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sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo. È caratterizzato da tre dimensioni:
1) Sensazione di esaurimento energetico o di stanchezza,
2) Aumento della distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo
relativi al proprio lavoro,
3) Riduzione dell’efficacia professionale.”
Storia
Il termine burnout è stato utilizzato per la prima volta, in senso clinico, nel 1974 dallo psicologo
Freudenberger [1] per descrivere il graduale esaurimento emotivo, la perdita di motivazione e la
riduzione dell’impegno dei volontari della St Mark’s Free Clinic nell’East Village di NY, che egli
osservava come consulente psicologico; è da sottolineare come, lo stesso Freudenberger sia stato
vittima di burnout per ben due volte, aumentando in questo modo la sua credibilità.
Sindrome da burnout
Il burnout è una sindrome psicologica che emerge come risposta prolungata a fattori di stress
interpersonali cronici sul lavoro. Le tre dimensioni di tale risposta sono:
- esaurimento eccessivo
- cinismo e distacco dal proprio lavoro
- senso di inefficacia e mancanza di realizzazione.
Il modello tridimensionale colloca chiaramente l’esperienza di stress individuale all’interno di un
contesto sociale e coinvolge la concezione che la persona ha di sé e degli altri.
L'esaurimento è stata descritta anche come perdita di energia, debilitazione e affaticamento; la
dimensione del cinismo è stata originariamente chiamata depersonalizzazione (data la natura delle
occupazioni nei servizi umani), ma è stata anche descritta come atteggiamenti negativi o
inappropriati verso i clienti, irritabilità, perdita di ideali e abbandono. L'inefficacia, originariamente
chiamata "ridotta realizzazione personale", è stata descritta anche come riduzione della
produttività o delle capacità, morale basso e incapacità di far fronte alla situazione. [7]
Tra le conseguenze fisiche del burnout analizzate, risaltano malattie cardiovascolari e il dolore.
Poiché il burnout segue uno stato di stress cronico, è stato suggerito che i meccanismi biologici
risultanti da uno stress prolungato possano deteriorare la salute fisica, con conseguenti danni al
metabolismo e al sistema immunitario [10]. È stato dimostrato che lo stress lavorativo cumulativo
è associato all'incidenza di eventi cardiovascolari, e questa relazione è stata mediata sia dagli
effetti diretti dei meccanismi neuroendocrini sia dagli effetti indiretti di comportamenti non
salutari, in particolare una dieta scorretta e una scarsa attività fisica [11].
L'alterazione della funzione immunitaria nei soggetti affetti da burnout può aumentare la loro
suscettibilità a malattie infettive, come malattie influenzali, il raffreddore e la gastroenterite [12].
Inoltre, il burnout è stato un predittore di dolore muscoloscheletrico [13].
È dimostrato che lo stress psicologico, strettamente correlato al burnout, è un fattore che
contribuisce alla cefalea [14]. I lavoratori sottoposti a stress ricorrente o prolungato possono
anche assumere più frequentemente comportamenti non salutari, come una dieta povera o ricca,
la mancanza di esercizio fisico e l'abuso di alcol. Se combinati con i disturbi del sonno, questi
comportamenti malsani possono portare a una miriade di altre conseguenze [15, 16], come
l'obesità [17] e il diabete [18].
Alcuni autori hanno recentemente rinnovato il dibattito sulla sovrapposizione tra burnout e
depressione, poiché hanno riscontrato un'alta correlazione tra queste condizioni [19].
Dal punto di vista occupazionale, il burnout può anche scatenare il presenteismo [20] e
l'assenteismo [21, 22, 23, 24, 25]. Mentre l'assenteismo significa assenza dal lavoro, il
presenzialismo rappresenta un fenomeno in cui le persone vengono al lavoro anche quando sono
malate, con conseguente perdita di produttività; in un circolo vizioso, come conseguenza dei
problemi di salute causati dal burnout, i lavoratori possono non raggiungere il rendimento
desiderato, che a sua volta può portare a livelli crescenti di esaurimento emotivo [26, 27].
L'indebolimento della salute del lavoratore e la diminuzione della sua capacità funzionale possono
portare all'assenteismo, una grande causa di preoccupazione per il lavoratore e per le
organizzazioni, che ha conseguenze tanto sociali quanto economiche. Oltre all'assenteismo, è
dimostrato che il burnout aumenta anche il rischio di future pensioni di invalidità [28, 29].
BURNOUT IN SANITÀ
Le professioni sanitarie sono tra quelle considerate ad alto stress, e in quanto tali, tra quelle in cui
è facile che spesso si sviluppi una sindrome da burnout.(30) Stimare il livello medio di questa
problematica tra gli operatori sanitari non è possibile; una review del 2018 comprendente quasi
200 studi (pubblicati fra il 1991 e il 2018) da 45 paesi mostra come la percentuale di diffusione del
burnout varia tra lo 0% e l’80,5%. Questa enorme variabilità è legata al fatto che non esiste una
definizione precisa e unica della sindrome e all’utilizzo di diversi metodi di valutazione per ogni
studio. (31)
Si può notare come in generale la sindrome si sviluppi più facilmente negli operatori che si trovano
ad agire a stretto contatto con pazienti in situazioni critiche, primi fra tutti i sanitari che si
occupano della terapia intensiva e delle emergenze ed è su questi che andremo a soffermarci e più
in genere tutti i lavoratori interessati nell’assistenza critica. (32) (33) (34)
Oltre alla sindrome da burnout, possono svilupparsi altre condizioni che vanno ad aggravare la
situazione del soggetto, quali:
- Disagio morale: il soggetto è consapevole dell’azione corretta da intraprendere rispetto al
caso che si trova davanti ma non riesce a metterlo in atto, questo fa si che si sviluppi
nell’interessato un senso di colpa e di responsabilità morale verso le sorti del paziente.
L’impossibilità può nascere, sia da fattori interni come dubbi sulle proprie capacità o poca
convinzione nell’operato personale, ma anche da fattori esterni come la percezione di
squilibri di potere, è classico quello tra infermieri e medici, o pressioni legate
all’evitamento di cause legali o alla riduzione dei costi.
- Fatica da compassione (stress traumatico secondario): consiste nella riduzione graduale nel
corso degli anni del sentimento di compassione provato dagli operatori verso la sofferenza
dei pazienti e di conseguenza anche della spinta nel prendersene cura. Questo fenomeno
nasce direttamente dal desiderio accumulato e continuo di poter alleviare la sofferenza
altrui.
3) Qualità delle relazioni di lavoro: in ambito sanitario influiscono sia le relazioni con i colleghi
che con i pazienti e le loro famiglie
4) Esposizione a questioni di fine vita : principalmente due questioni; l’assistenza a pazienti in
fin di vita e l’assistere a decisioni di rinuncia a trattamenti di sostegno vitale. Di
conseguenza i reparti con i tassi di mortalità più alti sono anche quelli con un aumento del
tasso di BOS registrato.
Bibliografia
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