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Stress lavorativo e burnout fanno parte dei possibili esiti negativi del lavoro.
STRESS LAVORATIVO
Il termine stress nella quotidianità è molto usato per indicare i sintomi che derivano da
questo, ma spesso non lo si utilizza nell’accezione scientifica.
Lo stress è una risposta psicofisica che occorre quando le richieste del lavoro superano le
risorse o le capacità del lavoratore di farvi fronte o si scontrano eccessivamente con i suoi
bisogni (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, 2010).
Parte da un processo di interazione tra richieste del lavoro e caratteristiche personali
(giocano un ruolo importante nella percezione del lavoratore di poter farsi carico delle
richieste).
Lo stress è quindi un processo che parte da richieste poste alla persona dal lavoro e procede
attraverso la valutazione percettiva di tali richieste. Bisogna sottolineare come la percezione
soggettiva sia fondamentale in questo caso.
Se le richieste eccedono le risorse, ci sarà una minaccia per l’equilibrio e, di conseguenza,
si presenterà la necessità di contromisure, che sono misure di adattamento psicologico,
comportamentale, fisico-biologico.
Se l’adattamento non ristabilisce l’equilibrio minacciato, si innescano risposte disadattive e
si hanno conseguenze negative.
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L’immagine serve a
esemplificare il concetto di
stress in psicologia del lavoro.
Se le risorse sono valutate
insufficienti per le richieste ci
può essere una risposta
psicofisica a breve termine.
Se non si ritorna ad un equilibrio, c’è il rischio di sviluppare vere e proprie patologie da
stress.
In tutto ciò giocano un ruolo importante le caratteristiche del lavoratore: ad esempio, una
persona che abbia maggior autoefficacia non sovrastimerà le richieste e avrà minor
probabilità di soffrire di stress. Inoltre ci sono caratteristiche che proteggono sia dagli effetti
a breve termine che da quelli a lungo termine.
Stressor
In letteratura (Koslowsky, 1998) gli stressor sono suddivisi in due categorie [nds. Il prof poi
ne elenca una terza, individuata più recentemente]:
1. Individuali
2. Organizzativi
Esistono anche altri tipi di classificazione.
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• Technostress (a volte è difficile riuscire a seguire i continui aggiornamenti e
cambiamenti della tecnologia)
• Instabilità (es. cambiamenti continui dell’organizzazione di reparti, chiusura di
un’azienda)
• Fattori individuali:
o Caratteristiche individuali come locus of control interno (fa percepire che gli
eventi che accadono dipendano da caratteristiche interne, in maniera opposta
a chi ha il locus di control esterno,e definisce la causa degli eventi come
esterna; una persona può avere gradi diversi di questi due opposti), self-
efficacy, ottimismo disposizionale (non è detto che il pessimismo sia negativo:
alle volte, aspettandosi il peggio, si è pronti a fronteggiarlo nel caso in cui
dovesse accadere), tolleranza all’ambiguità sono associate a minore impatto
degli stressor.
Tutte queste caratteristiche, nonostante siano per lo più stabili e disposizionali,
sono adattive e hanno la possibilità, in parte, di cambiare nel corso della vita.
o Fattori socio-demografici. Es: salute fisica (chi è in salute sopporta meglio gli
stressor), categorie e gruppi sociali d’appartenenza (un background migratorio
potrebbe causare discriminazione), età (lavoratori più anziani non sono visti
come performanti), sessismo, vivere da soli/convivere (la presenza di altre
persone può dare supporto emotivo ma può anche causare discussioni e
scontri nella convivenza quotidiana)
o Quantità e qualità di rapporti sociali. Avere rapporti sociali è un fattore di
protezione nei confronti degli stressor. Si fa riferimento sia a rapporti duraturi
e profondi sia a interazioni sociali più fugaci (il cosidetto small talk, es: fare
quattro chiacchiere sull’autobus)
• Fattori legati al lavoro e all’organizzazione:
o Grado di controllo e autonomia (es. su ritmo lavorativo)
o Clima psicosociale
o Sostegno sociale (da colleghi e superiori)
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Conseguenze dello stress
• Esiti psicofisici: variazioni del battito cardiaco e della pressione sanguigna, malattie
cardiovascolari e bronchiali, disfunzioni gastrointestinali
• Esiti psicologici e di disagio psichico: riduzione del funzionamento cognitivo
(attenzione, concentrazione, memoria), emozioni negative croniche (es. ansia,
paura, senso di colpa, irritabilità, disgusto)
• Esiti comportamentali sul lavoro: maggior rischio di commettere errori, ritardi e
assenteismo, reazioni aggressive fisiche e verbali, condotte autolesive (es. uso
psicofarmaci, alcool)
• Esiti per la vita personale: riduzione dei significati attribuiti al lavoro (percepire che la
propria attività lavorativa ha un significato aumenta il benessere); interferenza con
vita familiare, impoverimento vita sociale (chi è in uno stato di stress cronico non ha
energie per mantenere una vita sociale). Da un lato vita familiare e vita sociale sono
un fattore di protezione per lo stress, dall’altro una persona stressata tende a
trascurare questi aspetti della vita che potrebbero aiutarla, creando un circolo vizioso.
• Esiti socioeconomici e organizzativi: perdite economiche (assenteismo e turnover),
perdita efficienza, perturbazioni clima organizzativo e relazioni sociali.
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Un altro modello è l’Effort/Reward Imbalance Model (Siegrist, 2001).
Considera il fatto che lo strain sia causato da una percezione di squilibri tra sforzi e
ricompense (una persona ritiene di essersi sforzata di più di quello che ha ottenuto).
Le motivazioni (atteggiamenti ed emozioni riconducibili a forte desiderio di essere
riconosciuti e stimati sul lavoro) portano a sottostimare sforzi e costi e a sovrastimare
ricompense e ricavi.
BURNOUT
È una grave forma di stress cronico, inizialmente identificato in ambito sanitario e poi esteso
a professioni di aiuto e in generale caratterizzate da rapporti con altre persone
Nella letteratura si individuano tre componenti (es. Masclach & Leiter, 2016):
• Depersonalizzazione (cinismo, distanza psicologica verso paziente/utente).
Inizialmente il lavoratore investe molto nei rapporti sociali con i colleghi o con i
pazienti, poi si distacca e perde la personalizzazione del paziente/utente
• Esaurimento emotivo (eccessivo coinvolgimento personale che drena energie, poi
si raffredda)
• Ridotta efficacia personale (percezione di non riuscire più a realizzare proprie
capacità e aspettative)
È studiato in contrapposizione al work engagement nel Job Demands-Job Resources
Model: se le richieste lavorative diventano stressor e richieste/stressor superano le risorse,
c’è rischio di burnout.
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L’ideale sarebbe non arrivare a mettere in atto queste strategie.
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In Psicologia del lavoro per comportamento aggressivo si intende un comportamento
volto ad arrecare danno ad altre persone con intenzionalità, per cui se arreco danno
involontariamente ad una persona non potrò parlare di comportamento aggressivo.
In ambito lavorativo è un comportamento volto ad arrecare danno ad altri lavoratori o ad
altre persone come pazienti o clienti.
Dobbiamo distinguere il termine violenza, in ambito della psicologia sociale e del lavoro,
dall’ aggressività in quanto la violenza implica ledere fisicamente mentre l’aggressività si
riferisce anche all’aggressività verbale.
In generale sembrano essere in aumento i casi riportati di aggressività, ciò non vuol dire
necessariamente che sta aumentando l’aggressività nei luoghi di lavoro, ma che c’è un
progressivo aumento della consapevolezza che non sia accettabile e che così vengano
riportati più spesso.
Forme di aggressività
- Distinta in fisica e verbale
- Distinta in diretta e indiretta: diretta quando il danno viene inflitto direttamente alla
vittima come spingere o insultare. Indiretta quando il danno è inflitto alla vittima
attraverso qualcosa o qualcun altro o quando si arreca danno ad oggetti o persone
care alla vittima.
- Distinta in attiva o passiva: attiva quando si mette in atto il comportamento per
arrecare danno a qualcun altro. Passiva quando vi è l’omissione di un
comportamento.
Accenniamo solo qualche esempio delle tre dimensioni dell’aggressività nel luogo di lavoro
intrecciate. Può esserci l’aggressività fisica attiva diretta (spingere o “gestacci”),
l’aggressività fisica attiva indiretta come distruggere qualcosa che appartiene ad un altro
lavoratore, non si interagisce direttamente con il lavoratore.
L’aggressività verbale diretta è tipicamente l’insulto, mentre quella indiretta è ad esempio
spargere pettegolezzi su una persona senza l’interazione diretta.
L’aggressività verbale passiva indiretta come non smentire pettegolezzi su una persona che
io so essere falsi.
Questi sono esempi del 1996 e non tengono conto che ora, in qualsiasi ambiente lavorativo,
tutto ciò che riguarda l’aggressività verbale passa spesso attraverso i nuovi media, come
chat, whatsapp e insulti sui social.
Le forme di aggressività più diffuse e in aumento sono soprattutto quelle verbali.
E’ importante menzionare anche l’esclusione che risulta una forma attiva indiretta,
soprattutto l’esclusione sistematica di un lavoratore, come ad esempio creare una chat di
un reparto di lavoro senza inserire un lavoratore.
Vi è poi una prospettiva della giustizia organizzativa, per cui gli atti aggressivi sono una
risposta a percezione di ingiustizia nella distribuzione di costi e benefici, nelle procedure di
funzionamento organizzativo e nelle relazioni.
Quando si percepisce una ingiustizia o nel sistema delle ricompense o in come le procedure
delle ricompense vengono messe in atto allora c’è una maggiore probabilità che il lavoratore
sia scontento e risponda con atti aggressivi.
Abbiamo anche la violazione del contratto psicologico, ovvero la percezione di un vincolo
reciproco e lo scambio percepito tra l’organizzazione e il lavoratore che va aldilà del
contratto formale, se si percepisce che l’organizzazione non dà indietro quanto promesso
dal contratto psicologico allora ci sarà la percezione che gli obblighi reciproci sono stati rotti
e che il lavoratore non ha più l’obbligo di comportarsi in modo adeguato ad esempio
mettendo in atto comportamenti aggressivi verso colleghi o altri lavorativi.
Importante dire che queste caratteristiche individuali spiegano una parte di variabilità di
comportamenti aggressivi molto limitata; questo ci permette di uscire un po’ dalla cultura
della colpa e di renderci conto che molto è determinato dal contesto, che può porre le basi
a futuri comportamenti aggressivi.
Quindi prestiamo attenzione ai fattori organizzativi, quali il clima sociale, i modelli di giustizia,
la percezione di frustrazione lavorativa e anche all’ambiente fisico con situazioni di rumore
e grande sovraffollamento che sembrano predisporre ad una maggiore aggressività fisica.
In ultima analisi abbiamo anche gli aspetti socio-culturali, in cui si vede come i paesi
occidentali in cui viene valorizzata molto la competitività sembrano essere un terreno fertile
per l’aggressività.
MOBBING
Definizione abbastanza recente che definisce il mobbing un insieme di azioni di attacco,
offesa, di esclusione rivolte verso qualcuno che intaccano progressivamente i suoi compiti
lavorativi normali.
Importante sottolineare che non vi è solo un’azione diretta ma soprattutto indiretta tramite
l’esclusione che è molto presente nelle dinamiche del mobbing.
Vi è un’escalation in cui si parte da azioni più piccole che progressivamente nel tempo si
rafforzano e aumentano; infatti, si parla di mobbing se le azioni sono ripetute nel tempo, con
almeno un episodio a settimana per 6 mesi, anche se ciò che conta è la percezione della
vittima.
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Nella definizione del 2003 viene affermato che il mobbing avviene spesso quando vi è
un'asimmetria di potere, con la vittima che ha in genere una posizione sociale inferiore; negli
ultimi anni è molto dibattuto questo ultimo punto poiché non è sempre necessariamente così
in quanto se è vero che la vittima in posizione sociale inferiore temerà maggiormente le
possibili ripercussioni come demansionamento, è anche vero che può avvenire tra persone
dello stesso livello sociale che magari cercano di escludere un superiore.
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non solo verso il mobber ma del clima aziendale con perdita dell’efficacia e efficienza
del gruppo lavorativo
Nella dinamica del mobbing abbiamo parlato di vittime e dei mobber, ovvero coloro che
generalmente mettono in atto azioni per escludere una vittima, ma esistono anche persone
che potrebbero non partecipare a queste azioni ma nemmeno schierarsi con il mobber.
Intervenire è difficile ma il non intervento non fa altro che rafforzare questa dinamica perché
il messaggio che riceve il mobber è che quello che lui sta facendo è normativo e accettato,
ciò ha implicazioni sulle politiche aziendali che dovrebbero avere delle chiare strategie di
intervento per tutti i casi di qualsiasi forma di aggressività e mobbing, perché senza
intervento si rischia la legittimazione del mobbing.
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