – quello che sta veramente accadendo…
Ma anche nuove sfide mai tentate prima, nuovi ordinamenti, nuove
strutture, vincoli e sinergie, una moneta unica, sempre nuovi paesi che
premono per entrare, nuove, grandi, irripetibili possibilità che si aprono
per questo continente che si è dilaniato per secoli, per millenni, in deva-
stanti conflitti fratricidi e scontri di imperi, che fino a ieri era spaccato in
due e imprigionato in blocchi contrapposti. Paesi che sono stati un tempo
potenze continentali e coloniali e che ora devono imparare a convivere
tra di loro senza annientarsi, tutto il variegato, drammatico e creativo
mondo dell’Europa Orientale che irrompe in questo spazio comune e cru-
ciale con la sua forza umana, la sua disperazione, la sua intelligenza, le
sue attese…
Cosa nascerà da questa dinamica di forze contrapposte? Tutta que-
sta ressa e tutta questa speranza non potrà certo essere tenuta unita
solo raschiando il fondo del bidone delle vecchie ideologie o dei buoni
propositi, delle identità nazionali, etniche e religiose, o affidandosi
alla sola dimensione economica, trasformando l’intero continente in
un unico organismo monetario e di scambio egemonizzato, senza san-
gue, senz’anima, e perciò destinato in breve tempo a smembrarsi, a
esplodere o a implodere. Il miracolo di forgiare un’altra possibilità e
un nuovo sogno per le donne e gli uomini che vivono su questo nostro
piccolo continente all’interno del nostro piccolo pianeta sovrappopo-
lato, surriscaldato e stremato avrà bisogno di ben altre proiezioni e di
più vasti orizzonti. Non possiamo sempre e solo crogiolarci nel ran-
core e nell’accusa e nello stesso tempo aspettarci le cose dall’alto, da
organismi che non sono in grado di uscire dalla loro unica orbita e dal
loro vicolo cieco. Tutto deve essere di nuovo ripensato e reinventa-
to. Bisogna che si liberino enormi energie dormienti che sono ancora
imprigionate al suo interno. Dobbiamo avere il coraggio di compiere
gesti autonomi e prefiguranti, di lanciare segnali, di accendere dei pic-
coli fuochi nel buio.
A. Moresco - Il continente boreale 21

L’esordio dell’Europa

L’Europa non è un’isola. È collegata geograficamente all’immensa Asia


ed è solo uno dei più piccoli continenti del mondo – sei, compresa la bian-
ca Antartide –, l’unico a trovarsi completamente compreso nell’emisfero
boreale del pianeta. È come un immenso promontorio, un frattale. Sui suoi
territori 40 mila anni fa sono arrivati i primi uomini provenienti dall’Africa
e dall’Asia occidentale, poco prima della repentina scomparsa dell’uomo
di Neandertal. Lacerazioni violente, genocidi, guerre, nazioni che si sono
formate, popoli che si sono massacrati attraverso i secoli. Strutture dina-
stiche, azzardi, rivoluzioni economiche e politiche, l’emergere di nuove
classi sociali, con le loro ideologie che si sono autorappresentate ogni volta
come universali e finali. Sono nate qui nel secolo appena trascorso due
guerre mondiali, con i loro culmini di crudeltà e delirio, distruzioni immen-
se, stragi, Olocausto.
Come la Grecia antica con le sue mille isole emerse dal mare Egeo, cro-
giolo di popoli, di culture, di regni, anche l’Europa è stata ed è un crogiolo
di popoli venuti da ogni dove, di nazioni, di lingue, di culture e di piccoli e
grandi imperi. Io stesso, che vi sto parlando in questo momento – italiano
ma con un cognome che rimanda a origini spagnole e, prima ancora, semi-
tiche – porto impresso nel nome una storia di migrazioni, di persecuzioni,
di diaspore e di lotta per la libertà e per la vita.
Ora finalmente esiste l’embrione di questo continente politico antico e
nuovo, nato dal sogno profetico di alcuni europei che, all’interno stesso
della rovina dell’Europa degli anni Quaranta, a volte persino da una pri-
gione come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, hanno saputo vedere più in
là e immaginare, in mezzo al disastro, una fessura e un passaggio. “Quegli
anni in quell’isola” ricorda molti anni dopo Spinelli, riandando con la me-
moria all’isola di Ventotene dove è stato imprigionato durante il fascismo
“sono ancora presenti in me con la pienezza che hanno solo i momenti e i
luoghi nei quali si compie quella misteriosa cosa che i cristiani chiamano
l’elezione. Compresi che fino a quel momento ero stato simile a un feto in
formazione, in attesa di essere partorito, che in quegli anni, in quel luogo,
nacqui una seconda volta.”
Allora era di vitale importanza oltrepassare il gioco chiuso e suicida
delle ideologie e delle forze che ci avevano portato alla guerra e trovare un
superamento e una via di fuga in uno spazio e in un orizzonte continentale
più vasti. Adesso – come le singole nazioni d’Europa di allora – è l’Europa
intera che deve inventarsi e farsi vettore di una nuova via di fuga in un
orizzonte planetario e di specie più vasto.
22 Liberare l’Europa

Quale potrebbe essere, nel mondo interconnesso di oggi, il nuovo posto


dell’Europa? Cosa potrebbe dare l’Europa al resto del mondo? Quello che
potrebbe dare non è una riedizione sotto altre forme della sua antica arro-
ganza, di quando invadeva territori lontani col pretesto di portarvi la civiltà,
massacrando i suoi antichi abitanti e impossessandosi delle sue materie pri-
me e delle sue economie. Ma neppure la malinconica e disillusa saggezza da
sopravvissuti di un continente-cimitero ormai avviato su un binario morto.
Di fronte alle sfide di questa epoca – che può essere terminale oppure inizia-
le – c’è bisogno di un’Europa unita che possa diventare un continente spe-
rimentale ancora capace di invenzione e visione, dove si possa contribuire
a far nascere una nuova e diversa possibilità di vita su questo pianeta e una
nuova avventura in questo momento cruciale per la nostra specie.

La cruna dell’Europa

Siamo parte di un esperimento mai tentato prima. Un’aggregazione di-


namica avvenuta non per l’esplosione dei confini di uno stato e l’annessio-
ne di sempre nuovi popoli da parte di paesi militarmente più aggressivi e
forti, ma consensuale. Per questo può essere esemplare e irradiante anche
per il resto del mondo: popoli, genti, razze diverse che vivono al suo in-
terno, nazioni che si sono combattute nel corso del tempo sono adesso
avvinghiate tra di loro in una situazione del tutto nuova che può essere per
loro un ultimo abbraccio tra pugili suonati che non ce la fanno più nean-
che a pestarsi oppure un esordio. Mentre sempre nuove sfide, nuove prove
e minacce si affacciano e grandi imperi stanno nascendo e rinascendo in
Oriente e altri, forse, stanno declinando per la loro cecità e avidità, per
non avere imparato l’antica lezione della rana che voleva diventare grande
come il sole e che, a forza di mangiare, è scoppiata. A dispetto della sfi-
ducia, del disfattismo e del livore privo di visione che stanno prendendo
sempre più piede, è di vitale importanza che questo esperimento riesca. È
una partita nuova che l’Europa può giocare nel mondo e che il mondo può
giocare attraverso l’Europa.
Anche se, nel momento di allungare il passo, i fantasmi risorgono, la
pancia dell’Europa e del mondo è sempre pronta a ripartorire i suoi vecchi
mostri e a generarne di nuovi. La nostra responsabilità è molto grande.
L’Europa, in questo momento, è una cruna infinitamente sottile, un pas-
saggio che bisogna riuscire ad allargare. Non basta contrapporsi alle idee
pericolose che perennemente nascono al suo interno. Bisogna inventarne
di migliori e di nuove. L’Europa, che ha già sperimentato sulla sua pelle il
A. Moresco - Il continente boreale 23

fallimento delle vecchie strade, può essere proprio la pancia dove nascono
quelle non ancora tentate. Bisogna spostare l’asse dello sguardo per poter
vedere questo passaggio e questa cruna, qualcosa che dia una proiezione e
un senso a questa babele di lingue e popoli e identità. Bisogna spostare il
punto focale, allargare l’orizzonte, qui, tra questi gruppi umani aggrappati
alla zattera di questo continente che galleggia sulla massa fluida di un pic-
colo pianeta che si è formato più di 4 miliardi di anni fa nella pancia del
cosmo e di cui illustri scienziati prevedono il collasso di qui a un secolo, se
questa specie avida, folle e suicida non riuscirà a rimettere in discussione
se stessa e cambiare rotta.
Cosa succederà a quel punto, se le strutture ancora fragili dell’Europa
verranno investite dalla pressione migratoria e sociale di vaste masse uma-
ne atterrite e senza prospettive per le mutazioni economiche, climatiche e
ambientali e la crescente scarsità di risorse?
È venuto il momento che tutte queste identità e particolarità e ricchezze
riescano a superarsi in un’identità più grande, che non sia un livellamento e
una sottrazione ma, al contrario, una moltiplicazione. Da questo dipenderà
il futuro non solo dell’Europa ma del mondo. Non c’è più tempo da per-
dere. Devono nascere i primi embrioni di strutture continentali e mondiali
– non solo politiche e civili ma anche sentimentali, psichiche e di pensiero
– mai esistite prima, proporzionali a quanto sta veramente accadendo.

Gli amanti d’Europa

Un po’ di anni fa ho letto sul giornale una notizia che mi ha colpito: alle
porte di Mantova – la città dove sono nato – gli archeologi hanno trovato
due scheletri abbracciati che risalgono al Neolitico. Tutti e due girati sul
fianco, hanno le gambe raccolte, piegate al ginocchio e incuneate le une
nelle altre, si abbracciano il collo e le spalle, le loro teste sono accostate
come per un bacio. Sono tutti e due molto giovani, un ragazzo e una ragaz-
za – lo si deduce dalla dentatura perfetta – sepolti faccia a faccia e tenera-
mente avvinghiati in un abbraccio che dura da seimila anni. Un abbraccio
europeo che viene da molto prima del Medioevo, dell’Impero Romano e
di quello di Bisanzio, di Carlo Magno, dei coraggiosi popoli scandinavi,
dei vichinghi, dei normanni, degli slavi, dei celti, dei popoli dell’Islam, di-
rettamente dal tempo che abbiamo chiamato con arroganza: Preistoria. Le
donne e gli uomini d’Europa hanno cominciato a soffrire e a sognare molto
prima che si formassero gli imperi che abbiamo imparato a conoscere dai
libri di storia.
24 Liberare l’Europa

Chi saranno stati quei due? Quale sarà stata la causa di quella particolare
sepoltura: un atto d’amore oppure una morte violenta, un sacrificio umano,
o sono due giovani amanti sorpresi, i Paolo e Francesca della Preistoria?
Oppure sono i Romeo e Giulietta, i Tristano e Isotta, gli Evgenij Onegin e
Tatiana, i Maestro e Margherita…? Chi vogliamo che siano? La storia si è
allargata, è esplosa. Gli amanti di Mantova sono diventati gli amanti d’ Eu-
ropa. Noi tutti siamo nati da lì, da quell’abbraccio. Sta a noi dire chi sono
quei due, chi saremo tutti noi, fra non molto.

Il cammino dell’Europa

L’estate scorsa, dopo avere percorso altri lunghi cammini attraverso l’I-
talia che hanno riunito fino a un migliaio di camminatori, alcuni amici e io
siamo partiti a piedi proprio dal luogo dove sono conservati i resti di que-
sti due ragazzi preistorici abbracciati, e da qui, attraverso strade bianche,
sentieri, boschi, risaie, montagne, ghiacciai, costeggiando laghi e grandi
fiumi europei come il Po, il Rodano, il Reno, dormendo su nudi pavimenti
o su brandine di rifugi antiatomici, dopo un mese e una settimana e circa
1200 chilometri di cammino, siamo arrivati fino a Strasburgo, sede del
Parlamento Europeo, dove siamo stati ricevuti dal suo Presidente Martin
Schulz, a cui abbiamo consegnato una lettera aperta elaborata insieme du-
rante il cammino, per dire che la nuova Europa da mettere al mondo è
molto diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi, è un cammino ancora
da compiere e per il quale bisogna inventarsi nuovi modi e nuove forme di
pensiero e di vita.
In questa lettera abbiamo scritto tra l’altro: “Un nuovo totalitarismo di
tipo economico e finanziario sta restringendo ogni cosa a un’unica dimen-
sione, trasformando i cittadini europei in sudditi e pedine di un gioco che
non sono in grado di comprendere, gestito da una nuova casta di super-
esperti, i soli in grado di intenderlo e manovrarlo, riducendo ogni possibi-
lità di partecipazione civile e di trascendenza e l’esercizio democratico a
un rito di sola facciata, mentre le vere decisioni vengono prese altrove e i
veri giochi avvengono fuori da ogni possibilità di conoscenza e controllo”.
“Con questo nostro cammino abbiamo inteso compiere un gesto prefigu-
rativo, un gesto di non rassegnazione nel clima di frustrazione, cattiveria e
cinismo che si sta respirando in questi anni in Europa e dal quale è questio-
ne di vita e di morte sbarazzarsi. Anche l’Europa può essere un continente
prefigurativo che tende a un altrove”.
A. Moresco - Il continente boreale 25

E poi abbiamo scritto: “Lungo strade e sentieri abbiamo incontrato an-


che molti cippi e mazzi di fiori nei punti dove qualcuno era morto. In un
sentiero delle Alpi vicino ai ghiacciai – lo stesso percorso secoli fa da An-
nibale con i suoi elefanti e poi da Napoleone – una lapide bianca murata
in una roccia ci ha indicato il punto in cui sono morte assiderate durante
una tempesta di neve decine di zingari randagi con i loro bambini su quelle
montagne. E abbiamo anche incontrato un gran numero di animali morti:
topi, ricci, talpe, istrici, tassi, caprioli, uccelli piccoli e grandi, pesci, ser-
penti… Abbiamo assistito all’investimento di un gatto bianco e alla sua
breve e straziante agonia. Che ci ha ricordato che la vita è dentro la morte,
come la morte è dentro la vita. E che è così non solo per le nostre singole
esistenze ma anche per i popoli e per i continenti. E che è così anche per i
nostri sogni, le nostre illusioni e le nostre visioni”.
Ecco, è con questo sentimento che l’estate prossima concluderemo il
nostro nuovo cammino siciliano – dedicato alla migrazione e alla meta-
morfosi – con la fondazione di una repubblica nomade, nella speranza che
possa essere irradiante. Le parole che abbiamo individuato per definire non
solo la nostra piccola repubblica ma l’Europa che noi sogniamo sono: spe-
rimentale, prefigurativa, nomade, repubblicana, cavalleresca, visionaria,
stellare.

Il più grande cavaliere d’Europa

Sono stato invitato qui a parlare dell’Europa. E sono uno scrittore, uno
che si ostina a credere che l’immaginario non sia solo una dimensione se-
parata e aliena, autosufficiente e autoreferenziale, ma uno spazio non meno
reale dove a volte avvengono delle proiezioni di vite, di sogni, di culture,
di nazioni, di continenti, di popoli. So bene come è stata svilita la forza ele-
mentare e respiratoria e la potenzialità della parola scritta, in questa epoca.
Ma per me la letteratura non è quella piccola, misera cosa che è stata fatta
diventare da enormi macchine che si muovono in un orizzonte ristretto e
in una prospettiva di breve respiro, che devono livellare tutto, depotenziare
tutto, non incontrare attrito, niente che possa creare inquietudine, incon-
trollabilità, pensiero. Per me quella cosa che è stata chiamata (stupidamen-
te e insiemisticamente) Letteratura continua a essere o a poter essere anche
apparizione, invasione, invenzione, prefigurazione, esplosione, visione.
Gli scrittori degni di questo nome non sono dei servitori dello spirito del
tempo e delle logiche che si presentano di volta in volta come vincenti, non
sono degli intrattenitori, dei buffoni di corte buoni solo a svagarci un po’
26 Liberare l’Europa

nel breve tempo che ci divide dalla nostra morte o al massimo delle inno-
cue figure edificanti. Non lo sono mai stati, neppure nelle epoche in cui si
sono chiusi tutti gli spazi e la parola è stato l’unico territorio sotterraneo
non controllabile, irriducibile, alieno, l’unica atmosfera, l’unico passag-
gio, l’unica cruna, da cui sono poi passati in molti. Gli scrittori, gli artisti
sono dei distruttori e dei costruttori, degli esploratori, dei pensatori, degli
inquietatori, dei prefiguratori e dei sognatori. Perciò voglio finire questo
intervento sull’Europa parlando dei suoi scrittori, dei suoi artisti, dei suoi
pensatori, dei suoi scienziati e del popolo delle sue apparizioni e visioni.
Ecco, allora a questo punto io mi immagino che, nel cuore della notte,
quando nessuno le vede, tutte queste figure si incontrino per le strade di
una delle città di questo continente boreale che sta cercando di nascere e di
rinascere. Cominciano a spostarsi a branco. Sono tanti, un fiume di donne e
uomini che si sposta di notte. Riesco a riconoscere qualche figura qua e là:
il poeta cieco che ha guardato nel calderone genetico della vita in guerra e
ha cantato l’umanità senza pace e il coraggio senza speranza, un uomo in-
cappucciato e col naso adunco che, viaggiando nell’aldilà, ci ha mostrato il
mondo che abbiamo sotto gli occhi e dove stiamo tutti vivendo, il delicato e
barbarico Shakespeare, che ci ha raccontato la storia dei due giovani aman-
ti di Verona e d’Europa e il delirio e il sangue da cui nascono i regni, i nostri
pensatori e scienziati, Copernico, Galilei, Newton, Darwin… che ci hanno
insegnato l’indomabilità e la pazienza, il sognatore in pensiero Spinoza,
che ci ha insegnato il sereno coraggio delle persone miti e ardenti, Leopardi
e Hölderlin, con la loro disperazione e la loro sete, che ci hanno mostrato il
passaggio genetico e spirituale nella cruna e nella prefigurazione del canto,
le donne orgogliose, estremistiche e dolci che erompono dalle pagine de-
gli scrittori della Russia con i suoi grandi disastri, i suoi grandi sogni e la
sua grande letteratura, le delicate e feroci scrittrici d’Europa come Emily
Brontë, Virginia Woolf… il malinconico Mefistofele, tentatore ed educato-
re, il ragazzo Julien Sorel, con la sua giovinezza tradita nella tenaglia dei
desideri e del mondo, il goffo, ardito e commovente Balzac, che ci ha fatto
vedere come nascono e come esplodono le società e i mondi… C’è anche
una figura filiforme, snodata, che però cammina con fierezza al passo con
le altre. È il burattino Pinocchio, che ci ha insegnato la difficile arte di cui
abbiamo maledettamente bisogno in questo momento: la metamorfosi. A
poca distanza da lui c’è un insetto bionico di nome Gregor Samsa, con
un’antica mela conficcata sul dorso. E c’è anche Raskolnikov, con la sua
solitudine e la sua scure, ci sono le meteore di Büchner e di Rimbaud, che
ci hanno insegnato l’intransigenza, la passione, la ribellione, la delicatezza
e il disprezzo. E poi Eloisa e Käthchen von Heilbronn, che ci hanno inse-
A. Moresco - Il continente boreale 27

gnato la veggenza amorosa, e poi Puškin, che ci ha insegnato l’eleganza di


fronte alla morte, Dostoevskij, che ci ha insegnato il tormento… E ci sono
anche le figure in movimento della Ronda di notte di Rembrandt, tutte in
fila, spavalde, miracolose, evocate, con al centro la nostra piccola bambina
vestita di bianco e la sua gallina, su cui si concentra tutta la luce del mon-
do, il corpo nudo di David con la misteriosa Gioconda, che cammina con i
capelli sciolti e mossi dal vento a fianco del suo coraggioso sposo di mar-
mo… C’è un enorme silenzio, solo una musica vaga nell’aria. Che musica
è? Da dove viene? È quella scaturita dagli inventori del regno psichico del-
la musica, da quelli che hanno strappato alla struttura intima della materia
vibrante nell’atmosfera una diversa possibilità e configurazione sonora del
cosmo. E poi tanti altri… Come si fa a nominarli tutti!
Ci siamo anche noi nella schiera. Alla nostra testa, sul suo cavallo magro
e dinoccolato, c’è sempre lui, Don Chisciotte, il più grande cavaliere d’Eu-
ropa, il nostro comandante, il nostro leader.
Gianni Vacchelli
DANTE E LA “SELVA OSCURA”
DELL’EUROPA E DEL NOSTRO TEMPO
Sette immagini di trasformazione rivoluzionaria

Qual è l’eredità dantesca oggi, per tutti noi, specie se europei? Cos’ha da
dirci ancora Dante? Quale la sua “attualità inattuale”? E ancora: ha senso
rivolgerci (anche) a lui, per uscire dalla “selva oscura” di crisi, di asfissia,
di riduzionismo dell’umano nella quale siamo prigionieri?
Evidentemente crediamo di sì, anche se non si tratta tanto di ritornare a
Dante, quanto di farsi da lui fecondare, di ripartire da lui, dalle sue geniali
e ardite armonizzazioni.
Naturalmente non possiamo mai dimenticarci che l’Europa e l’Italia di
Dante in alcun modo possono essere lette con le categorie geopolitiche
dell’oggi. Sarebbe un ingenuo anacronismo. Si tratta piuttosto di farsi in-
terpellare dal senso simbolico, dal valore sapienziale, esistenziale che pro-
mana dall’avventura dantesca e in particolare dalla Commedia. Ma anche
dalla sua istanza profetica e critica.
L’attualità dantesca non è solo per l’Europa, né solo per l’oggi: come
ogni opera-mondo, la Commedia vive in quello che, con il critico russo
Bachtin, potremmo chiamare il “tempo grande”, che senza mai negare le
ragioni della storia non può essere solo ad esse ridotto. Ma per vedere l’in-
tensità al calor bianco della trasformazione rivoluzionaria di Dante (quasi
un ossimoro per tenere insieme il “granello di senape” interiore e l’istanza
esteriore di prassi e liberazione), occorre anche essere coscienti del guado
nel quale siamo. La schiavitù dalla quale esodicamente liberarsi o nella
quale passivamente perdersi. Naturalmente il passaggio che stiamo viven-
do non è solo europeo, ma di un’epoca, di una visione del mondo, di uno
stato di coscienza. Ci troviamo probabilmente in una cultura terminale, che
va radicalmente ripensata e trasformata. Dall’altra il nostro punto di vista
qui è legato anche alla peculiare situazione dell’Europa1. Necessari quindi
lo “zoom” e la contestualizzazione nell’oggi.

1 Si tratta naturalmente del tema stesso della giornata di studio e dialogo sull’Europa.
30 Liberare l’Europa

L’eclisse del sogno europeo

Ebbene il grande sogno di un’Europa unita, comunitaria appare ogni


giorno più lontano, per non dire oscuro, contraddittorio, di fatto perver-
tito. La Comunità Europa si è trasformata in Unione Europea: le parole
in questo caso non tradiscono: dire comunità è sul serio troppo, stanti gli
assetti oligarchici, di fatto dittatoriali, che ci sfiniscono. L’Europa unita lo
è soprattutto all’insegna di un economicismo ormai assolutizzato. Econo-
micismo da intendersi come pervertimento dell’economia, come cremati-
stica2, come pura espressione di accumulo del Capitale. A fortiori l’idea
di Europa che ne deriva non può che essere violentemente miniaturizzata:
il dominio dell’economicismo mette non solo a bando il politico, ma an-
che il simbolico, lo spirituale, l’umano stesso, in una deriva che non può
non essere esiziale. Come ci ricorda Simone Weil, «l’Europa soffre di una
malattia che è dentro di lei. Ha bisogno di guarigione». Altrove la filosofa
parlerà di «sradicamento».
Per affrontare questa violenta crisi, che ricordiamo non è solo europea,
ma di civiltà, abbiamo bisogno, come ci ricorda anche il filosofo e teologo
indocatalano Raimon Panikkar, di due movimenti, apparentemente oppo-
sti, ma dall’altra complementari:
a) da una parte dobbiamo ritornare creativamente e criticamente alle ra-
dici della nostra civiltà europeo-occidentale, per scoprire come queste radi-
ci siano plurime, complesse, di straordinaria ricchezza. Si tratta di entrare,
per così dire, nell’interiorità della propria cultura, anche per riscoprirla ad
un altro livello di profondità e per non accontentarsi dell’attuale assetto
monoculturale, che sterilizza le tradizioni europee stesse. Il ritorno è anche
critico, fecondato da un’euristica ermeneutica del sospetto, che smaschera
l’ideologia, i rapporti di oppressione, e che tiene conto del punto di vista
dell’oppresso, della vittima, del “piagato”3;

2 Per la fondamentale distinzione tra economica (nomos dell’oikos) e crematistica,


cfr. Aristotele, Politica, 1256a-1259a; v. anche, K. Polanyi, La grande trasfor-
mazione. Le origini politiche ed economiche della nostra epoca, Einaudi, Torino
2010, pp. 70ss.
3 Si ricordi il magnifico passo dantesco, dove il Poeta rievoca la sua condizione
esistenziale di piagato, che però è anche un punto di vista “filosofico-teologico”
e “politico-economico” sulla realtà: «Peregrino, quasi mendicando, sono andato,
mostrando contra mia voglia la piaga de la fortuna, che suole ingiustamente al
piagato molte volte essere imputata» (Cv I, III, 4). Colpisce come nello stesso
capitolo Dante parli, autobiograficamente, della «pena […] di povertade»; e della
«dolorosa povertade» (Cv I, III, 3.5). Come insegnano in modi diversi e simili
la Bibbia, Marx, la teologia e la filosofia della liberazione, il pauper è un locus
G. Vacchelli - Dante e la “selva oscura”dell’Europa e del nostro tempo 31

b) l’incontro con il pluralismo radicale delle altre culture, delle altre


tradizioni, delle altre religioni. Ogni monocromatismo (culturale, religioso
etc.) è semplicemente un assurdo. Ridurre la realtà ad un solo principio-
colore è un delitto. Nessuna cultura ha il monopolio della soluzione dei
problemi dell’oggi. Fosse anche la nostra, europea, la più illustre, non ba-
sta. È necessario un dialogo creativo (e critico). Una mutua fecondazione.
Ciascuno ha bisogno dell’altro come di se stesso.
Qui ci soffermiamo soprattutto sul primo movimento, di rivisitazione
critica del pluralismo culturale interno, delle ricche radici europee, lascian-
do sullo sfondo l’altro.

Le radici plurime dell’Europa: per un risveglio

Dicevamo radici plurali dell’Europa (ma si potrebbe dire: di ogni cul-


tura, che è sempre un’intercultura, un crocevia di tradizioni, incontri,
scontri, influenze) e pluralità di “Europe”. E in effetti l’Europa occi-
dentale non è quella orientale. L’Europa del Sud non è quella del Nord.
L’Europa è il Mediterraneo, ma non lo esaurisce tutto. Se poi ci sof-
fermiamo sull’Europa occidentale, che è anche quella che più riguar-
da Dante, ecco, certo, le radici greche e latine, come anche cristiane e
ebraiche. Ma oggi siamo chiamati a vedere la realtà intimamente plurale
delle radici europee: l’Europa è stata anche influenzata dall’“elemento”
germanico, come da quello arabo, bizantino ed irlandese. Se conside-
riamo l’Europa tutta dovremmo anche citare, naturalmente, l’elemento
slavo. Ancora la Weil rimpiange l’inabissarsi violento della cultura pro-
venzale, dell’apporto cataro. Accenniamo solo che molte di queste radici
sono presenti in Dante e da lui, più o meno evidentemente, onorate. Ci
torneremo brevemente dopo.
Questo non significa che tutte le “tessere” del mosaico europeo abbia-
no la stessa importanza, ma la ricchezza storica, culturale e spirituale che
l’Europa custodisce in sé è inestimabile e ancora da valorizzare. L’Europa
non può risolvere tutti i problemi odierni, certo. Nessuna cultura ha il mo-
nopolio della soluzione della crisi oggi, neppure una così venerabile e ricca
quale quella del nostro continente.

teologico-politico-economico cruciale e trasformativo, per denunciare l’iniquità


di un sistema, ma di più: per annunciare la vita; cfr. in tal senso le densissime
riflessioni di I. Ellacuria, Conversione della Chiesa al Regno di Dio, Queriniana,
Brescia 1992, pp. 115-182, etc.
32 Liberare l’Europa

Eppure l’Europa è chiamata al risveglio. A riscoprire la vastità del suo


sapere e del suo essere, a raccogliere in modo maturo i frammenti, anche
eterogenei, che la compongono.
Ma l’Europa non sembra realmente uscita ancora dalle drammatiche
vicissitudini del XX sec. Due guerre mondiali devastanti, due totalitarismi
sanguinari e le due spaventose esplosioni atomiche connesse diventano
l’emblema del fallimento di una certa politica e cultura europea. Il ridi-
mensionamento storico e politico trascina l’Europa ad essere subalterna e
“spartita”: USA e URSS e poi solo USA (con l’ombra del colosso cinese
sempre più lunga e avvolgente). Il risultato resta lo stesso. Un’Europa
non ancora veramente nata, ancora insicura e prigioniera dei fantasmi del
passato o dell’american way of style. Un’Europa economicistica e sempre
più finanziarizzata, nelle mani del Moloch del Capitale4.
Ma è proprio la ricchezza straordinaria dell’esperienza storico-culturale-
spirituale del bacino mediterraneo, che non s’identifica con l’Europa, ma
che pure ne è un’espressione, a dare speranza.
La riscoperta della radici non è un atto di conservatorismo. La riscoperta
che auspichiamo è esistenziale e vitale. Se è vero che le radici non danno
fiori e frutti, questi non nascono certo senza radici. Ed ecco ancora Dante.

La trasformazione rivoluzionaria dantesca: sette immagini

Abbiamo già accennato alla trasformazione rivoluzionaria intensis-


sima dell’opera e dell’avventura dantesche. Forse però abbiamo monu-
mentalizzato Dante, lo abbiamo, pur se nobilmente, museificato e non ne
vediamo più le continue audacie. Potremmo parlare della “rivoluzione
del volgare”, del mettere al centro il femminile, che è in primis Beatrice,
un femminile umano, ma anche interiore e divino. Qui però vogliamo
sottolineare altri tratti trasformativo-rivoluzionari del Poeta, delineando-
ne così un’attualità simbolica, trascendentale (e quindi valida sempre),
ma pure, se ricevuta criticamente, storica. Ecco un settenario dantesco

4 Cfr. le lucidissime disanime marxiane: «La total cosificación, inversión y el


absurdo [es] el capital como capital [...], que rinde interés compuesto, y aparece
como un Moloch reclamando el mundo entero como víctima ofrecida en sacrificio
(Opfer) en sus altares» (K. Marx, Manuscritos del 61-63, cuaderno XV, folio 893
[Teorías del plusvalor, FCE, México, t. III, 1980, p. 406; MEGA, 11, 3, p. 1460]).
Cito il testo di Marx a partire da E. Dussel, Las metafóras teológicas de Marx,
Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1993, pp. 21-22 e n. 39.
G. Vacchelli - Dante e la “selva oscura”dell’Europa e del nostro tempo 33

consegnato idealmente alla nostra Europa, come a ogni uomo nella sua
interiorità più segreta, che lo collega alla compagnia degli uomini tutti:

1. Dalla selva oscura alla candida rosa. Il primato dell’uomo interiore:


la mistica

Il viaggio dantesco è un viaggio dentro le profondità di se stessi, e della


realtà tutta. Come il lek leka biblico (“vai verso di te”), il gnothi seauton
delfico, il recede in te ipsum senecano e agostiniano, nulla o quasi si com-
prende della Commedia se non la leggiamo in questa ottica simbolica ed
interiore. I regni oltremondani sono meno realtà escatologiche che stati di
coscienza, come si ricorda anche nella Epistola a Cangrande (poco impor-
ta qui se sia dantesca o meno). Il cammino di Dante va dalla selva oscura,
al giardino edenico del Purgatorio fino alla «candida rosa» (Pd XXXI,1)
paradisiaca: vale a dire dentro un mistero che ci intride, senza ridursi a noi,
qualunque sia il suo nome. Non si tratta solo di un viaggio psicologico o psi-
coanalitico. L’uomo è triplice: corpo psiche e spirito. La mistica custodisce
e onora questa triade, senza mai rinnegare la ragione (Virgilio), ma anche
trascendendola (Beatrice, s. Bernardo). È questo l’«intelletto d’amore» che
tiene insieme conoscenza e amore. Il cammino passa attraverso morti e re-
surrezioni: l’ego non è il vero Io! Dante ci parla tanto della divinizzazione
dell’umano quanto dell’umanizzazione del divino: la sua mistica è cristica
(non solo: cristiana!), quindi aperta a tutti. Il «mi ritrovai» (If I,2), nel senso
del ritrovamento di sé/del Sé, già dice il primato dell’uomo interiore, della
perla più preziosa, del granello di senape, dell’invisibile che mi abita, della
naturale reale… Nel mezzo del cammin di nostra vita non significa solo “a
35 anni”, ma anche nel centro della nostra vita. In quel centro profondo che
è la dimensione interiore e contemplativa della vita… La Commedia è un
risveglio a sé, al Sé, alla realtà tutta, alla Vita, che non muore.

2. La categoria della liberazione e del compimento: dalla miseria alla


felicità

In questo senso una categoria centrale della Commedia che Dante ci


consegna è la liberazione. Ogni autentico cammino libera5. Dove c’è verità
c’è libertà e liberazione, e viceversa. Nell’Epistola a Cangrande il fine

5 Cfr. ad es. Pg I, 71-72: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita
rifiuta»; e soprattutto tutta la struttura esodica del Purgatorio (cfr. Pg I, 116ss.; II,
46ss.); e della Commedia in generale (v. anche infra).
34 Liberare l’Europa

della Commedia è così descritto: removere viventes in hac vita de statu mi-
serie et perducere eos ad statum felicitatis «rimuovere (liberare) i viventi
in questa vita dallo stato di infelicità e condurli alla felicità». La liberazione
dantesca è per il compimento, per la felicità, per la pienezza dell’uomo.
Se questa antropologia è reale (e lo crediamo), come possiamo acconten-
tarci, ad esempio, di un’epoca che tutto mercifica e, nella fattispecie, di
un’Europa alienata, schiava dello spread-feticcio o dei parametri di trattati
che come minino andrebbero ridiscussi, radicalmente e democraticamente?
Non possiamo accettare un’Europa malata in se stessa, sussunta dal capi-
tale e da un’economia assolutizzata e disembedded6, oltre che scissa dalle
sue radici. La liberazione dantesca è tanto un ritrovamento di sé quanto una
radicale messa in discussione di un mondo che non corrisponde alla nostra
natura reale.

3. La liberazione è spirituale e politica: la catabasi, la lupa e il veltro

Fin dal I canto dell’Inferno Dante genialmente ci descrive un’artico-


lazione tra interiorità e politica, tra mistica e prassi, che resta uno dei
lasciti più centrali della sua poesia. Virgilio spiega al Dante-personaggio,
smarrito e stretto a tenaglia tra un ritorno rovinoso nella selva e le tre
fiere che ne ostacolano il cammino verso il colle, che dovrà tenere «al-
tro viaggio» (v. 91), interiore appunto, che comporta prima una discesa
agli inferi, per poi risalire al secondo regno e infine al paradiso. Ancora
il dinamismo di liberazione interiore: non risale chi prima non discen-
de in profondità verso la propria natura reale. Ma tale viaggio non è in
alcun modo intimismo: l’ultima parte del canto denuncia violentemente
le ingiustizie della lupa, dell’avidità che tutto accumula e vuole per sé,
e parla di una speranza di liberazione (il veltro, poco importa con chi lo
si voglia identificare). Non si dimentichi che la selva stessa è luogo del-
le profondità oscure, ribollente, da coscientizzare, ma anche situazione
storica del Dante-umanità, che richiede luce, apertura, liberazione. In-
somma: la liberazione di Dante è tanto interiore quanto esteriore, storica,
quanto meta-storica. Tiene insieme le coordinate della mistica con quelle
della giustizia, senza mai alienarsi però solo nel sociale e nel collettivo.
Le invettive contro un’economia che già è violenta7 non significano che

6 Cfr. K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini politiche ed economiche del-


la nostra epoca, cit., p. 61 (dove si spiega la fondamentale nozione di «economia
embedded [immersa]» nella società, e non da essa perversamente disarticolata).
7 «La gente nuova e i sùbiti guadagni / orgoglio e dismisura han generata, / Fioren-
za, in te, sì che tu già ten piagni» [If XVI 72-75].
G. Vacchelli - Dante e la “selva oscura”dell’Europa e del nostro tempo 35

Dante prevedesse l’abisso economicistico nel quale siamo precipitati8.


Eppure la minaccia della lupa, quanto mai cupida e devastatrice, «sanza
pace» (If I,58) nella sua brama illimite, profeticamente e simbolicamente
non può non farci pensare oggi al capitalismo neoliberista che ci op-
prime. Ancora una volta non si tratta di far dire a Dante tutto e di più,
anche se il Poeta ha una sua precisa filosofia della storia, che si potrebbe
riassumere, almeno nel suo significato esteriore, in queste tappe: a) pec-
cato originale, come caduta degli uomini e inizio del corso storico; b)
incarnazione e redenzione, che permisero agli uomini di risollevarsi; c)
seconda caduta, intrastorica, dovuta alla decadenza della Chiesa, corrotta
dal potere temporale; alla crisi dell’autorità imperiale e all’avvento di
una società mercantile, che tutto riduce ad avidità e denaro; d) attesa di
un riscatto escatologico (cfr. Pd XXX, 130-132)9. In qualunque caso non
c’è dubbio che le sue pagine, lette nel nostro tempo, anche l’inferno eco-
nomicistico denuncino. Il testo dantesco continua a parlarci hic et nunc,
ed è vivo10. Uno dei simboli del viaggio dantesco è l’Esodo (cfr. Pg II,
46), ancora una volta cammino mistico e politico, paradigma, per Walzer,
di ogni trasformazione rivoluzionaria11. Il punto di vista della vittima è
coscientemente presente, come si evince ad esempio dalla potentissima
invettiva contro Pisa, colpevole, con le sue brame oscene di potere, dello

8 “L’analisi” dantesca tiene insieme spirituale e politico, mistico, filosofico, eco-


nomico e sociale, ma questo non significa naturalmente che Dante sia dotato di
un metodo materialista di studio dell’economia, dei modi di produzione etc., che
si avrà solo con Marx. Vale la pena di sapere, per altro, che si dà un dantismo
(naturalmente anti-capitale) di Marx, poco conosciuto (cfr. D.M. Pegorari, Marx e
Gramsci o della solitudine dell’eresiarca, in Il codice Dante. Cruces della ‘Com-
media’ e intertestualità novecentesche, Stiolo Editrice, 2012 Modugno [BA], pp.
67-83. Secondo Pegorari, Marx ha una «conoscenza approfondita e non meramen-
te scolastica della Commedia», e in italiano (ivi, p. 73).
9 Su questo tema, fondamentali pagine in E. Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli,
Milano 1995, pp. 111-122, giustamente riprese anche per il loro valore “filosofico-
politico-economico” da C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia,
Petite Plaisance, Pistoia 2013, p. 166.
10 Affascinante vedere in questo senso come gli afro-americani schiavi nel Nuovo
Mondo lessero Dante come testo di liberazione a partire dai primi dell’800: cfr. D.
Looney, Freedom Readers: The African American Reception of Dante Alighieri
and Divine Comedy, University of Notre Dame Press, Notre Dame 2011. Anche
Peter Weiss rilegge Dante tra l’altro a partire dalla dialettica di oppressi/oppresso-
ri: cfr. P. Weiss, Inferni. Auschwitz Dante Laocoonte, Cronopio Edizioni, Napoli
2007.
11 M. Walzer, Esodo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1986.
36 Liberare l’Europa

strazio degli innocenti figli di Ugolino12. Così dinamismo sapienziale e


profetico-apocalittico convivono in Dante. Ancora al centro l’archetipo
cristico, alla fine aperto a tutti gli uomini e capace di articolare il mistico
e il politico, la Trasfigurazione e la cacciata dei mercati dal Tempio, la
liberazione interiore ed esteriore13. Dante è sempre in atto.

4. Pensare, poetare e vivere per triadi: i tre cerchi14, i tre mondi

La genialità dantesca declina in modo radicale l’intuizione trinitaria, che


è sì cristiana, ma presente, in modi diversi e simili, forse in ogni tradizio-
ne dell’umanità. Si tratta di un pensare e vivere per triadi, che innerva il
poema, fin dalla sua struttura. Dante vuole dirci che qualunque riduzione
monista o dualista è pericolosa: la realtà non è riconducibile ad un solo
principio o al conflitto tra due. Essa piuttosto è relazione, è una tri-unità,
a partire dalla relazione radicale che unisce il divino (o, in generale, il
mistero) con il cosmico e l’umano. La Commedia è già cosmoteandrica,
per dirla con Panikkar. Il divino-il mistero potrà pure essere in cima alla
gerarchia ma di fatto si presenta sempre costitutivamente legato all’umano
e al materiale. Trinitariamente parlando, è rovinoso pensare che solo l’e-
conomia detti le regole. Spiritualità politica ed economia (riportata al suo
ruolo etimologico di buon “governo della casa” e non di crematistica) sono
radicalmente collegate. Senza lo spirituale e il politico non può che esserci
tragedia! Il pensare trinitario di Dante non è un astrattismo teologico, ma
una lettura in profondità della realtà. Come possiamo pensare di tenere di-
sgiunte la dimensione di mistero quella umana e quella cosmica (che oggi
è anche minacciata di ecocidio)?

12 Cfr. «Ahi Pisa, vituperio de le genti / del bel paese là dove ‘l sì suona, / poi che
i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe
ad Arno in su la foce, / sì ch’elli annieghi in te ogne persona! / Che se ’l conte
Ugolino aveva voce / d’aver tradita te de le castella, / non dovei tu i figliuoi porre
a tal croce. / Innocenti facea l’età novella, /novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
/ e li altri due che ’l canto suso appella» (If XXXIII,79-90).
13 Cfr. Mt 17, 1ss.; Mc 9, 2ss.; Lc 9, 28ss. e la cacciata dei mercanti dal tempio (Gv 2,
13-16). La Trasfigurazione è al centro della teologia mistica dantesca (cfr. ad es. Ep
XIII, xxviii, 81; Pd XXV, 30ss., Mon III, ix, 11 etc.). Dante cita la cacciata in Pd
XVIII, 121-123: «sì ch’un’altra fiata omai s’adiri / del comperare e vender dentro
al templo / che si murò di segni e di martìri». Vi allude anche in Pd XXII, 77.
14 Cfr. «Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre
colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea reflesso, e ‘l
terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri» (Pd XXXIII, 115-120).
G. Vacchelli - Dante e la “selva oscura”dell’Europa e del nostro tempo 37

5. Il simbolo dell’Impero come fattore di armonia e pace universale: la


croce e l’aquila

Ma vorremo soffermarci anche sul simbolo dell’impero in Dante, per


rileggerne una sua attualità che spesso non vediamo più. Non si tratta di de-
scrivere Dante in modo caricaturale come un inguaribile reazionario, scon-
fitto dalla storia (come se poi la storia avesse sempre ragione e non andasse
continuamente riscritta e ripensata). Neppure dobbiamo accettare tutto del-
la ricostruzione di Dante (ad esempio la riabilitazione “totale” del dominio
romano, che appare per altro funzionale ad un discorso più ampio)15, ma
sceverarne il portato più nobile. Il simbolo dell’Impero richiama in Dan-
te essenzialmente altro: si tratta di un’entità sovranazionale (mai in alcun
modo un imperialismo, un Reich!), una diarchia che onori tanto il potere
politico quanto quello spirituale. La relazione è ancora una volta trinitaria:
impero politico e istanza spirituale sono adualisticamente uniti, senza con-
fusione e senza separazione. Solo così può venirne la «pace universale»,
come Dante dice nel Convivio (IV, v, 8). Per altro la diarchia dantesca non
sopprime al suo interno lingue e soggettività diverse: l’Italia rimane ad
esempio il «giardin de lo ’mperio». (Pg VI, 105). Così come Dante poteva
dirsi insieme florentinus et ytalus16. Questo sogno dantesco medievale è
un’immagine di un’Europa unita sovranazionalmente, che però contiene
ed onora le sue singolarità. È universalistica (anche perché teoricamente
più grande dell’Europa, non riducibile ad essa) ed insieme concreta, par-
ticolare. Non è fondata sul mito del mercato, o solo su una moneta unica
(che forse è dir lo stesso), ma su un principio spirituale e uno politico, ben
distinti ma anche collaboranti. Che Dante chiami questi due simboli papato
e imperatore, la croce e l’aquila, è legato naturalmente allo spirito del suo
tempo. I simboli cambiano e vanno reinventati e rivissuti.

6. Pluralismi danteschi ed Europa dello Spirito: il nobile castello e le


ghirlande

Siamo troppo abituati ad un Dante monolitico, graniticamente medieva-


le. Dante però è tanto medievale quanto più grande del suo tempo. È affa-
scinante osservare dunque come l’Europa dantesca, che, sia chiaro, è anche
un’Europa dello Spirito, trascendentale e non solo una visione storica, è un

15 O forse un certo esclusivismo cristiano che probabilmente rimane anche nella


mente universale e straordinariamente aperta del Poeta.
16 Cfr. ad es. Ep V, 1.
38 Liberare l’Europa

arazzo, ordito di fili e colori diversi17. Potremmo dire che molte radici eu-
ropee vi sono onorate. Certo non tutte in modo uguale, e con limiti legati al
proprio tempo: ma l’Europa dantesca non è senza Virgilio e la cultura classi-
ca, greco-latina; non è senza il frammento germanico e l’influenza bizantina
(Dante fu ravennate negli ultimi suoi anni); non è senza le teologie cristiane
(che per Dante sono plurali, diverse tra loro: per questo il Poeta arriva a
tenere insieme ad es. istanze della Grande Chiesa con il frammento cataro),
ma onora, pur se in modi complessi e più nascosti, l’escatologia islamica, un
certo ebraismo mistico (possibili influenze dalla qabbalah sul poema sacro),
etc. In Dante si dà un complesso pluralismo inter-intraculturale, certo non
privo di tensioni, condizionamenti e contraddizioni, ma reale.
L’Europa di Dante è fatta di poesia, di arte e bellezza, di politica, di
teologia, di filosofia, di interiorità e concretezza, come pure gli spiriti
magni che abitano il «nobile castello» del limbo o le ghirlande dei beati ben
ci ricordano (cfr. If IV, 106ss.; Pg XXII, 97ss.; Pd X, 97ss.; XII, 127ss.).
Anche la scienza del tempo non è mai trascurata.
Del resto Dante tiene sempre unite, mirabilmente, storia e meta-storia.
I riferimenti concreti alle vicende del tempo convivono, anzi sono assunti
da uno sguardo che li integra e trasfigura. Il criterio di realtà dantesco non
è solo storico, ma sub specie tempiternitatis. Per questo sono figurazione
simboliche geniali e luminose come l’aquila paradisiaca (Pd XVIII) o la
candida rosa a consegnarci armonie che vanno sì incarnate nella storia,
ma che mai sono puramente immaginarie, quanto piuttosto immaginali,
archetipiche e già sussistenti: così a questo livello la storia è anche trascesa,
il pagano è beato come il cristiano, l’ebreo o come «l’uom [che] nasce a
la riva de l’Indo» (Par XIX, 70-71). E anche l’Europa dello Spirito è già.

7. Gli amanti volanti tra amore, conoscenza e critica

Ma forse l’immagine dell’immagini non l’abbiamo ancora detta. Anche


su questa dobbiamo riallargare l’Europa, rivederla, riconfigurarla. L’im-
magine dell’immagini è quella di Dante che vola nelle atmosfere, nei cieli,
tra le stelle, con Beatrice, amanti chagalliani, tra sguardi ardenti, sfavillii
di fiamma di amore, tra eros e agape. Il trasumanare è la relazione. Come
abbiamo immiserito questo amore con le nostre proiezioni, come l’abbia-
mo edulcorato, angelicato, platonizzato senza l’ardore platonico. Forse tut-

17 Cfr. ad es. la magnifica immagine del Convivio: «Quelle Atene celestiali, dove li
Stoici e Peripatetici e Epicurii, per la l[uc]e de la veritade etterna, in uno volere
concordevolmente concorrono» (III, xiv, 15).
G. Vacchelli - Dante e la “selva oscura”dell’Europa e del nostro tempo 39

to parte da qui, da questo straordinario amore umano (e divino-cosmico).


Come è stato scritto, forse la democrazia comincia a due.

Eccoli allora, Beatrice e Dante, gli amanti d’Europa, come quelli della
preistoria18. Dobbiamo ancora comprendere l’amore di Dante che voleva
essere intimo interiore fisico agapico erotico razionale appassionato spiri-
tuale e politico. La liliale Beatrice è forte come un ammiraglio, è teologa,
politologa, profetessa, e dolcissima amante, intelletto d’amore.
Dante è «l’amico mio / non de la ventura» (If II, 61), ci ricorda Beatrice.
E quando finalmente lui la rivede, è travolgente fenomenologia d’amore:

Men che dramma


di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni dell’antica fiamma” (Pg XXX, )

Insieme, in due, è la missione poetica, spirituale, civile e politica. E


Beatrice insignisce Dante:

Però, in pro del mondo che mal vive,


al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive (Pg XXXII, 103-105).

Insieme, nel loro viaggio volante paradisiaco, tutto assumono nell’amore,


come nella critica lucida e appassionata. Solo da quel luogo si può vedere:

L’aiuola che ci fa tanto feroci,


volgendom’ io con li etterni Gemelli,
tutta m’apparve da’ colli a le foci (Pd XXII, 151-153).

Volando sono gli unici terreni, sognando sono gli unici realisti e svegli,
innamorati sono gli unici veramente critici, perdendosi si ritrovano. Cono-
scendo amano e amando conoscono. Allora tutto può essere riconfigurato:
la preistoria, la storia e ciò che ci aspetta, la nuova configurazione che
abbiamo davanti…

Se alcune immagini dantesche ci abbagliano, forse altre sue concretiz-


zazioni possono non soddisfarci, e non sembrarci più all’altezza dei tempi.
Eppure lo spirito del Poeta ci precede. Dobbiamo ancora diventare contem-
poranei di Dante.

18 Antonio Moresco li ricorda spesso, anche qui alle pp. 24-25.


Diego Fusaro
RIPENSARE L’EUROPA.
A PARTIRE DA EDMUND HUSSERL

Dobbiamo accettare il ‘tramonto dell’Occidente’ come se si


trattasse di una fatalità, di un destino che ci sovrasta? Sarebbe
un destino fatale soltanto se lo accettassimo passivamente.
E. Husserl, L’idea di Europa.

1. Premessa

Scopo del presente saggio è svolgere alcune considerazioni intorno


all’essenza dell’odierna Europa. Senza alcuna pretesa di esaustività, si
soffermerà l’attenzione sul tema dell’Unione Europea, nel tentativo di di-
stinguere tra i tre piani – troppo spesso confusi o, non di rado, artatamente
sovrapposti – dell’ideale, del reale e dell’ideologico.
In estrema sintesi, l’odierna Unione Europea viene surrettiziamente pre-
sentata come se, nella sua attuale configurazione, corrispondesse in actu
alle premesse e alle promesse del nobile ideale europeo quale era venuto
prendendo forma, sia pure secondo modalità differenti, nelle elaborazioni
concettuali di alcuni dei protagonisti della stagione filosofica moderna (da
Immanuel Kant a Edmund Husserl): in questo modo, il reale viene scam-
biato indebitamente con l’ideale, in una totale rimozione del fatto che, tra
i due, nell’odierno presente si dà uno scarto abissale; uno scarto in forza
del quale si può senza esagerazioni sostenere che l’attuale Unione Europea
si pone come antitesi del grande ideale dell’Europa, in particolare nella
sua formulazione husserliana (sulla quale si concentrerà, sia pure solo per
rapidi cenni, il presente saggio).
Accade, così, che – complice la grande narrazione delle politiche
neoliberali, che hanno forgiato a propria immagine e somiglianza l’Unione
Europea nella fase schiusasi con la data esiziale del 1989 – l’Europa
quale realmente è viene continuamente occultata tramite il nobile ideale
dell’Europa federale dei popoli e delle culture: in quest’opera di mediazione
tra il reale e l’ideale svolge un ruolo decisivo l’ideologia europea, ossia
quel dispositivo narrativo che, oggi trionfante su tutto il giro d’orizzonte,
42 Liberare l’Europa

celebra le virtù del reale occultandone le contraddizioni e, sinergicamente,


propagandandolo come naturale-eterno, secondo il tipico modus operandi
delle ideologie così come le aveva smascherate Karl Marx.
Il presente saggio, pertanto, prenderà le mosse da un’esplorazione, sia
pure impressionistica, dell’ideale husserliano di Europa, per poi analizzare
l’essenza reale dell’odierna Europa e, di lì, sottoporre a critica l’odierna
ideologia europea che ipostatizza nella forma di un destino ineluttabile l’o-
dierna Europa dell’euro e della finanza, dello spread e del precariato.

2. Husserl e l’idea di Europa

Come è noto, L’idea di Europa è una raccolta di cinque saggi orbitanti


intorno alla Grundfrage del telos europeo scritti da Edmund Husserl nell’in-
verno a cavaliere tra il 1922 e il 1923. I saggi furono originariamente pubbli-
cati, nell’inverno tra il 1923 e il 1924, sulle pagine della rivista giapponese
“Kaizo”1. Nei cinque saggi, certo eterogenei per temi affrontati, aleggia uno
spirito che non sarebbe fuorviante definire fichtiano: alla Strebungsphiloso-
phie di Fichte rimanda, infatti, l’orientamento generale husserliano, il cuore
progettuale che batte al centro di questi scritti2.
Come Fichte, anche il padre della fenomenologia muove alla ricerca di
un sapere pratico che, alla stregua della Wissenschaftslehre, possa porsi
come fondamento di una reazione pratica alla crisi dilagante nel continente
europeo appena uscito dal primo conflitto mondiale, in modo da permettere
all’Europa unitariamente considerata di riprendere la propria marcia verso
l’emancipazione e l’avanzamento3.
Che la tensione fichtiana in nome dell’emancipazione della razza umana,
mediata dalla prassi e dalla cultura (vuoi anche nella forma della “missione
del dotto”), fosse particolarmente cara a Husserl, a tal punto da diventa-
re il fondamento stesso dell’impostazione dei cinque saggi sull’Europa,
è oltretutto provato non solo dal fatto che, nella successiva Krisis, il pa-
dre della fenomenologia qualificherà gli intellettuali, con stigma fichtiano,
come Funktionäre der Menschheit. Accanto a questo motivo, ve ne è un
altro, che è bene richiamare, sia pure rapidamente, al fine di adombrare

1 Cfr. R. Cristin, La rinascita dell’Europa: Husserl, la civiltà europea e il destino


dell’Occidente, Donzelli, Roma 2001.
2 Cfr. M. Signore, E. Husserl: la crisi delle scienze europee e la responsabilità
storica dell’Europa, Angeli, Milano 1985.
3 Cfr. D. Bianchi, L’idea di Europa nell’analisi fenomenologica di Edmund Hus-
serl, Pontificia Università Lateranense, Roma 2007.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 43

l’incidenza davvero decisiva dello spirito pratico-emancipativo di Fichte


sulla codificazione husserliana dell’ideale di un’Europa in tensione ver-
so il compimento mai definitivo del proprio telos: all’“ideale fichtiano di
umanità” (Fichtes Menscheitsideal) Husserl aveva dedicato le lezioni pro-
nunciate tra l’8 e il 17 novembre del 19174. Dal punto di vista husserlia-
no, l’aspetto più sorprendente della declinazione di Fichte – “riformatore
etico-religioso, educatore dell’umanità, profeta, veggente”5 – del ruolo
dell’uomo e dell’intellettuale consiste nella “nuova forma che egli diede
agli ideali di un’umanità autentica a partire dalle sorgenti più profonde
della sua filosofia”6, ossia in quella coerenza con i princìpi della Wissen-
schaftslehre che rappresenta uno dei tratti portanti dell’iter biografico e
intellettuale del pensatore di Rammenau.
Il trait d’union tra i saggi husserliani ospitati nella rivista “Kaizo” deve
essere individuato nell’appassionata ricerca di una scienza pratica – nel
senso fichtiano –, in grado dunque di offrire “il fondamento della propria
giustificazione razionale”7 alla fede nel possibile rinnovamento dello spirito
europeo attualmente declinante e, insieme, di costituire un cominciamento
che crei discontinuità rispetto al presente. Tale cominciamento, nella forma
di una presa incondizionata di distanza rispetto all’Europa presente e alla
decadenza che la attraversa in ogni sua fibra, deve a sua volta fondarsi su
una scienza che sappia mostrare come il perseguimento dell’autentico telos
europeo costituisca una reale possibilità per il vecchio continente e, di più,
appartenga “in maniera essenzialmente necessaria allo sviluppo di un uomo
e di un’umanità verso la vera humanitas”8.
L’Europa sta, dunque, ad avviso di Husserl, attraversando negli anni
Venti il suo momento massimamente critico: la crisi si manifesta, secondo
l’etimo greco, non solo nella “scissione” – secondo il primo e più imme-
diato significato dell’espressione greca chrisis – che sta lacerando il conti-
nente europeo anzitutto nella dimensione spirituale; essa si palesa anche, e

4 Si tratta delle lezioni tenute da Husserl presso la Facoltà di Scienze politiche


dell’Università di Friburgo al cospetto di un pubblico di soldati all’indomani della
Rivoluzione russa, e successivamente riprese l’anno seguente per gli Studenti del-
la Facoltà di Filosofia. Cfr. E. Husserl, Fichte e l’ideale di umanità: tre lezioni, a
cura di F. Rocci, ETS, Pisa 2006. Cfr. J.G. Hart, Husserl and Fichte. With Special
Regard to Husserl’s Lectures on “Fichte’s Ideal of Humanity”, in “Husserl Stu-
dies”, n. 12 (1995), pp. 135-163.
5 E. Husserl, Fichte e l’ideale di umanità: tre lezioni, cit., p. 51.
6 Id., L’idea di Europa: cinque saggi sul rinnovamento, a cura di C. Sinigaglia,
Cortina, Milano 1999, p. 50.
7 Ivi, p. 5.
8 Ivi, p. 14.
44 Liberare l’Europa

in modo non secondario, nella necessità che per l’Europa si pone di “sce-
gliere” – tra i significati decisivi del lemma chrisis figura anche la “scelta
valutativa” – se far tornare a vivere il proprio autentico telos o permanere
stabilmente nell’inautenticità in cui è precipitata.
In altri termini, agli occhi di Husserl, la chrisis si manifesta come scis-
sione letale che impone agli Europei la capacità di scegliere con fermezza
– sono parole della Krisis – “se quel telos che è innato nell’umanità euro-
pea dalla nascita della filosofia greca, e che consiste nella volontà di essere
un’umanità fondata sulla propria ragione filosofica”9, se cioè continuare il
processo avviatosi in terra greca di realizzazione delle potenzialità umane
o se, invece, con movimento opposto, assecondare lo spirito funesto del
tempo e abbandonare tale progetto, permanendo illimitatamente nella bar-
barie di cui il primo conflitto mondiale rappresenta – peraltro solo provvi-
soriamente – l’apice10.
Se si esplorano non superficialmente le pagine dei saggi raccolti su
“Kaizo”, emerge limpidamente come essi siano animati dalla volontà di
superare la scissione in cui versa l’Europa degli anni Venti, sospesa tra con-
flitti e barbarie spirituale, reimmettendola sul cammino che, idealmente,
sorge in terra greca, con lo sviluppo del concetto filosofico, di modo che il
vecchio continente torni a farsi promotore della scienza e dell’emancipa-
zione universale, portando così a compimento quel telos che è connaturato
alla sua essenza11.
Se è vero che, con le splendide parole della Krisis, nell’umanità greca si è
“rivelata quell’entelechia propria dell’umanità come tale”12, ne segue more
geometrico che la rinascita dello spirito europeo non potrà che avvenire nel
recupero di quell’entelechia di cui gli Europei si sono temporaneamente
obliati e che è, ad avviso di Husserl, compito della fenomenologia come
scienza rigorosa fare tornare a rivivere. La Grecia, infatti, scopre per prima
l’autonomia della ragione e, insieme, il suo essere al servizio dello sviluppo

9 Id., Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phäno-
menologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, 1936 (1950);
tr. it. a cura di W. Biemel, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia tra-
scendentale: introduzione alla filosofia fenomenologica, Il Saggiatore, Milano
1983, pp. 44-45.
10 Cfr. P. Bucci, La crisi delle scienze europee di Husserl, Carocci, Roma 2013.
11 G. Ferrara, La verità dell’Europa e l’idea di comunità: la lezione di Husserl,
Filema, Napoli 1998.
12 E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale: in-
troduzione alla filosofia fenomenologica, cit., pp. 44-45.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 45

dell’umanità fine a se stessa, ossia ciò che può con diritto essere assunto
come il telos della missione del genere umano:

La libera filosofia e la scienza come funzione dell’autonoma ragione teore-


tica nascono dalla nazione greca e determinano nel movimento progressivo lo
sviluppo di uno spirito generale di libera vita culturale fondato sull’autonoma
ragione che si estende vittoriosamente oltre i confini di questa nazione e crea
l’unità di una cultura ellenica, e con ciò lo specifico carattere europeo13.

In questa ricerca, densa di pathos, di una idealità a cui ricollegarsi, in


vista della rinascita dell’Europa e del suo spirito, si percepisce nitidamen-
te la già richiamata incidenza della scienza pratica fichtiana, ossia di una
Strebungsphilosophie che, assumendo un telos ideale come orientamento
per il pensiero e per l’azione, risvegli gli spiriti dal torpore in cui sono
sprofondati, inducendoli a lottare in vista della loro liberazione. Così scrive
Husserl, con tono vibrante:

Una nazione, un’umanità, vive e opera nella pienezza delle forze soltanto
se sorretta nel suo slancio da una fede in se stessa e nella bellezza e bontà
della vita della propria cultura; se, dunque, non si limita a vivere, ma aspira a
qualcosa che considera grande, e trova appagamento solo quando riesce pro-
gressivamente a realizzare valori genuini e sempre più elevati. Essere degno
di appartenere a un’umanità simile, cooperare a una tale cultura, contribuire ai
suoi valori edificanti, rappresenta la felicità di ogni uomo operoso e lo solleva
dalle preoccupazioni e dalle sventure individuali14.

La scoperta greca del concetto pone, infatti, in essere le condizioni per


l’attuazione del telos dell’umanità, ossia – come già si è detto – il suo
sviluppo fine a se stesso. In ciò, è lecito scorgere, nella particolarità gre-
ca, la tematizzazione dell’universale (la “cultura fondata sulla ragione
autonoma”)15, ossia di quel compito generale del genere umano che fa sì
che la cultura specifica dei Greci sia, in pari tempo, portatrice di una visio-
ne universalistica16.
Tale visione, naturalmente, non si impone manu militari alle altre civil-
tà, ma semplicemente è cosiffatta da tracciare anche per esse – ad avviso di
Husserl – l’ideale: rientra, infatti, nell’ideale dell’umanità fine a se stessa

13 Id., L’idea di Europa: cinque saggi sul rinnovamento, cit., p. 81.


14 Ivi, p. 3.
15 Ivi, p. 113
16 Cfr. P. Marino, Le radici del tempo: saggio sull’umanità europea nel pensiero di
Edmund Husserl, ETS, Pisa 2011.
46 Liberare l’Europa

anche l’esistenza di culture e di tradizioni altre, chiamate gradualmente ad


assumere anch’esse, tramite il concetto filosofico, la prospettiva in forza
della quale l’umanità è sempre un fine e mai un mezzo. Con le parole di
Husserl:

Sono i Greci ad avere innestato nella cultura europea, in conseguenza del-


la creazione della filosofia nel suo senso pregnante (platonico), un’idea-forma
universale di nuovo genere, per mezzo della quale essa ha assunto il carattere
formale generale di una cultura razionale fondata sulla razionalità scientifica o
di una cultura filosofica17.

Ora, la scoperta greca della cultura potenzialmente universalistica fon-


data sul concetto filosofico e tesa a emancipare il genere umano può con di-
ritto essere assunta come il segreto orientamento teleologico dell’Europa,
ciò che fa sì che quest’ultima si costituisca come un processo inesauribile,
vuoi anche come un movimento – ritmato dallo sforzo e dalla costanza
propria di un inizio sempre ricominciato – teso a produrre asintoticamente
un’emancipazione mai definitiva dell’umanità e un progresso sempre ri-
preso del sapere e della scienza: “la cultura fondata sulla libera ragione e, al
massimo grado, sulla libera scienza che aspira all’universale, rappresenta
l’idea teleologica assoluta, l’assoluta ed efficace entelechia, che definisce
l’idea della cultura europea come un’unità di sviluppo e, se la valutazione
è corretta, la definisce razionalmente”18.
L’Europa, dunque, esiste anzitutto, per il padre della fenomenologia,
come processo, come ideale mai definitivamente compiuto e, di conse-
guenza, come inesauribile sforzo verso il progresso e l’emancipazione, in
vista di un’umanità finalmente libera e fine a se stessa. In ciò è possibile
cogliere non solo il quid proprium dell’Europa, ma anche – sono parole
di Husserl – la sua posizione relativamente più elevata tra le altre culture
storiche, chiamate esse stesse a ereditare questa vocazione universalistica
e, insieme, rispettosa delle alterità:

Non soltanto attribuiamo alla cultura europea, di cui abbiamo descritto il


tipo di sviluppo, proprio per il fatto di averlo realizzato, la posizione relati-
vamente più elevata tra tutte le culture storiche, ma la consideriamo la prima
realizzazione di una norma assoluta di sviluppo, destinata a rivoluzionare ogni
altra cultura in fieri19.

17 E. Husserl, L’idea di Europa: cinque saggi sul rinnovamento, cit., p. 99.


18 Ivi, p. 121.
19 Ivi, p. 87.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 47

L’umanità esiste sempre come singolare-collettivo, ossia come unità del


genere umano che si dà concretamente nella pluralità delle culture e delle
lingue. Lo scopo dell’umanità è di realizzare se stessa, acquisendo coscien-
za di sé come soggetto della propria vicenda storica e assumendo il proprio
libero sviluppo fine a se stesso come telos irrinunciabile della propria av-
ventura nell’arena della storicità20.

3. L’odierna Europa, negazione dell’ideale husserliano

In riferimento al tempo della crisi che attraversa la prima metà del ‘900,
dopo il primo conflitto mondiale e la decadenza spirituale che l’ha contrad-
distinto, Husserl adombra senza esitazioni l’allontanamento dell’Europa
dal proprio telos originario:

L’umanità europea si è allontanata dal telos che le è innato. È caduta in


una colpevole degenerazione poiché, pur essendo già divenuta consapevole di
questo telos (avendo mangiato dell’albero della conoscenza), non lo ha portato
alla più piena coscienza né ha insistito nel tentativo di realizzarlo come proprio
senso vitale pratico, ma gli è diventata infedele21.

Seguendo le orme di Husserl, si potrebbe con diritto sostenere che


mai come oggi l’Europa si è allontanata dal suo telos. L’odierno “creti-
nismo economico”, come lo definiva Gramsci22, e la dilagante “spirale
tecnocratica”, come l’ha recentemente qualificata Jürgen Habermas23. La
razionalità filosofica e scientifica in cerca dell’emancipazione universale
del genere umano hanno ceduto il passo all’incubo di un’Europa unita
esclusivamente sulle basi della Banca Centrale Europea e della conse-
guente eurocrazia.
Entro i confini dell’odierna Europa si realizza, tramite la violenza si-
lenziosa dell’economia, l’oppressione dei popoli che nel Novecento era
ottenuta mediante il dispiegamento di carri armati e drappelli militari, im-
ponendo agli Stati svuotati di sovranità le quarantott’ore di tempo, come

20 Cfr. P. Polizzi, Husserl e la crisi dell’uomo europeo. Die philosophie in der Krisis
der Europaeischen Menschheit, Ila-Palma, Palermo 1990.
21 E. Husserl, L’idea di Europa: cinque saggi sul rinnovamento, cit., p. 136.
22 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di
V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, VII, § 13, p. 864.
23 Cfr. J. Habermas, Im Sog der Technokratie, 2013; tr. it. a cura di L. Ceppa, Nella
spirale tecnocratica, Laterza, Roma-Bari 2014.
48 Liberare l’Europa

nei classici ultimatum politici, per adottare adeguate misure di crescita24. Il


gesto più rivoluzionario che si possa compiere è abbandonare questa follia
organizzata e tornare nei confini dello Stato nazionale sovrano, per perse-
guire, a partire da esso, il progetto husserliano della realizzazione del telos
europeo oggi pervertito.
L’euro come moneta unica europea è esso stesso il fondamento del “ca-
pitalismo assoluto”25 e, dunque, un momento decisivo della lotta di classe
che l’integralismo dell’economia sta vincendo senza resistenza. Moneta
privata sovranazionale, l’euro ha contribuito alla dissoluzione dell’egemo-
nia politica sull’economia e ha favorito la presa del potere da parte degli
economisti, “specialisti senza intelligenza” (Max Weber) e meri agenti del
fanatismo finanziario della fase speculativa26. Prova ne è, ad esempio, il
fatto che i poteri forti della giunta eurocratica hanno spodestato il gover-
no Berlusconi e, con un vero e proprio golpe finanziario, hanno imposto
governi privi di legittimazione democratica, euroservi e filoatlantisti, fun-
zionali al dominio economico dell’Unione Europea (Mario Monti, Enrico
Letta, Matteo Renzi).
Tramite il colpo di Stato eurocratico, si è instaurato – con la sintassi
gramsciana – un vero e proprio “cesarismo finanziario”, in forza del quale
si sono trasferiti i poteri dei governi democratici a istanze prive di rap-
presentatività, non soggette ad alcun controllo da parte del popolo. Si è
instaurata la sovranità assoluta dei mercati finanziari e, complice la spirale
tecnocratica27, si è prodotta un’autentica deriva oligarchica della democra-
zia. Per questo, oggi, la lotta contro il capitale deve essere, anzitutto, lotta
contro l’Europa della finanza e della moneta unica, del precariato e del
regime neoliberale28.
Il costituirsi dell’odierna Unione Europea corrisponde a un momento
ulteriore della dialettica di sviluppo del capitalismo absolutus così come
abbiamo provato a delinearla nel nostro studio Minima mercatalia. Filo-
sofia e capitalismo. Dopo essersi liberato prima della cultura borghese e

24 Cfr. A. Bagnai, Il tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica
salverebbe democrazia e benessere in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia 2012;
A.M. Rinaldi, Europa Kaputt: (s)venduti all’euro, Piscopo, Roma 2013.
25 Ci permettiamo di rinviare al nostro Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo,
Bompiani, Milano 2012, con saggio introduttivo di A. Tagliapietra.
26 Cfr. M. Della Luna, Cimit[e]uro. Uscirne e risorgere. Signoraggio, golpe banca-
rio, debito infinito: come ripartire dopo il collasso finale dell’economia, Arianna,
Bologna 2012.
27 Si veda J. Habermas, Nella spirale tecnocratica, cit., pp. 22 ss.
28 Cfr. M. Benini, La guerra dell’Europa, Nexus, Battaglia Terme 2012.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 49

della coscienza infelice (Sessantotto), poi della potenza katechontica co-


munista (1989), il capitale doveva affrancarsi dall’ultimo limite, ossia dalla
forza statale e dal potere politico ancora in grado di limitare l’economico.
Questo obiettivo è stato raggiunto tramite l’Unione Europea, tempio vuoto
che occulta il volto del finanzcapitalismo e della dittatura dell’economia
spoliticizzata29.
In quanto compimento del capitalismo assoluto, l’Unione Europea se-
gna la provvisoria vittoria del neoliberismo e dei dominanti nella lotta di
classe, come peraltro limpidamente emerge da quelle che, con diritto, pos-
sono essere considerate le sue tre principali tendenze economico-politiche:
a) l’abbassamento del debito tramite drastiche privatizzazioni e continui
tagli alla spesa pubblica; b) la lotta in nome della competitività esterna, in
senso globalista e mercatista, con annesso abbassamento dei costi del lavo-
ro e dei salari per poter reggere il confronto con le altre realtà e con i Paesi
emergenti; c) l’incessante ricorso a “manovre”, “aggiustamenti struttura-
li” e “riforme”, praticate sulla carne viva della popolazione agonizzante e
sempre a vantaggio del finanzcapitalismo.
L’esodo dall’attuale Europa, ossia dall’eurocrazia che unifica solo a
livello monetario il continente europeo30, rendendo possibile tramite la
moneta unica le forme di oppressione e di dominio che erano state sven-
tate nel 1945, deve allora costituire il primo passo da compiere per il
ristabilimento della sovranità nazionale come base per la garanzia dell’e-
sistenza della communitas oggi dissolta dalle sacre leggi della finanza e
di un debito la cui funzione sta nell’asservire i popoli al potere illimitato
dell’economico31.
Frutto di una scelta indipendente dalla volontà sovrana del popolo,
l’ingresso nell’Unione Europea non è stato democratico: può però esserlo
l’esodo. D’altro canto, anche il più nobile tra i progetti politici non può
creare ex nihilo una nazione o dichiararla inesistente, né imporsi senza il
consenso del suo popolo. Senza che ciò contrasti con l’unità del genere
umano, le nazioni e i popoli esistono: non possono essere a piacimento
clonati dall’alto in forza delle decisioni economiche delle banche o delle
giunte militari di tipo economico che, dietro gli invisibili reticoli dei campi
di concentramento finanziari dell’Unione Europea, hanno iniziato a com-

29 Cfr. F. Nicolaci, Tempio vuoto. Crisi e disintegrazione dell’Europa, Mimesis, Mi-


lano 2013.
30 Si veda R. De Mattei, L’euro contro l’Europa. Vent’anni dopo il Trattato di Maa-
stricht (1992-2012), Solfanelli, Chieti 2012.
31 Cfr. M. Benini, Liberarsi dalla dittatura europea, SI, Milano 2013.
50 Liberare l’Europa

missariare gli Stati non più sovrani32. I popoli e le nazioni sono il frutto
della storia, della tradizione culturale e linguistica, con buona pace delle
oligarchie finanziarie e dei loro intellettuali al guinzaglio; i quali aspirano
oggi a negarne l’esistenza, con il segreto obiettivo di distruggere, con essi,
ogni residua resistenza al flusso internazionale, spoliticizzato e deregola-
mentato del mercato33.
La realtà del regno eurocratico non solo non corrisponde all’irenica im-
magine diffusa dal clero giornalistico e all’irrealtà mostrata sugli schermi
televisivi dal circo mediatico: ne è il rovesciamento. Di qui la situazione
kafkiana per cui, al cospetto delle privatizzazioni sempre più selvagge, del
taglio della spesa pubblica, dei sacrifici sempre più spietati imposti alle
classi dominate e, ancora, dell’irresistibile flessibilizzazione dei lavoratori,
delle masse e dei giovani, i partiti euroservi al servizio delle caste finan-
ziarie continuano a ripetere compulsivamente il mantra “ci vuole più Eu-
ropa!”, proprio quando questa Europa è la causa principale delle tragedie
nell’etico poc’anzi menzionate. Le stesse “necessarie riforme” presentate
come via necessaria per una futura e concreta possibilità di rinascita delle
economie non sono che manovre neoliberiste imposte autoritariamente agli
Stati in fase di disgregazione da parte del grande capitale finanziario.
Anche la pratica dell’enumerazione delle fonti culturali dell’identità eu-
ropea (cristiana, illuministica, greca, romana, ecc.) è solo la vernice che
occulta e legittima il processo – condotto e reso possibile tramite la moneta
unica – di smantellamento dei diritti sociali, di abbassamento vertiginoso
dei salari, di precarizzazione del lavoro, di produzione sempre più mas-
siccia di disoccupazione e di indebitamento degli Stati volto a giustificare
una governance dall’alto. Per ironia della storia, il progetto della decrescita
felice di Latouche cede il passo alla “decrescita infelice” – dei diritti e
dell’occupazione, del benessere sociale e della stabilità – imposta dal regi-
me eurocratico tramite i sacri dogmi dell’austerity e della spending review.
La funzione della moneta unica privata e sovranazionale non è servire i po-
poli, ma asservirli34, rinsaldando il potere dell’apolide oligarchia finanziaria
e del grande capitale europeo, cifra macabra di un’Europa finanziaria in cui
i popoli e le nazioni non contano più nulla né come soggetto politico, né
come soggetto sociale.

32 Cfr. G. Palma, La dittatura dell’Europa e dell’euro. Viaggio breve nel tessuto


dell’eurocrazia, GDS, Roma 2014.
33 Si veda C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontolo-
gico-sociale della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia 2013, pp. 241 ss.
344 Si veda L. Castellina, Eurollywood. Il difficile ingresso della cultura nella costru-
zione dell’Unione Europea, ETS, Pisa 2008.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 51

Vera e propria “rivoluzione passiva” in senso gramsciano, il progetto eu-


rocratico si rivela organico alla dinamica post-1989 a) di destrutturazione
degli Stati nazionali come centri politici autonomi, b) di spoliticizzazione
integrale dell’economia e c) di imposizione forzata ai popoli delle riforme
neoliberali. Dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007),
la creazione del regime eurocratico ha provveduto a esautorare l’egemonia
del politico, aprendo la strada all’irresistibile ciclo delle privatizzazioni e
dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione forzata del lavoro e della
riduzione sempre più netta dei diritti sociali. Si è trattato di un vero e pro-
prio colpo di stato finanziario, in forza del quale – tramite l’imposizione di
una moneta unica che non ha tenuto conto delle diverse economie nazionali
– la finanza transnazionale ha preso a dettare indisturbatamente le regole,
imponendo agli Stati non più sovrani di aderire supinamente35.
Per questa via, il continente europeo sta sempre più assumendo le sem-
bianze concentrazionarie di un lager economico, in cui – complici le poli-
tiche depressive dell’austerità e della delocalizzazione forzata – si consu-
mano sempre nuove tragedie nell’etico e veri e propri genocidi finanziari
come quello greco. I popoli sono soggiogati in nome del debito, i lavoratori
– così nel Trattato di Lisbona – non hanno più il diritto di scioperare se le
aziende vengono delocalizzate e – sempre secondo il Trattato del 2007 – si
è rimosso il diritto di veto al parlamento italiano in molteplici ambiti. Va-
riando l’incipit del frammento di Hegel sulla Costituzione della Germania,
l’Italia oggi non è più uno Stato.
Se si dessero possibilità concrete per riformare l’Europa in corso d’o-
pera, sarebbe opportuno adoperarsi per tradurle in atto. E, tuttavia, tali
possibilità non vi sono. Infatti, le oligarchie crematistiche che governano
l’Unione Europea hanno assunto come progetto di riferimento non certo
il sogno di Erasmo o di Spinelli, né il foedus pacificum kantiano, bensì il
processo di americanizzazione integrale, che di quel nobile sogno è il per-
vertimento. Storicamente, l’Europa esiste come arcipelago di differenze36, e
dunque in quella ricchezza irriducibile delle tradizioni, delle lingue e delle
culture in virtù della quale gli Italiani e i Francesi, i Tedeschi e gli Spagno-
li, i Portoghesi e i Greci sono europei senza dover rinunciare alle proprie
specificità. È l’esatto contrario della tendenza oggi imperante nell’Unio-
ne Europea, nella sua aspirazione all’annichilimento di ogni differenza e
nell’imposizione dell’unico modello del cittadino apolide e precario, an-

35 Su questo tema, ci permettiamo di rinviare al nostro Il futuro è nostro. Filosofia


dell’azione, Bompiani, Milano 2014.
36 Si veda M. Cacciari, L’arcipelago, Adelphi, Milano 1997.
52 Liberare l’Europa

glofono e senza cultura, incapace di parlare una lingua che non sia quel-
la dell’economia. L’ideale di un’Europa di Stati nazionali democratizzati,
liberi e uguali, in cui siano rispettate le culture e le tradizioni nazionali, le
comunità etniche e religiose, è reso impossibile dalla finanziarizzazione
del vecchio continente, dall’imposizione della sola cultura anglofona del
mercato e dalla sottomissione dei popoli sovrani alla giunta militare di tipo
economico propria della dittatura finanziaria37.
Il sogno kantiano cede il passo all’incubo eurocratico, alla follia – perse-
guita con metodo – dell’imposizione coattiva di quelle politiche neoliberali
che debbono di necessità essere mediate dalla neutralizzazione della resi-
dua forza del politico. Il processo di americanizzazione dell’Europa è con-
dotto nelle tre direzioni a) dell’imposizione del modello anglosassone del
mercato all’insegna della privatizzazione senza limiti, b) della subalternità
geopolitica alla monarchia universale e c) della omologazione culturale
all’impero, quale si registra nell’imposizione onnipervasiva dell’inglese
operazionale dei mercati, nell’american way of life, nell’abbandono delle
culture nazionali e di ogni forma in grado di prospettare modelli alternativi
alla desertificazione simbolica in atto. In nome del teologumeno “ce lo
chiede l’Europa”, ogni diritto sociale è destinato a essere soppresso a favo-
re della liberalizzazione selvaggia promossa dal pensiero unico neoliberale
e dall’egemonia finanziaria38.
Se non si organizza una reazione, la “carica del rinoceronte”39 neolibera-
le, recentemente abbattutasi sulla Grecia, è destinata a travolgere tutti gli
Stati europei. L’adattamento coatto al paradigma americano del capitalismo
globalizzato neoliberale strenuamente difeso dall’insieme delle classi diri-
genti europee (senza alcuna differenza tra centro, destra e sinistra) risulta
strutturalmente incompatibile con il mantenimento di un secolo di con-
quiste del movimento operaio organizzato e con i diritti sociali propri del
modello europeo di capitalismo sociale. Il presente modello dell’eurolager
ha il solo obiettivo di distruggere del tutto lo jus publicum europaeum,
azzerare la sovranità politica e sostituire il capitalismo europeo con quello
americano, nella forma di un’americanizzazione integrale dell’Europa. Lo
si evince, oltretutto, dalle sempre nuove ondate di liberalizzazioni e priva-
tizzazioni, di erosione dei diritti sociali e di distruzione di ogni garanzia

37 Cfr. B. Brown, Euro Crash: the Exit Route from Monetary Failure in Europe,
Palgrave Macmillan, Basingstoke 2012.
38 Si veda, ad esempio, L. Canfora, È l’Europa che ce lo chiede! (falso!), Laterza,
Roma-Bari 2012.
39 C. Preve e L. Tedeschi, Lineamenti per una nuova filosofia della storia. La passio-
ne dell’anticapitalismo, Il Prato, Padova 2013, pp. 77-92.
D. Fusaro - Ripensare l’Europa. A partire da Edmund Husserl 53

dell’esistenza40. Coerente compimento della dinamica del capitale, l’euro


non è una moneta, ma un preciso metodo di governo in cui la politica è
integralmente sussunta sotto l’economico e le tragedie nell’etico possono
proliferare senza l’impedimento di “lacci e lacciuoli” statali. Prova ne è, ol-
tretutto, l’incompatibilità, sempre più lampante, tra l’euro e il welfare state.
Al di là delle retoriche per anime belle, la moneta unica europea è servita
a cancellare in una volta cent’anni di conquiste sociali e di diritti ottenuti
tramite lotte e rivendicazioni. Di più, ha posto in essere una vera e propria
“schiavitù del debito” artatamente gestita dall’Unione Europea e dal suo
“Patto di Bilancio Europeo”, il Fiscal Compact entrato in vigore nel 2013
e centrato sui sacri dogmi del pareggio di bilancio e dell’abbattimento del
debito. Per queste ragioni, il problema che oggi si pone non è come salvare
l’euro, bensì come salvarsi dall’euro. E la sola via, ancora una volta, consi-
ste nel ritorno alla sovranità monetaria di uno Stato nazionale compatibile
con il welfare state e tale da anteporre la comunità democratica sovrana
all’ordo eoconomicus. Di qui occorre oggi prendere le mosse per tornare a
perseguire il sogno husserliano della realizzazione del telos europeo.

40 Cfr. S. Lash e J. Urry, The End of Organized Capitalism, Polity Press, Cambridge
1987.
CURATORI E RELATORI

I relatori

Diego Fusaro, filosofo. Ricercatore presso l’Università Vita-Salute San


Raffaele, è attento studioso, tra gli altri, del pensiero di Hegel, di Marx, di
cui si considera allievo indipendente. Importanti le sue idee sul capitali-
smo, che viene decostruito filosoficamente. Le sue ultime fortunate pubbli-
cazioni sono: Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario,
Bompiani (2009); Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della
vita, Bompiani (2010); Coraggio, Raffaello Cortina (2012); Minima mer-
catalia. Filosofia e capitalismo, Bompiani (2012); Il futuro è nostro. Filo-
sofia dell’azione, Bompiani 2014; Antonio Gramsci. La passione di essere
nel moderno, Feltrinelli, 2015.

Antonio Moresco, scrittore “insurrezionale” italiano, tra i maggiori.


Dopo un lungo e sofferto apprendistato letterario, che lo porta alla pubbli-
cazione solo nel 1993 di Clandestinità per Bollati Boringhieri, Moresco
scrive alcuni importanti e discussi romanzi, dove, tra l’altro, è chiara la
ricerca di uscire da una visione terminale e miniaturizzata della letteratura.
Si ricordano: la trilogia L’increato, di cui fanno parte Gli esordi, pubblicato
da Feltrinelli nel 1998 e riedito da Mondadori nel 2011 e Canti del caos,
che ha avuto una gestazione complessa (pubblicata la prima parte nel 2001
per Feltrinelli e la seconda per Rizzoli nel 2003, nel 2009 è stato pubbli-
cato nella sua interezza da Mondadori); Zio Demostene, Effigie (2005);
Gli incendiati, Mondadori (2010); La lucina, Mondadori (2013). Con Le
favole della Maria (2007) ha vinto il Premio Andersen 2008 per la sezione
“Miglior libro 6/9 anni”. Nel 2015 è uscito il romanzo Gli Increati, terzo
capitolo della trilogia L’increato.

Antonietta Potente, teologa della liberazione, insegna teologia morale


all’Università di Cochabamba. A partire dal 1994 ha vissuto in Bolivia,
insieme a una famiglia aymara. È impegnata in prima linea nel dialogo
56 Liberare l’Europa

interreligioso-interculturale, per i diritti delle donne, per l’equilibrio eco-


nomico e per l’ambiente. Attiva nel processo di liberazione del popolo bo-
liviano, partecipa con il suo pensiero e il suo impegno, al cambiamento
socio-politico attualmente in atto in Bolivia. Alcuni dei suoi libri più re-
centi: Qualcuno continua a gridare. Per una mistica politica, La meridiana
(2008); Il sottile filo che sostiene il mondo, Romena (2008); Un bene fragi-
le. Riflessioni sull’etica, Mondadori (2011).

I curatori

Patrizia Gioia, poetessa e designer: La sua creatività nel campo della


comunicazione è diventata parte dell’immaginario collettivo, la sua poesia
è esperienza di relazione, con una particolare attenzione al pensiero sim-
bolico nell’esperienza mistico religiosa al crocevia tra occidente e oriente.
Co-direttrice artistica di PoesiaPresente, ha sperimentato azioni di poetry
terapy negli ospedali. Il suo ultimo libro di poesia, Tita, su una gamba
sola , è spunto di incontro con i bambini, nelle scuole e nelle biblioteche.
Membro della Fondazione svizzera Arbor, che ha avuto Raimon Panikkar
come primo Presidente, ne cura la parte culturale, affinché il dialogo inter/
intra religioso e culturale possa divenire stile di vita, organizzando gior-
nate di lavoro e di studio, serate di poesia e spettacoli teatrali, momenti di
riflessione con studiosi di fama mondiale, portatori di un pensiero critico e
trasformativo. È autrice di articoli e libri. Nel 2000 fonda SpazioStudio13,
luogo di incontro e di confronto esperienziale.

Gianni Vacchelli, narratore, saggista e docente (PhD). È membro e


co-fondatore della Comunità di Ricerca “Colligite Fragmenta”, ispirata a
Raimon Panikkar, e attiva presso l’Università di Bergamo. I suoi princi-
pali oggetti di studio: la letteratura (classica, italiana, europea e nordame-
ricana), la Bibbia, Dante, il pensiero di Panikkar, la mistica occidentale e
orientale, letti con un’ermeneutica attenta all’interculturalità e alla dimen-
sione simbolico-interiore. Tiene conferenze, seminari, laboratori, gruppi di
“lettura dialogale” e corsi in Italia e all’estero. Collabora con varie testate
online. Organizza convegni, presentazioni e eventi culturali, per ri-artico-
lare discipline e saperi spesso troppo distanti tra loro (letteratura e mistica,
economia, politica e spiritualità etc.). I suoi ultimi libri: Dagli abissi oscuri
alla mirabile visione. Letture bibliche al crocevia: poesia simbolo e vita,
Marietti (2008); Per un’alleanza delle religioni. La Bibbia tra Panikkar e
la radice ebraica, Servitium (2010); Viaggio, Emi (2010); Per un’erme-
Curatori e Relatori 57

neutica simbolica. Tra filosofia, religione e poesia, Ed. Simple (2012). Del
2012 è Arcobaleni, primo romanzo della Trilogia dell’Infanzia, uscito per
Marietti. Del settembre 2013, Eutopia (scritto con Maristella Bellosta), un
romanzo sulla scuola (Mimesis). L’idea di fondo è quella di una letteratu-
ra che torni ad affrontare coraggiosamente “i grandi temi”, tra risveglio,
bellezza e impegno. È appena uscito per Mimesis il suo saggio dantesco:
L’«attualità» dell’esperienza di Dante. Un’iniziazione alla Commedia.
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Finito di stampare
nel mese di luglio 2015
da Digital Team - Fano (Pu)

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