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PRINCIPI FONDAMENTALI della CHIRURGIA-

l’asepsi, la tecnica chirurgica, le suture, i sistemi di drenaggio.


Come si svolge un intervento chirurgico.
Forme tecnologicamente avanzate di chirurgia: la chirurgia laparoscopica, la
chirurgia robotica, l’endoscopia e l’ecografia interventistiche.

OBIETTIVI:
 saper dare una definizione di asepsi;
 sapere come si può limitare la presenza di microrganismi nell’ambiente operatorio;
 conoscere la differenza tra disinfezione e sterilizzazione;
 sapere che mezzi esistono per sintetizzare la cute incisa;
 sapere come funzionano i due principali sistemi di drenaggio chirurgico.
 saper descrivere lo svolgimento (i “tempi”) di un intervento chirurgico;

La chirurgia rappresenta quella branca della medicina che concerne gli interventi diagnostici e
terapeutici che hanno carattere di invasività, che sono cruenti (“trauma” chirurgico).
Atti chirurgici sono praticati fin dall’antichità, ma la chirurgia si è sviluppata come scienza vera e
propria solo negli ultimi secoli, in particolare a partire dalla fine del 1800, grazie allo sviluppo
dell’anestesia, dell’asepsi, degli antibiotici, di una appropriata gestione generale del paziente.
Gli atti chirurgici sono invasivi, ossia determinano una breccia nella naturale barriera
dell’organismo (cute e mucose) che viene così esposto agli elementi esterni: i microrganismi
presenti nell’ambiente circostante trovano una via per entrare nel nostro organismo e colonizzarlo,
determinando una infezione. Per questo gli ambienti in cui viene praticata la chirurgia sono
progettati per ridurre al minimo l’ingresso dei microrganismi nelle ferite (e quindi ridurre le infezioni
che si possono sviluppare nel paziente).
Il concetto di Infection Prevention and Control è un termine collettivo per tutte quelle azioni volte
a proteggere le persone dalle infezioni (es. lavarsi le mani, e tutti gli altri presidi imposti ad
esempio dalla recente pandemia), e si applica in modo pervasivo in tutte le attività sanitarie, in
particolare quelle chirurgiche.

Asepsi
Uno dei principali problemi incontrati dai chirurghi è senza dubbio la contaminazione delle ferite
da parte di microrganismi, fenomeno responsabile di infezioni talora gravi (fino anche alla morte
del paziente). Per questo, sin dalla scoperta dei microrganismi e dalla comprensione che sono
responsabili delle infezioni, si è cercato di eliminarli dal campo operatorio.
L’asepsi rappresenta l’insieme delle procedure volte alla prevenzione dell’ingresso di
microrganismi nelle ferite e negli strumenti chirurgici (prevenzione delle infezioni). L’asepsi un
principio che viene applicato nella pratica di tutti i giorni.
Vediamo meglio alcuni concetti al riguardo: i microrganismi possono essere patogeni (capaci di
per sé di determinare una infezione) o saprofiti (normalmente presenti sulle superfici e nelle cavità
corporee; questi ultimi possono determinare una infezione solo se penetrano all’interno
dell’organismo in numero sufficientemente elevato). Quindi il superamento delle barriere corporee
attraverso una incisione (cute, mucosa del tubo digerente ecc.) da parte di microrganismi (patogeni
o saprofiti) espone ad una infezione.
Per limitare al massimo l’ingresso di microrganismi attraverso le ferite nel corso di un
intervento si fa in modo di ridurre per quanto possibile la loro presenza nell’ambiente della sala
operatoria, sulle superfici corporee incise, sullo strumentario chirurgico...
La struttura, l’organizzazione, le attività che si svolgono nel blocco operatorio (il luogo deputato
alla pratica chirurgica) rappresentano il paradigma della applicazione del concetto di asepsi: per
ridurre la presenza di microrganismi, il blocco operatorio è dotato di una “zona filtro” nella quale chi
accede al blocco si cambia gli indumenti e le calzature; inoltre l’accesso del personale viene
limitato, il flusso dell’aria viene climatizzato, filtrato e regolato (es. pressione positiva etc.), si cerca
la massima igiene ambientale, il personale viene fatto lavare (o meglio disinfettare) secondo
procedure stabilite e viene vestito con indumenti sterili ecc. Ci sono perciò anche delle regole
comportamentali che il personale nel blocco deve seguire sempre al fine di limitare la presenza di
germi in sala.
Gli ambienti principali del blocco operatorio sono la zona filtro / vestizione, la zona lavaggio, la
sala operatoria, la zona di risveglio (o “recovery room”), l’area di sterilizzazione, il magazzino, la
sala relax. Il paziente che deve accedere al blocco operatorio viene adeguatamente preparato in
reparto (svestizione, preanestesia, tricotomia...), poi viene accolto in una zona filtro dove passa
dalla barella esterna a quella che trasporta il letto operatorio etc.
La superficie del campo operatorio (ossia la cute del paziente nella regione anatomica da
sottoporre ad intervento) viene disinfettata con speciali agenti chimici (2/3 passaggi), quindi viene
delimitata con teli sterili.
Nella sala operatoria propriamente detta troviamo il letto operatorio, la lampada scialitica, gli
apparecchi per l’anestesia (somministrazione controllata dei gas e loro monitoraggio), gli
apparecchi per il monitoraggio del paziente (ECG, pulsossimetro etc.), apparecchi per la
rianimazione, erogatori di gas, il tavolo servitore per gli strumenti chirurgici, generatori e bisturi
elettrici e a ultrasuoni, pompe da aspirazione, pompe siringa per infusione controllata dei farmaci
etc..
La detersione con acqua e sapone è un buon metodo per rendere pulito il corpo o l’ambiente,
ma nel blocco operatorio di utilizzano sistemi più drastici per abbattere la carica batterica:
 disinfezione: distruzione dei microrganismi patogeni, ma non necessariamente delle spore. E’
un procedimento che si applica essenzialmente a superfici corporee ed all’ambiente di sala.
 sterilizzazione: distruzione di tutti i microrganismi (patogeni e non). È applicabile solo a
materiali e superfici inanimate.
 antisepsi: è detto il procedimento di distruzione degli agenti infettivi con mezzi chimici.
 antisettico: sostanza capace di neutralizzare un microrganismo (distruggendolo o inibendone
la moltiplicazione). Tali sono le sostanze applicate alla cute prima della sua incisione.

Lo strumentario chirurgico deve essere sterile, ed è dato da strumenti in genere metallici e


risterilizzabili (multiuso) o in altri materiali talora non risterilizzabili (monouso).Gli strumenti
chirurgici possono essere grossolanamente catalogati in base alla loro funzione. Ecco alcuni
esempi:
 strumenti da taglio (bisturi freddo, elettrico o a ultrasuoni, forbici, laser..); vengono usati per
tagliare e per dissecare i tessuti.
 strumenti da presa (pinze di varia foggia: “anatomiche” o non dentate, per i tessuti delicati;
“chirurgiche” o dentate, per i tessuti più robusti quali cute o fasce aponevrotiche;
“vascolari”, utilizzate per maneggiare le pareti vasali; “di Alliss” per afferrare tessuti
delicatamente etc..).
 strumenti da emostasi (pinze emostatiche, rette o curve come le Kocher, le Pean, le
Mosquito; coagulazione con bisturi elettrico o a ultrasuoni…)
 strumenti per divaricare (divaricatori manuali come i Farebeuf, oppure divaricatori
autostatici..)

La tecnica chirurgica viene definita dall’insieme dei gesti che si compiono per effettuare un
intervento. Lo scopo di un intervento è in genere quello di asportare del tessuto patologico, ma
qualche volta ha lo scopo di riparare un organo danneggiato, o meno comunemente ha altri fini. Di
principio, quando si penetra nell’organismo umano si cerca per quanto possibile di seguire i piani
anatomici naturali, che si lasciano scollare senza necessità di sezionare vasi o altri tessuti
(dissezione per via smussa), e solo quando indispensabile si sezionano le strutture che si
incontrano (dissezione per via tagliente).
Le incisioni cutanee vengono fatte in genere con il bisturi freddo. Il taglio deve essere netto,
unico, deve incidere la cute a tutto spessore (incluso il derma), e la lama deve essere
perpendicolare alla cute (e non obliqua). Solo se l’incisione è fatta bene, anche la sutura finale lo
sarà. Se possibile le incisioni devono seguire le linee di tensione cutanea di Langer (che
corrispondono alla direzione delle pliche cutanee) in modo da risultare poi meno evidenti (da
somigliare, semmai, a rughe cutanee naturali e non a cicatrici esteticamente spiacevoli).
Le incisioni addominali con apertura della cavità peritoneale si chiamano laparotomie (da
laparo- addome, e -tomia incisione) e possono essere sagittali (come le xifo-pubiche) o trasverse
(come la incisione sovrapubica di Pfannenstiel). Le incisioni sul torace si chiamano toracotomie
etc.

Suture e altri mezzi di chiusura delle ferite


I vasi sezionati devono essere chiusi, in genere con fili di sutura, o in alternativa con clips
metalliche, con strumenti a corrente elettrica bipolare (es. Ligasure), con strumenti a ultrasuoni (es.
Ultracision) etc. I tessuti devono poi essere ricostruiti alla fine dell’intervento, e qui le suture
continuano a fare la parte del leone, pur se esistono anche altri presidi atti a sintetizzare i tessuti,
come le colle biologiche o chimiche, i cerotti etc. come elenco sinteticamente qui di seguito:

1 FILI DI SUTURA . RIASSORBIBILI


. NON RIASSORBIBILI
2 CLIPS METALLICHE o, i passato, le agraphes, più grosse
3 COLLE colla di cianacrilato (sintetica), colla di fibrina (biologica)
4 CEROTTI steri-strips (strisce adesive sterili)

La sutura di una ferita consiste nell’affrontamento dei margini per favorire la cicatrizzazione con
esiti minimi (vedremo che questo tipo di guarigione è detto “di prima intenzione”). Per ottenere una
buona sutura è opportuno che la tensione tra i tessuti suturati sia modesta, che non ci siano
raccolte ematiche sottostanti, che non si sviluppino infezioni, che i margini accostati non siano
traumatizzati eccessivamente. I fili da sutura sono montati su aghi che possono essere retti o curvi,
a sezione tagliente (triangolare) o atraumatica (rotonda) e avere varie fogge. I fili possono essere
riassorbibili o non riassorbibili, monofilamento o intrecciati (meno scorrevoli degli altri) e avere
diametro variabile.
I fili di sutura riassorbibili si utilizzano quando la resistenza tensile del filo è richiesta per un
periodo limitato di tempo; fino ad alcuni anni fa si utilizzavano fili biologici, come il catgut
(caratteristiche di resistenza mantenute per 10 giorni) o il catgut cromico (20 giorni), ma
attualmente i fili “naturali” non si utilizzano più. Le suture riassorbibili sono ormai tutte sintetiche,
come l’acido poliglicolico es. Dexon (60-90 gg), la poliglactine es. Vicryl (60 giorni), il
polidiossanone es. PDS (oltre 90 giorni).
Anche i fili non riassorbibili possono essere naturali o sintetici. Ma anche in questo caso i fili
naturali, come la seta o il lino, non si usano quasi più, mentre si impiegano fili sintetici quali il nylon
es. Ethilon, il polipropilene es. Prolene, l’acciaio, il poliestere. I fili non riassorbibili si impiegano
quando si ha intenzione di rimuoverli (es. suture cutanee) o quando la resistenza richiesta deve
durare a lungo (es. suture vascolari, suture fasciali sottoposte a particolare tensione e che tendono
a riattaccarsi più debolmente, quali tendini, parete addominale etc..).
Le clips metalliche vengono applicate con facilità e rapidamente con appositi strumenti, e
tengono accostati i lembi cutanei. Fino agli anni ’90 si usavano ancora le agraphes (o graffette).
Attualmente si utilizzano clips più piccole, tipo spille da giornale, es. le Precise. Un tipo particolare
di applicatore di miniclips metalliche è dato dalle suturatrici meccaniche viscerali, che si usano
per suturare e spesso anche per sezionare i visceri cavi (ad esempio l’intestino). Ci sono suturatrici
lineari come le TA che applicano una doppia fila di piccoli punti metallici, Le GIA (Gastro-Intestinal
Anastomosis) che applicano due doppie file di punti metallici e nello stesso tempo tagliano il
viscere tra le due file di punti (le cosiddette “taglia e cuci”), le suturatrici circolari CDH che suturano
tra loro due visceri in modo termino-terminale.
Le colle si usano anche per sintetizzare la cute, ma in questo caso è richiesta una sutura
sottostante che sostenga praticamente tutto lo sforzo tensile sui lembi cutanei (es. punti dermici
ravvicinati), mentre il ruolo della colla è solo quello di tenere affrontata con precisione l’epidermide,
ossia lo strato più esterno della cute. Stesso concetto vale per i nastri adesivi sterili (Steri-Strips).
Le tecniche di sutura dei tessuti sono molteplici:
 a punti staccati (semplici, a U verticale, a U asimmetrici, a U orizzontale, etc..)
 continua (a sopraggitto o semplice, incavigliata, intradermica, etc..).

La anastomosi è definite come la connessione artificiale tra due organi cavi praticata tramite
una sutura, la quale può essere confezionata in modo manuale o meccanico. In base a come si
riuniscono i visceri le anastomosi possono anche essere definite latero-laterali (se intestinali
possono essere iso- o aniso-peristaltiche, a seconda che le onde peristaltiche vadano
rispettivamente nello stesso verso o in verso opposto), termino-laterali, termino-terminali.

Sistemi di drenaggio chirurgico


Il sito chirurgico (cioè la sede dove è stato effettuato l’intervento chirurgico, detta “surgical site”
dagli anglosassoni) può essere sede di raccolta di fluidi quali sangue e siero che normalmente
vengono riassorbiti dall’organismo stesso. Se però si accumulano in quantità eccessiva, questi
fluidi possono fungere da terreno di coltura per eventuali germi e quindi da focolaio infettivo, oltre
che a provocare talora dolore. Per evitare questo, si possono posizionare nel campo operatorio
uno o più tubi o altri sistemi di evacuazione (drenaggio) di tali fluidi.
Nel complesso, i motivi per cui si può decidere di applicare sistemi di drenaggio sono:
 prevenire l’accumulo eccessivo di fluidi nel campo operatorio.
 verificare rapidamente l’insorgenza di una eventuale emorragia all’interno dell’organismo
dopo la fine dell’intervento (nel qual caso si vede il recipiente unito al tubo riempirsi
piuttosto rapidamente di sangue di colore rosso vivo).
 verificare se una anastomosi intestinale (cioè la ricongiunzione tramite sutura di visceri
cavi) “tiene” o se invece si rompe, con il conseguente passaggio di materiale enterico
(infetto) nella cavità addominale (che determina lo sviluppo di un ascesso, se la
fuoriuscita di materiale infetto è tamponata in una zona limitata; oppure di una peritonite
diffusa, se la contaminazione è estesa a gran parte o a tutta la cavità peritoneale).
Quindi un drenaggio si posiziona:
 in compartimenti che tollerano male l’accumulo di fluidi (es. articolazioni, spazio
pleurico).
 In aree a forte irrorazione (es. collo, rene) o dove si tema una emorragia secondaria.
 Nelle aree infette (chirurgia “contaminata” o “sporca”)
 In zone che hanno subito ampie dissezioni di tessuti superficiali (es. mammella).
 In prossimità di anastomosi viscerali a maggior rischio di deiscenza (es. retto, pancreas).

I drenaggi chirurgici possono generalmente funzionare in due modi: “a caduta” o “in
aspirazione”. Nei drenaggi a caduta, il tubo fuoriesce dall’organismo e viene raccolto per gravità
in una sacca (come ad es. un catetere vescicale). Nei drenaggi in aspirazione (vacuum), il tubo
viene connesso con un recipiente posto sottovuoto, che quindi aspira attivamente il fluido
dall’interno dell’organismo (in genere si posizionano nelle ferite superficiali, chiuse, oppure si
impiegano sistemi come l’e-vac per le ferite aperte).
Quando presenti, i drenaggi devono essere sorvegliati nel periodo postoperatorio, e le quantità
di fluidi raccolte deve essere misurata e riportata regolarmente, assieme alla descrizione
dell’aspetto del materiale (es. “ematico”, “sierato”, “chiloso” etc.). Essi ci permettono di prevenire o
sospettare cpmlicanze infettive, di identificare rapidamente le complicanze emorragiche, di
accelerare il recupero postoperatorio migliorando il decorso.

Svolgimento di un intervento chirurgico (tempi chirurgici)


Ogni attività che noi intraprendiamo può essere suddivisa in vari momenti o periodi. Questa
suddivisione è di fatto artificiosa, nel senso che l’azione si svolge in maniera continua, con un
flusso unico che porta ad un risultato finale (nel nostro caso al completamento dell’intervento). Il
motivo per cui una attività viene arbitrariamente suddivisa in diverse fasi sta nel fatto che in questo
modo noi possiamo esaminarla bene, nell’insieme o in parte, la possiamo confrontare meglio con
gesti analoghi compiuti da altri, possiamo capirla e trasmetterla meglio ad altre persone (valore
didattico). Conoscere e comprendere un intervento chirurgico significa conoscere i tempi che lo
costituiscono.
L’intervento non dovrebbe essere visto soltanto nella sua fase di realizzazione pratica
(intervento chirurgico propriamente detto), bensì a partire dal momento in cui il paziente lascia la
corsia per andare in sala operatoria fino al momento in cui vi fa ritorno. I periodi che precedono e
seguono l’intervento vengono indicati con il termine di “periodo perioperatorio”.
In sostanza un intervento chirurgico può essere analizzato, limitatamente ai tempi operativi che
abbiamo definito in precedenza, secondo il seguente schema generale:
 Applicazione di eventuali accessi vascolari (agocannule) e cateteri (urinario, SNG…) e
posizionamento adeguato del paziente sul tavolo operatorio (la posizione è variabile a
seconda dell’intervento).
 Preparazione del campo operatorio (disinfezione) e sua delimitazione (posizionamento teli).
 Accesso chirurgico (che va dalla incisione della cute fino ad arrivare all’organo bersaglio).
 Analisi dei reperti intraoperatori, cioè di ciò che si vede (tempo esplorativo).
 Procedura: tempo demolitivo ed eventuale tempo ricostruttivo (può inoltre includere un
tempo “sporco” se c’è una fase di potenziale contaminazione del campo operatorio, es.
apertura della vagina).
 Chiusura della parete previa verifica dell’emostasi, con ri-detersione cutanea e
medicazione delle ferite.
Vediamo queste fasi più in dettaglio:
Applicazione di accessi vascolari o di cateteri e posizionamento del paziente: questo
tempo preparatorio è specifico per ogni intervento, ed ha una importanza non secondaria in quanto
può fare la differenza tra un intervento effettuato in condizioni ottimali di visibilità, di facilità di
accesso alle strutture, di comodità per gli operatori, ed un intervento portato avanti in condizioni di
estrema difficoltà tecnica, di notevole affaticamento degli operatori, con aumento dei rischi
operatori etc., cioè può contribuire in maniera significativa a farci trovare in una situazione comoda
e sicura ovvero in una sorta di incubo chirurgico.
Al bisogno, si può cercare di riparare ad un posizionamento scorretto o alla mancata
applicazione di un SNG o altro anche durante l’intervento, ma questo determina una notevole
perdita di tempo, mette a rischio la sterilità del campo operatorio, e comunque riflette un errore
dell’equipe che non si dovrebbe mai verificare: una corretta procedura operatoria deve
comprendere una corretta ed attenta fase preparatoria.
Preparazione e delimitazione del campo operatorio: anche questo tempo preparatorio è
specifico per ogni intervento, ed è importante in quanto la sua realizzazione non accurata può
essere responsabile di complicanze settiche, deiscenze (riaperture spontanee) delle ferite o delle
anastomosi etc.
Anche in questo caso una correzione durante il corso dell’intervento è possibile, ma è quanto
mai inopportuna, e dovrebbe essere limitata a casi effettivamente imprevedibili all’inizio
dell’intervento.
Accesso: questo è il primo atto dell’intervento chirurgico in senso stretto. Comprende tutti i
gesti che portano il chirurgo dalla superficie cutanea non ancora incisa all’organo da trattare
chirurgicamente. Quindi consiste in pratica nella incisione della parete corporea (nel caso degli
interventi su organi intraperitoneali, l’apertura della parete addominale) e nella eventuale lisi di
aderenze che ostacolino l’approccio alle strutture che ci interessano.
Descrizione dei reperti (tempo esplorativo): consiste nella valutazione dell’organo da trattare
(conferma della lesione bersaglio e verifica della sua sede esatta, eventuale estensione ad altre
strutture in caso di tumore etc.), nella valutazione degli altri organi e reperti (nel caso di un
intervento laparotomico: presenza o meno di liquido ascitico, esplorazione del fegato e della
superficie peritoneale alla ricerca di lesioni sospette, valutazione di tutto l’intestino alla ricerca di
altri reperti anormali etc.). Questo tempo è quello che in definitiva permette al chirurgo di verificare
la situazione effettiva e di confermare l’intervento previsto o di pianificare altri gesti operatori che
egli andrà a praticare. Se necessario, è in questa fase che si inviano per esame estemporaneo le
biopsie di tessuto che ci confermino la natura di una lesione o l’estensione di una malattia. E’ vero
che oggi le indagini pre-operatorie si sono raffinate al punto da orientare ragionevolmente bene il
chirurgo anche prima di portare il paziente al tavolo operatorio (stadiazione pre-operatoria),
comunque rimangono ancora diverse situazioni in cui il tempo esplorativo gioca un ruolo decisivo
(es. nelle neoplasie ad elevata malignità o di difficile resecabilità, come i carcinomi del pancreas
esocrino, o in certi interventi chirurgici in urgenza in cui si hanno masse addominali di natura da
determinare associate per esempio ad un “addome acuto”). Quindi ancora oggi si effettuano
interventi esplorativi (laparotomici o più spesso laparoscopici),con i quali il chirurgo verifica
l’operabilità o meno del paziente.
Procedimento chirurgico (tempo demolitivo e tempo ricostruttivo): questa fase rappresenta il
“succo” dell’intervento chirurgico. Quando un intervento prevede l’asportazione di un organo solido
o di un tessuto, la procedura prevede il solo tempo demolitivo, quando invece si asporta parte di
un viscere cavo e se ne deve ripristinare la continuità (come nel caso della maggior parte degli
interventi sull’intestino) la procedura comprende anche un tempo ricostruttivo (anastomosi
intestinali, biliari, pancreatiche etc.). L’atto finale della fase di procedura consiste nella verifica di
una emostasi adeguata e nel posizionamento dei drenaggi (se previsti).
Chiusura: questo è il tempo finale della procedura chirurgica propriamente detta, e consiste
nella ricostruzione della parete corporea aperta all’inizio dell’intervento: nel caso delle laparotomie
consiste nella ricostruzione della parete addominale, nelle sue parti costituenti (peritoneo, muscoli
e relative fasce, sottocute e cute).
Detersione e medicazione delle ferite: questo è l’ultimo atto chirurgico che si verifica sul
tavolo operatorio: si pulisce la ferita e si posizionano le garze a sua protezione (così come si
sistemano stomie, drenaggi e quant’altro). Talora, specie negli interventi laparotomici, si usa
applicare un contenimento con bende elastiche (es. Tensoplast) al fine di ridurre al massimo la
tensione sulle linee di sutura.

Chirurgia laparoscopica (e mini-invasiva)


La chirurgia mini-invasiva è stata sviluppata recentemente in base al concetto di ridurre al
minimo la porta di accesso e la ampiezza della dissezione dei tessuti, per ottenere un più rapido
recupero del paziente, un miglior controllo del dolore postoperatorio e un migliore risultato
cosmetico. Questo è stato possibile grazie ai progressi tecnologici che hanno messo a
disposizione materiali e strumenti che rendono possibile operare in questa situazione particolare
(in effetti la laparoscopia era praticata dai ginecologi già dall’inizio del 1900, ma poteva solo fornire
qualche indizio visuale).
In sostanza si pratica un piccolo accesso (o più di uno) e vi si introducono una telecamera e
degli strumenti chirurgici speciali progettati su lunghe asticelle. Inoltre, ove opportuno (come negli
interventi fatti dentro la cavità addominale), si crea uno spazio dove poter lavorare più
agevolmente insufflando un gas (abitualmente anidride carbonica) che poi viene fatto defluire alla
fine dell’intervento. L’intervento viene quindi eseguito guardando uno o più monitor. Esempi di
interventi mini-invasivi sono la tiroidectomia video-assistita, l’asportazione toracoscopica di noduli
polmonari, la colecistectomia laparoscopica, le resezioni intestinali laparoscopiche, le isterectomie
transvaginali, le annessiectomia, le artroscopie etc..
Il personale in sala deve perciò conoscere lo strumentario laparoscopico ma anche gli
apparecchi utilizzati per l’intervento, che in genere sono riuniti in una colonna, e le connessioni tra
questi (quindi implica di prepararsi anche con delle conoscenze un po’ più tecniche rispetto al
passato). Gli elementi essenziali di una colonna laparoscopica sono un insufflatore di gas, che
monitorizza anche le pressioni endocavitarie mantenendole costanti, un apparato video per
visualizzare le immagini captate dalla telecamera, una fonte luce che porti illuminazione all’interno
dell’organismo tramite fibre ottiche, un sistema di irrigazione – aspirazione.
Un concetto estremo di chirurgia che non lasci traccia sulla superficie corporea visibile è la
cosiddetta NOTES (Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery), che ha visto una delle sue
prime applicazioni in ginecologia (basti pensare alla isterectomia transvaginale), ma che oggi ha
visto realizzare in via sperimentale anche le colecistectomie transvaginali o transrettali, interventi
transgastrici, interventi transorali...

Chirurgia robotica
È uno sviluppo della chirurgia mini-invasiva. Qui gli elementi essenziali sono una consolle dove
il chirurgo lavora utilizzando due joystick (due piccoli manipoli) e quattro pedali, un carrello
operatore con i bracci meccanici che muovono telecamera e strumenti, alcuni monitor di servizio
per l’aiuto chirurgo e il ferrista. La consolle può essere nella sala, oppure a grande distanza da
questa (come dimostrato dall’intervento del 2001 ricordato come “colecistectomia transoceanica” in
cui la consolle con il chirurgo erano a New York mentre il paziente era a Strasburgo). I vantaggi
della chirurgia robotica sono: la visione tridimensionale, la possibilità di muovere ed articolare gli
strumenti in modo molto superiore a quella possibile con gli arti umani, l’alta precisione dei
movimenti.
La chirurgia robotica è attualmente in fase di espansione, ma il suo ruolo effettivo sarà più
chiaro nei prossimi decenni. Al momento, per renderla economicamente più sostenibile, la si
pratica in centri multidisciplinari dove varie specialità chirurgiche si alternano al robot che viene
così utilizzato continuamente, ammortizzando meglio i costi di acquisto e mantenimento del
sistema (oggi in Toscana si usa il sistema Da Vinci Xi). Sono peraltro in fase avanzata di sviluppo
sistemi i cui bracci operatori nono sono montati tutti assieme su un singolo carrello, ma vengono
montati separatamente direttamente sul letto operatorio.

Endoscopia interventistica
Anche nel caso degli strumenti endoscopici intraluminali, il progresso tecnologico degli ultimi
anni ha permesso sviluppi impensabili, ed oggi le attività endoscopiche non sono più soltanto
diagnostiche, ma possono essere operative: rimozione di corpi estranei, dilatazione di stenosi
(restringimenti del lume), posizionamento di endoprotesi, emostasi (arresto di un vaso attivamente
sanguinante), asportazioni di polipi (o biopsie diagnostiche su lesioni maggiori), asportazione di
calcoli, confezionamento di stomie etc..
Gli strumenti più comuni sono il gastroscopio, il colonscopio, il rettoscopio, il broscoscopio,
l’isteroscopio. Per lavorare è necessario avere la colonna endoscopica sulla quale sono installati il
sistema ottico, la fonte luce, il sistema di aspirazione, il sistema di coagulazione etc... e lo
strumento, che è costituito da un tubo contenente fibre ottiche, un canale operativo dove si
introducono i vari strumenti (anse diatermiche, pinze...), uno per l’irrigazione, uno per l’aspirazione,
la testina della telecamera, l’impugnatura di comando.
Il personale di sala è spesso chiamato a collaborare nella esecuzione delle endoscopie
intraoperatorie, quindi dovrebbe avere una dimestichezza minima nella gestione dei materiali e
degli strumenti endoscopici, esperienza che si può facilmente acquisire partecipando a qualche
seduta di endoscopia programmata.
Anche in questo settore si stanno sviluppando dei sistemi robotici che possono muoversi nel
viscere in modo teleguidato.

Ecografia interventistica
Anche l’ecografia, che viene frequentemente impiegata per manovre diagnostiche (ed è quasi
esclusivamente la sola indagine per immagini impiegata nelle donne gravide), può essere
impiegata per atti invasivi, chirurgici, in particolare per drenare raccolte ed eventualmente
posizionare sistemi di drenaggio, per prelevare cellule o frustoli di tessuto, e per praticare terapie
ablative (termoablazione...) su determinate formazioni patologiche (es. per eliminare noduli
parenchimali, per coartare cavità cistiche etc.).
Il ruolo del personale di sala consiste nella preparazione dei materiali, nella collaborazione con
l’ecografista, nel campionamento del materiale prelevato, nella manutenzione delle
apparecchiature.

Fonti bibliografiche:
D. M. A. Francis cap 3 suTjandra, Clunie, Thomas’ Textbookof Surgery 2 nd ed. 2001.
Pat Cattini with M. Kiernan: Chapter 4 Infection prevention and control, su The Royal Marsden Manual of
Clinical Nursing Procedures

Testo Consigliato: Brunner, Suddarth: Infermieristica medico-chirurgica. Quinta edizione


Casa Editrice Ambrosiana, 2 volumi (2017).

il volume è disponibile c/o il polo bibliotecario 4, via Savi, Pisa.

I miei recapiti sono:

marco.puccini@unipi.it

328 1698914

se ci sono dubbi, richieste etc. sono disponibile al termine delle lezioni, ma chi lo ritiene
opportuno può contattarmi quando vuole.

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