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Sickel “GLI ESORDI DI CARAVAGGIO A ROMA”- una ricostruzione del suo

ambiente sociale nel primo periodo di romano.

È un contributo, considerato proseguimento delle ricerche che svolge l’autore da anni


sul contesto storico delle opere di Caravaggio e sui rapporti personali mantenuti dal
pittore lombardo durante il suo soggiorno romano. Si analizzeranno per paragrafi:
1. UN PROBLEMA DI RICERCA
Non si conosce la cronologia precisa e le circostanze che portarono Caravaggio a
Roma. Lo scetticismo nasce dalla considerazione che al suo arrivo a Roma
Caravaggio fosse un pittore ambizioso, ma sconosciuto. Caravaggio nelle fonti
scritte, appare nel 1599- questo porta ad una contraddizione in riferimento al
trasferimento a Roma in rapporto ai “rapporti” sociali con la Marchesa di
Caravaggio, Costanza Colonna Sforza che prese dimora a Palazzo Colonna.
Recenti studi avanzano l’ipotesi del percorso artistico di Caravaggio sia stato
guidato da personaggi importanti della cerchia della famiglia Colonna:
- Cardinale Federico Borromeo: pose sotto la sua protezione il pittore. Questa
teoria non risultò valida e rivela alcune debolezze metodologiche, specie quella
in merito alla decisione di Caravaggio di rifugiarsi presso i Colonna nel 1606.
Non si conosce nemmeno il sostegno valido che portò C. al successo.
INTERPRETAZIONE DELLE SUE OPERE PITTORICHE:
Caravaggio ha lavorato sin dall’inizio sotto un sistema di patronato affermato e
che le sue opere siano destinate a “una clientela d’alto rango”.
I suoi biografi:
- Mancini Concordano nell’affermare che Caravaggio si fosse
- Baglione guadagnato da vivere lavorando alla giornata nelle
- Bellori botteghe. Ma nessuno di loro fa riferimento alla protezione

I biografi tramandano l’immagine di un’esistenza inquieta tesa alla ricerca di :


- Individualità
- Riconoscimenti
I tre autori costituiscono una catena di indizi a carattere informativo.

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LA PRIMA FASE DELLA CARRIERA DELL’ARTISTA:
Mancini è ben informato:
LOMBARDIA:
- è l’unico a riportare che Caravaggio giungesse a Roma circa 20enne
- contesto storico della prima fase riguardo la cerchia familiare dei Merisi a
Caravaggio e a Milano, ampiamente condotte da Giacomo Berra.
- Dall’aprile del 1591 Michelangelo si trattenne a Caravaggio, occupato insieme al
fratello Giovanni Battista Merisi nella liquidazione del lascito della madre.
- Alla fine di novembre Michelangelo è attestato a Milano; anche in un documento
del 5 maggio 1592 dimostra che egli vivesse nuovamente a Milano insieme al fratello
e alla sorella.
- 1° luglio 1592 viene annotato come vivesse ancora a Caravaggio- ULTIMO ATTO
che prova Michelangelo in terra lombarda.
ROMA:
- Attestato nella tarda estate 1592
- Due ipotesi indimostrate: la presunta relazione con il menzionato viaggio di
Costanza Colonna o la supposizione che il pittore avesse accompagnato il
fratello Giovanni Battista, recatosi a Roma per studiare teologia al Collegio
Romano.
LACUNE NELLA DOCUMENTAZIONE:
dalla metà dell’aprile fino alla metà del novembre 1591 non è documentabile né a
Caravaggio né a Milano. Si può ben immaginare che Michelangelo Merisi abbia
soggiornato a Roma in uno di questi lassi di tempo- ipotesi basata su documenti
sconosciuti, riguardo il soggiorno romano con lo zio e tutore di Michelangelo,
Ludovico Merisi.

2. L’ARRIVO AL RIONE BORGO


Le ricerche di Giacomo Brera forniscono informazioni importanti:
- Ludovico Merisi, fratello di Michelangelo, nato intorno al 1560
- Forse il padre di Michelangelo era un familiare dell’arcivescovo di Milano
Gaspare Visconti
- Nel settembre del 1550, Ludovico viveva nella residenza Visconti.
- Giacomo ha supposto che l’indizio della presenza di Ludovico a Roma di lunga
durata, va ricercata nell’annotazione “In Urbe Roma commorante”. Già nel
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giugno del 1592 era tornato a Milano ma per il nipote Michelangelo mancano
documenti d’archivio sulla sua presenza in Lombardia.
Un documento del 28 gennaio 1592: Ludovico Merisi e il canonico milanese Ottavio
Cotta disposero congiuntamente una procura per un giurista Giovan Giacomo
Terzaghi- l’atto riguardava due benefici a Milano che Cotta cedette a Merisi. Il
documento conferma:
- Lo zio di Caravaggio si trovasse a Roma ma indica che non intendesse lasciare
la città in tempi brevi, poiché la procura non sarebbe stata necessaria.
La procura venne stesa nella residenza dell’arcivescovo Gaspare Visconti che
dimorava in Borgo San Pietro, molto probabilmente nel palazzo del cardinale
Guido Ferreri, detto di Vercelli, deceduto nel maggio del 1585. Si può dunque
supporre con certa sicurezza che al suo arrivo a Roma Visconti andasse ad
abitare direttamente nell’ex Palazzo Ferreri in Borgo, messo a disposizione
dall’arcivescovo per la durata del suo soggiorno da borromeo. Bisconti
disponeva di un generoso usufrutto, visto che nell’autunno del 1592 trasmise al
banchiere Luranghi una procura d’affitto della casa, come fosse di sua
proprietà. Questa condizione permetteva di ipotizzare la reciproca relazione tra
prelati- Borromeo era considerato un oppositore di Visconti e il modo in cui
gestiva la sua carica a Roma era visto con diffidenza e biasimo. Questo
conflitto definiva il vero motivo per cui Visconti era venuto a Roma.
- Si pensava che Gregorio XIV, in fin di vita, lo volesse nominare cardinale; la
sua morte però fece decadere le speranze a Visconti di diventare cardinale,
come quella di trovare una soluzione per i problemi amministrativi della
diocesi di Milano. La presenza di Visconti a Roma è certificata dallo scambio
epistolare con Prospero Visconti, agente e conoscitore di arte:
1. Prima lettera 2 novembre 1591 inviata al duca Guglielmo di Baviera: si
indica che i Visconti fossero a Roma da tempo
2. Seconda lettera 28 dicembre 1591 inviata al segretario Granducale Belisario
Vinta a Firenze: si conferma la vivacità dei rapporti tra Visconti e Prospero
Si dà quasi per certa la presenza di Visconti al funerale di Innocenzo IX ( 30
dicembre 1591) e alla proclamazione di Papa Clemente VIII ( 30 gennaio
1592), accompagnato dal familiare Ludovico Merisi, che ritornò a Milano alla
fine di maggio.
EDITTO EMANATO DA CLEMENTE VII ( inizio febbraio 1592): obbligo per tutti
gli arcivescovi di rientrare nelle residenze- PER VISCONTI CI FU
UN’ECCEZIONE , per permettergli di risolvere i problemi della sua diocesi.

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ATTESTAZIONE di Ludovico Merisi dei mandati in cui si riconoscono le questioni
di affari stipulati a Milano tra il banchiere Giovanni Battista Luranghi e il vicario
Bernardino Moria.
GENESI DEL RAPPORTI CON LA CASA PERRETTI:
Nel marzo 1592 Gaspare Visconti pare che avesse lasciato temporaneamente il
Palazzo Ferreri in borgo e abitasse una casa situata lontano da San Tommaso in
Parione, dove vi dimorò fino all’estate 1592:
- Provato dai due atti notarili (agosto e settembre)
Si trattava della stessa casa di Papa Sisto V oppure della casa vicina che Camilla
Perretti aveva acquistato nell’ottobre 1587. C’è un fatto inosservato: il locatario della
casa era Ricci, per cui la presenza di Visconti nella casa Perretti dimostra gli stretti
rapporti personali esistenti con la famiglia di Sisto V.
FATTI che dimostrano l’interesse e la vicinanza agli affari privati di casa Perretti:
- Il cardinale Alessandro Perretti di Montalto, nipote del pontefice, oltre ai suoi
doveri vescovili, si era attivato in favore degli affaires dei Perretti.
Il 27 giugno 1590 Visconti rispose a una lettera di Perretti, che lo aveva pregato di
acquistare una “urnetta d’argento sepolcrale”- oggetto appartenente all’erede del
cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, deceduto nel 1585 ( si trattava oggi
custodita a Vienna).
Nel 1590 Perretti aspirava a possedere l’antico recipiente d’argento e aveva chiesto a
Visconti di aiutarlo. L’arcivescovo si mostrava ancora fiducioso di riuscire ad
ottenere l’antichità per Perretti, ma l’acquisto non avrebbe mai luogo.
ESTATE 1592: Gaspare Visconti fosse spesso ospite nella Cancelleria, la residenza
del cardinale Perretti per discutere sulle questioni politiche del vescovado di Milano.
QUESTE APPENA AFFRONTATE SONO LE PREMESSE CHE
CONFERMANO L’ARRIVO DI CARAVAGGIO A ROMA:
- Il giovane Michelangelo aveva accompagnato l’arcivescovo Visconti a Roma,
cosciente del fatto che Ludovico Merisi si fosse occupato di “saggiare” il
terreno per l’ambizioso nipote.
- Se Michelangelo fosse venuto a Roma dallo zio, avrebbe frequentato posti e
persone di spessore come lo stesso Pandolfo Pucci.
Secondo Mancini , Pucci fu il primo a dare alloggio a Caravaggio a Roma. Finora si
è dato per scontato che Pucci avesse accolto il giovane pittore nella sua funzione di
maestro di casa di Camilla Perretti- Pucci viene definito da Mancini “beneficiato di
San Pietro”.
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LA CASA DI PANDOLFO PUCCI:
Negli studi di Caravaggio, Pucci viene trattato in primo luogo nel suo ruolo di
maestro di casa di Camila Perretti, mentre la sua personalità rimane in ombra. Agli
studiosi interessava il rapporto familiare tra i Perretti e i Colonna che, a quanto pare,
avrebbe influenzato la carriera artistica di Caravaggio. UN’ANALISI
DIFFERENZIATA MOSTRA INVECE CHE NEI PRIMI ANNI ROMANI,
NELL’ARTISTA ENTRANO IN GIOCO ALTRI FATTORI.
La curiosa annotazione di Pucci riguardo Caravaggio riguarda il fatto che mangiasse
solo insalata.
Il primo documento della sua presenza a Roma reca la data 17 dicembre 1560,
quando Pucci attestò un atto legale presso l’ospedale di Santo Spirito, all’epoca
18enne. Circa all’età di 40 anni, Pucci accolse Caravaggio presso di sé; uomo erudito
facente parte dell’Accademia degli Eustachi, fondata del 1562 dagli studenti della
Sapienza.
-Pucci venne nominato notaio generale dell’ospedale e poi divenne “beneficiato di
San Pietro”, occasione che gli consentì di consolidare la sua posizione sociale ed
economica.
Negli ultimi giorni del 1589 Pucci doveva aver assunto il suo incarico a servizio della
Perretti con sentimenti molto contrastanti; nel corso della primavera i progetti di Sisto
V per lo scioglimento del vescovado di Recanati divennero realtà. Per la città di
Recanati, la decisione del Papa significava:
- Enorme indebolimento politico ed economico- per scongiurarlo furono
pubblicate le orazioni
Papa Sisto V avesse già fissato:
- La cessione dei territori in un breve apostolico del 2 agosto 1589
- Nascita del consiglio comunale di Recanati
Il servizio di Pucci venne contrassegnato da un latente conflitto e ciò potrebbe essere
stato un motivo perché verso la fine dell’anno 1591 egli si dimise dalla sua carica di
“maestro di casa”- fatto importante per la questione della prima dimora romana di
Caravaggio.
Camilla Perretti e Pucci vi dimorassero stabilmente intorno al 1592 presso il Palazzo
Colonna e che di conseguenza Caravaggio al suo arrivo, fosse alloggiato o all’interno
o nelle vicinanze di Palazzo Colonna. Supposizioni INFONDATE. Alla morte del
marito Camilla cambiò dimora. Nel marzo del 89 Camilla occupò alcune stanze del
Palazzo Apostolico, più tardi nelle stanze della Cancelleria.

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Nell’autunno dello stesso anno, Camilla disponeva di altre due residenze:
- Palazzo in piazza Scossacavalli
- Palazzo Commendone (di cui si dubita se Camilla abbia mai abitato)
Dopo la morte di Sisto V, l’interesse di Camilla si spostò verso un altro immobile,
più rappresentativo e cioè PALAZZO MAFFEI all’Arco della Ciambella, acquisito
nel luglio del 1591 per 29.000 scudi.
Altra residenza di Camilla: presso Rione Borgo dal novembre 1589 all’aprile del
1590. Era il palazzo dell’arciprete della Basilica Vaticana, adiacente all’atrio di San
Pietro.
Si ipotizza che Pallotta abbia fatto ristrutturale il palazzo presso San Pietro subito
dopo l’elevazione a cardinale, mettendo la residenza a disposizione della sorella del
papa. Sembra che Camilla volesse abitare in un palazzo dissestato insieme a Pandolfo
Pucci. Nell’autunno del 1590 la reputazione di Pucci agli occhi di Camilla era
aumentata. Pucci riporta la donazione di Camilla ai nipoti Michele, Flavia e Orsina
Perretti. E’ in QUESTO PERIODO CHE LO ZIO DI CARAVAGGIO E
SUCCESSIVAMENTE IL NIPOTE VENNERO A ROMA.
Secondo Mancini, Caravaggio trascorse a casa di Pucci numerosi mei, ma resta
difficile la comprensione delle date di questo soggiorno. Considerando che Camilla
non abitò mai a Palazzo Commendone, è evidente che non aveva nessun rapporto
diretto con la sistemazione di Caravaggio presso Pucci.
L’ipotesi che Puccio e Ludovico Merisi avessero trovato un accordo privato per
alloggiare Caravaggio trova conferma nel fatto che a partire dal 1592 Pucci viene
menzionato nei documenti nella sua funzione di beneficiato di San Pietro. Pucci poté
aver incontrato Ludovico alla Cancelleria o al Borgo oppure all’interno o nelle
vicinanze del Palazzo Apostolico.
Pucci vedeva e trattava Caravaggio come una persona di servizio, in dovere di
sbrigare per lui le faccende che non avevano nulla a che fare con la pittura indicando
che Michelangelo aveva una statura piuttosto giovanile. Fu questo il motivo reale per
cui Caravaggio lasciò la casa di Pucci con “poca soddisfazione” anche se lì aveva
resistito, dipingendo diversi quadri. Mancini menziona alcune copie di devozione che
Pucci avrebbe portato con sé a Recanati, come numerosi quadri dipinti dall’artista di
sua iniziativa allo scopo di venderli:
1- “Un Putto che mondava una pera con il coltello”
2- “Ritratto di un hoste dove si ricoverava”
La prima opera aveva trovato alloggio dopo il suo soggiorno da Pucci non è
documentato. Però nel racconto di Mancini emerge che il giovane Merisi fu attivo
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come ritrattista nei primi anni di carriera, perfino da quando stava ancora a
Caravaggio dove probabilmente dipinse il ritratto di “Marsilia Sicca”.
LA CRONOLOGIA DELLE OPERE: Non bisogna prendere come riferimento il
resoconto di Mancini perché:
- Schifferer ha dimostrato che il Mondafrutto , tramandato in cinque copie e le
opere seguenti dell’artista sono totalmente grandi , che le composizioni NON
POSSONO ESSERE NATE NELLO STESSO ARCO TEMPORALE DI
POCHE SETTIMANE.
Dimostrano diversi gradi dello sviluppo artistico del Caravaggio, separati da un
lasso di tempo di numerosi mesi o di un anno intero.
LE COPIE DI DEVOZIONE, menzionate da Mancini:
- Erano copie di immagini di santi e icone mariane
Le opere richieste da Pucci in qualità di beneficiato di San Pietro erano immagini
devozionali. E’ dimostrabile che doveva essere in possesso di una collezione di
quadri già all’inizio del 1592. La prova è fornita da un testamento finora sconosciuto
che Pucci stese nella sua casa di Borgo Novo il 7 febbraio 1592. Dal documento
emerge:
- Pucci persona devota
- Sollecita verso la famiglia e la sua città natale
- Generosità dimostrata verso parenti e istituzioni religiose della città di
Recanati, lasciando loro somme di denaro e altri legati
QUADRI MENZIONATI NEL TESTAMENTO DEL FEBBRAIO 1592:
- Un quadro venne destinato alla chiesa di Santo Stefano di Recanati
- Due quadri a suo nipote Giulio Barlocci che nel 1584 Pandolfi diede al suocero
che viveva a Roma. Si cita la delega per richiedere a Pucci la restituzione di
tutti i quadri e gli utensili del pittore che aveva lasciato presso di lui.
Anche in questo caso mancano indicazioni precise sul numero e i temi delle opere,
ma si può desumere che Pucci portasse con sé a Recanati anche quadri di Pandolfi
che probabilmente soggiornò in casa Pucci come Caravaggio.
Oltre a Caravaggio e a Pandolfi, Pucci conosceva sicuramente il pittore Cesare
Conti, che non poteva costituire un modello artistico per Caravaggio. Cesare era
conterraneo di Pucci vi erano anche oggetti di provenienza marchigiana come
un’antica pietra preziosa con la veduta del porto di Ancona.
Ciò indica che Pandolfo Pucci coltivasse interessi artistica e di collezionista,
interessi che vedevano includevano oggetti antichi. Quando Pucci lasciò Roma nel

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1600 portò con sé a Recanati un cospicuo numero di quadri, per lui preziosi ma lì
non era consuetudine registrare i possessi di persone decedute; negli atti notarili
locali si trovano numerosi documenti indicanti gli atti indicanti altre attività di
Pucci e le condizioni economiche dei suoi eredi. Pandolfo Pucci morì fra il 16 e il
27 luglio 1613 a Recanati, quando copriva l’alta carica di arciprete di Loreto in
virtù dell’ultimo favore della famiglia Perretti all’ex maestro di casa.
IL MONDAFRUTTO resta dunque l’unica testimonianza della presenza di
Caravaggio nella casa di Pandolfo Pucci ed è noto che un presunto originale si
trovasse a Perugia in possesso di Cesare Crispolti che nell’aprile del 1608 lo offrì in
regalo al cardinale Scipione Borghese.
Come giunse il Mondafrutto a Scipione Borghese?
Tramite Prospero Orsi, il cui fratello era membro dell’Accademia degli Insensati di
Perugia è relativamente plausibile ma non del tutto convincente. Il fratello si
chiamava Aurelio ed era deceduto nell’estate del 1591 Caprarola e dunque non
poteva aver avuto nessun ruolo diretto nella carriera di Caravaggio.
L’esistenza di varie copie del Mondafrutto è certo riprova della veloce diffusione
delle sue opere, in buona parte dovuta a Prospero Orsi, ma risulta difficile stabilire
quando tale processo fosse iniziato.
L’INCONTRO CARAVAGGIO-ORSI:
Risale solo al 1595 con 3 dipinti:
- Maddalena penitente Eseguiti da Caravaggio per il
- Riposo nella fuga in Egitto cognato Prospero.
- Buona Ventura
Già Caravaggio aveva lasciato l’alloggio Pucci.

3. NEI DINTORNI DI SANT’AGOSTINO


Al Rione Borgo, Caravaggio ebbe la possibilità di conoscere:
- Secondo Bellori, che si rifece alla famosa annotazione di Bellori: Antivenduto
Grammatica, con cui lavorò in una prima fase della sua carriera romana.
Viveva nella casa del padre e fece il suo apprendistato presso il pittore
perugino Giovan Domenico Angelini intorno al 1580 che ben presto fece
diventare Antivenduto suo collaboratore stabile e più tardi socio. Nel marzo del
1596 suggellarono formalmente la loro collaborazione in un contratto. In un
documento emerge che Antivenduto gestisse da solo la bottega nel 1591.
Nell’ottobre dello stesso anno entrò a far parte della bottega il pittore fiorentino
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Vittorio Travagni che viveva con la famiglia nelle vicinanze di sant’Agostino.
Travagni era conosciuto da Caravaggio. Il documento dell’ottobre del 1591
conferma che la bottega di Antivenduto era situata vicino a San Trifone o in
Via della Scrofa o in via di Sant’Antonio dei Portoghesi. È possibile che
Caravaggio abbia lavorato per lui.
Bellori attesta che C. abbia eseguito per Antivenduto mezzi busti, ma non fornisce
informazioni maggiori. Baglione, invece, ignaro della permanenza di Caravaggio in
casa Pucci fornisce un resoconto diverso da quello di Mancini: a Roma C. avrebbe
trovato un primo alloggio presso un pittore siciliano, di cui Baglione si riferisce
fossero grossolani.
Va rilevato che Bellori riprende la notizia della sistemazione di Caravaggio presso un
siciliano, ampliandola con il nome “Lorenzo”. Riporta un periodo di miseria
conseguente all’omicidio, come se C. non fosse venuto di sua spontanea volontà
bensì da fuggitivo. Sostiene che si riprende dalla crisi man mano che le sue
composizioni diventano “grandi”:
- Per un primo committente dipinse solo teste
- Per il secondo solo mezzi busti.
Bisogna precisare che prima lavorò per Antivenduto e poi per la bottega del siciliano
Lorenzo.
LE OPERE:
- DI ANGELINI : Madonna in gloria eseguita nel 1587 con l’aiuto di
Antivenduto per la chiesa dei Cappuccini di Ferentillo. Era una commissione
particolare pur riportando un pagamento modico di 40 scudi.
La bottega realizzò non meno di 150 copie di un’incisione di Philippe
Thomassin raffigurante il ritratto del duca di Guisa, assassinato l’anno
precedente. E’ probabile che a questo lavoro partecipò Caravaggio. Dei quadri
di C. non vi è testimonianza.
L’annotazione di Bellori secondo cui C. avrebbe dipinto una testa dopo l’altra
per un’esigua paga giornaliera è assolutamente credibile e ricorda un settore
della produzione di quadri di quel tempo, ignorati dal mercati del tempo.
Si riportano le condizioni salariali di Monteleone ( che lavorava al giorno per 3,5
giuli e realizzava copie di quadri) e si ipotizza potessero essere simili a quelle
recepite da C. con Antivenduto. Ma resta il fatto che la bottega di Lorenzo era la
migliore a quel tempo.

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Un primo amico e promotore: Lorenzo Carli alias Carri e il suo padrino Giuseppe
Cesari
Nell’archivio della confraternita siciliana di Santa Maria Odigitria, Marco Pupillo e
Rossella Vodret hanno trovato notizia del pittore siciliano noto con il nome Lorenzo
Carli. Menzionato nel novembre 1589 quando chiese sovvenzione per la dote di sua
moglie Faustina- il sussidio fu cospicuo, di 90 scudi. Dal documento si evince che
Lorenzo Carli fu conosciuto ed evidentemente rispettato all’interno della comunità
ispanico-siciliana. Membro della confraternita Lorenzo fu nominato sindaco e
camerlengo.
Prime indicazioni che riguardano Lorenzo Carli:
- CONTRATTO del 13 febbraio 1593 in cui sottoscrive l’apprendistato del figlio
del locandiere Vitale Quattrini, Ambrogio, che vi rimase per 4 anni. Per la
durata dell’apprendistato Quattrini fu disposto a pagare 72 scudi l’anno: si
trattava di un notevole investimento che dimostra come Lorenzo fosse un
maestro richiesto, non solo in qualità di insegnante- bottega di fama locale. Si
può ipotizzare che Caravaggio conoscesse i Quattrini. L’elemento importante
che in ogni caso si considera come una prova è che nel 1593 la bottega di Carli
si trovasse vicino Sant’Agostino, così come casa sua.
Si ipotizza inoltre che C. lavorasse per i due maestri: Lorenzo Carli e l’arpinate
Giuseppe Cesari.
Bellori scrive che presso Cesari C. deve aver eseguito:
- Nature morte
- Prime opere principali: Bacchino malato che nel 1607 vennero confiscate a
Cesari e passarono in possesso del cardinale Scipione Borghese.
Comunemente si ritiene che quei quadri fossero realizzati nel corso del 1593 durante
la permanenza da Cesari ma questa supposizione non è comprovata da documenti.
È UN GROSSO ERRORE CREDERE CHE LA COLLABORAZIONE CON
CARLI- dopo la permanenza da Pucci- costituisse per C. un passo indietro. In Carli
C. trovò un primo promotore che potrebbe averlo anche raccomandato a Cesari. Carli
aveva meno talento di C. ma fu in primo luogo la sua morte precoce a troncare la
carriera artistica, impedendo forse una maggiore notorietà.
Anche Camilla Perretti mette in relazione un quadro con il nome di Carli con un
quadro specifico, che forse è ancora conservato. Si riferirebbe al quadro di Santa
Lucia- commissione ricevuta già l’anno precedente. Si tratta di un quadro di piccolo
formato, di una santa venerata nella famiglia Perretti. Era una pala d’altare che si
potrebbe desumere destinata alla Chiesa di Santa Lucia di Grottamare. Costruzione
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della chiesa finanziata privatamente da Camilla Perretti a partire dal 1589 ma terminò
solo nel 1596; per cui è improbabile che nel 1592 si pensasse all’arredo della chiesa.
L’opera oggi presente in chiesa vede la santa in ginocchio e corrisponderebbe ad un
anonimo del XVII secolo.
Carli aveva tutte le qualità per potersi affermare sul mercato romano, lo dimostra la
registrazione del battesimo di sua figlia Agata l’8 marzo 1596 in cui si ribadisce che
Carli fosse originario di Nasso (località in provincia di Messina) e scelse come
padrino e madrina il ragusano Ugolino e la nobildonna indicata come Vittoria Rebiba.
La famiglia Rebiba era originaria di San Marco d’Alunzio nel nord della Sicilia, dove
visse prevalentemente anche dopo la morte del cardinale. La scelta dei due padrini
sottolineava il legame di forte coesione all’interno della comunità siciliana a Roma e
fornisce un ulteriore motivo di ascesa sociale del pittore.
Il LEGAME CON IL TEOLOGO UGOLINO:
- Ricopriva la carica di cappellano dei re di Spagna
- Fortemente legato alla sua terra natale come Pucci; favorì in primo luogo
persone e istituzioni ecclesiastiche della sua Ragusa.
- Il lascito di Ugolino deceduto nel 1621 non è documentato, ma si può
desumere come per Pucci, possedesse una collezione di quadri di entità per lo
meno modesta, come è confermato dal testamento dell’agosto 1607 in cui
vengono menzionati anche singoli quadri.
- L’opera più importante riguardava una copia del famoso quadro di San
Francesco a Ripa. Quest’opera rappresenta un’idea di quelle “copie di
devotione” definite da Mancini.
Pucci e Ugolino sono rappresentanti di una clientela per così dire del ceto medio,
dotata di uno spiccato senso della tradizione religiosa e al contempo l’innovazione
artistica.
ALTRE OPERE DI CARAVAGGIO E COMMITENTI DEL CETO MEDIO:
Si annoverano:
- Maddalena penitente Commissionate da Girolamo Vittrici nel 1591
- Riposo nella fuga in Egitto mentre ricopriva la carica di sottoguardaroba
- Buona ventura alla corte papale.

Le delucidazioni su Lorenzo Carli contengono informazioni su:


- Documenti della sua presenza a Sant’Agostino
- Stretti collegamenti all’interno della comunità siciliana a Roma permettono
una nuova valutazione della cronaca di Mancini sul ricovero di Caravaggio
all’ospedale di Santa Maria della Consolazione.
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Il Priore di Mancini: Luciano Bianchi da Messina
Le scarse notizie sugli esordi romani di Caravaggio hanno spesso condotto a
speculazioni sulle sue conoscenze del tempo.
Si fa riferimento all’amicizia con il siciliano Mario Minniti che Caravaggio- secondo
il biografo non particolarmente attendibile Francesco Susinno- avrebbe conosciuto
già all’inizio del suo periodo romano. Sicuramente presso Lorenzo Carli, Caravaggio
avesse incontrato anche pittori siciliani è plausibile e verosimile, anche se tutt’oggi
non esiste un solo documento attestante la presenza di Minniti a Roma. Stessa
situazione si presentò con l’affermazione di Mancini, secondo cui, dopo il suo arrivo
Roma, Caravaggio si sarebbe ammalato o ferito gravemente da rendere necessario il
suo ricovero in ospedale. È importante l’annotazione che Caravaggio avrebbe dipinto
per il priore dell’ospedale diversi quadri che costui avrebbe poi portato con sé nel suo
paese di origine. Capire chi fosse il priore è difficile in quanto Mancini non ne
menziona il nome, ma anche nei diversi manoscritti del trattato dia informazioni
sull’origine: si legge Siviglia (nella versione Palatina), Marciana compare “Sicilia”.

C’è da dire che Mancini:


- Sapeva dell’attività di Caravaggio per il priore attraverso la testimonianza di
un conoscente, medico ospedale probabilmente Antivenduto Grammatica con
cu nel 1609 era in contatto. Circa l’identificazione del priore sorse un
equivoco: Luigi Salerno in un breve articolo del 1955, pensava, dato il nome
dal suono spagnoleggiante Cotreras- senza alcune prove – potesse essere
originario di Siviglia. Sulla base dei registri contabili dell’ospedale, si è
dimostrato che Contreras fosse un membro della confraternita dell’ospedale,
mentre la carica di priore venne occupata da un certo Giovanni Buttari alias
Butera. Frommel ha identificato quel Butera come il committente di
Caravaggio, ritenendo che il luogo di origine dei priori non potesse essere
individuato.
La figura del priore:
- Assistevano alla stesura in qualità di testimoni dei pazienti in punta di morte
Tra i nomi che figurano vi è quello di Giovanni Butera, definito “milanese”, pare
che nel suo testamento si dicesse che venisse da Castelnuovo Scrivia presso
Tortona.
Dall’indagine emerge che nessuno dei priori proveniva dalla Sicilia o da Siviglia e
fuorviante era il riferimento di Salerno a Camillo Contreras.

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La famiglia di Camillo Contreras proveniva sì dalla Spagna ma Camillo era un
cittadino romano che ricoprì tante cariche in Campidoglio.
CHI DOVEVA ESSERE IL PROTETTORE DI CARAVAGGIO?
Doveva essere un personaggio meno eminente che aveva lasciato Roma prima che
Mancini iniziasse a raccogliere notizie per la biografia di Caravaggio.
Si poteva trattare di:
- Luciano Bianchi: successore di Butera nel febbraio del 1594 – citato in un
testamento di un paziente. Vari documenti successivi attestano che fosse
originario di Messina e nominato nel noto atto del 10 novembre 1601 quando
Caravaggio certificò la ricevuta del pagamento finale di 50 scudi per i quadri
laterali della Cappella Cerasi. Luciano era parte di quel ramo della famiglia che
nel XVI secolo aveva lasciato Genova per stabilirsi a Messina.
Dopo il periodo di priore, Bianchi tornò a Messina e non è da escludere che nel
1608 incontrasse di nuovo Caravaggio. Il pittore in fuga da Malta dipinse:
- La Resurrezione di Lazzaro su commissione di Giovan Battista Lazzari, che
insieme a suo fratello Tommaso erano soci di Ottavio Costa, importante
promotore del Merisi. Opera destinata alla chiesa della comunità dei pisani di
Messina, originari della città toscana con cui Bianchi intratteneva stretti
rapporti.
L’identificazione del priore con Luciano Bianchi risulta possibile precisare la data
di ricovero di Caravaggio nell’ospedale della Consolazione. Se Bianchi ricopriva
l’incarico di priore è evidente che l’evento doveva risalire ad un periodo
successivo al febbraio 1594. È naturale che Mancini annotasse solo l’ultimo
“titolo” di Bianchi. Dopo 14 anni in carica, il titolo di priore per Bianchi era
diventato un suo appellativo.
Ipotesi stretto contatto Caravaggio- Bianchi: disposizioni date in un testamento
precedente del 26 settembre 1593, quando egli stesso era paziente dello stesso
ospedale. Il documento non riporta informazioni riguardo la sepoltura presso S.
Agostino, ma un elemento utile potrebbe essere il fatto che il fratello Pietro nel
1593 viveva come un monaco nel convento di s. Agostino.
Luciano Bianchi certamente conosceva:
1. Lorenzo Carli, residente vicino S. Agostino, quindi della provincia di Messina
Numerose visite alla bottega del Carli, quindi è più che probabile che conobbe
C, quindi il loro incontro non deve essere stato necessariamente in ospedale. E’
probabile invece, che Caravaggio venisse ricoverato all’ospedale di Santa

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Maria della Consolazione, seppur lontano dal domicilio, solo perché conosceva
Bianchi.
Diversamente dalle sue disposizioni del settembre 1593, Luciano Bianchi non fu
sepolto a S. Agostino, il che potrebbe indicare che aveva lasciato veramente Roma.
Resta ancora da dimostrare se fosse tornato a Messina portando con sé quadi di C. La
risposta potrebbe trovarsi negli archivi della città.
- Michele Bonelli: successore di Bianchi (di Alessandria)

Baglione cita Prospero Orsi come “turcimanno” di Caravaggio, in quanto ebbe un


ruolo decisivo nell’ascesa dell’amico. Orsi e Caravaggio figurano nella lista dei
partecipanti del Quarantore tenuta esclusivamente da pittori. Forse si fossero
incontrati presso la famiglia Pucci. Va ricordato che Prospero e suo fratello Aurelio
erano in stretto contatto con la famiglia Perretti, quando Aurelio pubblicò la sua
descrizione panegirica di Villa Montalto, Perettina.

CONCLUSIONI:
- La sovrastruttura di cui si parlava all’inizio è passata in secondo piano.
- Costanza Colonna non ebbe alcun influsso sulla carriera di Caravaggio.
- Questo studio dimostra che il motivo per cui Caravaggio anche negli anni
successivi romani non lavorò mai su incarico diretto di persone o istituzioni
della sua terra lombarda, anche se più volte si sarebbe presentata l’occasione.

4. Il movimento contrario: Giovan Battista Secco- da Roma a Caravaggio


L’opera “Canestra di frutta” della Pinacoteca Ambrosiana è l’unico dipinto di
Caravaggio che fosse destinato al cardinale Federico Borromeo. Ma la realizzazione
del quadro non fornisce alcuna indicazione da cui poter dedurre che Borromeo
sostenesse Caravaggio, il Merisi dipinse l’illusionistica natura morta su una tela del
cardinal Del Monte. Ma:
- Il motivo corrispondeva agli interessi di Borromeo che prediligeva le
rappresentazioni di FIORI E FRUTTA.
Si trattava di un regalo di Del Monte che voleva fare una cortesia all’amico.
Borromeo sostenne la fondazione dell’Accademia di San Luca diretta da Federico
Zuccari, un’istituzione che Caravaggio non comprese mai veramente per la sua sottile
intelligenza della pittura.

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Si riporta lo sdegnoso giudizio di Zuccari sui dipinti della Cappella Contarelli
inaugurata nel 1600 in cui diceva di vedere solo il pensiero di Giorgione, venne
interpretato come esternazione marginale all’interno di un discorso in prima istanza
teorico. Zuccari era preoccupato per la posizione del suo discepolo Giovanni Battista
Secco rispetto a Caravaggio.
SECCO- potenziale rivale di C:
- Ignoti anno di nascita e morte, ma è presumibile che fosse di poco più giovane
di Caravaggio
- Lavorò con molto successo a Milano
- Affinità stilistiche fra Secco e Zuccari- pare che fosse alunno di Zuccari
- Si trasferì da Caravaggio a Roma, dopo aver lavorato con Zuccari come
apprendista: si ricorda il documento del contratto di matrimonio tra il medico e
la figlia- si riporta il cognome del padre Girolamo Secco per indicare quello di
Giovanni Battista.
- Primo incarico a Roma, ancora in casa Zuccari: realizzazione di una pala
d’altare
GIACOMO SCOTTI- detto Polidoro
- Di Caravaggio
- Morì nel 1599- inumato a Sant’Agostino
- Commissionò un dipinto a Giovanni Battista Secco, forse conosciuto
nell’autunno del 1599 a Roma: si trattava di una pala d’altare per la cappella di
San Giacomo, a cui venne prevista una somma di 40 scudi, di grande formato.
Il compenso fu piuttosto esiguo per un’opera di quelle dimensioni.
SI PUO’ PENSARE CHE CARAVAGGIO ABBIA RIFIUTATO UNA
PROPOSTA DA SCOTTI PR VIA DELLA SCARSA REMUNERAZIONE. E’
probabile che:
- Non aveva interesse a realizzare un’opera per la città natale
- Non gli venne nemmeno proposto
DUE ANNI DOPO, UNA COMMISSIONE SIMILE: 1602
Sempre a Secco, venne proposto la realizzazione di un quadro proposto per il
santuario di Santa Maria della Fontana a Caravaggio.
Il committente però risiedeva a Roma. Una pala inedita nella cappella della Madonna
del Rosario, fondato da Soccino di Francesco Secco.
Il quadro mostra il committente in adorazione della Madonna insieme a Sisto V che
aveva concesso a Secco la carica di decano degli scudieri apostolici. Soccino era una
delle famiglie più famose di Caravaggio.
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E’ plausibile pensare che Soccino Secco seguisse da vicino l’ascesa del suo
compaesano Michelangelo Merisi ma commissionò la Madonna del Rosario sempre a
Secco, che realizzò a Roma il ritratto del committente. La scelta di Soccino non
poteva essere dovuta ad un rapporto di parentela, come si è a volte supposto. Si deve
che condividesse il gusto di Borromeo per la scuola accademica di Zuccari. Il
giovane Secco ottenne gli incarichi perché era di Caravaggio e anche per
l’intercessione del maestro Zuccari.

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