Sei sulla pagina 1di 10

Secondo l’OMS “il burnout è una sindrome concettualizzata come risultante da uno stress cronico

sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo. È caratterizzato da tre dimensioni:
1) Sensazione di esaurimento energetico o di stanchezza,
2) Aumento della distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo
relativi al proprio lavoro,
3) Riduzione dell’efficacia professionale.”

Storia
Il termine burnout è stato utilizzato per la prima volta, in senso clinico, nel 1974 dallo psicologo
Freudenberger [1] per descrivere il graduale esaurimento emotivo, la perdita di motivazione e la
riduzione dell’impegno dei volontari della St Mark’s Free Clinic nell’East Village di NY, che egli
osservava come consulente psicologico; è da sottolineare come, lo stesso Freudenberger sia stato
vittima di burnout per ben due volte, aumentando in questo modo la sua credibilità.

In modo indipendente e simultaneo, la psicologa sociale e professoressa di psicologia sociale


dell’Università di Berkeley, insieme ai suoi colleghi, si è imbattuta nello stesso fenomeno
intervistando una serie di operatori dei servizi umani: era interessata a capire come questi
lavoratori riuscissero a gestire l’eccitazione emotiva durante lo svolgimento del loro lavoro.
In tal modo, ha appreso come questi impiegati spesso si sentissero emotivamente esausti,
sviluppando percezioni e sentimenti negativi verso i propri pazienti, oltre a crisi di competenza
professionale [2].
Maslach e i suoi collaboratori hanno definito questa condizione psicologia come “burnout”,
sviluppando in seguito un questionario accessibile e facile da usare per valutare tale sindrome, che
diventò poi noto come il Maslach Burnout Inventory (MBI) [3].

Sebbene all’inizio in burnout sia stato considerato un fenomeno “pseudoscientifico”,


l’introduzione del MBI ha dato il via ad un’ondata di ricerche empiriche sull’argomento: tra gli anni
’80 e ’90 le pubblicazioni sono aumentate del 64%, e tra gli anni ’90 e gli anni 2000 del 150% [4].
In questa prima fase nella storia del burnout, tale sindrome veniva associata al settore dei servizi
umani, nello specifico dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, del lavoro sociale, della
psicoterapia, dei servizi legali e delle forze dell’ordine; ciò avvenne poiché i contenuti della prima
versione dell’MBI poteva, in effetti, erano direttamente incentrati su questi settori.
Nel 1996 venne sviluppata una versione generale dell’MBI, che però lasciava il fenomeno
circoscritto alle professioni assistenziali.

Radici del burnout


L’emergere del burnout può essere ricondotto a specifici cambiamenti e sviluppi che sono
avvenuti in America negli anni ’60:
a) la lotta alla povertà ha indirizzato molti idealisti alle professioni dei servizi umani; questa
sfiancante battaglia ha portato a disillusione, frustrazione, disperazione e cinismo;
b) la professionalizzazione e la burocratizzazione dei servizi umani hanno portato le piccole
organizzazioni a trasformarsi in grandi e moderne organizzazioni; in tal senso, si ipotizza
che lo scontro tra i valori utilitaristici e i valori personali/professionali abbia favorito il
burnout;
c) la rivoluzione culturale ha indebolito l’autorità professionale di medici, infermieri,
insegnanti, assistenti sociali e agenti di polizia, il cui prestigio professionale non era più
accettato come dato di fatto, e ai quali è stato richiesto un aumento di assistenza, servizio,
empatia e compassione; in questo modo è aumentata la discrepanza tra gli sforzi di tali
professionisti e le ricompense ricevute. [5]
In contemporanea a questi sviluppi sociali, economici e culturali, si è sviluppata una visione
narcisistica caratterizzata da relazioni sociali volubili e non gratificanti, che hanno prodotto
individui egocentrici e manipolatori che pretendevano la gratificazione immediata, rimanendo
perennemente insoddisfatti [6]. È probabile che tale combinazione di un processo di
individualizzazione e narcisismo sia stata la ricetta perfetta per il burnout.

Sindrome da burnout
Il burnout è una sindrome psicologica che emerge come risposta prolungata a fattori di stress
interpersonali cronici sul lavoro. Le tre dimensioni di tale risposta sono:
- esaurimento eccessivo
- cinismo e distacco dal proprio lavoro
- senso di inefficacia e mancanza di realizzazione.
Il modello tridimensionale colloca chiaramente l’esperienza di stress individuale all’interno di un
contesto sociale e coinvolge la concezione che la persona ha di sé e degli altri.
L'esaurimento è stata descritta anche come perdita di energia, debilitazione e affaticamento; la
dimensione del cinismo è stata originariamente chiamata depersonalizzazione (data la natura delle
occupazioni nei servizi umani), ma è stata anche descritta come atteggiamenti negativi o
inappropriati verso i clienti, irritabilità, perdita di ideali e abbandono. L'inefficacia, originariamente
chiamata "ridotta realizzazione personale", è stata descritta anche come riduzione della
produttività o delle capacità, morale basso e incapacità di far fronte alla situazione. [7]

Fasi e sintomi del burnout


I sintomi del burnout possono essere piuttosto complessi, poiché tale sindrome sembra svilupparsi
in diversi stadi. Per tale ragione Freudenberger ha sviluppato un modello a 12 stadi, che in seguito
è stato semplificato con un modello, attualmente in uso dai più, a 5 stadi:
1) fase luna di miele, caratterizzata dall’entusiasmo, ma dopo un po' tale fase viene associata
allo stress del lavoro; se non si utilizzano delle strategie di coping positive il rischio che il
burnout si avvii diventa più concreto;
2) fase di insorgenza dello stress, caratterizzata dalla stagnazione; qui inizia la consapevolezza
che alcuni periodi possono essere più duri di altri, che la vita in questi periodi si limita al
lavoro, mentre la famiglia, la vita sociale e le priorità personali vengono messe
conseguentemente da parte. In questa fase compaiono i più comuni sintomi dello stress
che colpiscono la persona fisicamente ed emotivamente;
3) fase di stress cronico, caratterizzata principalmente dalla frustrazione, fallimento e senso di
impotenza; in questa fase, gli sforzi non vengono visibilmente ripagati e ciò porta a sentirsi
incompetenti o inadeguati;
4) fase di apatia, caratterizzata da disperazione e disillusione; sembra non esistere una via
d’uscita dalla propria situazione e, inevitabilmente, ci si rassegna o si diventa indifferenti;
5) fase di burnout abituale, caratterizzata da problemi fisici o emotivi significativi, a tal punto
da dover richiedere aiuto o intervento.
L’elenco dei sintomi legati al burnout è lungo, ed ognuno di essi è legato ad una specifica fase. [8]

Job Demand-Resources Model


Nel 1979 Karasek ha introdotto il Job Demand-Resources Model, modello che si concentra
sull’equilibrio tra l’entità delle richieste (height of strain) e sul livello di controllo (decision latitude)
nell’ambiente lavorativo specifico della persona.
L’height of strain indica i requisiti del lavoro che possono causare stress, ed include aspetti del
carico di lavoro di un particolare impiego (ritmo di lavoro, disponibilità, pressione temporale,
tempi di viaggio, difficoltà delle mansioni ecc).
La decision latitude rappresenta le possibilità e la libertà di un dipendente di organizzare e gestire
il lavoro; è stato proposto un diagramma che rappresenta quattro diverse situazioni lavorative,
che include sia lo stress imposto dalla situazione lavorativa, sia l'atteggiamento personale e
l'impegno del dipendente. Si tratta di lavori a basso e alto stress, e di lavori passivi e attivi.
Il riquadro dei lavori a bassa tensione rappresenta la combinazione di un lavoro senza compiti
impegnativi, ma in cui il dipendente ha una certa libertà decisionale, ad esempio la libertà di
decidere i propri orari e obiettivi. Questa sezione rappresenta la maggior parte dei lavori di
routine; i lavoratori che rientrano in questa categoria possono progressivamente annoiarsi nella
loro situazione lavorativa.
Un lavoro ad alta tensione, al contrario, si riferisce a lavori molto impegnativi e/o complessi con
scarso controllo sulle condizioni di lavoro e sugli obiettivi da parte del dipendente. Di
conseguenza, il rischio di stress è molto elevato.
I lavori passivi sono lavori semplici ma con un margine decisionale molto ridotto, tipicamente
lavori di produzione ripetitivi. Questi lavori presentano poco stress, ma anche nessuna sfida
sostanziale per i dipendenti. I lavori attivi, invece, rappresentano lavori molto impegnativi, ma in
cui i dipendenti hanno un alto livello di lavoro, ma in cui i dipendenti hanno un alto livello di libertà
decisionale.
In effetti, questo modello si concentra sull'equilibrio tra i requisiti di un lavoro e il livello di
controllo che il dipendente ha sulla propria situazione professionale [8].

Conseguenze del burnout


In base alle informazioni raccolte sulla revisione sistematica “Physical, psychological and
occupational consequences of job burnout: a systematic review of prospective studies” del 2017, la
sindrome da burnout ha varie ripercussioni: impatta direttamente e indirettamente sul benessere
fisico, psicologico e lavorativo dei lavoratori [9].
È importante sottolineare che la maggior parte degli studi di coorte selezionati per questa
revisione proveniva da Paesi nordici (probabilmente a causa di una maggiore disponibilità di
registri affidabili sulle prestazioni sanitarie e sociali). Pertanto, c'è ancora spazio per la ricerca nei
Paesi a basso e medio reddito, dove le condizioni di lavoro e l'accesso all'assistenza sanitaria sono
meno favorevoli.

Tra le conseguenze fisiche del burnout analizzate, risaltano malattie cardiovascolari e il dolore.
Poiché il burnout segue uno stato di stress cronico, è stato suggerito che i meccanismi biologici
risultanti da uno stress prolungato possano deteriorare la salute fisica, con conseguenti danni al
metabolismo e al sistema immunitario [10]. È stato dimostrato che lo stress lavorativo cumulativo
è associato all'incidenza di eventi cardiovascolari, e questa relazione è stata mediata sia dagli
effetti diretti dei meccanismi neuroendocrini sia dagli effetti indiretti di comportamenti non
salutari, in particolare una dieta scorretta e una scarsa attività fisica [11].
L'alterazione della funzione immunitaria nei soggetti affetti da burnout può aumentare la loro
suscettibilità a malattie infettive, come malattie influenzali, il raffreddore e la gastroenterite [12].
Inoltre, il burnout è stato un predittore di dolore muscoloscheletrico [13].
È dimostrato che lo stress psicologico, strettamente correlato al burnout, è un fattore che
contribuisce alla cefalea [14]. I lavoratori sottoposti a stress ricorrente o prolungato possono
anche assumere più frequentemente comportamenti non salutari, come una dieta povera o ricca,
la mancanza di esercizio fisico e l'abuso di alcol. Se combinati con i disturbi del sonno, questi
comportamenti malsani possono portare a una miriade di altre conseguenze [15, 16], come
l'obesità [17] e il diabete [18].
Alcuni autori hanno recentemente rinnovato il dibattito sulla sovrapposizione tra burnout e
depressione, poiché hanno riscontrato un'alta correlazione tra queste condizioni [19].
Dal punto di vista occupazionale, il burnout può anche scatenare il presenteismo [20] e
l'assenteismo [21, 22, 23, 24, 25]. Mentre l'assenteismo significa assenza dal lavoro, il
presenzialismo rappresenta un fenomeno in cui le persone vengono al lavoro anche quando sono
malate, con conseguente perdita di produttività; in un circolo vizioso, come conseguenza dei
problemi di salute causati dal burnout, i lavoratori possono non raggiungere il rendimento
desiderato, che a sua volta può portare a livelli crescenti di esaurimento emotivo [26, 27].
L'indebolimento della salute del lavoratore e la diminuzione della sua capacità funzionale possono
portare all'assenteismo, una grande causa di preoccupazione per il lavoratore e per le
organizzazioni, che ha conseguenze tanto sociali quanto economiche. Oltre all'assenteismo, è
dimostrato che il burnout aumenta anche il rischio di future pensioni di invalidità [28, 29].

BURNOUT IN SANITÀ

Le professioni sanitarie sono tra quelle considerate ad alto stress, e in quanto tali, tra quelle in cui
è facile che spesso si sviluppi una sindrome da burnout.(30) Stimare il livello medio di questa
problematica tra gli operatori sanitari non è possibile; una review del 2018 comprendente quasi
200 studi (pubblicati fra il 1991 e il 2018) da 45 paesi mostra come la percentuale di diffusione del
burnout varia tra lo 0% e l’80,5%. Questa enorme variabilità è legata al fatto che non esiste una
definizione precisa e unica della sindrome e all’utilizzo di diversi metodi di valutazione per ogni
studio. (31)

Sicuramente i sintomi del burnout quelli riconosciuti globalmente sono: esaurimento,


depersonalizzazione e ridotta realizzazione professionale, i quali possono essere facilmente
riconosciuti e contestualizzati nell’ambito sanitario

• Un esempio classico di esaurimento in ambito sanitario è la stanchezza generata dal


dedicare sforzi e tempo nel continuare a curare un paziente che ha scarse o nulle
possibilità di guarire.
• La depersonalizzazione generalmente in questa realtà è rivolta verso il paziente: il
professionista lo incolpa dei propri problemi di salute e più in generale, sviluppa un forte
cinismo, non riuscendo più a provare alcun sentimento di empatia o dolore verso la
sofferenza o morte dei malati.
• La ridotta realizzazione professionale nasce dal non valutare in modo positivo il proprio
lavoro e di conseguenza sviluppare una scarsa autostima professionale che insieme ad altri
elementi contribuisce a diminuire la qualità delle cure erogate. (32)

Si può notare come in generale la sindrome si sviluppi più facilmente negli operatori che si trovano
ad agire a stretto contatto con pazienti in situazioni critiche, primi fra tutti i sanitari che si
occupano della terapia intensiva e delle emergenze ed è su questi che andremo a soffermarci e più
in genere tutti i lavoratori interessati nell’assistenza critica. (32) (33) (34)
Oltre alla sindrome da burnout, possono svilupparsi altre condizioni che vanno ad aggravare la
situazione del soggetto, quali:
- Disagio morale: il soggetto è consapevole dell’azione corretta da intraprendere rispetto al
caso che si trova davanti ma non riesce a metterlo in atto, questo fa si che si sviluppi
nell’interessato un senso di colpa e di responsabilità morale verso le sorti del paziente.
L’impossibilità può nascere, sia da fattori interni come dubbi sulle proprie capacità o poca
convinzione nell’operato personale, ma anche da fattori esterni come la percezione di
squilibri di potere, è classico quello tra infermieri e medici, o pressioni legate
all’evitamento di cause legali o alla riduzione dei costi.

- Percezione di assistenza inappropriata: gli operatori considerano l’assistenza non


appropriata se non rispecchia le loro convinzioni, esperienze o conoscenze. Esempi di cure
inappropriate dal punto di vista del sanitario:
 Fornire troppe o troppe poche cure rispetto a quanto previsto dalla prognosi
 Continuare ad assistere pazienti non collaborativi
 Dare informazioni parziali ad un paziente o alla sua famiglia
 Dare assistenza pensando che il soggetto trarrebbe più beneficio nell’essere inserito in un
altro reparto
 Non rispettare i desideri del paziente
 Fornire cure ritenute di qualità non abbastanza alta

- Fatica da compassione (stress traumatico secondario): consiste nella riduzione graduale nel
corso degli anni del sentimento di compassione provato dagli operatori verso la sofferenza
dei pazienti e di conseguenza anche della spinta nel prendersene cura. Questo fenomeno
nasce direttamente dal desiderio accumulato e continuo di poter alleviare la sofferenza
altrui.

Fattori di rischio per la BOS: 4 categorie


1) Caratteristiche personali: sia comportamenti che tratti della personalità.
- Atteggiamenti/comportamenti: Ad esempio la convinzione nel perseguire strategie non
utili, la privazione del sonno e una mala gestione del rapporto tra vita privata e vita
lavorativa
- Tratti del carattere: perfezionismo, autocritica, impegno eccessivo possono creare una
tendenza a sviluppare BOS, al contrario soggetti coscienziosi e moderati più difficilmente la
svilupperanno
- Situazione famigliare: soggetti senza partner o figli non hanno sufficiente sostegno esterno
- Età anagrafica: in generale non sono emerse evidenze di un collegamento tra sviluppo di
burnout e fattori demografici (35)

2) Fattori organizzativi: i più impattanti sono


• Aumento del carico di lavoro
• Mancanza di controllo a livello lavorativo
• Comunità di lavoro disgregata

3) Qualità delle relazioni di lavoro: in ambito sanitario influiscono sia le relazioni con i colleghi
che con i pazienti e le loro famiglie
4) Esposizione a questioni di fine vita : principalmente due questioni; l’assistenza a pazienti in
fin di vita e l’assistere a decisioni di rinuncia a trattamenti di sostegno vitale. Di
conseguenza i reparti con i tassi di mortalità più alti sono anche quelli con un aumento del
tasso di BOS registrato.

Conseguenze della sindrome da burnout


Sono principalmente 3:
- Aumento del turnover  il malessere legato alla BOS conduce inevitabilmente ad un
ricambio della forza lavoro dovuta al fatto che molti operatori si trovano a dover
abbandonare il posto di lavoro non riuscendo più a svolgere il proprio lavoro con
l’aggravarsi della BOS e l’insorgere del disturbo da stress postraumatico. Al turnover è
necessariamente legato un aumento dei costi legati all’assunzione e al ricambio di
personale.
- Sviluppo della sindrome da stress postraumatico  i suoi tratti tipico sono evitamento,
alterazione dell’umore e della reattività. Solitamente insorge dopo un evento
particolarmente traumatico ma anche in seguito all’esposizione cronica a episodi
traumatici, entrambe situazioni che è inevitabile si verifichino in un contesto sanitario
- Diminuzione della soddisfazione dei pazienti e della qualità delle cure  Gli elementi presi
in considerazione nel trattare la qualità delle cure sono innanzitutto il livello di errori
medici, seguito dalla soddisfazione dei pazienti e dalla loro percezione di professionalità
del medico; infine ha un peso importante anche la depersonalizzazione sviluppata dai
medici nei confronti dei pazienti.(32)

RAPPORTO FRA BURNOUT E QUALITA’ DELLE CURE EROGATE


Il rapporto che intercorre fra burnout e qualità delle cure è negativo e si presenta come un circolo
vizioso che si genera perché i soggetti che soffrono di burnout hanno meno tempo, sono meno
motivati e spesso non sono in grado di fare attenzione né ad evitare rischi non necessari, né alle
conseguenze a cui possono portare le loro azioni (36); di contro il rapportarsi con pazienti
scontenti (I pazienti si dichiarano più del triplo insoddisfatti delle cure ricevute) e il riconoscere di
avere prestazioni di basso livello impatta fortemente sul benessere psicologico del soggetto e va
ad aggravare lo stato si burnout dove questo è presente. (37)
La stessa logica circolare si applica anche rispetto al tema degli errori medici; quello che emerge è
che i professionisti che soffrono di burnout hanno almeno il doppio del rischio di effettuare errori
medici di coloro che non sono soggetti a questa problematica, allo stesso modo l’affrontare le
conseguenze createsi rispetto ad un errore compiuto è un fattore che può aggravare il burnout o
favorire il suo sviluppo nel soggetto, generando così un circolo vizioso. (38).

Bibliografia
1. Freudenberger H., Staff Burnout, Journal of Social Issues, 1974.
2. Maslach C., Burned-Out, Human Behavior 9, 1976.
3. Maslach C. e Jackson S., The Measurement of Experienced Burnout, Journal of Occupational
Behavior 2, 1981.
4. McGeary C. e McGeary D., Il Burnout Occupazionale, Handbook of Occupational Health and
Wellness, 2012.
5. Schaufeli W., Leiter M. e Maslach C., Burnout: 35 years of Research and Practice, Career
Development International 14, 2009.
6. Lasch C., La cultura del narcisismo: American Life in an Age of Diminishing Returns, 1979.
7. Maslach C. e Leiter M., Understanding the burnout experience: recent research and its
implications for psychiatry, World Psychiatry, 2016.
8. De Hert S., Burnout in Healthcare Workers: Prevalence, Impact and Preventative Strategies,
Local and Regional Anesthesia, 2020.
9. Salvagioni D. A. J., Melanda F. N. et al., Physical, psychological and occupational
consequences of job burnout: a systematic review of prospective studies, Plos One, 2017.
10. Danhof-Pont M. B. , van Veen T., Zitman F. G., Biomarkers in burnout: a systematic review, J
Psychosom Res, 2011.
11. Chandola T., Britton A., Brunner E., Hemingway H., Malik M., Kumari M., et al., Work stress
and coronary heart disease: what are the mechanisms?, Eur Heart J., 2008.
12. Mohren D.C., Swaen G.M., Kant I.J., van Amelsvoort L.G., Borm P.J., Galama J.M., Common
infections and the role of burnout in a Dutch working population, J Psychosom Res., 2003.
13. Melamed S., Burnout and risk of regional musculoskeletal pain—a prospective study of
apparently healthy employed adults, Stress Health, 2009.
14. Pellegrino A. B.W., Davis-Martin R. E., Houle T. T., Turner D. P., Smitherman T.A., Perceived
triggers of pri- mary headache disorders: A meta-analysis, Cephalalgia: an international
journal of headache, 2017.
15. Armon G., Do burnout and insomnia predict each other’s levels of change over time
independently of the job demand control–support (JDC–S) model?, Stress Health, 2009.
16. Kitaoka-Higashiguchi K., Morikawa Y., Miura K., Sakurai M., Ishizaki M., Kido T., et al.
Burnout and risk factors for arteriosclerotic disease: follow-up study, J Occup Health, 2009.
17. Ahola K., Pulkki-Råback L., Kouvonen A., Rossi H., Aromaa A., Lo ̈ nnqvist J., Burnout and
behavior-related health risk factors: results from the population-based Finnish Health 2000
study. J Occup Environ Med., 2012.
18. Melamed S., Shirom A., Toker S., Shapira I., Burnout and risk of type 2 diabetes: a
prospective study of apparently healthy employed persons, Psychosom Med, 2006.
19. Schonfeld I.S., Bianchi R., Burnout and Depression: Two Entities or One?, J Clin Psychol,
2016.
20. Demerouti E., Le Blanc P.M., Bakker A.B., Schaufeli W.B., Hox J., Present but sick: a three-
wave study on job demands, presenteeism and burnout, Career Dev Int., 2009.
21. Borritz M., Rugulies R., Christensen K., Villadsen E., Kristensen T., Burnout as a predictor of
self-reported sickness absence among human service workers: prospective findings from
three year follow up of the PUMA study, Occup Environ Med, 2006.
22. Borritz M., Christensen K. B., Bu ̈ltmann U., Rugulies R., Lund T., Andersen I., et al., Impact
of burnout and psychosocial work characteristics on future long-term sickness absence.
Prospective results of the Danish PUMA Study among human service workers, J Occup
Environ Med, 2010.
23. Hallsten L., Voss M., Stark S., Josephson M., Job burnout and job wornout as risk factors for
long-term sickness absence, Work, 2011.
24. Roelen C.A., van Hoffen M.F., Groothoff J.W., de Bruin J., Schaufeli W.B., van Rhenen W.,
Can the Maslach Burnout Inventory and Utrecht Work Engagement Scale be used to screen
for risk of long-term sickness absence?, Int Arch Occup Environ Health, 2015.
25. Toppinen-Tanner S., Ojajarvi A., Vaananen A., Kalimo R., Jappinen P., Burnout as a predictor
of medically certified sick-leave absences and their diagnosed causes, Behav Med, 2005.
26. Wright T.A., Cropanzano R., Emotional exhaustion as a predictor of job performance and
voluntary turn- over, J Appl Psychol, 1998.
27. Aronsson G., Gustafsson K., Sickness presenteeism: prevalence, attendance-pressure
factors, and an outline of a model for research, J Occup Environ Med, 2005.
28. Ahola K., Gould R., Virtanen M., Honkonen T., Aromaa A., Lo n ̈ nqvist J., Occupational
burnout as a predic- tor of disability pension: a population-based cohort study, Occup
Environ Med, 2009.
29. Ahola K., Toppinen-Tanner S., Huuhtanen P., Koskinen A., Va ̈a ̈na ̈nen A, Occupational
burnout and chronic work disability: An eight-year cohort study on pensioning among
Finnish forest industry workers, J Affect Disord, 2009.
30. Shanafelt T, Sloan J, Habermann T. The well-being of physicians. Am J Med. 2003
31. Rotenstein LS, Torre M, Ramos MA, et al. Prevalence of Burnout among physicians. A
systematic review. JAMA. 2018
32. Moss M, Good VS, Gozal D, et al. A critical care societies collaborative statement: burnout
syndrome in critical care health-care professionals. A call for action. Am J Respir Crit Care
Med 2016
33. M. Masiero, I. Cutica, S. Russo, K. Mazzocco, G. Pravettoni Psycho-cognitive predictors of
burnout in healthcare professionals working in emergency departments Journal of clinical
nursing, 2018
34. G. Burghi, J. Lambert, M. Chaize, et al. Prevalence, risk factors and consequences of severe
burnout syndrome in ICU Intensive Care Med 2014
35. Rotenstein LS, Torre M, Ramos MA, et al. Prevalence of Burnout among physicians. A
systematic review. JAMA 2018
36. Halbesleben JR, Rathert C. Linking physician burnout and patientoutcomes: exploring the
dyadic relationship between physiciansand patients. Health Care Manage Rev. 2008
37. Van Gerven E, Vander Elst T, Vandenbroeck S, et al. Increased Risk of burnout for physicians
and nurses involved in a patient safety Incident. Med Care 2016
38. Hodkinson, A. Zhou, J. Johnson, K. Geraghty, R. Riley, A. Zhou, E. Panagopoulou, C. Chew-
Graham, D. Peters, A. Esmail, M. Panagioti Associations of physician burnout with career
engagement and Quality of patient care: systematic review and meta-analysis BMJ 2022

Potrebbero piacerti anche