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I trattamenti termici sono i processi più diffusi nell’industria per la stabilizzazione dei
prodotti alimentari. L’obiettivo di tali trattamenti consiste nella riduzione o eliminazione
dei microrganismi patogeni o degradativi, che permettono un prolungamento della shelf-
life del prodotto. Le alte temperature hanno azione battericida e inattivano gli enzimi per
denaturazione. Il trattamento termico è scelto in base alla natura dell’alimento e
all’obiettivo da raggiungere, con un compromesso fra sicurezza igienico/sanitaria
(assenza di rischi per il consumatore) e salvaguardia delle caratteristiche organolettiche.
Le diverse combinazioni di tempi e temperature di trattamento sono scelte anche in base
alla termoresistenza dei microrganismi da eliminare. I parametri fondamentali che
riguardano la termoresistenza dei microrganismi a cui si fa riferimento in microbiologia
industriale sono: il punto di morte termica (TDP), il tempo D (tempo di riduzione
decimale), il valore Z (incremento di temperatura necessario a ridurre di 10 volte il tempo
D) . Generalmente la crescita microbica può avvenire fra i -5 °C e i +90 °C, e si verifica
frequentemente nell’intervallo fra 0 °C e 60 °C. Ogni specie ha il proprio optimum di
temperatura e per questo varia la temperatura necessaria per uccidere i microrganismi:
in genere i Gram positivi sono più resistenti dei Gram negativi; le muffe, i lieviti e le loro
spore sono piuttosto sensibili al calore, al contrario di quelle batteriche che mostrano
un’elevata resistenza alle alte temperature.
STERILIZZAZIONE
La sterilizzazione è una tecnica che permette di eliminare da un substrato ogni forma di
microbica, incluse le spore batteriche, le forme più resistenti. Le tecniche di
sterilizzazione prevedono l’impiego di temperature superiori ai 100°C, in particolare, una
sterilizzazione efficace si realizza con un trattamento a 121 °C per 20 minuti. Tuttavia,
una sterilizzazione completa, a causa delle alte temperature impiegate, comporterebbe
gravi alterazioni delle caratteristiche organolettiche e del valore nutrizionale degli
alimenti. Pertanto, in campo alimentare si può parlare di sterilizzazione commerciale,
un trattamento termico impiegato per eliminare i microrganismi patogeni o alteranti che
possono proliferare nell’alimento durante la filiera alimentare. In particolare, la sterilità
commerciale corrisponde al tempo necessario per ridurre di 12 logaritmi il numero di
spore attive rispetto a quelle presenti in origine. La sterilizzazione commerciale prevede
trattamenti che impiegano temperature tra i 115 e i 150°C, per periodi di tempo diversi a
seconda delle caratteristiche dell’alimento da trattare e degli obiettivi che si desiderano
raggiungere.
STERILIZZAZIONE DEL LATTE
Il latte crudo, destinato alla commercializzazione per il consumo umano, deve essere
trattato con alte temperature prima del confezionamento, che deve avvenire in contenitori
chiusi. Tra i trattamenti termici che garantiscono la sicurezza del latte c’è la
sterilizzazione. La sterilizzazione è un trattamento che consiste nel riscaldamento
continuo del latte crudo, ad almeno 135°C per non meno di un secondo o a temperature
più basse (116-120°C) per tempi più lunghi (circa 20 minuti), al fine di eliminare
microrganismi e spore. Il latte sterilizzato è confezionato in recipienti sterili e opachi in
modo da ridurre al minimo le variazioni chimiche, fisiche, di odore e di sapore, cioè le
caratteristiche organolettiche. Secondo le normative in vigore, il latte sterilizzato si
distingue in:
PASTORIZZAZIONE
La pastorizzazione è un trattamento termico di sanitizzazione che prevede l’impiego di
temperature meno elevate rispetto ai trattamenti di sterilizzazione. Tale tecnica permette
di eliminare batteri patogeni, flora microbica saprofita e di disattivare gli enzimi, senza
alterare le caratteristiche organolettiche dell’alimento. La pastorizzazione prevede
l’impiego di temperature inferiori ai 100°C, pertanto le spore batteriche non vengono
distrutte, ma permette di conferire stabilità al prodotto finale e rende l’alimento adatto al
consumo. La tecnica di pastorizzazione è utilizzata soprattutto per latte, vino, birra e
succhi di frutta, ed è di solito seguita da un rapido raffreddamento. I prodotti pastorizzati
sono definiti semiconserve.
PASTORIZZAZIONE DELLA BIRRA
Lo scopo della pastorizzazione è aumentare la shelf-life della birra, grazie all’inattivazione
di tutti i microrganismi presenti e di enzimi responsabili di modificazioni chimiche
indesiderate. Questo trattamento termico consente quindi di ottenere una stabilità
biologica del prodotto finito. Poiché il calore può avere effetti negativi sulle caratteristiche
organolettiche della birra, il trattamento termico deve essere più limitato possibile,
compatibilmente con gli obbiettivi che si prefigge e con il mantenimento della qualità del
prodotto. Parametri fondamentali del processo di pastorizzazione sono il tempo e
temperatura. La pastorizzazione della birra può essere effettuata dopo l’imbottigliamento
o dopo l’infustamento.
Sulla base di ciò si distinguono due tecniche di pastorizzazione:
Pastorizzazione a tunnel: sistema impiegato per la birra già imbottigliata o in
fusti;
Pastorizzazione flash: attuata direttamente sulla birra prima
dell’imbottigliamento;
In entrambi i casi, la pastorizzazione è costituita da tre fasi:
la prima consiste nell’aumentare la temperatura del prodotto fino a 60- 70°C. La seconda
fase prevede di mantenere tale temperatura per un tempo che oscilla da 15 a 30 minuti,
a seconda della temperatura applicata, la terza fase consiste nel riportare la birra alla
temperatura iniziale. Entrami i sistemi sono considerati fondamentali nel contesto
industriale per stabilizzare la birra, renderla capace di lunghe shelf-life e di resistere
anche a non ottimali condizioni di conservazione durante la commercializzazione.
BASSE TEMPERATURE
REFRIGERAZIONE
Con la tecnica di refrigerazione l’alimento è raffreddato e mantenuto a temperature tra 0
e 6°C, anche sottovuoto o in atmosfera controllata. Tale tecnica è ampliamente utilizzata
per le materie prime, i semilavorati e per la conservazione di vari prodotti alimentari per
uso domestico o per la ristorazione collettiva. La refrigerazione non impedisce lo sviluppo
di tutti i microrganismi, come i germi psicrofili, in grado di resistere a basse temperature.
Pertanto, la conservabilità dei prodotti refrigerati è limitata nel tempo e, in generale,
aumenta all’abbassarsi della temperatura di refrigerazione (quanto più è prossima agli
0°C, tanto più lunga sarà la conservabilità dell’alimento).
Risultano quindi estremamente dannosi gli sbalzi di temperatura, in quanto, a causa di
un aumento improvviso della temperatura i microrganismi potrebbero iniziare a
riprodursi, rendendo l’alimento inadatto al consumo. Tra i fattori che possono
condizionare la conservabilità di un prodotto refrigerato, ci sono:
-Il tipo di microrganismi contaminanti;
-La velocità di penetrazione del freddo, quanto più elevata, tanto più lunga è la
conservabilità;
-L'umidità presente nel prodotto, specialmente quella superficiale;
CONGELAMENTO
Il congelamento fa penetrare il freddo all’interno dell’alimento fino a portarlo a
temperature di circa -40 °C. La penetrazione del freddo non deve obbligatoriamente
avvenire in modo veloce: ciò differenzia il congelamento dalla surgelazione. La lentezza
del processo penalizza le caratteristiche organolettiche dell’alimento così trattato, in
quanto porta alla formazione di cristalli di ghiaccio di dimensioni tali da danneggiare
l’integrità di cellule e tessuti. La conservazione dei prodotti congelati si prolunga fino a
diversi mesi, ma molti enzimi, tossine e spore non sono completamente eliminati.
SURGELAZIONE
Nella surgelazione il freddo è fatto penetrare molto velocemente nell’alimento, che deve
essere preventivamente confezionato in un contenitore sigillato. Devono essere raggiunti i
-18 °C in profondità entro un tempo massimo di 4 ore, con una velocità di penetrazione
del freddo pari a 2 cm/ora. La temperatura di -18 °C deve essere mantenuta
ininterrottamente fino al momento della vendita del prodotto e per tutto il periodo di
conservazione fino al consumo. La surgelazione è qualitativamente superiore al
congelamento, in quanto cellule e tessuti non subiscono danni rilevanti: ciò è dovuto
soprattutto alla formazione di cristalli di ghiaccio di piccole dimensioni e alla
contemporanea congelazione di tutti i liquidi presenti, sia quelli endocellulari che quelli
interstiziali. Le caratteristiche organolettiche originali del prodotto sono così preservate in
maniera pressoché ottimale.
ALTE PRESSIONI
L’applicazione delle alte pressioni per la conservazione degli alimenti (HPP, high pressure
processing) è relativamente recente e comprende due tecnologie:
▪ Trattamenti ad alta pressione idrostatica o HHP (high hydrostatic pressure). La
pressione è trasmessa in modo uniforme e istantaneamente in ogni punto del prodotto
(processo isostatico) e senza variazioni di temperatura all’aumento della pressione
applicata (processo adiabatico). Il meccanismo d’azione delle alte pressioni idrostatiche si
basa sul danneggiamento meccanico della membrana cellulare e della parete e il
danneggiamento degli enzimi chiave del metabolismo microbico. Le pressioni applicate in
genere variano tra 50 e 1000 MPa per tempi da alcuni minuti a un’ora. Le alte pressioni
idrostatiche si applicano sia ad alimenti liquidi sia solidi: nel caso di alimenti solidi
(prosciutto, salumi affettati e confezionati in atmosfera protettiva), questi devono essere
confezionati sotto vuoto in pellicola plastica e poi immersi nel liquido; per quelli liquidi la
pressione può essere esercitata direttamente sull’alimento, senza necessità di
confezionamento. I vantaggi di questa tecnica consistono in una migliore conservazione
delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali degli alimenti.
▪ I trattamenti ad alta pressione di omogeneizzazione o HPH (high pressure
homogeneization) sono applicati ad alimenti fluidi con valori di circa 400 MPa. In questo
caso il sistema prevede un omogeneizzatore composto da una pompa che spinge ad alta
pressione il liquido attraverso una valvola omogeneizzatrice: l’urto del liquido costretto a
passare attraverso un orifizio strettissimo ne determina la micronizzazione. Lo stress
fluido-meccanico subito dalle particelle presenti le disgrega fino a dimensioni
nanometriche. In questo modo viene rotta la membrana plasmatica dei microrganismi
con conseguente morte cellulare e riduzione della carica microbica nel fluido sottoposto
al trattamento.
RISCALDAMENTO OHMICO
La tecnologia dei campi elettrici pulsati (PEF) impiega campi elettrici che sono applicati
ad alimenti fluidi per intervalli di tempo dell’ordine dei microsecondi. I parametri che in
media sono usati prevedono campi elettrici pulsati con intensità da 15 a 50 kV/cm con
ampiezza di 1-5 ms e con frequenza variabile da 200 a 400 Hz (impulsi/secondo). Questi
campi elettrici agiscono provocando modifiche puntiformi nella struttura delle membrane
cellulari, con alterazioni della permeabilità e conseguenti alterazioni dei meccanismi di
sintesi e trasporto delle proteine e dei componenti degli involucri cellulari.
IRRADIAZIONE
L’irradiazione è una tecnica che prevede l’esposizione degli alimenti a radiazioni (onde
elettromagnetiche) per migliorarne la qualità microbiologica e aumentarne la
conservabilità. Le radiazioni ionizzanti (raggi X, radiazioni β e γ) agiscono direttamente,
sulle molecole biologiche bersaglio, oppure indirettamente, attraverso i radicali liberi che
si formano dalle molecole dell’acqua e che interagiscono con le molecole bersaglio:
macromolecole biologiche e in particolare il DNA. Le radiazioni ionizzanti sono distinte
dalle non ionizzanti come i raggi ultravioletti o UV (a lunghezza d’onda maggiore cui
corrisponde un minore contenuto energetico), che causano alterazioni nel DNA con la
formazione di dimeri timina-timina o timina-citosina. Nell’industria alimentare l’impiego
delle radiazioni provoca la morte dei microrganismi contaminanti senza alterare le
caratteristiche organolettiche.
Sono usate solo radiazioni γ per la loro alta capacità di penetrazione di circa 40 cm. In
base alle dosi di radiazione applicata, si distinguono diversi tipi di processi:
▪ Nella radappertizzazione, le dosi radianti sono molto elevate (20-50 KGy), tanto da
essere in grado di distruggere le spore di Clostridium botulinum, ma non sono
raccomandate per gli alimenti, perché provocano danni nella tessitura e comparsa di
cattivi odori.
▪ La radicidazione impiega dosi radianti non superiori a 10 KGy, tali da eliminare tutte
le cellule vegetative ma non le spore di Clostridium botulinum.
▪ La radurizzazione prevede dosi inferiori a 1 KGy, che riducono in modo significativo la
carica microbica e prolungano la conservabilità dell’alimento.
Non tutti gli alimenti possono essere trattati con le radiazioni ionizzanti: il loro impiego è
limitato, in Italia, al trattamento di patate, cipolle e aglio come antigermogliante, erbe
aromatiche essiccate, spezie, condimenti vegetali, mentre in altri Paesi sono usate in
modo meno restrittivo. La materia è disciplinata a livello internazionale dal Codex
Alimen- tarius della FAO (Food and Agricoltural Organization; 1999/2/CE e 1999/3/CE
recepite in Italia con il decreto-legge 94/2001.
AFFUMICATURA
La lenta combustione di alcuni tipi di legname libera un fumo contenente aldeidi, eteri e
acidi, a cui sono esposti cibi come carni e pesce. Tali sostanze hanno un effetto
conservante ma anche aromatizzante, conferiscono al cibo un sapore e un odore
particolari e lo rendono in alcuni casi anche particolarmente pregiato. Il trattamento di
affumicatura può essere condotto a caldo fra i 60 e i 100 °C oppure a freddo a una
temperatura di circa 25 °C e con una esposizione al fumo più prolungata.
DISIDRATAZIONE O ESSICCAMENTO
LIOFILIZZAZIONE
Una delle tecniche più antiche per la conservazione dei cibi è la salagione, che porta alla
creazione di un ambiente osmoticamente sfavorevole alla sopravvivenza dei germi
provocando la fuoriuscita di acqua dalle loro cellule. I microrganismi alofili sono
comunque in grado di sopportare concentrazioni saline piuttosto elevate e possono
quindi sopravvivere facilmente, rappresentando un pericolo. La salagione si può
effettuare a secco o a umido.
▪ La salagione a secco si usa per conservare i prosciutti che sono accuratamente cosparsi
di sale in superficie per sfregamento;
▪ La salagione a umido avviene per mezzo di salamoie con concentrazioni di NaCl dal 10
al 30% circa. Il trattamento è fatto con l’immersione diretta dell’alimento nella soluzione
salina, oppure con l’iniezione della salamoia nella massa dell’alimento. La composizione
della salamoia può subire variazioni nel tempo per lo sviluppo di sostanze secondarie
(ammoniaca e acidi diversi), per cui deve essere periodicamente rinnovata.
L’aggiunta di zucchero in concentrazioni del 60% circa permette di conservare alimenti
diversi (per esempio, marmellate e gelatine di frutta) sulla base dello stesso principio
della salagione.
L’olio impedisce il contatto dei cibi con l’ossigeno, quindi questa modalità di
conservazione non si basa su alcun effetto battericida. I germi anaerobi (soprattutto il
Clostridium botulinum) riescono perciò agevolmente a sopravvivere, le loro spore a
germinare e a produrre tossine. L’impiego dell’olio è quindi sicuro solo se abbinato ad
altri procedimenti come pastorizzazione, sterilizzazione, acidificazione con aceto e
salagione. Molti vegetali conservati sott’olio devono prima essere cotti in aceto; il tonno
viene cotto e inscatolato con olio d’oliva, poi i contenitori sono sigillati, lavati e sterilizzati
a 121 °C. Le conserve sott’aceto sono impiegate per alcuni ortaggi e per certi tipi di
pesce. L’ambiente acido impedisce oppure ostacola fortemente la proliferazione della
maggior parte dei microrganismi potenzialmente contaminanti, ma è comunque
opportuno sbollentare preventivamente l’alimento per poi conservarlo in un contenitore
non a contatto con l’aria.
PEPERONCINI SOTT’OLIO
Le conserve di peperoncini sott’olio sono una prassi che ha origini antiche; infatti,
tramite questa pratica è possibile mantenere, per un tempo più o meno lungo, le
principali caratteristiche organolettiche (consistenza, sapore, odore, colore) dell’alimento
e preservarlo da alterazioni che ne comprometterebbero la commestibilità. L’olio permette
una discreta conservazione del prodotto eliminando la disponibilità d’aria ai
microrganismi degradativi che possono influire sulla qualità del peperoncino. L'olio non è
un vero e proprio antimicrobico ed è, anzi, soggetto a sua volta ad alterazioni. Questo
conservante agisce isolando il peperoncino dall'aria e ostacolando perciò la crescita dei
microrganismi aerobi. Non ha invece alcuna azione sugli anaerobi (botulino). L'azione
conservativa dell'olio è perciò piuttosto blanda e si combina sempre con altri metodi. I
peperoncini, infatti, subiscono sempre un pretrattamento di cottura o di salagione, e una
successiva sterilizzazione.
L’alcol etilico al 70% è un buon conservante, anche se inefficace nei confronti delle spore
batteriche. È usato per la conservazione di ciliegie e uva; agisce solubilizzando i lipidi di
membrana, svolge un’azione disidratante e denaturante sulle proteine.
UVA IN ALCOL
La conservazione sotto alcol dell’uva viene utilizzata per produrre conserve a lunga
durata, in concentrazioni alcoliche dal 50 al 70%. L’alcol è letale per tutte le forme
vegetative ma non nei confronti delle spore batteriche. L’utilizzo ad alte concentrazioni lo
rende inadatto per molti prodotti, per cui tale metodo è limitato solo alle conserve di
frutta tradizionalmente denominate sotto spirito.
CONSERVAZIONE MEDIANTE
FERMENTAZIONE
La creazione di un ambiente acido, che è inospitale per gran parte dei microrganismi,
conseguente all’attività fermentativa, è una tecnica di conservazione antica ed efficace.
La trasformazione del latte in prodotti acidi (yogurt e latti fermentati) a opera di batteri
lattici e la conservazione di cavoli, cetrioli e olive sono esempi molto comuni. Anche gli
insaccati sono preparati e conservati aggiungendo fermenti lattici. Un presupposto
imprescindibile per questo tipo di conservazione è l’esigenza di sottoporre gli alimenti da
conservare a un pretrattamento: così per la preparazione di salami e altri insaccati le
carni devono essere macinate, mentre i foraggi vanno trinciati prima di immagazzinarli in
un silos. L’azione acidificante può essere provocata da microrganismi presenti
naturalmente nell’alimento o dall’inoculazione di ceppi selezionati, come avviene
comunemente nelle preparazioni industriali (insaccati, yogurt, formaggi).