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Climate change, la ricetta del

panel Onu: «Non basta tagliare le


emissioni di CO2. Stop al
metano»

Proprio mentre inizia la settimana del caldo rovente in Italia —


un’imponente ondata venti africani che potranno portare a punte di
oltre 45° C sulle regioni meridionali —, il panel intergovernativo delle
Nazioni Unite sul climate change (Ipcc) ha diffuso lunedì 9 agosto i
primi dati del suo VI Rapporto sui cambiamenti del clima a livello
planetario (AR6). E’ il report che precede il grande appuntamento di
Cop26, la conferenza mondiale per il clima che si terrà a Glasgow
(preceduta da incontri preparatori in Italia), dal 31 ottobre al 12
:
novembre. Ed è l’ennesimo allarme suonato per tutti i governi del
mondo: «La situazione è gravissima, siamo sull’orlo della catastrofe
irreversibile — ha detto sabato a Londra Alok Sharma, il tory ministro
britannico incaricato di organizzare i colloqui di Cop26 —. Giorno per
giorno vediamo cosa accade nel mondo. L’anno scorso è stato il più
caldo mai registrato, l’ultimo decennio il decennio più caldo mai
registrato». Il rapporto era così atteso, e non solo dagli addetti ai
lavori, che l’intero sito e la pagina specifica dell’Ipcc (qui il link)
sono andati in tilt subito dopo la pubblicazione, alle 10.

Lunedì 9 agosto viene pubblicato il VI rapporto dei gruppi di


studio delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico: le
anticipazioni sulle raccomandazioni di 743 scienziati che hanno
passato al vaglio 174 mila studi specifici. Dagli Anni 60 ad oggi la
CO2 nell’atmosfera è aumentata del 30 per cento. Per evitare
nuovi disastri ambientali gli oltre 190 Paesi che parteciperanno a
Cop26 Glasgow dovranno prendere decisioni drastiche

Ma che cosa dice il VI Rapporto Ipcc? In primo luogo, secondo le


prime indiscrezioni trapelate sul web e diffuse dall’agenzia France
Presse a fine giugno, disegna «un punto di non ritorno» troppo
vicino: l’impatto dei cambiamenti climatici in atto rimodellerà
radicalmente la vita degli uomini sul Pianeta nei prossimi
decenni, questo anche se i Paesi che partecipano a Cop26
dovessero riuscire a tenere parzialmente sotto controllo le emissioni
di gas serra. Quel che si è visto tra il 2019 e il 2021 — tifoni di
potenza inaudita, rialzi delle temperature ai Poli, alluvioni di tipo
monsonico anche nei Paesi temperati, incendi devastanti dagli
Usa al Brasile, dal Canada alla Siberia, passando per l’Europa,
dalla Cina all’Australia — è un aumento degli eventi meteorologici
estremi. E l’Ipcc fornisce una nuova «ricetta»: il taglio delle emissioni
di metano. Sì perché non basta limitare l’apporto antropico di CO2
nell’atmosfera: il metano è il nuovo nemico (e non solo quello
:
rilasciato dagli allevamenti intensivi di bestiame). Più pericoloso
e insidioso del carbone (il cui abbandono è pure fra gli obiettivi che
Cop26 dovrà riconfermare), che invece sembra quasi rivalutato da
alcuni studi scientifici. Cone sia possibile lo spiega una ricerca
secondo cui bruciare carbone ha un effetto climatico imprevisto:
le particelle nell’atmosfera deviano parte della luce solare.
Dunque, bruciare meno carbone significa avere maggior
irradiazione sul Pianeta e un involontario aumento del
surriscaldamento globale. Per compensarlo occorre tagliare la
dispersione di metano.

Come in un film di fantascienza

E si torna a parlare di svolte drammatiche, come in un film di


fantascienza: all’inizio non saranno eventi globali, ma crisi regionali,
singoli «punti di non ritorno» per determinate aree, come le
alluvioni totalmente fuori scala (rispetto alla recente storia
climatica dei rispettivi Paesi) che hanno colpito la Germania e la Cina.
Ma poi gli effetti si legheranno e i mutamenti globali potrebbero —
spiega il professor Bob Ward, direttore delle Comunicazioni presso il
Grantham Research Institute on Climate Change and the
Environment, della London School of Economics — «creare enormi
risposte sociali ed economiche, come spostamenti di
popolazione e conflitti». Sempre più vicini anche a causa
dell’aumento di diossido di carbonio, che resta comunque uno tra i
problemi più gravi: dagli Anni 60 ad oggi la CO2 nell’atmosfera è
aumentata del 30 per cento.
:
I 143 milioni di profughi climatici

Dei profughi climatici si è parlato molto negli ultimi anni. Già nel 2019
un rapporto della Banca Mondiale prevedeva che entro il 2050, 143
milioni di persone lasceranno le loro terre d’origine per migrare
in luoghi meno inospitali: sta già accadendo con i migranti in
viaggio dall’area subsahariana verso il Mediterraneo. Potrebbe
accadere anche in Italia se, nella peggiore delle ipotesi, ci dovremo
abituare a punte di 39 gradi a Firenze, 38 nella Pianura Padana, e a
medie estive di 32,6 gradi a Roma e Milano (oggi tipiche del Canale
di Suez). E se questo accadesse nel Nord del Mediterraneo,
figuriamoci a Sud. Tralasciando per il momento il problema dello
scioglimento dei ghiacci e delle città costiere minacciate
dall’innalzamento del livello dei mari, ci saranno condizioni di vita
sempre più difficili in alcuni Paesi perché, «come spiegheranno i dati
nel rapporto Ipcc, c’è un’accelerazione in atto nel surriscaldamento
globale: ondate di caldo sempre più gravi, incendi, inondazioni e
siccità colpiranno in particolare alcune regioni», analizza Simon
Lewis, professore di Scienze del cambiamento globale al London
University College. «Poi ci sarà come una sorta di effetto domino.
E’ questa la posta in gioco se la società non interviene per
ridurre immediatamente le emissioni di CO2». Per farlo, occorre
che l’opinione pubblica, la gente, non recepisca il nuovo rapporto in
maniera sbagliata: non tutto è perduto, non siamo ancora
condannati senza appello. «Nel corso di una generazione — si dice
convinto Myles Allen, professore di scienza dei geosistemi presso
l’Università di Oxford — potremmo fermare il riscaldamento globale».
:
«Non temete l’Apocalisse, ma bisogna agire»

L’ARS6 non vuole dunque essere un documento politico, bensì un


insieme di constatazioni che riassume le ricerche e le conoscenze
sul clima sommate da migliaia di scienziati di tutto il mondo. E
include le previsioni sul progredire dei mutamenti climatici che
cambieranno il volto del Pianeta. E i rischi che si prospettano per
l’uomo, oltre che per l’equilibrio idrogeologico della Terra. Fatti, non
giudizi. E’ scritto, sostanzialmente, per i politici e i rappresentanti
delle istituzioni: perché agiscano in fretta. La pubblicazione dell’AR6,
rinviata a causa della pandemia (è il primo documento del genere
risultante da centinaia di riunioni su Zoom o con altri strumenti per i
meeting a distanza), arriva comunque in tempo per l’appuntamento
più importante del secolo: sulle risultanze del Rapporto AR6 —
che ha radicalmente aggiornato le metodologie di valutazione
sulle emissioni di gas serra — verteranno infatti le trattative e le
discussioni fra i rappresentanti dei 190 Paesi che prenderanno
parte a Cop26.

Rivedere le scadenze negli accordi di Cop21

Il VI Rapporto Ipcc è suddiviso in tre parti: 1) le evidenze fisiche su


base scientifica dei mutamenti climatici (234 autori che hanno
analizzato oltre 74 mila contributi); 2) l’impatto del
surriscaldamento globale, la vulnerabilità di eco sistemi e aree
antropizzate, l’adattabilità (270 autori, 57 mila documenti); 3) le
misure possibile per mitigare i cambiamenti climatici (239 autori,
:
oltre 43 mila documenti). In quest’ultimo capitolo, il panel delle
Nazioni Unite sottolinea l’importanza di rivedere le scadenze imposte
dagli accordi di Cop21 Parigi, quando si pensava (era il 2015) che
l’aumento medio delle temperature sul Pianeta potesse essere
contenuto sotto i 2°C, magari addirittura a + 1,5°C. Non è così.
(continua a leggere dopo i link e la foto)

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«Non abbiamo più 10 anni per agire»


:
Il britannico Sharma avverte i convitati del Cop26 che «i ritmi con cui
sta accelerando il riscaldamento globale impongono di cambiare
subito: non possiamo permetterci di aspettare due, cinque, 10 anni
per agire». L’orizzonte del 2030 scelto dai Paesi partecipanti a
Cop21 potrebbe essere già troppo lontano per fare la differenza.
Cop26 dovrà essere decisiva in questo senso, perché finora si è
già registrato un aumento medio di 1,1°C rispetto ai livelli
preindustriali e procedendo di questo passo si arriverà nella
migliore delle ipotesi a un contenimento entro i + 3 °C sulle medie
della metà del XIX secolo. La dead line (intesa anche come punto di
non ritorno per il genere umano) non è più fissata al 2100, ma
potrebbe arrivare ben prima della fine del secolo.

Contenere allevamenti e pozzi di shale-gas

Che fare allora? L’indicazione principale che emerge dal lavoro


dell’Ipcc è che non basta più prefiggersi l’obiettivo di tagliare le
emissioni di CO2, ma occorre agire su tutti i gas climalteranti: in
primo luogo sul metano. Dunque, sugli allevamenti intesivi e la
produzione industriale di carne. E si dovrà contenere le dispersioni
dai pozzi di shale-gas (quello intrappolato nella microporosità della
roccia) e dall’estrazione «non convenzionale» del petrolio. Il che
pone però un grosso problema con uno dei convitati di pietra a
Cop26: la Russia.
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Dati satellitari dimostrerebbero che alcune tra le principali fonti
di metano sono i pozzi russi di petrolio e gas mal gestiti. «E oggi
oltre il 40% del gas dell’Ue è gas metano proveniente dalla Russia»,
sottolinea Paul Bledsoe, ex consigliere per il clima della Casa Bianca
(amministrazione Clinton) oggi al Progressive Policy Institute di
Washington. Nel complesso, le fonti di metano hanno l’80% di
possibilità in più, rispetto al diossido di carbonio, di riflettersi in
un aumento dell’effetto serra. Intervistato dal quotidiano britannico
The Guardian, Durwood Zaelke, presidente dell’Istituto per la
governance e lo sviluppo sostenibile, afferma: «Il taglio delle
emissioni di metano è la più grande opportunità per rallentare il
riscaldamento da qui al 2040. Dobbiamo affrontare questa
emergenza e Cop26 dovrà prenderne atto, facendo il possibile per
raggiungere gli accordi necessari».

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