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LA SCUOLA KANŌ

La pittura Kanō unisce la monumentalità della pittura accademica cinese al cromatismo


giapponese. Inventa gli sfondi d’oro (kinpeki).

L’ultimo pittore ufficiale a servizio dello shōgun Ashikaga Yoshimasa fu Kanō


Masanobu (1434-1530). A lui fu commissionata la residenza di Higashiyama, di cui
rimangono il Padiglione d’argento e il Tōgudō. Da allora, per generazioni, la scuola di
pittura Kanō da lui fondata rappresentò lo stile ufficiale di templi zen, capi militari e
shōgun che si succedettero fino al trasferimento della capitale a Edo, nel 1615.

La capacità diplomatica e pittorica di Masanobu, che alternava soggetti cinesi e


giapponesi, fu rafforzata dal figlio MOTONOBU (1476-1559) che, da una parte, si
guadagnò la carica di capo del dipartimento di pittura sposando la figlia di Tosa
MITSUNOBU, maestro della pittura yamatoe, dall’altra, trasformò la pittura
tradizionalmente legata ai temi religiosi in pittura DECORATIVA SECOLARE,
aggiungendo l’uso del colore all’inchiostro nero. A lui sono atttribuite le decorazioni del
Daitokuji, del Myōshinji (Tenryūji) e del Nanzenji.

Tuttavia, fu con EITOKU che la potenza decorativa dei Kanō raggiunse la massima
espressione, prima a servizio del governatore Oda Nobunaga, poi di Toyotomi Hideyoshi,
decorando i rispettivi castelli di Azuchi e Ōsaka. Un ramo della scuola Kanō si trasferì a
EDO sotto i Tokugawa con Kanō Tan’yu (1602-1674).

CRONOLOGIA:
MASANOBU e il figlio Motonobu a servizio degli Ashikaga
Eitoku (1543-1590) figlio di Shōei, nipote di Motonobu, pronipote di Masanobu a
servizio di Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi con il figlio Mitsunobu (1561-1602).
Sanraku (1559-1674) figlio adottivo di Eitoku, dipinge il Daitokuji, il Myōshinji
(Tenryūji) e il Daigōji.
Tan’yu (1602-1674) inizia la tradizione Kanō sotto i Tokugawa.

KANŌ KOI (1453-1490), Bambù, leopardi e tigre, (1614 ca;) quattro pannelli
scorrevoli. Nel castello dei Tokugawa a Nagoya.
A servizio dei Tokugawa nella provincia di Kii, si dice abbia cresciuto i tre figli di Kanō
Takanobu, Tan’yu, Naonobu e Yasunobu (gli è permesso di usare il nome Kanō e avere
un suo studio a Kyoto). Allievo di MITSUNOBU, introdusse uno stile più chiaro nella
pittura. Famoso per i suoi kachōga anche se solo pochi rimangono.

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IDEM, 2 pannelli DX
IDEM, 2 pannelli SX

KANŌ MASANOBU 正信 (1434?-1530), Paesaggio (e particolare), rotolo verticale,


inchiostro su carta.

Pare provenisse da una provincia orientale; è certo comunque che il suo bagaglio culturale
era considerevolmente diverso da quelli che lo avevano preceduto nel Shōkokuji. Non
aveva, infatti, una grande istruzione zen essendo stato educato a dipingere icone e ritratti
buddhisti tradizionali con la tecnica della policromia.
Fu il pittore ufficiale dello shogunato Muromachi, divenne goyō eshi
La chiave del SUCCESSO della scuola Kanō si deve proprio al talento versatile e alla
duttilità di Masanobu. Nessun’altra famiglia in Oriente o in Occidente, raccolse mai un
successo equivalente attraverso i secoli (la fama durò per 400 anni e mantennero la
posizione prevalente di artisti ufficiali dello shogunato fino alla fine dell’era feudale.)

KANŌ MASANOBU, Paesaggio con baia, rotolo verticale, inchiostro su carta

KANŌ MASANOBU, Stagno con loti e granchio, rotolo verticale, inchiostro su carta

KANŌ MASANOBU, Pino e figure umane, ventaglio, inchiostro su carta.


Il PINO simbolo beneaugurale e di longevità. Il formato del VENTAGLIO.

KANŌ MOTONOBU (1476-1559), Patriarchi del buddhismo zen, (1513), sei rotoli
verticali, inchiostro su carta
Figlio di Masanobu, ugualmente dotato e sagace, ereditò dal padre tanto la capacità di
sopravvivere nella volubile atmosfera politica del tempo, quanto l’abilità di alternare,
nell’attività artistica, i soggetti cinesi a quelli giapponesi.
Trasformò la pittura a inchiostro di ispirazione zen in uno stile decorativo che incontrava
senza difficoltà i gusti di gruppi non religiosi.

PATRIARCA (giapp. hasshu) designa il fondatore di una scuola e i suoi successori nella
ininterrotta trasmissione del Dharma. Sono degni a loro volta di trasmettere
l’insegnamento zen. Simbolicamente la consegna del kesa e della ciotola (giapp. oryoki
= “ciò che contine quanto basta”, uno dei pochi beni che il monaco può possedere. E’ una
metafora della vita monastica ed è, soprattutto, ricordo vivo del Buddha asceta e
mendicante). La ciotola per l’elemosina testimonia il passaggio da un patriarca al suo
successore. Le figure dei patriarchi sono tenute in grande considerazione perché
attraverso di esse è possibile risalire all’origine stessa della trasmissione silenziosa
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dell’insegnamento al momento in cui il Buddha Sakyamuni consegnò la dottrina a
Mahakasyapa (giapp. Kasho, rappresentato, a differenza di Ananda, come un monaco
anziano con le mani giunte in segno di devozione). Questo fa riferimento alla nozione
fondante nel buddhismo zen della trasmissione ininterrotta della dottrina da Buddha
attraverso la catena di patriarchi e fondatori.

IDEM, uno di sei rotoli verticali. Kyōgen Chikan raggiunge l’illuminazione mentre
pulisce con la scopa.

Originariamente disegnati come dipinti su parete o fusuma sono stati ora trasformati in
rotoli da appendere. Dipinti nel 1513 per la stanza dell’abate del Daisenin (nel recinto del
Daitokuji). Anche se rappresentano solo una parte dei dipinti che decoravano la stanza
hanno, tuttavia, un movimento in una sequenza continua da dx a sx.
Uno dei dipinti più affascinanti è quello del monaco Chikan (cin. Hsiang-yen) morto nel
898, che raggiunse l’illuminazione al suono di una tegola caduta dal tetto della sua
abitazione. Qui è ritratto mentre con la scopa raccoglie i tre pezzi in cui si è rotta.

IDEM, uno di sei rotoli verticali


All’inizio ci sono 4 pannelli stretti che erano montati su fusuma sul lato SUD, seguiti da
2 pannelli più grandi attaccatti alle solide pareti di legno a formare la parete EST della
stanza. Ad eccezione del secondo, tutti i pannelli ritraggono uno o più patriarchi zen
cinesi intenti in qualche attività.

La scelta di Motonobu è quella di trattare il tema in unità narrative SEPARATE piuttosto


che come singoli individui inseriti in un contesto continuo e in un paesaggio
tridimensionale.

Come regola generale stabilisce il CENTRO della composizione con un motivo singolo
(la casa di Chikan) poi, per creare una certa tensione, pone degli elementi secondari sulle
DIAGONALI come il largo masso tondeggiante a dx e gli arbusti di bambù. Questi
elementi suggeriscono una recessione spaziale e contraddicono la stabilità dell’immagine
centrale.

Quello che Motonobu ottiene è una serie di composizioni con figure e paesaggi basati su
modelli cinesi in scala ridotta, ma ingranditi fino a raggiungere un effetto drammatico.

KANŌ MOTONOBU, Paesaggio con edificio, rotolo verticale, inchiostro su carta

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KANŌ MOTONOBU, Fiori e uccelli delle quattro stagioni, otto rotoli verticali,
inchiostro su carta.
Dai rotoli scaturisce una grande ENERGIA e una straordinaria vitalità. Flora e fauna sono
dipinte in scala più grande del reale. Enormi sono i pini, i fiori e gli uccelli sullo sfondo
di gigantesche rocce e di un’impetuosa cascata. Tutto è posto a stretto contatto con
l’osservatore. Emanano un’immediatezza prima sconosciuta alla pittura a inchiostro
giapponese preannunciando lo stile che sarà tipico del periodo Momoyama.

IDEM, due di otto rotoli verticali

KANŌ MOTONOBU, Fiori e uccelli, rotolo verticale, inchiostro e colore su carta

KANŌ MOTONOBU, I monaci zen Bukan, Kanzan e Jittoku, coppia di rotoli verticali,
inchiostro su carta.

I personaggi rappresentati sono BUKAN (cin. Fengan) monaco cinese maestro di Kanzan
e Jittoku, sempre accompagnato dal suo tigrotto, un docile felino che sonnecchia
nonostante il suo padrone vi sia seduto sopra. Le nubi dalle forme bizzarre che pervadono
la scena fanno parte del paesaggio della Parete Ghiacciata di Tiantaishan, nella Cina
meridionale, la montagna dove dimorano i tre leggendari, benchè quasi storici, eccentrici.

I due uomi in piedi sul bordo della roccia sono rispettivamente a DX con le mani giunte
KANZAN (cin. Hanshan) a SX, di profilo, con la scopa in mano JITTOKU (cin. Shide).
Kanzan è un poeta che si ritiene vissuto tra il tardo VIII sec. e l’inizio del IX, all’epoca
della dinastia Tang. Il suo attributo è un secchio di bambù che egli avrebbe usato per
raccogliere il cibo avanzato dalle cucine del tempio. Il suo operoso compagno, Jittoku,
invece, brandisce una scopa usata per svolgere mansioni servili nel tempio. Sono sempre
rappresentati come due monaci eccentrici, con i capelli scarmigliati e con espressioni a
volte comiche.

REISAI, I monaci zen Bukan, Kanzan e Jittoku, coppia di rotoli verticali, inchiostro su
carta., coll. Burke, NY

KANŌ MOTONOBU, Fiori e uccelli delle quattro stagioni, coppia di paraventi a sei
ante, colore e foglia d’oro su carta, 1550.

IDEM, paravento DX
IDEM, paravento SX

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KANŌ SHŌEI (1519-1592), Fiori e uccelli delle quattro stagioni, coppia di paraventi
a sei ante, colore su carta.

Padre di Eitoku con il quale collaborò per la realizzazione dei fusuma del Jukōin, piccolo
complesso all’interno del Daitokuji a Kyoto. Hasegawa Tōhaku lavorò nel suo studio a
Kyoto.

IDEM, paravento DX
IDEM, paravento SX

KANŌ EITOKU (1543-1590), Quattro nobili passatempi, quattro pannelli scorrevoli di


otto, inchiostro su carta, 1566, (musica, arte, istruzione e giochi di abilità)

Nipote di Kanō Motonobu, da cui fu istruito, consolidò la sua posizione sviluppando uno
stile personale che incontrava i gusti dei daimyō del 16° sec. Quando aveva solo 20 anni
gli furono commissionate diverse opere dai più potenti daimyō dell’epoca. Tra questi
anche i famosi paraventi rakuchu-rakugai (dentro e fuori della capitale, cioè entro i
confini di Kyoto e fuori cioè Higashiyama e Nishiyama).

KANŌ EITOKU, Leoni cinesi, paravento a sei ante, inchiostro, colore e foglia d’oro su
carta, terzo quarto del XVI sec. (h 222 x 452 cm), Tokyo, Collezione Imperiale.
Le sue composizioni su larga scala sono esemplificate da grandi paraventi con sfondo
dorato e pennellate vigorose di inchiostro scuro.

Lo sfondo d’oro a nuvola è tipico della pittura dei Kanō di epoca Momoyama. Serviva a
riempire e dare risalto a intere pareti di ricchi palazzi e castelli catturando e riflettendo la
luce fioca che filtrava dall’esterno o delle candele. Questa tecnica di applicazione dell’oro
e colori è detta KINPEKI e fu utilizzata per la prima volta da Eitoku e da suo figlio
Mitsunobu per la decorazione del castello di Azuchi. All’inizio si trattava di foglia d’oro,
in seguito più semplicemente di vernice color oro.

I due LEONI cinesi, un leone e una leonessa, insieme ad altri animali come falchi, tigri e
fenici sono uno dei soggetti principali della pittura Kanō. Coloratissimi e dalle dimensioni
enormi, erano adatti al TEMPERAMENTO della classe militare e dell’imponenza degli
spazi che andavano a decorare. Lo SFONDO è assolutamente abbreviato e l’uso dell’oro
serve sia come terreno sul quale poggiano i leoni, sia come forma delle nuvole sopra di
loro.
La leonessa non mostra alcun istinto materno, si protende verso sx con gli occhi
fiammeggianti. Anche il leone si muove verso sx ma si gira con cautela verso la
compagna per osservare la sua azione.
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KANŌ EITOKU, Falco, pini e rocce, paravento a sei ante
inchiostro, colore e foglia d’oro su carta, fine XVI sec.

KANŌ EITOKU, Hinoki byōbu, paravento SINGOLO a otto ante, colore e foglia d’oro
su carta, (1590 ?)
Si ritiene che il progetto iniziale fosse per una serie di porte scorrevoli commissionate dal
principe Toshihito (lo stesso che commissionò la Villa di Katsura trent’anni dopo).
Rimontate in un unico paravento a otto ante è stato tagliato nel lato corto distorcendo,
così, la nostra visione.
Restaurato tra il 2012 e il 2014 (resposabile del restauro al Tokyo National Museum:
Nobuyuki Kanba) è stato rimontato come due byōbu separati con la cornice in lacca nere
tra le due parti del tronco del cipresso che, altrimenti, risulterebbero non allineate.
Sul retro è stata posta una carta con i fiori di paulonia (simbolo del pricipe Hachijō no
miya). Tracce della stessa erano state rinvenute dopo lo smotaggio nell’originale. VIDEO
su you tube “Kano Eitoku cypress tree”, The National Treasure Cypress Tree- a record
of its restauration form October…”

IDEM, quattro ante DX, dominato da un CIPRESSO (hinoki) massiccio che con le sue
forme contorte invade tutto il campo visivo.

IDEM, quattro ante SX, stagno e rocce sfaccettate rigidamente, squadrate. Gli elementi
sono disposti in maniera simile ai fusuma del Jukōin, ma il naturalismo e lo spirito
giocoso sono qui totalmente assenti. L’ENFASI è posta sulle solide forme scultoree su
uno sfondo piatto e dorato.

KANŌ EITOKU, Sala del Jukōin nel Daitokuji, Kyoto

KANŌ EITOKU, Veduta dello hōjō del Jukōin del Daitokuji, 1566.

Questa veduta della sala principale del Jukōin rende l’idea del livello delle opere
commissionate ai Kanō e lascia intuire che lo SCOPO non fosse prettamente religioso,
ma piuttosto di impressionare l’ospite con lo sfarzo. Si tratta di un’UNICA scena (su 16
pannelli) realizzata in monocromia e con il tema di fiori e uccelli nelle quattro stagioni.
Il dipinto si svolge in maniera continua su TRE PARETI; la quarta parete della sala si
apre sul giardino affinchè questo formi una visione unitaria di grande bellezza con le
pareti dipinte dell’interno.

KANŌ EITOKU, Fiori e uccelli della quattro stagioni, quattro pannelli scorrevoli di
sedici, Sala Principale del Jukōin, Daitokuji, Kyoto
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Nei fusuma del Jukōin sfrutta lo spazio architettonico su tre lati creò una nuova formula
per distribuire i motivi decorativi sulle pareti interne. Si trovano paesaggi delle 4 stagioni
(in 16 pannelli). Realizzati con tratti vigorosi di inchiostro nero su una superficie
delicatamente striata d’oro. La sua formula per la decorazione dei fusuma è innovativa
perché impiega alberi massicci (pruno per la primavera e i pini per l’inverno) in diagonale
su angoli opposti della stanza in modo da condurre l’osservatore più in profondità nello
spazio pittorico. Uso drammatico della pennellata di inchiostro e, allo stesso tempo, del
tocco delicato dei grigi e delle sfumature dorate.

Sulla SX il grande pino ricurvo protende i rami su una grande gru, richiamando
l’INVERNO. E’ una composizione distesa e semplice con veloci pennellate di pochi
elementi: qualche roccia, piante, uccelli e ampi spazi liberi. Le rocce e i pini sono trattati
da Eitoku a larghi tratti di pennello con grande energia per enfatizzare le superfici lasciate
vuote al naturale, mentre rende con mano leggera la tessitura delle penne della gru,
ingentilendo il tratto per contrasto.

Sulla parete opposta, in un angolo a DX, un piccolo bambù e accanto un susino fiorito
che protende i rami sull’intera parete, indicano la PRIMAVERA. Insieme al grande pino
sulla parete a sx sono anche chiamati “i tre amici dell’inverno” simbolo di buon auspicio
e longevità.
L’utilizzo della foglia d’oro polverizzata sull’intera superficie dell’opera, oltre a
impreziosire la composizione, permette una percezione unitaria dell’intera sala all’occhio
dell’osservatore.

KANŌ SANRAKU (attr.), (1559-1635) o al figlio SANSETSU (1590-1651), Pruno e


fagiano, quattro pannelli scorrevoli, colore e foglia d’oro su carta, Myōshinji, Importante
Proprietà Culturale

Sanraku fu il primo “estraneo” ad essere addottato nella famiglia Kanō. Era un paggio a
servizio di Hideyoshi, che resosi conto delle sua qualità lo inserì nell’atelier di Eitoku
dove divenne suo allievo-assistente. Essendo il più dotato tra gli allievi, alla morte
prematura di Eitoku, nel 1590, fu nominato quinto capo della scuola. Prima di Sanraku,
per quattro generazioni, la guida del clan era stata trasmessa come diritto di
primogenitura, ma fu proprio il fatto che questa carica venisse assegnata a un estraneo
che assicurò lo straordinario successo della famiglia anche nelle epoche successive.

La sua pittura è prevalentemente associata a templi zen, in questo caso al Myōshinji ed


era molto curata soprattutto nei particolari della natura. Un enorme ramo di SUSINO
contorto attraversa il primo piano su uno sfondo d’oro. Sul punto più in alto sta un
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uccellino colto di profilo. Sulla roccia a dx un FAGIANO dal piumaggio colorato e ben
definito si volta indietro.

IDEM, due pannelli DX


IDEM, due pannelli SX

KANŌ TAN’YU (1602-1674), Pino e falco, quattro pannelli scorrevoli, inchiostro,


colore e foglia d’oro su carta, 1626 ca. Castello di Nijō (1603), sala delle udienze.

Con i suoi assistenti dipinse dei pini giganteschi nel tokonoma. Segue la formula
caratteristica del periodo Momoyama, ma le immagini pittoriche delle sue opere sono di
dimensioni minori e mancano della cruda energia di certi paraventi Momoyma, esse si
prestano, infatti, anche a decorare spazi più limitati rispetto ai grandi saloni dei castelli,
per esempio.
Tan’yu era quello che si definirebbe un “bambino prodigio” perché già a tredici anni
venne ricevuto dal secondo shōgun Hidetada che lo elogiò come “reincarnazione di
Eitoku” (a vent’anni diresse il progetto del Nijōjō).

A Edo gettò delle solide fondamenta per il futuro della famiglia Kanō ponendosi al vertice
di un’organizzazione composta da quattro rami principali e molti minori che tutti insieme
monopolizzarono gli incarichi conferiti dagli shōgun e dai loro vassalli feudali. Quasi
tutti gli artisti di Edo iniziarono la propria attività come pittori di questa scuola o
mantennero dei contatti con essa in qualche momento della loro carriera.

IDEM, due pannelli DX


I falchi dipinti da Tan’yū sono una specie identificata come “falco di montagna”. Nativa
del Giappone è detta anche kumataka (熊鷹) falco-orso per il suo aspetto minaccioso.
Grazie alla sua enorme apertura alare era l’unico rapace addestrato per la caccia nel
periodo Edo. Durante questo periodo la falconeria era un’attività ristretta allo shōgun e ai
daimyō di alto livello perché l’addestramento richiedeva aree estese e ingenti investimenti
economici . Queste creature maestose dipinte del castello di Nijō dovevano rappresentare
il potere shogunale e di conseguenza erano ritratte non come uccelli allevati e addestrati
in cattività, ma come creature nella natura nel loro habitat montano appollaiate su una
roccia vicino a un vecchio pino.

IDEM, due pannelli SX


Nella resa di un singolo falco-aquila Kanō Tanyū cattura l’essenza del potere. Lo sguardo
del rapace rappresenta la “vigilanza” e l’autorità assoluta.
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