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 M. A.

CHANCEY, “The Ethnicities of Galileans’’, Galilee in the Late Second Temple


and Mishnaic Periods (ed. D. A. FIENSY-J.R. STRANGE) (Minneapolis; Fortress Press
2014) I, 112-128.
“L’Etnicità dei Galilei” è la problematica alla quale Mark Chansey ha dedicato un capitolo
all’interno dell’opera sopracitata. Uno sguardo trasversale all’insieme degli studi sulla Galilea e
nel vasto campo dello sviluppo archeologico negli ultimi anni l’argomento di Chancey è davvero
pertinente. Fin dall’inizio l’autore presenta la sua convinzione come risultato del confronto con
la comune espressione Galilea dei gentili (Is 8,31; Mt 4,14-15). Per Mark Chansey, “se l’etnicità
è definita sostanzialmente in termini di un senso di discendenza condivisa, patrimonio culturale e
identità di gruppo, allora l’etnicità della maggior parte dei Galilei nel tardo Secondo Tempio e
nei periodi mishnaici era ebraica”. Quindi il suo scopo è quello di dissipare l’ambiguità
epistemologica rispetto alla vera maggioranza identitaria dei Galilei.
Mark Chansey per sostenere il suo argomento prende cura di specificare criticamente,
anzitutto, il senso linguistico dell’aggettivo Ioudaioi, poi indica gli aspetti storici (informazioni
sulla presenza degli imperi Sirio, Persiano, Ellenistico e Romano) e archeologici sulla regione
confrontandoli con alcuni passi presi dal Nuovo Testamento e conclude con un notevole
riferimento a ciò che potrebbe essere la presenza dei gentili. Infatti, anche si l’argomento sembra
ad una ‘’apologetica’’ che riprende la discussione, metodologicamente va oltre la ricerca comune
abbastanza interessata su Gesù storico senza prendere in considerazione l’identità etnico-
sociologica dei suoi probabili destinatari.
Dal punto di vista linguistico il nostro autore preferisce tradurre il termine greco Ioudaioi
per “ebrei” (Jews instead Judeans) nonostante l’insistenza di alcuni autori che lo traducono per
“giudei” mettendo l’enfasi sull’aspetto geografico. Infatti, prima delle scoperte archeologiche, le
scuole pensavano che i Galilei “ebrei” vivessero in mezzo ai numerosi gentili; altri, invece
ipotizzavano che ci fosse un grande numero dei gentili discendenti dell’antico Israele dal regno
di norte. Chansey, però, lasciando aperto il problema del significato dell’espressione «Galilea dei
gentili», presenta sei evidenze che sostengono la sua tesi: i bagni rituali, i vasi di ceramica, la
materia ceramica propria della Giudea, le lucerne ad olio, l’uso di ossari e le sinagoghe.
Per quanto riguarda ai bagni rituali o mikva’ot, essi sono stati usati dai giudei per
rimuovere l’impurità causata da fattori come la mestruazione, contatti con i cadaveri che
risalgono al secondo secolo a.C., durante il periodo Asmoneo e Romano.
I vasi di ceramica tipici ai giudei che risalgono al tempo di Erode, il grande, e diffuso nei
siti di Galilea vicino (Gamla). I vasi di pietra secondo l’autore sono rari fuori dell’area giudaica e
l’archeologia li associa alla metà del primo secolo e alla prima rivolta, anche se il loro uso si
stenda fino alla rivolta di Bar Kokhba (132-135 d.C.) e forse dopo.
Uno sguardo sul il repertorio ceramico della Giudea e della Galilea è un forte segno di
etnicità data da una preferenza nel cambiamento che segue la conquista Asmonea. In ambe e due
regioni l’uso della ceramica importata declina significativamente in comparazione con il periodo
pre-Asmoneo, tenendo luogo ampiamente l’uso dei prodotti locali. L’uso delle lampade ad olio
(lucerne) che attestano i rapporti tra Galilea e Giudea, soprattutto con il dettaglio dato da alcuni
studiosi che probabilmente i giudei della Galilea scegliessero importare delle lampe fatte in
Gerusalemme piuttosto che quelle della Galilea.
L’architettura della sepoltura secondaria è stata adottata dai giudei Galilei dai loro vicini di
Giuda. Si tratta dell’uso di ossari per la sepoltura secondaria. Probabilmente ci fossero per
ragioni teologici: la convinzione che la decomposizione della carne renderebbe facile la
espiazione dei peccati o che il raggruppamento delle ossa costituirebbe una preparazione alla
resurrezione escatologica. In fine, si ritiene la presenza delle sinagoghe nella regione di Galilea
(Capernaum, Nazareth, Tiberia) così come è attestato nei racconti dei Vangeli, negli scritti di
Flavius Josephus, soprattutto quella di Nabratein, di struttura triangolare, la più antica è famosa
dal fatto di essere la più antica evidenzia conosciuta contenendo delle rottoli della Torah.
L’autore, prima di concludere, fa riferimento a qualche scarsa e occasionale scoperta di
alcune inscrizioni, figurini di divinità (Zeus, Pan), mosaico e monete trovate a Sefforis, Tiberia,
Qeren Neftali, Cesarea di Filippo (Banias) che probabilmente risalgano nel primo secolo; ma
ipotizza che sia stata probabilmente una presenza “minore” quali ancestrali sarebbero persiani,
tolomei, oppure amministratori e soldati seleucidi che sono stati in Galilea per un breve periodo
o ancora alcuni notevoli Fenici associati ad altri popoli vicini non identificati. La questione della
loro identità rimane senza una chiara evidenza. Perciò, Chansey insiste che «letteralmente non
c’è una evidenza riguardo i galilei gentili nei primi secoli a.C, neanche si può parlare
specificamente della loro identità». La Galilea è diventata il centro dello sviluppo di vita
giudaica in Palestina, dopo le rivolte, e l’arena in cui l’attività rabbinica, religiosa e culturale
presero statuto.

Israel José NDUMBU

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