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Come si conservava il cibo in antichità?


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Come facevano i nostri antenati a conservare gli alimenti facilmente deperibili? Non disponendo dei sistemi di
refrigerazione moderni, nell’arco dei millenni sono nate diverse tecniche per la conservazione di carne, frutta e
verdura, alcune ancora oggi largamente utilizzate per la produzione di cibi tradizionali.

I nostri antenati furono molto creativi nel trovare soluzioni ai principali problemi della conservazione degli alimenti:

Umidità: i batteri hanno bisogno d’acqua per sopravvivere. Rimuovendo l’acqua si rallenta la proliferazione di
batteri nocivi;
Ossigeno: la maggior parte dei batteri e delle muffe che attaccano gli alimenti hanno bisogno di ossigeno per
crescere. Uno strato protettivo a tenuta d’aria è in grado di impedire l’infiltrazione di microrganismi dannosi e di
limitare la crescita di quelli già presenti negli alimenti;
Temperatura: i batteri e le muffe preferiscono un ambiente temperato: se è troppo freddo riducono la loro
attività, il calore eccessivo invece tende ad ucciderli;
Acidità: molti batteri preferiscono un pH neutrale. Un ambiente troppo acido o troppo basico inibisce la
proliferazione di batteri che favoriscono la decomposizione.

Cibo affumicato o essiccato

L’ affumicatura e l’ essiccamento sono probabilmente le tecniche più antiche per conservare cibo facilmente
deperibile, come le proteine di origine animale.

Le prime forme di affumicamento ed essiccamento all’aria risalgono ad almeno 14.000 anni fa; ben presto ci si
accorse che la carne esposta al fumo del focolare tendeva a conservarsi molto più a lungo di quella fresca, cotta o
semplicemente essiccata all’aria: il fumo deposita sulla carne un numero di sottoprodotti della combustione che
formano un guscio protettivo in grado di respingere la maggior parte dei batteri nocivi.

L’affumicatura è un processo che richiede generalmente 24-48 ore per essere portato a termine. La qualità del legno
utilizzato per produrre fumo è fondamentale per il sapore finale: quercia, faggio, ontano, acero, melo e ciliegio sono
generalmente legname di prima scelta che impartisce sapori caratteristici agli alimenti (soprattutto alla carne).

L’essiccamento di frutta, carne, pesce e verdure praticata secondo il metodo primitivo utilizza soltanto la luce solare e
il vento: il calore generato dalla nostra stella e una costante brezza secca che scorre tra gli alimenti da conservare
favorisce l’espulsione dell’acqua in eccesso e rallenta la decomposizione e la moltiplicazione dei microrganismi
nocivi.

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Salagione degli alimenti

La salagione può essere efficace quanto l’affumicamento nella conservazione del cibo e spesso costituisce il passo
preliminare per un’affumicatura di successo.

Non appena fu elaborato un sistema per l’estrazione dall’acqua di mare o dai suoi giacimenti naturali, il sale si
dimostrò incredibilmente efficace nel combattere la proliferazione di batteri e funghi dannosi presenti negli alimenti,
eliminando la maggior parte dell’acqua presente nel cibo.

Il sale (1 parte di sale per 5 di carne/pesce/verdura) crea un ambiente fortemente alcalino in cui ben pochi funghi,
muffe o batteri possono sopravvivere: ogni cellula vivente subisce un veloce processo di disidratazione fino a morire
per carenza d’acqua.

Molte fonti storiche provenienti dal bacino del Mediterraneo testimoniano l’importanza della salagione della carne o
del pesce: nella Grecia antica, ad esempio, si preparavano i tarichos (chiamati salsamentum dai Romani), carne o
pesce conservati sotto diversi strati di sale o di grasso.

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Zucchero per conservare il cibo

Nelle culture che disponevano di sostanze zuccherine come il miele, o in grado di estrarle dalle piante per creare
melassa o sciroppi, la conservazione sotto zucchero divenne una pratica comune per preservare la frutta o la carne.

Il procedimento prevede una prima fase di essiccazione del cibo per liberarlo dall’acqua in eccesso, seguita
dall’immersione in zucchero grezzo a cristalli, sciroppo o miele, allo scopo di creare un’ambiente ostile alla
proliferazione di batteri nocivi e ospitale per alcuni batteri come quelli del genere Lacrobacillus.

Il rischio di questo metodo di conservazione è la capacità dello zucchero di attrarre umidità e fermentare: non
appena raggiunto un certo grado di umidità, i lieviti naturalmente presenti nell’ambiente iniziano a far fermentare gli
zuccheri trasformandoli in alcool e anidride carbonica; anche se la fermentazione in alcuni casi contribuisce alla
conservazione, potrebbe creare aromi o sapori non gradevoli.

Salamoia o aceto

L’esatta origine di questo tipo di conservazione degli alimenti non è chiara, ma sappiamo che ben 4.500 anni fa i
popoli mesopotamici utilizzavano quotidianamente soluzioni di sale marino per conservare cibi fuori stagione o
durante lunghi periodi di viaggio, come la carne in salamoia.

Elencare tutti i metodi per la salamoia o la conservazione sotto aceto richiederebbe un articolo a parte (che farò
non appena possibile), ma il principio di base è sempre quello della prevenzione della crescita batterica: il sale o
l’aceto creano un ambiente salino o acido in cui i batteri e le muffe non sono in grado di proliferare, consentendo la
conservazione del cibo anche per mesi.

Calce per conservare le uova

Le uova possono essere conservate in salamoia, sotto aceto o secondo altre tecniche più o meno antiche, ma il
metodo migliore e più duraturo sembra essere l’acqua di calce, realizzata semplicemente con acqua e polvere di
calce spenta.

La calce spenta ha trovato molteplici utilizzi nell’arco della storia: i Romani e i Sumeri la utilizzavano come strato
idrorepellente sui tetti delle case, per “addolcire” un suolo troppo acido o per combattere i parassiti che aggrediscono
le piante da frutto.

Dopo qualche tempo, ci si accorse che alcuni alimenti conservati in uno strato o in una soluzione di calce si
conservavano a lungo: la calce, oltre a costituire un ambiente basico antibatterico, va a tappare i pori presenti sul
guscio delle uova impedendo che eventuali batteri o muffe le aggrediscano. Utilizzando questo metodo è possibile
conservare le uova anche per 1 anno.

Dispensa sotterranea

Una dispensa sotterranea è una struttura parzialmente o interamente sotterranea in cui possono essere
immagazzinati cibi deperibili come verdura, frutta o carne.

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Questo metodo si basa sul fatto che molti alimenti possono essere conservati a lungo se depositati in un ambiente
dalla temperatura appena sopra allo zero (1-3 °C) e con un’elevata umidità ambientale (anche se alcune piante
preferiscono bassi livelli di umidità).

La dispensa sotterranea evita che gli alimenti congelino durante l’inverno e li mantiene freschi nel periodo
estivo, ritardando la decomposizione.

I cibi ideali per questa tecnica di conservazione sono patate, rape, carote, bietole, cipolle, carne o pesce salati,
zucche e cavoli. Una forma di dispensa semi-sotterranea utilizzata nell’ antica Persia era lo yakhchal (per ulteriori
dettagli consultate questo post).

Fermentazione del cibo

Alcuni metodi di conservazione, invece di combattere ogni microrganismo immaginabile, favoriscono la crescita da
alcuni batteri o muffe non nocivi per trasformare il cibo e conservarlo più a lungo, oltre che fornirgli un sapore
differente talvolta più gradevole.

Il funazushi, ad esempio, è un metodo giapponese per la conservazione del pesce che sfrutta la fermentazione del
riso e la decomposizione delle proteine animali per conservare a lungo il cibo: per produrre il funazushi occorrono
ben 8 anni e può conservarsi per altrettanto tempo in condizioni ideali.

La fermentazione è sostanzialmente la conversione di amidi e zuccheri in alcool da parte di alcuni agenti microbici,
un procedimento che serve a tenere a bada i batteri nocivi e a trasformare le proprietà organolettiche degli alimenti.

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Sigillo

Alcuni alimenti come le uova o la frutta possono essere sigillati dall’aria e dall’attacco di batteri nocivi utilizzando
grasso, zucchero cristallizzato, polvere di calce, argilla o addirittura lacca.

Uno dei metodi più conosciuti per sigillare carne o pesce è il confit (dal francese confire, “preservare”): dopo aver
cotto il cibo in grasso, olio o acqua zuccherata a bassa temperatura (circa 90°C con l’olio) si deposita l’alimento con
tanto di grasso di cottura all’interno di un contenitore che andrà mantenuto in un luogo fresco, asciutto e lontano dalla
luce.

Il grasso di cottura si solidificherà formando un sigillo protettivo attorno al cibo e permettendo di conservarlo per
svariati mesi.

Gli Inuit groenlandesi producono un cibo tradizionale chiamato kiviak sfruttando un sigillo di grasso e la
fermentazione: dopo aver ucciso qualche centinaio di gazze marine (Alle alle), i corpi dei volatili vengono inseriti
all’interno della pelle di una foca facendo attenzione a rimuovere l’aria in eccesso e a sigillare i vuoti con abbondante
grasso di foca, una sostanza che impedisce alle larve di mosca di penetrare nella carne ed evita infiltrazioni
d’ossigeno o di batteri nocivi.

La pelle di foca viene quindi ricoperta di pietre per proteggerla dai predatori e il suo contenuto lasciato fermentare
per almeno tre mesi, assumendo un sapore che viene descritto come simile a quello del gorgonzola.

Sepoltura nel terreno

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Burro di palude

La sepoltura di alimenti può contribuire a prolungare la loro vita grazie a diversi fattori in gioco: assenza di luce e di
ossigeno, temperatura fresca e quasi costante tutto l’anno, livelli di acidità del suolo tali da prevenire la proliferazione
di batteri o muffe.

Se combinata ad altri metodi come la salatura o la fermentazione, questa tecnica consente di preservare gli
alimenti per mesi interi; se il terreno tende a ghiacciarsi durante le stagioni più fredde, la fossa in cui è stato
deposto il cibo agirà da refrigeratore e aumenterà ulteriormente la vita dei prodotti conservati al suo interno.

Molti tuberi sono per natura resistenti alla decomposizione e si mantengono in ottimo stato in condizioni di oscurità
sotto uno strato di terreno: il cavolo veniva tradizionalmente sepolto durante l’autunno per essere recuperato durante
l’inverno o la primavera.

Per conservare la carne invece si preferiva essiccarla depositandola su un letto di ceneri in grado di assorbire
l’umidità e rallentare la decomposizione grazie anche alla scarsa presenza di ossigeno.

La sepoltura di sottoprodotti del latte o di grassi animali contribuì per millenni alla realizzazione di quello che viene
definito burro di palude.

Una volta interrati in una torbiera all’interno di un contenitore di legno o di vescica animale, gli alimenti si
decompongono molto più lentamente grazie al particolare ecosistema della torbiera: basse temperature, poco
ossigeno ed elevata acidità prevengono la crescita batterica con un efficacia simile a quella dei freezer moderni.

Bog Butter and Other Odd Ways the Ancients Preserved Food

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