Dei profughi climatici si è parlato molto negli ultimi anni. Già nel 2019
un rapporto della Banca Mondiale prevedeva che entro il 2050, 143
milioni di persone lasceranno le loro terre d’origine per migrare
in luoghi meno inospitali: sta già accadendo con i migranti in
viaggio dall’area subsahariana verso il Mediterraneo. Potrebbe
accadere anche in Italia se, nella peggiore delle ipotesi, ci dovremo
abituare a punte di 39 gradi a Firenze, 38 nella Pianura Padana, e a
medie estive di 32,6 gradi a Roma e Milano (oggi tipiche del Canale
di Suez). E se questo accadesse nel Nord del Mediterraneo,
figuriamoci a Sud. Tralasciando per il momento il problema dello
scioglimento dei ghiacci e delle città costiere minacciate
dall’innalzamento del livello dei mari, ci saranno condizioni di vita
sempre più difficili in alcuni Paesi perché, «come spiegheranno i dati
nel rapporto Ipcc, c’è un’accelerazione in atto nel surriscaldamento
globale: ondate di caldo sempre più gravi, incendi, inondazioni e
siccità colpiranno in particolare alcune regioni», analizza Simon
Lewis, professore di Scienze del cambiamento globale al London
University College. «Poi ci sarà come una sorta di effetto domino.
E’ questa la posta in gioco se la società non interviene per
ridurre immediatamente le emissioni di CO2». Per farlo, occorre
che l’opinione pubblica, la gente, non recepisca il nuovo rapporto in
maniera sbagliata: non tutto è perduto, non siamo ancora
condannati senza appello. «Nel corso di una generazione — si dice
convinto Myles Allen, professore di scienza dei geosistemi presso
l’Università di Oxford — potremmo fermare il riscaldamento globale».
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