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RESTAURO ARCHITETTONICO

Lezione introduttiva: che cos’è il “restauro architettonico”?


Il Restauro non significa riportare un edificio alla situazione originale. Le stratificazioni successive di un
edificio vengono viste come un arricchimento all’edificio nel passaggio delle varie epoche. I beni vanno
valorizzati, vanno riutilizzati. La destinazione d’uso non è detto che deve essere quella originaria ma
attenzione deve essere compatibile.
Lo scopo del corso di restauro architettonico e laboratorio è quello di introdurre lo studente al progetto di
conservazione e riuso del patrimonio costruito esistente attraverso un percorso che lo guidi alla
comprensione di come gli edifici del passato, se opportunamente tutelati e valorizzati, costituiscano una
risorsa importante per lo sviluppo della città e del paesaggio del futuro.
Un edificio del passato è un documento complesso che trasmette – attraverso la sua forma e la
materia con il quale è costituito – gusti, competenze e saperi tecnici spesso dimenticati e per questo rari
e meritevoli di essere preservati e trasmessi alle generazioni future. L’intervento si un edificio del
passato ne presuppone quindi una conoscenza approfondita.
Parole chiave legate al concetto di restauro:
– Compatibilità  quando mi pongo davanti ad un edificio mi chiedo cosa ne faccio di questo
edifico? L’approccio non deve essere quello del “mi serve” …, l’atteggiamento giusto è: ho
questo edifico con questa forma e queste caratteristiche quale potrebbe essere la funzione adatta in
modo tale che non stravolga la struttura.
Non c’è restauro senza riuso, nel riuso un tema fondamentale è l’accessibilità.
Partiamo dal concetto di Patrimonio cioè un bene collettivo che si trasmette da una generazione
all’altra. I beni culturali possono essere:
– Beni culturali materiali  possono essere degli edifici di tipo storico (castello di Brescia)
– Beni culturali immateriali  possono essere canzoni, poesie …
Il patrimonio costruito è fragile e a rischio a causa:
1. Dell’età e dell’azione del costruito;
2. Di modi di costruzione imperfetti;
3. Di catastrofi naturali (terremoti e alluvioni);
4. Di conflitti;
5. Azioni vandaliche, ignoranza e indifferenza dell’uomo.
Gli edifici storici/antichi perché sono considerati organismi vulnerabili? Perché sono frutto di processi di
stratificazione nei secoli, nel corso del tempo può subire modifiche e la minima modifica nel tempo può
indurre la perdita di silicati nella materia.
Cosa leggiamo noi sulla materia? Leggiamo proprio le modifiche della stessa le alterazioni che ha avuto
nel corso del tempo.
Introduciamo il concetto di tutela  con tutela noi intendiamo l’insieme delle azioni di varia natura
(politica culturale) che attribuiscono al patrimonio costruito la permanenza e la fruibilità e che nel caso
specifico degli edifici va dall’inventariazione al controllo e gestione fino agli interventi di qualsiasi
natura. Cos’è il restauro? Il restauro è un insieme di pratiche e studi conoscitivi che permette di tutelare il
patrimonio costruito esistente.
<< Con tutela del patrimonio architettonico si intende l’insieme delle azioni di varia natura, in primo
luogo di politica culturale, che ne assicurano la permanenza e la fruibilità e che, nella parte in cui

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attengono gli edifici va dalla semplice inventariazione, controllo e gestione, fino agli interventi edilizi di
varia natura e portata >>.
Evoluzione del concetto di bene culturale:
– sviluppo industriale VS tutela dei beni culturali;
– potenzialità economica dei beni culturali;
– nuova sensibilità sulle condizioni ambientali.
La tutela dei centri urbani storici si sovrappone con il tema della ricostruzione post-bellica. Dalla fine
della Seconda guerra mondiale una serie di intellettuali.
Definizione dei beni culturali  (D. Lgs n. 42 del 22 gennaio 2004 “codice dei beni culturali e del
paesaggio”, Art. 10) << sono beni culturali le cose immobili e mobili […] che presentano interesse
artistico, storico, archeologico o etnoantropologico >> non solo i singoli monumenti, ma anche:
f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;
g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;
h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;
i) le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze
dell’economia rurale tradizionale.
La conservazione del patrimonio culturale negli ultimi anni è apparsa sempre più sotto azioni preventive e
attuative. Il progetto di restauro deve garantire una tutela attiva del bene. La. Conservazione del
patrimonio culturale passa sempre di piu le strategie preventive e manutentive. Il contesto in cui si trova il
bene diventa sempre più un punto fondamentale di analisi del progetto, l’analisi delle condizioni del
contesto si configura proprio come analisi preliminare che determinano le interazioni tra effetti naturali ed
umani.
– Restauro  intervento diretto sull’opera; che comporta un eventuale modifica sul costruito
sempre però tenendo d’occhio il contesto storico – culturale;
– Conservazione  opera di prevenzione e salvaguardia, per prevenire il restauro;
– Manutenzione  pratica assidua da eseguirsi su un oggetto in efficienza; l’idea che una costante
manutenzione sia utile a contenere i fenomeni di degrado molto meglio di un intervento di
restauro è un’idea condivisa già nell’800. Nelle carte del restauro viene ribadita l’importanza della
tecnica di manutenzione. Con il termine manutenzione si allude ad interventi che non sono proprio
leggeri che possono stravolgere l’edifico, si tende a considerare la manutenzione come una sorta
di restauro nel tempo. In realta le pratiche manutentive devono essere svolte con una certa
frequenza, non devono modificare sostanzialmente il progetto e si realizzano su un edificio in
efficienza.
– Cura  similitudine con la medicina preventiva; sarebbero tutte quelle azioni in grado di
evitare/prevenire il degrado (simile al concetto di restauro preventivo).
La conservazione è intesa come la ricerca di una regolamentazione delle trasformazioni di un edificio che
attenzione nella coscienza dell’unicità di ogni testimonianza e del suo carattere documentario massimizza
la permanenza, aggiunge il proprio segno e reinterpreta senza distruggere. Il progetto di conservazione
è: << l’esecuzione d’un progetto d’architettura che si applica ad una preesistenza, compie su di essa
tutte le operazioni tecniche idonee a conservarne la consistenza materiale, a ridurre i fattori estrinseci di
degrado, per consegnarla alla fruizione come strumento di soddisfazione dei bisogni, con le alterazioni
strettamente indispensabili, utilizzando studio preventivo e progetto come strumento d’incremento della
conoscenza >>. A questa definizione si possono aggiungere altre due finalità da un lato l’importanza di
ridurre gli effetti del degrado cioè i problemi fisico/chimici della degradazione dei materiali; e dall’altro
l’importanza della fruizione dell’edifico.

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Queste due finalità del progetto di conservazione devono essere raggiunte attraverso le interazioni
strettamente indispensabili cioè riducendo il più possibile le operazioni di modifica dell’esistente.
Un approccio conservativo su un’architettura esistente significa massimizzare l’esistenza della materia
storica, e minimizzare il più possibile gli interventi. La materia per quanto chimicamente sia la stessa non
sarà mai come quella che tolgo.
Il restauratore è un tecnico (architetto o ingegnere) che abbia le competenze culturali e tecniche per
ideare e gestire il progetto di conservazione, cioè un processo metodologicamente fondato, rivolto a
programmare e gestire le trasformazioni di un edifico, un abitato, un territorio cui si riconoscano valori da
trasmettere al futuro.
<< Il restauratore nel redigere il progetto di restauro deve farsi abile funambolo e, tenendosi in
equilibrio con l’asticella della storia e della conoscenza diretta, muoversi tra i diversi sapere, tra quella
moltitudine di discipline che devono poter confluire nel risultato finale >>.
La fase di conoscenza storica dura per tutto lo studio del progetto è una fase connatura al progetto in
parole povere la fase di conoscenza è già progetto. Le fasi conoscitive del progetto di restauro:
– Indagine storica;
– Progetto di rilievo;
– Rilievo delle geometrie;
– Rilievo stratigrafico;
– Rilievo dei materiali.
Le aggiunte che si possono fare ad un edificio non possono che assumere un significato riconoscibile nel
tempo in cui sono state fatte.
Nella successione di queste fasi il progetto di restauro dimostra delle similitudini con il metodo medico,
cioè:
– L’anamnesi;
– La diagnosi;
– La terapia;
– La prognosi.
Che parte dall’osservazione di uno stato patologico e attraverso l’interpretazione dei sintomi individua le
patologie stesse e cerca di definire le terapie idonee. In sostanza deve curare un paziente nel nostro caso
un edificio. L’esito di queste indagini ci porta ad un aggiustamento della terapia nel nostro progetto.
Il restauro viene visto come un gesto semeiotico. La semeiotica è quella parte della medicina che si
occupa dei sintomi e dei segni delle malattie nonché del modo migliore di rilevarli onde trarne
conclusioni di ordine diagnostico.
La cosa che avvicina di più queste due discipline è il metodo con il quale analizzano, riconoscono ed
affrontano il problema che gli si pone.
1. Anamnesi [ricerche preliminari]  in medicina consiste nella raccolta di tutte le informazioni che
possano aiutare il medico a formulare una diagnosi; per quanto riguarda il restauratore questa fase si
compone delle ricerche preliminari come bibliografia, fonti iconografiche, analisi storiche; cioè tutti
quelli elementi che ci permettono di capire la storia del nostro edificio.
2. Semeiotica [rilievo]  cioè la fase di valutazione dei sintomi e nel modo migliore per rilevarli, cioè
come e dove si manifestano i miei problemi.
3. Patologia o nosologia [valutazione – interpretazione del degrado materico – strutturale]  cioè la
fase di classificazione della malattia.
4. Individuazione delle cause [indagini preliminari]  senza conoscere l’origine del degrado non
posso poi risolverlo.

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5. Diagnosi [valutazione complessiva dei dati]  fase di giudizio che si esprime su un fenomeno dopo
aver esaminato ogni aspetto.
6. Terapia [progetto]  cura o meglio dire guarigione dalla malattia nel nostro caso dal degrado.
7. Regole comportamentali [riuso - manutenzione]  insieme delle regole atte ad allontanare possibili
discrasie.
Per il restauratore il degrado si manifesta come la modifica di un equilibrio dello stato originario e
come tale lo scopo del restauro è quello di debellare lo stato di degrado e di guarire l’edifico. Per il
conservatore invece il degrado rappresenta una trasformazione inevitabile, di conseguenza, il progetto
di conservazione lo si vede più come una cura per far star meglio l’edifico senza farlo tornare al suo stato
originale.
Il degrado nel passato viene visto come una perdita di bellezza nell’edifico, un difetto più a livello
estetico. Il degrado è solo un processo di natura chimico – fisica che se non opportunamente contrastato
porta alla perdita irrimediabile della materia e quindi della figuratività dell’architettura. Il riuso è un
concetto che va esteso anche alla funzione (da ricordare il concetto di accessibilità che nei tempi passati
non era preso in considerazione).

Il rilievo per il restauro


Rilievo, primo strumento per affrontare la progettazione sull'esistente. Per intervenire su un edificio
bisogna fare un progetto di "pre – comprensione".
Il progetto di rilievo è un aspetto fondamentale, mettere a punto un protocollo di rilievo è fondamentale.
Anche in epoca storica conoscere l'edificio era alla base della tutela (per conservare bisogna conoscere).
Tra le varie norme ottocentesche c'è una norma dello Stato Pontificio , tale norma prevede un rilievo
accurato prima di intervenire su un edificio.
Abbiamo anche Camillo Goito, uno dei padri del restauro, nel 1865 vuole unire le discipline del restauro e
del disegno, quali materie di insegnamento alla scuola di applicazioni di Milano (che poi diventerà il
Politecnico).
Questo legame fra le due discipline sarà riproposto nel 1883, nella Carta del restauro (regole di
comportamento, prima carta del restauro), fino all'ultima carta del restauro. Viene anche considerata
l'importanza della documentazione fotografica (all'epoca fotografare non era una cosa banale come oggi).
Nel 1932 abbiamo la Carta italiana del restauro a seguire nel 1938 abbiamo le Istruzioni per il
restauro dei monumenti, nel 1964 la carta di Venezia, ed infine, la Carta del restauro del 1972.
Fotografie: prima, durante e dopo; prima per lo stato di fatto, durante per documentare e dopo per
cristallizzare i risultati. Questo approccio al rilievo fotografico è utilizzato ancora oggi.
Ancora oggi rilievo e restauro sono sempre ben collegati.
Rilevamento o rilievo: insieme di azioni pratiche da eseguirsi per conoscere le specificità dell'edificio.
Fase pratica,
Rilevazione: raccolta sistematica di osservazioni individuali di un fenomeno collettivo per trarne dati
statistici che riguardano il fenomeno stesso.
Rilievo e contesto, che relazioni ha il nostro edificio con il contesto? Il nostro edificio è uno dei punti di
raccordo con una rete. Devo avere una legittimità territoriale, cosa fare del nostro edificio? Devo valutare
cosa ci sta attorno, quali sono le esigenze territoriali, come l'edifico si relaziona con l'intorno, soprattutto
se si ha un cambio di destinazioni d'uso. Analisi e studi progettuali, da farsi a partire da qui, poi man
mano scoprirò cose nuove e utili da finalizzare all'intervento stesso.
Queste sono operazioni propedeutiche alla progettazione, ma che sono fondamentali. Rilievo geometrico,
come anche quello Diagnostico.

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Dopo il primo mento di "ascolto" di ciò che l'edificio ha da dirci, passiamo alla fase attiva; dunque, alla
restituzione grafica di ciò che l'edificio aveva da dirci. La restituzione grafica deve essere più dettagliata
possibile, ma soprattutto devo restituire le particolarità, rappresentando l'effettiva realtà. La scala di
rappresentazione di rilievo deve essere la più accurata possibile, devo rilevare e disegnare
dettagliatamente. La scala minima per il restauro è del 50, più alcuni dettagli al 20, al 10 e all'1. Lettura
minuziosa dell'edificio, che fa da discriminante per il restauro. Il rilevo dettagliato ci permette di
impostare un progetto che non ci lascia delle sorprese a livello progettuale e operativo.
Rilievo per la conservazione del costruito:
a. partendo da un rilievo di inquadramento topografico – urbanistico, capendo dove è collocato
l'edificio, in quale contesto. Al 200, o al 500 se l'area è vasta;
b. planivolumetrico dell'edificio;
c. rilievo metrico – geometrico: piante, prospetti, sezioni;
d. rilievo architettonico critico – descrittivo: quello materico e del degrado, o per esempio i rilievi
delle tecniche murarie (anche se non affronteremo nella nostra esercitazione);
e. rilievo fotografico, ricognizione fotografica quindi una serie di foto che inquadrano l'edificio,
esecuzione di orto – foto piani (metodi spinti di raddrizzamento);
f. rilievo strutturale, ci limiteremo ad includere dei temi strutturali nel tema del degrado;
g. rilievo di dettagli costruttivi e decorativi;
h. rilievo degli elementi tecnologici: una serie di normative, relative alla conservazione
programmata, prevedeva un regolamento per questo tipo di rilievo.
Tutta questa fase di conoscenza diretta va in parallelo alla lettura delle fonti indirette, una supporterà
l'altra: l'informazione documentaria va verificata sulla materia; ma anche la ricerca di archivio nasce
anche da eventuali domande che sorgono l'indagine diretta, durante il rilievo.
Si passa poi alla restituzione grafica. << Con il termine rilevamento (o rilievo) architettonico si intende
la raccolta, l’analisi e l’interpretazione di tutti i dati geometrici relativi ad un edificio, ma anche quelli
legati al periodo storico in cui è stato costruito e quelli relativi all’uso che l’uomo ne ha fatto e ne fa >>.
“Per conservare bisogna conoscere” ; (finalità del rilievo = conoscenza del manufatto). Il
rilevamento individua, analizza e registra l’origine di un edificio e le vicende costruttive/trasformative
da esso subite, in pratica ne ricostruisce la storia e ne traduce i valori spaziali e architettonici in un
insieme di quantità numeriche.
Fase pratica: rilievo archivio dinamico di dati, la cui finalità è la conoscenza dell'edifico.
Per progettare un intervento su un edificio esistente è necessario conoscere. La conoscenza non è mai
perfetta, si può sempre accertare con ulteriori analisi, con ulteriori fonti che prima non erano note.
Come anche la storia, non è che è stata scritta ed è inviolabile.
L'evoluzione progressiva è alla base di tutto. Bisogna stare attenti a non cancellare tracce della storia.
Individuare e analizzare l'edificio è fondamentale, il rilievo è uno strumento che ci aiuta a ricostruire la
storia di un oggetto.
Rapporto storia-rilievo: la storia si basava prevalentemente sullo studio dei documenti storici scritti. È
solo a partire agli anni 20 del 900 che nasce un nuovo approccio alla storia: si utilizza come fonte ogni
tipo di documento, fra cui il rilievo, o anche le fonti orali. Nasce così il concetto di "monumento-
documento", leggendo la storia trascorsa sul monumento, che ha dunque lasciato il segno sulla materia si
scoprono informazioni o nuove o in contrasto con i documenti scritti. Dunque, la ricerca storica in questo
filone include l'analisi diretta di rilievo.
Dunque, la figura del restauratore deve essere presente anche nella fase del rilievo, eventualmente
incarica e si preoccupa che altri lo facciano, ma deve essere presente.
Diversi metodi esecutivi:
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– Strumenti classici (base) del rilievo longimetrico (detto diretto o tradizionale)  canna dell'acqua, per
definire il piano di rilievo, filo a piombo, pettine per dettagli, distanziometro;
– Gli strumenti del rilievo topografico  stazione totale;
– Laser scanner  restituisce una nuvola di punti 3D.
Procedimento di rilievo:
– raccolta delle informazioni: i caratteri di questo sono nel cosiddetto "progetto di rilievo",
dunque bisogna sapere cosa voglio sapere e che metodo esecutivo scelgo di utilizzare; cioè
l’esecuzione di un insieme di misure che guidano il rapporto tra il rilevatore, l’oggetto e il metodo
mensorio;
– restituzione delle informazioni : ricorso a un modello che riporta, in modo comprensibile e
codificato, le informazioni raccolte, significative. Il linguaggio codificato utilizzato è molto
importante;
Sopraluogo preliminare: acquisizione dei primi basilari fondamenti di conoscenza delle caratteristiche
dimensionali e costruttive di un edificio, inserito nel suo contesto e riguardato nel suo stato di
conservazione, d’uso e di efficacia.
Eidotipi preliminari: schizzi realizzati a mano libera, rappresentano qualitativamente le caratteristiche
rilevate. È sempre importante raccogliere in modo organizzato la documentazione di rilievo. Gli eidotipi
vanno poi classificati in schede, nome di chi esegue il sopralluogo, dove, data (devo essere chiara,
interpretabili da tutti).
Prima idea delle caratteristiche dell'edificio: la scelta del modello dipende da: cosa ho di fronte, a
cosa è finalizzato il rilievo, tempi che ho a disposizione.
Dunque, devo eseguire un progetto del rilievo. Più alto sarà il numero di punti, più sarà dettagliato il mio
modello. Modello troppo approssimato può essere non compatibile con il modello costruito, mentre un
rilievo troppo dettagliato può complicare la fase di ridisegno.
L'ideale è essere sul luogo, vedere quali sono gli impedimenti (mobili etc..), stabilire una quota
orizzontale che tagli le finestre (a un metro e qualcosa), scelgo la base della trilaterazione, e da lì creo dei
triangoli, senza prendere gli spigoli (non so se le pareti sono a 90), non si usano le pareti come lato di un
triangolo (non saranno perfettamente rette).
Quando trilatero appiccico un target o segno con il gesso. Mi servono minimo due punti, Per definire lo
spanciamento della parete mi servono molti più punti, ad esempio se ho delle volte individuo anche i
punti delle imposte delle volte, e trilatero anche da lì, poi quando restituirò la pianta avrò già l'impronta
delle volte.
C'è anche il discorso dei collegamenti fra le stanze, punti di stazione topografica.
La precisione del rilievo non va confusa con la precisione dello strumento. Con un rilievo longimetrico
manuale posso ottenere un rilievo molto preciso. Discriminante: con la bindella devo toccare un punto e
l'altro.
Rilievo longimetrico: i longimetri sono strumenti che misurano distanze tra punti; la rotella metrica, non
va bene, essendo di plastica non è precisa, non ha disegnati i millimetri. Possono essere dei longimetri i
seguenti strumenti:
– Metro rigido;
– Flessometro;
– Distanziometri (Diso) laser;
– Calibro;
– Pettine;
Per quanto riguarda il lavoro di livellazione, abbiamo:

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– Filo a piombo;
– Livella torica;
– Auto livella (spara un laser lineare);
– Livello ad acqua, che sfrutta il principio dei vasi comunicanti. Una gomma dell'acqua lunga una
decina di metri, la riempio senza fare bolle d'aria, i muratori ci mettono un goccio di vino, una
volta riempita la canna dell'acqua
Quali punti livelliamo? Noi facciamo riferimento alle proprietà geometriche del triangolo, l'unico modo
che abbiamo per controllare e costruire il modello di rilievo, di qualsiasi edificio è di scomporlo in una
serie di triangoli, tali triangoli devono avere almeno un lato in comune. I punti che rileviamo saranno i
vertici del triangolo.
Triangolo: figura rigida, non deformabile e univocamente determinata nel momento in cui si conoscono
almeno due di questi elementi; o le dimensioni dei tre lati o le dimensioni
di due lati e angolo compreso o dimensioni di un lato e due angoli
adiacenti.
Il metodo delle trilaterazioni nasce dal fatto che conosciuti tre lati,
Fig. 1 Trilaterazione a catena
esiste solo un triangolo così fatto. La
conformazione dei triangoli, in cui scompongo il vano, influenza la correttezza
e la precisione del rilievo. Evito triangoli eccessivamente ottusangoli o
acutangoli, la conformazione migliore è quella equilatera, diminuisco la
probabilità di fare errori. Poi in realtà dovrò fare anche triangoli molto acuti,
ad esempio quando devo chiudere un triangolo che passa da una porta; quindi,
in quel caso farò tanti triangoli, in modo da circoscrivere l'errore.
Fig. 2 Trilaterazione a rete. Il metodo delle trilaterazioni a catena è l'unico metodo possibile quando
abbiamo dei vani che si sviluppano longitudinalmente, ad esempio i corridoi, ogni triangolo ha un lato in
comune con quello adiacente. Attenzione perché gli errori ottenuti nella misurazione di un lato tendono a
propagarsi.
Trilaterazione a rete: i lati in comune tra i triangoli sono più di uno. Il punto centrale volerebbe nella
stanza, quindi noi lo evitiamo. Lo potrei usare per un rilievo topografico. Nel nostro caso tutti i punti
devono essere geograficamente localizzabili.
Trilaterazioni ancorate a una base : punti che, se uniti stabiliscono la base. tutti i triangoli che
costruisco devono avere quel segmento in comune, ogni triangolo è indipendente (se sbaglio a misurare
un segmento, l'errore rimane circoscritto, non si propaga). È il modo migliore per controllare l'errore.
Base: circa in mezzeria del lato più lungo (divido la stanza in due parti più o meno uguali, e i triangoli
che ottengo sono abbastanza simili), per definire l'andamento della parete scelgo almeno due punti per
ogni parete/porzione di parete, vicino agli spigoli (ma mai sullo spigolo).
Triangoli: quelli con i punti paralleli alla base, quindi sulle pareti parallele è più semplice, poi passo
alle altre pareti, ma la parete non può essere un lato del triangolo allora sfrutto uno degli altri punti. Una
volta misurati questi segmenti, dovrò prendere anche le misure delle pareti: prendo le misure a partire dai
miei punti, in maniera progressiva: 1 e spigolo, poi 1 e 2 poi 1 e 3 ... a volte, soprattutto per collegare due
stanze, è necessario utilizzare anche gli spigoli.
Coltellazione: con la quota livellata (tiro un filo di nylon quando ho livellato), e prendo le misure dalla
quota livellata, così da poter tracciare la pianta della nicchia, come anche per le volte e archi, e in
generale l'altezza.
ESERCITAZIONE: Fai un progetto di rilievo sulle tavole, pesando a una livellazione, definendo punti su
pareti, definendo la base, e collegare le stanze. Trucco: costruire triangoli più regolari possibili, pensare
stanza per stanza ma anche punti che si vedano da altre stanze. Rigorosamente a mano, senza righello.
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La ricerca storica per il progetto di conservazione
La ricerca storico archivistica si basa su un’analisi critica che certe principalmente attraverso lo studio:
– Delle fonti bibliografiche;
– Delle fonti archivistiche;
– Delle fonti iconografiche.
Lo scopo della ricerca storico archivistica è quello di inquadrare l’edificio nel suo contesto
storico, di analizzare le trasformazioni/interventi avvenuti nel corso del tempo (vicende conservative);
permette di interpretare i segni del tempo sull’edificio ma soprattutto permette di comprendere le
caratteristiche costruttive, materiche e di degrado. Il documento finale dovrà essere caratterizzato da:
– Indice;
– Paragrafi;
– Bibliografia.
È sempre utile inserire in relazione una fotografia aerea o una mappa che identifichi l’edificio rispetto al
contesto, immagini dettagliate della cartografia storica reperita presso l’archivio di stato di Brescia (in
didascalia va sempre messo il riferimento archivistico); è anche utile inserire le informazioni desunte dai
catasti storici.
Nel caso di documentazione di progetti di restauro eseguiti, inserire in relazione una loro descrizione
corredata da documentazione grafica. Se viene reperita documentazione fotografica o iconografica
storica, è utile inserirla come immagine nel relativo paragrafo oppure come allegato finale.
Una prima ricognizione bibliografica può essere fatta su cataloghi on-line:
1. OPAC SBN Catalogo del servizio bibliotecario nazionale (http://opac.sbn.it);
2. RBB - Rete Bibliotecaria Bresciana (http://opac.provincia.brescia.it/);
3. Biblioteca di Ingegneria e Medicina (https://www.unibs.it/it/ateneo/organizzazione/biblioteche/biblioteca-diingegneria);
4. Biblioteca Digitale Lombarda (BDL) (https://www.bdl.servizirl.it/vufind/Search/Advanced).
Per la storia del territorio bresciano, oltre alla Biblioteca Queriniana, è utile consultare la Biblioteca della
Fondazione civiltà Bresciana (vicolo San Clemente 5, Brescia http://www.civiltabresciana.it/biblioteca.html).
Principali riviste di restauro:
– TeMa. Tempo materia architettura: rivista trimestrale di restauro Direttore: Amedeo Bellini (edita
dal 1993 al 2001) Disponibile presso la biblioteca di Ingegneria;
– Ananke. Quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto Direttore:
Marco Dezzi Bardeschi (edita dal 1993 a oggi) http://www.anankerivista.it/ (Disponibile presso la biblioteca di Ingegneria);
– Storia Urbana. Rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna
Direttore: Carlo Carozzi (edita dal 1978 a oggi) https://www.francoangeli.it/riviste/sommario.asp?IDRivista=58
(Disponibile presso la biblioteca di Ingegneria);

– Materiali e Strutture. Problemi di Conservazione Direttotrice: Donatella Fiorani (edita dal 1990 a
oggi) https://edizioniquasar.it/collections/materiali-e-strutture (Disponibile presso la biblioteca di Ingegneria);
– ArcHistoR (rivista open access di Storia dell’architettura e Restauro) Direttore: Tommaso
Manfredi (edita dal 2014 a oggi) http://pkp.unirc.it/ojs/index.php/archistor/index;
– Recupero e Conservazione (rivista digitale periodica dedicata agli operatori del restauro e del
riuso) Direttore: Chiara Falcini (edita dal 1994 a oggi) https://www.recmagazine.it/ (Disponibile presso la biblioteca di
Ingegneria).
I catasti storici per il territorio Bresciano:
– Catasto Napoleonico (inizio ‘800): per ciascun comune sono disponibili una mappa relativa
all’intero territorio; una mappa relativa al centro urbano e un registro catastale (Sommarione).

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– Catasto del Regno Lombardo-Veneto (metà ‘800): per ciascun comune sono disponibili
n – mappe relative all’intero territorio comunale (che è suddiviso in modo reticolare); un registro
catastale, una rubrica dei possessori e n – registri partitari.
– Catasto del Regno d’Italia (fine ‘800): per ciascun comune sono disponibili n – mappe
relative all’intero territorio comunale (che è suddiviso in modo reticolare); una tavola censuaria;
un prontuario ed n – registri partitari.
Il sommarione è un libro che serva di dichiarazione della mappa, ogni foglio del quale sarà diviso in
cinque colonne secondo l’annessa modulo A. Nella prima colonna sarà posto il numero o la lettera colla
quale resta contrassegnato nella mappa ciascun pezzo della medesima; nella seconda si inscriverà il nome
del proprietario del pezzo numerizzato; nella terza la denominazione del pezzo stesso; nella quarta la
qualità del terreno secondo il diverso genere di coltura, e l’uso, se è casa, od altro edificio; nella quinta la
sua superficie in pertiche censuarie e centesimi.

Il restauro come ricerca della perfezione formale. Eugène


Emmanuel Viollet – le – Duc
Restaurare un edificio non vuol dire riparare guardare bene libro. Viollet le Duc afferma che restaurare un
edificio non significa ripararlo o rifarlo ma ripristinarlo ad uno stato di completezza che può non essere
mai esistito in un dato momento.
Eugene Emmanuel Violet le Duc è un intellettuale/architetto con idee molto visionarie. Apre la sua
definizione di restauro con l’affermazione: “la parola e la cosa sono moderne ” cioe nega a
qualsiasi civiltà antecedente il XIX sec il sentimento del restauro.
Negli anni della Rivoluzione francese rimangono sugli edifici molti segni, che dettano distruzione e
mutilazione di molte chiese, fatti per cancellare il ricordo della monarchia.
Nasce la consapevolezza e il primo tentativo di conservare il patrimonio, perché ci si rende conto che non
si stava impoverendo la proprietà nobiliare ma si impoveriva un patrimonio collettivo. Nasce
un’organizzazione piuttosto avanzata di tutela e di studio.
Il romanzo più famoso della letteratura romantica in Francia è Notre - Dame de Paris: (Victor Hugo)
assume manifesto in tutta Europa, l’autore dichiara qual è il vero scopo del libro cioè la conservazione dei
monumenti antichi, Hugo denuncia i restauri sulla cattedrale di Notre – Dame perchè li considera non
giusti un po’ come una campagna di vandalismi.
Lo stesso romanzo “Notre – Dame de Paris” è tutto permeato dall’ansia di poter trasmettere al lettore il
rispetto per i monumenti gotici francesi sui quali grava una triplice minaccia:
– La prima, quella indotta nel tempo, si manifesta degrado;
– La seconda, provocata dagli atti di vandalismo rivoluzionario;
– La terza, l’unica contro la quale è ancora possibile intervenire, determinata dalle mutilazioni,
amputazioni, restauri, volute dai professori che avallano, anzi sollecitano, i restauri dei monumenti.
Nel 1830 nasce la figura dell’ispettore generale per i monumenti storici (Ludovic Vitet rimane in carica
però 4 anni poi Prosper Mèrimée con una carica di 26 anni); mentre nel 1837 nasce la commissione dei
monumenti storici (catalogo dei monumenti). In questo periodo la formazione di queste figure era
arricchita da diverse discipline e veniva completata tramite i viaggi.
La tutela dei monumenti risulta un po’ come un programma governativo che suscita l’interesse delle
figure politicamente attive in ambito parigino. Uno dei cenacoli più apprezzati era dello zio di Le Duc,
che sin da piccolo ha l’opportunità di frequentare questo cenacolo così da assorbire molte conoscenze.

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Questo è importante perchè elabora per primo una completa teoria del restauro architettonico,
permettendoci di avere una disciplina completamente costruita e poi i suoi concetti sono rimasti per molto
tempo come capisaldi della materia.
Violet le Duc nasce nel 1814 e muore nel 1879, fino agli anni 20 del ‘900 in tutto Europa e negli Stati
Uniti si restaurava con il metodo di Le Duc. Nel 1837 Viollet le Duc cresce a livello culturale e disegna
moltissimo, decide di diventare architetto, si rifiuta di entrare all’accademia di belle arti (unica istituzione
per studiare l’architettura); svolge un tirocinio in uno studio di architettura, si interessa alla geologia,
all’osservazione minuziosa dei monumenti (strumento fondamentale per conoscere l’edificio). In sintesi,
Viollet le Duc pensa che lo studio approfondito dell’architettura sul posto sia lo strumento fondamentale
di crescita per un architetto. Nel 1836 compie il suo personale viaggio in Italia e ci rimane un anno e
mezzo girando le principali città italiane. Quando torna in Francia nel 1838 inizia ad avere i primi lavori
come architetto, si indirizzerà poi verso l’indirizzo di restauro.
L’architettura è una risposta razionale a problemi di ordine sociale che assume l’edificio; si manifesta non
solo attraverso la razionalità dei processi costruttivi ma anche attraverso i segni dell’architettura.
Se ogni forma risponde ad un concetto razionale, ed esigenze razionali, è possibile ritrovare questo
rapporto razionale nell’analisi di ciascuna forma.
Viollet le Duc studia la storia dell’architettura francese, raggruppa i dati in un concetto che è evolutivo
per la storia dell’architettura. Viollet le Duc afferma che il valore dell’opera dante non segue un processo
evolutivo, ma il valore dell’opera d’arte si misura nella risposta dell’opera d’arte dei bisogni che gli sono
stati chiesti.
Il valore non è nella complessità ma nel modo in cui l’opera è organizzata e come
risponde alle esigenze per la quale è stata prodotta.
Teoria dell’architettura gotica: le Duc afferma che l’architettura gotica superiore a quella classica; ordine
e proporzionalità, quell’architettura che risponde in modo razionale.
L’architettura gotica è diversa da luogo a luogo, questo è l’aspetto razionale di questa architettura è un
richiamo alla società del medioevo. La struttura razionale di queste forme, in stretto rapporto con i
bisogni che hanno determinato queste architetture conducono alla possibilità di analisi di tutti i particolari,
e alla struttura sociale in cui l’architettura si inserisce.
La ricostruzione di una parte di queste architetture potesse avvenire con una medesima forma originaria;
ma cerca di ristabilire la completezza di un’architettura con forme coerenti che facciano funzionare
l’architettura che la restituiscano ad una realta razionale dell’architettura.
Nel caso in cui Viollet le Duc riconoscesse al progettista un errore, secondo lui il progettista doveva
correggere l’errore originario.
Il restauro per Violet le Duc: restaurare un edificio non significa ripararlo o rifarlo, ma rispristinarlo in
uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato momento.
Per Viollet le Duc è necessario in questi casi, cioè quando l’architettura è caratterizzata da una
stratificazione storica, individuare il principio razionale di ogni addizione e il rapporto rispetto all’edifico
nel complesso, considerando anche la modifica. Se una parte di edifico è sovrapposta ad uno più antico,
questa porzione non deve essere innata, va mantenuta invece se la sua realizzazione risponde a delle
necessità funzionali.
I cantieri di Viollet le Duc:
Chiesa della Madeleine a Vézelay  importante chiesa abbaziale benedettina costruita nel 1104.
Viollet le Duc inizia da un processo di conoscenza fondamentale, ascolta l’edificio, disegna, spende una
grande quantità di tempo sugli schizzi caratterizzate da linee programmatiche dell’edifico con le sue
caratteristiche (la maggior parte degli schizzi precedono le tavole acquerellate). Viollet le Duc in questo

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suo taccuino di schizzi si prefigge degli obiettivi quali valutare gli elementi costitutivi dell’elementi, ma
anche per capire i fenomeni di degrado che hanno colpito la chiesa.
L’architetto organizza il lavoro in lotti successivi, il cui obiettivo è quello di arrestare i fenomeni di
dissesto strutturale in atto con un approccio conservativo, esegue le puntellazioni, realizza le opere di
consolidamento e poi passa ad eliminare tutte quelle situazioni che possono caratterizzare dei danni.
Rimette i vetri, crea la fogna, rifà il manto di copertura, inoltre, nota che la struttura dei tetti e delle navate
laterali che sono più basse rispetto a quelle centrali. I tetti delle navate laterali sono stati rifatti con
un’inclinazione maggiore nel ‘600, inglobando così le finestre della navata centrale. Quell’inclinazione
comporta infiltrazioni di acqua piovana, infatti ritiene questa soluzione una soluzione irrazionale in
quanto è una situazione che provoca danni.
Il restauro della navata che ritiene costruita male sin dall’origine, sottolineando che nel tempo ha subito
molte trasformazioni (es. le ogive hanno sostituito gli archi a tutto sesto) gli interventi successivi hanno
comportato delle variazioni nel sistema statico che hanno richiesto dei rinforzi con archi rampanti e
contrafforti.
Le ultime tre campate della navata centrale verso il transetto, sono state ricostruite verso il XIII sec, ed il
problema che lui affronta non sono solo le
condizioni materiali ma anche di restituire una
volontà stilistica all’edificio.
Agisce in ragione delle circostanze particolari,
per esempio, possono essere le volte della navata
realizzata nel XII sec che in seguito ad un
incidente sono state in parte distrutte e poi rifatte
secondo la moda del momento. Non ha senso
ricostruirle nella forma posteriore perché in
questo caso Viollet le Duc le demolisce e le
ricostruisce in stile romanico in modo tale da far Fig. 3 Facciata occidentale, stato precedente il restauro.
coincidere il passaggio dal romanico al gotico con il passaggio dalla navata al transetto.
La scelta che dà prova di un’attenzione conservativa con cui Viollet le Duc interviene in questa chiesa
sono le scelte previste per la torre di sinistra della facciata principale. Viollet le Duc analizza la facciata
principale definendola mediocre per quanto riguarda il punto stilistico. Compie la scelta di non ricostruire
la torre di sinistra, questa l’aveva trovata mozza e decide di tenerla così solamente consolidando alcuni
punti e realizza una copertura per proteggere l’interno.
L’ultima parte di restauro che affronta è quella relativa al restauro degli apparati decorativi che viene
sostanzialmente rifatto dallo scultore.
Notre Dame de Paris  monumento più importante in Francia, Viollet le Duc riceve l’incarico per il
restauro nel 1844 insieme ad un suo collega più anziano cioè l’architetto J.B.A. Lassus incarico che
terminerà solo nel 1864. L’edificio attuale è un edificio costruito a partire dal XII secolo, i cantieri
medievali iniziavano a costruire dalla zona absidale (pianta compatta con una navata centrale e una
doppia navata laterale che poi si prolunga nel deambulatorio, caratterizzato anche dalla presenza del
transetto a filo).
Nella seconda metà del 700 si interviene su questo edificio inaugurale, interviene l’architetto Suffleau
(credo si scriva così) l’intervento più consistente è la realizzazione della sacristia nella zona meridionale
ed interviene anche sulla facciata modificando il portale centrale rimuovendo il pilastro centrale che lo
caratterizzava.
A fine 700 vi è la Rivoluzione francese, periodo particolarmente significativo in quanto vennero
danneggiati molti simboli religiosi. Tra il 1792 e il 1794 Notre Dame de Paris subisce molti
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danneggiamenti (pinnacoli, la guglia centrale (1792), sculture della facciata, capitelli). La flash era una
linea guida, all’interno della galleria dei re si trovavano le statue abbattute perché simbolo della
monarchia.
Nel 1842 viene indetto un concorso per assegnare l’incarico del progetto di restauro della cattedrale che
viene vinto da Lassus in collaborazione con Viollet le Duc. Che caratteristiche ha il loro progetto.
Il progetto viene accompagnato con un lungo rapporto che illustra i criteri di procedimento del loro
lavoro, rapporto che viene considerato come un manifesto della nuova scuola di restauro, che si stava
formando in quel periodo.
Nel restauro l’azione dell’uomo può risultare l’azione più dannosa rispetto all’azione del tempo. Il
restauro può essere più dannoso delle azioni del tempo e delle rivoluzioni in quanto queste distruggono
solamente senza aggiungere nulla; al contrario un restauro aggiungendo nuove forme può far scomparire
una quantità di vestigia. In questo caso non si sa cosa prendere in considerazione.
Restaurare un edificio significa rifarlo in una forma che magari non ha mai avuto vita in nessun tempo,
Viollet le Duc in questo momento afferma che il restauratore deve mettere da parte la sua fantasia e
ascoltare il monumento che guida l’intervento di restauro (processo razionale).
Il primo cantiere che tradirà queste dichiarazioni iniziali è proprio Notre Dame de Paris, che segna il
passaggio da un atteggiamento più prudente e conservativo ad un atteggiamento caratterizzato da una
volontà di reintegrare e di ripristinare l’edificio al suo aspetto originale.
I due architetti lavorano assieme fino alla morte di Lassus, che avviene nel 1857, e le Duc continua da
solo finendo il progetto nel 1864.
È come plausibile dopo la morte di Lassus, il progetto risente dell’idea di restauro di Viollet le Duc, dove
l’interpretazione personale di Viollet le Duc inizia a sostituirsi alla documentazione certa. Come giustifica
questo atteggiamento? Viollet le Duc distingue nettamente architettura e restauro, la fantasia e
l’invenzione sono sostituibili nel fare architettura, invece, sono inaccettabili nel fare restauro perché nel
restauro volgono solo quelle operazioni volte a restituire scientificamente le forme e le caratteristiche di
un edificio.
Come viene declinata questa su posizione, dal momento degli interventi eseguiti, e in questo senso è
molto importante la questione delle due guglie di facciata; le Duc era certo che due guglie dovessero
segnare il coronamento della facciata e ne fece un disegno e lo pubblica in un articolo. I due architetti
analizzano questa idea ma nel progetto non la includono, cioè non prevedono la costruzione delle due
guglie perché avevano osservato che nel caso fossero state aggiunte si poteva venire a creare un
monumento più bello di quello già esistente ma non sarebbe più stato il monumento di Notre Dame de
Paris, e queste guglie avrebbero snaturato la caratteristica di questo monumento la cui immagine si era
consolidata nella memoria dei parigini.
Un caso diverso è quello della flash cioè la guglia posta sulla copertura della chiesa posta nell’incrocio tra
navata e transetto, (guglia lignea ricoperta di piombo) questa flash già esisteva ma era stata abbattuta
durante la rivoluzione nel 1972. Per questa flash, avevano predisposto un progetto di ricostruzione su dati
certi (documentazione: disegni d’epoca), in seguito però Lassus non era certo sulla ricostruzione di questa
flash, vi fu cambio idea, modificando il progetto senza introdurre la ricostruzione della flash. Quando
Lassus muore però Viollet le Duc torna sui suoi passi e decide di ricostruire questa flash, tra l’altro
Viollet le Duc si fece rappresentare sotto forma di statua (San Tommaso) posta ai piedi della flash.
La differenza tra questi due casi: nel caso delle guglie di facciata si trattava di un’aggiunta al monumento;
mentre per quanto riguarda la flash si tratta di una ricostruzione dell’esistente. Altri interventi
riguardarono la decorazione interna, Notre Dame era caratterizzata da una decorazione del 700 che
Viollet le Duc fece eliminare, e riprogetta tutta la decorazione pittorica delle cappelle dando poi la
realizzazione pratica agli artisti del tempo.
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Per quanto riguarda il restauro delle sculture, nella galleria dei re in facciata Viollet le Duc fa rifare queste
statue, sui resti della documentazione lapidea utilizzando statue coeve, studiando sui vestirei medievali,
per riproporre una nuova decorazione coerente con quella già esistente.
E quindi troviamo il suo insegnamento, la sua volontà di progettare immedesimandosi nel progettista
originale. (In questo come per la flash si fa rappresentare sotto le vesti di un re).
Considerazioni: questo cantiere può essere considerato come sparti acque tra i due atteggiamenti di
Viollet le Duc (ad esempio la ricostruzione della flash). La padronanza delle tecniche, ormai sperimentata
da Viollet le Duc nei molti lavori realizzati fino a quel momento, gli consentono di essere sempre più
sicuro delle soluzioni da adottare. Queste sicurezze si rifletteranno in tutti gli altri suoi interventi,
governati dalla volontà di completare oppure ripristinare.
15 aprile 2019 durante alcuni lavori di restauro nella cattedrale di Notre Dame scoppia un incendio che
devasta il tetto di questa chiesa. La cosa che suscita scandalo è stata la scarsa attenzione alla sicurezza nel
cantiere, (Notre Dame per l’UNESCO è il secondo monumento più visitato a Parigi, e la seconda chiesa
più vista in Europa). Le strutture murarie seppur danneggiate sono rimaste in piedi, tutte le volte hanno
resistito tranne 3 (una nel transetto, una nella navata principale e una al loro incrocio) che sono crollate
probabilmente per il collasso della flash che spazzandosi si è abbattuta su di esse. Le pareti perimetrali,
gli archi rampanti e le due torri di facciata, che sono in pietra calcarea, non hanno subito crolli, però in un
incendio di quella portata hanno subito danni abbastanza ingenti anche se non si vede a prima vista. Lo
shock principale per il materiale è dovuto all’aumento repentino di temperatura a causa del calore
dell’incendio e dell’abbassamento repentino dovuto all’acqua per lo spegnimento; considerando che la
pietra calcarea tra gli 800 e i 900 gradi tende a calcinarsi (la calcinazione riduce il comportamento a
compressione), decomponendosi in ossido di calcio.
Questo shock termico può far creare spaccature all’interno del materiale dando vita a dei futuri dissesti,
un altro problema venne dato dal piombo fuso della guglia.
La perdita più grave è quella della struttura lignea del tetto (la selva), considerando che la maggior parte
della struttura lignea nonostante la sua complessità risaliva al XIII secolo; e per le sue dimensioni e
complessità era considerata un esempio di carpenteria medievale unico nel suo genere.
Anche la guglia di Viollet le Duc (alta da terra 93 mt) costituiva l’elemento simbolo del restauro stilistico
ottocentesco, alla base di una rigorosa conoscenza dell’architettura.
Sotto un certo punto di vista disciplinare del restauro, la perdita di questa flash, risulta più grave rispetto a
quella delle tre volte, perché la disciplina del restauro ha a disposizione strumenti e tecniche ormai
consolidate, per poter affrontare il problema.
Le scelte riguardanti la ricostruzione del tetto e della flash non saranno facili a causa della reperibilità dei
materiali con quelle caratteristiche compatibili/simili a quelle originali, pensandoci sarebbe più opportuno
riutilizzare il materiale ligneo per lo più per ragioni di compatibilità con quello esistente, al posto di
inserire una struttura metallica.
2019 i progetti per Notre Dame: gli architetti attratti dall’annuncio di Macron di dare il progetto in
mano a chi avrebbe vinto il concorso per il restauro della cattedrale; sono state avanzate molte proposte
come ed esempio la ricostruzione del tetto e della guglia in acciaio e vetro avanzata da parecchi architetti.
In questi casi non dovemmo scordarci le tante esperienze, per esempio quelle del secondo dopoguerra
(opere distrutte dai bombardamenti), oppure come gli edifici distrutti da degli incendi. Attorno a queste
perdite che hanno in comune il fatto di essere delle perdite improvvise, si è sviluppato nell’ultimo secolo
un dibattito piuttosto serio. Il caso di Notre Dame, fortunatamente, è molto diverso dai soliti edifici che
hanno subito una perdita improvvisa, questo perché la sopravvivenza della maggior parte della struttura
muraria permette di restaurare le parte distrutti evitando la falsificazione di ciò è scomparso. Se si ragiona
sulla posizione delle archistar tendono a lasciare il loro segno, della loro personalità nel progetto ma non
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hanno quasi mai (salvo alcuni casi) una
competenza specifica nel campo del restauro,
ecco perché non è a loro che ci si deve rivolgere
ma il caso di Notre Dame è stato affidato a degli
esperti in vari settori (team che viene gestito da
dei restauratori). La disciplina del restauro e
quella che deve prendere parole sul restauro di
Notre Dame. Jean Nouvel ha saggiamente
invitato l’amministrazione francese alla cautela,
e di lasciare tempo agli esperti e agli storici di
valutare il monumento per poi procedere con il
Fig. 5 Carcassonne prima del restauro di Viollet-le-Duc, 1830 ca.
progetto.
Citè di Carcassonne  cittadina a sud della Francia, che già in età romana diventa un campo
fortificato, la sua prima cerchia muraria risale III E IV seco d.C. e poi ti arricchisce la sua storia con una
serie di fortificazioni che nel corso dei secoli vedono molte modifiche fino al loro completo abbandono.
Nel 1600 Carcassonne raggiunge il culmine della sua decadenza e all’inizio e del 1804 viene cancellata
dal censimento delle piazzeforti. Quindi dalla metà dell’800 la città papere in uno stato di fortissimo
degrado, tanto che Il governo francese volle
procedere alla completa demolizione delle parti
esistenti; succede che un archeologo del posto si
oppone e si rivolge a Prosper (rivedere nome su slide)
invitandolo a visitare la città per sollecitarlo a
bloccare la volontà di demolizione e a promuoverne il
restauro. Entra in gioco Viollet le Duc per verificare
le condizioni di conservazione della cortina muraria
di oltre 3 km intervallata da numerose torri e porti.
Viollet le Duc era un grandissimo storico
dell’architettura ed era fortemente interessato Fig. 6 Cattedrale di Saint-Nazaire (1844-1864).
all’architetta medievale, e questo complesso fortificato per lui era un importante caso di studio sulla base
delle tracce materiali ancóra rinvenibili.
La città fortificata è considerata come una macchina da guerra, in questo caso più da difesa, dove ogni
parte risponde ad un’esigenza specifica, è una macchina che funziona in modo razionale e può essere
indagata e studiata in modo razionale.
Un primo incarico per i restauri della cattedrale affetta da degrado diffuso in murature, coperture e nelle
parti decorazioni, questo incarico risale al 1844 poi nel 1846 viene
incaricato di uno studio preliminare della cittadella compreso il
castello e di alcune porte della cinta muraria.
L’obiettivo era quello di restituire l’intero impianto e di
completare le porte e le torri, che erano tutte in uno stato di forte
degrado.
Cattedrale di Saint – Nazaire  nella parte sommitale della
facciata si può notare che iFig. due 4 Citè di Carcassonne.
tetti a falde sono stati sostituiti
da una copertura merlata mentre le quattro aperture centrali che all’inizio erano tamponate vengono
ripristinate; anche i tetti a falde delle navate laterali vengono sostituiti da coperture a terrazzo con
balaustre e infine viene abbattuto il fabbricato angolare che concludeva l’Inter sezione tra il transetto e la
navata. Questo progetto di restauro è caratterizzato dall’adesione di Viollet le Duc ad uno stile
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sostanzialmente il progettista decide di trasformare il fronte della chiesa, che guarda verso la cinta
muraria, in una sorta di facciata fortino.
La navata viene mantenuta nella sua conformazione romanica mentre la scala ottagonale fa un po’ da
cerniera tra la parte gotica e la parte romana.
Il ridisegno di questa fronte simboleggia un po’ la fantasia
di Viollet le Duc, di certo non si basa su una
documentazione certa, però, da una motivazione a questo
ridisegno giustificandolo dicendo che la facciata si
trovasse nelle vicinanze della cinta muraria antica
pensando che la chiesa fosse anticamente fortificata (tutto
senza alcuna documentazione).
Sulle cinte fortificate: innanzitutto esegue la liberazione
totale delle nizze attraverso la demolizione di tutte le
casupole addossate alla cinta muraria; consolida le torri e
Fig. 7 Castello di Pierrefonds (1857-1879). le parti di cinta muraria in stato di degrado strutturale,
ricostruisce le parti crollate, rifà le parti terminali del circuito murario rifacendo tutte le merlature e le
parti di copertura, tutte realizzate in ardesia, rifà i camminamenti di gronda e ricompone gli ambienti
interni delle torri.
L’intervento sulle fortificazioni le Duc si concentra sulle proposte relative alle Torri del fronte nord che
lui definiva Torri visigote.
Al momento dei lavori, Viollet le Duc, sceglie di riprodurre la conformazione dei tetti riconducibili allo
stato in cui si sarebbero trovati alla fine del XIII secolo cioè a quelle coperture a inclinazione piuttosto
accentuata, fatte in ardesia. Fa questa scelta per conservare l’omogeneità del profilo.
Il restauro della porta di Saint – Nazaire (fortemente degradata) segna un po’ una rottura con l’approccio
precedente ai restauri, qui si allontana dalla prudenza che aveva finora tenuto ed esegue una ricostruzione
totale di questa struttura. È un restauro di ripristino, una delle opzioni più interessanti fu proprio la scelta
di usare l’ardesia, al posto del laterizio, per le coperture. La città restaurata da Viollet le Duc assume un
radicalismo che non è tipico di quel luogo, ma assume una connotazione molto più simile a quella dei
centri storici.
Castello di Pierrefonds  castello costruito alla fine del 1300, per conto di Luigi d’Orleans, e nel
1407 viene concluso. Anche questo castello subisce una sorte un po’ sfortunata perché all’inizio del 600
viene smantellato, per ordine del cardinale Richelieu, e le torri vengono minate e fatte saltare e quindi di
questo rimarrà la rovina.
Nel 1857 Napoleone III, incarica Viollet le Duc del restauro del castello con lo scopo di farlo diventare
una residenza imperiale. In un primo momento l’idea progettuale e quella di limitarsi a delle opere di
consolidamento delle parti strutturali, di realizzare le coperture necessarie, mantenendo il carattere di tipo
rudere. Questa idea però viene abbandonata e il progetto diventa più ambizioso e articolato, alla fine verrà
totalmente ripristinato.
I lavori continuano fino alla morte di Viollet le Duc (che avviene nel 1879) a questa date i lavori di tipo
strutturale risultano già completati e i lavori saranno portati avanti da un altro architetto fino alla sua
morte nel 1884; a questo punto il cantiere si ferma e il castello non fu mai abitato.
In questo progetto Viollet le Duc lavoro oltre al ripristino vero e proprio dando ampio margine
all’inventiva e alla sua capacità di progettare in stile, dovuta alla sua grandissima conoscenza storica
architettonica. Le operazioni che Viollet le Duc attiva su questa fabbrica non sono chiaramente indirizzate
alla sua conservazione ma a inseguire un’autonoma unità di stile.

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In conclusione, per quanto riguarda l’attività operativa di Viollet le Duc l’arco della sua esperienza è
segnato senz’altro dagli estremi dei due episodi distanti fra loro rispetto alle scelte effettuate. Da un lato
all’inizio della sua attività progettuale guarda all’attenzione conservativa per la stratificazione e per i
valori documentali, dall’altro, al termine della sua carriera progettuale, si guarda alle ampie costruzioni
che hanno caratterizzato soprattutto il restauro del castello di Pierfonds.
Quello del rapporto tra teoria e prassi è uno dei motivi più importanti della riflessione sul restauro e
Viollet le Duc è stato uno dei primi a doversi scontrare e confrontare con le contraddizioni che governano
questo rapporto.
Per Viollet le Duc la fine di un’architettura può avvenire solamente quando non vi è possibilità di
intervento. Il mezzo migliore per conservare un edificio è dargli una destinazione d’uso che rispetti
l’edificio senza stravolgerlo.

Alle radici della conservazione John Ruskin e William Morris


Ci spostiamo nell’Inghilterra vittoriana che è il paese dove è nata la rivoluzione industriale. È un paese
ricco un paese potente grazie alle sue colonie e qui si sviluppa in questo periodo un profondo dibattito sui
problemi sociali che incide sulle classi colte. La vera ossatura dello stato dal punto di vista economico e
anche nell’elaborazione dei modelli culturali è costituita da una classe medio borghese in ascesa e una
aristocrazia illuminata (consapevoli delle proprie stabilità economiche e sorrette da una rigida etica
religiosa).
Per quanto riguarda i temi più attinenti al restauro, in un paese tutto rivolto alla costruzione del proprio
futuro, come l’Inghilterra, non sono sentite le stesse esigenze di intervento immediato sui monumenti del
passato, che invece avevamo visto in Francia.
L’attenzione si concentra soprattutto sui legati fra l’architettura e i problemi sociali nuovi (legati alla
crescita delle città, e alla nascita di strutture e infrastrutture della rivoluzione industriale). Cio che tiene
vivo il dibattito dell’architettura è la polemica relativa alle condizioni sociali che diventerà un argomento
importantissimo per il dibattito quotidiano.
Dal punto di vista del modo strettamente legato al modo di fare l’architettura lo stile che riesce rendere le
distanze sociali uguali e il linguaggio gotico.
Però attenzione, perché, mentre nell’Europa continentale Viollet le Duc aveva incanalato la rivalutazione
del linguaggio gotico verso una scientifizzazione naturalistica, il linguaggio gotico, però, è talmente
radicato nella natura di quel paese che vive senza interruzioni dal medioevo in poi. In Inghilterra non si
può parlare di una riscoperta e di una rivalutazione del gotico; è un linguaggio che ha varie inclinazioni.
In questo periodo allo studio e l’utilizzo del gotico si affianca ad una riscoperta del medioevo che
accentua gli aspetti mistico religiosi (sottolineati i rapporti tra arte gotica e i profondi valori della società
cristiana inglese).
In questo contesto emerge il personaggio di John Ruskin: che riassume tutte le istanze sia nel suo
operato che nei suoi scritti; e che sono fondamentali per la teoria del restauro.
Ruskin non era né un architetto né un restauratore; ma è tutt’ora considerato il padre della teoria della
conservazione architettonica; non essendo né un architetto né un restauratore non rimangono né progetti
né cantieri (al contrario di Viollet le Duc) e la sua eredità fortissima erano i suoi scritti che influenzano
molti campi del sapere incluso il restauro architettonico.
Fu uno scrittore, un critico d’arte, e l’unica attività artistica di Ruskin fu un grandissimo numero di
schizzi, appunti di viaggio, e gli scritti letterari.
Nasce a Londra nel 1819 da una famiglia della medio – alta borghesia (commercianti), vive in un
ambiente dove gli affari che vanno di pari passo con la rettitudine morale e il buon gusto in campo

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artistico. Fin da giovanissimo con i suoi genitori viaggia tantissimo, visitando soprattutto posti di
interesse artistico e di interesse paesaggistico – naturalistico.
La cultura di Ruskin non viene acquisita tutta all’interna delle strutture scolastiche ma anche dalla severa
istruzione famigliare e dalla conoscenza diretta di luoghi suggestivi.
Nel 1833 a 14 anni compie il suo primo viaggio da solo, visita per la prima volta l’Italia (dove tronerà
moltissime volte). Comincio molto presto a scrivere, i suoi primi libri sono libri dedicati alla pittura
(Modern painters) a sostegno di un suo ammiratissimo artista contemporaneo William Turner. Il suo
primo interesse è verso la pittura ma poi si sposta verso l’architettura, e inizia a pubblicare vari saggi. The
Stone of Venice scritto accompagnato con degli acquerelli da lui stesso realizzati.
Nel 1849 pubblica The Seven Lamps of Architecture ; è l’opera che più di ogni altra concentra le
sue nuove teorie e le sue posizioni nel confronto del restauro.
Tutti questi suoi volumi (tradotti in molte lingue), gli consentono di acquisire una fama alquanto alta.
Dopo la morte del padre, che gli aveva garantito una perspicua eredità, Ruskin cerco di mettere in pratica
molte delle teorie che aveva sostenuto per decenni. Dilapido il suo patrimonio in opere sociali a carattere
filantropico, che aveva lo scopo di educare all’arte le classi operaie.
È esistita una serie di movimenti, rappresentati da personaggi con interessi di natura prevalentemente
filosofica che tendevano al rifiuto dell’industrializzazione e di un mondo che separava nettamente il
lavoro dall’esperienza quotidiana; ma volevano una società di carattere più comunitario. Comunità nelle
quali si sperimentavano forme di cooperazione e di comunanza che miravano da un lato a realizzare la
giustizia sociale e dall’altro il lavoro non frazionato.
Nel momento in cui si realizzano queste comunità, esse diventate una grande fonte di sperimentazione
anche sul campo architettonico e umanistico. In queste strutture architettoniche il problema sociale
dell’architettura, cioè la funzione che l’architettura assolve per rispondere ai bisogni della comunità e la
prevalenza inevitabile di aspetti funzionali rispetto oggetti di tipo stilistico fanno spesso di questi
esperimenti un momento di preparazione all’architettura contemporanea. Perché queste problematiche
sono le problematiche tipiche che emergono dallo sviluppo e dalla nascita della società contemporanea.
Nel 1871 si viene a creare la gilda (antica associazione caratteristica dell’Europa per l’assistenza di
carattere religioso e artigianale) di San Giorgio destinata agli operai. Fonda poi la compagnia di San
Giorgio che è destinata alla formazione professionale degli artigiani, perche secondo Ruskin l’artigianato
è l’esempio concreto dell’importanza del lavoro materiale.
Alla fine del 1870 questa malattia di cui Ruskin soffre si fa più acuta; tuttavia, non gli impedisce di
pubblicare nuove opere.
Nel 1889 ha un ultimo attacco piuttosto grave che lo riduce in stato di coma che per dieci anni la terra in
quello stato fino alla sua morte nel 1900.
Il concetto di estetica di Ruskin: per Ruskin la verità sta nella natura. La natura è il valore supremo a cui
l’uomo può accedere e l’artista colui che è dotato di qualità, con le quali è in grado di vedere
comprendere la verità che sta nella natura traducendola in immagini e suoni. L’arte è capace di
trasmettere conoscenza e permette di comprendere la verità insita nella natura; di conseguenza l’artista ha
un ruolo fondamentale. L’opera dell’artista non è altro che un fatto morale in quanto è un modo per far
conoscere la verità.
Per Ruskin l’arte non è un fine, ma uno strumento per comprendere la verità insita nel mondo naturale.
Quindi l’arte non ha nessuna possibilità di essere prodotta razionalmente, né di essere analizzata
razionalmente; quindi, l’arte ha un carattere sublime, non può essere ridotta a concetti razionali.
Ruskin afferma l’opposto di Viollet le Duc che era mosso da un percorso di progettazione razionale e
quindi puo sostituirsi; comprendendo il meccanismo razionale che si otteneva dal progetto originale, al
progettista originario e completare/ricostruire l’edifico. Ruskin afferma proprio l’opposto nessuno può
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sostituirsi all’azione dell’artista perché non segue alcuna valutazione ragionevole; ogni alterazione di
un’opera d’arte è un tradimento del messaggio dell’artista.
Abbiamo il dovere di conservarla, ma mai abbiamo la possibilità di alterarla. Ruskin considera arte
qualsiasi manufatto, riconosce questo valore artistico non solo al concetto assoluto di arte ma anche alle
opere dell’artigiano.
Nella cultura inglese di questo periodo si fa strada una sensibilità estetica che permette un approccio
diverso ai resti del passato, difatti si strada una nuova sensibilità estetica che è la teoria del sublime. Ci si
allontana dal principio di una bellezza perfetta, canonica, completa ma si cercano quegli elementi che
rappresentano il conflitto, uno scontro.
In questa tendenza all’apprezzamento del sublime si è portati ad apprezzare i segni del decadimento, che
provocano nell’osservatore un senso di malinconia. In molti dipinti di pittori di quest’epoca sono presenti
queste rovine, il cui messaggio simbolico era quello di evidenziare la grandezza del passato ma anche la
consapevolezza della fine. Questo senso del bello malinconico prende il nome di pittoresco cioè talmente
bello da essere reso una pittura.
Ruskin sostiene che l’uomo tende al sublime quando cerca di realizzare oggetti eterni, in questo modo
l’uomo cerca di porsi in confronto a Dio (l’unico in grado di creare elementi eterni), questo significa
combattere una battaglia perduta, perché l’uomo sa che è impossibile ottenere l’eternità per quello che
realizza, perché tutto rientrerà nel grande processo della vita. Ruskin afferma che l’uomo tende a mettersi
in competizione con Dio anche se sa che non potrà mai riuscirci; ma anche il senso che l’uomo vuole
lasciare una sua traccia e anche questo carattere vano della sua battaglia si mischiano e assumono il
carattere e lo stile che connota l’artista. La nobiltà di un’architettura la si vedrà solo dopo molti secoli,
perché solo dopo molto tempo si vedrà quanto l’artista sia riuscito a lasciare un segno leggibile
nonostante il degrado.
The Seven Lamps of Architecture : Ruskin si ritiene contrario a ogni intervento di ripristino sul
monumento; la sua teoria in questo campo sono all’interno dei suoi scritti (nei celebri aforismi all’interno
di Seven Lamps of Architecture); il libro è suddiviso in sette capitoli:
– Lampada del sacrificio;
– Lampada della verità;
– Lampada della potenza;
– Lampada della bellezza;
– Lampada della vita;
– Lampada della memoria;
– Lampada dell’obbedienza.
Queste lampade rappresentano gli obiettivi che il costruttore deve avere presente a lato di una
progettazione il proprietario deve riconoscere e utilizzare e che il restauratore deve mantenere.
Seguendo un ragionamento prettamente moralistico queste lampade esprimono dei giudizi e criteri
sull’arte; fra queste lampade che guidano la vita di un’architettura, la lampada della memoria è la più
importante per quanto riguarda il restauro.
Aforisma 31: il cosiddetto restauro è il tipo peggiore di distruzione. Esso significa la più totale
distruzione che un edificio possa subire; una distruzione alla quale non resta più nulla; una distruzione
accompagnata dalla falsa descrizione della cosa distrutta […]. Non parliamo dunque di restauro. è
questa una menzogna dall’inizio alla fine. […]
Prendetevi solerte cura dei vostri monumenti e non avrete bisogno di restaurarli.
Viollet le Duc invece sosteneva che restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo e rifarlo, è
ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo.

18
Ruskin all’interno del capitolo della lanterna della memoria esalta la bellezza delle rovine, il pittoresco
piuttosto che l’aspetto falso di un edificio che attraverso il restauro si è cercato di nascondere il belletto.
Queste idee di Ruskin furono basilari per mettere in pratica le correnti di pensiero legate socialismo
utopista.
William Morris noto allievo di Ruskin che fondò l’Arts and Crafts; Ruskin è colui che teorizza ma
alla fine non è lui che poi interviene, nel campo del restauro le idee di Ruskin stanno alla base dalla
nascita del movimento inglese col nome di anti - restauration moviment meglio noto come movimento
anti – scrape. Questo movimento di opinione si opponeva tenacemente al restauro stilistico di Viollet le
Duc e sintetizzato, infatti, nel verbo inglese ti scrape (grattare). Colui che viene considerato il più
importante seguace di Viollet le Duc è George Gilbert Scott (il più importante architetto vittoriano); col
pretesto di riportare i vecchi edifici alla purezza di un ipotetico stato primitivo finivano per privarli di
ogni testimonianza artistica, lasciando al loro posto delle copie di ciò che erano stati.
Il risultato pratico di questi interventi era innanzitutto edifici privi di intonaco, questa moda di scrostare
gli edifici è arrivata ai giorni nostri. L’obiettivo è quello di portare alla vista pietre e mattoni che magari
erano nati per non essere a vista. Oppure al contrario quando un edificio appariva particolarmente
modificato una modalità per riformare queste aggiunte arbitrarie venivano imbellettati con intonaci per
coprire, che magari non erano mai esistiti.
Contro questa prassi distruttiva e che alterava i monumenti scende in campo William Morris, che al
contrario di Ruskin è di formazione architetto e artista è il braccio operativo e riesce a dare corpo all’idee
espresse di Ruskin e a renderle operative. Per combatte questi scempi compiuti dai restauratori Morris
raccolse attorno a sé un numero di attivisti, intellettuali anti – scrape. Questo gruppo 1877 diede vita alla
SPAB il cui scopo e quello di mobilitare l’opinione pubblica per proteggere gli edifici antichi dai
vandalismi condotti dai restauratori. Nel 1879 la SPAB avviò una campagna per salvare i marmi della
basilica di San Marco a Venezia che stavano per essere sostituiti perché erano invecchiati.
Contrapporre la conservazione al restauro voleva dire porre le basi per una nuova cultura della
conservazione. Queste posizioni di Morris vengono definite nel manifesto dalla SPAB.
I principi affermati dal manifesto erano piuttosto semplici anche se molto rivoluzionari e sono serviti a
suscitare lo sdegno della società pubblica. Proteggere gli edifici antichi per questa società significava
conservare i prodotti del passaggio attraverso il tempo degli edifici fino ai giorni nostri.
Obiettivi dell’anti – scrape society :
– Rispettare gli edifici antichi come preziose testimonianze di arte e storia, proteggendole dai
moderni restauri vandalici;
– Convincere coloro che dovevano prendersi cura degli edifici antichi a sostituire il restauro con la
tutela, evitando il naturale degrado con cure quotidiane, senza però manomettere il manufatto
nella struttura o negli ornamenti;
– Nel caso di un edificio antico non più adatto ai nuovi usi, evitare adattamenti o ampliamenti, ma
costruirne uno nuovo.
John Ruskin: Non parliamo dunque di restauro. Si tratta di una menzogna dal principio alla fine.
William Morris: coloro che ai nostri giorni producono trasformazioni che fanno passare sotto il nome di
restauro, con la pretesa di ripristinare l’edificio come all’epoca migliore della sua storia, non si fanno
guidare da alcun modello, ma si affidano alla loro fantasia personale per stabilire cosa sia eccellente o
spregevole; mentre la natura stessa del loro lavoro li obbliga a distruggere qualcosa e ad immaginare, per
colmare la lacuna, cosa avrebbero dovuto o potuto fare gli antichi costruttori.
Inoltre, nel corso di questo duplice processo di distruzione e di parziale ricostruzione, l’intera superficie
dell’edificio è irrimediabilmente alterata, per cui si elimina l’aspetto antico dei vecchi elementi della

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struttura lasciati in opera. E chi osserva l’edificio non sospetta minimamente cosa può essere andato
distrutto.
Il criterio a cui si ispira la battaglia della SPAB è quella di attuare misure di tutela anziché di restauro
prevenendo il degrado delle strutture attraverso una manutenzione continua. Per Morris e i suoi seguaci la
tutela, la conservazione e la conoscenza delle tecniche del passato servono a ribadire l’urgenza, per
l’architetto moderno, di esprimersi dignitosamente utilizzando il proprio linguaggio.

Le radici del restauro filologico in Italia: Camillo Boito (1836-


1914)
Nella prima metà dell'800 l'Italia era ancora divisa in una miriade di staterelli che si distinguono tra loro
per caratteristiche sociali e culturali. Non abbiamo dunque unità nel paese, tantomeno nel pensiero.
Prima dell'unità d'Italia, la cultura artistica dell'Italia è impegnata a porre le basi solide alle teorie e prassi
del restauro pittorico e archeologico , più che architettonico. In tali campi l'Italia era anche
all'avanguardia.
Fino alla prima metà dell'800 l'intervento sulle preesistenze architettoniche non vede innovazione, non c'è
un dibattito teorico.
Dopo l'unità d'Italia ci sarà invece un inizio di discussione. I dibattiti francesi penetrano in Italia,
adattandosi alle esigenze locali. La scoperta della storia italiana, esaltando l'epoca medievale, di stampo
nazionalistico, e quindi si sposa bene con l'unità nazionale, avendo scoperto le caratteristiche comuni. Si
respira dunque un nuovo clima dell’Italia unita. L'architettura rappresenta le radici della storia. I
monumenti sono testimonianza delle glorie patrie.
Da parte del mondo culturale c'è esigenza di conoscere monumenti e ciò che vi sta attorno. Si ha la
necessità di rinnovare, riqualificare la struttura urbanistica delle città, sotto al segno dell'igiene, anche in
Italia abbiamo l'onda di innovazione, che si ripercuote sulle città, che hanno bisogno di crescere,
rinnovarsi.
La maggior parte delle città subiscono l'abbattimento delle mura medievali, che erano state confine
cittadino. Così abbiamo lo sconfinare della città.
All'interno del tessuto storico abbiamo, in generale la rettifica delle vie: abbellimenti di facciata, apertura
di nuove piazze, addirittura anche sventramento di quartieri storici, considerati insalubri. In alcune città si
riprogettano i quartieri, con una spinta molto forte verso l'igiene. L'ingegneria sanitaria incide parecchio
sul ridisegno della città. Trasformazioni a livello urbanistico. Per quanto riguarda al restauro
architettonico, interventi frequenti: liberazione dei monumenti, da tutte le stratificazioni che si erano
addossate agli edifici storici nel tempo.
Ad esempio, a BS: duomo e palazzo della loggia avevano edifici addossati, Piazza Rovetta non esisteva,
hanno demolito i palazzi addossati al palazzo della loggia.
Vediamo anche abbellimenti o rinnovi di completamento di facciate di chiese ad esempio. Spesso in stile
medievale.
Chiesa di san Francesco a Brescia, demolizione dell'edificio addossato alla facciata. Abbiamo dunque la
ricostruzione delle parti andate perdute.
È proprio per questo motivo (grandi rinnovi, demolizioni...) che la fine dell'800 è riconosciuta come
l'epoca del grande restauro. È una prima adolescenza scatenata del restauro. (il restauro, lo dice anche
Viollet le Duc, è una nuova disciplina).
Questo è un periodo ricco di contraddizioni in ogni città italiana, a cavallo fra 800 e 900, operano
numerose figure di architetti e ingegneri, a fianco di studiosi dell'arte e della storia.

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Questi personaggi si formano nelle accademie delle belle arti. In genere sono professori delle belle arti,
che studiano e reinterpretano i monumenti del passato, intervenendo poi su di essi.
Alcuni iniziano ad avere formazioni ingegneristiche (politecniche), ma la maggior parte di loro hanno alle
spalle solo esperienza pratica di bottega artigianale. Però sono tutti cultori dell'arte, soprattutto medievale.
Fra questi personaggi nominiamo:
– Alfredo D'Andrade, di origine portoghese, formatosi come pittore. Lavora per decenni su
monumenti piemontesi, liguri e della val d'Aosta. Opera più famosa: realizzazione del castello del
Valentino, ricostruzione di sana pianta;
– Luca Beltrami, ha formato restauratori italiani. Architetto e teorico Milanese. Senatore del regno,
importante personalità pubblica. Restauro storico; autore della ricostruzione in stile del
castello sforzesco di Milano frutto di interpretazione di Beltrami, studiando meticolosamente
iconografie e edifici coevi, ripropone poi il monumento. In analogia a strutture coeve al castello,
ripropone una struttura che potrebbe essere esistita;
– Alfonso Rubiani, Emilia, autodidatta. Bologna: massicce ricostruzioni in stile medievale, ma sono
costruzioni ottocentesche;
– Luigi Arcioni, Brescia. Broletto, Chiesa dei Miracoli.
Il fattore che accomuna questi architetti restauratori, che operano a cavallo fra 800 e 900, è il concetto di
restauro, mediato dalle teorie che arrivano d'oltralpe, adattandolo alle esigenze del nostro paese, che si sta
unendo. L'Italia poi necessita di cultura umanistica molto amplia, associata a grandi competenze tecniche.
La teoria di Viollet le Duc arriva, ma anche le teorie della conservazione di Ruskin e dal filone inglese.
Per questa compresenza di filoni opposti, non si possono omologare teorie e prassi italiane. In Italia, si
opera anche con restauri in stile, con esiti pesanti e radicali, ma si determinano anche differenze tali da
preparare il campo per uno sviluppo autonomo del restauro italiano, che poi diventerà un restauro a sé,
diverso da tutto il mondo. Il nostro restauro è all'avanguardia, rispetto a tutto il resto. Il restauro,
architettonico, ma anche pittorico ed archeologico, è quello italiano. All'estero i corsi di restauro
architettonico in università sono rari o comunque nuovi, questo è simbolico del fatto che solo in Italia
siamo specializzati in restauro (anche nel settore della formazione odierna vediamo il riflesso di quello
che è stato).
Nell'800 anche da noi è evidente la pretesa di ricostruire in stile, per ricostruire l'unità formale di un
monumento. Migliorare, correggere, rendere simmetrico, dare respiro... anche in Italia sono le parole
chiave, ma non va sottovalutata la presenza di alcune teorie conservative.
L'idea francese di poter perfezionare il monumento, attraverso il restauro, riportandolo allo stato
completo, che può non essere mai esistito. Questa idea è più mediata, ed è dovuta a:
– Da decenni in Italia era consolidata la pratica del restauro pittorico ed archeologico. E dunque si
ha già l'abitudine di intervenire su "monumenti morti" (monumenti ormai lontani dall’uso). Si
operava con massimo rigore, senza inoltrarsi in difficili ricostruzioni (difficilmente
documentabili), si operava con un criterio filologico, si procedeva usando la tecnica
dell'anastilosi.
Anastilosi: rimettere al loro posto gli elementi originali trovati. Ad esempio, si ricostruisce una
colonna, se si trovano pezzi di colonna caduta. La colonna cade in una certa posizione, si riesce a
mettere in verticale senza errori di valutazione.
– Altro aspetto che contribuisce è che l'ammirazione del medioevo, non permette di togliere valore
alle epoche precedenti, o alle epoche successive, del rinascimento. La prassi francese di eliminare
ciò che era stato annesso ad un edificio medievale, in Italia si scontra con il fatto che nessuno

21
avrebbe mai demolito una ricostruzione rinascimentale. Anche se non si ha rispetto per le
stratificazioni barocche, ma quelle rinascimentali si, quindi non si vogliono togliere.
– Il pensiero ruskiniano prende piedi in Italia, anche per turismo inglese, gli inglesi risiedevo nelle
ville toscane, che creavano movimento di opinione. Grand tour_ i monumenti italiani erano
considerati patrimonio spirituale di tutti, si sentivano legittimati a condurre queste battaglie
conservative.
In sintesi: in Italia ci sono una serie di situazioni che stimolano un dibattito appassionato sulla tutela e
sulla conservazione dei monumenti. Questo ha avuto conseguenze positive sulla storia del restauro e sui
restauri svolti.
Il comportamento francese viene placato presto in Italia. Il concetto che basti che capisca come funziona
la macchina non funziona.
L'architetto restauratori italiano, consocio dei valori trasmessi dalle stratificazioni storiche, opera per
analogia.
Il restauratore vuole evocare il passato, l'applicazione generalizzata del restauro analogico, si esprime
sotto arie forme, con molte anche contraddizioni.
Nella seconda metà dell'800. Tra i casi più noti:
Chiesa di san Babila  Milano, architetto: Paolo Cesabianchi. Gli apparati barocchi della facciata
vengono totalmente demoliti. Si voleva trovare le parti romaniche, occultate dalle parti più recenti
barocche. (non si aveva rispetto per il barocco, volgare e non arte).
La ricerca non va a buon fine, sotto al barocco non c'era più il romanico, era stato tolto per applicarvi il
barocco. Quindi il restauro si trasforma in una ricostruzione in stile romanico-lombardo di pura
invenzione.
Camillo Boito: padre del restauro italiano. Padre italiana e madre polacca. Arrigo Boito, librettista
d'opera, fratello minore di Camillo.
formazione internazionale, studia in Germania, Polonia, poi a Venezia e Padova si diploma in accademia
delle belle arti. È uno dei pochi architetti che conosce le lingue, che ha studiato anche all'estero, e quindi è
fra i pochi che studia le teorie estere di restauro.
Oltre ad operare come architetto, è uno studioso, insegna a Venezia e poi a Milano, prima a Brera e poi al
Politecnico (contribuisce alla sua fondazione). Al politecnico insegna storia dell'architettura e restauro e
conservazione dei monumenti storici.
I suoi restauri sono abbastanza contraddittori, mentre la progettazione di nuovi edifici gli consente di
esprimersi con meno contraddizioni, ma la professione occupa uno spazio piuttosto marginale, quasi
fallimentare secondo alcuni critici, mentre nel campo dell'insegnamento è uno dei maggiori promotori del
rinnovamento dell'architettura. Nella saggistica di storia dell'architettura si rivela la sua originalità di
pensiero. La sua critica e le sue proposte operative sono rivoluzionarie, rivoluzionano l'atteggiamento del
restauro, che permette di staccarsi, teoricamente, dal restauro in stile.
Dal punto di vista teorico si ha emancipazione delle idee, ma poi nei fatti la rivoluzione arriva più
lentamente.
I lavori più interessanti sono: libri e saggi '880/'890 nella nuova antologia. Si indirizza il restauro italiano
vero una nuova via, vediamo i punti su cui si basa:
– valore storico e documentario del monumento è fondamentale. Le innumerevoli stratificazioni
sono molto importanti. Troppo spesso si eliminano "superfetazioni", che poi non lo sono.
Bisogna rispettare la complessa verità storica di un monumento, senza sacrificare parti a vantaggio
di altre.
– molto importante anche l'artisticità. Bisogna limitare al minimo il restauro, conservare più che
restaurare. Se si deve ricostruire bisogna fermarsi a pensare.
22
– quando si deve per forza intervenire, bisogna farlo con criticità, bisogna fare in modo che si
capisca quale è l'originale e quale è l'aggiunta. La parte che realizzo deve essere
riconoscibile come restauro.
Schema di normativa, che dovrebbe fornire ai restauratori gli indirizzi operativi più pratici. Divide i
monumenti in tre categorie, a cui associa un metodo di restauro:
1. Monumenti antichi (che non possono più essere utilizzati), restauro archeologico, è
consentita solo l'anastilosi. Se vi sono aggiunte bisogna fare in modo che si capisca che sono
aggiunte. Gli abbellimenti devono essere fatti solo come abbozzo.
2. Monumenti del medioevo restauro pittorico. A metà strada fra restauro archeologico e
interventi sui monumenti rinascimentali.
3. Monumenti rinascimentali restauro architettonico. Vietate aggiunte in stile. Le parti
mancanti possono essere rifatte con stile moderno, che sia ben riconoscibile.
Queste norme sono alla base del restauro filologico, che incontrò un moderato favore verso le élite
dell'epoca, ma fu accolto dalle generazioni future. Questa strada porterà alle evoluzioni future.
La prima "Carte Italiana del Restauro", mozione che presenta al III Congresso nazionale di
Ingegneria e Architettura del (1883).
Da questi congressi emergevano le opinioni delle persone che avevano voce in capitolo nelle discipline.
A questo congresso si parlava di tutto, anche di questo ma non solo, il restauro era una piccola nicchia ma
l'autorevolezza di Boito consente di dare spazio anche al restauro.
Si stila un testo finale, a sette punti, che viene indicato come la prima carta italiana del restauro,
sarà il documento a cui saranno debitori tutti coloro che vorranno riordinare il restauro italiano.
<<Considerando che i monumenti architettonici del passato, non solo valgono allo studio
dell’architettura, ma servono, quali documenti essenzialissimi, a chiarire e ad illustrare in tutte le sue
parti la storia dei vari tempi e dei vari popoli, e perciò vanno rispettati con scrupolo religioso, appunto
come documenti, in cui una modificazione anche lieve, la quale possa sembrare opera originaria, trae in
inganno e conduce via via a deduzioni sbagliate…>>.

Art. 2. Le aggiunte e innovazioni devono essere eseguite con carattere diverso da quello del
monumento (verità storica). Nel caso che le dette aggiunte o rinnovazioni tornino
assolutamente indispensabili per la solidità o per altre cause invincibili, e nel caso che
riguardino parti non mai esistite o non più esistenti e per le quali manchi la conoscenza sicura
della forma primitiva, le aggiunte o rinnovazioni si devono compiere con
carattere diverso da quello del monumento, avvertendo che, possibilmente,
nell'apparenza prospettica le nuove forme non urtino troppo con il suo aspetto
artistico;
Art. 3. Quando si tratta di eseguire dei completamenti di parti danneggiate siano di materia
evidentemente diversa (verità storica). Quando si tratti invece di compiere cose distrutte o non
ultimate in origine per fortuite cagioni, oppure di rifare parti tanto deperite da non poter più
durare in opera [...] allora converrà in ogni modo che i pezzi aggiunti o rinnovati , pur
assumendo la forma primitiva, siano di materia evidentemente diversa o portino un
segno inciso o meglio la data del restauro , sicché neanche su ciò possa l’attento
osservatore venire tratto in inganno. Nei monumenti dell’antichità , o in altri dove sia
notevole l’importanza propriamente archeologica, le parti di compimento
indispensabili alla solidità ed alla conservazione debbono essere lasciate coi
soli piani semplici o con le sole riquadrature geometriche dell’abbozzo , anche

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quando non appariscono altro che la continuazione od il sicuro riscontro di altre parti antiche
sagomate ed ornate;
Art. 5. Saranno considerate per monumenti e trattate come tali le aggiunte (valore (relativo) del
palinsesto). Saranno considerate per monumenti e trattate come tali quelle
aggiunte o modificazioni che in diversi tempi fossero state introdotte
nell’edificio primitivo, salvo il caso in cui avendo un’importanza artistica e storia
manifestamente minore dell’edificio stesso e nel medesimo tempo svisando o mascherando
alcune parti notevoli di esso, sia da sconsigliare la rimozione o la distruzione. In tutti i casi nei
quali riesca possibile o ne valga la spesa, le opere di cui si parla verranno serbate o
nel loro insieme o in alcune parti essenziali , possibilmente accanto al monumento da
cui furono rimosse.

Tema principale: modo di trattare le aggiunte e i completamenti.


Prima del congresso si poteva mandare un quesito, per poi decidere di cosa parlare.
Rendere distinguibili le parte nuove da quelle di progetto. quindi come dovrà apparire l'opera compiuta?
Con innovazioni gradevoli, belle e coerenti con quanto esiste. Sicuramente l'utilizzo di materiali diversi
consente di non ricopiare e basta, ma non risolve il problema della bellezza, che deve essere garantita.
Ogni parte nuova deve assumere una forma stilizzata, senza apparire, pur assumendo un compito
essenziale per la sua conservazione.
Se ho una cornice con decorazioni, la completo per percepire unitarietà, ma poi devo riconoscere la parte
ricostruita, che sarà più semplice, lineare.
L'artista di oggi vive con la sensibilità di oggi, non potrà mai essere come l'artista del passato. Le parti
mancanti non possono essere ripristinate.
Base del restauro filologico. Le aggiunte vanno trattate come l'edificio. Il monumento va conservato con
le aggiunte di tutte le epoche. Noi dobbiamo conservare le stratificazioni storiche. Valore del monumento
come testimonianza del passato storico. Conservo ciò che oggettivamente è arrivato fino a noi, con i
travagli dovuti alla sua storia.
Le stratificazioni storiche possono essere eliminate solo quando l'importanza storico-artistica risulta
palesemente minore rispetto alle parti nascoste da questa stratificazione. Come lo stabilisco?
L'importanza storico – artistica è dovuta dalla classificazione delle epoche. Boito rinvia questa domanda
al catalogo delle opere d'arte e alle schematizzazioni.
Il ministero è subito d'accordo con queste tesi di Boito, ma poi nella pratica accetta che si tolgano
stratificazioni.
Quelli che volevano togliere le stratificazioni, lo fanno comunque, in più dovevano solo dimostrare che
ciò che toglievano non aveva importanza storica.
È importante però che si tenga conto alla novità nei confronti delle stratificazioni.
Per quanto riguarda le parti che si possono eliminare: non buttiamole via, manteniamole nelle vicinanze
dell'abitazione, a testimonianza dell'appartenenza alla fabbrica. Per comprendere quale fosse la fisionomia
del monumento prima del restauro. Si riconosce il valore storico delle stratificazioni.
Il cantiere di restauro deve essere documentato molto bene, anche con fotografie (fino ad ora era
inutilizzato), giornale dei lavori, questo schema entra nella produzione documentale di un cantiere
moderno di restauro.
Idee rivoluzionarie che ebbero scarsa produzione pratica dei suoi tempi, ma che hanno grande risonanza
sul piano teorico.
Sulla cultura non si mangia. Lasciamo che i pochi che ci tengono facciano così per il restauro di
monumenti archeologici, nel frattempo gli altri innovano.
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Questa carta diventa il riferimento con il quale si confrontano tutti. Punto di partenza per la sistemazione
del restauro filologico. A Boito seguirà poi Gustavo Giovannoni, che scriverà la Carta del restauro di
Atene.
È da qui che le teorie del restauro italiano
Boito fonda la moderna teoria del restauro. È colui che fa i conti con i criteri del filologismo.
Dagli anni 10 del 900 nascerà la polemica fra passatismo e modernismo. Tutti gli architetti che operano
all'interno delle soprintendenze. La distanza fra il restauro architettonico e l'architettura moderna aumenta
sempre più. Giovannoni codificherà meglio le teorie di Boito. Estenderà poi la teoria dal singolo
monumento a tutto il contorno del monumento.
Riconoscibilità dell'aggiunta. Aggiunta come qualcosa di nuovo, che si deve
armonizzare anche esteticamente con l'esistenza. Dibattito antico – nuovo che costituisce il
succo della discussione fra i restauratori, specie fra i restauratori.
Dobbiamo capire i valori storici e trasmetterli al futuro, con massima riconoscibilità.
Camillo Boito è anche un architetto quindi a lui si devono alcuni progetti di nuovi edifici e alcuni progetti
di restauro.
Chiesa dei Santi Maria e Donato a Murano (1858)  è una chiesa la cui costruzione inizia nel 1125 e
viene ultimata nel 1140; come tutti gli edifici antichi, nel
corso dei secoli, viene trasformata, ampliata, trasformata,
nei secoli XIII e XIV vengono realizzati i mosaici e gli
affreschi poi nel XV secolo viene costruita la copertura a
capriate lignee e viene realizzata la facciata. Altri interventi
che subisce questa chiesa sono quelli seicenteschi dove
vengono aperte le finestre palladiane per illuminare la
navata centrale e vengono tamponate le finestre esistenti.
Sempre nella navata centrale viene realizzata una volta
centinata a sagoma ellittica che diventa a vela nella zona del
transetto; viene realizzata poi una trabeazione lignea in
Fig. 8 Progetto di restauro della chiesa dei Santi Maria e Donato a
Murano (1858). sostituzione del fregio orizzontale e viene poi innalzato il
piano di calpestio dell’abside con tre gradini. Anche le aperture dell’abside vengono murate e vengono
realizzate delle cappelle laterali che alterano il pavimento a mosaico poi viene sostituito l’altare
originario. Infine, viene costruita una cappella (Santa Filomena) in stile rinascimentale.
Nella metà dell’800 la chiesa si trova in uno stato di particolare degrado, siamo nel regno Lombardo –
Veneto e il governo del Lombardo veneto decide di chiudere al culto la chiesa, a causa dei dissesti che la
interessano e viene incaricato l’ufficio delle pubbliche costruzioni di compilare un progetto di restauro.
Nel 1859 viene affidato a Pietro Selvatico e Cesare Foucard di documentare lo stato di conservazione
della chiesa e di dare un pare. In questo periodo Pietro Selvatico e Cesare Foucard sono entrambi membri
della commissione per la conservazione dei monumenti storici artistici della provincia Veneta. Questi due
esperti pubblicano un progetto nel 1859 sotto forma di relazione suddivisa in 5 capitoli:
– descrizione;
– storia;
– giudizio storico – artistico;
– stato di conservazione;
– proposte per la conservazione.
Pietro Selvatico e Cesare Foucard vengono in caricati di esprimere un loro parere, nell’aprile del 1858
l’ufficio delle pubbliche costruzioni di Venezia affida l’incarico di progettazione del restauro al giovane
Camillo Boito (22 anni, professore di architettura civile all’accademia di belle arti di Venezia). Camillo
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Boito redige un progetto e il suo progetto viene approvato, ma lui per ragioni personali decide di lasciare
Venezia e andare dal fratello a Milano e porta con sé il progetto.
Questo progetto viene pubblicato con tre tavole illustrative nel 1861 in un giornale tecnico “giornale
dell’ingegnere architetto”, con un commento che spiegherà le motivazioni che lo hanno portato a portare
con sé il progetto a Milano e non affidarlo a qualcuno il suo progetto.
Boito rifiuta la responsabilità di un’opera che non sarebbe stato in grado di seguire nella fase di cantiere;
quindi, non avrebbe potuto dirigere i lavori.
A seguito di uno studio abbastanza scrupoloso, Boito si esprime su quello che pare essere lo stile
originario della fabbrica cioè uno stile sul bizantino e lombardo con qualche reminiscenza dell’arte.
Stato di conservazione (degrado) precedente al restauro secondo la descrizione di Boito:
– strapiombi;
– fessurazioni verticali;
– degrado delle coperture lignee;
– degrado della pavimentazione;
– altari barocchi “brutti ma ricchi di pregevoli marmi”;
– costruzioni addossate all’abside “fanno sconcia vista”.
Cosa prevedeva il progetto di Boito:
– navata destra;
– navata sinistra;
– navata centrale;
– transetto;
– abside;
– facciata;
– decorazioni interne.
Nel progetto Boito illustra con le tavole le sue intenzioni,
evidenziando con un tratteggio incrociato e fitto le parti che intende
conservare, con un tratteggio inclinato a 45° le parti che intende
ricostruire e con un tratteggio più sbiadito quelle parti che invece
vuole demolire. Si notano, innanzitutto le costruzioni sul fianco destro
della navata, ovvero la sagrestia, la cappella di Santa Filomena e un
locale di servizio adiacente che Boito afferma voler eliminare per
garantire la completa visuale della navata. Allo stesso tempo egli
ripropone la costruzione degli stessi sul lato sinistro della chiesa
sfruttando lo spazio tra il muro di un edificio che sorge sul lato della
stessa di cui si vede il confine e l'esterno della navata minore. Qui si
distinguono la costruzione del battistero, ideata da Boito, la
ricostruzione della cappella di santa Filomena nelle stesse
proporzioni, la nuova sagrestia con i locali di servizio e le due scale Fig. 9 Progetto di restauro della chiesa dei Santi
Maria e Donato a Murano (1858).
d'accesso rispettivamente al piano superiore e alla loggia esterna
dell'abside. Quest'ultima ricostruita dal settimo gradino in su. Si notano inoltre la collocazione dei nuovi
altari e lo spostamento del pulpito al centro dell'arco della navata sinistra. Il muro di facciata insieme al
transetto e all'abside non sono modificati ma del primo si notano le sovrapposizioni in muratura del nuovo
paramento progettato ex novo da Boito. Venne sostituito il tetto a capriate con un tetto del tutto uguale.
Nel corpo della chiesa l’intervento è guidato dalla volontà di intervenire sulle parti strutturali, la

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liberazione dell’esterno da edifici/corpi di fabbrica addossati, la cancellazione della fase barocca e il
ripristino del disegno originale.
Il rilievo della facciata, prima del progetto, fa notare che è una facciata evidentemente non conclusa
segnata da paraste, l’unico vincolo che si ritrova Boito era la sagoma esterna, che tra l’altro era
l’espressione della distribuzione spaziale interna della chiesa.
Boito propone una nuova facciata, quindi decide di conservare la porta (quadrata) principale, il ridisegno
del fregio a dente di sega, che non vi era traccia nella faccia, ma nell’abside era presente e lo ripropone,
crea una trifora la centro della facciata sorretta da sei colonne binate e pone, ai lati due basso rilievi
(trovati hai lati e nel transetto della chiesa) e come coronamento della parte centrale costituito da un a
successione di archetti in pietra seguono il profilo delle falde del tetto. In queste 12 nicchie vengono
collocale le state degli apostoli e al centro quella del redentore. Si tratta di una proposta nuova, che
riprende le linee essenziali e alcuni elementi ritrovati nel resto della chiesa per dar vita ad una nuova
configurazione.
Per quanto riguarda le decorazioni interne ridipingere ad affresco su fondo oro tutte le superfici della
chiesa, con episodi di Maria, Gesù e San donato ecc…
Questo progetto è del 1858, nel 1859 Smith viene incaricato di eseguire una perizia sul progetto di Boito
per vedere se era realizzabile e riconosce la piena validità del progetto a meno di due aspetti critici: la
facciata che secondo Smith non risulta in armonia con il resto della fabbrica; e la posizione dell’altare
maggiore, che Boito aveva collocato al centro del transetto, secondo Smith questo altare non poteva stare
in quella posizione ma doveva essere arretrato e posto al centro dell’abside.
Se consideriamo le date abbiamo detto che Boito pubblica questa sua lettera sul giornale nel 1858
segnalando che fu la divergenza di opinioni con Smith la causa della sua decisione di portare con sé il
progetto a Milano; temendo che si potesse imputare a lui alcune scelte che lui non condivideva.
Nel 1862 la definizione di questi sviluppi di progetto da parte di Boito, induce l’ufficio Lombardo –
Veneto a predisporre affinché venisse completato tenendo conto delle proposte di Boito ma anche delle
modifiche di Smith. Quindi dal 1865 al 1866 approvato un progetto relativo agli interventi più urgenti, si
da inizio al cantiere sotto la supervisione di Tommaso Meduna poi si passa al restauro dell’abside
(ultimato nel 1870).
Boito scrive nella definizione di questo progetto: “rispettare conviene religiosamente ogni antica forma e
irregolarità; rispettare ogni tinta, ogni macchia, di che il tempo – grande pittore e grande armonizzatore –
colorì l’edificio”.
“Nei monumenti che traggono la bellezza, la singolarità, la poesia del loro aspetto dalla varietà dei marmi,
dei mosaici, dei dipinti, ovvero dal colore della loro vecchiezza, o dalle circostanze pittoriche in cui si
trovano, o perfino dallo stato rovinoso in cui giacciono, le opere di consolidamento, ridotte allo
strettissimo indispensabile, non dovranno scemare possibilmente in nulla coste ragioni intrinseche ed
estrinseche di allettamento artistico”.
Nel 1893 Boito pubblica “Questioni pratiche di belle arti”. Secondo Boito tutto si riduce a tenere il
monumento in piedi ad assicurargli una vita lunga con i mezzi che la scienza e la pratica suggeriscono.
Con questi dialoghi immaginari Boito individua tre tipi differenti di restauro in rapporto all’oggetto su cui
si agisce:
– restauro archeologico: quello che si applica sui monumenti antichi;
– restauro pittorico: quello che si applica sugli edifici liberali;
– restauro architettonico: quello che si applica sulle architetture dal rinascimento in poi.

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Altare di Donatello, chiesa del Santo di Padova  questa opera fu eretta fra il 1447 e 1450 ma pochi
decenni dopo nel 1579 questo altare veniva smontato e le strutture che lo componevano in un primo
tempo furono trasportate in un altare sostitutivo ricollocate sui vari altari della chiesa. Ci sono pochissime
descrizioni che ci fanno capire come fosse la configurazione originale dell’altare; la prima risale al 1530
quando risale questa distruzione molto sommaria e che insiste, sostanzialmente, nella descrizione degli
elementi scultorei di Donatello e non della struttura architettonica su cui erano collocati. Vi è anche una
descrizione sommaria fatta dal Vasari, qualche informazione in più la si riesce a trovare con la ricerca
archivistica, che permette di accertare dove era effettivamente collocato l’altare di Donatello all’interno
della basilica. Questo altare non si trovava al centro della chiesa sotto la crociera ma nello spazio mediano
del coro cioè nel presbiterio della chiesa. Inoltre, si è stabilito grazie alle ricerche che Donatello, prima di
ottenere l’incarico della realizzazione dell’altare, ebbe l’incarico della fusione di un crocifisso da
posizionare in mezzo alla chiesa su piedistallo.
Nel 1448 fu fatta una prova generale della sistemazione dell’altare, cioè di come avrebbe dovuto essere
nella sua forma definitiva.
Boito sapeva per certo che il crocefisso era un elemento estraneo all’altare, l’unica cosa a cui crede (su
basi archivistiche) è che l’altare si trovasse nella cupola centrale anzi che nel presbiterio.
Dopo l’unità d’Italia (periodo di grande fermento per i restauri) si riaccende il dibattito sulla possibilità di
studiare una concreta ricomposizione di questo altare; dibattito che vede anche Pietro Selvatico.
Boito progetta il nuovo altare secondo uno stile compatibile con gli elementi esistenti ma liberi da ogni
limitazione e poi vi inserisce, guidato da un rigido controllo prospettico, le sculture di Donatello, in
questa composizione inserisce anche il crocefisso che non apparteneva alla struttura primitiva dell’altare.

Gustavo Giovannoni (1873 – 1947)


Offre per primo una teoria per il centro storico; parleremo in particolare del centro di Brescia (Piazza
Vittoria).
Gustavo Giovannoni nasce a Roma nel 1873, Roma in quel periodo è una città appena diventata capitale
d’Italia ed è prevalentemente non edificata; quindi, sono in corso diverse trasformazioni per adattarla a
questa funzione. C’erano nuovi ed urgenti problemi urbanistici da affrontare, risolti con la creazione di
nuovi assi viari realizzati attraverso sventramenti e demolizioni, adattamento di edifici esistenti a nuovi
ruoli, speculazione ovunque.
Importanti i seguenti avvenimenti per il nuovo assetto: breccia porta Pia e presa di Roma.
Le trasformazioni in corso hanno influenzato i suoi interessi e studi e nel 1890 Giovannoni si iscrive ad
ingegneria ed entra nel mondo dell’architettura romana, studente brillante che studia pure lingue straniere
soprattutto tedesco, contribuendo alla penetrazione nel Bel Paese della cultura artistica tedesca.
Giovannoni si laurea nel 1895 in ingegneria civile. Studia l’ingegneria sanitaria che nell’800 era una
disciplina fortemente innovativa e la storia dell’arte. Grazie a questi studi inizierà a pubblicare articoli sui
temi della salvaguardia dei beni dimenticati.
Un ingegnere sanitario nell’800 era una figura preposta alla verifica delle condizioni di salubrità, aveva il
compito di intervenire sulla città a scala urbana per migliorare le condizioni di vita mediante opere di
risanamento, ciò lo faceva anche abbattendo
edifici di carattere monumentale e
costruendo strade larghe.
Grazie alla conoscenza del tedesco riesce a
leggere il trattato di Camillo Sitte: parla di
pianificazione urbanistica e lo intende non
solo come atto tecnico ma come intervento
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Fig. 10 Altare di Donatello, chiesa del Santo di Padova.
che deve tener conto del patrimonio artistico della città (edifici presi nel loro insieme piuttosto che nel
singolo). Si vuole evitare lo sventramento (boulevard Parigi per esempio)
Nel 1913, dopo aver riflettuto sul trattato tedesco, pubblica due articoli: Vecchie città, edilizia nuova e Il
diradamento dei vecchi centri; anziché sventrare propone di studiare bene il centro ed eliminare
puntualmente.
Nell’analisi si presta particolare attenzione al periodo successivo alla rivoluzione industriale, durante il
quale sono avvenute trasformazioni dovute principalmente a fretta e necessità, di conseguenza, hanno
creato parecchi problemi.
Diradamento edilizio: tecnica alternativa agli sventramenti, apertura di spazi liberi nel tessuto compatto
della città storica che consentano ventilazione, e demolizione degli edifici senza senso, demolizione
controllata guidata dalla analisi storica, storia e tecnica si incontrano.
L’obiettivo non è cercare caratteri estetici ma una revisione funzionale dei fabbricati recuperando
salubrità.
Queste sue idee le pubblica in articoli su una rivista di cui non ho sentito il nome. Cesare Albertini fu uno
dei critici più agguerriti contro la teoria del diradamento anche se apprezzava questa teoria in contesti
minori. Era consapevole del fatto che la teoria non poteva essere effettivamente applicata in contesti
complessi (come Milano per esempio... ci sono diversi quartieri popolari oltre al centro storico...); era più
adatta a piccole città ed infatti in questi casi ne riconosce appieno la validità.
La teoria del diradamento edilizio ha avuto un’applicazione in Bergamo Alta con Luigi
Angelini. Fu l’unico caso di applicazione di questa teoria!
Gli sventramenti del centro storico di Brescia  è stato un vasto sventramento edilizio, uno dei primi
in Italia.
Il quartiere delle Pescherie, per la realizzazione di piazza Vittoria fu completamente debellato.
Piazza della Vittoria fu inaugurata solennemente dal duce il 2 novembre del 1932. Le demolizioni del
quartiere avvengono tra la fine degli anni ‘20, piazza Vittoria inaugurata nel 1932. Non è una novità
perché già verso gli anni ‘70 dell’800 si verificarono molte demolizioni senza criterio con l’obiettivo di
risanare il centro storico. Difficile stabilire quali fossero le reali condizioni prima degli sventramenti,
comunque c’era una situazione igienica intollerabile, tuguri inabitabili, puttane e gigolò, topi merda.
Zona degradata e malsana dal punto di vista igienico sanitario ma anche sociale.
Il quartiere era sede del mercato dei grani ubicato dove ora c’è l’hotel vittoria e lì stava pure il
macello, immagina che marciume c’era.
La vocazione commerciale della zona rimane fino al suo abbattimento.
– Piano di risanamento del 1887 prevedeva l’abbattimento di interi isolati nel nucleo più antico di
Brescia, soprattutto in Carmine e nella zona attorno al quartiere delle pescherie, ma venne
realizzato in parte.
– Piano di ampliamento 1897 della città di Brescia, prevedeva il totale abbattimento delle mura
della città e la trasformazione degli spalti in grandi viali alberati, questo piano prevede anche
un’attenzione delle zone più degradate del centro storico. Diversi architetti e progettisti avanzano
proposte, l’idea più gettonata fu nuovo asse stradale nord sud che collegava via 24 Maggio (piazza
loggia), questa via intersecata est ovest da un prolungamento di via Trieste, l’intersezione doveva
stare al centro del quartiere delle pescherie.
Altra ipotesi era di realizzare una diagonale tra via dante e inizio di via Garibaldi. Queste ipotesi sono
effettivamente riprese attorno agli anni 20.
Il piano di ampliamento durerà 25 anni (scade nel 1922), verrà successivamente elaborato un nuovo piano
di ampliamento che sarà pronto nel 1925, non fu realizzato a causa delle fortissime ingerenze di gruppi
politici ed economici locali.
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Giulio Togni facendosi portavoce del mondo imprenditoriale locale scassava le palle insistendo sulla
necessità di sviluppare infrastrutture nella città ed intervenire nel quartiere delle pescherie.
Nel 1926, anno cruciale, diventa podestà della città Piero Calzoni e Augusto Turati diventa
segretario del partito nazionale fascista che spingono per i risanamenti.
Il quartiere delle Pescherie aveva una superficie di circa 50.000 mq la densità edilizia era davvero
altissima circa il 66,6%, quindi chiaramente le condizioni abitative non erano rosee. Gli obiettivi per il
risanamento della città storica erano:
– conservazione delle caratteristiche storiche e artistiche e ambientali della Città;
– ripristino delle opere d’arte;
– collegamento diversi quartieri della Città.
La giuria del concorso era costituita da Turati (presidente), Calzoni, Togni ecc. Nessuno dei progetti
presentati fu considerato attuabile (tra loro ce ne era uno di Piacentini Marcello principale architetto del
regime) ma furono premiati i primi tre.
Il podestà Calzoni propose di rielaborare il piano, ma questa volta con l’architetto Piacentini (uno degli
architetti preferiti da Mussolini). Ufficialmente l’iniziativa di affidare a Piacentini la realizzazione di un
nuovo piano fu nel 1928 e Piacentini per non scontentare i primi tre gruppi che avevano “vinto”, si
sarebbe fatto affiancare da un rappresentante per ciascuno di questi gruppi.
Idee-chiave del nuovo piano (in sostanza quelle già avanzate nell’800):
1. Collegamento Ovest-Est tra le vie per Milano e Venezia (unione dei seguenti tratti: corso
Garibaldi-diagonale della Pallata-piazza Vittoria – piazzetta Paganora – via Tosio – porta
Venezia);
2. Collegamento Nord-Sud tra porta Trento e porta Cremona (demolizione di isolati tra via
Fratelli Porcellaga e l’attuale corso Sant’Agata);
3. Formazione di una grande piazza centrale (Piazza della Vittoria) (funzione di snodo viario
fra i 2 assi) unica ad essere realizzata.
Il ruolo della soprintendenza e le voci dissonanti  2500 persone furono allontanate dalle pescherie
trovando alloggio nei baraccamenti in via Milano e ponte crotte, dove vissero fino agli anni ‘60.
Alfredo Giarratana era stato coinvolto nel gruppo di lavoro legato a Piacentini che poi se ne era andato
sbattendo la porta in faccia perchè per lui piacentini voleva solo sventrare senza dare una reale
modernizzazione funzionale.
Il suo abbandono fu clamoroso e fu una delle voci dissonanti di questo piano, segna lo scisma
dell’imprenditoria bresciana nel piano.
Viene stilato un elenco degli edifici monumentali di Brescia, lo fece Modigliani per essere accolto
all’interno delle decisioni che riguardavano il nuovo piano; aggiunge diversi monumenti rispetto a quello
che c’era precedentemente ed in particolare inserisce un complesso di fabbricati. Qua si vede
l’influenza di Giovannoni riguardo l’urbanistica .
Il risanamento secondo Modigliani non doveva essere una radicale trasformazione, si fonda su reali
motivazioni di natura storico artistica, il piano di Piacentini prevedeva di abbattere degli edifici
classificati come monumentali, era davvero demolizione e sventramento senza vere necessità. Era però
favorevole all’isolamento dei principali edifici monumentali.

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Nel febbraio 1929 arriva la relazione favorevole di Modigliani al nuovo piano, l’iter del piano regolatore
prosegue, il progetto di MP entra nella fase realizzativa anche se le demolizioni erano già iniziate
nell’estate del 1928. In quel periodo Brescia contava 120000 abitanti di cui 2500 erano occupati nel
cantiere, quindi occasione irripetibile per dare lavoro a molta gente nella città, in un periodo di recessione.
All’interno del quartiere delle Pescherie fu abbattuta la chiesetta di Sant’Ambrogio (in quegli anni).
Nel settembre del 1930 ci si imbatte in un situa inattesa, il soprintendente Modigliani interviene con la
sospensione dei lavori di abbattimento di una casetta 500esca decorata da Lattanzio
Gambara, la facciata era prospiciente di Alessandro Volta. La sua facciata affrescata doveva essere
conservata ed era stata prescritta come da conservare nel contratto del piano che aveva chiesto la
soprintendenza.
MP preoccupato che questa cosa potesse compromettere i lavori, si giustifica con delle scuse improbabili
dal punto di vista estetico, la sua facciata non sarebbe stata bene con il nuovo palazzo delle poste.
Piacentini propone di staccare l’affresco (lo strappo stacca solo la superficie, ma viene giù anche
l’intonaco) e portarlo in museo in modo da avere campo libero e demolirla.
La risposta di Modigliani è indispettita, ha già dovuto ingoiare un sacco di rospi. Alla fine, si raggiunge la
tregua tenendo in piedi la facciata affrescata e viene inserita nella parete del nuovo palazzo delle poste.
Impedire la realizzazione di infrastrutture fasciste era una cosa da antifascista al tempo e tutti si stavano
arrabbiando, giornali e cittadini fascisti. Grazie al cielo il ministero arriva a sostegno del soprintendente.
Impone a Piacentini e al comune di mantenere il lacerto della facciata.
La facciata incastonata nell’edificio delle poste, ora grigia, è l’unica testimonianza del quartiere delle
pescherie; praticamente nessuno sa della sua esistenza.
Il Duce nel 2 novembre 1932 inaugura la piazza, dopo aver fatto d’un fiato su e giù la scalinata del
torrione (il più antico grattacielo d’Italia).
Stavamo parlando di Gustavo Giovannoni e della sua posizione innovativa sull’intervento sui centri
storici, come il diradamento edilizio: intervento puntuale che va ad eliminare eventi che hanno
occluso spazi aperti delle abitazioni, quindi studio storico sull’urbanistica/evoluzione della città...
Sanificare le città, renderle vivibili dal punto di vista igienico – sanitario, una generale modernizzazione
dello stile di vita, aprire i centri storici al traffico veicolare allargando le strade... sono esigenze che
vengono affrontate con la pratica dello sventramento edilizio. Un esempio è Brescia, con lo
sventramento del quartiere delle
pescherie.
Le sue teorizzazioni in campo
urbanistico e architettonico non
prendono piede subito ma gettano
comunque delle basi che saranno
valutate a seguire. Svisceriamo il
pensiero alla scala del singolo
edificio, parliamo di monumenti.
Fig. 11 Piano regolatore edilizio del centro della città di Brescia (1929). Nel 1903 partecipa al congresso
internazionale di scienza e storia;
ascolta con particolare attenzione un dibattito dedicato all’archeologia e belle arti. Le sue riflessioni le
pubblica in un articolo lo stesso anno (estratto in diapositiva); in sintesi rifiuta ogni tipo di ricerca
stilistica. Tieni presente che in questi anni quello che va è Viollet le Duc (approccio ultra – stilistico).
Definisce inoltre una serie di tipologie di restauro (questo approccio alla classificazione è tipico dell’800):
Restauri di riparazione, sostituzione, completamento e rinnovamento; le prime due categorie hanno
carattere prettamente tecnico, le seconde due categorie assumono invece grande importanza artistica e
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storica. Quelli di completamento non vedono l’aggiunta di nessun elemento al monumento, si va a
ricomporre con pezzi già esistenti, le mancanze vengono integrate con pezzi di materiale simile; quello
fatto sul Capitolium rientra in questa categoria. I restauri di rinnovamento, lui fa esempi delle facciate
delle chiese che vengono realizzate secoli dopo l’inizio della costruzione, si tratta di terminare un’opera
di cui manca una parte essenziale, spesso manca la facciata per mancanze di soldi o carestie. Ci sono
esempi famosi di concorsi fatti a fine 800 per terminare opere importanti: ad esempio il Duomo di
Milano, Santa Croce a Firenze.
Giovannoni dimostra di essere contrariato dalla decisione presa in questo congresso del 1903 che
ammetteva sui monumenti solo azioni di riabilitazione senza rinnovamento: crede fermamente che sui
monumenti si possa e si debba intervenire con rinnovamenti che non li lasci monchi. Questo pensiero lo
pone tra le teorie di Viollet le Duc e Camillo Boito. Nel suo pensiero l'unità e l'armonia dell'opera
d’arte sarà una costante.
Concepisce il restauro come una scienza, disciplina esatta e rigorosa, ciò farà sì che le sue teorie saranno
note come restauro scientifico.
Sempre nell’articolo del 1903 conclude la sua riflessione sostenendo come uno dei principi guida debba
essere la personalità del restauratore; non deve metterci del suo deve solo pensare a recuperare e
preservare l’opera.
In seguito, tuttavia la sua posizione sul restauro viene perfezionata in una conferenza (1913), fa anche qui
un articolo che pubblica  Restauro dei monumenti.
– Traccia linee guida del dibattito europeo dell’epoca; è sempre contrario a Viollet, si avvicina di
più alle teorie di Boito;
– Un elemento di troppo rigore ed unità contrasta con l’elemento originale, si pone in equilibrio
pure con Ruskin e il gusto del romantico e della bella rovina. Si pone a metà tra Ruskin e le Duc si
può dire (mediatore tra “non intervento” vs. “ripristino”);
– Sta approfondendo e portando avanti il filo conduttore delle teorie di Camillo Boito, il restauro
filologico;
– Nell’articolo del 1913 Giovannoni distingue il tipo di edificio in due categorie e i relativi
interventi di restauro che possono essere applicati, classifica in: edifici vivi e edifici morti;
– Amplia la classificazione dei restauri: consolidamento, ricomposizione, liberazione,
completamento e ripristino, innovazione ;
– Riconosce anche lui che si tratta di una classificazione un po’ artificiosa; il suo scopo è fare più
chiarezza circa le modalità di intervento.
Giovannoni accetta il restauro di rinnovamento ma è necessario uno studio accurato sia pratico che
grafico che ne garantisca l’efficacia.
Giovannoni è convinto che i restauri di ricomposizione siano necessari ed indispensabili, accetta
l'opportunità dei restauri che erano in corso sull’acropoli di Atene, molto importanti perché offrivano una
linea più chiara di quei monumenti che erano un po’ sconosciuti. (intervento per anastilosi  lesene
dell’esempio dell’altra volta, caduti i conci, numerati e riposizionati)
Per quanto riguarda i restauri di liberazione, si dichiara favorevole ma sottolinea che prima di operare
una rimozione è necessario distinguere e riconoscere le qualità artistiche degli elementi sovrapposte
all'organismo primitivo.
La prassi era favorita anche dalle soprintendenze dato che era comune farlo in quel periodo. Anche il
restauro di completamento è molto pericoloso, per l'assoluta impreparazione degli arch. del suo tempo
ed inoltre rischia di diventare una contraffazione del monumento, un falso storico. Il rischio è che
l’osservatore non sia più in grado di distinguere l’autentico dalla parte completata. Con i restauri di

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innovazione è d'accordo (solo quando è strettamente necessaria) Attribuisce le maggiori responsabilità
alle teorie di Viollet le Duc.
Il suo punto di vista si sostanzia in questo: non accetta ripristino o ricostruzione in stile, no eccessi sul
nuovo, no interventi pulitura che cancellano carattere del monumento. Per lui non è possibile respingere
totalmente il concetto dell'aggiunta, va fatta SOLO quando è strettamente necessaria, rifiuta ogni
riferimento formale moderno e propone una continuità fisica e formale col monumento e l’ambiente in cui
è inserito (sempre distinguibilità dell’intervento nuovo). Le sue tesi trovano riscontro internazionale nel
1931, anno in cui si svolge un convegno ad Atene a cui partecipano esperti. Si ritrovano per discutere
di restauro e per collaborare a livello europeo in tema di tutela, sarà redatto un documento conclusivo in
dieci punti, il relatore è Giovannoni. Le sue tesi vengono discusse ed approvate in sede internazionale
finalmente, il suo restauro scientifico diventa un modello di riferimento per tutti i restauratori d’Europa,
anche se nella prassi si continuerà ad operare con metodi che spesso contraddicono le teorie del restauro
scientifico.
NB: nello stesso anno ad Atene si svolge anche quello in crociera a cui partecipano Le Corbusier e tutti
gli architetti razionalisti più in voga del momento.
Il documento è la Carta del restauro di Atene (1931):

Art. 1. Si afferma l’internazionalità della tutela. In quell’anno ci sono i fascismi, è da tenere bene in
considerazione, questo trionfo della cultura italiana del restauro ad Atene non viene esaltata dal
Duce. Si chiede l'interesse di tutti gli stati tutori della civiltà per la conservazione dei monumenti,
gli stati tutori sono gli stati occidentali europei, che devono tutelare i valori della cultura
dell’umanità sorti anche in paesi non nazionali. Ci si augura che nascano cooperazioni tra stati in
materia di tutela dei monumenti, si forma una commissione internazionale che studia i termini di
questa collaborazione. La Conferenza, convinta che la conservazione del patrimonio
artistico ed archeologico dell'umanità interessi tutti gli Stati tutori della civiltà ,
augura che gli Stati si prestino reciprocamente una collaborazione sempre più estesa e concreta
per favorire la conservazione dei monumenti d'arte e di storia; ritiene altamente desiderabile che le
istituzioni e i gruppi qualificati, senza minimamente intaccare il diritto pubblico internazionale,
possano manifestare il loro interesse per la salvaguardia dei capolavori in cui la civiltà ha trovato
la sua più alta espressione e che appaiono minacciati; emette il voto che le richieste a questo
effetto siano sottoposte alla organizzazione della cooperazione intellettuale, dopo inchieste fatte
dall'Ufficio internazionale dei musei e benevola attenzione dei singoli Stati. Spetterà alla
Commissione internazionale della cooperazione intellettuale , dopo richieste fatte
dall’ufficio internazionale dei musei e dopo aver raccolto dai suoi organi locali le informazioni
utili, di pronunciarsi sulla opportunità di passi da compiere e sulla procedura da seguire in ogni
caso particolare.
Art. 2. Tutti i principali studiosi durante questo convegno dibattevano su: essendoci una grande varietà di
casi alcuni principi sembravano essere comuni. L’importanza della manutenzione, l’intervento
dovrà salvaguardare l’opera in tutta la sua stratificazione storica, è l’affermazione del restauro
filologico (art. 5 della carta di Boito, è la stessa affermazione), al di sopra delle teorie del restauro
stilistico. Il monumento deve inoltre sempre essere utilizzato, questo fatto è fondamentale per la
manutenzione dello stesso. (Concetto della continuità vitale). La Conferenza ha inteso la
esposizione dei principi generali e delle dottrine concernenti la protezione di monumenti. Essa
constata che, pur nella diversità dei casi speciali a cui possono rispondere particolari soluzioni,
predomina nei vari Stati rappresentati una tendenza generale ad abbandonare le restituzioni
integrali e ad evitare i rischi mediante la istituzione di manutenzioni regolari e permanenti
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atte ad assicurare la conservazione degli edifici. Nel caso in cui un restauro appaia indispensabile
in seguito a degradazioni o distruzioni, raccomanda di rispettare l'opera storica ed
artistica del passato, senza proscrivere lo stile di alcuna epoca . La Conferenza
raccomanda di mantenere, quando sia possibile, la occupazione dei monumenti che ne
assicura la continuità vitale, purché tuttavia la moderna destinazione sia tale da rispettare il
carattere storico ed artistico.
Art. 3. Prende atto che tutti i paesi europei concordano sul fatto che esiste un interesse della collettività
contro l'interesse privato, chiede che ogni paese sviluppi norme che autorizzino le autorità ad
intervenire quando si verificano situazioni di emergenza, se un privato ha un affresco storico in
casa non può buttarlo via, è interesse della comunità che rimanga là anche se il muro è di proprietà
privata. Sempre qui viene affidato all’ufficio internazionale (che si pensava di istituire dopo il
convegno) di studiare le diverse legislazioni nazionali e di uniformarle attraverso delle proposte.
La Conferenza ha inteso la esposizione delle legislazioni aventi per scopo nelle differenti nazioni
la protezione dei monumenti d'interesse storico, artistico o scientifico; ed ha unanimemente
approvato la tendenza generale che consacra in questa maniera un diritto della collettività di
contro all'interesse privato. Essa ha constatato come la differenza di queste legislazioni
provenga dalla difficoltà di conciliare il diritto pubblico col diritto dei particolari; ed in
conseguenza, pur approvandone la tendenza generale, stimano che debba essere appropriata alle
circostanze locali ed allo stato dell'opinione pubblica, in modo da incontrare le minori opposizioni
possibili e di tener conto dei sacrifici che i proprietari subiscono nell'interesse generale. Essa
emette il voto che in ogni Stato la pubblica autorità sia investita del potere di prendere misure
conservative nei casi d'urgenza. Essa augura in fine che l'Ufficio internazionale dei musei pubblici
tenga a giorno una raccolta ed un elenco comparato delle legislazioni vigenti nei differenti Stati su
questo oggetto.
Art. 4. Vengono constatate convergenze comuni rilevanti nel restauro archeologico: tutti gli stati sono
concordi che nel caso di restauro archeologico è possibile intervenire utilizzando il metodo della
anastilosi, i materiali nuovi devono essere poco rilevanti e facilmente distinguibili. Cos’è
l’anastilosi? In realtà è, quando le condizioni lo permettono, opera felice di rimettere in posto gli
elementi originali ritrovati, se necessari i materiali nuovi utilizzati a questo scopo dovranno essere
riconoscibili. La Conferenza constata con soddisfazione che i principi e le tecniche esposte nelle
differenti comunicazioni particolari si ispirano ad una comune tendenza, cioè: quando si tratta di
rovine, ma conservazione scrupolosa si impone, e, quando le condizioni lo permettono, è opera
felice il rimettere in posto gli elementi originari ritrovati (anastilosi); e i materiali nuovi
necessari a questo scopo dovranno sempre essere riconoscibili. Quando invece la conservazione di
rovine messe in luce in uno scavo fosse riconosciuta impossibile, sarà consigliabile, piuttosto che
votarle alla distruzione, di seppellirle nuovamente, dopo, beninteso, averne preso precisi rilievi. È
ben evidente che la tecnica dello scavo e la conservazione dei resti impongono la stretta
collaborazione tra l’archeologo e l'architetto. Quanto agli altri monumenti, gli esperti,
riconoscendo che ogni caso si presenta con carattere speciale, si sono trovati d'accordo nel
consigliare, prima di ogni opera di consolidamento odi parziale restauro, una indagine scrupolosa
delle malattie a cui occorre portare rimedio.
Art. 5. L’uso giudizioso dei materiali nuovi può essere fatto , si cita il cemento armato anche negli
interventi di restauro, attenzione però: i partecipanti sottolineano che il c.a. può essere utilizzato
come mezzo di supporto ma non deve essere a vista, deve essere nascosto per non alterare il
carattere storico dell’edificio (tipo i pezzi di colonna nuovi del Capitolium dentro sono gettate. Gli
esperti hanno inteso varie comunicazioni relative all'impiego di materiali moderni per il
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consolidamento degli antichi edifici ; ed approvano l'impiego giudizioso di tutte le risorse
della tecnica moderna, e più specialmente del cemento armato. Essi esprimono il parere che
ordinariamente questi mezzi di rinforzo debbano essere dissimulati per non alterare
l'aspetto e il carattere dell'edificio da restaurare ; e ne raccomandano l'impiego
specialmente nei casi in cui essi permettono di conservare gli elementi in sito evitando i rischi
della disfattura e della ricostruzione.
Art. 6. I partecipanti constatano come la vita moderna sia in grado di minacciare sempre di più la
sopravvivenza degli edifici antichi, occorre una collaborazione. L’articolo 6 si divide in due sotto
capitoli: nel primo si afferma che una parte della sopravvivenza dei monumenti è affidata alla
progressione tecnologica e scientifica. Questo aspetto era già emerso in precedenza ma non gli
era mai stato dato il giusto peso fino ad ora. Il secondo sotto capitolo riguarda l'importanza di
diffondere le notizie relative ai restauri e alla scoperta tecnologica\scientifica . La
diffusione di tali cose è compito del solito ufficio internazionale in potenza ma che in realtà non
sarebbe mai nato per via della guerra. La conferenza constata che nelle condizioni della vita
moderna i monumenti del mondo intero si trovano sempre più minacciati dagli agenti esterni; e,
pur non potendo formulare regole generali che si adattino alla complessità dei casi, raccomanda:
– La collaborazione in ogni paese dei conservatori dei monumenti e degli architetti
coi rappresentanti delle scienze fisiche, chimiche, naturali per raggiungere
risultati sicuri di sempre maggiore applicazione;
– La diffusione, da parte dell'Ufficio internazionale dei Musei, di tali risultati mediante
notizie sui lavori intrapresi nei vari Paesi e le regolari pubblicazioni.
La Conferenza, nei riguardi della conservazione della scultura monumentale, considera che
l'asportazione delle opere dal quadro per quale furono create è come principio da ritenersi
inopportuna. Essa raccomanda a titolo di precauzione la conservazione dei modelli originari,
quando ancora esistono, e l'esecuzione dei calchi quando essi mancano.
Art. 7. Raccomanda di rispettare nelle costruzioni edifici nuovi la fisionomia e il carattere della città
(del passato), non ci devono essere intrusioni troppo moderne (si fa riferimento ai centri storici).
Bisogna avere rispetto anche per l’ambiente degli edifici storici  l’attenzione si sposta dal
singolo monumento ad elementi di insieme e soprattutto ai dintorni del monumento, che fino ad
ora non era mai stato preso in considerazione. Chiede l’abolizione dai luoghi storici ogni
rimozione di pubblicità, fili, tralicci, industrie, separazione netta tra elemento moderno ed
elemento antico. Viene affrontato il problema della contrapposizione tra città storica e moderna.
La Conferenza raccomanda di rispettare, nelle costruzioni degli edifici, il carattere e la
fisionomia della città, specialmente in prossimità dei monumenti antichi, per i quali
l'ambiente deve essere oggetto di cure particolari. Uguale rispetto deve aversi per talune
prospettive particolarmente pittoresche . Oggetto di studio possono anche essere le
piantagioni e le ornamentazioni vegetali adatte a certi monumenti per conservare l'antico
carattere. Essa raccomanda soprattutto la soppressione di ogni pubblicità, di ogni
sovrapposizione abusiva di pali e fili telegrafici, di ogni industria rumorosa ed
invadente, in prossimità di monumenti d'arte e di storia.
Art. 8. Indica che gli stati pubblichino un inventario dei monumenti storici nazionali corredati da diverse
informazioni, l’ufficio solito deve inoltre pubblicare informazioni circa gli interventi di restauro
(non lo farà mai). La Conferenza emette il voto:
– Che i vari Stati, ovvero le istituzioni in essi create o riconosciute competenti a questo
fine, pubblichino un inventario dei monumenti storici nazionali accompagnato da
fotografie e da notizie;
35
– Che ogni Stato crei un archivio ove siano conservati i documenti relativi ai propri
monumenti storici;
– Che l'Ufficio internazionale dei Musei dedichi nelle sue pubblicazioni alcuni articoli ai
procedimenti ed ai metodi di conservazione dei monumenti storici;
– Che l'Ufficio stesso studi la migliore diffusione ed utilizzazione delle indicazioni e dei
dati architettonici, storici e tecnici così centralizzati.
Art. 9. Plauso al governo ellenico per il lavoro di conservazione del proprio materiale archeologico. I
membri della Conferenza, dopo aver visitato, nel corso dei loro lavori e della crociera di studio
eseguita, alcuni dei principali campi di scavo e dei monumenti antichi della Grecia, sono stati
unanimi nel rendere omaggio al Governo ellenico, che da lunghi anni mentre ha assicurato esso
stesso l'attuazione di lavori considerevoli, ha accettato la collaborazione degli archeologi e degli
specialisti di tutti i paesi. Essi hanno in ciò veduto un esempio che non può che contribuire alla
realizzazione degli scopi di cooperazione intellettuale, di cui è apparsa così viva la necessità nel
corso dei loro lavori.
Art. 10.Dice che la conferenza è convinta che la conservazione e tutela abbiano possibilità di successo
maggiori se le scuole introducono nel loro programma di insegnamento elementi che portino alla
comprensione delle testimonianze delle civiltà ai ragazzini. La Conferenza, profondamente
convinta che la miglior garanzia di conservazione dei monumenti e delle opere d'arte venga
dall'affetto e dal rispetto del popolo e considerando che questi sentimenti possono essere assai
favoriti da una azione appropriata dei pubblici poteri, emette il voto che gli educatori volgano ogni
cura ad abituare l’infanzia e la giovinezza ad astenersi da ogni atto che possa degradare i
monumenti e le inducano ad intendere il significato e ad interessarsi, più in generale, alla
protezione delle testimonianze d’ogni civiltà.

Concetti fondamentali della carta:


– il rispetto di tutte le civiltà di tutti i tempi;
– il rispetto di ogni elemento e stile compresenti sul monumento;
– la necessità dell’uso;
– la necessità di conservare non solo il singolo monumento ma anche l’ambiente circostante;
– l'importanza di estendere l’attenzione non solo al monumento ma anche al modo di costruire
l’edilizia normale all’interno della città;
– fare in modo che l’edilizia nuova sia di qualità tale per dialogare con le preesistenze;
– utilizzo di metodologie nuove negli interventi di restauro, come il cemento armato;
– collaborazione internazionale;
– importanza sviluppo tecnico come aiuto per il restauro.
Questa conferenza poi si scioglie ed ognuno ha l’impegno di elaborare documenti che vadano a produrre
legislazione.
Carta Italiana del Restauro (Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti, 1932) Redatta per normare a
livello nazionale la disciplina del restauro, aggiornata con i nuovi temi.
Il Consiglio superiore per le Antichità e Belle Arti portando il suo studio sulle norme che debbono
reggere il restauro dei monumenti il quale in Italia si eleva al grado di una grande
questione nazionale, ed edotto delle necessità di mantenere e di perfezionare sempre più il primato
incontestabile che in tale attività, fatta di scienza di arte e di tecnica, il nostro paese detiene; […]
considerando che nell'opera di restauro debbano unirsi ma non elidersi neanche in parte, vari
criteri di diverse ordine, cioè le ragioni storiche che non vogliono cancellata nessuna delle fasi
attraverso cui si è composto il monumento, ne falsata la sua conoscenza con aggiunte che inducano in
36
errore gli studiosi, ne disperse il materiale che le ricerche analitiche pongono in luce; il concetto
architettonico che intende riportare il monumento ad una funzione d'arte e, quando sia possibile, ad
una unità di linea (da non confondersi con la unita di stile); il criterio che deriva dal sentimento
stesso dei cittadini, dallo spirito della città, con i suoi ricordi e le sue nostalgie; e infine, quello spesso
indispensabile che fa capo alle necessità amministrative attinenti ai mezzi occorrenti e alla
pratica utilizzazione.

Art. 1. Massima importanza alla manutenzione e consolidamento;


Art. 2. Ripristino solo quando strettamente necessario (ragioni dell’arte e di unità architettonica), fatto
con criterio storico, basato su dati assolutamente certi;
Art. 3. Ai monumenti morti, ovvero ormai lontani dai nostri usi (rovine per es.) si deve escludere il loro
completamento, accettata solo l’anastilosi;
Art. 4. Nei monumenti vivi sono ammesse solo utilizzazioni non troppo lontane dalle destinazioni
primitive, per non dover fare troppi adattamenti e danni all’originale;
Art. 5. Si devono conservare tutti gli elementi che hanno un carattere d’arte o di storico ricordo, si
possono eliminare solo quelli che rappresentano deturpamenti inutili (es murature di finestre o
intercolumni di portici);
Art. 6. Rispetto anche per le condizioni ambientali di un edificio, ovvero dell’intorno che lo circonda
(non costruirci schifezze in parte);
Art. 7. Aggiunte necessarie devono essere al minimo;
Art. 8. Aggiunte devono essere riconoscibili (per materiale, sigle, epigrafi, ...);
Art. 9. Per interventi di consolidamento e riabilitazione si possono usare nuove tecniche quando i mezzi
utilizzati dagli antichi non aiutano a raggiungere lo scopo;
Art. 10.Quando si compiono scavi è necessario che a scavo ultimato si mettano in opera tutti i
procedimenti di manutenzione, protezione e sistemazione dei ruderi rinvenuti;
Art. 11.Raccomanda esecuzione di accurata in un documento di cantiere, oggi è il giornale di cantiere.
Il restauratore è obbligato a farlo. Il Giornale di cantiere documenta il prima durante e dopo e va
consegnato in soprintendenza.

Questa serie di affermazioni contenute nella carta del restauro italiana deriva dalle affermazioni di Boito e
carta di Atene e rappresentano per lo più una sistematizzazione; tuttavia, ancora lontana dalla praticità, ci
vorranno anni, se non decenni per vedere applicazioni in cantiere.
Tutto ciò ribadito in circolare ministeriale del 1938  istruzioni per il restauro dei monumenti. La
cosa da ricordare è che l’esito finale delle elaborazioni teoriche fu la prima legislazione organica a livello
di tutela (italiana).
– Legge 1° giugno 1939, n. 1089;
– Legge 29 giugno 1939, n. 1497 sulla tutela delle bellezze naturali, parchi giardini e paesaggio;
– Leggi che furono abrogate solo nel 1999 confluirono in un testo unico DL 490/1999 abrogato
dalla normativa attualmente in vigore, il codice dei beni culturali e del paesaggio.
Tenere presente che tutto ciò si verifica alle soglie della Seconda guerra mondiale.

Il rilievo del degrado


Inizialmente si fanno ipotesi poi si decidono indagini da fare, successivamente bisogna interpretare i
risultati delle indagini e decidere intervento, (noi ci si ferma al riconoscimento visivo).
Osservazione: di solito su una superficie ci sono più degradi e alcuni possono essere causa di altri

37
Abrasione  Perdita superficiale di materiale. È causata da danni accidentali e da eventi naturali quali
l’azione eolica sommata all’effetto abrasivo del particolato atmosferico sospeso. In situazioni di degrado
del substrato, può essere prodotta anche da interventi di pulitura più o meno incauti di natura meccanica
(es.: spolveratura, pulitura a tampone, pulitura con gomme, ecc..).

Fig. 12 Esempio di Abrasione.


Bottacciolo  Escrescenza tondeggiante dell’intonaco, di ridotte dimensioni, prodotta dall’inclusione
nella malta di granuli di calce non sufficientemente spenta (o da minuzzoli di fibre vegetali o altre
impurità), che tendono nel tempo, per assorbimento di umidità dell’atmosfera o della muratura, ad
aumentare gradualmente di volume; il bottacciolo può, per progressione del fenomeno di idratazione,
distaccarsi e lasciare nell’intonaco una caratteristica lacuna a forma di cratere. Cottura di materiale
calcareo (carbonato di calcio) in forni a 900-1100°C  calce viva (ossido di calcio). Calce viva + acqua
 calce spenta (legante inorganico; idrossido di calcio: calce idrata o grassello).

Fig. 13 Esempio di Bottacciolo.


Condensa  Fenomeno di deposito del vapore acqueo contenuto nell’atmosfera, sotto forma di un velo
di acqua liquida su una superficie “fredda”, cioè con temperatura inferiore a quella dell’aria circostante.
Sulle superfici dei dipinti murali la condensa attiva un meccanismo di:
– Deposito degli aerosol solidi (fumo, polvere);
– Penetrazione di sostanze acide (acido carbonico e solforico);
– Penetrazione sali solubili (cloruri, solfati).
Cretto  Soluzione di continuità interessante gli strati preparatori e/o la pellicola pittorica nel loro
spessore

Fig. 14 Esempio di Cretto.


Cristallizzazione dei Sali  Fenomeno chimo-fisico di crescita cristallina dei sali solubili presenti
nell’intonaco e nei materiali porosi da costruzione.

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Fig. 15 Esempio di Cristallizzazione dei sali.
Decoesione  Fenomeno di disaggregazione di materiali costitutivi un manufatto, non sempre
visivamente apprezzabili, per processi di deterioramento chimico o fisico; si manifesta con distacco [...]
di particelle o aggregati di particelle di differente formato; comporta incremento della porosità e perdita
delle caratteristiche meccaniche del manufatto. Assume anche le denominazioni di disaggregazione e
polverizzazione. Nei dipinti murali, le principali cause sono: trasformazione e solubilizzazione del
carbonato di calcio (CaCO3), cristallizzazione dei sali, azione di microrganismi e piante infestanti.

Fig. 16 Esempio di Decoesione.


Deformazione  In un dipinto murale, variazione del profilo degli strati preparatori e della pellicola
pittorica per dissesto statico. Alla deformazione sono collegate discontinuità nell’adesione tra gli strati
con distacchi anche di tipo lamellare non riscontrabili a vista.

Fig. 17 Esempio di Deformazione.


Deposito superficiale  Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali, ad esempio, polvere,
terriccio, deiezioni animali, ecc... Ha spessore variabile e, generalmente, scarsa coerenza e aderenza al
materiale sottostante.

Fig. 18 Esempio di Deposito superficiale.

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Dilavamento  Scorrimento ciclico uniforme di acqua piovana su una superficie muraria con rimozione
di materiale sovrapposto e costitutivo.

Fig. 19 Esempio di Dilavamento.


Disgregazione  Fenomeno di decoesione in stadio avanzato, caratterizzato da un distacco di particelle
sotto forma di granuli, tale da comportare anche la perdita di parti consistenti di materiale originale.

Fig. 20 Esempio di Disgregazione.


Distacco  Discontinuità tra strati del materiale costitutivo di un dipinto; può essere localizzata tra
supporto e strati preparatori, all’interno di questi, o tra strato preparatorio e pellicola pittorica, e implicare
o meno spostamento delle parti. Il distacco può interessare zone più o meno ampie e assumere morfologie
differenti; spesso si risolve in perdita di materiale originario (lacuna).

Fig. 21 Esempio di Distacco.


Erosione  Azione distruttiva, dovuta a processi sia chimici che fisici, che comporta l’asportazione di
materiale dalle superfici.

Fig. 22 Esempio di Erosione.


Fessurazione  Soluzione di continuità ad andamento lineare, con distacco macroscopico delle due
parti, che può interessare l’intero spessore (supporto – pellicola pittorica) di un dipinto murale. Cause
comuni: dissesto statico; penetrazione localizzata di radici di piante infestanti.

40
Fig. 23 Esempio di Fessurazione.
Frammentazione  Distacco dal supporto murario di scaglie o porzioni di differenti dimensioni degli
strati preparatori e della pellicola pittorica, dovuto a sollecitazioni meccaniche o ad accentuati fenomeni
di disgregazione, con conseguente caduta e perdita di materiale. In casi particolari di grave dissesto
statico per eventi naturali (terremoto, cedimenti del terreno, ecc..) può coinvolgere anche il supporto
murario.

Fig. 24 Esempio di Frammentazione.


Incrostazione  Deposito stratiforme di una certa estensione, compatto e generalmente molto aderente
al substrato, composto da sostanze scarsamente solubili, prevalentemente carbonati, depositati da acque
dure. Su materiali calcarei molto porosi, in particolare su intonaci, l’incrostazione è spesso dovuta a
ricristallizzazione del carbonato di calcio (CaCO3), preventivamente disciolto da acque ricche di acido
carbonico (H2CO3). In biologia: strato superficiale, di notevole spessore e consistenza, formato da alghe
microscopiche e/o licheni, con colorazioni variabili: nere, bianche e rosse.

Fig. 25 Esempio di Incrostazione.


Infestazione  Attacco ed invasione a causa di organismi superiori animali o vegetali (insetti xilofagi,
formiche, ragni ecc… e vegetazione infestante). Opere soggette ad incuria o situate in ambiente esterno
sono più esposte a questo tipo di deterioramento.

Fig. 26 Esempio di Infestazione.

41
Infezione  Attacco causato da microrganismi biodeteriogeni (batteri, alghe e funghi) sotto forma di
spore o in forma vegetativa. Ognuna delle specie dà luogo a danni tipici quali: formazione di patine
colorate (batteri), strati gelatinosi e patine verdi che si possono trasformare di colore nel corso dello
sviluppo (alghe), strati micellari o piccole colonie (funghi).

Fig. 27 Esempio di Infezione.


Infiltrazione  Fenomeno di penetrazione dell’acqua piovana nelle murature: per difetti delle coperture,
delle schermature in vetro e dei sistemi di smaltimento; per fessurazioni degli intonaci o per guasti nei
sistemi idrici [...]. La fenomenologia del danno connessa alla presenza di acqua nella muratura è
assimilabile a quella della risalita capillare.

Fig. 28 Esempio di Infiltrazione.


Patina  Alterazione irreversibile innescata dal trascorrere del tempo sulla superficie di un manufatto
esposto all’aria, alla luce, agli agenti inquinanti, ecc... Nel caso dei dipinti, sulla pellicola pittorica si crea
un uniforme, inimitabile, scurimento, in grado di conferire “quell’accordo, quell’unione che ai quadri solo
viene dal tempo” (L. Crespi).

Fig. 29 Esempio di Patina.


Patina biologica  Strato sottile, morbido e omogeneo, aderente alla superficie e di evidente natura
biologica, di colore variabile, per lo più verde. La patina biologica è costituita prevalentemente da
microrganismi cui possono aderire polvere, terriccio, ecc…

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Fig. 30 Esempio di Patina biologica.
Polverizzazione  Fenomeno di decoesione in stadio avanzato, caratterizzato da un distacco di particelle
sotto forma di polvere di differente grado di finezza.

Fig. 31 Esempio di Polverizzazione.


Ruscellamento  Scorrimento, lungo vie preferenziali, dell’acqua piovana su una superficie esterna,
prevalentemente per scarichi difettosi da tetti, cornicioni, davanzali, ecc...

Fig. 32 Esempio di Ruscellamento.


Sbiancamento  Offuscamento parziale o totale della cromia di un dipinto per la presenza sulla
superficie di uno strato biancastro di differente consistenza e spessore (velo, strato o incrostazione). Nei
dipinti murali sono in genere causa di sbiancamento efflorescenze saline, veli o incrostazioni di carbonati,
consolidanti o protettivi alterati.

Fig. 33 Esempio di Sbiancamento.


Scolorimento  Fenomeno di alterazione che si manifesta con la perdita di intensità di colorazione.
Interessa in modo particolare i coloranti e le lacche molto instabili alla luce e quindi soggetti a
sbiadimento.

43
Fig. 34 Esempio di Scolorimento.
Sollevamento  Distacco della pellicola pittorica e/o degli strati preparatori dal supporto con
conseguente rilevante deformazione della superficie.

Fig. 35 Esempio di Sollevamento.


Viraggio  Cambiamento di colore collegato a una trasformazione del materiale di partenza, che si
verifica a seguito di reazioni chimiche.

Fig. 36 Esempio di Viraggio.

Lessico UNI 11130:2004, Beni culturali materiali lignei;


terminologia del degradamento del legno
Alterazione  qualsiasi tipo di modificazione del legno intervenuta dopo che il manufatto ligneo è stato
messo in opera o ha iniziato a svolgere la sua funzione. Può essere principalmente di origine biologica,
meccanica o chimica. NON implica necessariamente un peggioramento delle caratteristiche del materiale.
Degradamento (sin. Degrado)  modificazione del legno, di diversa origine, che in qualsiasi modo ne
peggiora le caratteristiche (in particolare, ma non esclusivamente, quelle meccaniche). In generale può
essere causato da agenti chimici, fisici, meccanici, biotici e/o loro combinazioni.
Attacco  Processo di degradamento può essere attivo o pregresso.

44
Fig. 37 Esempio di Attacco attivo. Fig. 38 Esempio di Attacco progressivo.
Alterazione cromatica  Variazione del colore naturale del legno. Tipicamente viene causata da
attacchi fungini o batterici, da processi foto ossidativi, da agenti meteorici, da processi chimici.

Fig. 39 Esempio di Alterazione cromatica.


Colonizzazione  Insediarsi di funghi o altri microorganismi nel legno. Per il legno (UNI 11130:2004)
Insediarsi di funghi o di altri microrganismi nel legno. Anche "Infestazione": Insediarsi di insetti o di altri
organismi animali nel legno. NB: gli insetti colonizzanti il legno si distinguono in lignicoli e lignivori o
xilofagi.

Fig. 40 Esempio di Colonizzazione.


Danno meccanico  Degradamento di un manufatto o di una struttura o di parti di questa causato da
azioni meccaniche, sia interne che esterne.

Fig. 41 Esempio di Danno meccanico.


Infestazione  Insediarsi di insetti o di altri organismi animali nel legno.

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Fig. 42 Esempio di Infestazione.
Attacco entomatico  Degradamento del legno causato da larve e da insetti xilofagi che con la loro
attività scavano gallerie nell’interno del legno. Sulla superficie nella maggior parte dei casi, si notano fori
di varia grandezza e forma detti fori di sfarfallamento.

Fig. 43 Esempio di Attacco entomatico.


Carie (sin. Marciume)  Degradamento del legno causato da funghi che provocano perdita progressiva
di massa, di resistenza meccanica, di durezza e generalmente anche variazioni di colore e di aspetto. Tali
funghi possono essere attivi soltanto se il legno ha umidità maggiore del 18-20%.
– Carie bianca (o fibrosa): Carie causata da funghi che demoliscono la cellulosa, le
emicellulose e la lignina della parete cellulare legnosa. Il legno residuo assume una colorazione
biancastra e un aspetto fibroso.
– Carie bruna: Carie causata da funghi che demoliscono principalmente la cellulosa. Il legno
residuo assume una colorazione bruna ed è friabile; nei forti attacchi si presenta fessurato in senso
longitudinale e trasversale. A questo stadio la carie viene denominata cubica.
– Carie soffice: Carie causata da alcuni funghi che demoliscono principalmente la cellulosa. Allo
stato umido la superficie del legno si presenta più scusa e soffice al tatto, allo stato secco indurisce
e si cretta in senso trasversale e longitudinale.
– Carie bruna secca [dry rot]: Carie bruna causata da Serpula lacrymans in legni aventi
umidità compresa tra il 22-25% e il 40%. Interessa soprattutto legno di conifera in opera negli
edifici.

Fig. 44 Esempio di Carie bruna secca (dry not).


– Carie bruna umida [wet rot]: Carie bruna causata da Coniophora puteana in legni aventi
umidità maggiore del 40%. Interessa legni di conifera e di latifoglia in opera sia all’interno sia in
ambiente esterno.
46
Fig. 45 Esempio di Carie bruna umida (wet rot).
Muffa  Termine usato genericamente per indicare crescite miceliali superficiali di funghi imperfetti,
tipicamente in condizioni ambientali di alta umidità.

Fig. 46 Esempio di Muffa.


Attacco da organismi marini  Degradamento che avviene nel legno in opera in acqua di mare, causato
sia da crostacei [es. Limnoridi] sia da molluschi xilofagi [es. Teredinidi]. Il legno presenta gallerie sulla
superficie o nella parte interna.

Fig. 47 Esempio di Attacco da organismi marini.


Attacco batterico  Degradamento che avviene in legni che sono stati per lungo tempo in condizioni di
alta umidità come, per esempio, in acqua di mare. La superficie del legno diviene generalmente più scura
e soffice, qualche volta grigiastra, con una consistenza come burro.

Fig. 48 Esempio di Attacco batterico.


Attacco chimico  Degradamento del legno dovuto all’azione di agenti chimici, come per esempio
alcuni acidi o basi, agenti ossidanti, ecc.
Attacco fotolitico  Degradamento superficiale del legno dovuto a processi foto – ossidativi generati
dall’esposizione solare o a radiazioni UV.

47
Fig. 49 Esempio di Attacco fotolitico.
Azioni meccaniche  Sollecitazioni meccaniche di vario genere, causanti deformazioni, rotture, o
asportazioni di materiale.

Fig. 50 Esempio di Azioni meccaniche.


Carbonatazione  Processo degradativo che si realizza in carenza di ossigeno, portando più o meno
rapidamente alla trasformazione del legno in carbone attraverso complesse reazioni di ossido-riduzione.
Viene favorito e/o accelerato da valori elevati della temperatura e della pressione.

Fig. 51 Esempio di Carbonatazione.


Erosione  Disgregazione superficiale dovuta ad asportazione di minuti frammenti della superficie del
legno, ad opera di vari fattori, quali ad esempio sfregamento di corpi solidi, oppure impatto di particelle
trasportate dal vento o da correnti liquide.

Fig. 52 Esempio di Erosione.

48
Fenomeni di degrado del calcestruzzo
Colatura [trickling]  Traccia ad andamento verticale. Frequentemente se ne riscontrano numerose ad
andamento parallelo (UNI 11182:2006). Generalmente di colorazione più scura della superficie (apporto
di materia) o più chiara (asportazione, dilavamento).

Fig. 53 Esempio di Colatura (trickling).


Colonizzazione biologica  Presenza riscontrabile macroscopicamente di micro e/o macrorganismi
(alghe, funghi, licheni, muschi, piante superiori) (UNI 11182:2006). Patina biologica: strato sottile ed
omogeneo, costituito prevalentemente da microrganismi, variabile per consistenza, colore e adesione al
substrato (UNI 11182:2006).

Fig. 54 Esempio di Colonizzazione biologica.


Crosta  Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Di spessore variabile,
generalmente dura, la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e
spesso per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta
disgregato e/o polverulento (UNI 11182:2006).

Fig. 55 Esempio di Crosta.


Deposito superficiale [dust]  Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio,
guano, ecc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza sottostante» (UNI
11182:2006).

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Fig. 56 Esempio di Deposito superficiale (dust).
Disgregazione [scaling, chalking, dusring]  Decoesione con caduta del materiale sotto forma di
polvere o minutissimi frammenti. Talvolta viene utilizzato il termine polverizzazione (UNI 11182:2006).
Può essere leggera nel caso in cui la perdita della matrice cementizia non lasci in vista l’aggregato, media
o avanzata quando invece l’aggregato risulta visibile, o molto avanzata se oltre alla dissoluzione della
matrice cementizia si rileva anche la perdita dell’aggregato.

Fig. 57 Esempio di Disgregazione (scaling, chalking, dusring).


Distacco [delamination]  Soluzione di continuità tra strati di un intonaco, sia tra loro che rispetto al
substrato che prelude, in genere, alla caduta degli strati stessi (UNI 11182:2006). La separazione può
avvenire anche tra strati di superficie, comprese le riparazioni.

Fig. 58 Esempio di Distacco (delamination).


Efflorescenza  Formazione superficiale di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso,
generalmente di aspetto biancastro (UNI 11182:2006).

Fig. 59 Esempio di Efflorescenza.


Erosione  Asportazione di materiale dalla superficie che nella maggior parte dei casi si presenta
compatta UNI 11182:2006).

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Fig. 60 Esempio di Erosione.
Esfoliazione  Formazione di una o più porzioni laminari, di spessore molto ridotto e subparallele tra
loro, dette sfoglie (UNI 11182:2006).

Fig. 61 Esempio di Esfoliazione.


Incrostazione, concrezione [stalattite, stalagmite]  Deposito stratiforme compatto e generalmente
aderente al substrato. Si definisce concrezione quando il deposito è sviluppato preferenzialmente in una
sola direzione non coincidente con la superficie lapidea e assume forma stalattitica o stalagmitica (UNI
11182:2006).

Fig. 62 Esempio di Incrostazione, concrezione (stalattite, stalagmite).


Macchia, alterazione  Macchia: variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla
presenza di determinati componenti naturali del materiale (concentrazione di pirite nei marmi) sia alla
presenza di materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione di materiali metallici, sostanze organiche,
vernici, microrganismi, ecc.) (UNI 11182:2006). Alterazione cromatica: variazione naturale, a carico
dei componenti del materiale, dei parametri che definiscono il colore. È generalmente estesa a tutto il
materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti in modo localizzato è preferibile utilizzare il
termine macchia (UNI 11182:2006).

Fig. 63 Esempio di Macchia, alterazione.

51
Mancanza, lacuna  Mancanza: perdita di elementi tridimensionali (braccio di una statua, ansa di
un’anfora, brano di una decorazione a rilievo, ecc.) (UNI 11182:2006). Lacuna: perdita di continuità di
superfici (parte di un intonaco e di un dipinto, porzione di impasto o di rivestimento ceramico, tessere di
mosaico, ecc.) (UNI 11182:2006).

Fig. 64 Esempio di Mancanza, lacuna.


Popout  Formazione di fori di forma tipicamente conica dovuti all’espulsione di materiale dalla
superficie del manufatto in calcestruzzo causata da una pressione interna. Si dice piccolo il popout dove i
fori hanno dimensioni inferiori a 10 mm di diametro, medio quando i fori misurano tra 10 e 50 mm di
diametro e grande quando superano i 50 mm.

Fig. 65 Esempio di Popout.


Riprese di getto, giunti  Linea o discontinuità visibile sulla superficie del calcestruzzo indicativa di
getti successivi, dove uno strato di calcestruzzo era già indurito precedentemente alla posa in opera dello
strato seguente.

Fig. 66 Esempio di Riprese di getto, giunti.


Vespai, nidi di ghiaia [honeycombs]  Vuoti lasciati nel calcestruzzo dovuti alla mancanza della malta
di riempimento degli spazi tra gli aggregati più superficiali.

Fig. 67 Esempio di Vespai, nidi di ghiaia (honeycombs).

52
Vuoti d’aria  Piccoli e regolari vuoti dovuti alla presenza di bolle d’aria intrappolate nello strato
superficiale del calcestruzzo durante la fase della posa in opera e dell’indurimento.

Fig. 68 Esempio di Vuoti d'aria.


Fessurazioni non strutturali  Soluzione di continuità nel materiale che implica lo spostamento
reciproco delle parti» (UNI 11182:2006).

Fig. 69 Esempio di Fessurazioni non strutturali.


– Micro fessure ad andamento irregolare : Sottili fessure sulla superficie di un manufatto di
calcestruzzo, di malta o su un intonaco.

Fig. 70 Esempio di Micro fessure ad andamento irregolare.


– Fessure a trama irregolare : Sottili fessure sulla superficie di un manufatto di calcestruzzo a
trama irregolare che derivano da una diminuzione del volume del materiale in prossimità della
superficie o dall’aumento del volume sotto la superficie o entrambi.

Fig. 71 Esempio di Fessure a trama irregolare.


– Fessure da assestamento o da ritiro plastico : Fessurazioni che si formano sulla superficie
del calcestruzzo ancora fresco dopo il getto o mentre è ancora plastico.

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Fig. 72 Esempio di Fessure da assestamento o da ritiro plastico.
– Fessure da ritiro: Soluzioni di continuità dovute a contrazioni esterne o interne causate o dalla
riduzione del contenuto di umidità o dal processo di carbonatazione o da entrambi.

Fig. 73 Esempio di Fessure da ritiro.


– Fessure da contrazione termica: Soluzioni di continuità dovute a gradiente di temperature
in elementi strutturali soggetti a contrazioni esterne o al differenziale di temperature in strutture
soggette a contrazioni interne.

Fig. 74 Esempio di Fessure da contrazione termica.


–Fessure ad andamento parallelo: Fessure a distanza ravvicinata e a intervalli irregolari sulla
superficie di un manufatto di calcestruzzo, di malta o su un intonaco.
– Fessurazioni trasversali: Soluzioni di continuità che si sviluppano negli spigoli lungo la
direzione dell’elemento.
– Fessure pressoché parallele: Serie di fessure pressoché parallele in prossimità di giunti,
spigoli e fessure strutturali.
– Fessure ad andamento diagonale: In un elemento inflesso, fessurazione ad andamento
inclinato, solitamente circa 45 gradi rispetto all’asse, causata da sforzo di taglio; in una lastra
invece una soluzione di continuità con andamento non parallelo ai lati principali.
– Micro fessure: Fessure sulla superficie esterna di un manufatto in calcestruzzo con spessore
così piccolo da essere difficilmente visibili.
Danni da corrosione delle barre di armatura  vi sono diversi tipi di danni:

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Fig. 75 Esempio di Danni da corrosione delle barre di armatura.
– Fessurazione da corrosione: Soluzione di continuità che si produce lungo la direzione delle
barre d’armatura a causa della loro corrosione.

Fig. 76 Esempio di Fessurazione da corrosione.


– Delaminazione: Perdita di materiale lungo un piano parallelo alla superficie causata dalla
corrosione delle armature.

Fig. 77 Esempio di Delaminazione.


– Tracce di ruggine: Presenza di ruggine sulla superficie del calcestruzzo causata dalla
corrosione delle barre di armatura.

Fig. 78 Esempio di Tracce di ruggine.


– Espulsione: Perdita di elementi tridimensionali in forma di scaglie che si staccano dalla massa di
calcestruzzo causata dalla corrosione delle barre d’armatura.

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Fig. 79 Esempio di Espulsione.

Il progetto di conservazione: contrasto del degrado e


conservazione della materia: principi e tecniche di
preconsolidamento e pulitura
L’edificio storico viene inteso come risorsa materiale in continua evoluzione. Spesso l’uomo ha
cancellato le tracce della storia per costruire una storia sostitutiva, reintegrando l’immagine originale o
meno.
La permanenza dei segni e stratificazioni storiche sono uno dei punti essenziali del progetto di
conservazione, i segni sono da interpretare come un arricchimento, un punto di partenza della
conservazione. Il progetto di conservazione ha come premessa le fasi del rilievo ed indagine storica,
imprescindibili per costituire le basi di elaborazione delle info acquisite sullo stato dell’edificio per
orientare le scelte di progetto.
Ultimata la fase di progetto e conservazione si passa alla fase di manutenzione (cura del costruito) che ne
garantisce la sopravvivenza nel tempo e la qualità, con interventi minimi ma sistematici e programmati
nel tempo per evitare gli effetti di ritorno del degrado.
Quanto costa realizzare un tipo di intervento? Le teorie vanno misurate con le reali possibilità
tecnologiche ed economiche.
Dal singolo monumento l’interesse del restauro si è spostato ai centri storici, al costruito anche non
storico e più vicino a noi, con materiali che non consideriamo storici. L’edificato diffuso e storico deve
essere riconosciuto come bene economico e come bene d’uso, il riuso è parte essenziale del progetto di
restauro. La decisione sulla reale possibilità di conservare gli edifici va messa in relazione con i valori
predominanti che nel manufatto sono riconosciuti, a volte ci sono impossibilità tecniche ed economiche
nell’affrontare i problemi.
La scienza della conservazione si occupa di analizzare il degrado, di prevenire il degrado
individuandone il suo ciclo di produzione, la conservazione interviene proprio quando l’evoluzione del
degrado diventa una patologia, quando riscontro una patologia devo intervenire.
L'obiettivo della conservazione è di contenere il degrado, agire sui fenomeni scatenanti del degrado.
Rimuovere i segni del degrado cosa vuol dire? Il degrado non è soltanto una situazione da rimuovere ma è
anche l’effetto della storia, quindi anziché eliminarlo bisogna arrestarlo, quindi bisogna fare
manutenzione e prevenzione, tramite operazioni sistematiche preventive, la nostra attenzione va rivolta
alla manutenzione e prevenzione del processo di invecchiamento ineluttabile (e non) di un edificio.
Processo di conservazione:
– Fase 1: CONOSCENZA  schema grafico, riprese fotografiche, ricognizione archivistico –
bibliografica;
– Fase 2: CONOSCENZA  progetto di rilievo, book fotografico, relazione storica 
importante per mantenere e tutelare le tracce storiche;
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– Fase 3: ANALISI  rilievo delle geometrie, dei particolari;
– Fase 4: ANALISI  rilievo materico, rilievo delle patologie di degrado, rilievo archeologico
stratigrafico, indagini diagnostiche  molto importante, sono indizi colti da osservazioni sul
campo o ricerca archivistica, relazione tecnica;
– Fase 5: PROGETTO  progetto di conservazione (materia + strutture), schede tecniche,
progetto di riuso.
Il problema che si pone al mondo professionale è quello della ricerca dei metodi e tecniche più
appropriate con cui le teorie di conservazione si possano confrontare con le pratiche di cantiere. Il nostro
progetto di conservazione parte da un processo di conoscenza partendo dal rilievo fino alle scelte per il
progetto di recupero, capace di passare dalla sua fase esecutiva alla prova del cantiere. L’attenzione
maggiore va rivolta all’intero processo.
Per esempio, dalla conoscenza storica di un edificio scaturiscono le fasi per organizzare un processo di
conservazione, lasciando le tracce storiche e per ipotizzare un progetto compatibile. In queste fasi le
indagini diagnostiche sono fondamentali. Infine, intrecciando tutte le informazioni acquisite si arriva alle
ipotesi progettuali.
Negli ultimi anni la questione della conservazione dei rivestimenti degli edifici è stata affrontata sul piano
storico tecnico con buoni risultati e si è giunti a un sistematico avanzamento. Come comportarci di fronte
ad elementi di pregio? Ci sono approcci contraddittori, si passa dalla sostituzione completa (causa
degrado, esposizione agli agenti atmosferici) alle nuove tecniche.
Ci sono anche incentivi come il Bonus facciate che garantisce una detrazione del 90% delle spese.
La metodologia di intervento corretto che si sceglie è data unicamente dalla competenza tecnica del
progettista e dalla sua cultura progettuale; in sostanza non ci sono leggi o incentivi che tengano. Il
progettista ragiona e applica ciò che pensa sia meglio per l’edificio.
Principi di intervento:
– Minimo intervento  solo dove è necessario, si può parlare anche di non intervento, non devo
farlo per forza se non c’è la necessità;
– Compatibilità  tra esistente e progetto, si parla in termini di materiali ma anche di riuso; la
nuova funzione meglio che sia in aggiunta, piuttosto che rimuovere metto qualcosa in più che
serve;
– Reversibilità  per esempio se metto un materiale nuovo e mi rendo conto dopo dieci anni che
crea problemi devo essere in grado di rimuoverlo; si attua la politica della minor sottrazione
possibile di materia, al massimo aggiungo;
– Autenticità  importanza di mantenere la materia autentica;
– Stratificazione  si devono riconoscere le fasi di costruzione dell’edificio (Gallina);
– Riconoscibilità  una persona (non del settore) che arriva dopo 10 anni deve essere in grado
di riconoscere il mio intervento e quello che c’era precedentemente, devo fare intervento che
dialoga con la preesistenza, no esercizi di stile a sé stanti.
– Manutenzione o conservazione programmata  ovviamente dato che ho appena guarito
l’edificio è opportuno continuare a tenerlo sotto controllo, conviene quindi avere un programma di
conservazione anche dopo l'intervento.
L’autenticità si riferisce alla conservazione del materiale autentico, la riconoscibilità si riferisce
all’impiego dei nuovi materiali nell’intervento, si deve dialogare e confrontare con una preesistenza. Il
cantiere è un luogo dove giornalmente emergono problemi storici, tecnici, economici che devono essere
risolti: possono essere affrontati adottando criticamente metodi di intervento risolutivi convalidati
dall’esperienza.

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Si cercano in genere strade alternative sia riguardo alle tecniche sia riguardo ai prodotti utilizzati. Il modo
di affrontare i problemi di restauro viene articolato in due: c’è chi pretende di attivare procedure
tradizionali di ripristino con interventi di tipo imitativo e ricostruttivo.
Ci sono manuali che spiegano queste procedure, solo che servono come strumento per i tecnici che
operano in questi luoghi per ripristinare gli elementi esattamente come erano prima, l’orientamento è
quello di rifare.
Nell’altro approccio possibile invece, c’è chi abbandona questa strada per giungere ad una distinzione
materiale e formale tra l’edificio esistente e l’opera nuova.
Tieni presente che puoi fare tutte le ricerche che vuoi ma alcune cose verranno fuori solo in fase
di cantiere: banalmente, finchè non tiri via il tetto non sai come è lo stato delle travi in legno; è,
dunque, opportuna una buona documentazione fotografica anche durante i lavori e un piano B.
In tavola: le fasi di intervento vengono rappresentate avendo come base la tavola del degrado; tutti i punti
devono essere in ordine cronologico di realizzazione. In tavola riporto solo l’azione, le specifiche vanno
messe a parte, in schede di intervento. Esse dispongono di una fotografia dello stato di degrado.
Nel progetto è importante la redazione delle schede di intervento, con fotografia del degrado, materiale
interessato, definizione del degrado, le cause del degrado, descrizione della procedura di intervento,
quello che devo fare c’è scritto sui manuali.
Il professionista prende un manuale, copia la voce dal manuale eliminando dalla descrizione le parti che
non interessano il proprio progetto.
Progetto di conservazione: è costituito da tutte le analisi preliminari cui si aggiungono le voci di
intervento diretto che sono preconsolidamento, pulitura, consolidamento e protezione. Questi sono gli
interventi diretti, quelli indiretti sono tutti gli interventi che non riguardano direttamente il materiale
deteriorato ma che servono a limitare il degrado (la realizzazione di intercapedini per esempio).
Il progetto di conservazione è caratterizzato da:
– opere di preconsolidamento, fondamentale se ci si trova dinnanzi a materiali molto degradati,
quindi con la necessità di un intervento preventivo prima di passare alla pulitura (una superficie
molto degradata è, per esempio, un intonaco che si sbriciola, prima di fare qualsiasi cosa devo
preconsolidare) naturalmente non sempre è necessaria questa fase.
– La pulitura serve a rimuovere dalla superficie ogni deposito che può causare un degrado,
attenzione a non spingersi oltre il necessario rimuovendo la traccia del tempo. Pulire troppo è
un’operazione rischiosa, dal fatto che è un intervento non reversibile.
– Il consolidamento parla da sé.
– Gli interventi di protezione sono rivolti agli agenti atmosferici e inquinanti; quindi, si
riferiscono a materiali esposti all’aperto, non sempre quindi è necessaria la protezione.
Questo livello di conoscenza serve a scegliere i metodi e i prodotti di conservazione più adeguati. La cosa
fondamentale da ricordare sempre è che, prima di andare in cantiere, i metodi e le tecniche ipotizzati
vanno verificati attraverso prove preliminari, è una operazione ineludibile. Si valuta la concentrazione
del prodotto, il tempo di posa ed il risultato.
Il progetto di conservazione si elabora successivamente in base alle esigenze di riuso e allo stato di
partenza.
Prima di affrontare un intervento di conservazione è necessaria una analisi attenta del quadro patologico
generale, cause ed effetti, il materiale che si è degradato è da conoscere bene.
Questo livello di conoscenza a cosa servirà? a scegliere metodi e prodotti di restauro più adeguati, prima
di mettere mano su una superficie i metodi e tecniche ipotizzate vanno verificate attraverso prove
preliminari.
Se sfogli un prezziario c’è sempre scritto previa campionatura.
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In cantiere realizzo sulla superficie (in un pezzettino non molto visibile) un rettangolo tratteggiato in
gesso in cui applico il metodo di pulizia e verifico cosa succede, poi utilizzo un altro metodo su un altro
quadratino e così via. Questi interventi che vedremo, di solito sono puntuali tranne alcuni casi e non
sempre è necessario prevedere tutte queste quattro fasi.

Preconsolidamento: Fondamentale nel caso ci si trovi di fronte a materiali molto degradati, per esempio
nei casi in cui i sali affiorano, ci sono croste nere o altre patologie dei materiali che abbiano determinato
un sollevamento di scaglie del materiale stesso.
Cosa si usa per preconsolidare? Prodotti che hanno una buona penetrazione all’interno della superficie in
grado di ricostruire il legante dilavato, riportando la porosità del materiale alla sanità. Questo è il
preconsolidamento superficiale. Questi prodotti preconsolidanti non devono alterare tessitura e colori del
materiale, è un liquido.
L’applicazione può avvenire con un pennello morbido fino al rifiuto della soluzione oppure questi
prodotti possono essere spruzzati sulla superficie stessa tramite apparecchi particolari.
Per favorire la penetrazione della soluzione è possibile allungare il tempo di contatto soluzione –
superficie con una velina o carta giapponese in gergo, che copre il degrado che è appena stato bagnato dai
prodotti, poi posso anche fare pressione meccanica per maggiore aderenza (la carta giapponese costa un
po’).
Il preconsolidamento può avvenire per iniezione: si usano siringhe mediche.
Pulitura: si avvale di vari metodi, di tipo fisico, meccanico, chimico o tutto assieme, vanno utilizzati con
gradualità e intensità diversa a seconda del materiale e del tipo di degrado. Bisogna stare delicati e attenti
che la pulitura non causi danni, perchè spesso lo fa. È un’operazione in linea di massima sempre
necessaria e irreversibile.
Su una superficie si utilizzano metodi diversi, magari una pulitura si fa in generale sulla superficie e un
altro metodo si usa su particolari.
Dobbiamo avere come obiettivo che l’intervento finale annulli i segni del degrado, non i segni della
storia. La pulitura deve essere controllabile in goni sua fase, deve essere un’operazione che si può tenere
sotto controllo ma soprattutto non deve avere effetti collaterali.
Ci sono condizioni di applicabilità:
– deve essere controllabile in ogni sua fase;
– non deve produrre materiali dannosi;
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– deve garantire il massimo grado di conservazione;
– deve essere sostenibile economicamente.
Esistono varie tipologie e metodi di pulitura:
1. Con mezzi meccanici, detta anche a secco (pennelli, bisturi chirurgici, spugne, spazzole, JOS);
2. Con acqua (nebulizzata o atomizzata);
3. Chimica con impacchi o con solventi;
4. Irraggiamento laser: su superfici edilizie... prevalentemente su affreschi, pitture, anche su legno;
5. Metodi enzimatici;
6. Disinfestazione con prodotti biocidi;
7. Estrazione dei sali solubili mediante impacchi.
1. Pulitura con mezzi meccanici  (tecnica complementare ad altri tipi di pulitura) consiste nella
rimozione selettiva e puntuale, con blanda azione meccanica, di depositi di varia natura (polvere,
nerofumo, croste nere, ecc). Questo metodo può essere complementare ad altri, in via preliminare oppure
finale. Si può usare su intonaci decorati o no, su superfici lapidee, su muri faccia vista.
Per asportare depositi incoerenti si usano spazzole o pennelli a setole morbide (su intonaco e
laterizio non devono mai avere fili di metallo le spazzole altrimenti graffiano e rovinarlo). In alcuni casi
posso sfruttare l’azione ammorbidente dell’acqua attraverso spruzzini.
Non vanno usati strumenti che provocano abrasione, fatta eccezione per la spugna Wishab (strumento
molto comune nel restauro). La spugna wishab è composta da due parti: la parte gialla ha consistenza
spugnosa ed è morbida come camoscio, quella blu invece è più dura; viene usata comunque solo la parte
gialla per pulire le superfici, quella blu è per pulire altre spugne (una spugna wishab sporca si può pulire
con la parte blu di un’altra spugna wishab). Con al wishab non va usata l’acqua e si muove dall’alto verso
il basso.
Funziona come una gomma, fa quindi i pallini di sporcizia, ma ha un aspetto
positivo che è quello di non lasciare aloni. Per utilizzare la wishab la superficie
deve essere chiaramente in buono stato altrimenti viene giù tutto.
Per strati leggeri di depositi incoerenti può essere sfruttato un leggero getto
d’aria attraverso appositi compressori.
Dopo queste operazioni si aspira il materiale di rimasuglio e poi si effettua una
pulitura con cotone ed acqua ionizzata. Per eliminare depositi
coerenti (più tenaci) può essere utile il bisturi da sala
operatoria, il raschietto o spazzole di nylon. Per
superfici estese si usano strumenti con ausilio elettrico. Per depositi di natura grassa,
muschi ecc. la pulitura meccanica non basta.
La norma UNI 8752:1985 (Edilizia. Verniciature, pitturazioni, RPAC, tinteggiature, Fig. 80 Spugna Wishab.
impregnazioni superficiali. Classificazione, terminologia e strati funzionali) e la
norma UNI 10924:2001 (Beni culturali - Malte per elementi costruttivi e decorativi - Classificazione e
terminologia) definiscono i termini di pittura, tinta e vernice. La definizione proposta
sostanzialmente basa la differenza tra i tre diversi prodotti sull’effetto che essi producono.
1. Raschiatura parziale di tinte e pitture  la differenza tra pittura: decorazione colorata con
prodotto coprente filmogeno, es: lavabili, acriliche, pitture ad acqua...), tinta: (decorazione colorata con
prodotto coprente non filmogeno, es: a calce, a tempera, ai silicati...) e vernice: (decorazione protetta
con prodotto trasparente filmogeno, es: utilizzate più sul legno, raramente su intonaco); nei nostri edifici
avremo a che fare più che altro con pittura (lavabile o non) e tinte (tempera per es.).

Fig. 81 Pulitura con bisturi di


croste nere su elemento lapideo.

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Questa operazione può essere effettuata con bisturi, raschietti, micro-incisori… Dovrebbe riguardare le
porzioni solo in fase di distacco, quelle messe bene vanno tenute ed eventualmente livellate.
È importante che la procedura sia preceduta da una prova su porzione di 10 x 10 cm; se le parti che si
distaccano sono inferiori al 20% del quadratino allora si può procedere, in caso contrario si valuta la
raschiatura totale delle tinte.
1. Pulitura con micro-sabbiatura  si effettua se abbiamo depositi tenaci estesi su una superficie
troppo grande per essere trattata con un bisturi.
Si può usare su tutte le superfici, anche sul legno (occhio però al tipo di abrasivo).
Miscela di aria – acqua – abrasivo (polveri molto fini, es: silicato di alluminio, calcare dolomitico; il tipo
di abrasivo va scelto anche in base al tipo di materiale sul quale si va ad agire).

Fig. 82 Metodo di pulitura con microsabbiatura tradizionale e JOS.


Sistema JOS: micro-sabbiatura controllata delle superfici che può essere eseguita sia a secco che a
umido; viene usato un getto pulitore che sfrutta un vortice d'aria elicoidale (è ciò che differenzia dalla
micro-sabbiatura tradizionale) a pressione bassissima. In questo modo la miscela di acqua, aria e abrasivo
colpisce la superficie in maniera tangenziale risultando più delicata rispetto al getto ortogonale.
È da tenere in considerazione anche lo stato di degrado; gli abrasivi possono essere di tipo organico, più o
meno delicati. Questo sistema è perfettamente controllabile. Terminato questo processo avrò dei residui
che andranno eliminati ancora con spazzole o sistemi ad aria compressa (in questo caso la pulitura
meccanica diventa complementare).
2. Pulitura con idropulitrice a bassa pressione (ad acqua)  molto comune per la manutenzione delle
superfici edilizie; occhio però che sugli edifici storici posso usarlo solo se è accertato il buono stato di
conservazione dei paramenti.
È intelligente evitare di usare l’idropulitrice all’interno, a meno che non si installi un qualche sistema di
smaltimento dell’acqua sporca. Nel restauro bisogna avere l’accortezza di mantenere la pressione del
getto entro i limiti stabiliti dal direttore dei lavori, comunque mai superare le 8 – 10 atmosfere.
Altro aspetto importante da tenere in considerazione è la distanza dalla superficie tenuta dall’operatore.
Se il paramento murario ha lacune o problemi simili non si può assolutamente usare.

Fig. 83 Metodo di pulitura con idropulitrice a bassa pressione.

61
2. Pulitura con acqua nebulizzata o atomizzata  si usa questo metodo per eliminare i depositi
(incoerenti o concrezioni), sia sulla superficie che nella struttura porosa della pietra sfruttando la proprietà
solvente dell’acqua. L’azione che l’acqua esercita è principalmente di tipo chimico ma comunque anche
di tipo meccanico.
– Azione chimica: capacità solvente per la presenza di Sali;
– Azione meccanica: scorrimento di goccioline sulla superficie.
Il metodo va bene se le particelle da eliminare sono solubili in acqua, lo stesso non può dirsi per depositi
grassi.
Prima di procedere con metodi che impiegano l’acqua bisogna valutare la temperatura esterna, quelle più
adatte variano tra 5 – 17° C, infatti, durante il trattamento non devono verificarsi ghiacciate notturne
altrimenti l’acqua rimasta nella parete o sassi si
ghiaccia e spacca su tutto.
Altra verifica da fare per puliture ad acqua è la
continuità della superficie, se ci sono lacune o
fessurazioni assolutamente no perchè non posso
sapere dove andrà l’acqua; devo prima sigillare al
massimo → devo fare un preconsolidamento prima.
Altro accorgimento: non usare assolutamente in
presenza di tinteggiature o decorazioni
Fig. 84 Metodo di pulitura con acqua nebulizzata: la nebbia d’acqua scoglie
particolarmente sensibili, cioè su pitture a secco. progressivamente lo sporco; l’intervento riscopre il colore delle superfici
Favorisce inoltre l’asportazione dei Sali solubili originali e rivela il quadro fessurativo del monumento.
oltre a pulire i depositi. Bisogna sempre prevedere un sistema di scolo delle acque e quindi ribadisce
ancora che agli interni di solito non si usa questo metodo.
In genere si preferisce acqua deionizzata (senza componente salina) con un’azione dall’alto verso il basso
per sfruttare anche il ruscellamento: via acqua in eccesso e sporco.
Si predispone un sistema di ugelli (nebulizzatori) per creare una nuvola omogenea su tutta la superficie.
L’erogazione di acqua deve essere costante e deve essere controllata molto bene la pressione (sempre
inferiore a 2,5 – 3 atm). Se fosse stata usata acqua da acquedotto (costa meno, più facile da reperire)
occorre un lavaggio finale di acqua deionizzata per rimuovere eventuali sali dell’acqua normale.
Che differenza c’è con acqua atomizzata? Quest’ultima ha goccioline ancora più fini, quindi, è più
efficace perché aumenta la superficie di contatto e l’azione chimico – solvente.
Con l’acqua atomizzata si contraggono tempi e quantità di acqua necessaria, riduce infiltrazioni eventuali
in muratura dato che ci si impiega di meno. Il sistema può essere usato su pietre e intonaci, non va usato
su decorazioni sensibili all’azione solvente dell’acqua. Attenzione se mi trovo in zone umide, queste sono
molto più propense alla colonizzazione biologica.
3. Pulitura chimica con impacchi  sfrutta la capacità assorbente di alcuni materiali (polpa di carta,
argilla), quelli più usati sono betonite, attapulgite, sepiolite, carbossimetilcellulosa) con soluzioni acquose
ad azione basica (carbonato di sodio, di ammonio, ecc.), sostanze biocide e tensioattivi; sono in grado di
gonfiare ed ammorbidire le sostanze sulla superficie consentendone l’esportazione e la rimozione.

62
La polpa di carta è polvere asciutta che va
bagnata; si forma una pappetta (impacco) che si
mette sulla superficie da trattare. L’impacco posso
farlo solo con acqua deionizzata oppure anche con
altri agenti ed in quel caso si parla di pulitura
chimica.
Tieni presente che si fa l’impacco per evitare che
l’acqua evapori e così il prodotto rimane per più
tempo attivo ed agente sul degrado (polpa e argilla
fanno solo da supporto al solvente).
I prodotti chimici che possono essere usati sono
pochi; abbiamo dei saponi industriali aggiunti in
piccole quantità all’acqua.
Sono più efficaci, tuttavia, alcuni sali (che sono
sempre delle sostanze chimiche) sciolti nell’acqua
dell’impacco, come:
– Bicarbonati di sodio o di ammonio ,
usati per eliminare cose organiche o
scarsamente idrosolubili (tipo le croste
nere) (sono tipo saponi);
– Complessoni (E.D.T.A.): il bisodico
ha pH acido (circa 5), efficacie per
rimozione di patina di gesso formata da
sali solubili. Il tetrasodico è più efficace
per patine colorate composte da ossalato di
calcio;
Fig. 85 Metodo di pulitura chimica con impacchi. – Bifluoruri: (di sodio e di ammonio) per
rimuovere croste a componente silicata;
– AB57: è una miscela molto usata nei cantieri di restauro, ci sono sali ed altri agenti.
È stata formulata dall’istituto centrale per il restauro di Roma, principalmente usata per pulitura di
affreschi e superfici lapidee.
I tempi di posa possono variare da 30 minuti a qualche ora; tiene presente che l’impacco deve rimanere
umido quindi si può coprire con fogli di polietilene e chiaramente non
vanno fatti ad agosto con 50°. Vanno anche in questo caso tenuti sotto
controllo e vanno fatte le prove preliminari.
L’impacco si può rimuovere con spazzole, che però lasceranno residui e
quindi andrà fatto un lavaggio con acqua deionizzata. Questo metodo si
può usare sia in esterno che in interno, su pietra, intonaco e laterizio,
indicato per superfici compatte e poco porose. La possibilità di
scegliere il solvente e l’altro materiale mi permette di utilizzare il
metodo anche su superfici delicate e degradate, con l’accortezza di
frapporre o carta giapponese o kleenex.
Serve per asportare sali solubili, depositi carboniosi, depositi grassi,
batteri, alghe, licheni (in questi ultimi casi bisogna inserire prodotto
biocidi).

63
NB: nel laboratorio non occorre indicare il solvente, si fa dopo indagini diagnostiche specifiche; è
importante conoscere la tecnica della pulitura.
Procedura di applicazione : prova preliminare con gesso da lavagna (nelle slide polpa di cellulosa),
si tengono i tempi, dopo tot rimuovo un pezzettino ed osservo; se lo ritengo opportuno tolgo tutto e poi
con spazzola in nylon rimuovo con facilità lo sporco. Se la superficie è danneggiata anche nella prova
ovviamente interpongo il foglio di carta giapponese. Terminata la procedura, l’impacco va risciacquato
con acqua deionizzata.
Aspetti negativi: sono necessarie precauzioni in corrispondenza di alcune decorazioni pittoriche che
hanno azzurrite, malachite... è perciò sconsigliato sugli affreschi con ritocchi o particolari a secco; è da
evitare in particolare sulle dorature.
3. Pulitura chimica con impacchi a base di resine a scambio ionico  si basano sulla capacità di
alcune resine di scambiare ioni con la superficie da eliminare. Si distinguono in resine anioniche e
cationiche; le prime hanno ioni negativi incorporati e vanno a scambiare ioni positivi con i sali che
intendiamo rimuovere, viceversa le altre (hanno proprietà scialbanti).
In genere questi impacchi particolari sono usati per rimuovere: scialbature a base di calce, patine e
ossalati, caseina usata in passati restauri e sali solfati. Prima di applicarle è utile inumidire la superficie
(per far rimanere l’impasto bagnato più a lungo). La quantità di acqua, tempo di posa si stabilisce solo
dopo aver fatto prove.
3. Pulitura chimica con solventi  usati su pietra, malta, intonaci, legno; i risultati sono migliori se si
applicano su supporti compatti e non porosi. Si può usare all’interno a patto che si tenga d’occhio la
temperatura. Si usano tamponi, strumenti piccoli, quindi non si usa su superfici grandi; le situazioni sono
depositi tipo la cera delle chiese. Questa tecnica ha sia azione chimica che fisica, il tipo di solvente usato
dipende dalla natura del prodotto che devo eliminare. (acetone, acquaragia, olio di paraffina sono solventi
tipo).
4. Pulitura con metodi enzimatici  Gli enzimi sono proteine, sono in grado di distruggere alcune
molecole di alcuni microbi. Metodo usato per patine, pellicole superficiali (sfrutta l’azione distruttiva
conseguente
all’attività metabolica di alcuni microbi).
È preferibile rispetto all’uso di acidi che sono più aggressivi, anche per l’operatore è meglio.
Metodo ben controllabile ed inoltre non si corre il rischio di intaccare le parti che non necessitano di
intervento.
Le procedure di preparazione sono comunque complesse quindi non viene usato così di frequente come
metodo.
Gli enzimi possono rappresentare anche una valida alternativa agli agenti biochimici, in particolare per
alcuni tipi di licheni (questo ce lo dicono studi recenti).
Posso applicare con tamponi o con pennelli, essi vengono sciolti in acqua distillata ed in alcuni casi uniti
ad un agente gelificante.
Dopo la pulitura, la superficie andrà lavata.
5. Metodo del bario [Ba(OH)2] pulitura/consolidamento  Si usa l’idrossido di bario che
contrasta i processi di solfatazione, riguarda quindi malte ed intonaci a base di calce. Questa è una tecnica
consolidante oltre che di pulitura; se ho disgregazione o polverizzazione di superfici dipinte è
particolarmente valido.
Vantaggi: elimina dal manufatto il solfato di calcio (solubile) e lo trasforma in solfato di bario che è
stabile ed insolubile. Ha un’alta compatibilità con malte ed intonaci anche con affreschi, interviene sulla
porosità, se ne ho troppa la superficie è più facilmente aggredibile e lui la riequilibra.
Fig. 86 Procedura di applicazione del metodo di
pulitura chimica con impacchi.
64
Prima dell’applicazione si esegue pulitura con un impacco di carbonato di ammonio (previa posa della
carta giapponese) il quale trasforma il solfato di calcio in solfato di ammonio, elimino il primo impacco e
risciacquo con acqua deionizzata.
Questo ultimo passaggio però non lo rimuove completamente e questo non va bene, si applica un secondo
impacco di idrossido di bario supportato da polpa di carta (cellulosa, è uguale). La rimozione completa
avviene grazie al solfato di bario, sostanza inerte che non provoca problemi.
Ci sono dei rischi: può esserci, sbiancamento o formazione di patine biancastre, l’inconveniente può
essere ovviato intervenendo subito togliendolo.
6. Pulitura per irraggiamento laser  Serve per asportare depositi carbo-gassosi da marmi e materiali
di colore chiaro, usato per depositi superficiali anche su altri materiali.
Consiste nell’emissione ad impulsi di raggi laser ortogonali alla superficie.
Il deposito superficiale aumenta tantissimo la sua temperatura quando è toccato dal laser, rompendosi
quindi i legami chimici esso si sgretola e si stacca.
Il raggio laser è altamente selettivo, tanto che dopo che il deposito nero sparisce, il raggio venendo a
contatto con un marmo, per esempio, si interrompe perchè ha un coefficiente di assorbimento più basso.
Questa tecnica è tra le più efficaci perché lascia intatta la patina; è la più indicata per superfici molto
complesse e stratificate.
Altro aspetto positivo è l’assenza di agenti chimici ed inoltre non lascia nessun residuo dopo il
trattamento.
La tecnica consente di trattare superfici molto fragili o degradate anche senza preconsolidamento dato che
non c’è un contatto.
Ci sono svantaggi: è un’operazione lenta e di conseguenza anche costosa, l’apparecchiatura la possono
usare solo operatori qualificati.
I parametri sono la lunghezza d’onda, la modulazione della frequenza dell’impulso, il raggio...
Questo metodo viene usato su superfici di piccola estensione o di particolare pregio. Può tornare utile
anche per la rimozione di scritte vandaliche su materiali lapidei se non sono penetrate a fondo; per quanto
riguarda la scialbatura, questa tecnica può essere migliore rispetto al bisturi.
Degrado biologico, metodi di pulitura: i degradi sono: presenza di vegetazione (piante superiori),
dannosa per la penetrazione delle radici nelle fratture, colonizzazione biologica (licheni, funghi o
muschi): spesso causano aggressioni alle rocce, specialmente attraverso la soluzione chimica di alcuni
minerali, e perché trattengono la pioggia, patina biologica (soprattutto in aree umide), costituite da
colonie di batteri o da alghe monocellulari. È da distinguere:
– Macroflora, tutti gli organismi che sono visibili ad occhio nudo, vegetazione, muschi e licheni;
– Microflora, batteri, cianobatteri, funghi che creano patine sottili omogenee di vari colori ma
soprattutto verdastre.
Lo sviluppo della macroflora è favorita da discontinuità sulle superfici, lesioni, lacune, nelle quali si
accumula terriccio, humus, ecc. che favorisce la nascita della macroflora. In centro storico di solito i
licheni non si trovano, li vediamo in campagna o luoghi senza inquinamento atmosferico, certe specie di
licheni vengono utilizzati come bioindicatori. I licheni causano problemi, coprono le superfici e causano
corrosione, fratturazione e decoesione, sia degrado fisico che chimico. Anche i muschi coprono le
superfici e possono pure penetrare in profondità.
Con un elevato tasso di umidità si favorisce la crescita di questi organismi, è da prestare attenzione con
l’acqua nel muro.
Rimozione della macroflora  Queste patologie vanno contrastate: per prima cosa si identifica il tipo e
specie della pianta per capire la profondità delle radici perchè vanno previsti i danni di una rimozione di
queste radici, che possono essere anche profonde, e causare un crollo.
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Altro aspetto da tenere in considerazione quando eliminiamo la vegetazione è valutare se esistono le
circostanze per operare su una superficie vasta.
I sistemi di eliminazione di questi biodeteriogeni, si distinguono in disinfestazioni chimiche, fisiche
oppure meccaniche:
– Le disinfestazioni chimiche si fanno con i biocidi, applicati a spruzzo, a pennello, ad
iniezione e servono per uccidere questi organismi viventi parassiti.
– Le disinfestazioni fisiche invece si
basano sulla variazione dei parametri
ambientali favorevoli alla loro crescita,
variando questi parametri si induce la
cessazione dei processi vitali dei
biodeteriogeni. È un metodo che può essere
applicato negli interni dove il clima può
essere tenuto sotto controllo.
– Le disinfestazioni di tipo meccanico
sono rimozioni con cesoie, raschietti, di forme
vitali deteriogene, in genere sono utilizzate
congiuntamente a quelle chimiche.
I prodotti biocidi si distinguono in prodotti per
estirpare piante a foglia larga o stretta, prodotti da Fig. 87 tipologia di prodotto biocida in base al tipo di assorbimento.
assorbimento foliare o radicale, prodotti circoscritti solo contro la vegetazione erbacea, o prodotti che
penetrano nel terreno garantendo azione prolungata nel tempo.
I biocidi devono essere incolori e trasparenti, poco solubili in acqua, presentare un basso grado di tossicità
ed essere degradabili nel tempo, per non inquinare. I prodotti biocidi non devono essere dannosi per il
substrato lapideo. Non deve persistere sulla superficie del materiale lapideo una volta finito il trattamento.
L’applicazione avviene per irrorazione diluendo il biocida in acqua preferibilmente con nebulizzatori
manuali.
Nel caso di piante lignificate, si deve tagliare la pianta prima e poi applicare il biocida con iniezioni nei
canali conduttori delle piante, oppure eseguire impacchi con argille e soluzioni di biocida.
Quando la pianta si sarà seccata potrò sfilare la pianta morta evitando di creare problemi strutturali.
Occhio che le piante vive non si possono mai rimuovere senza alcun trattamento, prima vanno uccise.
Il diserbo delle piante superiori va fatto in genere in periodo invernale, quando le piante dormono, usando
sia mezzi meccanici sia disinfettanti e biocidi.
L’uso dei biocidi non va fatto nei periodi di pioggia né di forte vento né di forte sole. Terminata
l’operazione, bisognerà effettuare un lavaggio accurato con acqua, se si vuole anche con idropulitura a
bassa pressione e, a distanza di 30/60 giorni, va verificata la situazione per procedere all’eliminazione
della radice ormai morta. Laddove i giunti di malta saranno rimasti danneggiati, vanno riparati
ovviamente.
I prodotti biocidi è da evitare l’applicazione nei periodi di pioggia o quando questi posso finire a contatto
con acqua.
I muschi e i licheni come si trattano?
L’asportazione di questi si fa meccanicamente, spazzole rigide (spazzole di saggina), bisturi e spazzole,
sia anche con biocidi applicati a spruzzo o pennello o ad impacco.
Una soluzione efficace per asportarli prevede i biocidi ad azione immediata, come l’acqua ossigenata, a
cicli di 24h fino alla bruciatura totale.

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La scelta del biocida dipende dalle caratteristiche del substrato e del biodeteriogeno (perossido di
idrogeno acqua ossigenata, formaldeide…).
Dopo l’applicazione del biocida va sempre eseguita con acqua pulita il lavaggio delle superfici,
garantendo l’eliminazione completa del prodotto e dei residui di biodeteriogeni.
Rimozione della microflora  Lo sviluppo di essa è favorito da elevata umidità relativa, presenza di
acqua ristagnante e limitata circolazione di aria.
Sulla superficie possono provocare danni sia di tipo chimico che di tipo fisico, i funghi comportano
decoesione, le alghe corrosione.
Per quanto concerne la microflora, la sua asportazione viene considerata definitiva se vengono eliminate
anche le cause che favoriscono la crescita altrimenti l’effetto dell’intervento sarà limitato nel tempo.
L’acqua ossigenata si può usare per sopprimere le alghe, ma attenti perchè può sbiancare le superfici.
Altro prodotto è la varechina, come quella che si usa per pulire i pavimenti, elimina alghe e funghi. Il
benzetonio cloruro è un disinfettante germicida efficace su batteri microflora eccetera, anche questa
va applicata in soluzione acquosa, si può usare anche per i licheni e muschi, si può usare anche sulle
superfici lignee.
Per eliminare la microflora si possono usare metodi manuali (bisturi, spazzola) ma è molto
difficile e poco efficace: posso usare una microsabbiatura di precisione , sempre che il substrato sia
conservato bene.
Le sostanze biocide dovranno essere scelte non solo in funzione del tipo di patina da rimuovere ma anche
in funzione del substrato e dello stato di conservazione, come sempre. Il metodo di applicazione
dipenderà dalle indicazioni dettate nello specifico per il prodotto che si è scelto da utilizzare.
In caso di materiali molto porosi è preferibile usare impacchi o pennello per favorire la penetrazione
del prodotto nei pori, l’applicazione a spruzzo è indicata per materiali fragili o superfici decoese
perchè in quel caso il pennello potrebbe rovinarle.
Il numero di volte di applicazione va decisa dopo controlli ciclici e anche qui va fatto il risciacquo finale.
Prima di applicare il biocida va in genere usato un mezzo meccanico per togliere il grosso, come la
spazzola di saggina.
Aspetti problematici della disinfestazione : queste operazioni di disinfestazione pongono molti
problemi che riguardano durata nel tempo, efficacia ed eventuali interferenze col substrato ed
inquinamento.
Questa tematica è oggetto tuttora di studio scientifico, perché si sa ancora poco sul degrado causato da
organismi viventi, le ricerche sono iniziate circa nel 1970, abbastanza recente. L’applicazione delle norme
europee regolano la vendita di prodotti biocidi, molte sostanze oggi non si possono più usare: sono state
bandite perché inquinanti.
L’interesse dei ricercatori si sta spostando nello studio e verifica di biocidi a basso impatto ambientale.
La sperimentazione è stata preceduta chiaramente da indagini; si è fatto su patine nere e verdi attraverso
pennelli (due applicazioni consecutive).
Alla fine della fiera gli oli essenziali di timo e origano hanno fatto un po’ poco perché alcune cellule sono
rimaste... insomma si sta ancora cercando.
Talaltro è da tenere presente che questi oli sono parecchio costosi ed ovviamente in acqua non si possono
diluire.
Di fronte ad infestazione biologica prima di decidere il sistema occorre chiedersi comunque se è proprio
necessario procedere alla disinfestazione, le considerazioni non devono essere solo di tipo tecnico.
È ancora difficile valutare la pericolosità di alcuni attacchi biologici quindi non si sa se procedere o meno.
In alcuni casi si è visto che le superfici pulite con queste tecniche sono diventate più fragili. Secondo

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alcuni esperti ciò che cerchiamo di rimuovere fa da protezione. Nel caso comunque in cui fosse necessaria
la disinfestazione bisogna chiedersi quanto può durare.
Non bisogna trascurare gli aspetti che si percepiscono anche visivamente.
Ci sono casi in cui la vegetazione si è sviluppata talmente tanto che è parte dell’edificio (Angkor Wat in
Cambogia). In quei casi meglio lasciare lì perché se togli, con il danno che hanno fatto le radici crolla
tutto.
La presenza di vegetazione infestante gioca un ruolo importante nella percezione del manufatto. Togliere
le erbacce dalla scala o togliere i rampicanti dalla facciata sono cose molto diverse: spesso la vegetazione
può essere un valore aggiunto all’edificio, si pensi al concetto pittoresco, al romanticismo di fine ‘700, la
rovina affascina molto.
La vegetazione è considerata infestante ma anche elemento complementare di una architettura a volte.
ESEMPIO: Parco di villa Grasseni, Flero (BS): è un complesso costituito da una villa padronale,
abitazione dei contadini e parco cintato diviso in due: giardino all’inglese progettato con laghetto
collinetta ed alberi e un brolo coltivato con alberi da frutta. Era una residenza di campagna di una
famiglia nobile.
Oggi è di proprietà del comune di Flero, nella villa c’è una biblioteca, scuola di musica ed altre funzioni
pubbliche, le vecchie abitazioni sono state trasformate in appartamenti e il parco ora è pubblico. È un
bene monumentale.
Nel giardino all’inglese c’è la ghiacciaia, sotto la collinetta, è un manufatto destinato alla conservazione
dei cibi serviva a mantenere il ghiaccio e roba ghiacciata.
La maggior parte delle ghiacciaie sono strutture ipogee o semi ipogee. L’apertura verso l’esterno è a
nord solitamente, si accede tramite un corridoio e si arriva alla camera del ghiaccio e sopra c’è un
chiosco ad ombrello per ombreggiare, con attorno piantumazione. Purtroppo, essendo oggi un parco
pubblico, i ragazzini hanno sbroccato, sono impazziti e si sono divertiti a demolire parte della
ghiacciaia, inoltre la vegetazione nel tempo ha comportato numerose fessurazioni, le radici sono
penetrate nella muratura, facendone crollare una parte.
Come si interviene in questi casi? una soluzione sarebbe stata il taglio degli apparati radicali, iniezione
del biocida e poi eliminazione dei residui con ripristino della parete messa in sicurezza, ma le cose non
sono così semplici (il progetto lo ha fatto la profe), la componente naturalistica era parte integrante
della struttura dall’inizio della sua progettazione, sarebbe stato sbagliato toglierla del tutto no?
L’albero sopra la ghiacciaia era stato messo lì apposta per ombreggiare, fa parte dell’architettura della
ghiacciaia, ed inoltre il giardino all’inglese è progettato apposta per apparire naturale e si collega al
concetto di bel degrado, di bellezza decadente, romanticismo.
Abbattere quest’albero, lasciando la collina artificiale spoglia, avrebbe comportato la snaturazione
dell’architettura della ghiacciaia.
La scelta progettuale, fatta in accordo con la soprintendenza, è stato accettare che prima o poi la natura
avrebbe fatto il suo corso: non si sarebbe riportata la ghiacciaia com’era all’inizio ma si avrebbe
rallentato il degrado, impedendo crolli mettendo in sicurezza la struttura.
Si è realizzata una centinatura in legno di abete nel corridoio per impedire i crolli e mettere in sicurezza
l’accesso e la sommità della collina dove i ragazzini andavano a consumare lo sballo, per evitare che
cadano dentro la ghiacciaia, il ghiaccio è freddo ma brucia quando te manna all'inferno.
L’estradosso dell’ombrello era fatto in malta cementizia: si è mantenuto il materiale esistente integrando
le lacune e coprendolo con lastre di piombo. Le superfici dell’accesso sono state pulite con i metodi che
abbiamo visto, le radici e l’albero sono rimasti nelle stesse condizioni (causa soprintendenza fa parte del
manufatto): che bel rudere! I vincoli del parco riguardavano anche gli alberi, abbattere quell’albero
sarebbe stato come abbattere un monumento.
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8. Estrazione dei sali solubili  è il degrado più comune su un qualsiasi edificio esistente, perciò, è
importante capire bene quali sono i problemi da affrontare.
Gran parte del degrado biologico dipende dalla quantità di sali presenti nei substrati, questo perchè spesso
si nutrono proprio di questo.
Poche sperimentazioni su edifici di poco pregio su cui bisognerebbe lavorare a larga scala.
Per estrarre sali solubili su superficie di pregio sono spesso utilizzate resine a scambio ionico (già
detto con puliture) (resine anioniche).
Esse sono in grado di liberare ioni basici o acidi che scindono i Sali favorendone l’asportazione. L’uso di
queste resine è indicato poi anche per scialbature a base di calce…
Avevamo visto anche il metodo del bario; tuttavia, l’approccio più comune è quello di ridurre il
quantitativo sfruttando il potere solvente dell’acqua (deionizzata). Essa porta in superficie gli ioni del
sale.
Se abbiamo a che fare con un manufatto lapideo di dimensioni ridotte, l’eliminazione può avvenire per
immersione. Su pareti posso usare spugne o tamponi ma anche impacchi, funziona anche negli strati
sottostanti.
C’è differenza tra efflorescenze e subflorescenze : per rimuovere queste ultime si usano impacchi a
base di acqua deionizzata. Si usa polpa di cellulosa e sepiolite, bentonite ed altri tipi particolari di argilla.
L’azione degli impacchi di acqua deionizzata è principalmente di tipo fisico ma anche di tipo chimico: il
materiale assorbente richiama i sali in superficie, mentre l’azione chimica scioglie i sali e li asporta.
L’acqua deve essere deionizzata. Si usa solo l’acqua se i depositi sono costituiti da materiali solubili…
gia detto.
L’impacco così si applica su laterizi, intonaci, materiale lapideo. L’unica accortezza è interporre un
kleenex o carta giapponese perchè se la superficie è deteriorata o pregiata è meglio proteggerla.
È un tipo di intervento che possiamo applicare sia all’esterno che all’interno, perché la quantità di acqua
utilizzata è limitata, anzi in realtà non puoi usarlo all’interno.
Le fasi operative della pulitura con impacco le abbiamo gia viste con spazzole morbide o flussi d’aria
deboli elimino le parti grosse, applico poi un preconsolidamento se lo ritengo necessario.
Successivamente si passa alla preparazione dell’impasto mescolando con agitatore meccanico acqua
deionizzata e materiale assorbente che abbiamo scelto, per esempio le argille.
L'obiettivo è di ottenere un fango fluido e pastoso facile da applicare con le mani. Si applica con mani,
pennello o spazzola, prima irrorando la superficie con acqua.
Lo spessore dell’impacco varia tra 1 e 3 cm. È un'operazione semplice e veloce, non è necessario che sia
effettuata da un restauratore. L’impacco può essere protetto per mantenersi umido con teli di nylon, garza
o polietilene, soprattutto se si prevedono tempi di applicazioni lunghi (giorni, settimane).
L’ultima fase è quella di rimozione dell’impacco che deve avvenire quando l’impacco si è seccato e si
stacca facilmente; ci si può aiutare con mezzi meccanici (spazzole setole morbide). Tutto ciò in un
contesto monumentale; parleremo poi dell’eliminazione delle cause. La causa viene generalmente
attribuita all’umidità ma non lo è, è una conseguenza.
Quando abbiamo a che fare con un edificio storico non di particolare valore artistico sono accettate tutte
le tecniche che abbiamo visto adesso.
Identificare un sintomo (umidità) con l’origine della malattia e quindi curare il sintomo e non la malattia è
pericoloso. Attribuire le macchie bianche di efflorescenza all’umidità è sbagliato: l’umidità così come
l'efflorescenza è una conseguenza, le vere cause sono altre.
La responsabilità dei danni principale non è da attribuirsi all’umidità ma alla azione dei sali solubili
trasportati nella muratura dall'ingresso dell’acqua, la presenza di umidità è dovuta alla presenza dei sali
stessi che mantengono umido e bagnato il materiale.
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Un muro bagnato, non solo alla base, anche al centro di una parete, vede la presenza di sali accumulati
all’interno della parete stessa.
Manca spesso la consapevolezza che siano i sali la causa della distruzione degli intonaci, pietre e mattoni
e si attribuisce la causa all’umidità. L’umidità non è causa del degrado ma conseguenza!
L’ignoranza del problema dal punto di vista scientifico e tecnologico è molto grave ed inoltre molto
spesso i progettisti se ne lavano un po’ le mani e fanno risolvere i problemi alle imprese.
Un singolo male può essere curato con una singola cura, niente di più sbagliato.
Intervenire sugli effetti nella pratica edilizia comune, per far fronte a questi danni, ci sono parecchi
metodi:
– impermeabilizzare la parete, ultimamente con intonaci cementizi poco traspiranti (più
impermeabilizzo più l’acqua sale perchè resta dentro più a lungo);
– cercare di rendere i sali innocui chimicamente;
– assorbire i sali all’interno di intonaci macroporosi;
– bloccarli all'interno del muro con intonaci o resine idrorepellenti;
– cercare di sciacquare fuori i sali dal muro con acqua deionizzata.
Salvo nei casi di contaminazione da sali molto lievi nessuno di questi metodi è efficace (durano al
massimo 3-5 anni).
Sanare un muro cioè ridurre la quantità o l’effetto dannoso dei sali solubili; risanare un muro cioè
eliminare anche le fonti di nuova acqua esterna contenente sali.
Sanare temporaneamente un muro può essere relativamente facile, risanare definitivamente è
molto più difficile. In Italia non esiste nessuna norma che stabilisca percentuali di contaminazione salina
ritenuta dannosa o sicura per la conservazione della
superficie architettonica, possiamo però fare riferimento ad una tabella tedesca che possiamo considerare
una sorta di tabella di rischio del degrado.

Fig. 88 Soglie di contaminazione da sali nocivi.


Intervenire sulle cause: quando interveniamo su edifici storici dobbiamo tenere conto delle loro
peculiarità: la loro struttura portante è di un solo tipo, per murare ed intonacare veniva usata solo calce, la
struttura era costituita da murature in pietra, le fondazioni erano sempre costruite senza tener conto della
risalita capillare (salvo casi eccezionali tipo a Venezia).
Il pavimento del piano terra poggia direttamente sul terreno (per definizione ricco di sali solubili), al
limite su uno strato di ciottoli, ma comunque senza impermeabilizzazione. Questo spiega come mai i
piani nobili stanno sempre in alto, al piano terra stava la servitù oppure gli animali.
Si inizia a sperimentare il cemento e le malte bastarde nei primi anni del ‘900 (tipo anni ‘30); dopo la
Seconda guerra mondiale e con il boom edilizio degli anni ‘50 fu introdotto definitivamente lo schema
strutturale dei pilastri e travi in CA.
Da qui in poi il cemento viene usato in lungo ed in largo, anche negli intonaci.
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Insieme all’intonaco e malta di calce scompaiono anche le competenze; il nostro patrimonio appartiene ad
un periodo storico completamente diverso.
Le malte cementizie hanno i loro vantaggi chiaramente, soprattutto dal punto di vista meccanico
(maggiore densità, maggiore resistenza a compressione, maggiore adesione al supporto, maggiore
impermeabilità all’acqua).
In particolare, il fatto che le malte cementizie abbiano maggiore adesione al supporto e che siano più
impermeabili hanno creato molti problemi:
– La forte adesione della malta cementizia rende impossibile staccarla dai muri in pietra
costringendo a rompere il materiale sul quale è applicato.
– La malta di allettamento era diversa per porosità ed i giunti di malta erano più permeabili della
pietra e dei mattoni; l’acqua trovava in questi pori nei giunti di malta uno sfogo, si ferma lì
evapora e si formano i sali. Il rifacimento dei giunti di malta era prassi, per ripristinare la
situazione originale.
Succede quindi che invece che erodersi il giunto di malta si erodono i mattoni stessi, perché la
nuova malta cementizia ha impermeabilizzato il giunto.
Cosa succede con le nuove ristillature a cemento che si trovano negli edifici tradizionali? trovandosi in
questa situazione negli ultimi decenni ristilare questi giunti si è fatto utilizzando malta di cemento e non
più di calce: la malta cementizia è così densa e impermeabile che la evaporazione della soluzione salina
avviene nel materiale più poroso, ovvero i mattoni.
– In presenza di acqua, quando i composti argillosi del cemento vengono a contatto con la vecchia
calce delle malte precedenti, reagiscono chimicamente generando due Sali complessi ettringite e
thaumasite, Sali pericolosissimi che aumentano di dimensione cristallizzando e spaccando i
materiali.
È ancora prassi comune pensare che cemento debba e possa essere utilizzato sempre, il buon direttore dei
lavori deve sempre stare attenti.
Questa tendenza negli ultimi anni pare che si stia abbandonando, ma c’è ancora molto lavoro da fare.
La consapevolezza deve partire dai progettisti, ovvero lavorare con materiali compatibili a quelli che ci
troviamo di fronte.
I metodi di risanamento oggi in commercio e i tre
sintomi di un muro “malato” vediamo le
caratteristiche comuni ai metodi di risanamento oggi
in commercio. Rispetto ai danni sui muri in presenza
di umidità, i sintomi sono:
1. umidità nell’aria di un locale;
2. un muro bagnato con strisce o linee bianche;
3. rigonfiamenti e distruzioni della superficie.
La norma europea di riferimento UNI EN 998 1 R
non aiuta perchè non menziona a quanta
contaminazione salina le malte devono far fronte.
(lacuna: rigonfiamento può essere causato da sub-
efflorescenze che cristallizzando aumentano la loro
massa)
Analizziamo questi tre sintomi:
– Umidità nell’aria di un locale: le fonti di
umidità nell’aria derivano da muri bagnati Fig. 90 Umidità nell’aria di un locale.
Fig. 89 Consumo dei materiali edili a causa dei sali.
dall’acqua dall’esterno (nebbia o rugiada che
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penetra nel muro, i sali che possono essere risaliti nel muro per risalita capillare attirano l’acqua
esterna). Il muro bagnato di acqua la lascia evaporare all’interno aumentando l’umidità dell’aria
che oltre il 60% sappiamo che causa disagio. Si attribuisce il problema generalmente alla presenza
di condensa o muro bagnato o infiltrazioni. Un’altra causa può essere la presenza di sali
igroscopici (esposti all’aria ne assorbono l'umidità). I sali igroscopici arrivano ad inzupparsi
completamente e mantengono il muro sempre bagnato
anche in assenza di altre infiltrazioni. Esempio tipico è
quando si ristrutturano vecchi edifici, in cui capita di
vedere macchie di umidità nel mezzo delle pareti (punti
inaspettati). Questi fenomeni sono causati da interventi
usando vecchi mattoni intrisi di sali, per esempio molto
frequente il riutilizzo di mattoni provenienti da stalle
impregnati da sali nitrati. L’utilizzo di mattoni in
interventi cuci-scuci non lavati causa queste macchie.
Altra causa può essere la formazione di condensa: se in
un punto la temperatura di una superficie è abbastanza
bassa da raffreddare l’aria a contatto con la superficie
stessa tanto da alzare la umidità relativa oltre il 100
percento si avrà condensazione visibile in quel punto. Fig. 91 Umidità nel muro.

– Umidità nel muro: il secondo sintomo è la presenza di zone bagnate, spesso accompagnate da
macchie ed efflorescenze. Questo contribuisce all'insalubrità se ci troviamo in un ambiente
interno; talaltro prelude spesso la caduta di materiale. Nella maggior parte dei casi i sintomi
visibili sono dovuti da infiltrazioni avvenute nel corso degli anni, non necessariamente ancora in
atto. Ogni muro ha il suo bilancio idrico (acqua che entra ed evapora); i sali possono rimanere
dentro fino a 15 mm di profondità. La posizione precisa della formazione dei sali dipende
dall'equilibrio tra il ritmo dell’evaporazione e quello di
rifornimento di soluzione salina nella stessa posizione.
Quando si formano le sub-efflorescenze? Quando i sali
cristallizzano all’interno della muratura? Ciò accade
quando il flusso evaporativo eccede il flusso capillare.
Se prevale la fuoriuscita di flussi capillari si formano i
cristalli sulla superficie esterna (efflorescenze), mentre
se prevale l’evaporazione si formano le sub-
efflorescenze. Le sub-efflorescenze si formano in
condizione di alta permeabilità del substrato: con alta
temperatura, bassa umidità relativa e forte vento, l’aria
Fig. 92 Errore di sigillazione di una parete. penetra la muratura e fa evaporare l’acqua all’interno,
i sali si formano dentro. Le efflorescenze si formano in condizione di bassa permeabilità del
substrato: con bassa temperatura, alta umidità relativa e scarsa ventilazione l’evaporazione
avviene in superficie e si formano lì i sali. I cristalli che si vedono in superficie in realtà sono più
un difetto estetico, quelli pericolosi sono quelli interni che tra l’altro vengono spesso ignorati.
L’errore e quello di sigillare una parete; essendo il fronte di risalita capillare il punto in cui si
esaurisce per evaporazione tutta l’acqua in risalita, se la superficie del muro fosse sigillata,
l’evaporazione cesserebbe del tutto. L’acqua risale tutta e non si esaurisce finchè non trova uno
sfogo al di sopra delle barriere impermeabilizzanti e forma la striscia bianca.

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– Rigonfiamenti e distruzioni della superficie:
lacune, disgregazione, ecc. sono sintomi
comuni a murature ed intonaci. Le cause
possiamo distinguerle in due grandi categorie:
o la prima sono effetti fisici naturali
delle escursioni termiche stagionali di
temperatura e umidità che questi
fenomeni hanno sul materiale.
o la seconda grande categoria è il
contenuto di sali nei materiali edili che
provocano sempre fenomeni di
disgregazione. Fig. 93 Rigonfiamenti e distruzioni della superficie.
I sali delle sub-efflorescenze continuano a
distruggere il materiale di nascosto, a seconda della temperatura e dell’acqua disponibile. Se
parliamo di intonaci il degrado dipende dal tipo di intonaco, il fenomeno dal modo in cui
l’intonaco è stato steso, la stagione in cui è stato steso e i danni causati dai sali. Un danno comune
che riscontriamo quasi sempre è il distacco dell’intonaco dal muro sottostante.
Nelle fasi iniziali di questo fenomeno si presenta come un lieve rigonfiamento senza rotture,
(questa situa è verificabile battendo la superficie con le nocche della mano, un suono troppo duro
non va bene, un suono fesso denota la
presenza di strati di sale nello spazio tra la
parete e il muro). Il distacco dell’intonaco
dal supporto può avvenire pure con intonaci
deumidificanti non ben formulati, oppure
con intonaci realizzati a base cementizia che
tende a distaccarsi a grandi pezzi (non a
sfarinarsi).
Questi problemi sono sintomi di uno stato di fatto
delle murature che si è andato formato nel muro da
anni; quando anche solo due o tre di questi sintomi
sono presenti contemporaneamente, allora
Fig. 94 Provenienza dell'acqua e dei sali nei muri.
possiamo dire che il muro lo possiamo considerare
malato dalla presenza dei sali, per risanare dobbiamo eliminare i sali.
Provenienza dell’acqua e dei sali nei muri: premesso che l’acqua che si può infiltrare nel muro non è
mai pulita e contiene sempre sali minerali, vediamo i modi con cui può penetrare nel muro o
nell’intonaco.
– L’acqua nel muro viene da infiltrazioni (da tubazioni, acqua piovana non adeguatamente
convogliata, ed il contatto con terra bagnata, nel caso di edifici fuori terra ci sono infiltrazioni se le
fondazioni non sono impermeabilizzate).
– Altre cause sono riconducibili ad alcune attività umane (per esempio il terreno agricolo è una
grande fonte di solfati di sodio e magnesio, oltre ai nitrati che vengono dalla concimazione; il
degrado degli intonaci delle cappelle cimiteriali è molto evidente a causa dei sali formati dalla
decomposizione organica, prima dell'800 non esistevano i cimiteri, prima di quella data le
sepolture erano ubicate sotto i pavimenti delle chiese, ecco perché la presenza dei sali è un
fenomeno molto diffuso nelle chiese stesse; altre fonti di sali nitrati sono i centri urbani medievali

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in cui non esistevano le fognature e la merda era
lasciata per strada, ci si è costruito sopra e tutt’oggi
apportano sale al terreno e poi agli edifici).
– Acqua e sali da condensa.
– Sali da materiali da costruzione (spesso nelle
ristrutturazioni si sceglie di riutilizzare mattoni
recuperati da stock di mattoni di recupero di cui non si
sa la provenienza, prima di metterli in opera bisogna
depurarli i sali!!!; acqua di impasto delle malte,
sottofondi, aggregati).
Come si fa in cantiere a togliere i sali? I mattoni accatastati
Fig. 95 Provenienza dell'acqua e dei sali nei muri. all’interno di un fusto opportunamente distanziati tra loro,
fatta scorrere acqua corrente per una notte intera, sufficiente a depurare i mattoni per poterli murare senza
sorprese.
Attenzione alle vecchie stalle e porcilaie (campanile Santissima): Gli escrementi animali si trasformano in
sali nitrati, i pavimenti e muri sono oggi sempre intrisi da quantità considerevole di sali nitrati.
L'unica soluzione per riutilizzare questi ambienti è di utilizzare gli impacchi ripetutamente, utilizzando
prodotti supportanti un po’ diversi.
Anche i sali che si trovano nel sono sali nitrati, il guano lo conosciamo bene e si deposita sui cornicioni,
quando la pioggia raggiunge questi li scioglie e solubilizza i sali che possono entrare nei muri ed intonaci.
Non è raro che negli edifici ci siano efflorescenze nelle parti alte e non al piano terra, la causa è questa
spesso, il guano.
Un’altra fonte di sali è il fatto di spargere il sale in funzione antigelo per sciogliere ghiaccio e neve, forma
una soluzione che gela a qualche grado in meno degli 0 gradi, la soluzione rimane liquida e il passaggio
delle auto scaglia spruzzi di questa miscela sulle pareti degli edifici adiacenti.
La presenza di acqua e sali nei muri può essere causato anche dalla condensa che oltre a sviluppare muffe
causa danni più gravi, penetra nel muro sciogliendo i sali già presenti, la soluzione evaporando li porta in
superficie formando efflorescenze saline.
Infine, i sono una infinita fonte di sali solubili, esistono precise norme in merito che stabiliscono i livelli
di presenza dei sali. La quantità dei solfati è regolata dalla normativa UNI.
Sali più comuni all’interno di una muratura  Cloruri (di sodio, di calcio, di magnesio e di
potassio): sono i sali derivati dall’acido cloridrico, molecole piccole e mobili molto pericolosi per la
loro igroscopicità che permette ai cloruri di assorbire trattenere notevoli quantità di acqua attivando sali
più nocivi come i solfati.
A parte il cloruro di sodio, che si trova soprattutto nell’acqua marina, esistono cloruro di calcio, magnesio
o potassio, che rendono difficile il prosciugamento di un muro umido per via della notevole igroscopicità
che fornisce una continua acqua al muro favorendo la cristallizzazione.
Solfati (di sodio, di potassio, di magnesio e di calcio) : i solfati derivano dalla pioggia acida e
smog, hanno molecole grandi e facilmente riconoscibili perché formano depositi purulenti, comportano
sollevamenti eccetera. Se si formano all’esterno le efflorescenze si riconoscono perché formati da aghi
bianchi e cristallini. Sono molto mobili e hanno una grande capacità di cristallizzare e ricristallizzare,
ogni cambiamento di stato provoca un cambiamento del loro volume. Il solfato di sodio è il boss finale ed
il peggiore di tutti. Il solfato di potassio è simile a quello di sodio ma è meno solubile, mentre il solfato di
magnesio è molto dannoso perché estremamente sensibile alla variazione di temperatura e umidità oltre
ad essere molto igroscopico.

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Il solfato di calcio ne abbiamo già parlato, nella forma biidrata è lo stesso, bassissima solubilità ma forte
igroscopicità, forma efflorescenze molto aderenti alla superficie.
Nitrati (di sodio, di potassio, di magnesio e di calcio) : il nitrato sono i sali dell’azoto, molecole
molto piccole e solubili in acqua, in genere hanno origine da decomposizione di materiale organico come
già detto. Anche questi sono molto pericolosi perché hanno altissime pressioni di cristallizzazione.
Essendo fortemente igroscopici si presentano spesso bagnati. Essendo quasi sempre in soluzione hanno la
tendenza a migrare nel muro secondo la disponibilità di acqua.
Possiamo ricordare il nitrato di sodio (usato come fertilizzante), quello di potassio (il salnitro), di
magnesio, molto igroscopico ma cristallizza raramente, nitrato di calcio molto pericoloso, forma
facilmente efflorescenze.
Imprescindibile indagare le condizioni del muro, soprattutto il contenuto di acqua. Purtroppo, ottenere
cifre certe è difficile perchè ciò che siamo in grado di misurare è la situazione del momento. Tuttavia, c’è
forte esigenza di misurare il contenuto interno di umidità prima e dopo trattamenti di deumidificazione.
Metodi di misura del contenuto di umidità nel muro  esistono metodi distruttivi o non distruttivi:
– Metodi distruttivi: il più famoso è il metodo ponderale da campione è il metodo principale,
usato da maggiore tempo e si basa su norma UNI – BC 11085:2003. Consiste nell’ estrazione
tramite carotaggio di un campione di materiale, cilindretto di 2 cm di diametro che viene pesato ad
umido, poi viene essiccato e ripesato a secco. La differenza di peso corrispondente all’acqua evaporata
darà il contenuto d’acqua originale nel campione.
– Metodi non distruttivi: si utilizzano strumenti portatili a misura indiretta, restituiscono cifre
indirette, misurano proprietà fisiche correlate al contenuto d’acqua nel muro. Questi strumenti
possono misurare la resistenza elettrica, capacità elettrica, sono tarati su casi concreti di solito è un
muro standard costruito in laboratorio. I risultati sono da prendere con le pinze. La misura della
quantità dei sali solubili in cantiere si fa con il metodo degli stecchetti chimici, piccole stecche di
plastica ricoperte di agenti che indicano quantitativamente la presenza di sali solubili, (solfati
nitrati …). Vengono immersi gli stecchetti in 100 ml di acqua e la variazione di colore fornisce i
risultati. Questo metodo non può essere utilizzato così com’è in cantiere, viene adattato dando
una idea di quali sali sono presenti o assenti all’interno dei materiali di un muro. Estraendo con un
batuffolo di cotone i sali dal muro, lo stecchetto viene pressato sul cotone, e da info qualitative:
indica velocemente se un tipo di sale non è presente.
La termografia è una fotografia sensibile ai raggi infrarossi emessa dai corpi, legge la temperatura
superficiale di una parete permettendo di evidenziare le aree fredde dalle aree più calde.
Si può usare per vedere i ponti termici o la presenza di acqua nella parete. Siccome viene misurata solo la
temperatura della superficie questo metodo fornisce molto indirettamente i dati sul reale contenuto in %
dell’acqua in ogni punto. La termografia in genere si fa prima e dopo l’intervento di risanamento.
I metodi di contrasto alla presenza dei sali nel muro  principali soluzioni commerciali per
deumidificare:
1. Barriere alla risalita: prima categoria di soluzioni ha l’obiettivo di raggiungere un risultato
globale impedendo l’ingresso di nuova acqua con barriere. Tuttavia, questo non modifica la situa
esistente della muratura, invasi da anni di risalita. Le barriere non tolgono l'umidità.
2. Intonaci risananti: Un’altra categoria propone di usare intonaci risananti; intonaci
macroporosi trasferiscono umidità agli ambienti se non viene messa anche la barriera alla risalita.
Funzionerebbero solo per periodi di tempo limitato. Ci sono anche intonaci sali-bloccanti che
bloccano i sali nel muro ma anche qui senza barriera dopo pochi anni il problema si ripresenta.

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3. Apparecchi emettitori di impulsi o onde elettromagnetiche: altra categoria sfrutta
l’azione elettrofisica di apparecchi ad impulsi; il problema dei sali non viene nemmeno preso in
considerazione. Interviene solo sull’umidità di risalita.
Risanare permanentemente è un’altra cosa, due sono i problemi e devono essere affrontati entrambi.
Quelli visti fino adesso affrontano o uno o l’altro. Occorre fermare il degrado e i danni trattando i sali già
presenti e dall’altro lato impedire l’ingresso di nuova acqua e nuovi sali.
Teniamo presente che la manifestazione di problematiche legate a sali sono efflorescenze e
subflorescenze.
Le efflorescenze possono significare la presenza di sub – efflorescenze nel muro, con pulizia superficiale
le efflorescenze si possono eliminare “facilmente”, le sub – efflorescenze invece sappiamo che sono i
cristalli dei sali generati dalla evaporazione dell’acqua all’interno del muro e sono tosti da togliere.
Il trattamento per essere duraturo deve far fronte ai sali nel tempo. Queste tecniche permanenti sono:
1. tecniche che mantengono i sali dentro il muro con metodi fisici o chimici usando anti –
sale chimico, impermeabilizzando la superficie evitando l’evaporazione e cristallizzazione,
oppure mantenendo la soluzione nel muro ma consentendo allo stesso tempo il passaggio di
vapore acqueo e questa operazione si chiama idrofobizzazione.
2. tecniche che estraggono e rimuovono sali da pareti attraverso impacchi, applicazione di
intonaci speciali che immagazzinano i sali oppure sciacquando via i sali dal muro. Gli impacchi
sono il metodo più usato per salvaguardare le opere, tuttavia non è conveniente dal punto di vista
economico perchè è molto laborioso. Vedremo come questo metodo è stato declinato per i nostri
cantieri edili su edifici storici.
Metodi basati sull’estrazione dei sali tramite impacchi  ne abbiamo già parlato, è il trattamento che
risolve il problema dei sali alla radice, li estrae e rimuove dal muro, fino a circa 3 o 4 cm di profondità,
cioè da oltre la zona dove sono presenti le subefflorescenze dannose, è inutile cercare di rimuovere tutti i
sali di un muro. Nel caso in cui la soluzione salina dovesse asciugarsi, in seguito a installazione di
barriera, per esempio, si creerebbero nuovi cristalli in superficie ma sarebbero comunque pochi.
L'estrazione dei sali è l’unico intervento che permette una verifica quantitativa della qualità
dell’intervento.
1. Le tipologie di impacchi sono usare su polpa di cellulosa, garza o carta assorbente , si
possono, usare su superfici delicate e poco estese, per superfici più estese si deve usare altro.
2. Si possono usare le argille (sepiolite, attapulgite, bentonite, ...) che hanno per loro natura
una grande capacità di attrazione dell’acqua con però dei limiti: necessitando di acqua anche per
essere impastate la loro capacità di assorbire acqua è limitata, inoltre si asciugano molto
velocemente, tendono a distaccarsi presto dal substrato. L’impacco fatto con argilla deve essere
sostituito più volte quindi.
3. Per ovviare alle carenze di cui abbiamo appena parlato, queste argille possono essere
mescolate; la miscela più usata è quella seppiolite e polpa di cellulosa, va comunque, rinnovato
ogni 4-5 giorni.
4. La miscela di fibra di cellulosa e farina fossile si usa nel caso di restauro edile su larga
scala, da una ventina di anni è stata sperimentata e brevettata. La farina fossile è un materiale
composto quasi al 90% di puro silicio e da una quantità di carbonato. Molto valida come
supportante per gli impacchi, il potere estrattivo è superiore all’impacco seppiolite e cellulosa,
avendo solo una minima percentuale di ritiro, nell'asciugarsi la miscela mantiene adesione al muro
senza dover essere sostituito dopo pochi giorni, può essere usato su superfici estese quindi. A
differenza delle altre non deve essere miscelata in cantiere ma è venduta pronta all’uso. Strumento
efficace non solo per i restauratori dei monumenti ma anche per i risanamenti edili su larga scala.
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Sui muri dai quali è stato tolto intonaco degradato basterà una sola applicazione perché gran parte
dei sali sarà stata asportata con l’intonaco. Negli altri casi è meglio prevedere almeno due
applicazioni. In varie prove si è osservato che in genere il primo impacco di circa 1 cm mette in
movimento i sali e li richiama in superficie, il secondo li rimuove. Si lascia sulla parete in genere
per circa 15 giorni (sempre in condizioni climatiche standard). È una tecnica nota ed efficace,
ampiamente utilizzata anche per cantieri di edilizia tradizionali. Dove non viene usato questo
metodo è perché i progettisti hanno poca familiarità.
Metodi basati sulla neutralizzazione dei sali con converti-sali chimici  le sub-efflorescenze più
profonde, presenti nei 15 cm interni ai muri possono essere neutralizzate trasformandole con prodotti
chimici conosciute come pitture antisali o neutralizzanti, applicati a pennello sul muro faccia a vista o
dove è stato eliminato il vecchio intonaco ammalorato.
Chiamati converti – sali chimici (idrossido di bario, composti del piombo, fluosilicati, …), si usano
da soli o come parti di un ciclo complesso di risanamento. Reagiscono con i sali trasformandoli da
solubili in insolubili, non possono più sciogliersi e cristallizzare di nuovo, non possono più mantenere
l’umidità nel muro, non sono più dannosi.
Nella pratica presenta parecchi limiti e inconvenienti. All’interno del muro c’è un nuovo materiale che
intasa i capillari. Limita la traspirazione. Questo funziona per poco tempo. Questi prodotti reagenti non
riescono ad arrivare in profondità, inoltre nel muro sono presenti diversi tipi di sali e non esiste un
reagente unico per tutti i tipi di sali, occorrerebbe conoscere bene i tipi di sali presenti ma è un’indagine
diagnostica che difficilmente viene fatta in cantieri edili piccoli. Nella pratica, senza un’indagine non si
può sapere quali o quanti reagenti usare; per ovviare al problema si fa o un cocktail di prodotto o se ne
usa uno solo che vada bene per tutti.
L’idrossido di bario reagisce con i solfati, è desolfatante. Contro i sali nitrati si usano per esempio
prodotti a base di argento oppure a base di fluoruri.
In ogni caso le conseguenze del non sapere con esattezza tipo e quantità di sali sono diverse e gravi: si
rischia di non usare tipo e quantità di reagente necessaria per
non neutralizzare la quantità di sale nel muro, oppure si rischia
di usare troppo reagente che avanzerà e rimarrà nel muro
contaminando a sua volta. I trattamenti chimici sono
imprevedibili, e irreversibili.
Infine, salvo casi di contaminazione lieve, questi reagenti non
funzionano alla perfezione perché non riescono a raggiungere
tutti i sali. Salvo murature a faccia a vista questi prodotti non
Fig. 96 Impiego delle resine idrofobizzanti idro-repellenti
vengono impiegati da soli ma sovrapponendoli ad altri metodi. come pittura.
I converti-sale sono invasivi perché introducono un nuovo
materiale estraneo nel muro, di cui non si conosce bene il comportamento, rimane nel muro
diminuendone la traspirabilità, non conosciamo fino in fondo le possibili reazioni che possono innestarsi
tra questi composti ed il muro, è un tipo di intervento che va preso con le pinze.
Metodi basati sull’impedire ai sali di cristallizzare  seguendo il criterio secondo cui i sali non sono
dannosi finché sono in soluzione, alcuni metodi mantengono i Sali nel muro in soluzione salina per
impedirne la cristallizzazione. Questo metodo per impedirne la cristallizzazione avviene con
l’impermeabilizzazione totale o con impermeabilizzazione che permette il passaggio di vapore dal
substrato, detta idrofobizzazione.
1. Con una impermeabilizzazione totale non ci saranno più umidità o cristallizzazione in grado
di causare danno. Si fa all’esterno o interno, con guaine bituminose o pellicole continue di vernici
più o meno spesse date a pennello o rullo. Oppure si fa attraverso l’applicazione di intonaci
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contenenti additivi impermeabilizzanti.
Impermeabilizzare una parete interna
con questo metodo diminuisce molto la
vivibilità perché aumenta la condensa;
infatti, il muro è meno traspirante e si
creerà umidità nella stanza. È una
procedura (mettere strato di intonaco
all’interno) da evitare soprattutto Fig. 97 Possibili effetti di una pittura idrofobizzante stesa su un intonaco macroscopico
nell’edilizia storica, dove la parete ed impiego delle resine idrofobizzanti idrorepellenti negli intonaci.
esterna è raggiungibile è sicuramente meglio fare da fuori. In caso contrario internamente è più
opportuno creare nuova controparete interna; dovrà essere
opportunamente distanziata per ottenere circolo di aria in
intercapedine che ridurrà l’umidità.
2. Se non si usano pellicole si può fare
un’impermeabilizzazione con resine traspiranti e
usare materiale idrorepellente che blocca entrata o fuoriuscita di
acqua e permette fuoriuscita di vapore acqueo. Il silicato di
potassio ha ottima penetrazione e reagisce con acqua creando
gelatina che permette passaggio solo di vapore. La traspirazione
originale del muro viene comunque un po’ ridotta. È abbastanza
efficace ma esistono numerose resine ancora più efficaci.
Alcune derivano dal silicato di etile, vengono usate per
Fig. 98 Metodi basati sul far fronte ai sali con
idrofobizzare la superficie. Possono essere applicate su intonaci intonaci.
o su muri in mattoni, anche su cls a vista prima dello strato di finitura; possono essere incorporate
in intonachino di finitura oppure come primo componente: rinzaffo in un sistema di intonaci
risananti. Anche le resine possono creare situazioni di degrado per via dei sali bloccati che
tendono a creare sub-efflorescenze dietro lo strato nuovo.
Questo metodo dell’idrofobizzazione non è proprio conforme ai principi guida del restauro. Ci
sono metodi meno invasivi e reversibili. Meglio prediligere altre metodologie meno invasive e
più’ durature.
Metodi basati sul far fronte ai sali con intonaci  metodi molto usati commercialmente, i costosi
intonaci speciali venduti come intonaci risananti sono la soluzione globale diffusa per risolvere il
generico problema dell’umidità ovvero asciugare e risanare contemporaneamente.
Un intonaco applicato sul muro umido e pieno di sali deve far fronte ai sali nel tempo:
– Intonaci sali – trasportanti che consentono l’evaporazione della soluzione salina dal muro
all’interno dell’intonaco, i sali che si formano vengono assorbiti e nascosti all’interno dei pori
dell'intonaco.
– Intonaci sali – bloccanti evitano l’evaporazione della soluzione salina dal muro con capillari
idrofobizzanti da resine, prevengono la formazione di cristalli.
Commercialmente non viene fatta distinzione tra la funzione osmotica (deumidificante) e risanante che
contrasta i sali. Non si può ancora dire quale dei due porti più vantaggi; tra le due varia solo il modo di
opporsi ai sali.

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Intonaci osmotici asciuganti: sono intonaci deumidificanti del tipo sali – trasportanti costituito da
un impasto a grandi pori, cioè una serie di bolle d’aria collegate tra loro da una rete di capillari.
Essi attirano l’acqua forzando l’evaporazione della parete retrostante. La porosità e la permeabilità
influenzano le modalità di trasporto ed evaporazione dall’interno fino all’esterno. Se sulla superficie
viene posto un secondo materiale, intonaco all’interno del quale l’acqua ha pressione più bassa, questo
attira l’acqua del muro e lo asciuga. Questo si può ottenere facendo in modo che l’intonaco messo abbia
pori più grandi. I moderni intonaci asciuganti sono stati introdotti negli anni ‘80, aeranti, coibenti, a
porosità espansa, assorbenti macroporosi. Quest’ultimo è quello più noto e viene associato alla capacità di
assorbire sali.
L’acqua che viene attirata verrà dispersa come vapore e questi intonaci sono quindi più indicati per
asciugare muri esterni perchè altrimenti si porta umidità nel locale. Fisicamente vediamo come è fatto: è
impasto a grandi pori, serie di bolle d’aria collegate da capillari, la porosità totale può superare il 50%.
Storicamente per ottenere maggiore spugnosità al tradizionale impasto di intonaco (sabbia e calce) sono
stati aggiunti lievito di birra, formaggio, paglia e pelo di animali come additivi. Oggi ovviamente non si
fa più e si usano silicati idrati di alluminio espanso, perossido di calcio, o sostanze di per sé porose come
perlite, polistirolo, ….
Intonaci risananti macroporosi assorbenti sali – trasportanti : accentuando la struttura a
grandi pori si ha la formazione di intonaci macroporosi; è, comunque, difficile distinguere i due. Questi
sono spesso detti naturali perché non contengono resine o altri additivi strani.
Ci sono additivi schiumogeni che non interferiscono; possono essere confezionati con leganti di calce o
cocciopesto o cementi. Un intonaco macroporoso moderno è formato per ottenere un numero e
distribuzione di fori grossi per immagazzinare più sali possibili.
Non è consigliabile usarli se la parete è ancora contaminata da sali, vanno eliminati prima con impacchi,
per esempio, non va usato in assenza di una barriera alla risalita. Non assicura da solo nessun effetto di
deumidificazione: si applica su pareti dove i sali sono già stati eliminati, e dopo aver previsto una barriera
alla risalita. L’intonaco macroporoso non è in grado da solo di fare deumidificazione, ma limitata la fonte
principale di adescamento, funzionano molto bene. Non sono in grado di opporsi all’ingresso di acqua
meteorica, se vengono messi all’esterno vanno protetti in
superficie con sostanze idrorepellenti che lasciano
traspirare il vapore.
Lo strato di intonaco macroporoso deve avere uno spessore
maggiore (3-5 cm) rispetto a un intonaco normale (2 cm).
N.B.: L’intonaco macroporoso non assicura da solo nessun
effetto di deumidificazione: si applica su pareti dove i sali
sono già stati eliminati, e dopo aver previsto una barriera
alla risalita.
Intonaci di sacrificio : sali-trasportanti, vengono
Fig. 99 Intonaci osmotici asciuganti. applicati temporaneamente per togliere i sali e poi vengono
tolti quando si frantumano. Usati negli scannafossi oppure applicati per rivestire muro che non si può
impermeabilizzare. Essendo solo un veicolo devono essere formulati in modo appropriato, tre parti di
sabbia e una di calce aerea. In genere lo spessore è di 15 mm.
Intonaci di cocciopesto: laterizio frantumato, usato fin dall’antichità per le proprietà idrauliche
spesso mescolato con calce aerea per fare i muri a sacco. Oggi in commercio ne troviamo molti, hanno lo
stesso comportamento di intonaco osmotico macroporoso. Idraulicizza (rende impermeabile) la malta e fa
anche da aggregato poroso che favorisce appunto porosità e permeabilità. Si degrada anche come gli
intonaci osmotici, infatti dopo pochi anni cade.
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La pozzolana si presenta sottoforma di polvere finissima che deriva da depositi di eruzioni vulcaniche e
chimicamente è composta da puro silicio vetroso. Usata in antichità per creare malte idrauliche
impermeabili (pile ponti tipo); garantiva resistenza anche ad attacco chimico. La sua eccezionale
resistenza ai sali pubblicizzata in realtà non è supportata da studi analitici che la confermano o la
smentiscono.
Metodi basati sul lavaggio dei sali  metodo più intuitivo, sciacquarli dato che sono solubili. Il
problema non è quello di far arrivare l’acqua ai sali, ma è quello di tirarla fuori. Serve soprattutto ed è
efficace per piccoli manufatti (statue, capitelli, elementi lapidei, mattoni, ...) che semplicemente possono
essere immersi in vasche contenenti acqua deionizzata cambiata periodicamente, quando raggiunge livelli
minimi di contenuti di sali il pezzo può considerarsi pulito. Bastano un paio di giorni di solito. È prassi
che dovrebbe essere sempre applicata quando di fa riuso di mattoni. Quando si tratta di voler rimuovere i
sali da una parete il processo è complesso e inutile, il lavaggio con idrogetto è efficace solo per i cm più
superficiali e per poco tempo, circa due anni.
Per i muri non intonacati l’ideale è estrarre i sali con un impacco, metodo più efficace ma non ancora
molto conosciuto, mentre il lavaggio è il metodo che viene ancora più utilizzato. Il muro viene lavato
ripetutamente con acqua deionizzata in cicli: 4 o 5 lavaggi anche a distanza di diverse settimane.
L’aggravante di questo metodo è che spesso in cantiere le puliture sono fatte con idrogetto che ha come
aspetto negativo quello di impregnare il muro notevolmente sciogliendo i sali delle subefflorescenze:
l’acqua carica di sali si unirà alla soluzione salina in profondità e fa migrare i sali esterni molto più in
profondità all’interno del muro.
Si ottiene un muro con 3 cm pulito dai sali, ma oltre c’è un botto di sale e dopo 3 mesi torna tutto come
prima. La stessa cosa succede quando si applica un impacco con molta acqua. Grazie alla sua semplicità e
non invasività ha ancora molti sostenitori e viene spesso usato in cantieri medio piccoli; tuttavia, noi
sappiamo che è molto più efficace l’impacco con la modifica del supportante.
Il risciacquo lei lo sconsiglia fortemente, al massimo lo si può prevedere quando la contaminazione da
sali è molto molto lieve. Spesso tutta l’acqua che spariamo con l’idrogetto non viene convogliata via,
ruscella sulle pareti e non viene portata via, ma questa è un’acqua contenente i sali, ristagna nel terreno e
rimette in circolo gli stessi sali nel terreno che ritornano all’interno della muratura.
Risanamento tramite controllo delle condizioni ambientali  è lecito chiedersi se si può affrontare il
risanamento permanente solo controllando le condizioni ambientali, agendo sull'aria, il ricambio, la
temperatura, l’umidità relativa. In realtà oltre al mantenimento occorre impedire anche il degrado del
materiale a causa dell’azione dei sali. Mantenere la temperatura e l’umidità relativa entro limiti di
salubrità è relativamente facile (basta sottrarre dalla parete e/o dal pavimento più acqua di quanta ne
penetri nello stesso tempo).
Impedire il degrado del materiale a causa dell’azione dei sali invece è più complesso, il contenuto di
umidità in superficie del muro è in equilibrio con quella ambientale; la comparsa di efflorescenze dipende
sia dalla quantità nella soluzione salina in superficie, sia nell’evaporazione.
I danni compaiono quando i sali nel muro cristallizzano o ricristallizzano, cioè sempre al disotto di una
certa UR. In teoria basterebbe mantenere l’UR ambientale per impedire la formazione dei cristalli. Questo
metodo può essere adottato in pochi luoghi dove la presenza delle persone è limitata, cioè in pochi edifici.
Come prevenire l’ingresso di nuova acqua e nuovi sali nei muri : nel caso della costruzione
di un edificio nuovo il progettista dovrà prevenire l’ingresso di acqua e sali, nel risanamento di un edificio
esistente si dovranno estrarre o far fronte ai Sali esistenti con i trattamenti che abbiamo parlato, ma sarà
necessario impedire l’ingresso di nuova acqua. Le soluzioni valide (sia per edifici nuovi che per il
restauro) in questo senso sono: allontanare efficacemente tutta l’acqua piovana alla base del muro
attraverso incanalamenti, e impedire l'infiltrazione delle acque dall’alto.
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Progettare bene un edificio nuovo o sanarne uno esistente comporterà comunque sempre bloccare la
risalita e le infiltrazioni laterali.
Per prevenire la risalita verticale analizzeremo i metodi:
1. L’aerazione preventiva (con buchi aeranti, con vespai aeranti, con scannafossi aeranti, con
intonaci evaporanti);
2. Il taglio fisico;
3. Le barriere ad iniezione (barriera chimica o taglio
chimico, taglio fisico con boiacche intasanti);
4. Il taglio elettrostatico o elettrosmosi attiva ;
5. Barriere mediante l’emissione di onde o
impulsi elettromagnetici.
1. Aerazione preventiva con buchi aeranti  introdotto
all’inizio del ‘900, ancora proposto nel mercato con formule
moderne ma il principio è sempre lo stesso: creare un sistema
di circolazione dell’aria nello spessore della muratura in grado Fig. 101 Vespaio aerato in un edificio nuovo. La soluzione NON
è adatta al risanamento di muri vecchi/antichi soggetti a umidità
di costituire un ostacolo alla migrazione dell’umidità dalle di risalita.
fondazioni alle strutture in elevato attraverso l'aumento della superficie di evaporazione.
All’inizio comportava una notevole distruzione del muro, si praticava a circa 30 cm dal terreno per quasi
tutto lo spessore del muro lungo tutto il tratto interessato. All’interno del foro viene murato un tubo. La
quantità di acqua in risalita dipendeva dal numero di tubi al metro, dalla permeabilità del muro e dalla
quantità di acqua nel terreno. Dato però che l'acqua del terreno contiene sempre sali, questi si
depositavano nelle pareti interne dei tubi che a lungo andare li intasava e occorreva sostituirli.
C’è una capsula di chiusura che lo tiene contro il soffitto del
foro; qui l’evaporazione avviene dalle pareti del foro. Il metodo è
poco costoso, adatto al fai da te ma funziona solo in determinate
particolari condizioni atmosferiche e ambientali.
1. Aerazione preventiva con vespai aeranti  metodo più
diffuso. In genere i pavimenti antichi erano appoggiati ad uno
strato di ciottolato (vespaio) che li separava dalla terra. L’umidità
risaliva. A partire dal secondo dopoguerra, con l’avvento del CA,
sono nati i solai in latero cemento e i solai aerati che creano una
camera d’aria tra il solaio e il terreno e disperdono l’umidità
all’esterno tramite tubi o aperture. Negli edifici nuovi comportò un grande miglioramento. Nel
risanamento di un edificio vecchio costruito con una muratura portante in mattoni e con vespaio vecchio
(ciottolato a terra), molto spesso al piano terra si esegue un solaio in latero cemento + vespaio aerato
brutalmente, questo serve per allontanare il contatto diretto tra terra e pavimento, ma la barriera alla
risalita nei muri laterali non viene realizzata molto spesso
(quindi intervento inutile). In altre parole, la sola aerazione
creata sotto il solaio non è sufficiente per mantenere asciutto
tutto. In questi casi (in cui l’umidità è portata anche
dall’esterno) sarà indispensabile eseguire una vera barriera
indipendentemente dal vespaio aerato. Questo metodo è Fig. 100 Aerazione preventiva con buchi aeranti.
spesso utile e dannoso quando si parla di edifici esistenti, perché oltre a non essere efficace molto spesso
questi grandi scassi nelle murature sono scorrette dal punto di vista culturale. Distanziare il solaio del
piano terra e il terreno spesso significa perdere altezza del vano, è un metodo che da solo non è
completamente efficace, spesso sono più gli aspetti negativi.
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I pavimenti al piano terra di un edificio antico erano posati su uno strato di acciottolato (vespaio) che li
separava dalla terra nuda. Normalmente, non c’era impermeabilizzazione interposta tra terra e
acciottolato, perciò l’umidità poteva risalire attraverso il vespaio.
Nelle nuove costruzioni a sistema trave-pilastro in c.a. posati su un cordolo di fondazione, il primo solaio
al piano terra (in latero-cemento) forma una camera d’aria tra il solaio stesso e la terra nuda (detto vespaio
aerato), con l’obiettivo di disperdere l’umidità tramite tubi o aperture di comunicazione con l’aria esterna,
attraverso i muri perimetrali. Spesso nelle ristrutturazioni di edifici antichi, al piano terra si esegue un
solaio di questo tipo, incassando i cordoli di testa e laterali a scasso nel corpo della vecchia muratura
oppure su strutture dette igloo o “granchi”. La barriera alla risalita nei muri molto spesso non viene
realizzata. Per i risanamenti è un metodo spesso inutile (e dannoso).
1. Aerazione preventiva con scannafossi aeranti  il termine scannafosso intende la realizzazione di
una canaletta sotto il piano campagna a ridosso di un muro esterno. Questo scavo può interessare solo un
lato dell’edificio o tutto il perimetro stesso. È di difficile realizzazione sul lato interno dell’edificio. Allo
scopo di rendere queste strutture aeranti si è pensato di sfruttare la fascia di muro allo scoperto per la
formazione della canaletta per far evaporare l'acqua di risalita prima che entri nel muro. È un metodo
molto apprezzato, nel caso in cui all’interno di un edificio sia possibile realizzare anche il vespaio di
prima, allora si potrebbe collegarlo con lo scannafosso esterno. Per rendere aerante l'intervento si arretra
il terreno per non averlo a contatto con la parete controterra. L’umidità può essere scaricata sotto forma di
vapore nell’intercapedine. La porzione del muro da asciugare deve essere lasciata aperta o riempita da
materiale grossolano, la canaletta va coperta con griglia non sigillata ermeticamente. Il fondo della
canaletta va impermeabilizzato con magrone per impedire che l'acqua entri nel terreno. Nella canaletta
finiranno anche le acque piovane, quindi, occorre che il deflusso abbia pendenza maggiore dello
scannafosso. Non si hanno certezze per quanto riguarda la risalita però si avrà riscontro benefico. La
superficie evaporante non è tanta, 0.4 mq per metro lineare, quando piove l’acqua piovana viene
trasportata e quindi se lo scanna non è adeguatamente costruita la canaletta si riempie e bagna il muro. È
richiesta manutenzione costante per evitare che si accumulino robe che vanno ad impedire lo scolo tipo
foglie, rami ecc. Altra attenzione che bisogna avere è che il fatto di favorire l’evaporazione della facciata
esposta verso lo scannafosso concentra in quel punto la cristallizzazione dei sali va contrastata quindi. Se
si scava a ridosso di una parete perimetrale va fatta attenzione a non arrecare danni all’edificio.
L’efficacia dello scannafosso (che consiste nella ventilazione della porzione esterna di muro sottoterra)
può essere potenziata rivestendo il lato del muro con intonaco macroporoso assorbente (intonaco di
Fig. 102 Risanamento di pavimento e muri di un vecchio sacrificio), che salva il muro sottostante dal degrado, aumenta
locale umido. Formare un “vespaio aerato” è INUTILE
perché sarà comunque necessaria una barriera alla risalita. l’evaporazione cercata da questo metodo, quando sarà saturo
dopo 1/2 anni andrà sostituito.
ESEMPIO: la chiesa della Santissima Trinità a Esine costruita nel XII secolo con preesistenze del 71 d.c.
Considerato uno dei più importanti edifici religiosi medioevali della Valcamonica. La prof ha avuto la
fortuna di occuparsene come tesi alla scuola di restauro. La chiesa conserva nella cappella di San Rocco
un importantissimo ciclo di affreschi di Picasso. Il problema di degrado più evidente dell'edificio era la
presenza di efflorescenze e sub-efflorescenze sulle pareti interne soprattutto del lato nord.
Il dislivello tra dentro e fuori della parete è di circa 70 – 110 cm, dentro sono sotto quindi tutta la
porzione di muro è bagnata dalla terra. La presenza dell’ossario addossato alla parete ha contribuito
alla presenza di sali (nitrati). Come se non bastasse negli anni ‘60 pensando di restaurare hanno
applicato intonaco cementizio a destra e manca. Hanno fatto termografia, hanno estratto delle carotine
di intonaco di porzioni significative, essiccata e la differenza di peso gli ha dato il contenuto di umidità.
Per valutare la presenza di condensa hanno registrato l’umidità durante il ciclo delle stagioni per 14
mesi; le analisi hanno confermato le ipotesi. Hanno realizzato uno scanna perimetrale solo sul lato nord
82
(quello sottoterra) larghezza circa 80 cm e profondità che raggiunge il piede della muratura. Hanno così
creato un distacco tra terreno bagnato e parete; lo scavo è stato effettuato con mezzi manuali o piccoli e
non pericolosi (per l’edificio e per eventuali reperti che si aspettavano di trovare). C’è stato
costantemente l’archeologo ed infatti hanno trovato una serie di tombe sottoterra. La struttura dello
scanna è stata prevista in ca, parallela al perimetro della muratura, è stata affiancata una struttura in
acciaio totalmente staccata dalla parete della chiesa, ancorata al ca. Per coprire hanno realizzato
gradini in granito rialzati per consentire l’areazione. Hanno eliminato poi l’intonaco cementizio e
risarcito la lacuna con materiale idoneo ma comunque non prima dell’asportazione dei sali. Hanno
eliminato le cause e fatto fronte agli effetti.
1. Aerazione con intonaci evaporanti: quelli che abbiamo visto prima. Molto presenti sul mercato e
proposti commercialmente per deumidificare un locale, cioè fa evaporare nell’ambiente l’acqua, ma se
vengono proposti senza barriera l'acqua si intasa perché continua a salire, si stacca quindi l’intonaco a
causa del costante apporto di nuovi sali (intonaco a perdere). Per ottenere un effetto di asciugatura, in
assenza di barriera alla risalita, un intonaco deumidificante deve far evaporare nell’ambiente più acqua di
quanta ne salga dal terreno. Presto si intasa a causa del costante apporto di nuovi Sali e si stacca. Sarà un
intonaco di sacrificio.
Differenze con lo scannafosso: questo tenta di disperdere la risalita sotto il piano campagna per
preservare ciò che sta sopra, l'intonaco viene steso sopra il piano campagna e ricopre tutto il muro, che sia
intonacato già o che sia faccia a vista. Nessuna delle due tecniche può impedire all’umidità di risalire
dentro il muro (al massimo si disperde una volta entrata). L’intonaco forse riesce un po’ meglio se si
guarda solo questo ma comunque senza una efficace barriera l’effetto è limitato nel tempo. Può durare un
po’ di più solo se la risalita è molto bassa ed altrettanto deve essere bassa la quantità di sali presenti
all’interno della muratura.
2. Taglio fisico  metodo antico, ancora in uso comune fino a poco tempo fa e consiste nell’eseguire un
taglio nel muro alla base, poco sopra il livello al quale si prevede arrivi l’acqua esterna, per tutta la
lunghezza del muro, poi si riempie di materiale impermeabile in grado di resistere al carico statico del
muro soprastante. La barriera meccanica è realizzata mediante uno sbarramento orizzontale (laminati
plastici, guaine plastiche, piombo) ed è atta ad impedire la migrazione dell’umidità di risalita capillare
dalle strutture di fondazione a quelle elevato.
Intervento cuci scuci: parete in mattoni degradata lavoro per settori (piccole parti), risarcitura della
muratura per porzioni ad alternanza
Modernamente il taglio fisico delle murature veniva eseguito su tutte le tipologie di muri, con seghe a
catena, fili diamantati (stesse tecniche usate nelle cave di materiale lapideo). Lo spessore tagliato poteva
essere anche 2 metri per un’altezza di circa 10-30 cm dal terreno. Questi tagli potevano essere eseguiti a
secco oppure con spruzzo di acqua a pressione. L’intervento, da un certo punto di vista risolutivo,
comporta comunque una serie di problemi non trascurabili. Il
primo inconveniente è di natura statica: tagliare un muro di
netto può facilmente portare a cedimenti ed a crolli.
Inoltre, è molto difficile imbottire totalmente la fessura per
ripristinare la contintinuità statica, piccoli assestamenti e
cedimenti con conseguenti fessurazioni sono inevitabili. Per
questo si è sempre dovuto fare riferimento alla normativa,
specialmente in zona sismica; l’edificio scivolerebbe sul taglio
effettuato. Se facciamo riferimento alle NTC 2018, al capitolo
costruzioni in muratura viene esplicitamente esclusa la
Fig. 103 Intonaco “deumidificante” in assenza di barriera
83
possibilità oggi di realizzare un taglio fisico; le pareti devono essere continue in tutta la loro elevazione,
fino alle fondazioni.
Fino ad un paio di decenni fa questi interventi venivano fatti anche sull’edilizia monumentale; oggi come
già evidenziato nella norma, non si può più fare. Sono necessarie sovrapposizioni dello strato
impermeabile, sia in lunghezza sia in larghezza, ma non sempre si riesce a garantire questa
impermeabilità totale e quindi c’è il rischio di ottenere discontinuità nella impermeabilizzazione dove
l’acqua può continuare a passare, punti di infiltrazione.
Le prime resine utilizzate per riempire i tagli furono le resine epossidiche, col difetto di essere fragili,
nell’assestarsi lo strato si fratturava sotto il peso della muratura soprastante perciò̀ l’acqua riusciva ad
infiltrarsi nelle fessure di questo materiale. Anche per le lamine che storicamente venivano utilizzate
(piombo rame), quelle più recenti sono impermeabili non sono soggette a degrado come i metalli. Anche
le nuove boiacche che hanno sostituito le resine epossidiche non sono soggette a ritiro e non sono fragili.
In tempi recenti il taglio veniva riempito con lastre di fibra di vetro e sigillate con resine poliesteri, con lo
scopo di dare buona continuità, resistenza ed elasticità in grado di assorbire gli spostamenti senza
rompersi.
Questo metodo del taglio fisico però non perde le sue limitatezze intrinseche, è un metodo invasivo e
vietato dalla recente normativa, dal punto di vista metodologico del restauro è considerato troppo invasivo
e da escludere per gli edifici storici in generale ma soprattutto per quelli monumentali. Nonostante la
recente normativa però alcune imprese lo propongono ancora quindi bisogna sapere che non si può fare
altrimenti si rischia di incorrere in gravi sanzioni.
Il secondo difetto è che la drastica riduzione di apporto umido che il taglio può causare comporta una
dirompente cristallizzazione salina causata da più veloci scambi liquidi tra ambiente e supporto.
Il terzo difetto è che non è prevedibile l’effettiva durata del materiale inserito; il quarto difetto è che
avviene la parziale rimozione degli intonaci.
3. Taglio chimico barriera ad iniezione; la barriera chimica  iniezione che comporta idrorepellenza
nella muratura impedisce di risalire per capillarità all’acqua ma lascia aperti dei pori per far respirare il
muro.
Due metodi: per gravità o per pressione controllata . Si fanno dei fori nel muro e si inietta la
resina dopo averli puliti. In entrambi i casi la capacità di penetrare e la fluidità sono parametri importanti.
Devo realizzare barriera che va da parte a parte e che sigilli il muro.
Viene anche chiamata taglio chimico (anche se in effetti un taglio non c’è) si crea una barriera chimica
che repelle la risalita dell’acqua per capillarità. Le resine che vengono impiegate per formare questo strato
sono silicati alcalinizzati o silicato di potassio, siliconi, micro-emulsioni ecc...
Il silicato di potassio è il più famoso nella storia, molto diluibile in acqua ed ottima penetrazione, negli
ultimi decenni è stato abbandonato per alcuni effetti collaterali. Un problema particolare che si presenta
con i liquidi a base acquosa è che se non viene raggiunta la saturazione con la prima iniezione non è
possibile poi rii - iniettare altro materiale nel muro in un secondo momento, perchè il liquido che ho
iniettato precedentemente respingerebbe il nuovo liquido, bisogna essere super bravi a fare tutto col primo
intervento.
Questo problema non c’è con i liquidi a base di solventi, ma sono molto inquinanti e pericolosi: si
infiammano a temperature basse, tipo 60°.
Altro problema è che quando inietto in un muro, soprattutto un muro di un edificio storico di cui non
conosco bene la stratigrafia io non capisco dove va effettivamente il liquido che inietto. Abbiamo
accennato alle modalità di riempimento (gravità o pressione):
– Nel riempimento per gravità : la fascia idrofobizzata viene realizzata praticando col trapano
una serie di fori a distanza regolare attraverso i quali poi verrà introdotto il liquido. Naturalmente
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occorre una maglia regolare che su un muro in pietra è un po’ difficile da ottenere. Altro problema
è la realizzazione dei fori stessi che devono raggiungere il 70-80% dello spessore del muro e
devono anche essere inclinati di 25°-30° verso il basso. Chiaramente è molto difficile realizzare
dei fori così fatti anche con una certa regolarità. Comunque, una volta realizzato il reticolo dei fori
all’ingresso viene fissato un tubetto di raccordo e il liquido viene immesso nel tubetto per
semplice gravità attraverso delle bottigliette (vedi schema su slide). Queste iniezioni per gravità
hanno una serie di inconvenienti, non possono riempire totalmente i pori, raggiungono il 60-90%.
Hanno difficoltà a riempire pori grandi già pieni di acqua. La necessità di controllare la quantità
assorbita fa si che il tempo di assorbimento del liquido possa essere anche di diversi giorni, con i
conseguenti costi.
– Per quanto riguarda il riempimento a pressione: deve essere realizzata fascia di fori col
trapano, qui hanno dimensioni un po’ più piccole, attraverso i quali il liquido viene introdotto per
pressione. Anche qui non sono fori passanti, 70% dello spessore. In genere sono su due file
sfalsate. I vantaggi: la quantità assorbita è verificabile all'istante attraverso il manometro associato
ad ogni cannula dell’impianto. Inoltre, essendo il liquido a base di solvente lo posso re-iniettare
diverse volte e quindi si riempiono bene anche i grandi pori scalzando l’acqua anche in muri saturi
(quello per gravità non riesce invece). Questo riempimento a pressione è molto più veloce,
nell’ordine di alcune ore anziché alcuni giorni. Si inietta a pressione controllata (ho perso quanto).
Anche qui ci sono dei difetti: le caratteristiche dei materiali impiegati sono diversi per i due
sistemi impiegati, però sono a base di solventi altamente infiammabili.
Completate le iniezioni si chiudono i fori e si esegue una stuccatura, dove il muro deve essere re-
intonacato i fori vengono coperti, se il muro deve rimanere a faccia vista bisogna mascherare i fori rii-
stuccandoli ed eventualmente intervenendo con delle scialbature colorate del colore del materiale lapideo.
Ma i difetti? i problemi per raggiungere un buon intasamento sono parecchi, formare uno strato continuo
idrorepellente non è sempre semplice, soprattutto nei muri a blocchi lapidei portanti o in forati, non
sappiamo se il prodotto è in grado di realizzare una barriera continua. Il prodotto non deve essere soggetto
a ritiro, si creerebbero microfessurazioni in grado di far passare l’acqua. La presenza di Sali nelle
murature potrebbe impedire o contrastare l’adesione ai capillari da idrofobizzare. Inoltre, non si possono
trattare tutti gli spessori di muri, al massimo si può agire su 60 cm di spessore. Il prodotto ha una durata
limitata e può accadere che si stacchino gli intonaci. La barriera chimica è un metodo da conoscere ma
soprattutto bisogna conoscere i suoi limiti e i suoi difetti, non è certamente un intervento conservativo.
3. Taglio fisico con boiacche intasanti  creo alla base del muro uno strato impermeabile con iniezioni
di un prodotto che solidifica. Ci sono differenze con le barriere chimiche: questo taglio fisico con
boiacche intasanti non crea uno strato idrorepellente ma intasa proprio fisicamente i capillari e impedisce
il passaggio di acqua. È comunque difficile trovare un prodotto sufficientemente fluido per realizzare
tutto ciò.
Queste boiacche usate anche per consolidamento strutturale, vengono denominate betoncini; per lo
stesso scopo possono essere usate anche resine poliuretaniche espandenti (polimerizzano in presenza di
acqua ma purtroppo si ritirano nel tempo). Per fortuna per i consolidamenti si possono usare anche
prodotti a base di calci naturali. Questo intasamento fisico ha dei vantaggi: possono riempire vuoti di
grosse dimensioni, sono utili in situazioni estreme, tipo in muri a sacco dove le discontinuità sono del
tutto imprevedibili. Inoltre, diversamente dalle resine idrorepellenti possono resistere sotto grande
pressione. Diversamente dai liquidi a base acquosa, se non viene raggiunta la saturazione con la prima
iniezione è possibile rii-iniettare per riempire. È meglio della barriera chimica, essendo fluida la boiacca
riempie meglio del liquido chimico. Ovviamente devo stare attento al tipo di materiale che metto nella

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boiacca, si possono usare anche le calci naturali. Possono
essere additivate resine epossidiche (intervento
permanente). Pro e contro:
– I pro sono che anche utilizzando determinati
additivi alla boiacca posso ottenere una
assenza di ritiro ed ottime prestazioni
meccaniche.
– Il contro è che è totalmente irreversibile, tutti
questi cosiddetti tagli in verità lo sono.
L’efficacia di questo sistema con boiacche
intasanti dipende dal raggiungimento da parte
Fig. 104 Barriera alla risalita mediante elettrosmosi attiva. Richiede di
applicazione di un potenziale elettrico tramite elettrodi e passaggio di della boiacca di una percentuale di intasamento
corrente. Nella figura è illustrato il metodo ad “anello e puntazze”
brevettato. vicina al 100%, questo dipenderà dal tipo,
qualità e quantità del prodotto impiegato, e naturalmente dalla competenza del boiacchiere
(uomo boiacca).
Attenzione ad usare resine epossidiche che non sono compatibili con l’edilizia storica. Se il muro è
costituito da mattoni è consigliabile effettuare l’iniezione ad alta pressione nei mattoni. Per i muri
costruiti con pietre irregolari è inutile cercare di eseguire una barriera su una linea retta, quindi dovrebbe
essere saturata una fascia più alta della pietra più grossa visibile, è importante che ogni pietra sa
circondata dalla boiacca. L’iniezione di muri a sacco è troppo difficoltosa, l’intervento non da garanzie.
Un importante vantaggio di questo taglio è che diversamente dai tagli a base acquosa, se non viene
raggiunta la saturazione con la prima iniezione si può rii-iniettare il prodotto anche in un secondo
momento. Nei muri a sacco, nei paramenti lapidei irregolari queste forature a distanza regolare è molto
difficile riuscire a realizzarle.
4. Taglio elettrostatico o elettrosmosi attiva  l’intervento si basa sull’inversione di potenziale
elettrico esistente, in presenza di acqua, tra muratura e terreno. Si rende il terreno negativo e il muro
positivo in modo tale da invertire il flusso dell’acqua (va da muro a terreno). Si applica un circuito
elettrico alimentato da corrente continua che collega il manufatto a terreno.
Quando abbiamo un materiale siliceo (maggior parte di materiali da costruzione) la sua superficie è
caricata con un potenziale negativo. A contatto con questi materiali l’acqua si ionizza e vengono creati
protoni di idrogeno. Questa ionizzazione genera carica negativa, l’acqua crea dipoli che si comportano
come piccole calamite e quindi tra silicio e molecole di acqua si crea strato assorbito; da questo strato
avanza uno strato negativo che a sua volta attrae ancora acqua, più debolmente. Esistono insomma
presupposti per lo spostamento di acqua aderente al materiale da costruzione basato su principi elettrici
noti scientificamente; questa è la elettrosmosi attiva. Questa non ha effetti su materiali non silicei, come
pietre calcaree (marmo puro).
Questo potenziale viene fornito da centralina, rendendo positivo il muro e negativo il terreno si inverte il
flusso di acqua che passa dal muro al terreno e il muro si asciuga. In un metodo brevettato un elettrodo
positivo viene collegato al piano campagna per tutto il perimetro da asciugare e quello negativo è circa un
metro sottoterra. Vengono eseguite piccole tracce dentro le quali vengono sigillati i fili che condurranno i
fili con elettricità. Possono seguire il corso nel caso di muratura in mattoni oppure seguire l’andamento
delle pietre. Si può fare anche rete ma non è adeguato se ho pareti in faccia a vista. Si tratta di corrente
diretta ma comunque i parametri variano da ditta a ditta; il consumo di energia è comunque basso, anche
se il potenziale deve essere sempre mantenuto per tutto il processo, altrimenti si inverte il tutto e l’acqua
va dal terreno al muro.

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Vediamo i problemi che vengono creati dai sali solubili già presenti nel muro che fanno corrodere i fili (o
gli elettrodi) per idrolisi. Questo sistema non funziona in presenza di eccessiva presenza di sali nel muro,
può addirittura produrre l’effetto opposto ed attirare acqua. È comunque un metodo poco distruttivo ma
va sempre affiancato ad un’operazione di eliminazione dei sali.
5. Barriere mediante l’immissione di onde o impulsi elettromagnetici  esistono due tipi di
apparecchio, quelli alimentati a corrente elettrica e i lampadari, non alimentati da corrente elettrica.
A livello commerciale si propone come correttivo totale dell’umidità dei muri, attenzione che per queste
apparecchiature manca una spiegazione scientifica, non ci sono dimostrazioni certe circa la funzionalità.
L’effetto di asciugatura richiede comunque almeno 2-3 anni; è sconosciuto l’effetto di impulsi a bassa
frequenza sugli umani (ce lo dice perchè questi apparecchi vengono installati anche in abitazioni dove le
persone vivono). Per correttezza diciamo che nonostante le carenze scientifiche di base sembra esistere
una consolidata casistica di sole testimonianze di successi.
Il dispositivo non utilizza energia elettrica, all'interno è costituito da antenne trasmittenti e riceventi. La
Terra è soggetta a delle vibrazioni (onde) magneto – gravitazionali, le quali vengono captate dal
dispositivo mediante la sua antenna ricevente. Sempre all'interno del dispositivo è presente un’unità di
polarizzazione, la quale inverte la direzione delle vibrazioni (onde) captate dall'antenna ricevente;
l'energia polarizzata così in senso inverso viene ritrasmessa nell'ambiente dalle antenne trasmittenti fino
ad un certo raggio d’azione. Dalla parte superiore del dispositivo confluisce dell’energia aggiuntiva, la
cosiddetta energia cosmica libera.
Effetti e conseguenze della barriera alla risalita: prima e dopo l’applicazione di un metodo sarà sempre
opportuno una indagine diagnostica prima e dopo per verificare l’efficacia dell’azione. In particolare, per
le murature faccia a vista questa problematica si presenta in due componenti distinte: la scelta per fare
fronte ai sali già presenti e la scelta per prevenire il ritorno dei sali, sostanzialmente nuova acqua che
penetra.
Un muro potrà essere considerato:
– Pulito quando contiene meno dello 0,20% di sali totali al suo interno;
– Poco contaminato quando contiene dallo 0,30% allo 0,50%;
– Mediamente contaminato dallo 0,60% all’1,50%;
– Molto contaminato dall’1,60% al 3,00%;
– Gravemente contaminato oltre il 3,00% di contenuto salino.
L’abbassamento del contenuto salino totale del muro sotto allo 0,20% garantisce che il muro è sano, e
rimarrà tale se non entrano nuovi sali.
Per evitare il riverificarsi dei sali : ne abbiamo appena finito di parlare.
Per fare fronte ai sali già presenti: rimozione dei sali con impacchi assorbenti, neutralizzazione
mediante prodotti chimici, impermeabilizzazione totale con guaine/vernici/intonaci, e infine
l’idrorepellenza con prodotti idrofobizzanti e/o traspiranti.
Buona norma se si decide di realizzare una barriera o scannafosso, prima abbassare la concentrazione di
sali con degli impacchi e poi proseguire successivamente.
Questo è possibile senza effetti collaterali per pareti faccia vista, con una parete intonacata correrei
diversi rischi, tra cui il crollo dell'intonaco stesso che si saturerebbe di sali.
Una lacuna normativa finora ha contribuito allo stato di degrado attuale diffuso: non ci sono direttive che
stabiliscono soglie % di contaminazioni saline.
Riassumendo: se è stata installata una efficace barriera ed i sali sono stati estratti in teoria non si necessita
di particolari altri interventi.

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Il progetto di conservazione: contrasto del degrado e
conservazione della materia: principi e tecniche di consolidamento
e protezione
Intendiamo il consolidamento dei materiali lapidei, ovvero le pietre, gli stucchi, malte, intonaci, laterizi.
L'obiettivo è quello di ristabilire la continuità tra la parte esterna del materiale a quella più interna,
assicurando l’adesione del materiale superficiale a quello sano, garantendo coesione materica in modo
da conferire una condizione di normalità e compattezza simile a quella del materiale non degradato.
La perdita di coesione del materiale esterno è dovuta dai processi di azione meccanica, variazioni
igrometriche e termiche, oltre ai processi di degradazione chimico e fisica degli agenti atmosferici.
I prodotti consolidanti sono sostanze liquide che una volta penetrate nel materiale lapideo sono capaci di
passare allo stato solido aderendo alla superficie dei pori, restituendo proprietà meccaniche al substrato.
Con il consolidamento si tende a migliorare anche alcune caratteristiche intrinseche del materiale per
renderlo più resistente ai processi di degrado a cui andrà incontro.
Quello che si tende a fare è diminuire la porosità del materiale, che è la principale causa del degrado,
perchè attraverso i pori penetra l’acqua. È fondamentale che i prodotti consolidanti presentino una serie di
proprietà specifiche legate al loro comportamento nel tempo.
Il consolidante deve essere compatibile al substrato e stabile dal punto di vista chimico fisico, deve avere
buone capacità adesive. Deve coinvolgere tutto lo spessore del materiale, deve avere capacità adesive e
aderire al supporto, l’impregnazione deve avvenire fino alla profondità, il prodotto consolidante non deve
modificare l’aspetto del materiale sul quale viene applicato.
Tra le proprietà non sempre ottenibili è l’idrorepellenza, che rende il prodotto oltre che un consolidante
un prodotto protettivo. La sua funzione è quella di migliorare la coesione e le caratteristiche meccaniche
del materiale e farlo aderire alla parte sana.
Il tempo di presa non deve essere troppo breve e il prodotto deve essere abbastanza reversibile. Esistono
due tipi di consolidamento:
– Consolidamento coesivo: interessa la superficie ed è chiamato corticale. Il prodotto viene
applicato localmente o generalizzato sulla superficie del materiale per ristabilire la coesione
dello strato interessato da decoesione e di conseguente polverizzazione superficiale. Si rende
difficoltoso l’accesso dell’acqua e soluzioni saline perché riduce porosità, questo
consolidamento è realizzato tramite impregnazione della superficie fino a rifiuto.

Fig. 105 Consolidamento coesivo.

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– Consolidamento adesivo: Operazione di re – incollaggio di rivestimenti staccati, tipo
frammenti di pietra oppure uno strato di intonaco. L’obiettivo è quello di ristabilire la
continuità tra il supporto e il rivestimento. Si fa nelle tipiche zone di rigonfiamento
dell’intonaco della muratura, anche dove le lacune di intonaco si sono gia formate può essere
utile per fissare i lembi della lacuna. Questo intervento di consolidamento viene realizzato con
iniezioni di maltine fluide per far rii – aderire la porzione di materiale alterato al substrato
sano.

Fig. 106 Consolidamento adesivo.


I prodotti consolidanti sono distinti in diverse classi:
– Consolidanti inorganici;
– Consolidanti organici;
– Consolidanti intermedi a base di silicio.
Più recentemente sono stati inventati prodotti basati su nanotecnologia con silice colloidale o nano-calci.
Consolidanti inorganici  in passato i più utilizzati per diminuire la porosità sono stati i consolidanti
inorganici, come idrossido di calce (acqua di calce, latte di calce, grassello di calce), idrossido di
bario oppure gli ossalati come quello di ammonio.
Essendo inorganici sono chimicamente compatibili con il supporto lapideo. Una volta applicati, in
soluzioni acquose, si trasformano all’interno dei pori precipitando come sali insolubili che non potranno
più essere rimossi: sono in grado di penetrare di bestia perchè sono microscopici, ma hanno il difetto di
non avere potere adesivo ma tendono solo a riempiere i pori portando ad una azione consolidante
abbastanza scarsa rispetto ad altri prodotti. Inoltre, dopo l’applicazione si possono formare elementi
dannosi che potrebbero creare efflorescenze.
(Nel 2008 è stato commercializzato il nanorestore frutto di una ricerca universitaria di Firenze, un
consolidante compatibile con tutto perchè è costituito da particelle di idrossido di calce disperse in
alcool isopropilico, per garantire ottima penetrazione insinuando le nano-particelle negli interstizi da
consolidare, poi per azione della CO2 le particelle di idrossido diventano carbonato di calcio. Viene
utilizzato anche per operazioni di preconsolidamento.)
Consolidanti organici  i prodotti di natura organica sono costituiti da polimeri di resine sintetiche,
sono molto competitivi perchè anche non essendo super compatibili con i materiali lapidei hanno una
maggiore elasticità che superano i problemi di espansione termica. Generano all’interno delle porosità dei
film che consolidano e migliorano le capacità meccaniche del materiale saldando tra loro le particelle.
Presentano buone capacità adesive e di resistenza meccanica, molto spesso hanno idropellenza
(consolidamento + protezione).

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Sono irreversibili principalmente. Il primo difetto è l’incompatibilità chimico – fisica con il substrato,
quando li applichiamo su superficie esposte al sole diventano giallognole e fragili, i più usati sono:
– Polimeri acrilici e metacrilici : caratterizzati da trasparenza e buona resistenza
all’invecchiamento (durano 60 tipo), alla luce e all’acqua. Hanno un buon potere adesivo ma non
possono essere usate come adesivi strutturali perché hanno scarse capacità di penetrazione, sono
comunque consigliate soprattutto per le caratteristiche che abbiamo detto prima per superfici
interne non esposte ad agenti atmosferici.
– PARALOID B-72: è un prodotto organico usato tantissimo in passato e lo troviamo in tutte le
salse, è una delle resine termoplastiche più stabili con elevata resistenza meccanica e durezza,
trasparente e priva delle rigidità dei polimeri con alto peso molecolare.
– Resine Acril-siliconiche (ACRISIL 201) : che combinano le resine acriliche con quelle
siliconiche, hanno funzione consolidante riaggregante ma anche capacità protettive ed
idrorepellenti proprie dei siliconi. Hanno bassa viscosità ed impregnano il materiale in profondità.
Sono prodotti usati per consolidare vari tipi di materiale porosi e degradati, gesso, cemento,
mattoni e legno.
– Polimeri vinilici: che non hanno tanto potere legante e resistenza ma hanno costo bassissimo,
sono tipo la Vinavil. Caratteristica negativa di loro è che ingialliscono dopo pochi anni dalla
applicazione e rilasciano sostanze che reagiscono con il materiale trattato.
– Polimeri fluorurati: con alta stabilità chimica, resistenza alla luce e idrorepellenza, però hanno
scarso potere penetrante e scarsa capacità adesiva.
– Le resine epossidiche: si possono usare come consolidanti, hanno ottima resistenza chimica e
meccanica, buon comportamento a trazione e compressione, resistenza ad acqua ma tendono ad
ingiallire perché suscettibili ad ossigeno e luce e sono irreversibili totalmente; infatti, vengono
usati come adesivi strutturali o come leganti per malte di riempimento per cavità (malta
epossidica).
Bisogna fare ricorso più possibile a consolidanti inorganici, sono tutti prodotti che si devono usare su
superfici pulite.
Consolidanti a base di silicio  i consolidanti intermedi a base di silicio sono i più vasti, ci sono sia
organici che inorganici. Troviamo i fluosilicati (fluosilicati di zinco e magnesio), alchil-alcossi-
silani, alchil-aril-poli-silossani e alcossi-silani ; fruttano la capacità dei silicati di consolidare
discretamente, carattere idrorepellente e buona capacità di penetrazione.
Gli alcossi-silani sono i più utilizzati come il silicato di etile, il consolidante per eccellenza, queste
sostanze portano alla formazione di un polimero tridimensionale di silice responsabile del consolidamento
perchè si lega ai minerali silicatici nel materiale lapideo. È un liquido incolore, buon consolidante
corticale, la sua grande diffusione è dovuta alla grande compatibilità con la pietra, intonaci degradati e
laterizi. Può essere usato anche come prodotto di preconsolidamento, molto resistente agli inquinanti ed
agenti atmosferici, non subisce alterazioni causate dai raggi ultravioletti ed ha il vantaggio di possedere
elevato potere legante. Questo trattamento ha un’azione consolidante ma nessun effetto protettivo nei
confronti dell’acqua. Quindi all’esterno il trattamento on questo prodotto deve farsi seguire da un
trattamento con prodotto idrorepellente. Come si applica il silicato di etile? Non si applica puro ma in
soluzione, si usa un solvente organico detto white spirit, la percentuale in peso è compresa tra il 60-
80%, ma si fanno sempre dei test preliminari per decidere quale è la percentuale più adatta. Può essere
steso a pennello, a spruzzo, a perforazione, a tampone con spugne oppure con immersione. La superficie
andrà saturata fino a rifiuto evitando accumuli di prodotto sulla superficie stessa. Sarà sufficiente un solo
ciclo di applicazioni, ma un trattamento successivo si potrà fare dopo 2 o 3 settimane.
Metodi di applicazione del consolidamento corticale avviene per impregnazione:
90
– A pennello, tampone o rullo: particolarmente indicate per materiali lapidei porosi;
– A spruzzo: si applica sui dipinti a secco (tempera) e materiali poco porosi ad esempio, su degradi
localizzati, può essere realizzato solo in condizioni di temperatura favorevole tra i 10 e 15 gradi, e
solo con alcuni prodotti;
– A impacco: per garantire una buona impregnazione di modanature, cornici, elementi lavorati
ecc…, per mantenere il prodotto a contatto con il manufatto per un certo periodo.
– Per percolazione: modanature, cornici, elementi lavorati, dipinti murari, dove attraverso un
elemento che fa colare il prodotto, avviene l’impregnazione per gravità;
– Sottovuoto: per statue, elementi decorativi tridimensionali che può avvenire in sito, il sottovuoto
garantisce grande penetrazione del prodotto;
– Immersione: penetrazione massima che può essere fatta solo in laboratorio, solo per pezzi che si
possono rimuovere dalla sede originaria.
Può essere necessario usare la carta giapponese su superfici molto disgregate, soprattutto prima di usare il
pennello.
Metodi di applicazione del consolidamento adesivo avviene per iniezione: si usa per consolidare strati
di intonaco distaccati dal supporto, risarcire le fessurazioni riempiendo le sacche che si sono create tra
muratura e supporto.
Come si inietta?
Innanzitutto, si individua con precisione e si delimita il perimetro delle aree rigonfiate, si segnalano con
un gesso da lavagna, il riconoscimento può avvenire con indagini non distruttive (termografia o battitura
manuale con martelletti di gomma).
Si usano in genere malte a base di calce idraulica miscelate con aggregato (spesso cocciopesto) e
a volte con resina acrilica (Primal AC – 33/Acrilik – 33). Queste maltine riempiono bene ma non hanno
grande potere adesivo. L’alluminato di calcio da leggerezza alla malta perchè grazie alla reazione tra
componenti e malta sprigiona gas facendo aumentare il volume della malta. Il Ledan tb1 è un prodotto
usato per consolidare gli intonaci affrescati da Giotto nella Cappella degli Scrovegni, prodotto con potere
adesivo maggiore rispetto alla semplice malta di calce idraulica ma che ha un difetto: si distribuisce in
maniera disomogeneo nella fessura (Microlime o Microlime gel della bolteco).
Queste maltine devono avere alcune caratteristiche, ottime penetrabilità nelle murature, bassissimo
contenuto di sali solubili. Se i volumi di distacco sono molto piccoli, si potrà optare per un prodotto ad
alto potere adesivo come una resina acrilica in soluzione, oppure con ponti di pasta adesiva a base di calce
idraulica.
Come si eseguono?
Si sfruttano piccole fessure, lacune o fori già presenti, se non ci sono si dovranno eseguire piccoli fori dai
2 al massimo 5 mm di diametro, utilizzando punteruoli o trapani. Eseguito il foro con tutte le attenzioni
del caso, è importante aspirare la polvere all’interno del foro con pompetta di gomma, serve per eliminare
quello che potrebbe ostacolare l’immissione della miscela.
Poi vengono iniettati acqua deionizzata ed alcool, per inumidire le superfici interne e per verificare la
presenza di fori dove la miscela potrebbe uscire, in quel caso vado a stuccarli, sigillarli in modo
provvisorio con ponti di malta magra.
Poi si spara nel rigonfiamento con la siringa, inietto la miscela e poi deciderò̀ se togliere le stuccate o
lasciarle una volta consolidato il tutto. Le iniezioni si fanno con una normale siringa di plastica, oppure
con aghi metallici, o collegando la siringa con una canula.
Si inietta iniziando, al contrario della procedura corticale nella quale si fa dall’alto verso il basso. Si deve
fare attenzione che il prodotto non esca dai fori, se succede va pulito con spugna di acqua distillata.
Finito il consolidamento vanno eliminate le stuccature e poi si sigillano utilizzando ad esempio maltine.
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Imperniature (consolidamento adesivo): la riadesione dello strato d'intonaco al supporto può avvenire
con ponti di resina termoplastica o imperniature di acciaio ancorate agli strati profondi, questo metodo si
può usare anche per riattaccare frammenti ed elementi tridimensionali ove ci sono mancanze.
La stuccatura (o sigillatura): operazione che serve per evitare la veicolazione di ulteriore degrado
attraverso le fessurazioni, interruzioni dell’intonaco o materiale lapideo di vario genere che non sono state
risarcite da operazioni di consolidamento.
Viene eseguita con dei materiali che presentano caratteristiche compatibili con la pietra stessa: grasselli
di calce, polveri simili al lapideo, eventualmente addizionate con pigmenti stabili o
leganti organici.
Prima della malta è necessario inserire un'armatura fatta da persi in vetroresina o acciaio inox oppure
zeppature con frammenti lapidei. La stuccatura si fa anche nel caso delle lacune ed ha la funzione di
sostenere e rinforzare i bordi dell’intonaco rimasto attorno alla lacuna stessa e si parla di stuccature
salvabordo, sono quelle che realizzo attorno al bordo di una lacuna.
Si stuccano i bordi, si fa il consolidamento e poi si fa la stuccatura dei bordi definitiva. Realizzata la
lacuna salvabordo, come si tratta la lacuna all’interno?
Posso lasciare la lacuna a vista, oppure la lacuna può essere risarcita completamente completando gli
strati di intonaco, che può essere fatto a livello o sottolivello di qualche mm, per lasciare la traccia, sta
alla sensibilità di ognuno di noi vaffanculo che rottura di coglioni. Dopo aver rimosso il materiale
incoerente e non recuperabile, o non congruente (intonaco cementizio), si pulisce la lacuna, si fa il
salvabordo e poi si fa l’intonaco con tutti gli strati.
Le protezioni possono essere di due tipi, o con tettoie e schermi per proteggere il manufatto oppure
usando un film che funzioni da schermo tra materiale lapideo e l’esterno. Le protezioni si distinguono in:
– prodotti trasparenti e neutri, come sostanze organiche o a base di silicio (resine
acriliche, poliuretaniche...);
– strati coprenti che nascondono almeno in parte la superficie muraria, come scialbature,
sagramature, velinature.
Gli interventi possono comportare variazioni cromatiche delle superfici (effetto bagnato, lumeggiature
strane). Il protettivo deve essere/avere:
– permeabile al vapore (traspirante);
– impermeabile all’acqua liquida (idrorepellente);
– stabile agli agenti chimici e raggi ultravioletti che comportano crettature;
– minimo impatto visivo;
– compatibilità materica;
– reversibilità .
La reversibilità è un aspetto importantissimo, sono interventi che durano dai 5 ai 10 anni, per questo
motivo deve essere reversibile, non posso applicare il nuovo protettivo se ho dei residui precedenti che
non riesco ad eliminare. Protezione con strati coprenti: si applicano con i metodi di prima:
1. Tinteggiatura alla calce (scialbatura);
2. Trattamento all’acqua sporca (velatura);
3. Tinteggiatura ai silicati.
Tinta: decorazione colorata con prodotto coprente non filmogeno (prodotti per coloritura murale che non
danno luogo a pellicola. Esempi: tinte a calce, a tempera e ai silicati).
Velatura: decorazione colorata con prodotto trasparente colorato.
(UNI 10924:2001 Beni culturali - Malte per elementi costruttivi e decorativi - Classificazione e
terminologia).

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1. Scialbatura  si fa all’esterno e interno, a patto che il supporto non sia stato ancora compromesso da
una precedente pitturazione a legante polimerico. Se un intonaco ha una pitturazione di tipo sintetico sarà
necessario asportare la precedente pittura prima di scialbare.
Sul mercato ci sono primer che rendono compatibili i supporti alle pitture a calce, ma sono spesso truffe
perchè i primer stessi contengono leganti polimerici; inoltre, la calce ha una azione disinfettante.
La procedura per realizzare una scialbatura di calce prevede che il grassello di calce stagionato che deve
essere stemperato in acqua pura, rapporto grassello: acqua deve essere di 1:2, per ottenere un composto
sufficientemente denso, lasciato a riposo fino ad un max di
48 ore, aggiungendo pigmenti minerali o terre naturali faccio
la colorazione.
La tinteggiatura alla calce perde tono dopo qualche mese, è
consigliabile caricare leggermente i dosaggi di pigmento per
ottenere la colorazione desiderata. La tinteggiatura va fatta
su superficie perfettamente pulita e consolidata nel caso. Per
ottenere superficie compatta e duratura, sull’intonaco ancora
fresco si dovrà stendere una mano di fondo di calce molto
grassa e poi si applica il colore molto diluito.
Fig. 107 Scialbatura. La stesura di queste tinte va fatta con pennelli a setole
morbide, ad esempio, facendo attenzione che la tinta a base di calce perde tono e schiarisce notevolmente
seccando, aumentando il potere coprente.
I limiti di questa tinteggiatura è che ha poca resistenza
al dilavamento dell’acqua ed è soggetta nelle zone
fortemente inquinante al degrado degli inquinanti. Per
ovviare ai degradi rapidi dovuti agli inquinanti, quando
la tinta si è asciugata può essere previsto sopra la tinta
una mano di protettivo a base di mannaggia alla
coccolina oppure di soluzioni di potassio.
2. Velatura  metodo che è anche consolidamento ma
anche con funzione protettiva di materiali,
aggiungendo un pigmento ha funzione decorativa.
L’acqua sporca pigmentata consiste nel colorare Fig. 108 Scialbatura.
leggermente l’acqua di calce, una soluzione satura di
idrossido di calcio che è incolore e trasparente, aggiungendo dei pigmenti colorati (gli stessi degli
affreschi e tinte a calce) in proporzione di 1 cucchiaio di pigmento in 15 litri di acqua.
Inumidendo la parete da trattare con un pennello morbido imbevuto di acqua si procede alla stesura del
protettivo con pennelli, nebulizzatori e rulli. Dopo l’ultima mano si applica un fissativo.
3. Pittura ai silicati  si compone di silicato di potassio, sabbia di quarzo e pigmenti minerali, gli stessi
di prima. L’aspetto interessante è che può essere applicata su intonaci a base di calce sia su quelli a base
cementizia, e infatti, spesso si preferisce alla tinta alla calce vera e propria.
Il silicato vero e proprio, liquido bianco denso e trasparente, diluito in acqua con altra roba come base di
bianco e pigmenti, viene steso in due mani utilizzando pennellesse rettangolari a setola morbida o a
spruzzo.
A differenza dei metodi di prima, questa tecnica va applicata a pareti asciutte, lasciando trascorrere
almeno 12 ore tra la prima applicazione di tinta e la seconda. La preparazione della tinta va fatta seguendo
una procedura particolare. Fare attenzione nella fase applicativa che il silicato è instabile e va

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frequentemente amalgamato e va usato entro poche ore. Per stabilizzare il silicato si può aggiungere alla
miscela una quantità minima di resina in emulsione.
Il silicato di potassio a contatto con l’intonaco genera la formazione di silice che a sua volta legherà il
pigmento con il sottofondo rendendolo durevole e resistente, rendendo impermeabile il tutto ma
garantendone la permeabilità al vapore. Si tratta di una modalità di protezione e rifinitura che da buoni
risultati.

I monumenti italiani devastati dalla Seconda guerra mondiale


Alla sua vigilia l’Italia possiede un’ottima cultura circa il restauro. Teoria pensata all’intervento di
restauro legato ad un lento decadimento delle strutture; trasformazioni del degrado causato da mancanza
di manutenzioni.
Furono prese alcune precauzioni, fin dagli anni ‘20 il governo aveva adottato politiche di salvaguardia
(protezione preventiva) per il patrimonio artistico. Furono predisposti dei piani di protezione per beni
mobili quali quadri, manoscritti, statue, ecc…, vennero spostati dalle loro sedi originari e portati in
nascondigli sicuri (lontani dalle grandi città che potevano rimanere coinvolte in conflitti). Durante il corso
della guerra questi nascondigli vennero cambiati in modo tale da evitare danneggiamenti e furti.
Per quanto riguarda i beni immobili furono realizzate
delle blindature come ad esempio: impalcature lignee,
sacchi di sabbia, blindature, ecc…; che comunque non
coprivano il 100% dell’edificio/monumento. Un altro
metodo di protezione era quello di porre sui tetti dei
segnali riconoscibili che segnalavano che quella era una
struttura di rilevanza culturale, sanitaria, ecc….
Per il patrimonio edilizio monumentale più esposto, di
Fig. 109 Esempio di blindatura: Arco di Costantino, Roma. conseguenza più vulnerabile, i metodi di protezione non
erano progrediti rispetto alla Prima guerra mondiale;
infatti, anche qui vennero poste delle blindature.
I metodi usati per queste blindature, soprattutto le impalcature in legname, hanno causato più danni che
altro, ad esempio: i castelli lignei potevano prendere fuoco (Santa
Chiara a Napoli: caso più clamoroso dell’inefficacia delle blindature).
I bombardamenti a tappeto (metodo principalmente usato dai
tedeschi e dagli inglesi) andavano a colpire specialmente i centri
storici per minare il morale e provocare rivoluzioni ed insurrezioni del
popolo.
Il nostro governo si stava ponendo il problema della protezione; ma
per quanto riguarda gli altri stati?
Le forze alleate (Inghilterra e USA) si trovano totalmente impreparati
per garantire la protezione dei loro siti; le gravissime distruzioni che le
nuove tecniche potevano infliggere alle città europee cominciarono a
suscitare negli americani il pensiero di iniquità di questi attacchi.
Questo rischio era particolarmente sentito nella popolazione
americana, tanto che nacquero comitati con lo scopo di trovare
strumenti utili per evitare ulteriori disastri. Nacquero due comitati, in Fig. 110 Esempio di blindatura: Sant'Apollinare
modo tale da aiutare l’esercito, e vitare di colpire i luoghi culturali. Nuovo, Ravenna.

Il primo nacque all’interno di una società già esistente l’American Defense – Harvard Group, siamo
all’interno dell’università di Harvard; dunque, si tratta di docenti e studenti.
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L’altro comitato nacque all’interno dell’American Councile of Learning Society. Il primo è noto per
aver redatto le Harvard list, ovvero delle liste divise a livello geografico che andavano ad individuare
le biblioteche e i monumenti negli stati coinvolti nella guerra. Altro prodotto è un manuale sintetico
che può essere considerato come una sorta di pronto soccorso per i monumenti danneggiati. “Il pronto
soccorso è l’immediata e temporanea assistenza in caso di infortunio o malattia
improvvisa prima che possano essere garantiti i servizi di un medico” . L’obiettivo era di
dare informazioni molto semplici a chi era sul campo (militari, non c’erano ingegneri o architetti subito
dopo il disastro).
Il secondo comitato predispose circa 800 mappe, chiamate Frick Maps, a grande scala delle grandi città
coinvolte (144 per quanto riguarda le città italiane) dove erano localizzati i monumenti artistici, censiti in
base all’importanza attraverso alle guide turistiche della Touring Club (più stelline significava che c’era
un edificio importante, questo secondo le guide Baedeker).
Questo programma di protezione è stato sperimentato per la prima volta in Italia; alcune città comunque
venne stabilito che non andavano bombardate per nessun motivo (tipo Venezia); Roma o Firenze non
rientravano in questa categoria (che scemi). L’obiettivo era far sapere agli strateghi militari dove si
trovavano i monumenti in modo da evitare di bombardare dove non strettamente necessario.
NB: gli americani trovano il tempo e la volontà di fare tutto ciò perché la guerra era lontana dalle loro
case. Ovviamente gli inglesi non avrebbero mai pensato al come e perché conservare monumenti tedeschi
per dire.
Gli obiettivi da bombardare erano scelti sulle guide turistiche. Le mappe con i monumenti segnalati, note
col nome di Frick Maps, realizzate nel 1943.
Roosevelt istituisce il 20 agosto del 1943 la Roberts Commission: la commissione americana per la
tutela delle testimonianze culturali e storiche in Europa. Serviva per promuovere un piano per la
protezione e conservazione di monumenti, testimonianze storiche e opere d’arte in Europa e per aiutare il
recupero, la restituzione o il risarcimento al legittimo proprietario dei beni di cui si fossero appropriate le
forze dell’asse (Italia, Germania e Giappone).
Dalla parte inglese ciò che convinse il governo britannico ad aderire al programma di tutela delle opere fu
l’occupazione dell’Inghilterra della cirenaica, dove c'erano un po’ di monumenti classici italiani che erano
coinvolti nelle operazioni belliche. L’occupazione durò poco, infatti, poi tornò in mano al governo
fascista che pubblicò un libretto antibritannico di propaganda dove l’esercito britannico era accusato di
atti vandalici nei siti archeologici e nel museo di Cirene.
Molte delle accuse erano infondate, ovviamente. La pubblicazione del libretto causò sgomento in
Inghilterra, a Churchill stesso viene attribuita la frase stiamo andando a combattere in un museo.
Quindi l’Inghilterra iniziò a chiedersi come affrontare la protezione dei beni culturali nelle zone di guerra.
Nomina una figura, il consigliere archeologico presso il ministero della guerra.
All’interno dell’esercito c'erano sia i soldati che gli affari civili che servono per riattivare nei paesi in
guerra la macchina amministrativa. Il consigliere archeologico affiancava il direttore degli affari civili, ed
era Sir Leonard Woolley, scopritore della città di Ur.
Fu istituito un comitato che doveva collaborare con quelli statunitensi: il Macmillan Committee con il
compito di:
– Operare per la restituzione delle opere d’arte e degli archivi sottratti dal nemico;
– Collaborare con la Roberts Commission;
– Fornire informazioni in materia di restituzioni;
– Indagare in materia di restituzione e offrire consulenza al governo di Sua Maestà;
– Promuovere i metodi di collaborazione migliori per garantire le finalità generali del dopo –
guerra.
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In seguito, il Macmillan committee assieme alla Roberts Commission collaborano per fare cosa? Questa
collaborazione, chiamata sottocommissione alleata per i monumenti, belle arti e archivi
nasce nel 25 ottobre 1943. Gli scopi di questa sottocommissione erano quelli di prevenire per quanto
possibile distruzioni e danni a monumenti storici, edifici, opere d’arte e documenti storici d’Italia;
salvaguardarli e conservarli, e fornire pronto soccorso nelle riparazioni quando necessario; assistere nel
recupero e restituzione ai legittimi proprietari di tutti gli oggetti artistici depredati, rimossi o sottratti in
modo illegittimo.
Questa sottocommissione aveva una struttura piramidale con a capo un direttore, un vice – direttore e poi
una serie di ufficiali alleati che erano stati selezionati in base a vari criteri. Il direttore Ernest T. de Wald
(americano), era un colonnello che era anche un prof di arte e archeologia all’università di Princeton. Il
vice era John Brian Ward Perkins (Inglese) era un archeologo classico che studiava l’archeologia romana,
dopo la guerra diventò direttore della British School di Roma, quindi si militari ma con grande
competenza in campo storico artistico.
Questo ramo dell’esercito alleato chiamato ad operare in Italia, ed aveva un compito molto preciso:
doveva apportare pronto soccorso ai monumenti, eseguire sopralluoghi, verificare lo stato di danno nei
monumenti, supportare le soprintendenze italiane fornendo finanziamenti e materiale da costruzione.
Gli scopi erano non il restauro complessivo ma operazioni di pronto soccorso, riparazioni di tetti,
consolidamenti provvisori, selezione tra le macerie di frammenti decorativi superstiti, messa in sicurezza
degli affreschi e prevenzione di furti e saccheggi che avvenivano molto spesso all’interno di questi
monumenti. Il film Monuments men parla di questo, ma non è corretto chiamarli monuments men, si
chiamavano Monuments officers.
Dopo la guerra l’Italia viene divisa in 14 regioni, in ogni regione c’era un monuments officer, con il
compito di riattivare la macchina amministrativa della tutela. I monuments officer che operavano nelle
zone in cui c’erano ancora combattimenti avevano il compito di prevenire i danni ai monumenti nelle
prime fasi dell’invasione. Le truppe alleate infatti quando entravano in città si insediarono spesso nelle
chiese o musei, in spazi molto grandi, e spesso se ne sbattevano di quello che c’era dentro.
Visti questi precedenti, i monuments officer davano indicazioni su quali fossero gli edifici da non
requisire per importanza storico artistica (collaborarono anche con i nostri soprintendenti). In alcune
regioni, come Toscana, gli ufficiali rimarranno anche più di un anno, hanno lavorato un casino. A Brescia
gli alleati entrano il 27 aprile del 1945.
Molti di quelli che stavano ai piani bassi erano architetti, soprattutto britannici. Uno di loro (Pinsent) ha
lavorato per molti anni in uno studio di architettura fiorentino. Ce lo dice perché la rete di conoscenze
(persone e luoghi) di questi personaggi è stata fondamentale.
Gli esperti americani erano principalmente storici dell’arte; molti di loro prima della guerra avevano
studiato in Italia. Molti di questi monuments officer furono funzionari regionali e quindi ognuno di loro si
occupava di una regione.
L’azione della sottocommissione non fu uguale in tutte le regioni, ci sono tre fasi principali:
– Sperimentazione: tra il luglio 1943 e fine maggio 1944, dopo il bombardamento di
Montecassino 15 febbraio 1944, per ricalibrare le strategie che saranno fondamentali per le
successive operazioni della campagna d’Italia. Già a luglio sbarcano in Sicilia i primi
Monuments officers ma si devono arrangiare perchè non c’è ancora una struttura organizzata.
Principalmente per il momento istruivano i soldati al rispetto dei monumenti, delle opere
d’arte coinvolte nelle operazioni militari, (di solito si utilizzavano opere d’arte come tavoli, i
monumenti potevano essere presi come souvenir). Riscontrarono difficoltà inoltre nell’entrare
nelle città, arrivare in ritardo comportò delle conseguenze.

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Grandi problemi li riscontriamo specialmente in Campania, dove l’esercito alleato entrò in
città all’incirca nel 1943. Tra le chiese danneggiate circa una quarantina erano di grande
importanza artistica. Il soprintendente di Napoli definì la situazione “un’immane rovina a cui
nessuna mano umana poteva mettere riparo”. Il più grande disastro di Napoli capitò alla
chiesa di Santa Chiara: dove l’interno venne totalmente distrutto e calcinato dal calore
dell’incendio che si scatenò a seguito del bombardamento. Le bombe buttate sulle città erano
principalmente incendiarie, perché l'obiettivo era quello di fare più danni possibili agli edifici,
in Germania c’è stato un casino in quanto gli edifici tradizionali erano fatti solo in legno,
stessa cosa accadde anche in Giappone.
Gli ufficiali per i monumenti cosa fecero? Paul Gardner stabilì contatti con le soprintendenze
locali e invitò a stilare una stima dei danni e i fondi necessari per iniziare le operazioni di
pronto soccorso con lo scopo di evitare ulteriori crolli e salvare le opere d’arte mobili. Questo
piano, replicato in tutto il territorio nazionale, prevedeva che la compilazione dei progetti
tecnici e dei preventivi fosse compito delle soprintendenze, gli alleati non si misero a fare
progetti per conto loro, la competenza degli italiani fu considerata di grandissimo profilo in
questo campo.
Gli ufficiali si occuparono di assegnare le risorse finanziarie per questi progetti, così a Napoli
nel 1943, un mese dopo l’arrivo degli alleati cominciarono i primi lavori, avviarono veri e
propri restauri, soprattutto per quanto riguardava la struttura (almeno inizialmente).
– massima operatività (presa di Roma nel giugno 1944 – sfondamento della linea gotica
nell’aprile 1945): fu caratterizzata da una più efficace pianificazione delle operazioni e
finalmente dalla decisione di aggregare alla quinta e ottava armata gli ufficiali per i
monumenti, che seguissero le truppe nell’avanzata ogni volta che veniva liberato un territorio
nuovo. Questa cosa prevenì atti provocati da deliberata devastazione o errori commessi da
decisioni affrettate e dannose a scapito della tutela dei monumenti.
Scegliere una villa storica per acquartieramento magari era ottimo dal punto di vista logistico,
ma non aveva gli stessi effetti positivi sulla conservazione. In questa seconda fase la
commissione operò a pieno regime e con la disponibilità maggiore di ufficiali, con una più
stretta collaborazione con soprintendenti italiani.
Il Lazio fu la prima regione a poter beneficiare di questo approccio più efficace; bombardare la
capitale poneva negli alleati diversi problemi, oltre che giuridici anche morali perchè ok che è
la capitale della potenza nemica però c’era anche il Papa. Il 19 luglio del 1943 ci fu il primo
attacco aereo della storia a Roma dove venne distrutta la basilica di S. Lorenzo e vennero
danneggiati monumenti minori nei dintorni. Le operazioni di ripristino della basilica di San
Lorenzo furono avviate subito, eseguite dal governo italiano secondo i termini prestabiliti e
approvati dalla commissione alleata di controllo insediata nella capitale.
Nell’agosto 1944 le colonne ioniche della facciata erano già in piedi, l’interno era puntellato e
il tetto in corso di ricostruzione, gli apparati decorativi protetti, insomma si stavano facendo
tutti gli sforzi possibili per completare il restauro. Per questo intervento di restauro la
sottocommissione si impegnò molto; era l’unico cantiere avviato a Roma ma c’era comunque
un forte interesse a riparare il danno.
– smobilitazione (sfondamento della linea gotica 25 aprile 1945 - chiusura definitiva degli uffici
della sottocommisione alleata gennaio 1946): interessò un’ampia fascia dell’Italia
settentrionale, area molto martoriata dai bombardamenti, infatti nel nord Italia la guerra durò
un anno in più (Repubblica di Salò).

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Tra la fine di aprile ed i primi di maggio, quando gli ufficiali per i monumenti arrivano in nord
Italia, il lavoro di messa in sicurezza era già stata realizzata dalle soprintendenze italiane (I
monuments officers lavoreranno anche in Giappone).
I pochi rimasti dopo la fine della guerra in Italia vennero assegnati all’Austria. Furono
riorganizzati gli uffici di soprintendenza, per esempio il Lombardia (attualmente ce ne sono 3,
Milano, Brescia e Mantova). Negli anni 40 vi era un’unica sede a Milano e aveva giurisdizione
su tutta la regione; tuttavia, aveva talmente tanto da fare solo per sistemare Milano che venne
istituito apposta l’ufficio lavori di Brescia con l’architetto bresciano Guido Marrangoni a guida
dell’ufficio che seguì i più grandi cantieri di ricostruzione della Leonessa d’Italia.
Altro lavoro fu il ruolo nel finanziamento fornito dagli alleati
ESEMPIO: Il caso di Padova; città molto
danneggiata nel suo centro storico proprio grazie
alla sua struttura tradizionale costruttiva, subì̀ molte
incursioni aeree che fecero molto casino, ben 40
bombardamenti con danni inestimabili. Una delle
tragedie artistiche più gravi fu la distruzione della
chiesa degli Eremitani, colpita l'11 marzo 1944:
distruzione della parte superiore della facciata e zona
absidale, molte le cappelle affrescate con capolavori
di Mantegna crollarono. Gli angloamericani si
giustificano dicendo che era un obiettivo strategico e
basta. Nei documenti dicono che nonostante la
distruzione della chiesa gli altri monumenti nelle Fig. 111 Chiesa degli Eremitani - Padova, raddrizzamento dei muri fatto a
vicinanze non subirono danni. Poco distante, infatti, tratti, di un'altezza di 14,90 mt. e della lunghezza di 7 mt. circa e del peso di
circa 110 tonnellate.
c’era la cappella degli Scrovegni che subì lesioni murarie in seguito alle vibrazioni provocate dai
bombardamenti. Comunque nulla di paragonabile a quello che era capitato alla Chiesa degli Eremitani.
Conclusa la campagna d’Italia la sottocommissione operò in altri paesi europei (anche in Giappone) i
quali, dall’esperienza ed errori fatti in Italia, trassero insegnamento.
L’azione della sottocommissione non fu incisiva nel prevenire i danni causati dai bombardamenti, perché
questi seguivano le logiche militari. Le mappe e quelle robe non servirono. La loro attività permise però
di non aggravare la presenza dell'esercito nel territorio, prevenì i furti ed atti di vandalismo.
Altra utilità fu il recupero e la restituzione delle opere d’arte mobile sottratte in modo illegittimo ai
rispettivi proprietari.
Altra azione efficace della sottocommissione alleata fu quella di riattivare la macchina amministrativa
della tutela italiana, fondamentale per l'erogazione degli aiuti economici per la conservazione.
Finita la guerra però tocca all’Italia occuparsi della ricostruzione di tutto, non solo dei monumenti, ma
tutte quelle opere che sono andate perdute e devastate (ad esempio: interi quartieri).

Gli interventi sui monumenti italiani nella ricostruzione post –


bellica (1945 – 1960)
L’estensione dei danni provocati dal conflitto nelle città italiane mise il mondo del restauro di fronte a
problemi di un’entità mai affrontata fino a quel momento, mettendo in crisi le posizioni teoriche e
metodologiche acquisite dalla disciplina, portando a una riflessione profonda rispetto agli assunti e ai
metodi di intervento sugli edifici da restaurare ormai consolidati.

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La fase successiva alla guerra, nonostante l’azione preventiva, le distruzioni erano senza precedenti. Il
problema principale era come ricostruire le città e ridare un tetto sopra la testa ai cittadini; ovviamente in
questo contesto le tesi date dai teorici si dimostrano inadeguate.
La carta di Atene del 1931, per esempio, diceva di non ricreare da zero per evitare i falsi storici e quindi
non avrebbe consentito nessuna ricostruzione.
Nel 1943 va segnalato un articolo di Roberto Pane (professore di restauro architettonico all’università di
Napoli), era uno dei massimi esponenti della cultura del restauro insieme a Giovannoni.
Dicevamo che pubblica un articolo, “Il restauro dei monumenti” che introduce un modo diverso di
intendere il restauro rispetto al Giovannoni e alle tesi Boitiane.
Pane afferma che il restauro non si può circoscrivere all'intervento filologico, l'obiettivo del restauro
diventa la restituzione dell’integrità dell'opera d’arte, non nel senso fisico ma integrità intesa come
integrità che consenta la lettura critica dei suoi valori. Il giudizio storico critico deve essere il fondamento
dell'azione di restauro; si vuole, infatti, individuare una gerarchia di valori da restituire ai fruitori dando
così una percezione che l’opera d’arte riviva. Il restauro filologico non deve distruggere la percezione
figurativa dell’opera.
Ci fu un dibattito nell'Italia post – bellica su come ricostruire le città distrutte: esso riguardava come
applicare la carta del restauro in caso di danni bellici. Nella maggior parte dei casi l’entità dei danni era
tale da non consentire la riparazione.
Nel 1945 si apre il dibattito, una rivista fiorentina Il Ponte, esce con un articolo intitolato “Come
ricostruire Firenze demolita”, firmato da Bernard Berenson, storico estero che viveva in una villa
in Toscana. La rivista avrà ruolo fondamentale nella cultura italiana del dopoguerra in opposizione ai
governi che si susseguiranno.
Nell’articolo, Berenson espone una tesi molto semplice cogliendo lo spirito della popolazione fiorentina;
non c’erano particolari monumenti ma si teneva particolarmente al quartiere vicino ai ponti distrutti.
Nell’area si verificarono anche molte vicende letterarie in passato, il che contribuì a renderla importante e
di interesse. Firenze fu rovinata non tanto dai bombardamenti ma dai tedeschi che minavano tutti i ponti
lungo l’Arno tranne Ponte Vecchio (su diretto ordine di Hitler) mentre rientravano in Germania.
La tesi di Berenson: afferma che nessuno aveva diritto di cancellare dalla memoria della città l'immagine
di questa cultura, bisognava ricostruire tutto come era e dove era, basandosi sui dipinti raffiguranti delle
città ecc...
Afferma che abbiamo documenti che ci consentono di ricostruire la fisionomia della città distrutta; dice
comunque che gli interni avrebbero potuto essere ammodernati, tuttavia senza compromettere l’immagine
urbana. A Berenson risponde, nel secondo numero della rivista, Ranuccio Bianchi Bandinelli, un
archeologo professionista, molto attento alla salvaguardia dei lavori minori.
Ranuccio era inoltre un intellettuale Marxista che aveva un particolare interesse per le testimonianze delle
classi sociali che non erano protagoniste nella storia. Per lui lo scavo archeologico non doveva essere
inteso solo come recupero delle testimonianze tecnico urbanistiche ma anche come recupero delle
testimonianze della cultura.
Il suo atteggiamento è quello di una rivendicazione del diritto della cultura moderna di dare un proprio
disegno di Firenze.
Secondo Ranuccio costruire un’immagine della città che non corrisponda al dato materiale significa fare
un falso storico, di idee completamente opposte a Berenson; bisogna conservare gelosamente i pochi
pezzi rimasti e farne documento – testimonianza.
Cesare Brandi metterà in discussione l’affiancare l'architettura antica con la moderna nell’urbanistica.
Anche Pane tra il 1945 e 1946 partecipa al dibattito sulle modalità di ricostruzione dei centri storici,
sottolineando la necessità di procedere caso per caso, distinguendo tra la ricostruzione dei monumenti
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(ammettendo per loro il “come era dove era”) e quella dei tessuti minori (quartieri d’oltre Arno, non
accettando il come era dove era).
Riprendendo la distinzione di Croce tra espressioni poetiche (monumenti) e letterarie (edifici storici
minori), Pane ritiene inaccettabile per i tessuti minori una ricostruzione in accordo col passato; propone
piuttosto interventi in cui l’architettura si armonizzi con la vita, con le mutate esigenze della
contemporaneità.
La ricostruzione dei tessuti minori deve essere condizionata sì dalle proporzioni, ma il linguaggio
dell’architettura può essere moderno.
Il restauro come disciplina parteciperà poco al dibattito sulla ricostruzione; tuttavia, si apriranno
tematiche che confluiranno nella carta del restauro di Venezia del 1964.
Nella situazione post – bellica prevale un atteggiamento pragmatico ispirato principalmente al
Giovannoni dove la ricostruzione è ambientata per i tessuti storici. Per esempio, i cantieri di Santa Maria
dei Miracoli e della Chiesetta di San Marco a Brescia
In quei due casi bresciani, sono stati abbattuti alcuni edifici adiacenti per creare scorci suggestivi, questo
ambientalismo è un tipo di intervento molto comune nel dopoguerra. Viene attuato il “come era dove era”
nel caso della cupola del Duomo nuovo, l’intervento di ricostruzione dell’ossatura lignea sovrapposta alla
cupola muraria completamente distrutta da un incendio nel 1944, fu realizzato con una struttura non più in
muratura ma in cemento armato, si tiene uguale solo la copertura esterna, garantendo così il ripristino
dell’immagine originaria del monumento.
Si vuole cancellare qualsiasi traccia della guerra che è stata un evento decisamente traumatico. Importante
a livello morale per la comunità è la ricostruzione dei simboli in cui si riconosce; è un modo molto
comune di affrontare situazioni così.
Torna all’ordine del giorno il tema del ripristino integrale che era stato bandito dalle carte del restauro;
la situazione è troppo grave per stare dietro alle altre linee di pensiero.
Spesso si tende ad attribuire al danno bellico un’accezione positiva, nel suo disvelare una configurazione
dell’edificio presunta originaria o comunque più antica che favorisce interventi di ripristino teso a
recuperare criticamente l’aspetto più antico o la veste compiuta, a scapito delle stratificazioni successive
(per lo più barocche).
L’aspetto positivo è l’aver riportato in luce una configurazione degli edifici danneggiati più antica, infatti
in molti casi erano stati addossati edifici o corpi estranei.
Tipo la Chiesa di Santa Chiara a Napoli era arrivata con un tripudio di decorazioni barocche seppur di
epoca angioina (1300), l’intervento di restauro in questo caso ha lo scopo di rimettere in luce gli aspetti
più antichi. Lo si vuole vedere come una liberazione ed un ripristino.

Fig. 112 Chiesa di Santa Chiara - Napoli, costruita con forme gotico - angioine nel XIV secolo e arricchita nel '700 da decorazioni barocche, nell'agosto 1943, colpita
dalle bombe, fu devastata da un incendio che distrusse gli interni barocchi rivelandone le imponenti strutture gotico – angioine.

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Giovannoni come si pone in questo dibattito post – bellico? Riferendosi al problema della ricostruzione,
sostiene che tutto quello che aveva espresso nella sua teoria era stato ora messo in crisi, l’entità delle
devastazioni impossibilitava l’applicazione dei suoi principi. Era un’emergenza.
Tutta la questione del restauro era da affrontare come un’emergenza, egli stesso dice che dove non fosse
stato possibile applicare la carta del restauro si sarebbero seguiti altri principi.
Il valore sentimentale talvolta può giustificare il ripristino: il rifacimento costituisce comunque un falso
perché i valori storico artistici del monumento sono perduti per sempre, ma il rifacimento è lecito nella
misura in cui salvaguarda la memoria di ciò che è andato perduto. Dice poi che in tanti casi per la
mancanza di documentazione bisognerà ricorrere alla fantasia e all’imitazione stilistica; “l’architettura
non ha solo un valore storico e artistico, ma anche un valore simbolico, sentimentale, che talvolta può
giustificare il ripristino di ciò che è perduto. Spesso, per mancanza di adeguata documentazione,
bisognerà ricorrere al sussidio della fantasia e all’imitazione stilistica poiche: sarà meglio un restauro
scientificamente imperfetto, che rappresenti una scheda perduta nella Storia dell’Architettura, che la
rinunzia completa, la quale priverebbe le nostre città del loro aspetto caratteristico nei più significativi
monumenti d’arte”.
Il neodirettore generale delle belle arti Guglielmo De Angelis d’Ossat (direttore generale delle antichità
delle belle arti) suddivide i monumenti danneggiati in tre categorie e propone alcuni metodi di intervento:
1. Monumenti che hanno subito solo danni di limitata entità (dissesto dei tetti, danni da proiettili di
artiglieria, schegge o mitragliamento)  si devono risarcire i danni applicando i metodi definiti
dalle carte del restauro;
2. Monumenti con danni di maggiore entità (tetti scoperchiati, squarci o demolizioni parziali
provocate da bombe di media potenza o da incendi)  il monumento può essere lasciato allo stato
di rudere, oppure può essere completato, in base alla funzione che ha quest’ultimo;
3. Edifici completamente distrutti  anziché lasciare ruderi propone il ripristino nelle forme
precedenti oppure quando dell’aspetto precedente si hanno pochi elementi, l’intervento si può
configurare come l’aspetto più antico o originario (tipo santa Chiara).
Se ho edifici costruiti in pietra da taglio si può ricomporre con la tecnica dell’anastilosi, cioè usare
gli stessi conci e riposizionare. Il Ponte di santa Trinità di Firenze è stato rifatto così. Non si può applicare
l’anastilosi per edifici fatti con tecniche diverse.
Altro aspetto significativo è il fatto che i danni bellici rappresentano un’occasione per sperimentare nuove
tecniche e nuovi materiali; possiamo fare riferimento agli interventi fatti in Veneto da Ferdinando
Forlati, un ingegnere – architetto nel ruolo di soprintendente. Ribadisce nei suoi scritti che il restauro
degli edifici danneggiati deve essere fatto non rinunciando al rigore metodologico valendosi di tutti quegli
accorgimenti che la tecnica moderna è in grado di offrire in termini di consolidamento delle strutture
(cemento armato, incatenamenti metallici, iniezioni cementizie, tecnica di raddrizzamento per rinsaldare
le antiche murature fortemente strapiombanti.
Forlati nei suoi saggi scrive molto anche sui cantieri di restauro, le sue scelte progettuali e innovazioni
tecnologiche che utilizza, si dimostra pienamente aggiornato sulle questioni di dibattito del restauro del
momento (è perplesso circa le dichiarazioni di Berenson). Analizza nel dettaglio il caso specifico delle
città del nord Italia che scamparono a distruzioni sistematiche ed irreparabili.
La questione per Forlani non è più rifare, ma restaurare, anche se è una pratica rischiosa. Anche
l’intervento deve essere fatto non rinunciando al massimo rigore metodologico e facendo riferimento alle
innovative tecniche, come cemento armato ecc….
Poté spesso contare su documentazione grafica e fotografica, fatta fare da lui prima della guerra per
documentare tutto, anche gli edifici minori; un esempio è il caso di Treviso. Come capitò altrove, nel
Veneto orientale la soprintendenza guidata da Forlati, si impegnò con le operazioni di messa in sicurezza
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delle opere, lavorando a stretto contatto con i monuments officer rimasti. L'esempio più noto è il Palazzo
dei Trecento a Treviso, esso fu colpito da una grossa bomba, fu scoperchiato in gran parte e demolito
un po’ ovunque. Forlati scongiurò la demolizione totale programmata dai tedeschi utilizzando speroni di
sostegno di oltre 1m; il tutto viene descritto da Forlati come un'ardita opera di chirurgia monumentale che
ha destato la meraviglia degli ambienti tecnici culturali da ogni parte del mondo.
Altro punto fermo dei suoi interventi fu il rigore con cui cercò di non allontanarsi mai dai metodi delle
carte del restauro quando si trattava di fare aggiunte: queste prescrivevano che le aggiunte dovevano
essere più semplici possibili usando materiali moderni evitando la confusione con il materiale originale.
Gli elementi lapidei nuovi vengono differenziati attraverso una lavorazione (con delle striature) ed
incidendo la data.
Esempio: La chiesa degli Eremitani a Padova: questo cantiere è una applicazione di questi criteri.
Prima applicazione della tecnica di Forlati di messa a piombo delle murature evitando la ricostruzione
delle murature stesse. La chiesa colpita durante l’attacco aereo del marzo 1944, ne abbiamo parlato
prima.
Subito dopo il bombardamento lui va sul campo a raccogliere i pezzi, soprattutto quelli degli affreschi
del Mantegna.
Iniziò subito il cantiere di ricomposizione partendo dall’abside per proteggere dalle intemperie le
decorazioni sopravvissute; poi si va a raddrizzare le murature strapiombante. Il metodo era una novità:
descritto in un saggio di Forlati, prevedeva la messa in sicurezza preventiva dei setti murari da
raddrizzare attraverso il loro imbragamento con incastellatura lignea con travi a traliccio e poi la
predisposizione di tiranti in ferro con manicotti.
Liberate le pareti da ogni vincolo i manicotti venivano girati con continuità facendo tornare a piombo i
setti murari. Il metodo era supportato da iniezioni cementizie nella muratura e consentì il rifacimento del
tetto.
Va sottolineato il rispetto degli assunti teorici e metodologici acquisiti dalla cultura del restauro prima
della guerra furono sempre l’obiettivo dei suoi cantiere.

I monumenti bresciani e la Seconda guerra mondiale lezione dopo


il 06/05/2022
verso il 3196 si inizia a chiedere alla Soprintendenza su possibili località sicure in cui trasferire i
monumenti (ad esempio: nella Fondazione Ugo da Como di Lonato vengono portati i principali
documenti della biblioteca Queriniana, meno male perché la Queriniana fu bombardata in pieno durante
la Seconda guerra mondiale con una perdita devastante di oltre 40.000 volumi, fortunatamente quelli più
importanti erano stati portate alla Fondazione Ugo da Como).
Come abbiamo visto altrove si procedette con la blindatura dei monumenti considerati di carattere
eccezionale. Come? Ad esempio, con le incastellature lignee con la sabbia, in genere sacchi, o con la
realizzazione di murature protettive.
Si è trovato un documento dell’archivio di Stato l'elenco con i l’elenco monumenti a cui fu dipinto sul
tetto una serie di simboli. Questi rettangoli, suddivisi in due triangoli uno bianco e uno nero e riquadrato
di giallo rappresentava il simbolo dei monumenti; quindi, visibile dai bombardieri con l'indicazione
appunto che quelli erano non dovevano essere obiettivi militari ma erano monumenti e quindi protetti.
Oltre a questi simboli c'erano anche i simboli della Croce Rossa che avevano lo stesso obiettivo e
venivano dipinti sui tetti degli ospedali, degli orfanotrofi ecc….

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Le blindature hanno interessato delle minime porzioni degli edifici come ad esempio: la facciata della
chiesa dei miracoli, il consolidamento delle arcate del palazzo della Loggia, i sarcofagi all'interno del
Duomo vecchio e dell'ex chiesa di San Salvatore….
La chiesa di Santa Maria dei miracoli, per l’esattezza il pronao della Chiesa di Santa Maria dei miracoli
era stato protetto durante la Prima guerra mondiale.
Sulla mappa vi sono i 13 momenti considerati di importanza eccezionale, significava che il pianificatore
dei bombardamenti quando lanciava le bombe su Brescia doveva prestare attenzione a quei punti sulla
mappa. Nel corso della campagna d'Italia fu realizzato un altro strumento con le liste dei monumenti
protetti (un'evoluzione dell’Harvard list e delle frick Maps).
Keller è l'ufficiale per i monumenti che per primo mette piede a Brescia il 1° maggio del 1945 quindi
pochi giorni dopo il 25 Aprile arriva con la quinta armata a Brescia (gli alleati entrano il 27 di Aprile);
quindi pochissimi giorni dopo arriva Keller e inizia a verificare senza soprintendente con Ugo Baroncelli
(che sarebbe poi diventato direttore della biblioteca Queriniana) funzionario della biblioteca; si è
occupato della protezione preventiva documenti.
In Lombardia, Brescia fu seconda solo a Milano in quanto a danni; le incursioni sono iniziate nel febbraio
1944, terminarono nell’aprile 1945. Le 4 incursioni più devastanti, che interessarono il centro storico
della città, furono:
– 13 luglio 1944;
– 24 febbraio 1945;
– 2 marzo 1945;
– 4 – 6 aprile 1945.
Dopo ogni bombardamento furono messe in atto le operazioni più urgenti di sgombero e di messa in
sicurezza. Questi interventi urgenti si limitarono a queste operazioni, nessuno pensava ad iniziare una
operazione di restauro vero e proprio.
Dopo la liberazione del 27 aprile del 1945, finalmente la soprintendenza poté iniziare le operazioni di
salvataggio delle opere d’arte e dei monumenti fino ad avviare gli interventi veri e propri di restauro.
In Lombardia in quegli anni esisteva un’unica soprintendenza regionale con giurisdizione su tutte le città
lombarde escluse Mantova e Cremona, sotto giurisdizione della soprintendenza di Verona.
La soprintendenza di Milano si concentra soprattutto sulla ricostruzione di Milano, e perciò questa
istituisce a Brescia un ufficio distaccato, ufficio lavori di Brescia, diretto da Guido Marangoni
(architetto Bresciano) al quale viene affiancato Piero Gazzola, soprintendente di Verona, architetto,
protagonista della ricostruzione monumentale in Italia. Il compito dell’ufficio è di seguire la
progettazione e direzione lavori degli interventi di restauro finanziati dallo stato degli edifici bresciani di
maggiore pregio.
Nell’ambito dell’attività di questo ufficio, l’architetto Marangoni segue i più importanti cantieri bresciani,
da santa Maria dei Miracoli (progetto di Gazzola) al restauro del Broletto. L’architetto Marangoni
conduce altri cantieri impegnativi adottando alcune soluzioni tecniche moderne come il consolidamento
nella chiesa di sant’Afra o nella la chiesa dei Miracoli. Altro esempio di intervento eseguito fu quello
della chiesa di san Francesco, la costruzione della cupola del Duomo Nuovo.
L’ostacolo principale alla ricostruzione di questi monumenti danneggiati fu quello economico, i
finanziamenti pubblici erano cronicamente insufficienti a consentire l’avvio e prosecuzione di centinaia e
centinaia di cantieri nel bel paese. Altro problema che rallenta l’avvio dei cantieri erano gli altissimi costi
dei materiali da costruzione, le maestranze erano pagate super in ritardo, un caso eccellente fu quello del
ripristino della copertura del Duomo Nuovo.
Il nostro rettorato era la sede del partito fascista, quindi, era obiettivo strategico; è stato ovviamente
ricostruito e attualmente si trova l'ufficio del rettore. La chiesa di Santa Maria dei miracoli con la bella
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blindatura del pronao, infatti, il trono è intatto, però la Chiesa è totalmente squarciata (edificio con più
stelline di Brescia).
La chiesa di sant’Afra in questa posizione c'è la piazzetta moretto con la Pinacoteca Martinengo, adesso
la scala esterna non esiste più, però non era stata demolita, ma fu demolita dopo perché impediva
un'occasione per allargare la strada dopo nell'intervento postbellico. La cripta di sant’Afra, avevano
trovato rifugio durante il bombardamento il parroco e una decina di fedeli che rimasero sotto le macerie.
La chiesa di San Francesco fu colpita e si vede la parte sommitale del campanile e macerie all'interno.
I cantieri di edifici monumentali più gravemente danneggiati e i cantieri di restauro monumentale
complessi avviati a Brescia dopo la guerra:
1. Duomo nuovo;
2. Broletto;
3. Chiesa di San Marco;
4. Palazzo Averoldi;
5. Chiesa Sant’Afra;
6. Chiesa di Santa Maria dei Miracoli;
7. Chiesa di San Francesco (vicina alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli);
8. Palazzo Salvadego;
9. Palazzo Calzavellia.
1) Duomo nuovo  durante l’incursione del 13 luglio 1944, alcune bombe di grosso calibro provocarono
uno squarcio della cupola del duomo e danni minori nei cornicioni e paramenti lapidei dell’edificio. Il
danno maggiore venne arrecato dall’incendio dell’ossatura lignea sovrapposta alla cupola muraria, che
sosteneva un rivestimento in rame, anch’esso chiaramente distrutto. La sua importanza come principale
edificio di culto fece concentrare tutte le attenzioni su di esso, concentrando i finanziamenti che
arrivarono dall’esercito alleato e dal Vaticano (pontificia commissione per l’arte sacra), quest’ultimo si
adoperò moltissimo per la messa in sicurezza e restauro degli edifici di proprietà ecclesiastica in Italia.
Iniziarono i cantieri nel 1948 anche a causa delle gare di appalto molto lente; il progetto venne realizzato
dall'ufficio tecnico comunale proprietario degli immobili, e poi autorizzato dalla soprintendenza.
Prevedeva di ripristinare una cupola per forme e dimensioni esattamente identica alla preesistente;
tuttavia, l'ossatura di sostegno doveva essere realizzato con cemento e laterizio armato, non più in legno
come l’originale. La cupola originaria era stata ultimata nel 1825 dal Cagnola, rivestita da embrici in
lamiera di rame adagiati su una superficie continua fatta da larice disposte secondo i meridiani e
distanziati di un metro l’uno dall’altra. L’ufficio tecnico ricostruì lo schema costruttivo avvalendosi di
rilievi sul posto delle parti superstiti, con vari sopralluoghi e un minuzioso lavoro di ingrandimento in
scala di fotografie della cupola prima del bombardamento, ma soprattutto ispezionando la struttura della
cupola della chiesa di Santa Maria della Pace, che era molto simile. (La cupola del Duomo Nuovo di
Brescia è la terza più grande d’Italia). La scelta di non ripristinare l’orditura in legno fu interessante, fu
scelto di usare laterizio e cemento armato perché al contrario del legno non era facilmente infiammabile
(stronzata), scarsità del momento di questo materiale e di una limitata durata, con la difficoltà di fare
manutenzione e poco economica. Fu scartata l’ipotesi di ricostruire la struttura metallica perché era
facilmente deteriorabile con le infiltrazioni di acqua ed era poco economica. Si optò per una struttura con
serie di travi di cemento disposte anche queste secondo i meridiani collegate ortogonalmente ad una
seconda serie di travi disposte secondo i paralleli.
Sull’estradosso della cupola vera e propria in muratura (sopra le travi vennero posati gli elementi di
laterizio) furono adagiate lastre di rame a ricostituire il rivestimento esterno della cupola che seguiva
perfettamente il profilo fortemente aggettante dei costoloni che dividevano la cupola in otto spicchi. Oggi
vediamo che la sua forma esterna è esattamente uguale a come si presentava prima del bombardamento.
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Si trattò di un ripristino tale e quale della cupola, ma non della struttura in quanto si utilizzarono materiali
diversi, legandosi al concetto di «dove era, come era», ma solo esternamente per l’immagine. Al cantiere
fu dato molto spazio sulla stampa locale; sul Giornale di Brescia (nato nel 1945, dopo la liberazione)
degli anni ‘40 vennero pubblicati numerosi articoli di cronaca di questa ricostruzione. Entro dicembre fu
allestito il ponteggio che doveva raggiungere la parte più alta della cupola: 70 metri da terra. I lavori veri
e propri iniziarono comunque nella primavera del ‘49, furono fatti anche lavori su intonaci, cornicioni e
statue.
La prima cosa che viene distrutta in un bombardamento poi sono le finestre, quindi hanno rimesso anche i
vetri. I ponteggi furono smontati un anno dopo il loro montaggio; il Duomo venne restituito alla fruizione
cinque anni dopo la guerra in occasione della Santa Pasqua.
2) Broletto  il Broletto fu colpito dall’incursione del 13 luglio 1944. Tutta l’ala Malatestiana venne
sventrata, il cavalcavia su via musei venne parzialmente demolito, nel quale era ospitato un ciclo pittorico
di Lattanzio Gambara. Altri danni si concentrarono sul lato piazza Martiri di Belfiore, l’entità dei danni fu
parecchio grave.
Per quanto riguarda le modalità del progetto di restauro del Broletto, in città si fece un dibattito molto
acceso (come e se ricostruirlo). Da un lato questi danni rappresentavano un'occasione di modernizzazione
della città che avrebbe potuto portare alla realizzazione di un edificio nuovo in sostituzione del Broletto.
I progettisti furono Marangoni e Gazzola, il progetto arrivò dopo la bocciatura della soprintendenza di un
primo progetto del ‘45 fatto da un ing. bresciano Egidio Dabbeni (Marchina).
Il primo problema che affrontano Marangoni e Gazzola fu quello della viabilità, si decise di non
ricostruire la campata crollata del cavalcavia perché secondo loro quella strada aveva bisogno di avere
molto più respiro. Altra questione fu quella relativa alla decisione di ricostruire o meno la palazzina
addossata al muraglione nord che era solo in parte danneggiata, si decise di demolirla totalmente. La
quarta campata del portico Malatestiano era occlusa dalla palazzina, demolendola si poté ripristinare.
La scelta di non ricostruire le bifore in stile era del Guido e del Piero; decisero di realizzare due anonime
aperture rettangolari, questa decisione diede vita ad una polemica da parte dei proprietari. Il Guido e il
Piero si giustificarono con la volontà di non trarre in inganno i non esperti. Noi oggi guardando queste
due finestre non saremo mai in grado di scambiarle per finestre antiche. Insomma, il progetto di restauro
del Broletto è un eclettismo di scelte diverse sul ripristinare, ricostruire e demolire.
Il dibattito sul restauro in corso in quegli anni emerge anche da questo, non si sapeva bene quale via
prendere, a maggior ragione in situazioni singolari come questa. In più di un caso la ricostruzione di
questi monumenti fu il pretesto di apportare modifiche e rinnovamenti, con la scusa della riscoperta di
parte di edificio più antiche portate alla luce con i crolli.
3) Chiesa di San Marco  il crollo della volta a botte fece affiorare affreschi del XIV e XVI secolo, da
qui il ripristino dell'immagine romanica. Alla chiesetta era addossato un edificio che fu demolito per
realizzare la piazzetta degli aperitivi alla Torre d’Ercole, per aprire degli scorci ed avere una maggiore
visibilità dei monumenti.
6) Chiesa di Santa Maria dei Miracoli  tragedia artistica di Brescia durante la Seconda guerra
mondiale, insieme a palazzo Salvadego. Dalle immagini prima della guerra, vediamo che gli interni erano
un tripudio di decorazioni, la chiesa in sé è considerata il gioiello del rinascimento bresciano soprattutto
per la facciata e in particolare il proteo, con i suoi marmi, capolavoro di scultura. Santuario a pianta
centrale che fu realizzato per volere del comune di Brescia, tutt’ora proprietario, in cui si trovava un
affresco ritenuto miracoloso. Ha uno schema simile a molte chiese veneziane, quattro cupole sui bracci,
due grandi cupole e due più piccole, e un asside semi ottagonale. Dalla fine del 400 a meta del 700 come
cantiere, subirà un restauro Luigi Arcioni. Uno dei pochi monumenti bresciani protetto in entrambe le
guerre mondiali, in particolare il proteo, quando il 2/3 marzo del 1945 ci fu il bombardamento di essa.
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Dopo i bombardamenti la protezione in facciata tenne, ma la cupola (quale?) crollò insieme alla copertura
che cedette. L’edificio addossato alla chiesa, casa del sagrestano, si trovò in una situazione critica, ma
senza subire danni, in cui si pensò di non avere soluzione per la ricostruzione della chiesa e che l’unica
soluzione poteva essere la demolizione. Nel 1945 l’ufficio tecnico comunale di Brescia decise di mettere
in sicurezza la chiesa con il puntellamento delle parti pericolanti, il recupero dei frammenti delle
decorazioni e materiali edili riutilizzabili, lo sgombero delle macerie. Le parti pericolanti che
minacciavano di cadere vennero demolite. Il comune si occupò del progetto e nell’ottobre 1945 steserò
una relazione che spiegava per punti le intenzioni con l’obiettivo di ripristinare la chiesa nel suo primitivo
classico equilibrio, cioè ripristinarla nelle forme rinascimentali, demolendo il tiburio settecentesco e di
non recuperare tutti gli stucchi e le decorazioni barocche. Rimettendo in sede gli elementi lapidei che
erano decorazioni rinascimentali. Una delle prime cose da fare era di ripristinare la facciata, non crollata,
ma comunque “provata” per cui necessitava di un controllo soprattutto sui due lati, in secondo luogo, le
altre operazioni riguardavano la ricostruzione degli altri elementi architettonici, tra cui volte, archi e
copertura. La Soprintendenza dovrebbe sorvegliare i lavori, ma in realtà fino agli anni ’70 non esisteva la
soprintenda di Brescia, ma solo regionale a Milano, dove c’era una situazione altrettanto grave. La
situazione della soprintendenza vede la non presenza di un soprintendente; quindi, venne nominato un
soprintendente storico dell’arte, senza competenze tecniche, per cui venne affiancato da un commissario
Giovanni Rocco, architetto, senza funzionari in grado di occuparsi di un progetto di restauro così difficile
e Brescia da Milano non era raggiungibile in quel momento storico. La situazione si sbloccò quando nel
marzo 1946 Guglielmo Pacchioni viene nominato reggente ai monumenti chiamando a suo fianco un
consigliere tecnico Piero Gazzola, personaggio importante sul dibattito sul restauro del dopoguerra, già
stato funzionario alla soprintendenza di Milano e in seguito a Verona. Si decise di istituire a Brescia un
distaccamento della soprintendenza di Milano, Ufficio lavori di Brescia Guido Marangoni, sotto Piero
Gazzola, occupandosi dei principali cantieri della nostra città. Gazzola scrisse una perizia dove elencò le
opere urgenti da sistemare, in quanto dal marzo 1945 si stanno degradando ancora di più: il suo progetto
prevedeva la demolizione delle cupole pericolanti e ricostruzione di quest’ultime, la costruzione di muri e
pilastri per reggere la copertura provvisoria in cemento armato. Nel 1947 iniziò la prima fase del restauro
occupandosi dell’ossatura portante della chiesa, per cui del consolidamento dell’edificio, mantenendo il
tiburio ottocentesco andando contro la decisione del comune di Brescia, considerata una nota moderna di
come voleva mantenere tutte le trasformazioni della chiesa e dell’utilizzo del cemento armato. Alcuni
muri vennero ricostruiti in muratura, in altri casi si utilizza malta cementizia e il cemento armato, con cui
realizzo le fondazioni e il cordolo lungo tutto il perimetro per legare le murature per gettare le volte
superiori. Per quanto riguarda le decorazioni, non si occupò di esse mettendole a posto, consolidando le
decorazioni “appese” iniettando malte cementizie per consolidarle, con l’idea di ripristinare quella parte
di decorazione lapidea (‘400, quelle del ‘700 in stucco) rinascimentale. Tutto questo progetto in realtà
avrebbe comportato una spesa molto ingente, 45 milioni di lire, mandato al ministero per l’approvazione,
ma Gazzola sottolineò che la cifra era quella, ma con la possibilità di dividere i lavori in diversi anni,
chiedendo quindi 3/5 milioni peer ogni step del restauro. Nel 1953 terminarono solo i lavori di
ricostruzione architettonica lasciando la chiesa completamente spoglia all’interno, giusto con qualche
decorazione qua e là “superstite”. La seconda fase del restauro iniziò nel 1953 e finì nel 1964, se ne
occupò Lionello Costanza Fattori (diventando soprintendente di Brescia successivamente), affrontò in
modo diverso il restauro rispetto a Piero Gazzola, trovandosi con gli interni della chiesa completamente
spogli. Ripristinò le decorazioni barocche nelle parti geometriche replicabili facilmente, creando la scia
del gusto rinascimentale di qualche nuovo motivo. Riportò tutti i dipinti sopravvissuti e messi al sicuro
nei depositi durante la guerra, ricollocati al loro posto. Fu riaperta al pubblico negli anni ’60. Un altro
aspetto importante di questo intervento fu quello di carattere urbanistico, in continuità con la facciata
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della chiesa, c’era la casa del rettore, danneggiata ma perfettamente in piedi. Nel piano regolatore di
Brescia (Piacentini) prevedeva l’arretramento della casa del rettore «agli effetti della valorizzazione del
monumento e del miglior imbocco di Vicolo Stelle», (nel piano del 1947 si utilizzò questa regola). Fu
realizzato quindi uno slargo, con l’obiettivo di allargare per il passaggio più agevole dei mezzi e
l’occasione di rimettere in luce il fianco meridionale della chiesa per una miglior visione prospettica.
8) Palazzo Salvadego  l’intervento di restauro dura dal 1945 al 1970. Edificio articolato ad impianto
ottocentesco che si sviluppava attorno ad un cortile su due paini. Nel 1700 Marchetti intervien su questo
edifico sopralzandolo e dalla parte di piazza vittoria vi costruisce un nuovo edificio attorno a due cortili
che guarda verso la chiesa di San Francesco. La parte cinquecentesca è quella che conserva le famose
dame Martinengo (piccola sala con all’interno la rappresentazione delle dame Martinengo). Anche questo
palazzo viene bombardato il 2 marzo del 1945, dopo il danno venne chiamato un restauratore di dipinti
che suddivise in riquadri l’intonaco dipinto, lo staccò e lo posizionò su una intelaiatura metallica e furono
trasferiti.
Secondo Marangoni l’idea erta quella di far arretrare tutti gli edifici, realizzare un porticato continuo e
allargare la strada, questa idea però rimase solo sulla carta. Viene posta una cerniera in facciata in modo
tale da adattarsi alla strada. Le due ali che erano meno danneggiate furono ricomposte mantenendo la
suddivisione precedente, ripristinando gli elementi lapidei superstiti, mentre le ali verso Ovest e verso
Nord furono realizzate con un linguaggio non troppo moderno. Il passaggio al linguaggio moderno lo si
può notare dagli elementi che marcano la parte basamentale (cemento martellinato) però richiamano nel
linguaggio l’ordine della parasta angolare, vengono riproposti materiali tradizionali (cornici in botticino,
intonacatura…). Un aspetto importante da sottolineare è quello urbanistico, vi è un passaggio pedonale
(oggi non mantenuto in buono stato) e vi è una vetrata di 30 mt che permette la visione del cortile
cinquecentesco.
Nonostante i risultati dei restauri eseguiti da alcune soprintendenze e da pochi studiosi della disciplina che
hanno raggiunto, dal punto di vista teorico, dei risultati apprezzabili. Nella maggior parte dei casi, gli
interventi di restauro post bellico sono stati seguiti da tecnici competenti, ingegneri, professionisti privi di
qualsiasi preparazione specifica e che si sono risolti come restauri stilistici. Un aspetto che è senz’altro da
sottolineare è che quando gli interventi di restauro vengono realizzati subito dopo una perdita traumatica
(come le bombe o i terremoti) spesso ci si trova in difficoltà; mentre quando si ha tempo di ragionare e
quindi ci si discosta dalla volontà di ripristinare allora si che è possibile progettare interventi di grande
qualità architettonica e formale.

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