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CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

CONSERVAZIONE CON MEZZI FISICI


 ALTE TEMPERATURE
- STERILIZZAZIONE
- PASTORIZZAZIONE
 BASSE TEMPERATURE
- REFRIGERAZIONE
- CONGELAMENTO
- SURGELAZIONE
 ALTE PRESSIONI
 RISCALDAMENTO OHMICO
 CAMPI ELETTRICI PULSATI
 IRRADIAZIONE
 AFFUMICATURA
 DISIDRATAZIONE O ESSICCAMENTO
 LIOFILIZZAZIONE

CONSERVAZIONE CON MEZZI CHIMICI


 SALAGIONE E ZUCCHERAGGIO
 CONSERVAZIONE CON ACETO O OLIO
 CONSERVAZIONE CON ALCOL
 CONSERVAZIONE MEDIANTE FERMENTAZIONE

CONSERVAZIONE CON MEZZI FISICI


ALTE TEMPERATURE

I trattamenti termici sono i processi più diffusi nell’industria per la stabilizzazione dei
prodotti alimentari. L’obiettivo di tali trattamenti consiste nella riduzione o eliminazione
dei microrganismi patogeni o degradativi, che permettono un prolungamento della shelf-
life del prodotto. Le alte temperature hanno azione battericida e inattivano gli enzimi per
denaturazione. Il trattamento termico è scelto in base alla natura dell’alimento e
all’obiettivo da raggiungere, con un compromesso fra sicurezza igienico/sanitaria
(assenza di rischi per il consumatore) e salvaguardia delle caratteristiche organolettiche.
Le diverse combinazioni di tempi e temperature di trattamento sono scelte anche in base
alla termoresistenza dei microrganismi da eliminare. I parametri fondamentali che
riguardano la termoresistenza dei microrganismi a cui si fa riferimento in microbiologia
industriale sono: il punto di morte termica (TDP), il tempo D (tempo di riduzione
decimale), il valore Z (incremento di temperatura necessario a ridurre di 10 volte il tempo
D) . Generalmente la crescita microbica può avvenire fra i -5 °C e i +90 °C, e si verifica
frequentemente nell’intervallo fra 0 °C e 60 °C. Ogni specie ha il proprio optimum di
temperatura e per questo varia la temperatura necessaria per uccidere i microrganismi:
in genere i Gram positivi sono più resistenti dei Gram negativi; le muffe, i lieviti e le loro
spore sono piuttosto sensibili al calore, al contrario di quelle batteriche che mostrano
un’elevata resistenza alle alte temperature.

STERILIZZAZIONE
La sterilizzazione è una tecnica che permette di eliminare da un substrato ogni forma di
microbica, incluse le spore batteriche, le forme più resistenti. Le tecniche di
sterilizzazione prevedono l’impiego di temperature superiori ai 100°C, in particolare, una
sterilizzazione efficace si realizza con un trattamento a 121 °C per 20 minuti. Tuttavia,
una sterilizzazione completa, a causa delle alte temperature impiegate, comporterebbe
gravi alterazioni delle caratteristiche organolettiche e del valore nutrizionale degli
alimenti. Pertanto, in campo alimentare si può parlare di sterilizzazione commerciale,
un trattamento termico impiegato per eliminare i microrganismi patogeni o alteranti che
possono proliferare nell’alimento durante la filiera alimentare. In particolare, la sterilità
commerciale corrisponde al tempo necessario per ridurre di 12 logaritmi il numero di
spore attive rispetto a quelle presenti in origine. La sterilizzazione commerciale prevede
trattamenti che impiegano temperature tra i 115 e i 150°C, per periodi di tempo diversi a
seconda delle caratteristiche dell’alimento da trattare e degli obiettivi che si desiderano
raggiungere.
STERILIZZAZIONE DEL LATTE
Il latte crudo, destinato alla commercializzazione per il consumo umano, deve essere
trattato con alte temperature prima del confezionamento, che deve avvenire in contenitori
chiusi. Tra i trattamenti termici che garantiscono la sicurezza del latte c’è la
sterilizzazione. La sterilizzazione è un trattamento che consiste nel riscaldamento
continuo del latte crudo, ad almeno 135°C per non meno di un secondo o a temperature
più basse (116-120°C) per tempi più lunghi (circa 20 minuti), al fine di eliminare
microrganismi e spore. Il latte sterilizzato è confezionato in recipienti sterili e opachi in
modo da ridurre al minimo le variazioni chimiche, fisiche, di odore e di sapore, cioè le
caratteristiche organolettiche. Secondo le normative in vigore, il latte sterilizzato si
distingue in:

 latte sterilizzato a lunga conservazione, se la sterilizzazione è eseguita in


contenitori chiusi per circa 20 minuti a 116-120 °C

 latte  UHT  a lunga conservazione, se il latte è riscaldato a 131-150°C per 1-5


secondi, mediante contatto diretto o indiretto con vapore acqueo, e poi confezionato
in contenitori sterili.

La conservazione di questi due prodotti è rispettivamente di 6 mesi per il latte sterilizzato


e di 3-6 mesi per il latte UHT( ULTRA HIGH TEMPERATURE). Il latte sterilizzato con
entrambe le procedure può essere conservato a temperatura ambiente ma, una volta
aperta la confezione, deve essere mantenuto in frigo e consumato entro 3-4 giorni. Il
vantaggio della sterilizzazione consiste non solo nei tempi di conservazione più lunghi ma
anche nel rendere più semplice il trasporto e lo stoccaggio e nella superiore sicurezza
igienica. Le più elevate temperature a cui è sottoposto il latte nella sterilizzazione rispetto
alla pastorizzazione (stress termico) determinano una perdita consistente di vitamine
cosiddette idrosolubili, poco resistenti al calore, come l'acido folico e le vitamine B1 e
B12. Al contrario, la vitamina B2 è più sensibile all'azione della luce, per cui è
importante che i contenitori non siano trasparenti. Per il latte UHT, tuttavia, poiché i
tempi di trattamento sono molto brevi, si tratta di riduzioni “accettabili” di sostanze
nutritive, soprattutto quando l'alimentazione nel suo complesso è varia ed equilibrata. La
scelta del latte pastorizzato o sterilizzato dipende spesso da questioni di comodità (ad
esempio, non dover essere obbligati a fare la spesa tutti i giorni) e di gusto (i cultori del
latte faticano ad accettare il sapore del latte sterilizzato, che ha un sentore di “cotto”).

PASTORIZZAZIONE
La pastorizzazione è un trattamento termico di sanitizzazione che prevede l’impiego di
temperature meno elevate rispetto ai trattamenti di sterilizzazione. Tale tecnica permette
di eliminare batteri patogeni, flora microbica saprofita e di disattivare gli enzimi, senza
alterare le caratteristiche organolettiche dell’alimento. La pastorizzazione prevede
l’impiego di temperature inferiori ai 100°C, pertanto le spore batteriche non vengono
distrutte, ma permette di conferire stabilità al prodotto finale e rende l’alimento adatto al
consumo. La tecnica di pastorizzazione è utilizzata soprattutto per latte, vino, birra e
succhi di frutta, ed è di solito seguita da un rapido raffreddamento. I prodotti pastorizzati
sono definiti semiconserve.
PASTORIZZAZIONE DELLA BIRRA
Lo scopo della pastorizzazione è aumentare la shelf-life della birra, grazie all’inattivazione
di tutti i microrganismi presenti e di enzimi responsabili di modificazioni chimiche
indesiderate. Questo trattamento termico consente quindi di ottenere una stabilità
biologica del prodotto finito. Poiché il calore può avere effetti negativi sulle caratteristiche
organolettiche della birra, il trattamento termico deve essere più limitato possibile,
compatibilmente con gli obbiettivi che si prefigge e con il mantenimento della qualità del
prodotto. Parametri fondamentali del processo di pastorizzazione sono il tempo e
temperatura. La pastorizzazione della birra può essere effettuata dopo l’imbottigliamento
o dopo l’infustamento.
Sulla base di ciò si distinguono due tecniche di pastorizzazione:
 Pastorizzazione a tunnel: sistema impiegato per la birra già imbottigliata o in
fusti;
 Pastorizzazione flash: attuata direttamente sulla birra prima
dell’imbottigliamento;
In entrambi i casi, la pastorizzazione è costituita da tre fasi:
la prima consiste nell’aumentare la temperatura del prodotto fino a 60- 70°C. La seconda
fase prevede di mantenere tale temperatura per un tempo che oscilla da 15 a 30 minuti,
a seconda della temperatura applicata, la terza fase consiste nel riportare la birra alla
temperatura iniziale. Entrami i sistemi sono considerati fondamentali nel contesto
industriale per stabilizzare la birra, renderla capace di lunghe shelf-life e di resistere
anche a non ottimali condizioni di conservazione durante la commercializzazione.

BASSE TEMPERATURE

Le basse temperature hanno un effetto batteriostatico, agiscono cioè bloccando la


riproduzione dei microrganismi in quanto non permettono il regolare svolgimento delle
reazioni enzimatiche cellulari. Ma, in molti casi, quando la temperatura scende a livelli
estremamente bassi, avviene la morte delle cellule microbiche (effetto battericida).
L’impiego del freddo si è sviluppato grazie alla diffusa commercializzazione dei prodotti
alimentari trasformati industrialmente, che necessitano di un’ininterrotta catena del
freddo per tutto il periodo della loro conservazione fino al momento del consumo.
A seconda dell’esigenza di una conservazione protratta per periodi di tempo più o meno
lunghi, sono impiegate temperature di trattamento diverse.

REFRIGERAZIONE
Con la tecnica di refrigerazione l’alimento è raffreddato e mantenuto a temperature tra 0
e 6°C, anche sottovuoto o in atmosfera controllata. Tale tecnica è ampliamente utilizzata
per le materie prime, i semilavorati e per la conservazione di vari prodotti alimentari per
uso domestico o per la ristorazione collettiva. La refrigerazione non impedisce lo sviluppo
di tutti i microrganismi, come i germi psicrofili, in grado di resistere a basse temperature.
Pertanto, la conservabilità dei prodotti refrigerati è limitata nel tempo e, in generale,
aumenta all’abbassarsi della temperatura di refrigerazione (quanto più è prossima agli
0°C, tanto più lunga sarà la conservabilità dell’alimento).
Risultano quindi estremamente dannosi gli sbalzi di temperatura, in quanto, a causa di
un aumento improvviso della temperatura i microrganismi potrebbero iniziare a
riprodursi, rendendo l’alimento inadatto al consumo. Tra i fattori che possono
condizionare la conservabilità di un prodotto refrigerato, ci sono:
-Il tipo di microrganismi contaminanti;
-La velocità di penetrazione del freddo, quanto più elevata, tanto più lunga è la
conservabilità;
-L'umidità presente nel prodotto, specialmente quella superficiale;

 ATMOSFERA MODIFICATA O CONTROLLATA


La refrigerazione degli alimenti può essere accompagnata dal confezionamento del
prodotto in atmosfera protettiva, sostituendo la normale atmosfera con una miscela di
gas di diversa composizione. Si può realizzare con due tecniche diverse:
-L'atmosfera controllata (CAP), è presente all'interno di celle frigorifere stagne per la
conservazione di frutta e fiori. La composizione dell'atmosfera risulta in media 92-95% 
di azoto, 2-4% di diossido di carbonio, e 3-4% di ossigeno.
-L'atmosfera modificata o protetta è presente all'interno di confezioni sigillate pronte
alla vendita, con miscele di gas in proporzioni variabili di diossido di carbonio combinato
con ossigeno o azoto, oppure con azoto e ossigeno insieme.
La CO2 è un discreto antimicrobico, in particolare se associato all’impiego di basse
temperature; l’azoto rallenta l’irrancidimento dei grassi e possiede allo stesso tempo
un’azione antisettica; la bassa percentuale di ossigeno presente impedisce lo sviluppo di
germi anaerobi e mantiene più a lungo il colore rosso delle carni.
La composizione dell’atmosfera modificata non è ulteriormente controllata durante la
conservazione, e può subire variazioni conseguenti all’assorbimento o all’emissione di gas
per la non perfetta tenuta del contenitore, in genere un film plastico, e la «respirazione»
del prodotto. In questi casi si realizza piuttosto un’atmosfera modificata in equilibrio
(EMA), soprattutto nelle confezioni di frutta e vegetali.
Le tecniche di conservazione in atmosfera protettiva hanno consentito di superare i limiti
tecnologici del confezionamento sottovuoto, che consiste nell’introdurre il prodotto in
sacchetti di plastica per poi togliere l’aria presente al suo interno. Questa tecnica, che è
impiegata per diversi prodotti come caffè e riso e che ha il vantaggio di impedire lo
sviluppo dei germi aerobi più frequentemente responsabili delle alterazioni degli alimenti,
non può essere estesa a tutti i prodotti, in particolare a quelli freschi o precucinati, per
ragioni legate al tipo di prodotto e alla sua presentazione commerciale.

REFRIGERAZIONE DELLE UOVA


Nell’ambito della filiera delle uova le norme igienico-sanitarie delle quali tener conto sono
da rifarsi al Reg. (CE) n. 852/2004 e alla Sezione X del Reg. (CE) n. 853/2004 Capitolo I,
il quale recita:
1. Nei locali del produttore e fino al momento in cui vengono vendute al consumatore, le
uova vanno conservate pulite, all’asciutto e al riparo da odori estranei, protette in modo
efficace dagli urti e sottratte all’esposizione diretta ai raggi solari.
2. Le uova vanno immagazzinate e trasportate alla temperatura più adatta, preferibilmente
costante, per garantire una conservazione ottimale delle loro caratteristiche igieniche.
3. Le uova devono essere consegnate al consumatore entro un termine di ventun giorni
dalla data di deposizione.
Le uova refrigerate lasciate a temperatura ambiente possono generare una condensa che
facilita la proliferazione di batteri sul guscio e probabilmente il loro ingresso nell’uovo. È
pertanto opportuno che le uova siano immagazzinate e trasportate di preferenza a una
temperatura costante e che di norma non siano refrigerate prima della vendita al
consumatore finale.
Ed è proprio in virtù di ciò, che le Aziende preferiscono far sostare le uova dal momento
della deposizione al momento della vendita ad una temperatura ambiente per poi dare
indicazioni chiare in etichetta sul dover conservare, da parte del consumatore, il prodotto
in frigorifero ad una temperatura di +4°C sino al momento del consumo.

CONGELAMENTO
Il congelamento fa penetrare il freddo all’interno dell’alimento fino a portarlo a
temperature di circa -40 °C. La penetrazione del freddo non deve obbligatoriamente
avvenire in modo veloce: ciò differenzia il congelamento dalla surgelazione. La lentezza
del processo penalizza le caratteristiche organolettiche dell’alimento così trattato, in
quanto porta alla formazione di cristalli di ghiaccio di dimensioni tali da danneggiare
l’integrità di cellule e tessuti. La conservazione dei prodotti congelati si prolunga fino a
diversi mesi, ma molti enzimi, tossine e spore non sono completamente eliminati.

CONGELAMENTO DELLA CARNE


Fra i vari metodi di conservazione della carne, il congelamento è sicuramente il più
efficiente, sicuro e duraturo. Per quanto riguarda la durata della carne in freezer, è
importante fare una distinzione fra la conservazione delle sue caratteristiche
organolettiche ed invece i tempi in cui la carne resta sicura per il consumo, anche dopo
aver subito nel tempo una modifica di sapore, odore e aspetto. Se per durata della carne
nel freezer si intendono le tempistiche entro cui le caratteristiche organolettiche e
nutrizionali della stessa non vanno a modificarsi, queste variano notevolmente in base al
tipo di carne, alla lavorazione, al contenuto di grasso e, ovviamente, alla temperatura del
congelatore (minore la temperatura, maggiori i tempi di conservazione).
Tempi medi di conservazione per i vari tipi di carne a -18°C e a -30°C:
Carne di manzo: 9 mesi a -18°C; 18 mesi a -30°C;
Carne di maiale: 4 mesi a -18°C; 15 mesi a -30°C;
Carne di vitello: 6 mesi a -18°C; 18 mesi a -30°C;
Carne di agnello: 6 mesi a -18°C; 18 mesi a -30°C;
Carne di selvaggina: 10 mesi a -18; 12 mesi a -30°C;
Per quanto riguarda invece la carne macinata congelata, i tempi massimi di
conservazione sono di circa 3 o 4 mesi, se chiusa ermeticamente. Si tratta infatti di un
taglio di carne il cui deperimento è abbastanza rapido.
Tempi eccessivamente prolungati all’interno del congelatore possono inoltre comportare
che la carne si “bruci”: quando la carne si brucia da congelamento assume un colorito
grigiastro o grigio-marrone e perde l’umidità dalla superficie, diventando secca e dura,
con una consistenza granulosa.

SURGELAZIONE
Nella surgelazione il freddo è fatto penetrare molto velocemente nell’alimento, che deve
essere preventivamente confezionato in un contenitore sigillato. Devono essere raggiunti i
-18 °C in profondità entro un tempo massimo di 4 ore, con una velocità di penetrazione
del freddo pari a 2 cm/ora. La temperatura di -18 °C deve essere mantenuta
ininterrottamente fino al momento della vendita del prodotto e per tutto il periodo di
conservazione fino al consumo. La surgelazione è qualitativamente superiore al
congelamento, in quanto cellule e tessuti non subiscono danni rilevanti: ciò è dovuto
soprattutto alla formazione di cristalli di ghiaccio di piccole dimensioni e alla
contemporanea congelazione di tutti i liquidi presenti, sia quelli endocellulari che quelli
interstiziali. Le caratteristiche organolettiche originali del prodotto sono così preservate in
maniera pressoché ottimale.

SURGELAZIONE DELLE VERDURE


Il processo di surgelazione delle verdure avviene quando gli ortaggi giungono al punto di
maturazione ottimale. Le verdure vengono lavorate immediatamente vicino al luogo della
raccolta, o, comunque, conservate per tempi estremamente ridotti. Come prima cosa,
vengono mondate, lavate, talvolta tagliate in pezzi più piccoli e sottoposte a scottatura.
Solo a questo punto si passa alla tecnica di surgelazione delle verdure vera e propria.
Surgelare le verdure significa portarle in brevissimo tempo a una temperatura inferiore ai
-18°C. La rapidità di raffreddamento comporta la formazione di microcristalli, talmente
piccoli da non danneggiare la struttura biologica dell'alimento. Dal momento dell'effettiva
surgelazione, la catena del freddo delle verdure va rispettata scrupolosamente, dalla
produzione fino al punto vendita.
Ai fini nutrizionali, vegetali freschi e surgelati sono sostanzialmente equivalenti. In altre
parole, con la surgelazione non si assiste ad alcuna perdita significativa di
macronutrienti, né di vitamine, minerali e altre sostanze di cui questi alimenti sono
generalmente ricchi. Le proprietà delle verdure surgelate, al pari di altre caratteristiche
come struttura, gusto e aroma, vengono infatti garantite dal rapido abbattimento della
temperatura e dalla prontezza della lavorazione, che avviene subito dopo il momento
della raccolta, quando gli ortaggi presentano il loro picco massimo di nutrienti

ALTE PRESSIONI

L’applicazione delle alte pressioni per la conservazione degli alimenti (HPP, high pressure
processing) è relativamente recente e comprende due tecnologie:
▪ Trattamenti ad alta pressione idrostatica o HHP (high hydrostatic pressure). La
pressione è trasmessa in modo uniforme e istantaneamente in ogni punto del prodotto
(processo isostatico) e senza variazioni di temperatura all’aumento della pressione
applicata (processo adiabatico). Il meccanismo d’azione delle alte pressioni idrostatiche si
basa sul danneggiamento meccanico della membrana cellulare e della parete e il
danneggiamento degli enzimi chiave del metabolismo microbico. Le pressioni applicate in
genere variano tra 50 e 1000 MPa per tempi da alcuni minuti a un’ora. Le alte pressioni
idrostatiche si applicano sia ad alimenti liquidi sia solidi: nel caso di alimenti solidi
(prosciutto, salumi affettati e confezionati in atmosfera protettiva), questi devono essere
confezionati sotto vuoto in pellicola plastica e poi immersi nel liquido; per quelli liquidi la
pressione può essere esercitata direttamente sull’alimento, senza necessità di
confezionamento. I vantaggi di questa tecnica consistono in una migliore conservazione
delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali degli alimenti.
▪ I trattamenti ad alta pressione di omogeneizzazione o HPH (high pressure
homogeneization) sono applicati ad alimenti fluidi con valori di circa 400 MPa. In questo
caso il sistema prevede un omogeneizzatore composto da una pompa che spinge ad alta
pressione il liquido attraverso una valvola omogeneizzatrice: l’urto del liquido costretto a
passare attraverso un orifizio strettissimo ne determina la micronizzazione. Lo stress
fluido-meccanico subito dalle particelle presenti le disgrega fino a dimensioni
nanometriche. In questo modo viene rotta la membrana plasmatica dei microrganismi
con conseguente morte cellulare e riduzione della carica microbica nel fluido sottoposto
al trattamento.

TRATTAMENTI AD ALTE PRESSIONI DEI SUCCHI DI FRUTTA


Il trattamento a freddo ad alta pressione (HPP), è un processo che sottopone i succhi
a elevate pressioni idrostatiche per la “pastorizzazione a freddo” che elimina i
microorganismi indesiderati.
La tecnologica HPP, a differenza della pastorizzazione termica, che riscalda a temperature
oltre i 75°C e poi raffredda i prodotti, non modifica il contenuto naturale della frutta, che
semplicemente viene spremuta a freddo (temperatura massima entro i 12°C). Si ottiene
in questo modo un succo di frutta fresco, dall’ottimo valore nutrizionale e che conserva
eccellenti caratteristiche organolettiche.

RISCALDAMENTO OHMICO

La tecnica del riscaldamento ohmico prevede l’applicazione a un alimento ad alto


contenuto di solidi (salse, conserve, giardiniere, macedonie) di una corrente elettrica che
ne provoca il riscaldamento, in conseguenza della resistenza elettrica che l’alimento
presenta. Questo parametro è di rilevanza fondamentale: se la resistenza è troppo alta,
l’alimento non si riscalda; mentre se è troppo bassa, non c’è il passaggio di corrente. Il
vantaggio del riscaldamento ohmico rispetto ai trattamenti termici tradizionali consiste in
una più omogenea, efficiente e rapida dispersione del calore in tutta la massa
dell’alimento (non ci sono punti freddi) con perdite di qualità e consumi energetici
decisamente inferiori.

RISCALDAMENTO OHMICO DELLA SALSA DI POMODORO


Il riscaldamento ohmico della passata di pomodoro è un elettro-riscaldamento che
consiste nel passaggio diretto di corrente elettrica attraverso l’alimento, utilizzando una
apposita cella contenente due elettrodi. Tale tecnica consente di riscaldare molto
rapidamente la salsa di pomodoro, e altri alimenti semisolidi o solidi, attraverso la
generazione di calore all’interno degli alimenti stessi. Poiché la salsa non viene
surriscaldata, non trattandosi di un convenzionale riscaldamento per conduzione
dall’esterno verso il cuore, si evita lo scadimento qualitativo e sensoriale dell’alimento (es.
sapore di cotto, aspetto imbrunito, perdita del colore brillante, perdita di aromi). Si ha
quindi la possibilità di ottenere una passata di pomodoro che conservi spiccate
caratteristiche sensoriali, quasi come se fosse fatta in casa. Ulteriori vantaggi del
riscaldamento ohmico sono rappresentati dalla velocità, con conseguente accorciamento
dei tempi di processo e spesso rese produttive maggiori, e dalla maggiore efficacia
nell’abbattimento microbico, con l’ottenimento di prodotti più sicuri e meglio conservabili
nel tempo.

CAMPI ELETTRICI PULSATI

La tecnologia dei campi elettrici pulsati (PEF) impiega campi elettrici che sono applicati
ad alimenti fluidi per intervalli di tempo dell’ordine dei microsecondi. I parametri che in
media sono usati prevedono campi elettrici pulsati con intensità da 15 a 50 kV/cm con
ampiezza di 1-5 ms e con frequenza variabile da 200 a 400 Hz (impulsi/secondo). Questi
campi elettrici agiscono provocando modifiche puntiformi nella struttura delle membrane
cellulari, con alterazioni della permeabilità e conseguenti alterazioni dei meccanismi di
sintesi e trasporto delle proteine e dei componenti degli involucri cellulari.

CAMPI ELETTRICI PULSATI APPLICATI AL VINO


Numerose ricerche hanno dimostrato come la tecnologia PEF può, in molti casi, ridurre i
tempi di lavorazione e migliorare la resa di estrazione.
Il trattamento delle uve con campi elettrici pulsati, nel processo di vinificazione, può
essere sfruttato per il miglioramento dell’estrazione dei polifenoli in fase di macerazione
per la produzione di vino rosso, con conseguente riduzione dei tempi. Il vino prodotto con
l’ausilio del PEF non presenta un profilo sensoriale alterato, inoltre, il suo più elevato
contenuto in polifenoli è ben mantenuto durante l’invecchiamento.

IRRADIAZIONE

L’irradiazione è una tecnica che prevede l’esposizione degli alimenti a radiazioni (onde
elettromagnetiche) per migliorarne la qualità microbiologica e aumentarne la
conservabilità. Le radiazioni ionizzanti (raggi X, radiazioni β e γ) agiscono direttamente,
sulle molecole biologiche bersaglio, oppure indirettamente, attraverso i radicali liberi che
si formano dalle molecole dell’acqua e che interagiscono con le molecole bersaglio:
macromolecole biologiche e in particolare il DNA. Le radiazioni ionizzanti sono distinte
dalle non ionizzanti come i raggi ultravioletti o UV (a lunghezza d’onda maggiore cui
corrisponde un minore contenuto energetico), che causano alterazioni nel DNA con la
formazione di dimeri timina-timina o timina-citosina. Nell’industria alimentare l’impiego
delle radiazioni provoca la morte dei microrganismi contaminanti senza alterare le
caratteristiche organolettiche.
Sono usate solo radiazioni γ per la loro alta capacità di penetrazione di circa 40 cm. In
base alle dosi di radiazione applicata, si distinguono diversi tipi di processi:
▪ Nella radappertizzazione, le dosi radianti sono molto elevate (20-50 KGy), tanto da
essere in grado di distruggere le spore di Clostridium botulinum, ma non sono
raccomandate per gli alimenti, perché provocano danni nella tessitura e comparsa di
cattivi odori.
▪ La radicidazione impiega dosi radianti non superiori a 10 KGy, tali da eliminare tutte
le cellule vegetative ma non le spore di Clostridium botulinum.
▪ La radurizzazione prevede dosi inferiori a 1 KGy, che riducono in modo significativo la
carica microbica e prolungano la conservabilità dell’alimento.

Non tutti gli alimenti possono essere trattati con le radiazioni ionizzanti: il loro impiego è
limitato, in Italia, al trattamento di patate, cipolle e aglio come antigermogliante, erbe
aromatiche essiccate, spezie, condimenti vegetali, mentre in altri Paesi sono usate in
modo meno restrittivo. La materia è disciplinata a livello internazionale dal Codex
Alimen- tarius della FAO (Food and Agricoltural Organization; 1999/2/CE e 1999/3/CE
recepite in Italia con il decreto-legge 94/2001.

IRRADIAZIONE DELLE SPEZIE


Le spezie sono spesso contaminate da microrganismi a causa delle condizioni ambientali
e di processo a cui sono sottoposte. I trattamenti termici utilizzati per sanificarle possono
comprometterne la qualità, mentre altri metodi possono indurre effetti indesiderati per
l’uomo. Il trattamento con radiazioni ionizzanti, invece, rappresenta una valida
alternativa a garanzia di un prodotto sicuro e di qualità. L’irradiazione delle spezie
attualmente è praticata in più di 20 paesi in tutto il mondo, a livelli di dose compresi tra
7÷50 kGy, limitati a 10 kGy dalla legislazione europea.

AFFUMICATURA

La lenta combustione di alcuni tipi di legname libera un fumo contenente aldeidi, eteri e
acidi, a cui sono esposti cibi come carni e pesce. Tali sostanze hanno un effetto
conservante ma anche aromatizzante, conferiscono al cibo un sapore e un odore
particolari e lo rendono in alcuni casi anche particolarmente pregiato. Il trattamento di
affumicatura può essere condotto a caldo fra i 60 e i 100 °C oppure a freddo a una
temperatura di circa 25 °C e con una esposizione al fumo più prolungata. 

AFFUMICATURA DEL SALMONE


L’affumicatura del salmone si utilizza fin da tempi antichissimi, non solo per
conservare il pesce ma anche per esaltarne il sapore grazie al singolare aroma del
fumo della legna di quercia e olmo. L’affumicatura del salmone viene effettuata con la
tecnica a freddo ad una temperatura compresa tra i 10°C e i 32°C. L’affumicatura a
freddo non cuoce i cibi ma li modifica a livello chimico nello strato pi ù superficiale
della carne. Oltre a donare un gusto caratteristico, i composti assorbiti dal salmone
hanno un’azione battericida e disinfettante, per questo motivo in passato si usava
l’affumicatura anche per aumentare i tempi di conservazione delle carni. Il processo
industriale di affumicatura del salmone impone il posizionamento del filetto disteso su
una grata, questo è necessario per ottimizzare gli spazi nel forno di affumicatura.
Inoltre, può essere utilizzata la tecnica di disposizione del salmone denominata
“impiccagione”, secondo cui il salmone viene appeso per la coda o in qualche caso per
la testa, che conferisce alle carni una consistenza diversa rispetto al classico processo
industriale.

DISIDRATAZIONE O ESSICCAMENTO

La disidratazione o essiccamento è un'ottima tecnica di conservazione degli alimenti che


consiste nel sottrarre l’acqua disponibile (o acqua libera, aw) ai microrganismi
contaminanti. Molti alimenti di origine vegetale o animale, esposti per un periodo più o
meno lungo all’aria secca e al sole, perdono gran parte del loro contenuto di acqua e
possono essere conservati a lungo. È il caso, per esempio, di funghi e pomodori fra i
vegetali e dello stoccafisso fra il pesce. A livello industriale il processo avviene negli
essiccatoi ad aria calda, con la polverizzazione in camera di essiccamento o con
l’essiccamento sotto vuoto

ESSICCAMENTO DEI FUNGHI


I metodi per la conservazione dei funghi sono numerosi, tra i più comuni ci sono il
mantenimento sott’olio, sott’aceto, il congelamento da crudi o da cotti, il sottovuoto e
l’essiccamento. Quest’ultima è la pratica più efficace per una conservazione ottimale, in
quanto preserva tutte le caratteristiche organolettiche, nonché di sapore e di nutrimento
tipiche dei funghi. L’essiccamento a livello industriale dei funghi viene realizzato in
impianti professionali provvisti di forni con più piani di vassoi (di solito dai cinque ai
dieci) e un sistema di riscaldamento e di circolazione dell’aria, che asciugano
correttamente i funghi e ricreano le condizioni ambientali ideali per l’essiccamento,
adatte ad ogni esigenza produttiva professionale.

LIOFILIZZAZIONE

Il procedimento di liofilizzazione consiste nel trattare l’alimento, preventivamente


congelato, in una camera di sublimazione, dove l’acqua presente passa direttamente
dallo stato solido a quello di vapore ( freeze drying). Gli alimenti liofilizzati mantengono le
proprietà nutritive inalterate rispetto a quelli freschi e si conservano per anni,
riacquistando le loro tipiche caratteristiche organolettiche con la semplice aggiunta di
acqua (come caffè, preparati per zuppe o minestre).

LIOFILIZZAZIONE DEL CAFFE’


Il caffè liofilizzato, comunemente noto come caffè solubile o istantaneo, è un composto
ricavato a partire dal caffè concentrato che viene privato del liquido con un processo
chimico-fisico.
Il processo di liofilizzazione non modifica in alcun modo le caratteristiche organolettiche
del caffè, che restano simili a quelle di un caffè normale sia per quanto riguarda il gusto,
sia per la concentrazione di caffeina, presente però in quantità minori. Restano invariate
anche tutte le proprietà benefiche, tra cui l’accelerazione del metabolismo, l’apporto
energetico, la concentrazione di antiossidanti e altri elementi come magnesio, potassio e
vitamina B3.
Il caffè solubile presenta però una maggiore concentrazione di polifenoli a causa dei
processi di disidratazione a cui è sottoposto. I polifenoli sono composti fitochimici
importanti per l’organismo in quanto aiutano a prevenire eventuali malattie
cardiovascolari.

I chicchi di caffè sono sottoposti a 7 passaggi di lavorazione prima di essere trasformati


in un prodotto freeze-dried:
1. Tostatura: permette lo sviluppo del caratteristico colore, sapore e aroma del caffè.
2. Macinazione.
3. Estrazione con acqua dei componenti solubili.
4. Crioconcentrazione: con la riduzione della temperatura (-5°C), l’acqua si trasforma in
cristalli di ghiaccio che vengono successivamente allontanati. Grazie a questa tecnica di
concentrazione non vengono eliminati i componenti volatili del caffè e viene preservata al
meglio la sua qualità di partenza.
5. Foaming: incorporamento di aria nella massa, questo passaggio garantisce una maggiore
solubilità del caffè finale.
6. Liofilizzazione: la massa spumosa ottenuta viene surgelata a -50°C, granulata e
successivamente inserita in una camera sottovuoto, dove avviene la sublimazione del
ghiaccio residuo.
7. Macinazione e setacciatura: la lastra di caffè solido così ottenuta viene poi rotta in
scagliette solubili, che contengono tutte le proprietà originali del caffè di partenza.

CONSERVAZIONE CON MEZZI


CHIMICI
SALAGIONE E ZUCCHERAGGIO

Una delle tecniche più antiche per la conservazione dei cibi è la salagione, che porta alla
creazione di un ambiente osmoticamente sfavorevole alla sopravvivenza dei germi
provocando la fuoriuscita di acqua dalle loro cellule. I microrganismi alofili sono
comunque in grado di sopportare concentrazioni saline piuttosto elevate e possono
quindi sopravvivere facilmente, rappresentando un pericolo. La salagione si può
effettuare a secco o a umido.
▪ La salagione a secco si usa per conservare i prosciutti che sono accuratamente cosparsi
di sale in superficie per sfregamento;
▪ La salagione a umido avviene per mezzo di salamoie con concentrazioni di NaCl dal 10
al 30% circa. Il trattamento è fatto con l’immersione diretta dell’alimento nella soluzione
salina, oppure con l’iniezione della salamoia nella massa dell’alimento. La composizione
della salamoia può subire variazioni nel tempo per lo sviluppo di sostanze secondarie
(ammoniaca e acidi diversi), per cui deve essere periodicamente rinnovata.
L’aggiunta di zucchero in concentrazioni del 60% circa permette di conservare alimenti
diversi (per esempio, marmellate e gelatine di frutta) sulla base dello stesso principio
della salagione.

ZUCCHERAGGIO DEL MIELE


Il miele maturo è naturalmente conservato grazie all’alta concentrazione di zuccheri che
lo compongono. Il contenuto di zucchero, l’acidità e la presenza di alcuni enzimi naturali
rendono il miele immune agli attacchi di muffe e batteri. Il miele è composto
principalmente da zucchero e acqua, in un rapporto di circa 80/20. Questo elevato
contenuto in zuccheri naturali riduce l’umidità, e ciò previene la moltiplicazione batterica
e il processo di deterioramento. A livello industriale il miele viene processato e
addizionato di zucchero, che aumentando la pressione osmotica impedisce l’attacco da
parte di microrganismi degradativi o patogeni, conferendo all’alimento alta conservabilità.

CONSERVAZIONE CON ACETO O OLIO

L’olio impedisce il contatto dei cibi con l’ossigeno, quindi questa modalità di
conservazione non si basa su alcun effetto battericida. I germi anaerobi (soprattutto il
Clostridium botulinum) riescono perciò agevolmente a sopravvivere, le loro spore a
germinare e a produrre tossine. L’impiego dell’olio è quindi sicuro solo se abbinato ad
altri procedimenti come pastorizzazione, sterilizzazione, acidificazione con aceto e
salagione. Molti vegetali conservati sott’olio devono prima essere cotti in aceto; il tonno
viene cotto e inscatolato con olio d’oliva, poi i contenitori sono sigillati, lavati e sterilizzati
a 121 °C. Le conserve sott’aceto sono impiegate per alcuni ortaggi e per certi tipi di
pesce. L’ambiente acido impedisce oppure ostacola fortemente la proliferazione della
maggior parte dei microrganismi potenzialmente contaminanti, ma è comunque
opportuno sbollentare preventivamente l’alimento per poi conservarlo in un contenitore
non a contatto con l’aria.

PEPERONCINI SOTT’OLIO
Le conserve di peperoncini sott’olio sono una prassi che ha origini antiche; infatti,
tramite questa pratica è possibile mantenere, per un tempo più o meno lungo, le
principali caratteristiche organolettiche (consistenza, sapore, odore, colore) dell’alimento
e preservarlo da alterazioni che ne comprometterebbero la commestibilità. L’olio permette
una discreta conservazione del prodotto eliminando la disponibilità d’aria ai
microrganismi degradativi che possono influire sulla qualità del peperoncino. L'olio non è
un vero e proprio antimicrobico ed è, anzi, soggetto a sua volta ad alterazioni. Questo
conservante agisce isolando il peperoncino dall'aria e ostacolando perciò la crescita dei
microrganismi aerobi. Non ha invece alcuna azione sugli anaerobi (botulino). L'azione
conservativa dell'olio è perciò piuttosto blanda e si combina sempre con altri metodi. I
peperoncini, infatti, subiscono sempre un pretrattamento di cottura o di salagione, e una
successiva sterilizzazione.

CONSERVAZIONE CON ALCOL

L’alcol etilico al 70% è un buon conservante, anche se inefficace nei confronti delle spore
batteriche. È usato per la conservazione di ciliegie e uva; agisce solubilizzando i lipidi di
membrana, svolge un’azione disidratante e denaturante sulle proteine.

UVA IN ALCOL
La conservazione sotto alcol dell’uva viene utilizzata per produrre conserve a lunga
durata, in concentrazioni alcoliche dal 50 al 70%. L’alcol è letale per tutte le forme
vegetative ma non nei confronti delle spore batteriche. L’utilizzo ad alte concentrazioni lo
rende inadatto per molti prodotti, per cui tale metodo è limitato solo alle conserve di
frutta tradizionalmente denominate sotto spirito.

CONSERVAZIONE MEDIANTE
FERMENTAZIONE

La creazione di un ambiente acido, che è inospitale per gran parte dei microrganismi,
conseguente all’attività fermentativa, è una tecnica di conservazione antica ed efficace.
La trasformazione del latte in prodotti acidi (yogurt e latti fermentati) a opera di batteri
lattici e la conservazione di cavoli, cetrioli e olive sono esempi molto comuni. Anche gli
insaccati sono preparati e conservati aggiungendo fermenti lattici. Un presupposto
imprescindibile per questo tipo di conservazione è l’esigenza di sottoporre gli alimenti da
conservare a un pretrattamento: così per la preparazione di salami e altri insaccati le
carni devono essere macinate, mentre i foraggi vanno trinciati prima di immagazzinarli in
un silos. L’azione acidificante può essere provocata da microrganismi presenti
naturalmente nell’alimento o dall’inoculazione di ceppi selezionati, come avviene
comunemente nelle preparazioni industriali (insaccati, yogurt, formaggi).

FERMENTAZIONE DEI FORMAGGI


La fermentazione dei formaggi permette un’ottima conservazione del prodotto e lo
sviluppo di particolari aromi e sapori che rendono il formaggio unico. Il vero motore di
acidificazione della cagliata è lo sviluppo della microflora lattica, presente in maniera
naturale nel latte o aggiunta sotto forma di colture starter che contribuiscono alla
formazione dell'aroma e delle caratteristiche organolettiche tipiche del formaggio. I
formaggi nascono dalla fermentazione del caglio, a prescindere da una stagionatura più o
meno lunga, ma ce ne sono alcuni che vengono detti comunemente 'fermentati': questi
sono i formaggi erborinati, nei quali lo sviluppo di muffe nella pasta produce la comparsa
di caratteristiche venature verdi bluastre. Il formaggio fermentato per eccellenza è il
Gorgonzola, un erborinato DOP di origine lombarda, molle a pasta cruda a base di latte
intero di vacca. Per realizzarlo si impiega del latte pastorizzato, coagulato a una
temperatura di 30-32°C con caglio di vitello e aggiunta di fermenti lattici, colture
selezionate e lieviti. Una volta coagulata, la cagliata viene tagliata in piccoli cubetti,
privata del siero e messa in stampi di acciaio forellati, nei quali resta per 24 ore tra i 18 e
i 20°C per sviluppare il giusto grado di acidità. A quel punto, gli stampi vengono trasferiti
per diverse ore in una cella fredda per bloccare il metabolismo dei batteri, dopodiché il
formaggio viene estratto dalle forme, salato a secco e stufato per 24-48 ore a una
temperatura di 20-24°C: durante questa fase ricominciano le fermentazioni dei lieviti, i
quali producono gas e aprono la pasta preparandola allo sviluppo delle muffe.
Completato questo trattamento, inizia la vera e propria stagionatura che dura circa 60
giorni: in questo periodo il gorgonzola va lavato, rivoltato e forato periodicamente,
ottenendo la crescita delle venature di muffa lungo il percorso seguito dagli aghi.

Giulia Nardone 5^Abio

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