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SANT’AGOSTINO

opere: il maestro: dialogo con il figlio Adeodato in cui sostiene che la vera religione è quella della
chiesa cristiana; la città di Dio: è una riflessione sulla storia dell’umanità alla luce dell’azione di dio
e della sua divina provvidenza nel mondo; il libero arbitrio: dialogo in cui dimostra la libera scelta
dell’individuo di compiere il bene o il male; le confessioni: autobiografia in 13 libri;
L’itinerario educativo di Agostino esprime l’idea educativa cristiana così come giunge a definirsi nel
suo pensiero e nel medioevo. Ci sono 3 momenti decisivi: -distacco dalla tradizione retorica -
accostamento e poi distacco dalla filosofia -conversione alla fede cristiana. Nelle Confessioni
Agostino si esprime con giudizi severi sugli anni della sua prima formazione superiore (quello della
scuola di Isocrate con l’aggiunta di storia, diritto, filosofia). Quando lascia Cartagine ha 19 anni ma
ha già maturato la convinzione che la cultura classica non contenga finalità formative e indicazioni
etiche capaci di soddisfare il suo bisogno di verità e autenticità. È questa messa in discussione della
cultura classica che non riesce a soddisfare i bisogni di verità e felicità. Agostino è un uomo nuovo
che introduce una questione esistenziale. La cultura retorica può insegnare le tecniche del discorso
e aprire la strada a carriere capaci di procurare onore ma non ha risposte da dare alle inquietudini
dell’esistenza.
La novità è che dal suo punto di vista la cultura è chiamata a dare risposte sul bisogno di verità e
sulla richiesta di felicità; è chiamata a inserirsi tra le inquietudini dell’esistenza e il bisogno di un
appagamento pieno e assoluto. Avviene così il distacco dalla retorica per la sua mancanza di un
contenuto formativo
La lettura dell’Hortensius di Cicerone, sollecita Agostino a passare dalla retorica alla filosofia.
Aristotele pone quindi accanto al tema della verità la ricerca di una prospettiva di vita e di cultura
che conduca alla felicità. Cicerone risponde è che la felicità consiste nel sapere. Aristotele arriva
quindi a dire che la filosofia come ricerca della verità attraverso la ragione come alternativa
rispetto a una retorica che è pura finzione letteraria. La filosofia lo porta ad avvicinarlo al
manicheismo che sembra in grado di rispondere ai suoi problemi più urgenti. Per lui la ricerca della
verità è connessa alla soluzione del problema della felicità: trovare la verità per raggiungere la
felicità. La filosofia di Mani inquadra questi temi all’interno di una visione razionale che pone 2
principi: luce e tenebre; bene e male. Grazie a questo principio sa perché esistono verità ed errore,
perché esiste il male nel mondo. Se il male nasce dalla corporeità è da questa che egli dovrebbe
trovare la forza di prendere le distanze. Il manicheismo però non è un sapere e non ha risposte da
dare rispetto alla verità. È questo il dubbio con cui si confronta Agostino. Ed è lo Scetticismo che lo
libera progressivamente dal dogmatismo manicheo e gli apre la strada al suo superamento,
insinuando il dubbio sulla possibilità di accedere alla verità. Agostino arriva a dichiarare che posso
sbagliare su tutto, il dubbio può essere esteso a ogni oggetto del pensiero ma non alla certezza del
mio esistere come soggetto pensante; chi ha conoscenza di sé nell’atto del dubitare conosce una
verità di cui ha la consapevolezza. È la scoperta di un solido punto di partenza rintracciato
nell’interiorità dell’io, se siamo in possesso anche di una sola verità dobbiamo riconoscere che la
verità esiste ma poiché non possiamo essere noi la fonte di verità che è immutabile dobbiamo
riconoscere che la verità che è in noi rimanda a una verità in sé fuori da noi. Simile verità è Dio. Se
la felicità consiste nel possesso della verità ora lui riesce a far convergere le motivazioni originarie
della propria ricerca: la scoperta della verità si rivela anche come scoperta della via che conduce
alla felicità. Il dubbio si è arrestato con la scoperta di una prima certezza, la certezza dell’Io e da
qui giunge a una seconda certezza, la certezza di Dio. Chi dubita è certo di esistere ma chi dubita è
anche certo di essere imperfetto per cui si confronta con l’idea della perfezione che appartiene a
dio. Esisto io e esiste Dio.
Il momento decisivo della vita di Agostino avviene nel 386 con la conversione grazie all’incontro
con Ambrogio che li offre la chiave di lettura delle Scritture, quel metodo allegorico elaborato nella
scuola alessandrina permette di andare al di là dei fatti per cogliere lo spirito che li anima,
l’essenza più profonda. Uno dei temi che affronta negli anni dopo la conversione è il problema del
male. Lui trova risposta a questo problema nel De libero arbitrio: il male come realtà non esiste,
perché tutto ciò che è, è opera di Dio, che è bene. Quello che noi definiamo male è conseguenza
del fatto che siamo creature di Dio quindi creature imperfette proprio perché create, dunque
diverse dal creatore. Il male morale non è una realtà esterna a noi ma nasce dalla nostra libertà di
scegliere tra i beni quelli di grado inferiore. È in questo quadro di libero arbitrio che Adamo ha
scelto il peccato determinando per l’uomo una condizione di libertà che lo espone all’alternativa
drammatica di una scelta di salvezza o di perdizione. L’uomo può operare bene o male: è una
scelta sua.
Nel De libero arbitrio si era mosso su quel piano della soggettività o interiorità che lo aveva
liberato dallo scetticismo e condotto in presenza delle prime certezze dell’io e di dio: non c’è male
preesistente all’atto di scelta dell’uomo: è l’uomo, con la sua volontà a introdurre il male nel
mondo. in seguito le posizioni del vescovo di Ippona mutano e si radicalizzano: preso dai suoi
doveri istituzionali. Agostino è incline alla durezza, all’intolleranza e al pessimismo. Le dottrine di
Donato e di Pelagio minacciano l’unità nella chiesa; e la lettura delle lettere di San Paolo lo
conducono a privilegiare l’istituzione rispetto all’individuo, la grazia rispetto alla libera volontà
personale. Agostino sa che le conversioni sono processi lunghi ma il suo ruolo istituzionale lo
induce a vedere nell’idea di unità il segno del vero e del bene e non esita a difendere il principio di
coercizione perché non c’è salvezza fuori dalla chiesa e dunque la coercizione è strumento di
liberazione dall’errore e di accesso alla grazia. È la grazia che salva: è la grazia che nasce dalla fede
che opera la salvezza. Agostino si richiama ancora una volta all’insegnamento paolino che gli
conferma il primato della grazia rispetto alla volontà personale è la grazia a produrre le buone
opere, non questa a condurre alla grazia. La grazia è dono. È la fede che salva ed è nella fede che la
grazia si fa dono gratuito di salvezza. Alle obbiezioni di Pelagio il vescovo di Ippona oppone una
riconsiderazione della libertà fondata su una visione pessimistica della natura umana. Il libero
Arbitrio in Adamo significava possibilità di scegliere il bene; dopo Adamo la volontà dell’uomo è
incline al male e sola la grazia può ricostruire le condizioni della libertà.
Agostino spinge lo sguardo oltre le contingenze della cronaca, per riabbracciare l’intero
movimento della storia, che gli si configura come un percorso lineare che conosce un inizio e una
fine e dunque ha una direzione che da un senso agli eventi. La storia va osservata dal punto di
vista di dio ed è all’interno del disegno provvidenziale di dio che essa si rende razionalmente
comprensibile. Il crollo dell’impero dal punto di vista del disegno provvidenziale che governa la
storia significa che l’impero ha esaurito la propria funzione. Quello che è di reale interesse per
Agostino è il percorso storico della salvezza tant’è vero che la sua filosofia della storia è una
visione salvifica della vita degli uomini. Agostino chiarisce che vivono nella storia 2 città: citta
terrestre (trae origini dall’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio); città celeste (trae origini
dall’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé). È alla luce di questo conflitto che per Agostino va
interpretata e compresa la storia, la quale svela il suo significato profondo nel suo momento
terminale quando con il giudizio finale le 2 città saranno separate con il trionfo della città degli
eletti. Politica, etica e religione non sono più come nell’antichità una cosa sola: il cristiano viene
sottratto al potere assoluto di Cesare. Interpretando le parole di Gesù Paolo di Tarso stabilisce una
distinzione tra le 2 sfere del temporale e dello spirituale ma senza nulla di eversivo perché per lui il
cristiano è chiamato a ubbidire all’autorità costituita perché non c’è autorità che non derivi da dio
e che non sia bene in funzione di bene. La novità del cristianesimo è che tutti non fanno che un
solo corpo in cristo. La novità è la comparsa nella storia di questa nuova comunità di fedeli, una
città celeste in esilio sulla terra che attende di poter giungere alla sua vera patria che è il regno di
dio. Occorre capire come agostino concepisce i rapporti tra chiesa e stato. Sui rapporti tra
temporale e spirituale egli introduce alcuni importanti principi:
principio di indifferenza: Aristotele fa proprio il principio dell’ubbidienza a cesare e quindi della
sottomissione del cristiano al potere politico, in base al principio di indifferenza: l’autorità viene da
dio. Per Paolo l’ubbidienza politica avviene su base religiosa: si ubbidisce a cesare in quanto si
ubbidisce alla volontà di dio
principio della resistenza passiva: l’atteggiamento di indifferenza rispetto al regime politico viene
meno se cesare minaccia di interferire nel campo dello spirituale. La sottomissione a cesare non
può arrivare al punto di riconoscergli l’autorità nel campo della fede
principio della coercizione: Agostino giunge a guardare allo stato come strumento per la difesa
dell’unità della chiesa
passaggio assai pericoloso perché il principio di coercizione introduce la giustificazione dottrinale
che tramuta lo stato in braccio armato dalla chiesa e in strumento di intolleranza religiosa
Per Agostino l’educatore porta a compimento la sua opera quando conduce l’allievo sulla strada
della salvezza. Posto che la verità, la sola e unica verità, è la verità di cristo e della fede non
consegue che per lui tutta la cultura che precede la verità rivelata da cristo sia da mettere tra
parentesi. Il cristianesimo segna un nuovo inizio per cui il problema che si pone è quello di
raccordare con criteri adeguati mondo classico e mondo cristiano. Questo è stato anche il percorso
del processo di formazione di agostino, ed è processo che diventa paradigma dell’itinerario
formativo di ogni credente. Esso consiste nel passare dalla retorica alla filosofia raccordando
sapere profano e sapere delle Scritture. Agostino sostituisce il modello del santo alla somma aretè
del saggio
Il dialogo il Maestro è un’opera di filosofia dell’educazione nel senso che Agostino vi introduce i
fondamentali teorici che istituiscono l’educazione di cui egli cerca di chiarire le condizioni di
possibilità. Il rapporto didattico è essenzialmente rapporto di comunicazione, agostino fa un’analisi
critica delle effettive possibilità comunicative del linguaggio e introduce un fattore di fondazione
trascendentale che nel pensiero agostiniano coincide con la dottrina dell’illuminazione divina.
Agostino muove dalla constatazione che l’insegnamento è l’attività mediante la quale il maestro
trasmette il proprio sapere all’alunno tramite il linguaggio. Il rapporto didattico sembra
caratterizzato dalla relazione di 2 soggetti (il primo chiamato a insegnare il secondo ad
apprendere) i quali vengono messi in relazione dall’oggetto di apprendimento per mezzo delle
parole con le quali l’oggetto stesso viene designato. La relazione è a direzione unica, il rapporto
didattico risulta identificato con l’atto di insegnamento una sorta di trasferimento di contenuti da
un soggetto all’altro soggetto. Agostino intende dimostrare che la spiegazione dell’atto di
insegnamento dell’esperienza comune è insostenibile perché la comunicazione linguistica è
impossibile in quanto il linguaggio è costituito da suoni e da segni che non hanno relazione
oggettiva con i dati di cui sono segni o simboli. L’insegnamento non si fonda sul linguaggio ma sul
rapporto diretto con le cose.
La ricerca incentrata sull’interiorità dell’io è il motivo conduttore dei Soliloquia perché è solo
muovendo dall’interiorità del soggetto, dall’anima che è possibile giungere alla trascendenza di
dio. La certezza rintracciata all’interno dell’io diventa il perno del processo di apprendimento.
L’alunno è portatore di idee originarie che sono nella sua mente e che sono riflesso della mente
divina. L’apprendimento avviene per illuminazione divina, e Gesù è il solo maestro.
RIFORMA E CONTRORIFORMA
Nel medioevo nella mentalità collettiva dominava un sentimento di diffusa precarietà dell’esistere,
cui si associano un sentimento tragico della morte e l’angoscia per i suoi esiti. La peste nera ha
introdotto nella psicologia collettiva una concezione negativa del divino: dio è giudice severo e
interviene per colpire i peccati degli uomini con guerre, carestie, pestilenze. Il movimento dei
flagellanti testimonia questa percezione generalizzata del peccato come colpa. Il trionfo della
morte e la danza macabra che compaiono sulle pareti delle chiese testimoniano la centralità della
morte come momento del giudizio di dio. Paura della morte e terrore per la dannazione eterna
sono presenti in tutti gli uomini perché tutti sono peccatori e dunque sottoposti al giudizio di dio.
Da qui il culto dei santi e della Vergine Maria come mediatori presso dio, da qui anche il culto delle
reliquie e l’accumulo delle indulgenze per abbreviare il tempo del purgatorio, dall’espiazioni e
della purificazione. In questo contesto si afferma la riforma di Lutero. In un primo momento il
nucleo centrale delle idee costituisce la risposta ai problemi di natura personale e solo più tardi
inizia a costituire una risposta ai problemi di natura collettiva. Quella di Lutero è una religiosità di
stampo tardo medievale: una religiosità angosciata dalla paura che la morte lo sorprenda
impreparato, un terrore che ne condiziona la psicologia nella percezione della precarietà della vita
esposta all’incertezza che nasce dall’alternativa tra salvezza e perdizione.
Lutero si è andato convincendo che l’uomo non può nulla per salvarsi. Il peccato originale lo ha
segnato in maniera profonda e indelebile: non solo l’uomo compie il male, ma non è in grado di
allontanare da sé la propensione per il male e non c’è opera buona che possa valere a salvarlo.
L’unica via della salvezza può derivare da dio. Giustificazione attraverso la fede significa che dio
tratta da giusto ogni peccatore, che non gli imputa colpe commesse che nella sua misericordia
colma l’abisso che separa l’uomo dal bene, che la salvezza è puro dono di dio. Il tema delle
indulgenze (scatena il movimento riformatore di Lutero) è un dettaglio: fondamentale l’idea
sottesa alle 95 tesi che porta diritto alla dottrina del sacerdozio universale, seconda la quale ogni
uomo è un sacerdote di sé stesso. Le implicazioni vanno al di là di ogni possibile compromesso con
Roma e di una semplice riforma:
1° implicazione: se la salvezza passa attraverso la giustificazione della sola fede consegue che
cadono tutte le mediazioni che si frappongono al dialogo diretto dell’uomo con dio e cioè la
gerarchia ecclesiastica, il suo magistero, i sacramenti, le opere buone, le indulgenze e i meriti
impropri
2° implicazione: se cade ogni possibile mediazione, ogni uomo diviene sacerdote di sé medesimo
in dialogo diretto con dio e la sua parola. Dio parla direttamene al cuore degli uomini quindi non si
può dare un’interpretazione autentica della parola di dio.
Se la salvezza è legata alla giustificazione per la sola fede, è chiaro che a nulla valgono le opere
buone o gli strumenti cosiddetti salvifici. Ciò che conta e ha valore è l’illuminazione interiore: solo
essa ci assicura che la nostra miseria morale non ci venga imputata.
Dietro alla riforma agiscono numerosi motivi umanistici:
-l’istanza del ritorno al passato, della renovatio come recupero della religiosità delle origini
-la forza critica di un pensiero che rifiuta il principio di autorità e che vuole fare chiarezza sulla vita
degli uomini e sugli eventi del mondo
-lo spirito individualistico che conduce al rapporto del singolo con dio
-il richiamo all’interiorità dell’esperienza religiosa
Nel 1525 Lutero invoca una repressione contro i contadini in rivolta e scrive contro Erasmo il De
servo arbitrio. Questo è la risposta al De servo arbitrio che Erasmo ha pubblicato l’anno
precedente per le numerose pressioni ecclesiastiche e politiche giungetegli da tutta Europa. Lutero
ne è infastidito perché considera l’interlocutore debole in teologia. Erasmo sostiene una sorta di
Philosophia Christi, una lettura della figura di Gesù e del suo messaggio in chiave morale come via
da seguire per la ricostruzione di un mondo di amore e di pace tra gli uomini. Erasmo fa delle
teologie guardando verso gli uomini: ma la teologia la si fa partendo dal punto di vista di dio. E dio
è onnipotenza e onniscienza: non c’è spazio per la libertà umana. Erasmo sostiene che l’uomo
collabora alla propria salvezza con le opere buone. È falso, per Lutero tutto è già scritto
dall’onniscienza di dio. Lutero dichiara che egli vorrebbe che almeno questo suo scritto potesse
sopravvivere: è il suo testamento teologico, la riaffermazione di una teologia tutta dedotta
dall’onnipotenza e dall’onniscienza di dio. In Lutero l’umanesimo subisce una regressione, è stato
bloccato nel suo slancio di rasserenare creatività. La Philosophia Christi rimane un’utopia, si
affermano le teologie dell’assoluta onniscienza e potenza di dio, dall’assoluta signoria di dio che
non lasciano all’uomo alcun spazio di iniziativa per quello che dovrebbe essere il fine ultimo della
vita, la salvezza. Senza libertà non si istituisce nessuna etica e dunque nessuna pedagogia. Il
pessimismo sulla natura umana impedisce a Lutero di fondare una pedagogia che può nascere
soltanto a partire dalla fiducia nell’uomo, dalla fede nella sua emancipazione e dal fondamento
della libertà. Il principio di sacerdozio universale sta a fondamento dell’istanza posta da Lutero per
la nascita della scuola elementare. Leggere e scrivere è un diritto di tutti perché tutti hanno il
diritto di rapportarsi con le Scritture.
La risposta alla riforma protestante si ha a partire dal 1542 quando il papa Paolo II convoca un
concilio ecumenico a Trento. I lavori del concilio si protrarranno fino al 1563, ma già nel 1545-1547
vengono prese le decisioni fondamentali, con interventi decisivi sui 2 pilastri dell’edificio costruito
da Lutero: principio della sola fede e quello della sola scriptura. Con il principio della sola fede
Lutero ha sostenuto che l’uomo perviene alla salvezza solo in quanto è giustificato da dio: l’uomo
è peccatore e per la sua stessa natura corrotta non può che inclinare al male; la salvezza può
venirgli solo da un atto gratuito di dio. È la fede che salva. Il concilio attacca la dottrina luterana
con 2 tesi:
-è Gesù cristo che salva perché si è fatto carico di tutti i peccati
-il battesimo cancella il peccato originale restituendo al cristiano la sua originaria innocenza
L’uomo è chiamato a collaborare alla sua salvezza
La risposta del concilio di Trento è sacramentale: è un sacramento il battesimo che serve a
restituire all’anima la sua originaria purezza. Il cristiano è fragile, e solo i sacramenti possono
essere i suoi strumenti per resistere al male e per fare il bene. Il concilio conferma le tesi luterane
sul peccato originale sulla corruzione della natura umana e sulla grazia come dono gratuito e
fondamento della salvezza. Il concilio recupera l’intera struttura istituzionale della chiesa: la
mediazione del clero e la relazione gerarchica tra il fedele e i ministri del culto. Si stabilisce che
solo la chiesa è fonte dell’interpretazione autentica dei testi sacri.

Gli orientamenti nati durante il concilio di Trento, nel periodo del 500, età della controriforma,
trovano le loro espressioni pedagogiche esemplari:
- Sul piano istituzionale, nella ratio studiorum e nel collegio dei gesuiti;
- Mentre sul piano dottrinale, nel tratto sulla educazione cristiana dei figliuoli di Silvio
Antoniano.

Compagnia di Gesù costituisce la difesa e contr offesa della chiesa di Roma, fondata da Ignazio di
Loyola, il vocabolario è militare, che ne definisce la struttura dell’ ordine e le sue componenti
(compagnia, generale o padre generale) e ai sui compiti (lotta all’ eresia e difesa della chiesa)
dovuto alla sua esperienza militare prima della conversione. L’ Ordine dei gesuiti si pone alle
dirette dipendenze del papa come corpo d’ assalto, inoltre aggiunge un quarto ordine religioso
povertà, obbedienza, castità, assoluta obbedienza al papa e al padre genarle. La formazione dei
gesuiti è severissima, totale abnegazione (sottostare) a ogni moto spontaneo della volontà o dell’
intelligenza (no iniziative dovevano sottostare al padre genarle), disponibilità all’ obbedienza,
perfezione interiore e di disciplina, che si acquista con gli esercizi spirituali, in più c’è un accurato
studio letterario in funzione della azione educativa e didattica da svolgere all’ interno del collegio.

L’ ordine degli studi (ratio studiorum) distingue tre livelli:


1. Corso di grammatica (triennale) , si studia in prima la morfologia, in seconda la sintassi ed
in terza elementi di stile e metrica (attraverso Epistulea);
2. Corso di umanità, preparatorio alla retorica (biennale) , “perfetta eloquenza” (Aristotele e
cicerone), attraverso l’ analisi del testo e la declamazione privata o pubblica (discorsi) e
filosofia;
3. Corso di teologia.

Corrispondo al ginnasio inferiore (scuola media), ginnasio superiore, liceo e università; erano
obbligati a parlare in latino. Il collegio è una macchina programmata in ogni suo particolare,
tenuta sotto controllo in ogni momento. La scuola dei gesuiti porta il piano di studi degli umanisti
ed era riservata ai membri della futura classe dirigente, Cerca di realizzare una formazione
retorica: solida educazione allo spirito critica, creatività, esercizio pratico, contato tra gli uomini e
la natura, quindi formazione del cantore. Il modello educativo dei gesuiti costituisce un fattore di
arresto delle tensioni culturali umanistico-rinascimentale.

Silvio Antonino (1540-1603), ha scritto il trattato, tre libri sull’ educazione Christiana dei figliuoli; il
suggerimento per avventurarsi in questo lavori e dovuto a Carlo Borromeo, interpreti più
intelligenti del consiglio di Trento. Segue la via opposta rispetto a quella dei gesuiti, perché si
concentra sugli elementi della dottrina cristiana concentrandosi sui “padri di famiglia”,
riconducibili alla classe della piccola borghesia terriera e commerciale. Suggerisce l’ immagine di
un organizzazione famigliare di tipo gerarchico fondata sul autorità del padre famiglia, della moglie
e poi dei figli. Chiede ai padri famiglia di farsi carico dell’ educazione dei figli, per il loro bene, della
famiglia, della patria, della repubblica cristiana, ottenendo la grazie senza ricorre al castigo divino.

L’ educazione cristiana e resa necessaria da ragioni dottrinali, che si fondono sulla specificità del
cristianesimo, costruita sulla ragione in quanto il cristiano è portatore due un destino che lo
proietta attraverso la grazia verso dio. Chi cura l’ anima dl figlio può essere salvato portando
persone migliori nella società. L’ ottica è quella cella dottrina e della fede cristiana che tengono
unite vita terranea e vita ultraterrena per conferire forza al dovere educativo del padre di famiglia,
beatitudine (premio dovere compiuto) e perdizione (come castigo divino). Le ragioni sociologhe si
fondano su osservazioni che riguardano la necessità di reagire alle condizioni miserevoli della
moralità politico. Quando il padre non cura il figlio lui si perde non ha direttiva morale. Si vuole
restaurare la morale, si vedono pericoli e mali un po’ dappertutto, la cita dei giovini figlioli è
insidiata da ogni parte.

Nel primo libro si concentra sulla sacralità del matrimonio mentre negli altri sull’ educazione di
formazione cristiana, dove dice che i padri devono trasmettere la fede ai figli perché devono
salvarsi e salvare il proprio figlio. Per lui l’ educazione cristiana va avvinata fin dalla tenera età;
anche la madre collabora nell’ educazione dei figli nei primi anni di vita, lasciando più
responsabilità al padre, la donna occupa una posizione subalterna, inibita ad uscire di casa.
L’impressione che si ricava del insieme dei sui scritti è che il teologo prevalga sul pedagogista, dato
che non spiega le strategie ma spiega solo ciò che bisogna fare.

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