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Alterità e subordinazione coloniale: la


sezione d’Arte Contemporanea alle
Mostre Internazionali d’Arte
Colonial...
Giulia Golla Tunno
IL MITO DEL NEMICO Identità, alterità e loro rappresentazioni. A cura di Irene Graziani e Maria Vittoria
Spissu. Bologna, Minerva.

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Art ist i sardi e Orient alismo alt ri esot ismi


Rossella Pace

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Silvia Colombo
IL
MITO
DEL
NEMICO
Identità, alterità
e loro rappresentazioni
a cura di
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

MINERVA
Con un’ampia gamma di saggi, il volume af-
fronta lo studio dell’alterità, dal Medioevo
all’Età contemporanea, attraverso una prospet-
tiva interdisciplinare, che consente di abbrac-
ciare la categoria fluida e soggettiva di nemico,
scrutandola in specifici contesti e seguendola nei
suoi diversi paradigmi e trasformazioni.
Cinquanta autori si confrontano con il mito
mutevole del nemico, mettendo a fuoco i pro-
cessi figurativi e le dinamiche ideative, all’origine
delle molteplici costruzioni dell’alterità. Orga-
nizzato tematicamente e in maniera compara-
tiva, il volume assume, di volta in volta, focus
privilegiati, quali meraviglia, fascinazione, ap-
propriazione, satira, facendo emergere un ne-
mico arbitrario, in cui connessioni tra finzione
e fobia, gerarchie e propaganda, concorrono a
determinare pericolosità strategiche e modalità di
assimilazione.
Un mito del nemico dunque riconoscibile
nelle mistificazioni di ebrei, musulmani, tur-
chi, mori, protestanti, convertiti, non-cattolici
in genere; africani, nativi americani, orienta-
li, non-europei, e non-bianchi in genere, come
pure dissidenti, e nemici in ambito politico.
Vi si ritrova inoltre il nemico diventato prete-
sto e linfa per giustificazioni imperialistiche e
coloniali. Il volume mette al centro i ruoli del
diverso nell’immaginario artistico e letterario,
sollevando infine interrogativi circa la definizio-
ne di identità e civiltà.
Oltre ad analisi che si concentrano sull’Europa
centro-occidentale, coinvolge approfondimenti
su questioni inerenti i paesi mediterranei, l’Est
Europa, l’Asia e il continente americano. Il vo-
lume, che include scritti di storia dell’arte, let-
teratura, storia, antropologia visuale, storia del
collezionismo, iconologia politica, storia delle
idee e filosofia giuridica, è pensato come visione
sfaccettata e di ampio respiro, su un fenomeno
sfuggente e complesso, quanto di estrema at-
tualità.
IL MITO DEL NEMICO
Identità, alterità e loro rappresentazioni

THE MYTH OF THE ENEMY


ALTERITY, IDENTITY, AND THEIR REPRESENTATIONS

A cura di / edited by
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

MINERVA
Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO)
Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420
info@minervaedizioni.com
www.minervaedizioni.com
INDICE

Irene Graziani
Introduzione........................................................................................................................................7
Maria Vittoria Spissu
Speculum Humanae Inimicitiae. La convenienza del nemico sulle geografie della «portátil Europa»:
trasferibilità, intercambi e rimodulazioni à la carte .............................................................................9
***
I. IL NEMICO COME ESPEDIENTE NELL’IMMAGINARIO MITICO
1.1. Ibridando naturale e umano
Inés Monteira Arias
I musulmani nella scultura romanica: archetipi e modalità di rappresentazione...............................29
Sabine Du Crest
«Fiorentinizzazione»: il reliquiario di cristallo di rocca di San Lorenzo come oggetto frontiera ........37
Lucia Corrain, Chiara Giulia Morandi
L’immaginario turco della “serie ottomana” di Jacopo Ligozzi ..........................................................47
Angela Ghirardi
Mori e zingare. Lo sguardo verso l’altro di Bartolomeo Passerotti e dintorni....................................59
Cristina Cassina
L’ebreo, nemico dei lavoratori, negli scritti di Alphonse Toussenel (1803-1885) .............................65
***
1.2. Funzioni narrative e morali
Barbara Baert
The Other Man. John the Baptist’s Platter as Paradigm for the Construction
of Identities and Otherness .................................................................................................... 71
Agnès Blandeau
The Devil, God’s Worst Enemy, in Some Late Fifteenth-Century Dominical Sermons in English....83
Fabrizio Lollini
Il nemico nella trama. Diavoli e demoni nel ciclo di arazzi di Montpezat de Quercy ......................89
Teodoro De Giorgio
«Velenosi come il serpente»: l’alterità degli eretici nelle rappresentazioni basso medievali
del Giudizio Universale dell’Italia meridionale ..................................................................................97
Guillermo M. Jodra
The Negation of the Self in Spanish Mysticism: Lo-Lishma, Fanā’, Sacrifici ..................................105
Ignacio José García Zapata
L’alterità nella scultura della Settimana Santa in Spagna: Francisco Salzillo ....................................113
***
1.3. Genere e alterità
Eleonora Cappuccilli
Nemici di chiesa, Stato e patriarcato. Donne e dissenzienti nel Seicento inglese ............................121
Gilberta Golinelli
Lo sguardo femminile nell’Inghilterra tra Seicento e Settecento: appropriazione,
decostruzione e ri-mediazione dell’incontro con l’altro...................................................................127
***
1.4. Satira e stigma
Beniamino Della Gala
«Il Padre separa il grano dalla pula». La rappresentazione orrorifica del Nemico nella rivolta
di Münster in Q, di Luther Blissett .................................................................................................135
Camilla Murgia
Otherness in Satirical Cartography: XVIIIth-Century Europe through English Maps ..................141
Luigi Franchi
«The Enemy of the Enemy is a Friend (till he’s the Enemy Again)». Gli hooligans inglesi
nei romanzi di John King................................................................................................................149
Dmitry Novokhatskiy
The Image of the Enemy in the Contemporary Russian Alternate History Novels........................155
***
II. IL NEMICO COME CONTINGENZA IN UNA PROSPETTIVA GLOBALE
2.1. Ebrei e mondo cristiano
Federica Francesconi
Dalla città al testo scritto e ritorno: gli ebrei di fronte alla cristianità nella prima
età moderna a Modena ........................................................................................................ 163
Maria Portmann
Between East and West. Yellow Colour as a Distinctive Sign of Otherness ....................................177
Giulia Iseppi
Sconfiggere “gl’ignoranti”: la cappella Aldobrandini a Ravenna .....................................................193
Tímea Jablonczay
The Discourse on “Jews”. Discrimination and Desire in a Hungarian Writer, Béla Zsolt’s Novels ..197
***
2.2. Straripamento turchesco
Paulo Catarino Lopes
Imagined Alterity: an Unprecedented Portuguese View of the Ottoman Turk in the Early 1500s ..205
Kira von Ostenfeld-Suske
Uncivilized Infidels: the Creation of the Ottoman Threat in Juan Páez de Castro’s, Ad Caesarem
Imperatorem Optimum Maximum Carolum Quintum.....................................................................213
Vittorio Fortunati
Mito e smitizzazione: l’impero ottomano nella corrispondenza di Guilleragues.............................229
***
2.3. L’altro americano
Larissa Carvalho
Contact, Perception and Representation of the “American Other” in Sixteenth-Century
Costume Books ...............................................................................................................................235
Donatella Biagi Maino
Il cannibale e il buon selvaggio. L’invenzione dell’America ............................................................245
Erica Ciccarella
Alterità indigena e propaganda della conquista: l’epica americana di Tommaso Stigliani...............257
Alberto Carrera
L’alterità nel Nuovo Mondo. Indios e miserables personas nel pensiero giuridico
di Solorzano Pereira ......................................................................................................................263
Giovanni Cerro
L’antropologo e gli altri. Le popolazioni indigene nella riflessione di Giuseppe Sergi
(1841-1936) ...................................................................................................................................267
***
2.4. Esotico e orientale
Valeria Rubbi
Qualche riflessione sulla fascinazione esotista nelle scenografie di Antonio Basoli .........................277
Maurizio Ascari
Viaggiatori inglesi nell’impero ottomano tra Cinque e Seicento ....................................................285
Gino Scatasta
«Something suggestive of Japan»? Il giapponismo di Aubrey Beardsley .............................................291
Rosa Lombardi
Orientalismo, occidentalismo, sinologismo. La percezione dell’altro: visioni comuni
sulla Cina, mode culturali, interferenze tra fine Ottocento e primo Novecento. E la Cina?...........299
***
2.5. Ibericizzazione e conquista
Esteban García Brosseau
The Conquest of Mexico in the Codex Durán (16th c.) and the Roman D’Alexandre
(BL Royal MS 20 B xx) (1420): A Case of “Exoticism in Translation”? .........................................307
Peter Mason
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata .............................................315
Maria Vittoria Spissu
«Notable espanto y maravilla». La missione dell’acqua: convertire con le emozioni,
dall’altare alla mappa, dall’Aragona alle Americhe ..........................................................................325
Carolina Valenzuela Matus
The Secret Knowledge of the “Others”: the Mapuche Healers in the Works of Alonso de Ovalle
and Juan Ignacio Molina.................................................................................................................343
***
III. IL NEMICO COME DISTANZA NELLA COSTRUZIONE DELLE IDENTITÀ
3.1. Ambasciatori e stranieri
Sandra Costa
Il salon del 1769 e il ruolo dello “straniero” nella critica d’arte........................................................353
Alessandra Mascia
Ambasciator non porta pena. Gli scambi diplomatici tra Parigi e Costantinopoli nel XVII-XVIII
secolo e la nascita di un nuovo genere iconografico tra sospetto e ragione di Stato ........................361
***
3.2. Sociale e strategico
Luigi Contadini
L’inferiorità del nemico nella guerra civile spagnola ........................................................................373
Ana Teresa Graça de Sousa
The Portuguese Restoration War (1640-1668) and the mutable faces of the Castilian enemy.......381
Antonino Rotolo
Il mito del nemico come gioco sociale non-morale ........................................................................387
***
3.3. Meridionale e coloniale
Katharina Jörder
Constructing White Legitimacy. The Re-enactment of Jan van Riebeeck’s Landing
(1952) in Photographs by the Apartheid Regime’s State Information Office .................................395
Giulia Golla Tunno
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre
Internazionali d’Arte Coloniale (Roma, 1931; Napoli, 1934) ........................................................403
Giacomo Tarascio
La definizione dell’identità nel Mezzogiorno italiano durante il XIX secolo ..................................417
***
3.4. Colpa e memoria
Marinella Pigozzi
Il memoriale di Giorgio Simoncini con Pietro Cascella ad Auschwitz-Birkenau e
l’alterità aberrante nazista ................................................................................................................421
Roberto Pinto
Tra rifiuto e fascinazione. La trasformazione dell’arte “non occidentale” negli ultimi
anni del Novecento .........................................................................................................................433
Elena Giovannini
Un esule tedesco in India: identità, alterità e contaminazioni in Germans beyond Germany
di Willy Haas ..................................................................................................................................439
Marco Albertoni
Imporre il ricordo del nemico interno. Sulle colonne infami nell’Italia moderna...........................445
Michela Morgante
«They Are Still a Bunch of Huns». La rappresentazione dei monumenti italiani bombardati
durante la seconda guerra mondiale e la tesi della barbarie culturale del nemico ...........................453
403

Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte


Contemporanea alle Mostre Internazionali d’Arte
Coloniale (Roma 1931; Napoli 1934)
Giulia Golla Tunno

1. INTRODUZIONE
Il colonialismo italiano, a lungo minimizzato dalla storiografia1, è un momento di centrale
importanza per la comprensione della storia contemporanea del Paese con ramificate e prolungate
influenze sulla cultura visuale2. Se un crescente numero di studi ha indagato i legami tra il feno-
meno coloniale e l’architettura, la fotografia, il cinema e le immagini pubblicitarie, dal punto di
vista della storia dell’arte e delle esposizioni si tratta di un tema ancora poco esplorato, che tuttavia
recenti lavori stanno mettendo in luce3.
In questo senso, la Prima e la Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale (Roma 1931
e Napoli 1934) (d’ora in avanti abbreviate con l’acronimo Miac) costituiscono un esempio
particolarmente interessante per analizzare gli intrecci tra il sistema dell’arte e il colonialismo
nel contesto del regime fascista4. L’analisi delle due esposizioni e, in particolare, della sezio-
ne d’Arte Contemporanea Italiana, permette di esaminare la volontà degli organizzatori di
costruire e promuovere un’“arte coloniale” in Italia e di comprendere come questo concetto
sia stato declinato dagli artisti italiani che parteciparono alle esposizioni. Il presente saggio

1 Giorgio Rochat e Angelo del Boca furono tra i primi negli anni Settanta ad analizzare estensivamente tale periodo
storico si cfr. ad es. Rochat G. Il Colonialismo Italiano, Loescher, Torino 1973; Del Boca A. Gli Italiani in Africa Orien-
tale, Editori Laterza, Roma 1976. Per un’analisi delle problematiche storiografiche degli studi sul colonialismo Italiano
si cfr. Del Boca, A. “The Myths, Suppressions, Denials, and Defaults of Italian Colonialism” in Palumbo P. (a cura di)
A place in the Sun, University of California Press, Berkeley 2003, pp. 17-36; Labanca N., “Studies and Research on
Fascist Colonialism, 1922–1935 Reflections on the State of the Art”, ivi, pp. 37-61.
2 Con tale termine si fa riferimento all’approccio interdisciplinare alle immagini introdotto nel mondo anglosassone
dai visual studies. Si cfr. per es. Mirzoeff, N., Introduzione Alla Cultura Visuale, Meltemi, Roma 2007, tr. it. Hostert
A.C..; Mitchell, W.J.T., Pictorial Turn: Saggi Di Cultura Visuale, Duepunti, Palermo 2008, tr. it. Cometa M..
3 Questo punto è espresso per es. in Iamurri, L., “Surrounding Ethiopia: Images and Rhetoric Devices from a Colonial
War”, in Arts et sociétés, 2014; http://www.artsetsocietes.org/f/f-iamurri.html
Un primo importante studio d’insieme sulle esposizioni coloniali in Italia è tracciato in Labanca, N., L’africa in Vetrina:
Storie di Musei e di Esposizioni Coloniali in Italia, Pagus, Pavia 1992. Fra i rari studi su pittura e scultura coloniali citia-
mo: Delvecchio, C., “Icone d’Africa: note sulla pittura coloniale italiana” in Gresleri G., Massaretti P.G., Zagnoni S. (a
cura di), Architettura italiana d’oltremare 1870-1940, pp. 69-81. Marsilio,Venezia 1993; Bossaglia, R, Gli Orientalisti
Italiani: Cento Anni Di Esotismo 1830-1940, Marsilio, Venezia 1998.; Margozzi, M., Dipinti, Sculture E Grafica Delle
Collezioni Del Museo Africano: Catalogo Generale, Isiao, Roma 2005.
Recentemente sono stati pubblicati due studi sull’argomento: Dettori, M.P., Artisti Sardi E Orientalismo: Altri Esoti-
smi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2017; Tomasella, G., Esporre l’Italia coloniale: interpretazioni dell’alterità, Il
Poligrafo, Padova 2017.
4 Il primo studio interamente dedicato alle Miac è Jarrassé, D., Usage fasciste de l’art colonial et dénis d’histoire de l’art:
les Mostre d’Arte Coloniale (Rome 1931 et Naples 1934), in “Studiolo”, 13, 2016, pp. 236-263.
In Tomasella, G., 2017, op. cit. vi è un’ampia trattazione delle Miac (pp. 74, 81-99) oltre a una dettagliata scheda delle
mostre nel regesto (pp. 181-191, 194-206).
404 Meridionale e coloniale

propone un’analisi di come le mostre abbiano contribuito a plasmare l’immaginario collettivo


attorno a ciò che veniva definito come “coloniale”, in primo luogo riflettendo su alcuni stere-
otipi, “miti” nel senso Barthiano5, che queste hanno concorso a veicolare e, in secondo luogo,
su come tali eventi contribuirono alla costruzione di un’idea di “alterità” legata ai territori
colonizzati in stretto legame con l’obiettivo di legittimare l’espansionismo fascista.

2. Le Mostre Internazionali d’Arte Coloniale: un modello ibrido


Nonostante le abbondanti risorse che furono mobilitate e la conseguente risonanza me-
diatica che fu dedicata alle due Miac sulle testate dell’epoca6, dal dopoguerra in poi queste
caddero nell’oblio. Come è accaduto più in generale per l’eredità artistica legata al fascismo7,
la storiografia non solo se ne disinteressò, ma operò una sorta di censura, a causa di un pudore
e malessere nel trattare di “arte” e di “colonialismo” nello stesso ambito8.
Presiedute dall’allora ministro delle Colonie Emilio de Bono e sotto l’alto patronato di
Benito Mussolini, il carattere spiccatamente propagandistico delle due mostre è evidente. Le
Miac rappresentarono un esperimento unico nel loro genere nel panorama europeo di quegli
anni, essendo le sole esposizioni internazionali che vennero interamente dedicate all’“arte co-
loniale”9, concetto che, come vedremo, rimarrà di vaga e confusa definizione nei due progetti
curatoriali. L’iniziativa che portò alla loro organizzazione fu di un organismo privato, l’En-
te autonomo fiera campionaria di Tripoli10, che nel 1927 aveva istituito l’omonima mostra
mercato in Libia e che finanziò interamente i due eventi. L’ideazione di tali mostre proprio
in Italia è da comprendersi nel contesto dell’uso che fece il fascismo dell’apparato espositivo.

5 Barthes, R., “Le mythe aujourd’hui”, in Mythologies, Seuil, Paris 1957, pp. 213-268. (tr. it. Torino 1974).
6 Basti pensare alla centralità e importanza delle sedi scelte (palazzo delle Esposizioni a Roma e Castelnuovo a Napoli),
oltre al fatto che furono istituiti sconti sui biglietti ferroviari per i visitatori della mostra. È inoltre presente una coper-
tura mediatica su tutti i principali quotidiani nazionali e i Cinegiornali Luce documentano le due inaugurazione con
le visite ufficiali di Benito Mussolini a Roma e del re Vittorio Emanuele III a Napoli.
7 Su questo tema si cfr. per es. Malvano, L., Fascismo e politica dell’immagine, Bollati Boringhieri, Torino 1988; Antliff,
M., Affron, M., Fascist visions: art and ideology in France and Italy, Princeton University Press, Princeton 1997; Cri-
spolti, E., Hinz, B., Birolli, Z., Arte e fascismo in Italia e in Germania, Feltrinelli 1974; Cioli, M., Il Fascismo e la “sua”
Arte: dottrina e istituzioni tra Futurismo e Novecento, Olschki, Firenze 2012.
8 Questo punto è illustrato in Jarrassé, D., “L’ Art Colonial, entre Orientalisme et Art Primitif: recherche d’une de-
finition”, in Histoire De L’art, 2002, pp. 3-16. È interessante inoltre notare che un artista come Michele Cascella, la
cui opera tratta temi “coloniali” solo nel caso della partecipazione alla Seconda Miac, questa mostra venga omessa in
cataloghi e pubblicazioni, si cfr. per es. Aa.Vv., Michele Cascella: Mostra Antologica: Milano, Palazzo Reale, Comune di
Milano, Ripartizione cultura e spettacolo, Milano 1981.
9 De Rycke la definisce come «La première Exposition Internationale entièrement dédiée à l’art colonial» De Rycke
J.P., Africanisme et Modernisme: la Peinture et la Photographie d’inspiration doloniale en Afrique Centrale (1920-1940),
Lang, Bruxelles 2010, p. 98.
È da notare che le mostre non furono esclusivamente dedicate all’“arte coloniale”, bensì furono allestite diverse sezioni
tematiche dedicate a vari approfondimenti, per es. “Libro Coloniale”, “Fotografia e Architettura Coloniale”, “Mostra
Militare e del Sahara”, “Mostra d’Architettura Mussulmana”. Per il dettaglio delle sezioni si veda Tomasella, G., op.
cit., (pp. 181-191, 194-206).
10 La Fiera Campionaria di Tripoli fu organizzata dal 1927 al 1939, si cfr. McLaren, B., The Tripoli Trade Fair and the
Representation of Italy’s African Colonies, in “Journal of Decorative and Propaganda Arts”, 2002, pp. 170-197; Vargaftig,
N., Des Empires en Carton: les Expositions Coloniales au Portugal et en Italie (1918-1940), Casa de Velázquez, Madrid
2016, pp. 105-108.
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 405

Come espresso da Jeffrey Schnapp, il regime trovò nelle esposizioni un fondamentale veicolo
di propaganda e «an ideal locus for historical self-reflection, self-representation, and self-promo-
tion»11, che risultò nell’invenzione di format espositivi inediti e originali, come ad esempio
le Mostre della Rivoluzione Fascista (1932, 1937, 1942) o la Mostra Augustea della Romanità
(1937-38). Lo scopo di queste manifestazioni era quello di spettacolarizzare ed estetizzare
l’ideologia del Ventennio per un pubblico di massa, in modo complementare e sinergico
rispetto al mezzo cinematografico12.
Un aspetto di centrale importanza delle Miac è costituito dai progetti museografici im-
mersivi e di grande impatto che trasformarono due luoghi simbolo delle città ospitanti: pa-
lazzo delle Esposizioni a Roma e Castelnuovo a Napoli. Queste prestigiose sedi vennero com-
pletamente rivisitate dando vita in entrambi i casi a un’ambientazione spettacolare che mirava
a riassumere ed esaltare il progetto coloniale.
Per la prima mostra, l’architetto Alessandro Limongelli (1890-1932) operò una «trasforma-
zione radicale»13 della sede neoclassica di palazzo delle Esposizioni di Roma ricreando un’ambien-
tazione dalla veste razionalista in cui integrò richiami esotici. L’intento dell’architetto può essere
esemplificato osservando l’atrio rotondo d’ingresso (fig. 1): completamente rimaneggiato grazie a
una scenografia essenziale e modernista, i due fregi in terracotta di Oddo Aliventi (1898-1975) e
Francesco Coccia (1902-1982) ne decoravano i lati alternando figurazioni della “romanità” care al
fascismo a simbologie dai richiami vagamente esotici (l’elefante, il leone, la palma).
La stampa specializzata, entusiasta del progetto, scrisse che

il pregio maggiore di questa mostra di Roma consiste, perciò, nello stile che l’architetto Li-
mongelli ha impiegato per una vera e propria rassegna di civiltà moderna. La rinunzia a molti
pretesti “coloniali” costituisce un gran passo in avanti nel gusto di queste manifestazioni che
debbono, naturalmente, essere adeguate al criterio di tutte le altre europee14.

Limongelli, già conosciuto per le sue opere in Tripolitania, propose in questa occasione la
sua visione di una “modernità coloniale” che, rifacendosi al mito dell’antica Roma, esaltava
l’idea dell’Impero come missione civilizzatrice.
La seconda edizione della mostra ebbe come sede il celebre Maschio Angioino di Napoli,
che per l’occasione fu ristrutturato e riaperto al pubblico, suscitando un grande interesse
mediatico15. La decisione strategica di spostare la mostra in Meridione mirava a unire un’I-
talia ancora spaccata tra nord e sud attraverso un comune progetto espansionistico, in cui la
capitale partenopea avrebbe assunto un fondamentale ruolo strategico, come porto verso i
possedimenti in Africa.
Il «villaggio arabo» (fig. 2), costruito nel fossato di Castel Nuovo dall’architetto Florestano
di Fausto (1890-1965), riprendeva la tradizione architettonica delle mostre universali, ricreando

11 Schnapp, J.T., Anno x. La Mostra della Rivoluzione fascista del 1932, Ist. Editoriali e Poligrafici, Pisa 2003, p. 32.
12 Sull’importante ruolo del cinema nella propaganda coloniale si cfr. Ben-Ghiat, R., Italian Fascism’s Empire Cinema,
Indiana University Press, Bloomington 2015.
13 La Mostra Coloniale a Roma. La trasformazione del palazzo, in “Corriere della Sera”, 29 settembre 1931.
14 La mostra coloniale a Roma, in “La Casa Bella”, IV, n. 47, novembre 1931, p. 11.
15 Per es. cfr. Il risorto Castelnuovo. La prossima mostra Coloniale a Napoli, in “Corriere della sera”, 6 luglio 1934.
406 Meridionale e coloniale

Fig. 1. L’Atrio rotondo nell’allesti-


mento progettato da Limongelli
Alessandro per palazzo delle Esposi-
zioni con altorilievi di Coccia Fran-
cesco e Aliventi Oddo. Prima Mostra
Internazionale d’Arte Coloniale,
Roma 1931.

Fig. 2. Il “villaggio arabo” progettato


da Di Fausto Florestano per il fossato
del Maschio Angioino per la Seconda
Mostra Internazionale d’Arte Colo-
niale, Napoli 1934.

quello che Zeynep Çelik definisce un «microcosmo orientale»16, un’immagine riassuntiva dell’O-
riente per il pubblico europeo. Le costruzioni in cartongesso ospitavano infatti un «tempietto
arabo» e un «caffè turco», oltre a svariate forme di intrattenimento che ebbero un grande successo
popolare17: l’incantatore di serpenti, la danzatrice del ventre, il domatore di cammelli ecc...
Le Miac possono essere intese come un ibrido fra due modelli espositivi diffusi all’epoca:
le mostre d’arte e le esposizioni coloniali. L’istituzione delle Mostre avvenne nel contesto della
riorganizzazione del sistema espositivo messa in atto dal regime attraverso il sindacato Belle
Arti18. Vennero infatti definite mostre d’arte, come dimostra un articolo del 1934, in cui il
sovrintendente Gino Chierici descrisse «La biennale di Venezia, la triennale d’arte decorativa
di Milano, la quadriennale di Roma e la mostra d’arte coloniale di Napoli» come «le grandi

16 Zeynep C., Displaying the Orient: Architecture of Islam at Nineteenth-century World’s Fairs, University of California
Press, Berkley 1992, p. 18.
17 È da notare come la Miac di Napoli venisse talvolta pubblicizzata come «villaggio arabo» tale era il grande successo
che questa parte della mostra suscitava fra il pubblico, si cfr. Un villaggio Arabo a Napoli, in “Corriere della Sera”, 27
Novembre 1934.
18 Cfr. De Angelis D., “Il Sindacato Belle Arti”, in Arti e stato, le esposizioni sindacali nelle Tre Venezie 1927-1944,
Skira, Milano 1997; Bignami, S., Rusconi, P., Le Arti e Il Fascismo: Italia Anni Trenta, Giunti, Firenze 2012. 
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 407

organizzazioni create per tenere gli artisti a contatto con il pubblico»19. Le Miac videro in effetti
la presenza di opere a carattere orientalista di grandi nomi dell’arte, come Delacroix e Rodin per
la sezione retrospettiva della Francia20 e la partecipazione di artisti come Balla e Depero nella
sezione Futurista21.
Tuttavia, le due Miac non possono essere considerate unicamente esposizioni artistiche, poi-
ché deviarono in modo significativo da tale modello e assunsero invece tratti caratteristici delle
esposizioni coloniali. Diffusesi in Europa dagli anni Ottanta dell’Ottocento22, le esposizioni
coloniali avevano un carattere prevalentemente merceologico, avendo come obiettivo quello di
illustrare le potenzialità commerciali dei territori colonizzati, mostrandone la produzione arti-
gianale, le materie prime, oltre ad avere un importante aspetto non trascurabile lato pittoresco
e grottesco, evidente nei cosiddetti “zoo umani” 23.
La compresenza dei due modelli espositivi è chiaramente osservabile nel contrasto tra l’al-
lestimento delle diverse sale delle Miac. L’ordine e la geometria delle sezioni dedicate all’arte
dei Paesi colonizzatori, in tutto associabili a quelli di una mostra artistica, sono contrapposti
alla confusione e sovrabbondanza che invece caratterizzano le sezioni dedicate alle Colonie,
le quali rimandano invece a display etnografici, affollate di tappeti, armi, maschere e gioielli
di cui la stampa dell’epoca evidenziò, non senza un certo disprezzo, il carattere «folkloristi-
co» e «pittoresco»24. Ciò è evidente nel “souk” ricostruito a palazzo delle Esposizioni e nella
presenza di “figuranti” provenienti dalle colonie che affollano le immagini della cerimonia
di inaugurazione25. Questo aspetto, come già accennato, fu ulteriormente enfatizzato nella
Seconda edizione di Napoli, con l’organizzazione del “villaggio arabo”. L’antitesi visiva fra le
sale cosacrate alle nazioni europee e quelle dedicate alle colonie, come propone Timothy Mi-
tchell nella sua analisi dell’Exposition Universelle di Parigi del 1889, non può ritenersi casuale:

19 Chierici, G., Napoli e la sua mostra coloniale, in “Napoli Rivista Municipale”, anno LXI, 1935, p. 21.
20 Nella sezione retrospettiva della Francia della Prima Miac sono esposte ad es. due opere di Delacroix E. (Maniscalco arabo
e Il leone e la sua preda, prestata dal Musée du Louvre) e quattro acquarelli di Rodin A. (di cui Danzatrice di Cambogia in
prestito dal Musée Rodin). Cfr. Catalogo Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, pp. 112-113.
21 Di Balla G. è esposta l’opera Hajdé nel Patio; di Depero F. i dipinti Colono Algerino, Somarelli Egiziani e Cavalli
arabi. Ivi, pp. 293-294.
22 Per quanto riguarda l’Italia, sezioni dedicate alle colonie furono presenti in molte esposizioni a carattere nazionale
dall’ultimo ventennio dell’Ottocento (per es. l’Esposizione Nazionale di Milano,1881, l’Esposizione Generale di To-
rino del 1884, l’Esposizione Nazionale di Palermo nel 1891, l’Esposizione Generale Italiana a Torino del 1898, ecc.).
Il successo di tali sezioni fece sì che vennero organizzate esposizioni interamente dedicate al tema delle colonie, come
l’Esposizione Internazionale di Marina, Mostra Coloniale Italiana tenuta a Genova nel 1914, in cui era presente una
sezione dedicata alle xilografie dell’artista Eduardo Ximenes (1852-1932). Sul tema delle esposizioni coloniali in Italia,
si cfr. Labanca, N., 1992, op. cit.; Delgado L., Lozano D., Chiarelli, C. “Les zoos humains en Espagne et en Italie:
entre spectacle et entreprise missionnaire”, in Aa.vv. (a cura di) Zoos humains. Au temps des exhibitions humaines, La
Découverte, Paris 2004; Tomasella, G., 2017, op. cit.
23 Blanchard, P., Bancel, N., Lemaire, S., Zoos Humains et Exhibitions Coloniales: 150 ans d’invention de L’autre, La
Découverte, Paris 2011.
24 Per es. a proposito della mostra Papini R. scrive: «Cominciamo dall’arte dei popoli colonizzati […] che ha un valore
come si sa di curiosità etnografica. […] Le nostre colonie hanno organizzato alcune mostre di prodotti indigeni che
non escono dai tipi comuni dei bazar d’Oriente». Papini, R., Prima Mostra Internazionale D’arte Coloniale, Emporium/
Istituto Italiano D’arti Grafiche 1931, p. 268.
25 La presenza di figuranti è sottolineata ripetutamente sia dai giornalisti sia dalle immagini documentarie dell’inau-
gurazione. Cfr. A Roma si inaugura la mostra d’arte coloniale, Archivio Cinematografico Fondo Luce, Cinegiornale
Ottobre 1931, A0866.
408 Meridionale e coloniale

il disordine e caos delle sezioni dedicate alle colonie venivano ricreate ad arte per fornire allo
spettatore un immediato contrasto tra Oriente e Occidente26.

3. “ARTE COLONIALE”: UNA DEFINIZIONE INCERTA, UN PROGETTO POLITICO


PRECISO
L’obiettivo delle mostre, come dichiarato dagli organizzatori, era quello di diffondere la co-
siddetta “coscienza coloniale” a un vasto pubblico, convincendolo dell’importanza e necessità di
un Impero per l’Italia fascista27. In questo senso, il carattere internazionale della mostra voleva
fornire una legittimazione delle mire espansionistiche fasciste28.
A questo fine il ruolo dell’arte fu ritenuto centrale, come esplicitato nel catalogo della
prima mostra:

«L’Ente pensa che per giungere al cuore e alla mente degli uomini non vi sia metodo più rapidamen-
te suasivo dell’arte. Alla bellezza, […] affida l’onore e la responsabilità di propagandare su vasta scala
l’idea coloniale»29.

La volontà di sviluppare un’“arte coloniale” italiana fu parte di questo progetto, considerata


come dimostrazione della prosperità dell’Impero. De Bono nel discorso inaugurale alla seconda
mostra affermava infatti che lo sviluppo delle colonie italiane «ha indotto artisti italiani ed anche
stranieri a riprodurre dal vero quanto di bello e di originale la natura e la mano dell’uomo presenta-
no… Ed ecco l’arte divenire elemento precipuo e sicuro di propaganda coloniale»30. Il concetto di
“arte coloniale” restò tuttavia nebuloso e contraddittorio nelle definizioni date. Michele Biancale,
curatore della Seconda Miac, la definì una «specializzazione» artistica, tanto quanto «l’arte sacra o
l’arte marinara», precisando che «non s’intende assegnare una finalità all’arte qualificandola colo-
niale»31. Negare la portata politica di un’arte definita come “coloniale” appare come una contrad-
dizione, altri critici come E. Campana su “Emporium” si espressero più esplicitamente su questo
punto: «bisogna che gli artisti al pezzo di bravura, alla ricerca puramente formale [...] preferiscano
spesso quello che la madre patria ha saputo operare nelle province»32.

26 Mitchell, T., “Orientalism and the exhibitionary order”, in Colonialism and culture, 1992, p. 291.
27 «Decenni di oscurantismo hanno, più che distratto, disgustato gli italiani delle loro cose coloniali. […]A mala pena
oggi, e fra i giovani e giovanissimi, si comincia ad affermare quell’idea imperiale di espansionismo che è retaggio di
Roma Eterna ed alla quale sono legati i destini dell’Italia Fascista. Occorre combattere questo deplorevole e finalmente
deplorato agnosticismo. Con tutti i mezzi e tutti i modi. Quindi anche con l’Arte». Catalogo Prima Mostra Internazio-
nale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, pp. 33-34.
28 Oltre all’Italia, altre tre nazioni europee parteciparono a ognuna delle due Miac (Francia, Belgio e Danimarca alla
Prima e Francia, Belgio e Portogallo alla Seconda). Dal discorso inaugurale alla Prima Miac di De Bono «Gli stranieri,
con il loro intervento, fanno vedere in quale concetto l’Italia è tenuta come Potenza colonizzatrice e come essa abbia
diritto a fare una politica coloniale.» La mostra d’arte coloniale inaugurate dal Duce, in “La Stampa”, 2 ottobre 1931.
29 Catalogo Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, p. 33.
30 Discorso inaugurale di De Bono alla Seconda Miac, Il re inaugura a Napoli la Mostra d’Arte Coloniale, in “La Stam-
pa”, martedì 2 ottobre 1934.
31 Catalogo Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1934, p. 39.
32 Campana, E., Cronache Napoletane. L’Italia alle Seconda Mostra Internazionale D’arte Coloniale nel Maschio Angioino
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 409

Allo stesso tempo, non è chiaro se la produzione delle popolazioni colonizzate, in quegli
anni spesso definita come “art nègre” o “arte primitiva”, rientrasse nella definizione di “arte
coloniale” nel contesto di queste mostre. Filippo Tommaso Marinetti nel testo del catalogo
della Prima mostra citò «le migliori sculture negre»33 al fianco di Gauguin e Matisse come
esempi eccellenti di arte coloniale, posizionandosi in continuità con quella fascinazione “pri-
mitivista” che aveva influenzato artisti come Picasso, Vlaminck e Derain ad inizio secolo.
Emerge tuttavia un diffuso disprezzo verso queste opere, che vennero tendenzialmente sva-
lutate frettolosamente dalla critica. Lo storico dell’arte Roberto Papini recensendo la Prima
Miac si domandò «arte Coloniale? Se si tratta di quella dei paesi da colonizzare […] su per giù la
conosciamo e l’abbiamo da tempo, a torto o a ragione, catalogata nel mezzo delle arti rustiche,
o primitive o contadinesche o selvagge, cioè nella gerarchia delle arti, ai gradi inferiori»34.
Come evidenziato da Dominique Jarrassé, il concetto di “arte coloniale” nel progetto museo-
grafico e politico delle Miac venne utilizzato praticando una chiara gerarchizzazione tra un’«arte
pura», propria dei popoli colonizzatori, e un’«arte indigena o applicata» dei popoli colonizzati35.
In altre parole, i popoli colonizzati, rappresentati in queste mostre come un unicum che
va dall’Antartide, al Congo, al Nord Africa e identificati come arretrati e inferiori, e vennero
associati a un’alterità “naturalmente”36 subordinata all’autorità dei popoli Europei.

4. La sezione di Arte Contemporanea Italiana: creare un’“arte


coloniale”
Diversamente dalla sezione retrospettiva37 e da quella futurista organizzata da Marinetti, le
opere della sezione di arte contemporanea italiana38 vennero selezionate tramite un programma

di Napoli, in “Emporium/Istituto Italiano D’arti Grafiche”, 1934, p. 242.


33 «L’arte coloniale ha dato pochi capolavori: i quadri di Gauguin, Matisse e le migliori sculture negre.» Marinetti,
F.T., “I Futuristi Italiani” in Catalogo Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, p. 291.
34 Papini, R., op. cit., p. 267.
35 «Parmi ces catégories, support d’une naturalisation des hiérarchies raciales, nourries du grand récit mythique de la mo-
dernité occidentale, il semble qu’opère, en toute discrétion mais essentiel à la construction de ces exposition coloniales, un
binôme rhétorique tout aussi essentialiste que les autres binômes du système (civilisation/barbarie, européen/africain, progrès/
immuabilité) l’opposition entre arte pura/arte applicata, qui prend aussi la forme pura/indigena […] Réduit à sa plus simple
expression binaire, l’opposition demeure donc “arte/arte applicata”, le second n’étant pas un art à part entière.» Jarrassé, D.,
op. cit., 2016, pp. 241-242.
36 Come si legge nella premessa dell’edizione italiana di Mythologies la questione della naturalità è centrale per Bar-
thes nella sua riflessione sul concetto di mito: «Il punto di partenza di queste riflessioni era il più delle volte un senso
di insofferenza davanti alla “naturalità” di cui incessantemente la stampa, l’arte, il senso comune rivestono una realtà
che per essere quella in cui viviamo non è meno perfettamente storica: in una parola soffrivo di vedere confuse a ogni
occasione, nel racconto della nostra attualità, Natura e Storia, e volevo ritrovare nell’esposizione decorativa dell’“ovvio”
l’abuso ideologico che, a mio avviso, vi si nasconde». Barthes, R., Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974, p.ix.
37 La sezione retrospettiva nella Prima mostra si limitò all’esposizione di alcuni dipinti di esponenti dell’Orientalismo
italiano di fine Ottocento: Cesare Biseo, Alberto Pasini, Stefano Ussi e Achille Parachini. Nella Seconda mostra questa
sezione venne sensibilmente ampliata, con opere a tema vagamente esotico risalenti al Cinquecento veneziano. La
stampa dell’epoca evidenzia la dubbia attribuzione di alcune tele di Veronese e Tiziano.
38 L’analisi delle immagini non può che essere parziale poiché nel catalogo e in altre pubblicazioni sono riprodotte solo
una parte delle opere. Nonostante ne sia conosciuto autore e titolo, sono oggi difficilmente rintracciabili poiché per la
maggior parte sono in collezioni private.
410 Meridionale e coloniale

pubblico. Le opere, tutte disponibili alla vendita39, furono scelte da una giuria specializzata,
composta nella prima esposizione prevalentemente da artisti e architetti, tra cui spicca il nome
di Felice Casorati; nella seconda subentrarono invece nomi legati alle istituzioni accademiche,
museali e del sindacato delle Belle Arti40. La direzione artistica fu affidata a critici d’arte noti
all’epoca e vicini al partito fascista, Arturo Lancellotti (1877-1968) nella prima mostra, Michele
Biancale (1878-1961) nella seconda.
La sezione di arte contemporanea ebbe una notevole importanza all’interno delle due
mostre, occupando nella Prima la maggior parte del secondo piano di palazzo delle Espo-
sizioni con 400 opere e 75 artisti, e due piani di Castelnuovo con 775 opere e 79 artisti
nella seconda41. Come si legge dalla relazione della giuria della Prima mostra «pochi furono
gli artisti di fama assicurata, o in qualche modo di qualità eccezionali che si presentarono
per contribuire efficacemente al completo raggiungimento del magnifico programma»42.
Il tema della mostra venne infatti definito dalla giuria come «completamente nuovo e
relativamente limitato ad un campo […] pressoché inesplorato»43 dagli artisti italiani. La
lista dei partecipanti include in effetti pochi nomi noti, per esempio non presero parte i
Novecentisti44.
Le opere esposte erano inoltre solo vagamente legate al tema proposto, esulando da una
dimensione storico-geografica legata ai possedimenti coloniali italiani. Non solo vennero
esposti lavori raffiguranti zone del continente africano che non facevano parte dell’Impero
Italiano, come la Tunisia, nel caso di Moses Levy (1885-1968) o l’Egitto in Giorgio Opran-
di (1883-1962), ma anche opere di ispirazione cinese, nei quadri di Ennio Belsito (attivo
1931-1948) o vagamente ispirate al Turkestan, dell’artista di origine russa Alexei Issupoff
(1889-1957), quali Musicista con chitarra e Festa di sposalizio, che si rifanno a visioni para-
digmatiche di un Oriente fiabesco, popolate «da personaggi da Mille e una Notte»45.
Le diversissime e spesso decorative rappresentazioni in mostra si contraddistingue-
vano per avere un carattere esotico senza esplorare temi esplicitamente coloniali). Molti
degli artisti non avevano mai neanche visitato le colonie, come ad esempio Alfredo Bia-
gini (1886-1952) di cui è esposta la scultura Leopardo, che realizzò sulla base di studi di
anatomia comparata e dal vero su animali esotici in parchi zoologici46.

39 «Art. 7. Gli artisti sono tenuti versare una quota di 25 Lire non rimborsabili all’atto di iscrizione», «Art. 23. L’Ente
Autonomo avrà special cura, anche promuovendo acquisti ufficiali, di dare incremento alla vendita di opere esposte.»
“Regolamento”, in Catalogo Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, pp. 38, 40.
40 La giuria della Prima mostra era composta da Brozzi R., Casorati F., Guerrini G., Limongelli A., Prini G. La giuria
della Seconda mostra era invece composta da Selva A., Ercole P. Limoncelli M., Biancale M., Passaro P.E., Siviero C.,
Viti E.
41 Nella Prima Miac vennero organizzate cinque mostre personali degli artisti Oprandi G., Dazzi R., Biasi G., Del
Neri E.; Neuhaus F.B. Nella Seconda ne furono organizzate dodici, di cui otto degli artisti inviati in Libia e altre cinque
di Oprandi G., Bianco P., Brignoli L., Brondi L., Issupoff A.
42 Catalogo Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1931, pp. 45-46.
43 «Sui 1200 lavori presentati abbiamo ritenuto di non poterne ammettere che 400. Questo numero però a stretto
rigore potrebbe essere ancora sensibilmente ridotto.» Ibid.
44 Jarrassé, D., op. cit., 2016, p. 252.
45 Catalogo Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1934, p. 88
46 De Guttry M., Tarquini, G., Alfredo Biagini (Roma 1886-1952): Sculture e Ceramiche déco, Iuno Edizioni, Roma
2013.
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 411

Fig. 3. Opere esposte nella Sezione


d’arte contemporanea della Seconda
Mostra Internazionale d’Arte Colo-
niale, Napoli 1934.

Tuttavia, è interessante notare che anche artisti che avevano soggiornato in territori co-
lonizzati spesso predilessero rappresentazioni marcatamente decorative, che si distanziano dal
realismo per fornire un’immagine estetizzante e immaginaria. Ad esempio l’artista piemontese
Gigi Brondi (1894-1938), nonostante il suo lungo soggiorno in Africa subsahariana, dove morì,
espose il dipinto La foresta (fig. 3), una scena di genere dal carattere naif e illustrativo, in cui
figuravano due elefanti che si abbeverano a uno stagno con in primo piano un serpente attor-
cigliato a un tronco.
Alla ricerca di soggetti più marcatamente “coloniali” e volendo evitare «opere di maniera,
composte nello studio»47, gli organizzatori della Seconda mostra decisero di intervenire incorag-
giando direttamente la produzione artistica, finanziando un soggiorno di studio in Tripolitania
a otto artisti selezionati48, a ognuno dei quali venne dedicata un’esposizione personale in occa-
sione della Seconda Miac. Nonostante quest’iniziativa, che riprende un modello già diffuso in

47 Catalogo Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1934, p. 40.
48 Gli otto artisti che beneficiarono della borsa di soggiorno in Tripolitania furono: Bocchetti G. (1888-1990), Co-
lucci V. (1898-1970), De Bernardi D. (1892-1963), Surdi L. (1897- 1959), Casciaro G., (1861-1941), Cabras C.
(1886- 1968), Cascella M., (1892- 1984), Nomellini P., (1866- 1943).
412 Meridionale e coloniale

Fig. 4. Casciaro Giuseppe, Tripoli, Francia49, Michele Biancale ammise che «la qualità generale
1934, esposto alla Seconda Mostra delle opere non è tale da soddisfare compiutamente […]
Internazionale d’Arte Coloniale, Na-
pure è sempre da preferire un mediocre pittore che ha ope-
poli, collezione Casciaro.
rato in colonia ad un mediocre artista che non c’è stato»50.
Le vedute pittoresche che produssero gli artisti in Tri-
politania, simili a quelle diffuse dalle cartoline turistiche
coloniali, erano disseminate di riconoscibili cliché visivi sulla vegetazione, l’architettura e la
fauna dell’“Oriente”: palme, cammelli e minareti furono i prevedibili simboli di un’alterità
ormai resa familiare per l’osservatore degli anni Trenta. Tali codici visivi, diffusi in Italia du-
rante tutto il secolo precedente dalla pittura, ma anche dalle illustrazioni della letteratura di
viaggio, rendevano queste immagini delle colonie particolarmente attraenti per il pubblico
borghese per le quali erano prodotte, oscillando tra familiarità ed estraneità.
Sembrerebbe che gli evidenti motivi esotici avessero la funzione di demarcare e creare
l’“alterità coloniale”, in assenza dei quali i paesaggi del Nord-Africa sarebbero risultati forse
troppo simili a quelli dell’Italia Mediterranea. Ad esempio, riferendosi ai paesaggi del pitto-
re Napoletano Giuseppe Casciaro (1861-1941), Biancale scrisse: «Tripoli, le oasi, le palme
sono come Ischia, Capri e la Puglia»51. Nella strada sterrata del suo dipinto Tripoli (fig. 4)

49 Cfr. Houssais, L., Jarrassé, D., Nos Artistes aux Colonies: Société, expositions et revues dans l’empire Français: 1851-
1940, Editions Esthétiques du divers, Le Kremlin-Bicêtre 2015.
50 Catalogo Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi, Roma 1934, p. 41
51 Un simile discorso è espresso per Luigi Surdi: «È accaduto al Surdi di ritrovarsi come a Napoli. Si tratterà in tal
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 413

Fig. 5. Edoardo del Neri, Un cadì


ribelle, esposto alla Prima Mostra
Internazionale d’Arte Coloniale, Roma
1931.

ritroviamo una veduta familiare, in cui l’estraneità è marcata solo dai caffettani bianchi che
avvolgono le figure. Le immagini rassicuranti e idilliache dell’“alterità” coloniale prodotte
dagli artisti in Africa soddisfarono solo moderatamente i critici che auspicavano che la
breve esperienza si rivelasse trasformativa per la loro produzione.
Passando all’analisi della rappresentazione del corpo umano, è possibile anche in questo caso
identificare alcuni motivi ricorrenti. I titoli delle opere evidenziano innanzitutto come i soggetti
venissero spesso tipizzati e spersonalizzati dall’autore, come emerge da titoli come Studio di
Negro di Cesare Cabras (1886-1968), Sudanese di Vincenzo Colucci (1898-1968) o Beduino
di Pieretto Bianco (1875-1937). Esistono tuttavia alcune eccezioni, in cui figura il nome della
persona ritratta, come ad esempio Il mio Mahmet di Gaetano Bocchetti (1888-1990).52

caso di un’esperienza non avvenuta? Non crediamo». Catalogo Seconda Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Palombi,
Roma 1934, pp. 41, 82.
52 Interessante è l’interpretazione di Tomasella che sostiene che: «In quell’aggettivo possessivo si condensa la natura
gerarchica e paternalistica del rapporto, da padrone a servo, da colonizzatore a fedele suddito». Tomasella, G., op. cit.,
2017, p. 24.
414 Meridionale e coloniale

La figura maschile risulta caricaturizzata in rappresentazioni ironiche e quasi mostruose,


che identificano un “nemico” più letterario che reale, evidente nello schizzo Peso morto di
Arturo Dazzi (1881-1966) o Un cadì ribelle (fig. 5) di Edoardo Del Neri (1890-1932), così
come in Cavalieri arabi di Francesco Dal Pozzo (1891-1983).
Sebbene alle due mostre fosse presente una minoranza di artiste donne53, la raffi-
gurazione del corpo femminile è generalmente espressione esplicita di fantasie sessuali
maschili. Come osservato da Altea e Magnani, il periodo Africano in un artista come
Giuseppe Biasi (1885-1945) ha una forte dimensione erotica, come lo dimostra il sen-
suale nudo à plat di La terrazza, esposto alla Prima mostra. Come lo evidenziano Altea
e Magnani “Il confronto con la nuova tematica africana conduce l’artista a esplicitare
quanto i suoi dipinti sardi lasciavano sottinteso nella raffigurazione dell’immagine fem-
minile (…). Ciò è reso possibile dall’introduzione di un’ulteriore dimensione di alterità:
le donne che ora ritrae aggiungono alla diversità sessuale e sociale quella determinante
della razza54.
Il corpo femminile pare erigersi a simbolo stesso del continente africano, la sua attra-
zione e conquista metafora dell’impresa coloniale. Come osservato dall’analisi di Karen
Pinkus sulle immagini pubblicitarie del ventennio, il corpo della donna nera è ricorrente e
«incarna il sogno esotico dei tropici, utilizzato non solo per reclutare soldati nelle colonie
ma anche per vendere l’idea stessa di colonialismo»55. Il poster della prima mostra sintetizzò
questa visione, ideato da Ugo Ortona (1888-1977) riprendendo un’iconografia ottocente-
sca della vergine vestale romana, il cui modello di riferimento sembra essere quello della
Vestale Velata di Raffaello Monti (1818-1891) esposta al Crystal Palace in occasione dell’E-
sposizione universale del 1851, nella posa inginocchiata e portante una fiamma56. Il poster
ne riprodusse la posa ma sostituì alcuni attributi classici come il velo e la tipica acconciatura
con uno stilizzato corpo nudo nero, con pettinatura afro e vistosi gioielli (fig. 6).

5. Immagini coloniali, immagini subdole: stereotipi e omissioni


Il progetto delle Miac mirava a promuovere e creare una tradizione artistica che racchiu-
desse, uniformasse e controllasse la rappresentazione dell’alterità all’interno del concetto di
“arte coloniale”, al fine di utilizzarla come veicolo di propaganda. Costruendo un’associazione
tra un’imprecisa “alterità” geografica e l’idea di subordinazione coloniale, le mostre miravano
a diffondere una visione duale del mondo diviso in popoli colonizzati e colonizzatori. Inol-
tre, creando un nemico comune, come suggerisce Nicola Labanca, «l’imperialismo coloniale

53 All’interno delle Sezioni d’Arte contemporanea italiana delle due Miac a nessuna artista donna è dedicata una mo-
stra personale; alla Prima edizione parteciparono sei donne artiste, mentre alla Seconda dieci.
54 Altea, G., Magnani, M., “Dal Villaggio Sardo all’Harem Colo- niale” in Giuseppe Biasi, Ilisso, Nuoro 1998, p.
172. .
55 Pinkus, K., Bodily Regimes: Italian Advertising Under Fascism, University of Minnesota Press, Minneapolis 1995,
pp. 50-66.
56 Cfr. Williams, G., Italian Tricks for London Shows: Raffaele Monti at the Royal Panopticon, in “The Sculpture Journal
/ Publ. by the Public Monuments and Sculpture Association”, 2014, pp. 131-143.
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre... 415

Fig. 6. Poster della Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale, Roma 1931, realizzato da Ortona Ugo.
416 Meridionale e coloniale

italiano […] mirò a svolgere un’ambiziosa funzione legante sul piano interno»57, rafforzando
per differenza l’identità fascista.
Il termine “arte coloniale” in tale contesto, venne spogliato di qualsiasi specificità e utilizzato
non tanto per promuovere una nuova produzione artistica, ma piuttosto per associare la rappre-
sentazione o il riferimento a culture “altre” a una dimensione legata all’espansionismo dell’Italia
fascista. In tale contesto ideologico l’“arte coloniale”, evoluzione e ri-attualizzazione della tradi-
zione Orientalista ottocentesca, assunse un significato e una strumentalizzazione precisi.
Le immagini prodotte dagli artisti in mostra nella Sezione di Arte Contemporanea non
soddisfecero tuttavia l’intento degli organizzatori. Nell’insieme, esse mancarono dell’unidire-
zionalità, della sistematicità e della potenza comunicativa desiderate, facendo così vacillare il
progetto. Ciò è dimostrato dalla graduale perdita di centralità della Sezione già nella Seconda
mostra e quindi l’abbandono del format espositivo, che non ebbe una terza edizione e fu
sostituito dal più vasto progetto della Triennale delle Terre d’Oltremare di Napoli, inaugurata
nel 194058.
Stereotipate, fiabesche, erotiche, le opere esposte offrirono uno spaccato dell’ambiguità
che caratterizzò l’incontro con l’“altro”, anche in una situazione politica così tesa, riflettendo-
ne la curiosità, la fascinazione e il disprezzo che suscitò negli artisti. Se è possibile identificare
alcuni miti ricorrenti, è d’altra parte importante notare che il confronto con l’“alterità” colo-
niale si declinò in modo soggettivo e individuale, sfuggendo alla visione unitaria auspicata.
Questa produzione rispecchia e risponde ad un rinnovato gusto per l’esotico, alla luce delle
dirette esperienze coloniali, ciò che Benoît de l’Estoile ha definito «le goût des autres»59.
L’aspetto più flagrante di queste immagini è ciò che sistematicamente omisero: le opere
in mostra non lasciarono emergere alcun riferimento alla violenza e alla sopraffazione che
caratterizzarono l’occupazione coloniale e di cui esse furono, anche se inconsapevolmente,
complici, come espresso da Jarrassé «l’art colonial jette un voile sur l’oevre destructrice, voire
génocidaire, de la colonisation»60.
Lo statuto incerto di queste figurazioni, giudicate come “non degne” di analisi dalla storia
dell’arte61, ma al tempo stesso non riconducibili a immagini pubblicitarie esplicitamente propa-
gandistiche, lasciano queste immagini in una “zona d’ombra” o, nel peggiore dei casi, collabo-
rano a un’apologia nostalgica del colonialismo Italiano62. Portandole alla luce e decostruendole
esse rivelano gli stereotipi razzisti che subdolamente le caratterizzano e che continuano silenzio-
samente a influenzare la percezione e l’invenzione dell’“altro” nell’Italia post-coloniale.

57 Labanca, N., op. cit., 2003, p. 38.


58 Arena, G., Visioni d’oltremare. Allestimenti e politica dell’immagine nelle esposizioni coloniali del XX secolo, Fioranna,
Napoli 2011.
59 «Par gout des autres j’entends designer les formes très diverses d’appropriation des “choses des Autres”, entendus en un sens
très large de manifestations de l’altérité culturelle» De L’Estoile B., Le Goût des Autres: De L’exposition Coloniale aux Arts
Premiers, Flammarion, Paris, 2010, p. 24.
60 Jarrassé, D., 2016, op. cit., p. 260.
61 Jarrassé, D., 2002, op. cit., pp. 3-16.
62 È da notare che esiste ad esempio un fiorente mercato on-line di oggetti e opera d’arte del colonialismo Italiano.
Il presente volume viene pubblicato con i contributi
del Dipartimento delle Arti e del Master
Erasmus Mundus in Women’s and Gender Studies - Gemma
dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna

IL MITO DEL NEMICO


Identità, alterità e loro rappresentazioni
THE MYTH OF THE ENEMY
Alterity, Identity, and their Representations

a cura di / edited by
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

Referenze fotografiche:
Le immagini contenute in questo volume sono state fornite dagli autori.
L’editore rimane a disposizione di eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare.

I saggi sono stati sottoposti ad un doppio referaggio cieco.


The essays were subjected to double blind peer review.

Direttore editoriale: Roberto Mugavero


Impaginazione: Minerva Soluzioni Editoriali S.r.l.

In copertina: Frans Francken jr, Allegoria dell’Abdicazione di Carlo V a Bruxelles,


ca. 1630-1640, Amsterdam, Rijksmuseum.
In apertura delle sezioni tematiche:
Martin Waldseemüller, Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem
et Americi Vespucii alioru[m]que lustrationes, Saint Dié 1507, Washington, D.C.,
Library of Congress, Geography and Map Division.

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ISBN 978-88-3324-150-0

Finito di stampare
nel mese di febbraio 2019
per i tipi della LiPe, San Giovanni in Persiceto, Bologna
Irene Graziani è ricercatrice di Storia dell’Ar-
te Moderna presso il Dipartimento delle Arti
dell’Università di Bologna. La sua attività di
ricerca riguarda principalmente la pittura bo-
lognese e la cultura artistica del Settecento, cui
ha dedicato saggi e studi, anche monografici
(La bottega dei Torelli. Da Bologna alla Russia
di Caterina la Grande, 2005; Sognare l’Arcadia.
Stefano Torelli “peintre enchanteur” nelle grandi
corti del Nord Europa, 2013; Luigi Crespi ritrat-
tista nell’età di papa Lambertini, mostra tenutasi
nel 2017). Si è anche interessata al fenomeno
della donna artista, collaborando a cataloghi
di mostre e pubblicando studi, tra cui la mo-
nografia su Properzia de’ Rossi (2008 con Vera
Fortunati).

Maria Vittoria Spissu, assegnista di ricerca


presso il Dipartimento delle Arti dell’Univer-
sità di Bologna, ha indagato La Raffigurazione
dell’Infedele in Europa tra Riforma e Controri-
forma, partecipando, sul tema, a convegni, in
Italia e all’estero, e a volumi miscellanei. Fa par-
te dei gruppi di ricerca internazionali: Spanish
Italy and the Iberian Americas (Connecting Art
Histories Project, Getty Foundation & Colum-
bia University); e COST Action Islamic Legacy:
Narratives East, West, South, North of the Me-
diterranean (1350-1750) (EU Framework Pro-
gramme Horizon 2020 & UNED, Madrid).
Ha pubblicato, con Caterina Limentani Virdis,
La Via dei Retabli. Le frontiere europee degli al-
tari dipinti nella Sardegna del Quattro e Cinque-
cento, 2018.

ISBN 978-8833241500

9 788833 241500
40
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0
i.i
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With its diverse essays, this volume examines the study of
otherness, from the Middle Ages to the contemporary age,
through an interdisciplinary perspective that embraces the
subjective and fluid category of the enemy in specific contexts
and in its different paradigms and transformations.
Fifty authors tackle the myth of the enemy and uncover figu-
rative processes and intellectual dynamics behind the construc-
tions of otherness. Thematically and comparatively struc-
tured, the book considers specific themes, such as wonder,
fascination, appropriation, and satire. It reveals an arbitrary
enemy, in which connections between fiction and phobia, hi-
erarchies and propaganda determine strategic defamation and
modes of assimilation.
The myth of the enemy is here recognizable in the mystifica-
tion of Jews, Muslims, Turks, Moors, Protestants, converts,
and non-Catholics in general; Africans, Native Americans,
Asians, non-Europeans, and non-whites in general; dissidents,
and enemies in the political sphere. We can also see how the
enemy, as a convenient device, was used for imperialist and
colonial justifications. In addition, the volume focuses on
the roles of diversity in the artistic and literary imagination.
Finally it raises questions about the definition of identity and
civilization.
The volume transcends exclusively western and central Eu-
ropean conceptions and offers insight into Mediterranean,
eastern European, Asian, and American viewpoints. It in-
cludes essays from art history, literature, history, collecting
studies, visual anthropology, political iconology, the history
of ideas, and legal philosophy. It offers a multifaceted and
comprehensive exploration of an elusive, complex, and highly
topical phenomenon.

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