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RICERCA SULLE PROVE SCIENTIFICHE CHE ATTRIBUISCONO

ALLE ATTIVITÀ UMANE LA RESPONSABILITÀ DEL RISCALDAMENTO GLOBALE

Il clima è cambiato negli ultimi due secoli. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change),
osservatorio permanente sul clima istituito dall’ONU, pubblica periodicamente un rapporto con
cui descrive le caratteristiche del cambiamento climatico dal punto di vista scientifico, il suo
impatto ambientale e socio-economico, nonché le valutazioni su possibili azioni di adattamento e
mitigazione. Nel 2021 è stata pubblicata una prima parte del sesto rapporto che, grazie al
contributo di centinaia di ricercatori, analizza il fenomeno e del cambiamento climatico in atto e
ne individua le cause.
Il quadro che emerge è il seguente: la temperatura media del pianeta continua a salire
rapidamente e, rispetto alla media del periodo 1850-1900, è ora di circa 1,1°C più alta, quindi
sempre più vicina alla soglia di 1,5°C che potrebbe rendere irreversibili molti aspetti del
cambiamento climatico. Dai rilevamenti effettuati risulta che i ghiacciai si stanno ritirando (la
calotta polare artica è a fine estate di circa 40% più piccola rispetto agli anni 80), causando un
innalzamento del livello dei mari (circa 20 cm tra il 1901 e il 2018).
Nel rapporto del IPCC gli scienziati concordano sul fatto che vi è una probabilità superiore al 90%
le cause principali del riscaldamento globale osservato dal 1950 siano imputabili ad attività
antropiche. Gli esperti ritengono che i fenomeni naturali come le variazioni nell’irraggiamento
solare e l'attività vulcanica hanno contribuito marginalmente al riscaldamento nell'arco di tempo
che intercorre tra il periodo preindustriale e il 1950 e hanno causato un lieve effetto di
raffreddamento nel periodo dal 1950 all'ultimo decennio del XX secolo. L’uomo, attore ecologico
globale, è invece in grado di influenzare il clima.
La rivoluzione industriale ha modificato il suolo (deforestazione, particolari coltivazioni,
allevamento di animali) e ha messo in circolazione una parte rilevante del carbonio contenuto nei
combustibili fossili. Infatti, prima dell’Ottocento l’uso che l’uomo faceva dei combustibili fossili era
abbastanza limitato. Con l’inizio dell’era industriale, abbiamo iniziato a utilizzare in quantità
crescenti il carbone fossile, il petrolio e il gas naturale, la cui combustione produce biossido di
carbonio (CO2). Per tutto il XIX secolo le emissioni antropiche di biossido di carbonio sono state
nell’ordine di qualche centinaio di Mt (milioni di tonnellate). Occorre attendere il 1920 perché
raggiungano l’ordine di grandezza della Gt (miliardi di tonnellate). Successivamente, l’aumento
diventa vertiginoso: nel 1960, le emissioni risultano triplicate (3 Gt), nel 1970 toccano quota 4 Gt,
poi 5 Gt nel 1980, fino ad arrivare a 11 Gt oggi. In sostanza, dal 1850 la CO 2 in atmosfera è
aumentato del 40%. Il 70% di queste emissioni sono dovute all’uso di combustibili fossili, il 30% a
processi di trasformazione del suolo (deforestazione, coltivazioni, aree industriali). Infatti, la
distruzione della biomassa vegetale riduce la capacità di assorbimento della CO2 presente
nell’atmosfera.
La concentrazione di metano (CH4), che era di 750 ppb nell’epoca preindustriale è salita a 1.870
parti per miliardo (ppb). A partire dal 2014 e fino a oggi la velocità d’incremento raggiunge i 9,7
ppb per anno. Una molecola di metano ha una capacità di intrappolare calore 30 volte superiore a
quella del biossido di carbonio. Questo forte aumento della concentrazione di metano è dovuto
alla decomposizione dei rifiuti solidi urbani nelle discariche, all’estrazione di combustibili fossili,
all’allevamento (metano rilasciato dal bestiame durante la digestione) e alla risicoltura (metano
prodotto dai processi di degradazione della sostanza organica durante il periodo di sommersione
del terreno).
La concentrazione di protossido di azoto (N2O) in atmosfera, che era all’incirca di 280 ppb in epoca
preindustriale, ha superato la soglia di 330 ppb. L’aumento, che negli ultimi anni procede in
maniera lineare, è stato del 18% rispetto all’anno 1800. Il protossido di azoto ha una capacità di
trattenere calore 300 volte superiore alla CO 2. Questo forte aumento della concentrazione di
protossido di azoto è dovuto al crescente utilizzo di fertilizzanti azotati per le coltivazioni agricole.
La caratteristica comune di questi gas detti a effetto serra è la loro capacità di trattenere il calore.
Infatti, i gas serra sono trasparenti alla luce solare a onde corte, che giunge liberamente fino alla
Terra. I raggi del sole vengono così parzialmente assorbiti dalla superficie terrestre, che poi li
rilascia nell’atmosfera sotto forma di calore. I gas serra impediscono però l’irradiazione del calore
a onde lunghe nello spazio, assorbendola e rilasciandola a loro volta in tutte le direzioni, anche
verso la Terra. In questo modo la superficie terrestre e gli strati inferiori dell’atmosfera si
riscaldano.
In sintesi, l’aumento delle emissioni di gas serra responsabile del riscaldamento globale è
riconducibile alle attività umane:
 combustione di carbone, petrolio e gas
 deforestazione,
 sviluppo dell’allevamento intensivo di bestiame,
 utilizzo di fertilizzanti azotati nell’agricoltura.

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