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IL

MITO
DEL
NEMICO
Identità, alterità
e loro rappresentazioni
a cura di
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

MINERVA
Con un’ampia gamma di saggi, il volume af-
fronta lo studio dell’alterità, dal Medioevo
all’Età contemporanea, attraverso una prospet-
tiva interdisciplinare, che consente di abbrac-
ciare la categoria fluida e soggettiva di nemico,
scrutandola in specifici contesti e seguendola nei
suoi diversi paradigmi e trasformazioni.
Cinquanta autori si confrontano con il mito
mutevole del nemico, mettendo a fuoco i pro-
cessi figurativi e le dinamiche ideative, all’origine
delle molteplici costruzioni dell’alterità. Orga-
nizzato tematicamente e in maniera compara-
tiva, il volume assume, di volta in volta, focus
privilegiati, quali meraviglia, fascinazione, ap-
propriazione, satira, facendo emergere un ne-
mico arbitrario, in cui connessioni tra finzione
e fobia, gerarchie e propaganda, concorrono a
determinare pericolosità strategiche e modalità di
assimilazione.
Un mito del nemico dunque riconoscibile
nelle mistificazioni di ebrei, musulmani, tur-
chi, mori, protestanti, convertiti, non-cattolici
in genere; africani, nativi americani, orienta-
li, non-europei, e non-bianchi in genere, come
pure dissidenti, e nemici in ambito politico.
Vi si ritrova inoltre il nemico diventato prete-
sto e linfa per giustificazioni imperialistiche e
coloniali. Il volume mette al centro i ruoli del
diverso nell’immaginario artistico e letterario,
sollevando infine interrogativi circa la definizio-
ne di identità e civiltà.
Oltre ad analisi che si concentrano sull’Europa
centro-occidentale, coinvolge approfondimenti
su questioni inerenti i paesi mediterranei, l’Est
Europa, l’Asia e il continente americano. Il vo-
lume, che include scritti di storia dell’arte, let-
teratura, storia, antropologia visuale, storia del
collezionismo, iconologia politica, storia delle
idee e filosofia giuridica, è pensato come visione
sfaccettata e di ampio respiro, su un fenomeno
sfuggente e complesso, quanto di estrema at-
tualità.
IL MITO DEL NEMICO
Identità, alterità e loro rappresentazioni

THE MYTH OF THE ENEMY


Alterity, Identity, and their Representations

A cura di / edited by
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

MINERVA
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Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420
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INDICE

Irene Graziani
Introduzione.........................................................................................................................................7
Maria Vittoria Spissu
Speculum Humanae Inimicitiae. La convenienza del nemico sulle geografie della «portátil Europa»:
trasferibilità, intercambi e rimodulazioni à la carte..............................................................................9
***
I. IL NEMICO COME ESPEDIENTE NELL’IMMAGINARIO MITICO
1.1. Ibridando naturale e umano
Inés Monteira Arias
I musulmani nella scultura romanica: archetipi e modalità di rappresentazione...............................29
Sabine Du Crest
«Fiorentinizzazione»: il reliquiario di cristallo di rocca di San Lorenzo come oggetto frontiera.........37
Lucia Corrain, Chiara Giulia Morandi
L’immaginario turco della “serie ottomana” di Jacopo Ligozzi...........................................................47
Angela Ghirardi
Mori e zingare. Lo sguardo verso l’altro di Bartolomeo Passerotti e dintorni....................................59
Cristina Cassina
L’ebreo, nemico dei lavoratori, negli scritti di Alphonse Toussenel (1803-1885)..............................65
***
1.2. Funzioni narrative e morali
Barbara Baert
The Other Man. John the Baptist’s Platter as Paradigm for the Construction
of Identities and Otherness..................................................................................................... 71
Agnès Blandeau
The Devil, God’s Worst Enemy, in Some Late Fifteenth-Century Dominical Sermons in English.....83
Fabrizio Lollini
Il nemico nella trama. Diavoli e demoni nel ciclo di arazzi di Montpezat de Quercy.......................89
Teodoro De Giorgio
«Velenosi come il serpente»: l’alterità degli eretici nelle rappresentazioni basso medievali
del Giudizio Universale dell’Italia meridionale...................................................................................97
Guillermo M. Jodra
The Negation of the Self in Spanish Mysticism: Lo-Lishma, Fanā’, Sacrifici...................................105
Ignacio José García Zapata
L’alterità nella scultura della Settimana Santa in Spagna: Francisco Salzillo.....................................113
***
1.3. Genere e alterità
Eleonora Cappuccilli
Nemici di chiesa, Stato e patriarcato. Donne e dissenzienti nel Seicento inglese.............................121
Gilberta Golinelli
Lo sguardo femminile nell’Inghilterra tra Seicento e Settecento: appropriazione,
decostruzione e ri-mediazione dell’incontro con l’altro...................................................................127
***
1.4. Satira e stigma
Beniamino Della Gala
«Il Padre separa il grano dalla pula». La rappresentazione orrorifica del Nemico nella rivolta
di Münster in Q, di Luther Blissett..................................................................................................135
Camilla Murgia
Otherness in Satirical Cartography: XVIIIth-Century Europe through English Maps...................141
Luigi Franchi
«The Enemy of the Enemy is a Friend (till he’s the Enemy Again)». Gli hooligans inglesi
nei romanzi di John King.................................................................................................................149
Dmitry Novokhatskiy
The Image of the Enemy in the Contemporary Russian Alternate History Novels.........................155
***
II. IL NEMICO COME CONTINGENZA IN UNA PROSPETTIVA GLOBALE
2.1. Ebrei e mondo cristiano
Federica Francesconi
Dalla città al testo scritto e ritorno: gli ebrei di fronte alla cristianità nella prima
età moderna a Modena......................................................................................................... 163
Maria Portmann
Between East and West. Yellow Colour as a Distinctive Sign of Otherness.....................................177
Giulia Iseppi
Sconfiggere “gl’ignoranti”: la cappella Aldobrandini a Ravenna......................................................193
Tímea Jablonczay
The Discourse on “Jews”. Discrimination and Desire in a Hungarian Writer, Béla Zsolt’s Novels...197
***
2.2. Straripamento turchesco
Paulo Catarino Lopes
Imagined Alterity: an Unprecedented Portuguese View of the Ottoman Turk in the Early 1500s...205
Kira von Ostenfeld-Suske
Uncivilized Infidels: the Creation of the Ottoman Threat in Juan Páez de Castro’s, Ad Caesarem
Imperatorem Optimum Maximum Carolum Quintum......................................................................213
Vittorio Fortunati
Mito e smitizzazione: l’impero ottomano nella corrispondenza di Guilleragues..............................229
***
2.3. L’altro americano
Larissa Carvalho
Contact, Perception and Representation of the “American Other” in Sixteenth-Century
Costume Books................................................................................................................................235
Donatella Biagi Maino
Il cannibale e il buon selvaggio. L’invenzione dell’America .............................................................245
Erica Ciccarella
Alterità indigena e propaganda della conquista: l’epica americana di Tommaso Stigliani................257
Alberto Carrera
L’alterità nel Nuovo Mondo. Indios e miserables personas nel pensiero giuridico
di Solorzano Pereira .......................................................................................................................263
Giovanni Cerro
L’antropologo e gli altri. Le popolazioni indigene nella riflessione di Giuseppe Sergi
(1841-1936)....................................................................................................................................267
***
2.4. Esotico e orientale
Valeria Rubbi
Qualche riflessione sulla fascinazione esotista nelle scenografie di Antonio Basoli..........................277
Maurizio Ascari
Viaggiatori inglesi nell’impero ottomano tra Cinque e Seicento.....................................................285
Gino Scatasta
«Something suggestive of Japan»? Il giapponismo di Aubrey Beardsley..............................................291
Rosa Lombardi
Orientalismo, occidentalismo, sinologismo. La percezione dell’altro: visioni comuni
sulla Cina, mode culturali, interferenze tra fine Ottocento e primo Novecento. E la Cina?............299
***
2.5. Ibericizzazione e conquista
Esteban García Brosseau
The Conquest of Mexico in the Codex Durán (16th c.) and the Roman D’Alexandre
(BL Royal MS 20 B xx) (1420): A Case of “Exoticism in Translation”?..........................................307
Peter Mason
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata..............................................315
Maria Vittoria Spissu
«Notable espanto y maravilla». La missione dell’acqua: convertire con le emozioni,
dall’altare alla mappa, dall’Aragona alle Americhe...........................................................................325
Carolina Valenzuela Matus
The Secret Knowledge of the “Others”: the Mapuche Healers in the Works of Alonso de Ovalle
and Juan Ignacio Molina..................................................................................................................343
***
III. IL NEMICO COME DISTANZA NELLA COSTRUZIONE DELLE IDENTITÀ
3.1. Ambasciatori e stranieri
Sandra Costa
Il salon del 1769 e il ruolo dello “straniero” nella critica d’arte........................................................353
Alessandra Mascia
Ambasciator non porta pena. Gli scambi diplomatici tra Parigi e Costantinopoli nel XVII-XVIII
secolo e la nascita di un nuovo genere iconografico tra sospetto e ragione di Stato.........................361
***
3.2. Sociale e strategico
Luigi Contadini
L’inferiorità del nemico nella guerra civile spagnola.........................................................................373
Ana Teresa Graça de Sousa
The Portuguese Restoration War (1640-1668) and the mutable faces of the Castilian enemy........381
Antonino Rotolo
Il mito del nemico come gioco sociale non-morale.........................................................................387
***
3.3. Meridionale e coloniale
Katharina Jörder
Constructing White Legitimacy. The Re-enactment of Jan van Riebeeck’s Landing
(1952) in Photographs by the Apartheid Regime’s State Information Office..................................395
Giulia Golla Tunno
Alterità e subordinazione coloniale: la sezione d’Arte Contemporanea alle Mostre
Internazionali d’Arte Coloniale (Roma, 1931; Napoli, 1934).........................................................403
Giacomo Tarascio
La definizione dell’identità nel Mezzogiorno italiano durante il XIX secolo...................................417
***
3.4. Colpa e memoria
Marinella Pigozzi
Il memoriale di Giorgio Simoncini con Pietro Cascella ad Auschwitz-Birkenau e
l’alterità aberrante nazista.................................................................................................................421
Roberto Pinto
Tra rifiuto e fascinazione. La trasformazione dell’arte “non occidentale” negli ultimi
anni del Novecento..........................................................................................................................433
Elena Giovannini
Un esule tedesco in India: identità, alterità e contaminazioni in Germans beyond Germany
di Willy Haas...................................................................................................................................439
Marco Albertoni
Imporre il ricordo del nemico interno. Sulle colonne infami nell’Italia moderna............................445
Michela Morgante
«They Are Still a Bunch of Huns». La rappresentazione dei monumenti italiani bombardati
durante la seconda guerra mondiale e la tesi della barbarie culturale del nemico............................453
315

Una delle prime immagini della conquista dell’America


riesaminata1
Peter Mason

1. Introduzione
Prima di descrivere e analizzare l’immagine del nemico, occorre definirlo. Chi è il nemico
rappresentato in un quadro dell’artista olandese Jan Mostaert, ritenuto generalmente una
raffigurazione della conquista dell’America?
Il quadro in questione è stato comprato dal Rijksmuseum di Amsterdam nel 2013 (fig.
1 intero e figg. 2 e 3, con particolari del dipinto). Dalla sua scoperta nel 1909 in una col-
lezione privata2, diversi studiosi hanno identificato la scena rappresentata con una serie di
eventi storici: lo sbarco di Colombo a Guanín nel 1492-1493; la conquista del Messico del
1521-1523; la spedizione di Vásquez de Coronado approdato nel 1540-1542 nei pressi di
un villaggio zuni; l’invasione portoghese del Brasile verso la metà del 15003. Il riferimento
all’America è stato avvalorato dall’esposizione e pubblicazione dell’opera nell’ambito delle
celebrazioni per il bicentenario dell’indipendenza degli Stati Uniti, nel 19764. Dunque,
sebbene le prime immagini degli abitanti dell’America siano apparse negli anni Novanta
del quindicesimo secolo5, si è proposto che il quadro di Jan Mostaert rappresenti la prima
raffigurazione europea dipinta degli indigeni americani nel loro territorio6.
Dal punto di vista stilistico, il quadro è databile intorno alla seconda decade del sedice-
simo secolo, ricordando le sue tonalità quelle di altri dello stesso periodo, come Joachim Pa-
tinir (circa 1480-1524)7. Dalla fine del 1519, quando arrivò il primo carico di tesori aztechi

1 Traduzione: Francesca Cerbini, Roma. Ringrazio anche Florike Egmond per le sue considerazioni illuminanti.
2 Weiss E., Ein neues Bild Jan Mostaerts, in “Zeitschrift für Bildende Kunst” N.F. 20, 1909-10, pp. 215-17.
3 Michel E., Un tableau colonial de Jan Mostaert, in “Revue Belge d’Archéologie et de l’Histoire de l’Art” 1, 1931,
pp. 133-141, 228; Van Luttervelt R., Jan Mostaert’s West-Indische landschap, in “Nederlandsch Kunsthistorisch Jaar-
boek” 2, 1948-49, pp. 105-17; Van de Waal H., “Drie eeuwen vaderlandsche geschied-uitbeelding 1500-1800. Een
iconologische studie”, in Nijhoff M., L’Aia 1952, vol. I, p. 91; Larsen E., “Once more Jan Mostaert’s West-Indian
Landscape”, in Mélanges d’archéologie et de l’histoire de l’art offerts au Professeur Jacques Lavalleye, Bureau du Recueil,
Bibliothèque de l’Université, Louvain, 1970, pp. 127-37; Snyder J., “The earliest painting of the New World: the
West Indian Landscape by Jan Mostaert”, in Chiappelli F. (a cura di), First Images of America: The Impact of the New
World on the Old, University of California Press, Berkeley 1976, vol. I, pp. 495-502.
4 Honour H. (a cura di), L’Amérique vue par l’Europe, catalogo della mostra, Grand Palais Paris, Éditions des musées
nationaux, Parigi 1976; Chiappelli F. (a cura di), First Images of America: The Impact of the New World on the Old,
University of California Press, Berkeley 1976.
5 La prima sarebbe il frontespizio della versione in ottava rima di La Lettera dell’ isole che ha trovato nuovamente il Re
di Spagna di Giuliano Dati, Firenze ottobre 1493.
6 Per una attenuazione di tale proposta, si veda Mason P., “Of Turkeys and Men”, in Olmi G., Tongiorgi Tomasi L.,
Zanca A. (a cura di), Natura-Cultura. L’interpretazione del mondo fisico nei testi e nelle immagini, Leo S. Olschki, Firenze
2000, pp. 63-90.
7 Gibson W.S., Mirror of the Earth: The World Landscape in Sixteenth-Century Flemish Painting, Princeton University Press,
316 Ibericizzazione e conquista

alla corte spagnola, alcuni privilegiati europei ebbero la possibilità di ammirare i manufatti
provenienti dalla regione che successivamente sarà chiamata Nueva España8. In seguito, fu
possibile ammirare gli indigeni stessi, che arrivarono per la prima volta in Spagna nel 1528.
Ma c’è davvero poco in questo quadro che ricordi l’impero azteco. Dove sono gli ornamenti,
le piume, le gioie, «gli oggetti d’arte straordinari» di cui parla Albrecht Dürer9, ovvero tutti
quei simboli iconografici degli indigeni americani caratterizzanti le prime rappresentazioni
del continente e dei suoi abitanti? Il quadro di Jan Mostaert contrasta fortemente con i dipin-
ti della conquista dell’America prodotti in Messico nell’epoca coloniale.

2. Jan Mostaert e le isole Canarie


Oriundo di Haarlem nel nord dei Paesi Bassi, Jan Mostaert (circa 1472-1555) fu nomina-
to pittore d’onore nel 1518, dopo aver frequentato per anni a Malines, nella zona meridionale
dei Paesi Bassi, la corte di Margherita d’Asburgo10. È risaputo che la dotta reggente fosse estre-
mamente interessata alle scoperte geografiche del tempo: oltre a diversi oggetti provenienti
dal Nuovo Mondo, fra i libri del suo studiolo vi era la relazione abbreviata su «le isole scoper-
te» inviata da Pietro Martire d’Anghiera a Carlo V11. È facile allora immaginare la familiarità
con cui un certo tipo di notizie arrivavano alla corte degli Asburgo, e ciò permise a Mostaert
di essere aggiornato sulle vicende dei territori spagnoli d’oltremare. Perciò, anche se una da-
tazione agli anni Venti per una scena che teoricamente si localizza nel continente americano
possa sembrare molto recente, soprattutto se consideriamo la dettagliata rappresentazione del
paesaggio e della fauna, essa non sarebbe comunque da escludersi categoricamente.
In realtà, il termine «le nuove isole scoperte» poteva applicarsi tanto alle terre americane
come alle isole Canarie. Ricordiamo inoltre che una delle traduzioni in verso della lettera
scritta da Cristoforo Colombo a Luis de Santángel12, la cui prima edizione si intitolava La
lettera delle isole novamente trovata (Roma, giugno 1493) fu pubblicata sotto il titolo Questa
e la hystoria delle inventioe delle diese isole Cannaria in Indiane. Tanto grande fu la confusione
o contaminazione fra le isole Canarie e il continente americano, anche se le Canarie si co-
nobbero e furono conquistate in gran parte già un secolo prima della scoperta dell’America13.

Princeton 1989, p. 43. Cfr. Cuttler, C.D., Errata in Netherlandish Art: Jan Mostaert’s “New World” Landscape, in “Simiolus” 19,
n. 3, 1989, p. 193: «Mostaert’s landscape adheres to the Patinir manner of the 1520s in its distinctness and in the lack of the
atmospheric veil and greater detail that landscape painting evolved by the I540s».
8 Vandenbroeck P., “Amerindian art and ornamental objects in royal collections. Brussels, Mechelen, Duurstede,
1520-1530”, in America Bride of the Sun, catalogo della mostra, Royal Museum of Fine Arts Anversa, Imschoot, Gent
1991, pp. 99-119.
9 Lugli A. (a cura di), Albrecht Dürer. Viaggio dei Paesi Bassi, Diabasis, Reggio Emilia 2005, pp. 68-69.
10 Duverger J. “Jan Mostaert, Ereschilder van Margareta van Oostenrijk”, in Ludwig P. (a cura di), Festschrift für
Wolfgang Krönig, Aachener Kunstblätter 41, 1979, pp. 113-117; Eichberger D., Leben mit Kunst. Wirken durch Kunst.
Sammelwesen und Hofkunst under Margarete von Österreich, Regentin der Niederlande, Brepols, Turnhout2002, p. 253.
Nella sua vita di Mostaert, Van Mander si sbagliò quando chiamava Mostaert pittore di corte.
11 De nuper sub D. Carolo repertis insulis, simulque incolarum moribus enchiridion, Basilea 1522. Si veda Eichberger,
op. cit., p. 185.
12 Varela C. (a cura di), Cristóbal Colón, Textos y documentos completos, Alianza, Madrid 1984, pp. 139-146.
13 Si veda Mason P., El drago en el Jardín del Edén. Las Islas Canarias en la circulación transatlántica de imágenes en el
mundo ibérico, siglos XVI y XVII, Iberoamericana, Madrid 2018.
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata 317

Oltre alle immagini, non deve sottovalutarsi la presenza Fig. 1. Jan Jansz Mostaert, Paesag-
fisica degli indigeni delle Canarie in Europa. Basti pensare gio con un episodio nella Conquista
che, già nel 1341, una spedizione fiorentina-genovese tor- dell’America, ca. 1525, Amsterdam,
Rijksmuseum.
nò dalle Canarie non soltanto con pelli di capretto, grasso
e olio di pesce ma anche con quattro abitanti delle isole14.
Nel 1494, nel suo viaggio nella penisola Iberica, il medico
tedesco Geronimo Münzer vide sessantatré canari dell’isola di Tenerife di ambo i sessi che, so-
pravvissuti al viaggio e al clima, stavano per essere venduti nel mercato di Valenza. Egli scrive:

Sono uomini scuri, non propriamente neri, assomigliano ai barbari. Le loro mogli sono for-
mose, con le membra forti e piuttosto lunghe; tuttavia hanno costumi bestiali poiché sino ad
ora sono vissuti senza legge, essendo infatti degli idolatri. […] Vidi vari di essi prigionieri, in
manette e legati da ceppi di ferro, forzati a svolgere lavori durissimi come tagliare grossi legni
e altre cose del genere15.

Il mercante di Valenza informò il curioso straniero dell’esistenza della canna da zucchero,


del cibo, degli animali e della varietà di frutti e cereali presenti sull’isola. A ben vedere dun-
que, le isole Canarie, considerando la data della conquista e la presenza di coloni e mercanti
europei, in particolare fiamminghi di Anversa16 a partire dal quindicesimo secolo, potrebbero
rappresentare per il quadro in questione un soggetto tanto plausibile come quelli preceden-

14 Hernández González M., (a cura di), Giovanni Boccaccio. De Canaria y de las otras islas nuevamente halladas en el
océano allende España (1341) y otros relatos, Ayuntamiento de la Villa de La Orotava, Tenerife 1998, pp. 33-34.
15 Münzer G., Viaje por España y Portugal, Polifemo, Madrid 1991, p. 45.
16 Marrero Rodríguez M., Mercaderes flamencos en Tenerife durante la primera mitad del siglo XVI, “IV Coloquios de
Historia canario-americana”, vol. I, 1992, pp. 599-614; Aa.Vv., Flandes y Canarias. Nuestros orígenes nórdicos, voll. I- II,
Tenerife 2004-2005.
318 Ibericizzazione e conquista

temente proposti; un soggetto certamente alla portata di un artista che non era mai stato in
America. La presenza in una stampa tedesca datata circa al 1470 dell’albero del drago17, ende-
mico delle isole della Macaronesia, dimostra che nell’ultimo quarto del quindicesimo secolo
le Canarie erano ben conosciute in Germania e nelle Fiandre, ed è probabile che un mercante
solesse portare con sé disegni della flora e della fauna delle Canarie, un paesaggio esotico per
gli europei, considerando che, oltre ai circoli di corte, proprio i mercanti rappresentavano
un’altra fonte di notizie. Con le sue circa diciannove raffinerie per lo zucchero proveniente
dalle Canarie, Anversa fu dunque un importante centro di distribuzione al resto d’Europa
non solo di prodotti originari di quelle isole ma anche di informazioni.

3. Un episodio nella conquista delle Canarie?


Il quadro di Mostaert cominciò a far discutere a partire dalla descrizione scritta da Carel
van Mander, che lo aveva osservato nella casa del nipote di Mostaert, nel 1604: «Si vede un
paesaggio, che è delle Indie Occidentali, con molte persone nude, una montagna dalla forma
bizzarra e con strane costruzioni che sembrano case o capanne; ma è rimasto incompleto»18. A
prescindere dalla legittimità dell’identificazione del quadro del Rijksmuseum con quello de-
scritto da Van Mander19, il termine “Indie Occidentali” (“West-Indien” in olandese) possedeva
un campo di applicazione molto ampio e indefinito, che andava oltre un uso limitato alle
attuali isole caraibiche. Inoltre, lo stesso Van Mander tradusse la Historia del Mondo Nuovo
di Girolamo Benzoni – nel quale il milanese presentava una descrizione sia dell’America che
delle Canarie – col titolo Beschryvinghe van West-Indien20.
Fra coloro che hanno dubitato dell’identificazione del quadro con un paesaggio ameri-
cano annoveriamo lo storico dell’arte Cuttler21. Benché nel quadro non si trovi alcuna «in-
felicità»22 in contrasto con l’immagine cinquecentesca del continente americano, io stesso a
suo tempo, proponendo argomenti diversi, se non del tutto opposti a quelli di Cuttler, ho
preferito vedere nel paesaggio raffigurato un luogo generico, certamente esotico, ma senza
una sua specificità geografica23. Tuttavia, dopo aver visitato tutte le isole Canarie diverse volte,

17 Mason P., Before Disenchantment. Images of exotic animals and plants in the early modern world, Reaktion, Londra
2009, cap. 1. La stampa a cui si fa riferimento è La fuga in Egitto di Martin Schongauer.
18 Van Mander K., Het schilder-boeck, Passier Wesbusch, Haarlem 1604, p. 229.
19 L’identificazione non è sicura perché il quadro del Rijksmuseum sembra essere finito. Tuttavia, come segnala Mar-
tínez de la Peña D., Un episodio de la conquista de Canarias en una famosa pintura renacentista de los Países Bajos, in
“Anuario de Estudios Atlánticos”, n. 16, 1970, p. 149, n. 1, il quadro è stato nel passato oggetto di restauro che defi-
nisce «poco attenta». Per le medesime ragioni risulta impossibile identificare la bandiera portata dalle truppe europee
(ivi p. 161).
20 Sulla descrizione delle Canarie da Benzoni, si veda Mason P., “El rol de las Canarias en la traducción visual del Nue-
vo Mundo para el Viejo Continente”, in De Beni M. (a cura di), Ciencias y traducción en el mundo hispánico, Pliegos
Hispánicos 3, Universitas Studiorum, Mantova 2016, pp. 357-379.
21 Cuttler, op. cit., pp. 191-197.
22 La parola “infelicità” fa riferimento al classico libro del filosofo britannico Austin J.L., How to do things with words,
Oxford University Press, Oxford 1962.
23 Mason P., Infelicities. Representations of the exotic, Johns Hopkins University Press, Baltimore e Londra 1998, pp.
26-39.
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata 319

Fig. 2 e 3. Jan Jansz Mostaert, Paesaggio con un episodio nella Conquista dell’America, ca. 1525,
Amsterdam, Rijksmuseum, particolari della fig. 1.
320 Ibericizzazione e conquista

sono piuttosto propenso a considerare valida l’ipotesi di Domingo Martínez de la Peña: «[…]
chiunque abbia contezza del paesaggio delle Canarie deve necessariamente rimanere colpito
dalla sua somiglianza con quanto rappresentato nel quadro»24.
Nel 1970, lo studioso propose di interpretare la scena come un episodio ascrivibile alla
conquista delle Canarie, basandosi su considerazioni relative al paesaggio, alla fauna, alle
strutture abitative, ai tratti fisici della popolazione indigena e alle armi. Anche le capanne
non avevano nulla in comune con gli edifici degli aztechi, presentando invece somiglianze
con le case degli abitanti delle Canarie, i quali solevano vivere in ricoveri fatti di frasche
o caverne. Per esempio, nella Crónica del descubrimiento y conquista de Guinea del 1448,
Gomes Eanes da Zurara racconta che gli abitanti di Tenerife «non hanno case ma capanne
e caverne» e che «si industriano con pali di midollo di pino fatti a forma di grossi dardi,
molto affilati, seccati e stagionati»25. Qualche anno dopo, Alvise da’ Ca da Mosto, descri-
vendo il modo di fare la guerra a Tenerife, si riferisce non solo a «pali fatti a forma di dardi»
ma anche a pietre – ambo armi che si riconoscono chiaramente nel quadro di Mostaert26.
Parimenti, nei capitoli delle Saudades da terra di Gaspar Frutuoso dedicati alle Canarie,
l’autore (partendo da dati raccolti negli anni Sessanta del sedicesimo secolo) racconta che
gli indigeni si vestivano di pelli di capra e di pecora, vivevano in case di paglia e nelle cavità
della roccia e che le loro armi erano legni aguzzi27. Si presenta con un bastone appuntito,
arco, frecce e uno scudo l’indigeno delle Canarie rappresentato nell’ultima immagine del
secondo libro del De gli habiti antichi, e moderni di diverse parti del mondo libri due di Ce-
sare Vecellio28 (fig. 4). Alcuni copricapi degli indigeni sembrano ricordare le bende frontali
tinte di rosso e blu usate dagli abitanti di Gomera quando andavano in guerra29. A ciò si
aggiunge che la presenza di animali europei nel quadro, soprattutto bestiame, è più concor-
de con l’idea di un insediamento stabile e non di recente formazione.
Quanto al paesaggio, ricorda quello delle isole più grandi (Gran Canaria e Tenerife). L’ar-
co naturale roccioso, ad esempio, sebbene ricorra nelle opere di diversi paesaggisti fiammin-
ghi della prima decade del sedicesimo secolo e appare nel fondo del Ritratto di una donna di
Jan Mostaert stesso, (fig. 5) anch’esso nella collezione del Rijksmuseum e datato dal museo
tra il 1520-152530, può ritenersi caratteristico delle formazioni geologiche delle isole Canarie.
Martínez de la Peña riconosce che sia un azzardo avventurarsi nell’identificazione
dell’episodio della conquista a cui potrebbe riferirsi il quadro. A ogni modo, la corazza
europea indossata da un uomo con i capelli bianchi in primo piano e lo scudo metallico
(se ne percepisce il riverbero della luce sulla superficie) sostenuto dall’uomo alla sini-

24 Martínez de la Peña, op. cit., p. 149.


25 Boccaccio G., et al., op. cit., p. 56.
26 Ivi, p. 71.
27 Frutuoso G., Descripción de las Islas Canarias, tr. P.N. Leal Cruz, Santa Cruz de Tenerife 2004, pp. 47, 49.
28 Vecellio C., De gli habiti antichi, e moderni di diverse parti del mondo libri due, Venezia 1590, p. 499. Nel testo si
dice: «Usano tirar bene d’arco, & portano alcuni dardi pugnenti per uccidere capre, & asini salvatici…». L’immagine si
ripete nella seconda edizione dell’opera (1598, p. 440), nella quale viene omessa la menzione al droit de seigneur canario
a cui fa riferimento l’edizione del 1590.
29 Martínez de la Peña, op. cit., p. 159.
30 Aa.Vv., Netherlandish art in the Rijksmuseum 1400-1600, Waanders, Zwolle 2000, p. 84. L’arco naturale era una
delle forme geologiche preferite di Joachim Patinir, Gibson W.S., op. cit., p. 5.
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata 321

stra del gruppo con il capo coperto sono indizi


del fatto che la scena rappresentata non sia un
primo scontro tra europei ed indigeni e che pro-
babilmente questi ultimi avevano acquisito tali
manufatti bellici in un’occasione precedente31.
Martínez de la Peña annota che «ci sono certi det-
tagli che fanno pensare alle spedizioni di Alonso
Hernández de Lugo a Tenerife, nell’ultima decade
del quindicesimo secolo»32. Gli spagnoli subiro-
no ingenti danni nella battaglia di La Matanza de
Acentejo nel mese di maggio di 1494, ma la bat-
taglia di Aguere o di La Laguna il 14 di novembre
dello stesso anno segnalò il punto di svolta a loro
favore, tanto che alla fine dell’anno seguente por-
tarono a termine la sottomissione degli abitanti
dell’isola.
Sino a ora nessuno si è soffermato a conside-
rare la presenza di un lago nella parte sinistra del
quadro. Sulla rotta dal porto di Santa Cruz al lato
settentrionale dell’isola si trovava una laguna (che
si prosciugò successivamente) nel Valle de Aguere. Fig. 4. Cesare Vecellio, De gli habiti antichi,
Come scrisse Leonardo Torriani nel suo resoconto e moderni di diverse parti del mondo libri due,
sulla conquista di Tenerife: «Durante l’organizza- Venezia 1590, p. 499.
zione, Lugo pose gli alloggi dove oggi si trova la
città di San Cristóbal, vicino a una laguna»33. Po-
trebbe essere il lago nel nostro quadro un’allusione
a La Laguna e alle battaglie che nei suoi pressi si susseguirono? In tal caso, il paesaggio
roccioso e frastagliato del quadro potrebbe rappresentare il Massiccio di Anaga nel nord-est
di Tenerife, e la montagna innevata sulla cima sarebbe il Teide. Quella montagna, la cui
altezza raggiunge i 3.718 metri sul livello del mare, era un punto di riferimento iconico,
“sinonimo” delle Canarie per tutti i viaggiatori stranieri; Torquato Tasso la chiamò «a l’a-
cute piramidi sembiante»34.
Due autori olandesi che negli ultimi anni si sono interessati all’opera ritengono raffiguri
un contesto paesaggistico appartenente alle isole Canarie. In un articolo piuttosto breve, Leo-

31 Nel capitolo “De la guerra que hizo Fernando, rey de España, a la isla de Canaria” della sua Descrittione et Histo-
ria del regno del isole Canarie gia dette le Fortunate con il parere delle loro fortificationi, l’ingegnere militare Lorenzo
Torriani affermava che «i canari lottavano come soldati veterani […] con spade, scudi e con altre armi che avevano
sottratto ai cristiani nella fortezza di Gando, e ai maiorchini molti anni addietro». Ho utilizzato la traduzione del
testo da Alejandro Cioranescu, Descripción e historia del reino de las Islas Canarias antes Afortunadas, con el parecer
de sus fortificaciones, Tenerife 1999, p. 177.
32 Martínez de la Peña, op. cit., p. 162.
33 Torriani L., op. cit., corsivo mio. Dopo la conquista di Tenerife, Lugo fondò la capitale nel luogo che oggi si chiama
San Cristóbal de La Laguna. Santa Cruz de Tenerife divenne capitale nel 1723.
34 Tasso T., Gerusalemme liberata XV, 34.
322 Ibericizzazione e conquista

Fig. 5. Jan Jansz Mostaert, Ritratto di una donna sconosciuta, ca. 1525, Amsterdam, Rijksmuseum.
Una delle prime immagini della conquista dell’America riesaminata 323

nard Blussé ha dichiarato in modo categorico: «Questo quadro non rappresenta la conquista
dell’America ma quella di Tenerife di cui si scorge sul fondo la famosa cima del Teide»35. In-
vece, Maarten Jansen ha presentato un lungo e dettagliato studio volto a identificare la scena
dipinta con un luogo e una data precisa: l’attacco dell’esercito spagnolo comandato da Pedro
de Vera alla roccaforte della resistenza di Roque Bentaiga, nell’isola Gran Canaria, nell’anno
1483. In questo caso, il lago sulla parte sinistra del quadro sarebbe quello specchio d’acqua
menzionato ben due secoli dopo gli eventi narrati dal cronista Tomás Arias Marín de Cubas
nell’opera Historia de las siete islas de Canaria36.
In realtà, l’ipotesi che ci riferisca alla Gran Canaria non convince: in lontananza, il Roque
Bentaiga non poteva vantare la stessa visibilità del Teide, né tantomeno godeva del prestigio
iconico della famosa montana più alta della Spagna.
Certi dettagli dell’opera suggeriscono inoltre che si tratti di qualcosa di più che un
semplice assalto. Se consideriamo la varietà dell’aspetto degli indigeni presenti sulla scena,
vediamo che alcuni hanno capelli e barba bianca, altri sono calvi, alcuni indossano fasce
e cappelli e altri non portano alcun copricapo. Altri ancora hanno i capelli del medesimo
colore della paglia che ricopre le capanne (ricordiamoci che i quattro giovani delle Canarie
deportati in Europa nel 1341 dai mercanti fiorentini-genovesi avevano i capelli biondi e
lunghi fino alla cinta)37. Vediamo alcuni correre con le mani legate dietro la schiena: non
sembrano disposti a camminare e sono spinti avanti dai loro accompagnanti. Sulla sini-
stra, una donna cerca di fermare un uomo armato in procinto di prender parte al violento
scontro (fig. 2). Questa varietà di toni suggerisce che il gruppo degli “indigeni” non sia poi
così omogeneo come sembrerebbe a prima vista. Potrebbe forse includere al suo interno gli
europei catturati?
D’altronde, gli europei che procedono in testa ai cannoni non portano armi e sembrano
tanto riluttanti quanto gli indigeni con le mani legate. Se a ciò aggiungiamo la presenza di
una bandiera bianca e quello che pare essere un fazzoletto bianco tra le mani di una di queste
persone inermi, ecco che si profila la possibilità che la scena in questione rappresenti una
tregua, forse proclamata per rendere possibile lo scambio di prigionieri e ostaggi (fig. 3). Tut-
tavia, parrebbe che le regole della tregua non siano state rispettate e lo scambio sia degenerato
in un conflitto violento, una situazione tristemente comune quando entrano in contatto due
gruppi umani caratterizzati da una reciproca sfiducia38.
Ad ogni modo, il grado di deterioramento del quadro e le problematiche che solleva
ogni interpretazione rendono fragile qualsiasi tentativo di metterlo in relazione con una

35 Blussé, L., Een re-interpretatie van Jan Jansz Mostaerts Landschap met een episode uit de verovering van Amerika,
“Kunstschrift” 3, 2016, pp. 54-55.
36 Jansen, M.E.R.G.N., Defendiendo la Montaña Sagrada. La pintura ‘Paisaje de las Indias Occidentales’ de Jan Mostaert
y la Conquista de Gran Canaria, “Indiana” 35.2, 2018, pp. 297-322.
37 Boccaccio G., op. cit., p. 38.
38 Si ricorda il rapido deterioramento delle relazioni tra gli olandesi comandati da Jacobo Roggeveen e i pasquensi du-
rante il loro primo incontro il 10 aprile 1722: «Si sentirono provenire da dietro quattro o cinque spari che ci sorpresero
molto, e contro ogni aspettativa, accompagnati da grida inconsulte “spara”, e come in un batter d’occhio, partirono
più di 30 colpi. Gli indigeni, attoniti e impauriti, scapparono, lasciando 10 o 12 morti, oltre ai feriti. […] Dopo che
lo sconcerto e lo spavento degli abitanti si erano attenuati, e le inimicizie cessate, si fece capire loro attraverso dei segni
che i morti avevano minacciato attaccandoci con le pietre […]». Aa.Vv., Easter Island: the first three expeditions, 1722-
1774, Rapa Nui, 2004, p. 26.
324 Ibericizzazione e conquista

località o un avvenimento specifico, considerando comunque che l’antropizzazione del


paesaggio e l’attività vulcanica degli ultimi cinquecento anni hanno avuto un notevole
impatto sull’ambiente delle isole Canarie. Simili difficoltà si presentano se proviamo ad
assegnare una data allo scontro raffigurato nel dipinto di Mostaert. Jansen vorrebbe farlo
risalire al 1483; Van de Waal lo ha interpretato come lo sbarco di Colombo a Guanín il
13 gennaio 1493; ancor meno plausibile è la data del 24 giugno 1540 proposta da James
Snyder39. Inoltre, Hugh Honour dimostra di essersi distanziato molto dalla possibilità di
ancorare il soggetto del quadro a un contesto storico geografico quando scrive: «Si può
preferire un’interpretazione meno letterale e vedervi un episodio immaginario della Con-
quista»40. Il quadro di Jan Mostaert è un prodotto della sua immaginazione, certo, ma
non è per questo un’opera immaginaria. Per dare couleur locale alla sua composizione – in
altre parole, per situarla in un paesaggio esotico41 – l’artista ha selezionato elementi ico-
nografici collegati a una conquista avvenuta nel quindicesimo secolo sulla quale era riu-
scito a ottenere informazioni dettagliate: la conquista delle Canarie. Senza spingersi oltre
nella ricerca di un contesto più specifico, basti per il momento essere riusciti a stabilire
che le isole maggiori – Tenerife e Gran Canaria – offrono una alternativa al continente
america certamente più plausibile.

4. Molta presunzione, nessuna certezza


Ci troviamo comunque su un terreno nel quale non esistono certezze e quasi nessuna
delle ipotesi avanzate può essere categoricamente rifiutata. E se il quadro rappresentasse
una scena caraibica che non è stata mai presa in considerazione finora? Comunque sia, di
una cosa sono persuaso: nessuna di queste ipotesi è, e non potrebbe essere altrimenti, al
cento per cento convincente.

39 Si veda la nota 3.
40 Honour H, op. cit., p. 14.
41 Mason P., Infelicities, op. cit., cap. 2.
Il presente volume viene pubblicato con i contributi
del Dipartimento delle Arti e del Master
Erasmus Mundus in Women’s and Gender Studies - Gemma
dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna

IL MITO DEL NEMICO


Identità, alterità e loro rappresentazioni
THE MYTH OF THE ENEMY
Alterity, Identity, and their Representations

a cura di / edited by
Irene Graziani e Maria Vittoria Spissu

Referenze fotografiche:
Le immagini contenute in questo volume sono state fornite dagli autori.
L’editore rimane a disposizione di eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare.

I saggi sono stati sottoposti ad un doppio referaggio cieco.


The essays were subjected to double blind peer review.

Direttore editoriale: Roberto Mugavero


Impaginazione: Minerva Soluzioni Editoriali S.r.l.

In copertina: Frans Francken jr, Allegoria dell’Abdicazione di Carlo V a Bruxelles,


ca. 1630-1640, Amsterdam, Rijksmuseum.
In apertura delle sezioni tematiche:
Martin Waldseemüller, Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem
et Americi Vespucii alioru[m]que lustrationes, Saint Dié 1507, Washington, D.C.,
Library of Congress, Geography and Map Division.

© 2019 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi.


Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.

ISBN 978-88-3324-150-0

Finito di stampare
nel mese di febbraio 2019
per i tipi della LiPe, San Giovanni in Persiceto, Bologna
Irene Graziani è ricercatrice di Storia dell’Ar-
te Moderna presso il Dipartimento delle Arti
dell’Università di Bologna. La sua attività di
ricerca riguarda principalmente la pittura bo-
lognese e la cultura artistica del Settecento, cui
ha dedicato saggi e studi, anche monografici
(La bottega dei Torelli. Da Bologna alla Russia
di Caterina la Grande, 2005; Sognare l’Arcadia.
Stefano Torelli “peintre enchanteur” nelle grandi
corti del Nord Europa, 2013; Luigi Crespi ritrat-
tista nell’età di papa Lambertini, mostra tenutasi
nel 2017). Si è anche interessata al fenomeno
della donna artista, collaborando a cataloghi
di mostre e pubblicando studi, tra cui la mo-
nografia su Properzia de’ Rossi (2008 con Vera
Fortunati).

Maria Vittoria Spissu, assegnista di ricerca


presso il Dipartimento delle Arti dell’Univer-
sità di Bologna, ha indagato La Raffigurazione
dell’Infedele in Europa tra Riforma e Controri-
forma, partecipando, sul tema, a convegni, in
Italia e all’estero, e a volumi miscellanei. Fa par-
te dei gruppi di ricerca internazionali: Spanish
Italy and the Iberian Americas (Connecting Art
Histories Project, Getty Foundation & Colum-
bia University); e COST Action Islamic Legacy:
Narratives East, West, South, North of the Me-
diterranean (1350-1750) (EU Framework Pro-
gramme Horizon 2020 & UNED, Madrid).
Ha pubblicato, con Caterina Limentani Virdis,
La Via dei Retabli. Le frontiere europee degli al-
tari dipinti nella Sardegna del Quattro e Cinque-
cento, 2018.

ISBN 978-8833241500

9 788833 241500
40
,0
0
i.i
.
With its diverse essays, this volume examines the study of
otherness, from the Middle Ages to the contemporary age,
through an interdisciplinary perspective that embraces the
subjective and fluid category of the enemy in specific contexts
and in its different paradigms and transformations.
Fifty authors tackle the myth of the enemy and uncover figu-
rative processes and intellectual dynamics behind the construc-
tions of otherness. Thematically and comparatively struc-
tured, the book considers specific themes, such as wonder,
fascination, appropriation, and satire. It reveals an arbitrary
enemy, in which connections between fiction and phobia, hi-
erarchies and propaganda determine strategic defamation and
modes of assimilation.
The myth of the enemy is here recognizable in the mystifica-
tion of Jews, Muslims, Turks, Moors, Protestants, converts,
and non-Catholics in general; Africans, Native Americans,
Asians, non-Europeans, and non-whites in general; dissidents,
and enemies in the political sphere. We can also see how the
enemy, as a convenient device, was used for imperialist and
colonial justifications. In addition, the volume focuses on
the roles of diversity in the artistic and literary imagination.
Finally it raises questions about the definition of identity and
civilization.
The volume transcends exclusively western and central Eu-
ropean conceptions and offers insight into Mediterranean,
eastern European, Asian, and American viewpoints. It in-
cludes essays from art history, literature, history, collecting
studies, visual anthropology, political iconology, the history
of ideas, and legal philosophy. It offers a multifaceted and
comprehensive exploration of an elusive, complex, and highly
topical phenomenon.

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