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Servizio Sanitario Nazionale (Italia)

Il Servizio Sanitario Nazionale (in acronimo SSN), nell'ordinamento giuridico italiano, identifica
il complesso delle funzioni, delle attività e dei servizi assistenziali svolti dai servizi sanitari
regionali, dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale e dallo Stato, volte a garantire l'assistenza
sanitaria ovvero la tutela o salvaguardia della salute dei cittadini, come diritto fondamentale
dell'individuo ed interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona
umana.

Indice
 1 Storia
 2 Descrizione
o 2.1 Struttura
o 2.2 Servizi sanitari regionali
 3 Finanziamento
 4 Programmazione sanitaria
 5 Distretto sanitario

Storia
Prima della sua istituzione il sistema assistenziale-sanitario era basato su numerosi "enti
mutualistici" o "casse mutue". Il più importante tra di essi era l'Istituto Nazionale per
l'Assicurazione contro le Malattie (INAM).

Ciascun ente era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a
carico, erano obbligatoriamente iscritti allo stesso e, in questo modo, fruivano dell'assicurazione
sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli
stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Il diritto alla tutela della salute era quindi correlato non
all'essere cittadino ma all'essere lavoratore (o suo familiare) con conseguenti casi di mancata
copertura; vi erano, inoltre, sperequazioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle
prestazioni assicurate dalle varie casse mutue.

Nel 1958, con la legge n. 259, il Governo Fanfani II per la prima volta istituì in Italia il Ministero
della Sanità, scorporandolo dal Ministero dell'Interno. Il primo titolare del dicastero fu Vincenzo
Monaldi.
Nel 1968, con la legge n. 132 (cosiddetta "legge Mariotti", dal nome del ministro Luigi Mariotti,
esponente del Partito Socialista Italiano), fu riformato il sistema degli ospedali, fino ad allora per lo
più gestiti da enti di assistenza e beneficenza, trasformandoli in enti pubblici ("enti ospedalieri") e
disciplinandone l'organizzazione, la classificazione in categorie, le funzioni nell'ambito della
programmazione nazionale e regionale ed il finanziamento.

Nel 1974 la legge n. 386 estinse i debiti accumulati dagli enti mutualistici nei confronti degli enti
ospedalieri, sciolse i consigli di amministrazione degli enti mutualistici, disponendone il
commissariamento, e trasferì i compiti in materia di assistenza ospedaliera alle regioni. Infine, nel
1978 la legge n. 833 soppresse il sistema mutualistico ed istituì il Servizio sanitario nazionale, con
decorrenza del 1º luglio 1980 (la cosiddetta "riforma sanitaria"). La norma era chiaramente ispirata
al National Health Service (NHS) britannico.
Descrizione
Attraverso di esso viene data attuazione all'art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il "diritto
alla salute" di tutti gli individui. Si pone dunque come un sistema pubblico di carattere
"universalistico", tipico di uno stato sociale, che garantisce l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini,
finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette, percepite dalle
aziende sanitarie locali attraverso ticket sanitari (cioè delle quote con cui l'assistito contribuisce alle
spese) e prestazioni a pagamento.

Secondo l'ultima ricerca dell'OMS, risalente al 2000, l'Italia aveva il secondo sistema sanitario
migliore del mondo in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini,
dopo la Francia.[1]

In base al principio di sussidiarietà, il servizio sanitario è articolato secondo diversi livelli di


responsabilità e di governo: livello centrale - lo Stato ha la responsabilità di assicurare a tutti i
cittadini il diritto alla salute mediante un forte sistema di garanzie, attraverso i Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA); livello regionale - le Regioni hanno la responsabilità diretta della realizzazione
del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese.

Le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione di servizi e di


attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Aziende Sanitarie Locali
e delle aziende ospedaliere, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della
qualità delle prestazioni sanitarie nel rispetto dei principi generali fissati dalle leggi dello Stato.[2]

Struttura

Il Servizio sanitario nazionale non è dunque un'unica amministrazione, ma un insieme di enti ed


organi che concorrono al raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute dei cittadini. Lo
compongono infatti:

 il Ministero della Salute, che coordina il piano sanitario nazionale, ferme le competenze
costituzionalmente garantite delle Regioni;

ed una serie di enti e organi a livello nazionale, quali:


o il Consiglio superiore di sanità (CSS);
o l'Istituto Superiore di Sanità (ISS);
o l'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ISPESL);
o l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR);
o gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS);
o gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali;
o l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA);
 i "servizi sanitari regionali", che a loro volta comprendono:
o le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
o le aziende sanitarie locali (ASL) e le aziende ospedaliere (AO), attraverso le quali le
regioni e le province autonome assicurano l'assistenza sanitaria.

Servizi sanitari regionali


 Servizio sanitario della Toscana
 Servizio sanitario dell'Emilia-Romagna
 Servizio sanitario del Lazio
 Servizio sanitario della Calabria
 Servizio sanitario del Veneto

Finanziamento
Il finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale trova le proprie fonti in:

 entrate proprie convenzionali e ricavi delle aziende sanitarie;


 compartecipazione da parte delle regioni a statuto speciale;
 IRAP, Imposta Regionale Attività Produttive;
 IRPEF, Imposte di Reddito sulle Persone Fisiche.

Il 97,95% delle risorse stanziate viene dedicato ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero, i
servizi e le prestazioni standard che il Servizio Sanitario Nazionale deve assicurare ad ogni
cittadino, in maniera gratuita o compartecipata attraverso le risorse acquisite con il sistema fiscale.

I LEA sono ridistribuiti a loro volta destinando il:

 5% alla prevenzione verso la collettività ed il singolo;


 45% all'assistenza ospedaliera;
 50% ai distretti presenti sul territorio.

Tra le Regioni e le Province autonome, i LEA vengono ripartiti per quota capitaria differenziata
pesata, ovvero secondo alcuni criteri che prendono in considerazione l'età, il sesso, il livello di
assistenza riguardanti i cittadini residenti, i tassi di mortalità, gli indicatori territoriali
epidemiologici.

Ciascuna Ulss viene finanziata dalla regione di appartenenza con il Fondo Sanitario Regionale
attraverso la quota capitaria. Per livelli assistenziali superiori a quelli previsti dal Piano Sanitario
Nazionale, ogni Regione deve impiegare proprie risorse con le quali si dovranno andare a coprire
anche eventuali disavanzi sanitari di gestione delle aziende.

I sistemi di finanziamento si differenziano tra Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere,


infatti:

 nelle ASL
o finanziamento a funzione, per costi di attività particolari
o quota capitaria;
 nelle AO
o finanziamento a prestazione, per prestazioni ospedaliere e specialistiche;
o finanziamento a funzione;
o entrate proprie.

La dotazione per il 2012 del Fondo Servizio Sanitario Nazionale è stata ridotta dalla Legge 135/12
da 108.78 miliardi a 107.96 miliardi, di cui 105.06 per il finanziamento dei LEA, da ripartire tra le
20 regioni italiane. La delibera del Cipe è stata pubblicata il 26 aprile 2013 sulla Gazzetta
Ufficiale[3].
La compartecipazione dei cittadini italiani alla spesa sanitaria nazionale (ovvero i ticket da loro
pagati) è pari ad un importo di 4.4 miliardi di euro (4 nel 2011[4]), di cui 2 miliardi per l'acquisto di
farmaci, 755 milioni per i ticket corrisposti per visite ed esami fatti nelle strutture private ma
convenzionate con il SSN e 1.5 miliardi per ticket per prestazioni in ambulatori e ospedali pubblici,
e per accessi al Pronto Soccorso e visite specialistiche[5][6][7].

Programmazione sanitaria
Il Servizio sanitario nazionale è caratterizzato da un sistema di "programmazione sanitaria"[8] che si
articola:

 nel Piano sanitario nazionale;


 nei piani sanitari regionali.

Il "Piano sanitario nazionale" ha durata triennale (anche se può essere modificato nel corso del
triennio) ed è adottato dal Governo, su proposta del Ministero della Salute sentite le commissioni
parlamentari competenti, nonché le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, tenendo
conto delle proposte trasmesse dalle regioni.

Esso indica:

 le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle


diseguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute;
 i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano;
 la quota capitaria di finanziamento assicurata alle regioni per ciascun anno di validità del
Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza;
 gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio sanitario nazionale verso il miglioramento
continuo della qualità dell'assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di
interesse sovra regionale;
 i progetti-obiettivo, da realizzare anche mediante l'integrazione funzionale e operativa dei
servizi sanitari e dei servizi socio-assistenziali degli enti locali;
 le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo altresì
il relativo programma di ricerca;
 le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua
del personale, nonché al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane;
 le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di
ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione
della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di
assistenza;
 i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli
previsti.

Il "piano sanitario regionale" rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di
salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione
regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale. Le regioni, entro
centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, adottano o
adeguano i piani sanitari regionali.

Distretto sanitario
Il Distretto Sanitario, o "distretto socio sanitario" è la struttura territoriale deputata all'erogazione
delle cure primarie attraverso i medici di libera scelta e la gestione a livello locale delle domande di
prestazioni specialistiche e di diagnostica, nonché delle domande di prestazioni ospedaliere in
regime ambulatoriale e di ricovero. Il sistema delle cure primarie a livello territoriale comprende i
servizi e le prestazioni dell'assistenza primaria e specialistica, consultoriale, domiciliare e
semiresidenziale. Il Distretto svolge quindi un ruolo chiave anche per allargare o restringere
l'offerta di servizi e per integrare le esigenze dei diversi soggetti che concorrono alla promozione
della salute, alla prevenzione delle malattie e delle disabilità, ai servizi sociali e socio-sanitari.

I Distretti Socio-Sanitari assicurano: - medico di famiglia e pediatra - accesso a esami e prestazioni


specialistiche in ambulatori, poliambulatori e ospedali - emergenza sanitaria: guardia medica e
raccordo con 118 e pronto soccorso - prevenzione: vaccinazioni, informazione e screening - tutela
della salute: ambiente, alimenti, lavoro, veterinaria - assistenza farmaceutica - assistenza
riabilitativa e protesica - assistenza domiciliare - acceso all'assistenza ospedaliera - acceso
all'assistenza residenziale e semi-residenziale - consultori per l'infanzia, la maternità e la famiglia -
informazione e assistenza amministrativa per l'utilizzo dei vari servizi sanitari e socio sanitari

Livelli Essenziali di Assistenza


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Livelli essenziali di assistenza)

I livelli essenziali di assistenza (abbreviato in LEA) indicano, in Italia, l'insieme di tutte le


prestazioni, servizi e attività che i cittadini hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale
(SSN), allo scopo di garantite in condizioni di uniformità, a tutti e su tutto il territorio nazionale.

Sono detti "livelli essenziali" in quanto racchiudono tutte le prestazioni e le attività che lo Stato
ritiene così importanti da non poter essere negate ai cittadini. Si intende l'impegno a garantire le
cure appropriate. Sono stati da ultimo definiti con decreto del presidente del Consiglio dei ministri
29 novembre 2001.

Struttura
Il sistema dei livelli essenziali di assistenza prevede:

1. assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro (già prevenzione),


2. assistenza distrettuale,
3. assistenza ospedaliera.

Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e lavoro

Comprende l'insieme delle attività e delle prestazioni svolte per la promozione della salute della
popolazione:

 profilassi delle malattie infettive e parassitarie


 tutela della collettività da rischi sanitari connessi agli effetti sanitari degli inquinanti
ambientali
 tutela della collettività e del singolo dai rischi infortunistici connessi agli ambienti di lavoro
 sanità pubblica veterinaria (sorveglianza epidemiologica delle popolazioni animali,
farmacovigilanza veterinaria, vigilanza dei mangimi, etc)
 tutela igienico-sanitaria degli alimenti
 sorveglianza e prevenzione nutrizionale

Assistenza distrettuale

Comprende i servizi sanitari e sociosanitari, assistenza farmaceutica, specialistica e diagnostica


ambulatoriale, fornitura di protesi ai disabili, servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi:
consultori familiari, SER.T, servizi per la salute mentale, servizi per la riabilitazione dei disabili;
strutture semiresidenziali e residenziali: residenze per anziani e disabili, centri diurni, case famiglia
e comunità terapeutiche.

Assistenza ospedaliera

Comprende i servizi di: pronto soccorso, ricovero ordinario, day hospital (esami medici in un
giorno) e day surgery (operazioni chirurgiche in un giorno), la lungo-degenza e la riabilitazione.

Azienda sanitaria locale


L'azienda sanitaria locale (ASL) è un ente pubblico locale della Repubblica Italiana.
L'azienda sanitaria locale (ASL) è un ente pubblico locale, precisamente un ente strumentale della
regione, al quale compete l'organizzazione finanziaria e gestionale delle prestazioni sanitarie.

Storia
In passato ente strumentale dei comuni, al quale competeva l'organizzazione finanziaria e gestionale
delle prestazioni sanitarie, dal 1993, secondo prevalente giurisprudenza (Tar Toscana sentenza 17
settembre 2003 n. 5101), ha perso il carattere di organo della Regione, acquisendo una propria
soggettività giuridica con un'autonomia che ha poi assunto, stante il disposto dell’art. 3, c. 1 bis del
D.Lgs. 502/92 (comma introdotto dal D.Lgs. 19.6.99 n. 229), anche carattere imprenditoriale (“in
funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in
Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”), disposizione
quest’ultima che ha indotto a ritenere che le Aziende sanitarie abbiano assunto la natura di enti
pubblici economici.

Inquadramento organizzativo
Le ASL fanno parte del Servizio Sanitario Nazionale.

Le ASL sono aziende con personalità giuridica pubblica e sono centri di imputazione di autonomia
imprenditoriale. Con la legge di riforma la precedente unità sanitaria locale (USL) è divenuta
azienda dotata di autonomia organizzativa, gestionale, tecnica, amministrativa, patrimoniale e
contabile.

Sono organi dell'ASL

 il direttore generale;
 il collegio sindacale;
 il collegio di direzione.
Regioni a statuto ordinario e speciale
Come si evince dall'elenco sotto riportato, nelle Regioni italiane le Aziende sanitarie locali, pur
avendo le stesse funzioni, sono diversamente denominate.

Ospedali
Aziende ospedaliere
Ogni ASO è un'azienda sanitaria ospedaliera e lo sono i grandi ospedali con molti reparti di eccellenza,
mentre i piccoli ospedali sono riuniti in ASL azienda sanitaria locale.
Sicuramente ognuna ha una storia a cominciare dalla struttura che in ben pochi casi è nata come ospedale
ma più spesso erano strutture religiose poi convertite ad altri usi.
Se invece intendi la storia del nostro sistema sanitario nazionale devi rifarti alle leggi di riforma sanitaria la
833 del 1978 che lo ha istituito poi la 502 del 1992 e la 229 del 1999 che hanno apportato varie modifiche.
Di più non saprei dirti anche perchè la domanda è molto ampia e da spazio a varie interpretazioni!
L'Ausl (Azienda unità sanitaria locale) è un'azienda sanitaria pubblica che comprende i servizi sanitari
territoriali, come l'assistenza di base (medico di famiglia ecc), i consultori, la sanità pubblica, la salute
mentale ecc. In alcuni casi comprende anche ospedali, ma non sono gli ospedali più grandi e universitari,
che invece sono aziende a parte e sono appunto le AOSP.
L'AOSP (Azienda ospedaliera) è un'azienda pubblica che eroga solo asistenza ospedaliera, in grandi
ospedali, tutti quelli universitari ad es sono Aosp. L'Aosp "vende" le prestazioni ospedaliere alle aziende Usl
a cui le persone appartengono, quindi quando sei ricoverato in una Aosp la tua Ausl paga all'Aosp il tuo
ricovero.
Mentre la Ausl ha il compito di garantire a tutti gli iscritti al servizio sanitario la possibilità di essere curati,
l'Aosp è un produttore di servizi sanitari specializzati ospedalieri. E' la Ausl che paga alla Aosp le prestazioni
che dà ai suoi iscritti.

Presidio ospedaliero

Il presidio ospedaliero è un ospedale non costituito in azienda ospedaliera in quanto privo dei
requisiti di legge. Pertanto gode di un'autonomia molto minore, esso comunque ha autonomia a
livello direttivo (presenza di un medico responsabile delle funzioni igienico-organizzative e un
dirigente amministrativo responsabile della gestione amministrativa) e autonomia economico-
finanziaria con contabilità separata seppure interna al bilancio dell'Azienda sanitaria locale (ASL)
di riferimento.

Strutture organizzative che fanno capo alla ASL


Le ASL sono organizzate in distretti sanitari di base, dipartimenti e presidi ospedalieri. In
particolare una ASL può comprendere:

 Presidio ospedaliero
 Continuità assistenziale
 Consultorio
 Dipartimento di prevenzione
 Servizio di continuità assistenziale[Differenza da "Continuità assistenziale" elencato prima?]
 Servizio per le dipendenze patologiche
 Visite ed esami specialistici
 Assistenza a casa e in residenze socio sanitarie
 Servizi per la salute mentale
 Servizi prenotazione prestazioni (CUP)

Medico di famiglia
Il medico di famiglia, altresì conosciuto come medico di medicina generale o M.M.G., o medico
di base, o medico curante o di fiducia, è in Italia un medico che, nell'ambito del Servizio Sanitario
Nazionale, è l'ufficiale sanitario di primo livello, ovvero presta il primo livello di assistenza sul
territorio.
Tale figura venne introdotta in italia con la legge 23 dicembre 1978 n. 833, nell'ambito
dell'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Il suo ruolo è l'equivalente del General
Practitioner, nel Regno Unito e nella maggior parte dei paesi di lingua anglosassone.

Integrazione socio-sanitaria
L'integrazione socio-sanitaria «è pensata come la necessità di un coordinamento tra servizi sociali
e sanitari pubblici o al massimo in convenzione con il pubblico, e quindi può essere ricondotta al
buon funzionamento dei servizi da un punto di vista tecnico e organizzativo» [1].

Integrazione e frammentazione
Le professioni impegnate nell’integrazione socio-sanitaria si trovano dinanzi a un duplice impegno.
Da una parte devono affrontare le sfide imposte dall’aumento della domanda sociale delle nuove
povertà, e d’altra parte devono opporsi alla drastica frammentazione dell’offerta di servizi imposta
dalle amministrazioni pubbliche che subiscono le conseguenze finanziarie della particolare
congiuntura economica [2].

Secondo Brian Hardy la frammentazione dei servizi ha un impatto negativo sulla soddisfazione
dell’utenza. In questo modo gli enti locali cercano di bilanciare meglio domanda e offerta di servizi,
ad es. riducendo il periodo di degenza e aumentando le allocazioni e le prestazioni domiciliari, il
che non influisce sul mutamento nel sistema sanitario in quanto si sceglie di differenziare l’offerta,
mentre aumenta la domanda dei servizi di assistenza domiciliare [3].

Le conseguenze della frammentazione implicano [4]: - scissione tra prevenzione e riabilitazione con
l’aggravante del problema delle liste d’attesa (per es. i trasporti dal proprio domicilio all’ospedale
sono un costo a carico dell’utente che si aggiunge al tempo impiegato per accodarsi alla fila); -
divaricazione fra cure ambulatoriali e quelle specialistiche; - modelli di finanziamento diversificati
(per es. i requisiti Isee per accedere a determinate prestazioni); - talune problematiche che
incrementano la domanda di salute ma non soddisfano il bisogno della popolazione (per es.
l’ipocondria e i frequenti rientri in ospedale); - distanze logistiche proibitive (per es. i centri
diagnostici possono trovarsi a distanza di svariati chilometri rispetto al medico di famiglia); -
differenti sistemi di accertamento della qualità in quanto sussistono diversi sistemi normativi.

Un sistema integrato, in cui si incontrano sia la dimensione sociale che quella sanitaria, secondo
Jaques Elliott, deve comprendere le seguenti categorie: medicina generale e specialistica, sostegno
economico e psicologico, istruzione e formazione, prevenzione e promozione della salute,
criminologia e devianza [5]. Nella sanità, per es., sono contemplate le specializzazioni fin dal
percorso formativo (per es. odontoiatria, fisioterapia, etc.) che non trova riscontri nelle scienze del
servizio sociale dove invece vige una forma di auto-selezione, in altre parole il candidato sceglie
autonomamente in quale settore lavorare (minori, anziani, tossicodipendenze, etc.)
indipendentemente dal titolo di studio conseguito.
Il termine “integrazione” affonda le radici nello schema AGIL di Talcott Parsons (1902-1979) [6]
secondo cui la cura della salute è un dovere innanzitutto della società civile mentre alle strutture
istituzionali spetta solo un ruolo residuale. In questi termini l’attività principale è quella di
prevenzione e di intervento di sostegno alle reti affettive e relazionali. Si tratta di un modello che
conferisce ampio significato alla multi-dimensionalità del benessere inteso non solo come spazio
clinico bensì come integrazione dei diversi mondi vitali quotidiani:

Attore Attore
A Mercato G Stato
L Famiglia I Terzo Settore

Al di là delle radici ideologiche, che sembrano più riconducibili al modello di Talcott Parsons, gli
sviluppi di Antonio Scaglia tracciano una duplice posizione dell'integrazione in relazione a due
fattori:

- visione dualistica: la partecipazione prevale sul consenso ai fini dell’estensione della base
democratica ma col limite della regolazione dello spazio intimo; - visione pluralista: il consenso
prevale sulla partecipazione a vantaggio dell’influenza della classe politica e della supremazia
istituzionale, sebbene «il consenso non elimina il conflitto e lo costringe a forme alternative
socialmente approvate» [7].

Tipi di integrazione
I livelli della integrazione sono tre: istituzionale, gestionale e professionale [8]. Il livello istituzionale
fa riferimento alle norme che regolano il settore e ai soggetti entrano nella realizzazione delle
attività. Il livello gestionale fa riferimento all’organizzazione dei servizi socio-sanitari e ai rapporti
che subentrano tra questi attori che dovrebbero essere coerenti coi principi etico-sociali perché ci
sono alcuni fattori che sembrano favorirla così come ci sono quelli che tendono a rallentarla. Il terzo
livello si riferisce alle interazioni che intervengono tra operatori di sistemi sanitari e sociali. Questi
livelli non possono essere presi in maniera asettica cioè non è pensabile che il livello gestionale
agisca indipendentemente da quello professionale, quindi comprendete l'integrazione socio-sanitaria
significa assumere il punto di vista che si cela dietro il ruolo di regia.

Integrazione
Integrazione gestionale Integrazione professionale
istituzionale
Dipartimento gestione risorse umane, orientamento, pari insegnante, educatore, dirigente,
istruzione opportunità, politiche giovanili sociologo
Dipartimento pianificazione socio-sanitaria, assistente sociale, medico,
politiche sanitarie organizzazione e qualità infermiere, alcologo
Dipartimento giudice, magistrato, consulente,
prevenzione, trattamento, monitoraggio
sicurezza operatore penitenziario

Applicazioni pratiche dell'integrazione socio-sanitaria


Nel 1989 nel comune di Laives (BZ) è stato avviato il primo progetto di educazione domiciliare che
ha coinvolto 34 minori a rischio individuati dal servizio sociale territoriale e inseriti in piani
individuali e affidati a un pedagogo che si occupa di favorire e sostenere la funzione genitoriale e il
suo naturale sviluppo. L’analisi preliminare aveva evidenziato che le famiglie d’origine vivevano in
situazioni d’isolamento sociale. I risultati del progetto, durato circa un anno, hanno dimostrato che
la presenza continuata di un educatore presso la famiglia d’origine contribuisce alla prevenzione
dell’abuso soddisfacendo il principio secondo cui «è nella famiglia d’origine che il disagio dei
minori e le difficoltà educative si manifestano ed è alla famiglia che occorre restituirlo» [9].

Questioni aperte sull'integrazione socio-sanitaria


Il termine integrazione, secondo Elisabetta Neve, non dovrebbe essere confuso con integralismo. La
prima occorrenza si accompagna al decentramento e al coinvolgimento del territorio, l’altra, invece,
consiste nella «standardizzazione degli interventi» [10] e si caratterizza per alcune tendenze
istituzionalizzanti del passato. È anche vero, però, che la regolamentazione mal si adatta alla
pianificazione primaria, che richiede ampi spazi d’iniziativa, spesso sostenuta da individui o gruppi
di individui. Al giorno d’oggi, infatti, si assiste alla crescente competizione tra gruppi di partiti e
gruppi d’opinione nelle comunità di valle così come in quelle metropolitane. Il conflitto sembra
perpetrato dall’idea del laisser faire del libero mercato e dalla globalizzazione, allo stesso tempo la
solidarietà non è sinonimo di staticità in quanto il mutamento è comunque un punto fermo
dell’agenda dell'integrazione. Nelle valli il senso urbano viene a scomparire in favore del lessico
rustico che vive nel paese, nella contrada, nelle frazioni, nella famiglia con predilezione per i valori
tradizionali, per es. la ritualità del raccolto scandisce ancora il tempo degli abitanti in molte valli
italiane.

Tanto nel panorama nazionale quanto in quello locale si assiste a un ritardo della integrazione
socio-sanitaria che attualmente sopravvive grazie a due separate sfere d’influenza. Allo stesso modo
ciò ha favorito la partecipazione sul versante sociale ma non su quello sanitario in cui vige ancora
un sistema dominato dal ruolo politico. L’Azienda Sanitaria Locale, infatti, è un ente gestito dalla
Regione che offre servizi e prestazioni a cittadini ed extracomunitari nel quadro prestabilito dei
Livelli Essenziali di Assistenza che si sviluppano su tre livelli: prestazioni a rilevanza sociale,
prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e prestazioni ad elevata integrazione sanitaria [11].
L’assistenza ospedaliera comprende gli interventi di pronto soccorso e le acuzie per le quali non è
contemplata l’assistenza domiciliare o residenziale. Tutte le altre tipologie di cure sono garantite dal
Distretto, dove agiscono, per ogni area funzionale, dei professionisti che vigilano sulla correttezza
delle certificazioni e sulla costanza delle cure, per es. nell’area materno-infantile il responsabile è
un pediatra di libera scelta. Per ogni distretto sono organizzati diverse Unità Territoriali di Base i
quali a loro volta si suddividono in Ambiti. Per ogni Distretto è prevista una propria
programmazione da svolgere di concerto col Coordinamento provinciale, invece la pianificazione
nelle Unità Territoriali di Base è posta in essere dai Centri Servizi.

Una delle difficoltà del raggiungimento dell’integrazione, dunque, è l'ente deputato ad assumere le
decisioni relative all’organizzazione dei servizi: per i servizi sociali è il Municipio, per quelli
sanitari è la Regione. In alcuni casi sussiste un vero e proprio conflitto di competenze come nel caso
delle separazioni di coppia, laddove il Tribunale per i Minorenni è chiamato in causa solo
allorquando si presenti una condotta pregiudizievole del soggetto.

Riforme sanitarie
la prima riforma sanitaria è la n. 833/78 che ha per la prima volta istituito il servizio sanitario
nazionale (ssn) superando l'originaria organizzazione dell'assistenza sanitaria fondata sugli enti
mutualistici. con questa riforma sono state isituite le usl
nel 1992 con dlgs 502/92 c'è stata la tiforma sanitaria bis ( riformsa de lorenzo)che tra le tante cose
ha soppresso le usl e istituito le asl dotate di autonomia patrimoniale contabile organizzativa tecnica
amministrativa, ha attribuito alle regioni il compito di individuare le asl di dividere il territorio
regionale in distretti in pratica si è passati da una gestione comunale della sanità ad una di tipo
regionale. la terza riforma sanitaria è la legge 229/99 ( riforma bindi) che ha riconosciuto autonomia
imprenditoriale alle asl oltre ad aver regolmentat numerosi ulteriori aspetti dell'assistenza sanitari.

1 RIFORMA

si tratta di una vera e propria rivoluzione in campo sanitario perchè, come ti dicevo, attribuisce ad un ente
pubblico dotato di personalità giuridica L'USL( unitò sanitaria locale) il compito di garantire a tutti i cittadini
un'adeguata assistenza sanitaria abolendo le vecchiè casse mutue che, invece, garantivano assistenza soltato a
determinate categorie di lavoratori che per ottenere prestazioni sanitarie versavano parte del loro stipendio in
questi appositi enti, come puoi ben immaginare la tutela della salute era garantita a gruppi limitati di soggetti,
i lavoratori appunto,e differenziata in base alla capacità contributiva di ciascuno. con la legge del 1978
invece viene istituito il servizio sanitario nazionale inteso come l'insieme delle prestazioni sanitarie garantite
in modo uniforme a tutti i cittadini, in modo da garantire la dignità della vita umana.( è questa la primordiale
definizione che trovi nella legge sul ssn) Il servizio sanitario nazionale cme definito dalla legge si
caratterizza per una serie di principi ispiratori
il prinipio di universalità_ tutti i cittadini hanno diritto all'assistenza snaitaria senza distinzioni
principio di uguazlianza: tutti i cittadini possono accedere alle prestazioni sanitarie senza distinzioni legate al
reddio
portabilità del diritto all'assistenza sanitaria: tutti i cittadini possno godere delle cure garantite dal ssn in
qualsiasi regione d'italia e anche al'estero
fiscalità genereale: i servizi resi dal ssn devono essere pagati attraverso la fiscalità generale, cioè le tasse che
ciascuno di noi paga.
con la legge 1982 infatti fu istituito il fondo sanitario nazionale che porvvedeva alla copertura della spesa
sanitaria( ora questo fondo non c'è più, sono le singole regioni e i cittadini mediante il ticket che sostengono
la spesa)
la legge prevedeva che le prestazioni sanitarie dovessero essere rese da apposite unità locali, le usl, che erano
interamente gestite dai comuni che ne nominavano il direttore generelae e definivno i limiti di bilancio
poi ti ripeto le usl sono state soppiantate dalle asl perchè, le prime, erano diventate enti eccessivamente
asserviti al potere politico locale, autoreferenziali, determinando gravi sprechi nella spesa sanitaria, questp è
avvenuto con la riforma sanitaria bis del 1992 che mi hai detto no nti interessa.
ti avviso però che molte cose sono cmabiate dal 1973, direi quasi tutto

Le riforme e i costi della Sanità in Italia


Francesca Zanusso e Mattia Pancin

Un excursus storico-giuridico ed economico sulle fasi di sviluppo del servizio sanitario


italiano: dalle prime riforme di fine ‘800 sino alla situazione attuale del Servizio Sanitario
Nazionale.

Il sistema sanitario è l’insieme delle istituzioni, delle persone, delle risorse umane e materiali e delle
loro relazioni (personali, sociali, economiche) che concorrono alla promozione, al recupero ed al
mantenimento della salute. Creare salute è il fine ultimo di ogni sistema sanitario e ciò significa, in
primis, prevenire la morte, guarire le malattie, alleviare la sofferenza ed impedire la cronicità.
Il sistema sanitario italiano si compone oggi di una rete complessa di sottosistemi che interagiscono
tra di loro e nei quali figurano diversi attori, ciascuno con logiche ed interessi particolari. Essi
fondano il loro operato sulla tutela alla salute quale diritto fondamentale dell’individuo così come
sancito dall’art. 32 della Costituzione.
L’Italia è stata la prima Nazione al mondo a compiere la scelta del diritto alla salute per ogni
individuo presente: la positivizzazione avvenuta con la nascita della Costituzione è stata figlia di un
processo partito agli albori dello Stato sociale e che ha trovato affermazione grazie a diversi fattori
determinanti, a partire dai primi interventi di assistenza sanitaria. Il Regno d’Italia promulgò il
primo intervento sul tema con la legge n° 2248/1865, rivisitata con la legge n° 5849, nota come
legge Crispi-Pagliani. La legge in questione costituì il primo nucleo di norme organiche in materia
sanitaria, riuscendo a condurre ad uniformità tutto il territorio del regno. Favorì, inoltre, diverse
evoluzioni: dispose la costituzione dei primi uffici sanitari provinciali coordinati dal medico
provinciale, si istituirono i primi uffici sanitari comunali e le condotte mediche e ostetriche tramite
le quali i Comuni assicuravano i servizi di assistenza sanitaria obbligatoria gratuita ai poveri. La
figura del medico condotto che compiva visite a domicilio e garantiva la sua presenza continuativa
24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, rimase per quasi un secolo nell’immaginario collettivo e
fu soppresso soltanto con la riforma del 1978. A seguito della legge Crispi ci furono successivi
interventi che riguardarono prettamente l’assistenza ospedaliera: gli ospedali vennero, all’epoca,
inquadrati come Istituzioni Pubbliche di Assistenza o Beneficenza, IPAB, e rimasero in vigore fino
al 1968. Riconoscendo progressivamente che la salute dell’individuo rappresentava un patrimonio
per la collettività, lo Stato iniziò ad introdurre un nuovo mezzo per tutelarla: le casse di mutua. Nel
1898 vennero introdotte le prime forme sperimentali di assicurazione obbligatoria per gli operai e
venne istituita l’INAIL, l’Istituto Nazionale Assicurazione per gli Infortuni sul Lavoro. Si trattava
di un istituto di mutua a carattere volontario ed i lavoratori, soprattutto, contribuirono alla
costituzione di un fondo comune da utilizzare per la copertura dei costi derivanti da cure mediche.
Le mutue volontarie erogavano, tuttavia, un’assistenza insufficiente anche per gli esigui contribuiti
dei rispettivi soci e lavoratori. Solo grazie all’approvazione di numerose leggi venne superata la
limitatezza della copertura della mutualità volontaria. Le leggi in questione riguardavano
l’istituzione di enti mutualistici che garantissero agli iscritti ed ai familiari a loro carico un
risarcimento per infortuni e malattie. Grazie a tali enti, il sistema mutualistico si consolidò durante
gli anni ‘30 e rimase la base del sistema assistenzialistico sanitario fino al 1978, anno della riforma
del Servizio Sanitario Nazionale. In quegli anni, nonostante l’introduzione degli enti mutualistici,
milioni di cittadini rimanevano ancora fuori da qualsiasi sistema di copertura sanitaria e quelli che
godevano di una copertura mutuale ricevano prestazioni talvolta fortemente differenziate e secondo
criteri più o meno restrittivi. Per quanto riguarda le disposizioni in materia sanitaria, va sottolineata
l’importanza assunta dal Regio Decreto 1934 “Testo Unico delle leggi sanitarie” che completò e
perfezionò tutta la preesistente normativa, e dal Regio Decreto 1938 “Norme generali per
l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale degli ospedali” che definì l’organizzazione interna
degli ospedali. Il R.D. del 1938 fu solo un anticipo della riforma ospedaliera che avvenne vent’anni
dopo. Fu il primo grande intervento legislativo in materia sanitaria dopo lo scatenarsi dei tragici
eventi che portarono alla stesura della Carta Costituzionale, con i suoi principi generali innovativi
che ancora oggi ispirano la materia sanitaria. Ad esempio: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana” (art. 32, comma 1,2). Viene così sancita la piena affermazione del diritto alla salute
come diritto inviolabile dell’uomo, indipendentemente da ogni discriminazione, e il definitivo
riconoscimento del diritto alla sua tutela. La riforma ospedaliera n° 132 del 1968 “Enti ospedalieri
ed assistenza ospedaliera” (legge Mariotti) dava parziale attuazione all’art. 32 della Costituzione,
elevando l’attività ospedaliera a servizio pubblico rivolto alla cura ed al recupero dello stato di
salute dei ricoverati. L’ospedale, inoltre, acquisendo piena autonomia, veniva configurato quale
struttura fondamentale per la tutela della salute singola e collettiva, di cui si faceva garante lo Stato.
La legge Mariotti permise la regionalizzazione degli enti ospedalieri, attribuendo a ciascuna
Regione il compito di emanare norme legislative nella materia “assistenza sanitaria ed ospedaliera”,
comunque nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Paradossalmente, la
riforma ospedaliera deluse tutte le aspettative e da più parti si risolse in un fallimento: il
decentramento dei compiti e delle funzioni sanitarie alle Regioni era ancora prematuro in quanto
quest’ultime cominciarono a funzionare solo nel 1972. Ciò impedì loro di farsi carico di tutte le
funzioni attribuite dalla legge del ‘68. Gli enti ospedalieri erano, poi, ancora inseriti nel sistema
mutualistico. Questo conobbe proprio in quei due decenni una prima fase di massima espansione,
seguita da una profonda crisi per le incongruenze create dalla legge Mariotti. Sebbene l’assistenza
mutualistica si fosse ormai progressivamente estesa a tutti i lavoratori, e più del 90% della
popolazione italiana risultasse, di fatto, assicurata, le mutue accumularono ingenti debiti nei
confronti degli ospedali ed entrarono in crisi. Questi fattori determinarono la lenta trasformazione
del sistema mutualistico verso un sistema sanitario nazionale. L’istituzione del Ministero della
Sanità già nel 1958, la crisi delle mutue e la loro soppressione, assieme al completo trasferimento
delle funzioni amministrative sanitarie dallo Stato alle Regioni (1977), diedero la spinta a realizzare
il nuovo sistema che comportò la sostituzione di tutte le mutue di categoria con un’unica
assicurazione nazionale estesa a tutti i cittadini. L’istituzione del S.S.N. esaudì i precetti
costituzionali basandosi sui concetti di universalità della prestazione, gratuità, assistenza secondo il
bisogno e finanziamento diretto da parte dell’erario.

LA PRIMA RIFORMA SANITARIA (1978)


La prima legge di riforma sanitaria è la L. 833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale
(S.S.N.). Rappresenta una delle espressioni normative più rilevanti dall’avvento della Repubblica e,
nonostante abbia subito numerose integrazioni e cambiamenti, contiene dei principi validi ancora
oggi.
Si prefiggeva di apportare sostanziali miglioramenti ad un vasto insieme di prestazioni sanitarie
(medico-generali ed infermieristiche, domiciliari ed ambulatoriali, specialistiche ed ospedaliere,
farmaceutiche ed integrative) operando un salto di qualità decisivo nei confronti del sistema
mutualistico preesistente. Il S.S.N. si basa su tre principi fondamentali:
-  il principio di universalità, secondo il quale vengono garantite prestazioni sanitarie a tutti senza
distinzione di condizioni individuali, sociali e di reddito;
-  il principio di uguaglianza, ovvero garantire a tutti il diritto alle medesime prestazioni a parità di
bisogno;
-  il principio di globalità, per cui non viene presa in considerazione la malattia, ma, in generale, la
persona. Ciò implica, inevitabilmente, un collegamento di tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura
e riabilitazione.

I D. LGS. N. 502/92 E 517/93: LA SECONDA RIFORMA SANITARIA


Il processo di riordino del S.S.N. trovò il suo definitivo punto di svolta nel 1992, attraverso la legge
n. 421, con la decisione di razionalizzare e revisionare le discipline riguardanti non solo la materia
sanitaria, ma anche quelle relative a pubblico impiego, previdenza e finanza territoriale.
Per quanto riguarda l’ambito sanitario, i fini possono essere riassunti nell’utilizzazione razionale
delle risorse del S.S.N., nell’equità distributiva, nel contenimento della spesa sanitaria e in una
migliore efficienza del sistema.
A questa legge si aggiunsero, successivamente, disposizioni correttive ed integrative che portarono
al varo del Decreto Legislativo n. 517 del 1993.
Gli elementi essenziali riguardavano:
-  la centralità del Piano sanitario nazionale;
-  l’attribuzione alle Regioni della titolarità delle funzioni legislative ed amministrative in materia di
assistenza sanitaria ed ospedaliera;
-  l’istituzione delle Aziende sanitarie (Aziende U.S.L. e Aziende ospedaliere) dotate di personalità
giuridica pubblica e di completa e totale autonomia. Ne conseguiva, quindi, una nuova disciplina
sul funzionamento delle U.S.L. e sui nuovi organi dell’azienda U.S.L. e dell’azienda ospedaliera
(vennero, infatti, istituite nuove figure, quali il Direttore generale ed il Collegio dei revisori, il
Direttore sanitario aziendale ed il Direttore amministrativo);
-  la disciplina delle erogazioni delle prestazioni assistenziali, ovvero la separazione delle
responsabilità tra erogatori ed “assicuratori” (cioè l’U.S.L.). Si introduceva, così, una sorta di
competizione nell’ambito della gestione delle prestazioni, dal momento che queste potevano essere
prestate tanto dal presidio pubblico (AUSL o Azienda Ospedaliera) quanto dai presidi privati (case
di cura private, ecc.). Il finanziamento derivava dal pagamento delle prestazioni erogate, sulla base
di tariffe stabilite dalle singole Regioni tenuto conto del costo delle prestazioni stesse (prima, il
pagamento avveniva con il metodo cosiddetto a “piè di lista”, ossia tutto ciò che era stato speso
veniva rifuso). Venne poi tutelata la libera scelta del cittadino, il quale poté scegliere dove andare a
curarsi proprio grazie al fatto che la prestazione veniva pagata secondo un tariffario nazionale
individuato dal Ministero ed integrato dalle Regioni.
In cinque anni, però, venne data attuazione solo ad una parte della seconda riforma sanitaria.

IL D.LGS. N. 229/99: LA TERZA RIFORMA SANITARIA


Il D. Lgs. n. 229 del 1999 (riforma Bindi), a norma di legge 419/98, si trovò in netta controtendenza
rispetto alla normativa precedente. Il fine di questa riforma era quello di garantire a tutti i cittadini
uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari ed assicurare livelli uniformi ed adeguati di
assistenza su tutto il territorio nazionale. Con questa riforma si completò il processo di
regionalizzazione ed aziendalizzazione del S.S.N. Basato su norme più efficaci, si ampliarono le
responsabilità delle Regioni e si svilupparono le autonomie locali, si resero più trasparenti i rapporti
fra soggetti, pubblici e privati, si sviluppò la partecipazione dei cittadini, si valorizzò la
professionalità degli operatori e si attribuì ai medici un ruolo di primo piano all’interno dell’azienda
sanitaria. Si promosse, infine, l’integrazione fra assistenza sanitaria e sociale.

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