Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Alternativa news
In collaborazione con: Megachip
IN QUESTO NUMERO
1 Scuole private: scontro aperto Da: Redazione contropiano [ pag. 1/2 ] 2 La crisi greca e le colpe della UE Di: Luciano Gallino [ pag. 2 ] 3 Saldi estivi: limportante consumare Di: Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio [ pag. 3 ] 4 Pragmatismo e nonviolenza 2011 Di: Ettore Macchieraldo [ pag. 3/4 ] 5 Lettera di una Troika Di: Michele [ pag. 4 ] 6 Perch la Torino-Lione non ci serve Di: Angelo Tartaglia [ pag. 4/5 ] 7 Il prezzo della crisi Di: Guido Viale [ pag. 5/6 ] 8 La generazione dei senza pensione Colloquio con Giulietto Chiesa[ pag. 6/7 ] 9 Infortuni sul lavoro: come il ministro rovescia la frittata Di: Carmine Tomeo [ pag. 7 ] 10 Lacrime e sangue? Ma non per i padroni Di: Giorgio Cremaschi [ pag. 8 ] 11 Il Minnesota ha chiuso i battenti. E ora? Di: Debora Billi [ pag. 8 ]
pubblica sar un'ottima occasione per riaffermare in modo deciso una idea di Bologna bene comune, e dentro questo contesto potr giocare un ruolo non secondario quella sinistra indipendente e quelle forze sociali che non hanno mai ceduto alle sirene delle privatizzazioni e dei compromessi politicisti, mettendo sempre al centro gli interessi popolari.
La
durato parecchi anni. Adesso il governo greco, pressato dalla Ue, chiede ai pensionati, ai lavoratori, agli insegnanti, agli impiegati pubblici, di restituire al bilancio dello stato i miliardi di euro, in moneta attuale, sottratti col tempo ad esso da una minoranza che percepisce un reddito centinaia di volte superiore al loro. Dopo averli pure incolpati il governo tedesco per primo di lavorare poco, andare in pensione prima degli altri cittadini Ue, percepire pensioni d'oro, fare troppe ferie: laddove tutti i dati disponibili, per chi voglia appena informarsi, attestano che si tratta di affermazioni false. Ma a quanto ammonta realmente il debito pubblico della Grecia, di cui si dice che potrebbe far saltare l'intera zona euro? Si tratta di 350 miliardi di euro. certo una bella somma. La quale per rappresenta soltanto il 3,7% del Pil dell'intera zona euro, esclusa quindi una grande economia come il Regno Unito. Non soltanto: il 43% di tale debito in mano a creditori greci, che per met sono banche. Dal totale vanno ancora tolti 7 miliardi di debiti verso gli Usa, 3 verso la Svizzera, circa 2 nei confronti del Giappone. Il debito greco verso la Ue (banche e stati compresi) consistente soprattutto in obbligazioni e altri titoli, ammonta dunque a meno di 190 miliardi di euro, di cui circa 35 sono dovuti alla Bce. Ora, dal 2008 ad oggi i Paesi Ue, a parte la Svizzera, hanno speso o accantonato oltre 3.000 miliardi di euro (tre trilioni) per salvare le proprie istituzioni finanziarie. Ed ora davvero tremano perch un'economia tutto sommato periferica in difficolt per ripagare, a rate, poco pi del 6% di tale somma? Il y a quelque chose qui cloche, dicono i francesi, qualcosa che non va nell'intera faccenda. Le cose che non vanno sono principalmente due. La crisi greca in primo luogo un'anteprima di quel che potrebbe succedere ad altri Paesi, Italia compresa, se i governi Ue non la smettono di subire le manovre del sistema finanziario, ivi comprese le agenzie di valutazione, e non provano sul serio a regolarlo, anche per evitare che ci piombi addosso tra breve una crisi peggiore di quella del 2008. Lo scenario comprende com' ovvio il rinnovo potenziato di manovre speculative che i maggiori gruppi finanziari costruiscono scientemente per estrarne il maggior profitto possibile in forma di interessi e plusvalenze; il che implica, come insegnano i modelli di gestione del rischio, il far correre un rischio elevato non gi ai gruppi stessi, bens ai cittadini oggi greci, domani spagnoli o italiani. Ma comprende anche una
spinta selvaggia alle privatizzazioni, che essendo condotte sotto la sferza della troika Ce, Fmi e Bce, consisteranno al caso in vere e proprie svendite di immensi patrimoni nazionali. L'Italia, dopotutto, ha ottomila chilometri di coste e centinaia di isole da mettere all'asta, pi il Colosseo e magari l'intera Venezia; altro che la Grecia. Una seconda cosa che non va la Bce. Il suo limite fondamentale, imposto dal trattato istitutivo della Ue, sta nell'avere come massimo scopo statutario la stabilit dei prezzi, ossia la difesa dall'inflazione. Ci spiega in parte la lentezza e la goffaggine con cui si mossa a fronte della crisi greca. Ma un simile limite equivale a decidere per legge, poniamo, che il pronto soccorso del maggior ospedale cittadino si occupa soltanto di lesioni alla gamba sinistra. Le altre due banche centrali dell'Occidente, la Banca d'Inghilterra e la Fed, hanno tra i loro scopi statutari anche lo sviluppo e la crescita dell'occupazione. Scopi che perseguono pure creando esplicitamente nuovo denaro: una funzione fondamentale che gli stati Ue hanno ceduto alla Bce, ma che questa non sembra voler esercitare come, dove e quando pi ne avrebbero bisogno. Per questo motivo nella Ue cominciano a moltiplicarsi le voci favorevoli a un ampliamento degli scopi statutari della Bce. La crisi greca potrebbe essere una buona occasione per passare dalle voci all'azione. Sempre che i governi non temano di disturbare la macchina di cui sono per ora a rimorchio.
Saldi estivi: limportante una frazione di punto Pragmatismo e nonviolenza consumare - di Maurizio percentuale, ma non risolve il 2011 - di Ettore Macchieraldo
Pallante e Andrea Bertaglio. saldi, saldi, quanti saldi!! Lodati siano i saldi!, cantano in questi giorni coloro che attendono con ansia il 2 luglio, data unica nazionale in cui avr inizio lennesima stagione di sconti. Finalmente i consumi nel nostro martoriato Paese potranno ripartire. Ma veramente cos? E soprattutto, davvero necessario basare la propria vita sui consumi, o leconomia nazionale sulla (continua) ripresa degli stessi? Chiss, forse ha ragione chi consiglia di spendere, non essendoci niente di peggio della crescita negativa (!) in un sistema basato sulla crescita illimitata del Pil. Hanno ragione Codacons e Confesercenti quando propongono di anticipare di anno in anno i saldi estivi o di Natale, in un Paese in cui da sessantanni uno dei principali scopi sembra quello di imitare (dove e come conviene, ovviamente) nazioni come Gran Bretagna e Stati Uniti, punte di lancia del turbocapitalismo/liberismo e delliper-consumismo, in cui i saldi per le Feste natalizie iniziano ormai a fine novembre. Ha ragione la maggioranza degli italiani quando richiede a gran voce i suddetti saldi anticipati o i negozi aperti la domenica, se viviamo in un sistema che non permette quasi pi a nessuno di rinunciare allacquisto, consumo e smaltimento in tempi sempre pi brevi di ogni tipo di bene e di servizio. Ma hanno mai pensato Codacons o la marea di persone convinte che tutto possa funzionare cos com a ci che cambier per la nostra economia dopo essersi riversati a fare acquisti per amore della ripresa dei consumi? Non cambier nulla. Questo il punto. Starsene qualche ora in coda fra i parcheggi e le casse dei centri commerciali, oltre che intasare strade prima e discariche poi, pu dare lillusione ancora per qualche tempo di un (certo) benessere diffuso, pu addirittura far salire il Pil di una frazione di
Saldi,
problema. Se tutti ci mettessimo oggi a comprare scarpe, vestiti, televisori al plasma o lennesimo telefono cellulare, come potremmo dire a politici ed economisti che, fra un mese o due, saremmo ancora al punto di partenza? E come possiamo far capire a chi pensa che la soluzione ai nostri problemi (economici piuttosto che esistenziali) sia quella di spendere e consumare, che questa invece lorigine di tutti i nostri guai? Non potremmo comprare un televisore al mese nemmeno se lo volessimo. Soprattutto in un momento di crisi come questo. Quindi, assistere alla svendita di questo tipo di sistema (iniziata gi da tempo dai creativi della finanza, oltre che dai soliti politici) sembra lunica cosa che ci concessa di fare. A meno che non ci decidiamo con tutta la forza, la fatica e la pazienza necessarie a cambiare rotta. Cambiare rotta nel nostro approccio con la vita, col lavoro, col consumo, con gli altri e soprattutto con noi stessi. Magari iniziando ad unire ci che di buono cera una volta a ci che di buono riesce a offrire il presente. O dimenticandoci una volta per tutte lormai inutile e fittizia distinzione fra destra e sinistra, con il loro corollario di ideologie e schemi mentali ormai morti e sepolti dalla storia e dagli eventi. Dovremmo iniziare ad essere positivi, pi che ottimisti, cercando di contagiare chi ci sta attorno, ma evitando inutili e fastidiose prediche a chi ancora non vuole capire che la way of life occidentale ha decisamente fallito nellintento di farci vivere meglio, o di renderci pi felici. Ma per essere davvero il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, abbiamo bisogno di tutti i mezzi a nostra disposizione. A partire dalla nostra intelligenza.
recenti fatti accaduti in Val Susa, lo sgombero del presidio No Tav, il tentativo di riprendersi il cantiere e gli stessi lacrimogeni tossici lanciati ad altezza duomo ci impongono una riflessione attenta sulle forme di lotta e di formazione del consenso. E ce lo impongono ancora di pi ora che si concretizza questa indignazione a lungo sopita. Personalmente il mio rifiuto alla violenza e alla uccisione si pone entro un disegno rivolto contro lo sfruttamento, la violenza e luccisione in tutte le loro forme, e richiede quindi una distinzione politica. Non accettare la tragicit inerente allazione o al consenso allaltrui azione vuol dire dare aiuto ai Grandi Assassini, al sistema dellassassinio organizzato che la nostra societ. Non posso mettere sullo stesso piano la violenza reazionaria e la violenza rivoluzionaria. Cos scrisse un intellettuale dello scorso secolo, Franco Fortini, in una lettera ad Aldo Capitini, il primo pensatore ed educatore alla nonviolenza in Italia. Era il 1950, molto molto tempo fa. Rimango legato a quella distinzione: non metto sullo stesso piano le due violenze. Ci nonostante non posso esimermi dallesercitare una critica radicale a chi ha pensato di poter conquistare vantaggi alla causa dei No Tav della Val Susa riproponendo improvvisate guerriglie di sassi e bastoni contro un esercito di militari, preparati e attrezzati e gestiti strategicamente dalle centrali di polizia. Se lintenzione era quella di riconquistare il cantiere, ci si sarebbe dovuti organizzare meglio e, soprattutto, avere il consenso non solo della popolazione locale, ma direi di quella italiana (e tra loro almeno di una parte di quelli in divisa). Probabilmente vale invece leffetto notizia di cui scrive molto bene Gigi Roggero: Come le imprese del capitalismo cognitivo, cos il Partito di Repubblica (dora in avanti PdR) non pretende di
rappresentare, a monte, soggetti o blocchi sociali definiti: agisce invece a valle, catturando passioni e comportamenti, interpretandoli per produrre opinione pubblica e darne dunque, artificialmente, forma organizzata. Lo abbiamo visto con il movimento studentesco e universitario in autunno, disincarnato e astratto nellicona del bravo giovane di XL, che ama i libri e la Cultura, indignato con Berlusconi ma non con il sistema di cui parte integrante, tifoso della costituzione formale e non certo protagonista sovversivo della costituzione materiale, difensore del pubblico e perci estraneo al comune, un po ribelle anagraficamente ma mai rivoluzionario. E poi sono venute le donne, ridotte a categoria sociologica e morale che identifica tutte coloro che se la prendono indistintamente con le corrotte e i corruttori, con le nipoti di Mubarak e il bunga bunga, e non certo con i rapporti di sfruttamento e precarizzazione in cui tutto ci avviene. Ancora, i referendum: ignorati dal PdR fino alle elezioni amministrative, sono diventati nellultimo mese oggetto di una frenetica mobilitazione allinsegna del vento che cambia. Poco conta, dunque, il contenuto specifico: il problema della formaPdR usare i movimenti sociali per accumulare opinione pubblica. E questo il terreno di battaglia: quello della comunicazione e della formazione dopinione. Ed vero che esiste un PdR, che conduce il potenziale dei movimenti nel recinto dellimpotenza. E lo fa appropriandosi dei contenuti pi superficiali e mai concentrandosi sulle cause. E allora, per far breccia in questo sistema, necessaria la pantomima della violenza rivoluzionaria? Soprattutto la riteniamo necessaria in assenza di una capacit di strategia e quindi di autonomia nella comunicazione da parte dei movimenti? Io credo di no. Penso sia di gran lunga pi intelligente, anche per chi come me proviene da altre formazioni e che non pu prescindere dalla
difesa della propria incolumit fisica, utilizzare le tecniche della nonviolenza. O almeno, come ci suggerisce Nanni Salio, di seguire la nonviolenza in termini pragmatici. C una grande necessit di esprimere lindignazione crescente per le condizioni materiali e la qualit di vita che stanno peggiorando, ma c altrettanta necessit di un ampio e inedito consenso verso le forme di lotta e di auto organizzazione che si stanno esprimendo. Non riduciamo tutto al teatrino spettacolare che i vari PdR ci chiedono di inscenare.
di Michele - scaricabile.it.
Ai primi di giugno, i rappresentanti di Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione Europea si sono riuniti ad Atene. Ci sono volute settimane per fare andare via la puzza di zolfo dalla stanza, ma quando i funzionari del governo sono riusciti a entrare, hanno trovato sul tavolo della riunione una tavoletta ouija, una moneta, e un importante messaggio indirizzato a tutti i loro concittadini. Cari amici, A causa delleuro, i paesi europei pi ricchi sono legati alla Grecia come gli elementi finali di uno Human Centipede. Se il vostro staterello andasse in bancarotta, le banche straniere a cui dovete i soldi fallirebbero e migliaia di cittadini non saprebbero pi a chi versare le rate del loro mutuo. Vorremo evitare questo scenario, per non siamo nemmeno il tipo di persone abituato a fare della beneficenza. Abbiamo deciso che invece di portare la Grecia fuori dalleuro, molto pi vantaggioso portare tutti gli euro fuori dalla Grecia. Come? Sfruttando una norma del vostro ordinamento giudiziario caduta di recente in disuso. Secondo noi, Solone ha preso una decisione affrettata quando nel VI secolo a.C. ha abbandonato la schiavit per debiti. Quindi, i vostri beni pubblici andranno allasta e la maggior parte di voi diventer propriet privata. Dovrete modificare un po il vostro stile di vita, ma in questo modo eviteremo conseguenze molto peggiori per la Grecia, anche se al momento non ce ne viene in mente nessuna. Vi domanderete quanto possa durare questa curiosa situazione. Abbiamo interrogato i pi moderni sistemi informatici che guidano i nostri interventi in economia e la risposta stata chiara: croce. Va bene, le previsioni non sono mai state il nostro forte, per se lo leconomia mondiale crescer quanto speriamo, fra una ventina danni al massimo non dovrete pi preoccuparvi dei vostri creditori. A quel tempo, un pugno di miliardari governer il mondo dalle sue isole private in Groenlandia, e a nessuno passer per la testa di venire a chiedere dei soldi agli ultimi abitanti di quella terra brulla e inospitale che sar diventato il vostro paese.
TorinoPerch la Torino-Lione non ci serve - Il Manifesto (Angelo Tartaglia)* pag. 8 base non pu non includere il collegamento con lo scalo di Orbassano, il sottoattraversamento in galleria profonda dell'area torinese e il raccordo con l'esistente linea AV Torino-Milano a Settimo, dell'ordine dei 17 miliardi di euro. Questa cifra pu fluttuare a seconda degli approcci e delle stime, ma emerge dai documenti ufficiali ed estremamente prudenziale omeglio sottostimata se guardiamo i costi a consuntivo di altre grandi opere italiane (tutte le grandi opere italiane). Questa somma andrebbe tutta a debito pubblico in quanto le risorse, nelle casse dello stato, non ci sono. Per ottenere l'equilibrio economico dell'opera la nuova linea dovrebbe ospitare flussi di passeggeri e soprattutto di merci svariate decine di volte superiori a quelli attuali. Per altro il flusso di merci in transito sulla ferrovia della valle di Susa, e anzi attraverso l'intera frontiera italo-francese, in calo continuo dal 1997 ed meno di un quinto della capacit attuale della linea. Quanto ai passeggeri, il numero di treni tra Torino e Lione-Parigi stato anch'esso progressivamente ridotto arrivando oggi a due collegamenti al giorno, spesso eserciti, tra Torino e Chambry, mediante autobus (ne bastano due per accogliere tutti i passeggeri). Aggiungo che peraltro in questi stessi anni il flusso di merci in ferrovia da e per l'Italia attraverso le frontiere svizzera e austriaca ha continuato a crescere a un ritmo piuttosto sostenuto. La ragione di queste due diverse tendenze (calo tra Italia e Francia, aumento tra Italia e Svizzera o Austria) non per nulla misteriosa e non occasionale. Mercati di massa e aree di produzione di beni di consumo migrano entrambi verso est e in particolare verso l'estremo oriente. Di conseguenza il trasporto pi conveniente viene ad essere quello via mare che si attesta nei porti. Dai porti la distribuzione ai mercati europei segue prevalentemente e logicamente direttrici Nord-Sud piuttosto che Est-Ovest: chi farebbe sbarcare a Genovamerci destinate alla Francia o aMarsiglia merci destinate all'Italia? Questi sono fatti non contestabili. Non potendosi appoggiare sul presente i proponenti della nuova linea si rifugiano allora nel futuro affermando che nei prossimi decenni ci sar un cambio epocale negli assetti di mercato per cui i flussi EstOvest attraverso le Alpi cresceranno di pi di un ordine di grandezza (decine di volte). Il perch mai una simile rivoluzione dovrebbe avvenire non viene per indicato; la previsione puramente ideologica e opportunistica, non si basa su nessun dato o ragionamento credibile. Non c' bisogno di una laurea in ingegneria per capire che se un sistema estremamente complesso e pesante come una economia continentale manifesta per decenni determinate tendenze, esso poi non pu bruscamente cambiare rotta a meno di qualche catastrofe puntuale, che non si capisce quale dovrebbe essere. I flussi attraverso la frontiera francese avvengono tra aree ad economia matura e tra mercati saturi. Lo scambio pu essere considerevole ma non pu che essere anche relativamente
stabile con fluttuazioni contingenti. In Italia ci sono all'incirca sette autovetture ogni dieci abitanti e poco meno in Francia; da entrambi i lati della frontiera ci sono milioni di telefonini, milioni di televisori, milioni di frigoriferi e di lavastoviglie; i consumi alimentari (sprechi inclusi) sono simili. I mercati sono di sostituzione e mantenimento; perch dovrebbero espandersi in maniera esplosiva? Qualunque studente di economia (oltre che qualunque persona di buon senso) sa che il volume degli scambi tra due aree contigue non segue un andamento esponenziale (con incremento percentuale costante), come vogliono i proponenti del Tav, mauna logistica, cio una curva fatta come una S stirata: i flussi sono alti fintantoch le differenze tra i due lati sono grandi; i flussi si riducono e si stabilizzano man mano che le differenze tra i due capi del collegamento si riducono. rilevante il fatto che i sostenitori del Tav non provano nemmeno a smontare, dati alla mano, considerazioni come quelle che ho appena schematizzato. Preferiscono usare la forza pubblica e la retorica. Non si tratta naturalmente di una specie di aberrazione mentale; c' qualcosa di pi sostanziale in gioco. Data una grande opera (qualunque essa sia): 1) il sistema finanziario (che anticipa il denaro) ha un guadagno certo e ingente in quanto garantito dallo stato; 2) chiunque controlla il sistema degli appalti ha un potere e un ritorno rilevantissimo, non foss'altro che perch attraverso il meccanismo dei subappalti e sub-subappalti, ha la possibilit di lucrare plusvalori estremamente ingenti senza correre rischi di sorta, che semmai vengono scaricati sui pi piccoli al fondo della catena. Insomma vero che c' un problema di ordine pubblico: la societ italiana occupata da una specie di fungo parassita che copre tutta la superficie succhiando la linfa vitale e impedendo al sistema di respirare. Abbiamo un gran bisogno di liberarcene. *Docente al Politecnico di Torino
inflazione controllata. Quello che gli Stati nazionali hanno perseguito indebitandosi (evitare nuove tasse o maggiore inflazione) adesso li strangola; e oggi i paesi europei, anche se potessero tornare alla moneta nazionale e svalutarla, difficilmente otterrebbero un aumento di competitivit con cui accrescere le esportazioni e ripagare parte del loro debito, come recita l'ortodossia economia (quella che consiglia alla Grecia di uscire dall'euro); si ritroverebbero solo con un debito in valuta estera ancora pi pesante. Se invece, come consiglia, anche in questo caso, l'ortodossia economica, tagliano la spesa pubblica - mettendo alle strette o alla fame una parte crescente dei propri cittadini - e svendono servizi, demanio e beni comuni per ottenere un avanzo primario, soffocano ancora di pi l'economia e non saranno mai pi in grado di pagare n debito n interessi. una strada senza uscita. Se la cosa riguardasse solo la Grecia, che un piccolo paese, una soluzione forse si troverebbe; ma riguarda anche l'Irlanda, il Portogallo, la Spagna, l'Italia, il Belgio e in prospettiva la Francia, che adesso fa invece la voce grossa. E riguarda anche gli Stati Uniti (anche il loro debito rischia un ribasso del rating), gli unici che finora avevano potuto continuare a creare moneta perch i loro dollari non li rifiutava nessuno. Ma crisi, salvataggi e sconti fiscali per i pi ricchi (quelli che neanche Obama osa toccare) hanno moltiplicato per due il loro debito, che quasi tutto in mani altrui; e poich ora ne devono rinegoziare una quota consistente si trovano anche loro alle strette. La retorica - mai suffragata dai fatti secondo cui ridurre le tasse crea sviluppo ha messo tutti nei guai. Poi ci sono le rivoluzioni dei paesi arabi, che a breve porranno inderogabili scadenze al sistema finanziario mondiale. Insomma, qualunque cosa venga decisa per la Grecia, si tratter solo di tamponare una falla per rinviare un crack inevitabile. Gli Stati non comandano pi il denaro
perch i cordoni della borsa sono ora nelle mani della finanza internazionale: basta la minaccia di un ribasso del rating ed come se dal bilancio di uno Stato si volatilizzassero di colpo miliardi di euro. E per un paese che va in rovina c' sempre, da qualche altra parte, qualcuno che guadagna miliardi. la finanza internazionale, bellezza! Quella che ha riempito di titoli fasulli banche e risparmiatori rivendendo un numero infinito di volte i propri crediti dopo averli impacchettati in titoli derivati di cui era - ed , perche sono ancora in circolazione - impossibile conoscere origine e composizione. A certificare che quei mucchi di carte, ma ormai anche solo di bit, sono moneta sonante ci pensavano e pensano tre agenzia mondiali interamente possedute da alcune delle banche che quei certificati li vendono. Ora, e sempre con denaro fittizio, la speculazione si spostata sulle materie prime e sulle derrate alimentari, mettendo alla fame mezzo mondo. E minaccia di far fallire, uno dopo l'altro, un buon numero di Stati. Ma dobbiamo per forza continuare a lasciare in mano a costoro le redini dell'economia? C' un altro modo per affrontare la situazione: imporre ai propri governi un cambio di rotta. Il che richiede certo rigore fiscale, ma non quello che ci vorrebbero imporre Tremonti. Il rigore, cio i tagli nel bilancio, vanno imposti ai costi della politica, alla corruzione, all'evasione fiscale, alle rendite finanziarie, agli armamenti, alle guerre contro paesi che abbiamo contribuito ad armare fino a ieri, alle grandi opere, ai grandi eventi, alla burocrazia (ma senza segare l'albero del Pubblico impiego; curandolo invece ramo per ramo, coinvolgendo che ci lavora, perch dia frutti migliori). Ma un cambio di rotta richiede anche una montagna di nuove spese: in ricerca, in istruzione (scolastica e permanente), in manutenzione del territorio, in riconversione delle fabbriche obsolete
o senza mercato, in promozione di una conversione energetica che ci liberi gradualmente dalla dipendenza dall'estero e dai combustibili fossili, in un'agricoltura che restituisca fertilit ai suoli e cibo sano ai consumatori. E soprattutto per garantire a tutti e ciascuno possibilit di non dipendere giorno per giorno dai capricci di un mercato globale fuori controllo e dall'arbitrio di imprese attente solo alle quotazioni del loro capitale. Sono in gran parte le stesse rivendicazioni (e persino le stesse parole: non vogliamo pagare la vostra crisi) delle rivolte che infiammano le strade della Grecia e delle manifestazioni che riempiono quelle della Spagna - e ora anche del Belgio - e che hanno un unico sbocco possibile: in prima istanza, l'annullamento del patto di stabilit e della stretta sui bilanci degli Stati membri. Poi la garanzia di un reddito decente per tutti. Ma fin da subito c' da adoperarsi per coinvolgere il maggior numero di soggetti, ciascuno con le sue competenze e a partire dai luoghi dove abita, vive e lavora, nella costruzione dal basso di un piano di interventi articolato su cui esigere l'impegno dei governi, quali che siano, sia a livello locale che nazionale. Oggi programmi del genere non ci sono: troppo pochi ci pensano e quasi nessuno ne parla, perch cambiare radicalmente il paese sembra ancora un sogno. Ma l'Europa di domani, nel pieno di una crisi finanziaria che coinvolger l'intero continente e nel mezzo di una crisi ambientale che sta investendo l'intero pianeta, non sar mai pi come quella che abbiamo conosciuto fino a oggi. Se non vogliamo precipitare nel caos che si sta avvicinando, bisogna cominciare a discutere concretamente, caso per caso, delle cose che vogliamo, senza aver paura della sproporzione delle forze in campo. Il vento sta cambiando. Prepariamoci titola il suo ultimo libro Luca Mercalli, parlando delle condizioni in cui dovremo a vivere nella crisi ambientale. Prepariamoci anche a una nuova crisi finanziaria che cambier radicalmente i rapporti di forza nelle situazioni in cui ci troveremo a operare.
incapaci di affrontare le questioni che hanno di fronte. Parlo non solo di egoismo, perch c' un egoismo che pu apparire stupido ma che comunque produce a chi lo esercita un certo vantaggio. In realt l'egoismo delle classi dirigenti talmente stupido che finisce per mettere in discussione lo stesso sistema nel quale queste classi dirigenti stanno prosperando. Intendo dire che non credo che si possa aspettare a lungo un'esplosione sociale in queste condizioni. Abbiamo di fronte la Grecia che ci fornisce gi un esempio, abbiamo di fronte sintomi molto rilevanti che stanno avvenendo in Spagna, per esempio e anche in Italia. In poche parole, questa gente sta pensando ai fatti suoi, mentre sta proponendo al paese la fine del patto sociale che ha retto la Democrazia italiana negli ultimi 50 anni. Fino a ora questo patto sociale aveva potuto reggere sulla base del fatto che c'era stata distribuzione delle risorse relativamente equa, i pi ricchi continuavano a arricchirsi ma i meno ricchi e i ceti medi avevano la possibilit di sviluppare i propri consumi, il proprio tenore di vita, quindi una larga fetta della popolazione godeva dei vantaggi di questo sviluppo. In questo frangente, in questi ultimi anni, sta ormai diventando evidente, sta esplodendo una situazione nuova in cui milioni di persone vengono ricacciati indietro, o nella miseria o sul filo della sussistenza e questa svolta riguarda non soltanto le categorie meno difese della popolazione, ma anche importanti fasce dei ceti medi che fino a ieri vivevano bene e adesso cominciano a guardare a fine mese con qualche preoccupazione, se non con grande inquietudine. La manovra concepita esattamente nella direzione di produrre questo disastro, perch se il numero delle famiglie meno abbienti o in crisi sale dai 6 milioni di qualche anno fa, agli 8 milioni di adesso (e sono cifre secondo me largamente al di sotto della verit) noi ci troviamo alla vigilia di una gigantesca crisi sociale e quindi la questione che dovrebbero affrontare i membri della casta sarebbe quella di chiedersi: ma stiamo facendo saltare il nostro stesso sistema in cui abbiamo prosperato o no? Questo quello che non vedono, non si rendono conto che stanno segando il ramo su cui stanno seduti, lo dico semplicemente per il loro bene e il loro futuro... "poverini". Sono gi benestanti, ricchi, ben sistemati ma sono cos stupidi da non capire che stanno mettendo in discussione il loro stesso tenore di vita. Alla lunga finisce che andiamo verso un'esplosione nessuno ha garantito che l'equilibrio sociale, negli ultimi 50 anni in queste condizioni pu essere mantenuto. E i giovani italiani
continuano ad emigrare all'estero. Che futuro ha questa nazione, senza i suoi giovani? Intanto vorrei ricordare a tutti i leghisti che l'Italia sar invasa da migliaia e migliaia di immigrati, per cui chiaro che avremo una mutazione inevitabile di grandi proporzioni, della stessa composizione etnica del nostro paese. Poi, la generazione attuale dei giovani in queste condizioni, non pu trovare lavoro e non avr la pensione. Noi dobbiamo prevedere che tra 30 anni, supposto che tutte le altre cose stiano in piedi cos come sono, cosa che dubito, avremo 3 o 4 milioni di persone che sono ormai alla soglia dell'uscita dell'attivit lavorativa e non avranno nessun reddito con cui vivere. Questo da solo dovrebbe farci capire dove ci troviamo, se avessimo una classe politica all'altezza intellettuale. Ma abbiamo una classe politica che stata selezionata per ridurre le sue capacit intellettuali in tutti questi ultimi 30 anni, abbiamo dei membri del Parlamento che sono perfino incapaci di capire queste cose elementari che sto dicendo. Se non fossero incapaci di capire qualcuno di loro prenderebbe l'iniziativa, ma siccome sono incapaci di capire, noi abbiamo una classe dirigente di minus habens e questo spiega quasi tutto sulla necessit di liberarci di questa classe dirigente.
Infortuni sul lavoro. Come il ministro rovescia la frittata - di Carmine Tomeo - articolo21.org.
Riceviamo
e di seguito pubblichiamo da parte di un RSPP (Responsabile del servizio di prevenzione e protezione) quest'analisi sul rapporto annuale dell'INAIL. Come sempre accade, il rapporto annuale dellInail sollecita facili entusiasmi. Questanno non andata diversamente. Enfaticamente Marco Fabio Sartori, presidente dellInail, ha dichiarato che per la prima volta dal dopoguerra, nel 2010, la soglia dei morti sul lavoro scesa sotto i mille casi-anno. Addirittura il ministro Sacconi ha parlato di dati incoraggianti, dovuti al fatto che cresce la cultura della prevenzione malgrado il pressing della competizione. Un modo come un altro per raccontare la favola che si possono aumentare i ritmi di lavoro e ridurre i diritti dei lavoratori, senza causare danni alla loro salute e senza rischi per la loro incolumit. Ma cosa dice, in sintesi, il rapporto annuale Inail? Mostrerebbe, dati alla mano, un calo degli infortuni sul lavoro e delle morti ipocritamente definite bianche. segnalato nel 2010, rispetto allanno precedente, un calo degli infortuni di oltre 14mila casi (nel 2009 erano 790.112) e conta 980 morti sul lavoro (contro i 1053 del 2009). A Sartori e Sacconi pare sufficiente per fare intendere che la strada intrapresa contro gli infortuni quella giusta. Vediamo se ci sono le giustificazioni. Intanto sar appena il caso di citare lo stesso rapporto Inail, il quale precisa che i dati potranno considerarsi definitivi solo con laggiornamento al 31 ottobre dellanno in corso e che i 980 morti sul lavoro sono frutto di stime previsionali. Il motivo che considerando i decessi avvenuti entro 180 giorni dallinfortunio, le statistiche relative ai casi mortali del 2010 non sono ancora complete. Ma proviamo ad entrare nel merito dei numeri. Il sensibile calo del numero degli infortuni e delle morti sul lavoro, non ha senso se mostrato solo nei suoi valori assoluti. Trascuriamo in questa occasione il discorso del lavoro nero, una piaga sociale che causa un elevatissimo numero di infortuni e morti sul lavoro: le cifre sono solo stimabili e si pu dire che difficilmente potrebbero entrare in un rapporto ufficiale. Sappiamo per che la crisi economica ha prodotto migliaia di disoccupati e molte migliaia di ore lavorate in meno. Questo dato non pu essere lasciato da parte. Come utilizzarlo? Come richiesto da standard riconosciuti, e cio considerando quanti infortuni sono avvenuti per milione di ore lavorate e quanti per ogni mille lavoratori. Si ha cos un dato realmente raffrontabile. Eseguendo questo semplice rapporto, si nota come quei facili entusiasmi di cui si diceva non abbiano ragion dessere. Considerando i dati dellIstat su ore lavorate e numero di lavoratori dipendenti, la fredda statistica racconta che il 2010 ha fatto registrare 25,6 infortuni ogni milione di ore lavorate, praticamente come il 2009 (quando erano stati 25,9). I dati infortunistici non migliorano se messi in rapporto con il numero di lavoratori, per cui, ogni 100mila dipendenti si sono infortunati in 41 nel 2010, come nel 2009. E per ogni 100mila dipendenti, nel 2010 sono morte sul lavoro poco pi di 5 persone (5,5 il rapporto nel 2009). E stiamo
prendendo in considerazione i soli dati Inail. Se considerassimo i dati dellOsservatorio Indipendente di Bologna sulle morti per infortuni sul lavoro, che ha contato non 980 infortuni mortali, ma ben 1080, la situazione sarebbe ben peggiore. Un dato da non sottovalutare quello delle malattie professionali, troppo spesso messe in secondo piano nelle analisi sulle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. In realt si tratta di una piaga enorme, che ogni anno, per migliaia di persone significa inabilit permanente al lavoro. Le malattie denunciate nel 2010 sono cresciute del 22% rispetto allanno precedente e di queste il grosso (oltre il 60%) rappresentato da disturbi muscolo-scheletrici riconducibili allintensit dei ritmi di lavoro. Un dato che dovrebbe rappresentare un monito per i sindacati complici (come li defin Sacconi) che hanno firmato gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, che di fatto intensificano i carichi di lavoro e che laccordo del 28 giugno con Confindustria (ed in questo caso anche Cgil) potrebbe estendere a tutto il mondo del lavoro. quindi facilmente intuibile che quegli accordi, mentre faranno accrescere le produttivit aziendali, favoriranno anche la crescita delle patologie muscoloscheletriche, creando un esercito di lavoratori con la salute compromessa e scartati spesso dal ciclo produttivo. I costi sociali sono gi enormi (circa il 2% del PIL in Europa) e sono pagati dalla collettivit. Non solo: quella delle malattie professionali una piaga che uccide. Solo per il 2010 lInail ha indennizzato 383 casi di morte per malattie professionali, ma la generazione completa di morti per patologie professionali denunciate nel 2010 destinata, nel lungo periodo, ad attestarsi intorno alle 1.000 unit ammette lente nel suo rapporto. Insomma, dati incoraggianti possono essere letti solo con gli occhi di Sacconi, che nel 2008, che quando ancora non era ministro si era affrettato a dare giudizi negativi sul Testo Unico della sicurezza sul lavoro, tra le poche note positive del governo Prodi. La promessa conseguente di colui che sarebbe stato il ministro del Lavoro dellattuale governo Berlusconi, stata quella di ridiscutere quel testo normativo. Quella promessa fu mantenuta: il TU sulla sicurezza lavoro stato praticamente destrutturato nel 2009. Le conseguenze della riscrittura del TU stanno anche nei numeri che abbiamo citato.
No
signor Presidente della Repubblica, mi permetto di obiettarLe che questo non il momento della coesione nazionale. Capisco le buone intenzioni di natura istituzionale, ma esse oggi lastricano una via che porta al massacro sociale in Italia come in Europa. Non di coesione, ma di una irruzione di giustizia, eguaglianza sociale e democrazia ha oggi bisogno la nostra stanca ed inutile politica per affrontare davvero la crisi. Giustizia, perch nessuna misura credibile se non vanno in galera i potenti che rubano, se non si colpiscono davvero gli evasori fiscali, se non c un risanamento morale della politica e se non si liquida il suo intreccio con gli affari. Eguaglianza sociale, perch sinora il mondo del lavoro, i pensionati, i disoccupati, ancor pi se giovani o donne, han pagato tutti, ma proprio tutti i costi della crisi. Mentre le banche, la finanza, i padroni hanno ricevuto tutti gli aiuti possibili, li hanno intascati e han continuato a fare lo stesso di prima, peggio di prima. Democrazia, perch non pi tollerabile che i governi dei paesi democratici siano sottoposti alla dittatura delle agenzie di rating, del fondo monetario, della banca europea. Dieci anni fa siamo scesi in piazza a Genova contro il pensiero unico liberista. Oggi in Europa c un governo unico delle banche, della finanza e della casta dei padroni e dei manager pi ricchi che impone le sue decisioni a tutti i governi, siano essi di destra o di centrosinistra. Dopo tre anni di sempre pi vacui sogni berlusconiani lItalia si risveglia in un incubo. Liberarsi presto di questo padrone oggi sul viale del tramonto politico ed economico indispensabile. Ma non per cadere sotto il dominio degli altri grandi padroni uniti. Da tre anni Berlusconi nega
la crisi e annuncia la ripresa alle porte; per questo oggi la Confindustria, Cisl e Uil abbandonano la barca che affonda, per salire su quella del sistema della coesione nazionale, di cui dovrebbero far parte anche centrosinistra e Cgil. Il fatto per che questo nuovo punto di vista abbandona s Berlusconi al suo sacrosanto destino, ma non le politiche liberiste che a questa crisi hanno portato. Anzi si chiede al governo di mettersi sulla via della Grecia per evitare di finire come la Grecia. Il liberismo non ha funzionato perch stato sinora troppo compassionevole, troppo poco impopolare, ora si deve fare sul serio, questo ci chiede l Europa. Bene, a tutto questo giunto il momento di rispondere NO! Questa Europa nemica del lavoro e dei suoi diritti, che vuol distruggere la sua pi grande conquista civile e democratica, lo stato sociale, nostra nemica. L euro e stata una costruzione stupida, una moneta senza stato e senza democrazia di cui ora pagano i costi tutti i lavoratori ed i poveri del continente. Certo non semplice tornare indietro, ora i costi sociali sarebbero altrettanto terribili, ma quello che si pu e si deve fare disubbidire all Europa restando in Europa. Bisogna nazionalizzare le banche che hanno usato i soldi pubblici solo per salvare i loro profitti. Bisogna colpire la speculazione finanziaria con tasse e controlli, anche mettendo in discussione i paradisi fiscali dei ricchi europei. Montecarlo, Liechtenstein, San Marino devono veder messa in discussione la loro funzione di patria degli evasori, a costo di chiudere. Bisogna fermare le multinazionali e le delocalizzazioni, ci vuole un piano per il lavoro che parta dal blocco dei licenziamenti e della chiusura delle aziende. Ci vuole un rinnovato intervento pubblico nelleconomia. Si deve combattere e non
estendere la precariet, rovesciando leggi ed accordi in vigore. Si deve rafforzare e non indebolire il contratto nazionale, e laccordo recentemente sottoscritto tra sindacati e Confindustria va travolto in quanto non solo ingiusto, ma inutile e dannoso perch espressione di quella politica liberista che ha fallito. Bisogna cancellare le missioni di guerra, tutte e subito, e tagliare tutti i veri sprechi nella spesa pubblica, le inutili grandi opere, le consulenze gli stipendi doro le burocrazie politiche inutili. Bisogna finanziare scuola e ricerca pubblica tagliando ogni sostegno a quella privata. E necessaria una decisa redistribuzione dei redditi aumentando salari e pensioni basse e istituendo un reddito sociale garantito pagato da un tassa patrimoniale sui ricchi. Bisogna ridurre lorario di lavoro e ricostruire diritti e libert soppressi in tanti luoghi di lavoro. Deve finire il regime di apartheid per i migranti e le loro famiglie. Ma soprattutto si deve rovesciare il modello di crescita e sviluppo fondato su finanza, competitivit e produttivit estreme, a favore di un sistema fondato sulla crescita dei beni comuni. Quello che hanno chiesto i 27 milioni di cittadini che hanno votato ai referendum. Che anche ci che il governo unico dell Europa ci impedisce di realizzare, visto che una delle prime misure imposte alla Grecia proprio la privatizzazione dellacqua. No, signor Presidente, non usciamo dalla crisi con la coesione con coloro che l hanno provocata e ce la vogliono far pagare: No, senza una rivoluzione democratica che tolga a banche, finanza e multinazionali il potere di decidere sulle nostre vite non avremo maggiore coesione, ma solo pi ingiustizia e meno democrazia.