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Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: evoluzione normativa

Il diritto allo studio è un principio costituzionalmente garantito. Infatti, l'articolo 34 della


Costituzione della Repubblica italiana esplicita, per tutti i cittadini, il diritto di accedere al sistema
scolastico disponendo che la scuola sia “aperta a tutti”. Sin da subito l’Assemblea costituente ha
voluto coniugare il diritto allo studio con un principio fondamentale, ovvero il principio di
eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. L’art. 3 introduce i principi di uguaglianza
formale (ciascun cittadino ha pari dignità di fronte alla legge) e di uguaglianza sostanziale (ovvero,
l’uguaglianza effettiva fra i cittadini). Poiché nella realtà quotidiana esistono numerosi fattori di
disuguaglianza, l’art. 3 affida alla Repubblica il compito di ridurre le disparità sociali tra i cittadini.
L'art. 38 Cost. specifica chiaramente che «gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e
all'avviamento professionale».
Per lungo tempo, il diritto allo studio degli alunni con disabilità è stato garantito attraverso
l'esperienza delle scuole speciali e delle classi differenziali (C.M. n. 1771/12 dell’11 marzo1953).
Le scuole speciali erano istituti scolastici nei quali veniva impartito l’insegnamento a persone aventi
determinate disabilità, come la cecità o la sordità; Le classi differenziali erano presenti presso le
comuni scuole elementari ed accoglievano gli alunni con disabilità che rivelavano una certa
“inadattabilità alla disciplina comune e ai normali metodi e ritmi d’insegnamento” e per i quali si
prevedeva che potessero progredire negli apprendimenti soltanto se l’insegnamento veniva ad essi
impartito “con modi e forme particolari”. Le classi differenziali erano destinate anche agli alunni
con problemi di condotta, disagio sociale o familiare, compresi i figli degli emigranti del sud che
giungevano nel nord-ovest e possedevano una scarsissima conoscenza della lingua italiana.
Fino alla fine degli anni '60 la logica prevalente rimase quella della separazione, in cui l'allievo con
disabilità veniva percepito come un diverso e un malato da affidare ad un maestro-medico.
Le classi differenziali e le scuole speciali, comportavano, dunque, alienazione ed emarginazione
sociale delle persone con disabilità. Per questo motivo, al fine di garantire appieno a tutti i cittadini
il diritto all’istruzione nel nostro Paese si sono resi necessari ulteriori e numerosi interventi
normativi.
Innanzitutto, con la legge 118/71, art. 28, è stato disposto che l'istruzione dell'obbligo dovesse
avvenire nelle classi normali della scuola pubblica e che l’inserimento a scuola dovesse avvenire su
iniziativa della famiglia. Dunque, dalla precedente logica della separazione si passa alla logica
dell’inserimento dell’alunno con disabilità, senza alcun accenno alla didattica speciale, allo
sviluppo potenziale o alle risorse da impegnare. L'allievo con disabilità che faceva il suo ingresso
nelle classi comuni, doveva dunque adeguarsi al contesto di apprendimento e non viceversa.

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Per queste ragioni, fu presto evidente che l'inserimento costituisse solo una parziale applicazione
del principio costituzionale di eguaglianza e che vi fosse bisogno di attivare altri interventi per
rimuovere gli ostacoli prodotti dalla condizione di disabilità. Da tali evidenze scaturì il “documento
Falcucci” del 1975, dove si affermò il principio che il superamento di qualsiasi forma di
emarginazione delle persone con disabilità dovesse passare attraverso un “nuovo modo di concepire
la scuola e di attuare la scuola così da poter veramente accogliere ogni bambino e ogni adolescente
per favorire il suo sviluppo personale”. Tale documento ha rappresentato e continua a rappresentare
il più avanzato elaborato riguardante la questione della disabilità a livello europeo e internazionale.
Esso gettò le basi per la L.517/77, che ha stabilito con chiarezza presupposti e condizioni, strumenti
e finalità per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, da attuarsi mediante la presa in
carico del progetto di integrazione da parte dell'intero Consiglio di Classe. Una innovazione molto
importante di questa legge è stata l’istituzione degli insegnanti specializzati per le attività di
sostegno. Essi dovevano conseguire un titolo di specializzazione attraverso il superamento un corso
teorico-pratico della durata di due anni, svolto in scuole o istituti riconosciuti dal Ministero
dell’istruzione. L’espressione "insegnante di sostegno" è stata utilizzata per la prima volta nella
circolare ministeriale n.199 del 28 luglio 1979, in cui veniva dichiarato che la locuzione “insegnanti
di sostegno” fosse ormai così invalsa nell’uso comune da poterla anche accettare ufficialmente.
Nella circolare si raccomanda di evitare il rischio che i compiti di tale figura venissero interpretati
in modo riduttivo e cioè “in sottordine all’insegnante di classe” e che l’insegnante di sostegno
dovesse essere un docente a pieno titolo, non un elemento aggiuntivo. Infine, veniva specificato che
tutta la comunità scolastica doveva essere coinvolta nel sostegno.
Nel 1987 una celebre sentenza della Corte Costituzionale (n. 215/87) ha dichiarato il diritto
incondizionato di integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole superiori. Essa, infatti,
afferma che la frequenza alle scuole superiori per i ragazzi con disabilità deve essere non
semplicemente facilitata (come stabilisce il comma 3 della legge 30 Marzo 1971 n 118) bensì
dev’essere “assicurata” a tutti. Tale sentenza, oggetto della Circolare Ministeriale n. 262/88, può
considerarsi la “Magna Charta” dell’integrazione scolastica ed ha orientato tutta la successiva
normativa. A seguire, si sono succeduti diversi interventi legislativi fino a giungere alla celebre
legge del 5 febbraio 1992, n. 104 "Legge Quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate". Essa raccoglie ed integra gli interventi legislativi precedenti,
divenendo il punto di riferimento normativo dell'integrazione scolastica e sociale delle persone con
disabilità: definisce i diritti e detta le linee guida per l’assistenza e la tutela delle persone con
disabilità, andando a coprire quasi interamente tutti gli aspetti relativi al mondo della disabilità. La
legge 104/92 prescrive che vengano superati gli impedimenti derivanti dalla disabilità, creando le

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condizioni affinché la persona con disabilità possa raggiungere il più alto livello di autonomia
possibile, gli vengano garantiti la partecipazione alla vita della collettività e la completa
realizzazione dei suoi diritti. La L.104/1992 stabilisce che gli strumenti concreti con cui si esercita
il diritto all’istruzione e all’educazione sono la Diagnosi Funzionale (DF), il Profilo Dinamico
Funzionale (PDF) e il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.). La Diagnosi Funzionale e il Profilo
Dinamico funzionale sono recentemente confluiti nel Profilo di Funzionamento. Questi documenti
rappresentano per la Legge in questione i momenti concreti in cui si esercita il diritto all'istruzione e
all'educazione dell'alunno con disabilità. La redazione degli stessi deve, dunque, necessariamente
prevedere il coinvolgimento dell'amministrazione scolastica, degli organi pubblici che hanno le
finalità della cura della persona e della gestione dei servizi sociali ed anche delle famiglie. Il
documento fondamentale per l’integrazione scolastica è senz’altro rappresentato dal piano
educativo individualizzato (PEI), che è un documento nel quale vengono descritti e integrati gli
interventi predisposti per l’alunno con disabilità, in un determinato periodo di tempo, ai fini della
realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione ai sensi dell’art. 12 della L. 104/1992. Il
P.E.I. è redatto ogni anno congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dall’ASL e dal
personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola, in collaborazione con i genitori. I
soggetti chiamati a definirne i contenuti propongono, ciascuno in base alla propria esperienza
pedagogica, medico-scientifica e di contatto e sulla base dei dati derivanti dalla diagnosi funzionale
e dal profilo dinamico funzionale (oggi confluiti nel Profilo di Funzionamento), gli interventi
necessari per la piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione
scolastica dell’alunno con disabilità, in relazione alle difficoltà che gli impediscono una normale
partecipazione alla vita sociale e alle potenzialità residue e disponibili.
Le norme contenute in dalla legge 104/1992 saranno riprese dal decreto legislativo 16 aprile 1994,
n.297 che raccoglierà in un testo unico l’intera legislazione scolastica. A partire dall’anno
successivo all’entrata in vigore della legge il Ministero ha steso una relazione annuale sullo stato di
attuazione della legge che presenta al parlamento entro il 15 aprile di ogni anno.
Con il D.M. 141/1999 si stabilisce che le classi con alunni con disabilità non possano avere più di
20 alunni purché il Consiglio di classe rediga una relazione in cui vengano spiegati i motivi e
soprattutto i progetti in base ai quali la classe debba essere ridotta.
La Legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali) pone l’accento sui bisogni essenziali delle persone. Per la prima volta,
viene altresì istituito un fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali, aggregando e
ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e destinandoli alla programmazione regionale e degli
enti. Si stabilisce che i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali debbano predisporre un

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progetto individuale su richiesta della persona con disabilità oppure della sua famiglia. Nel progetto
individuale devono essere indicati i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali di cui
possa aver bisogno la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione.
Una successiva legge molto importante è stata la legge n. 18 del 3 marzo 2009 “Ratifica ed
esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con
Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio
nazionale sulla condizione delle persone con disabilità” con la quale il nostro Paese ha ratificato e
resa esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e ha
firmato anche il Protocollo opzionale. Con lo stesso provvedimento ha istituito l’Osservatorio
nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. La Convenzione ONU è il primo trattato
internazionale sui diritti umani a scala globale del XXI secolo. Essa stabilisce i requisiti di base per
i diritti delle persone con disabilità ed ha un carattere giuridicamente vincolante. La Convenzione
ONU rappresenta un fondamentale traguardo in tema di diritti umani e traccia una linea di
demarcazione netta in quanto prima di essa non esisteva in tema di disabilità uno strumento
internazionale vincolante per gli stati.
Il suo scopo è di promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti
umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il
rispetto per la loro intrinseca dignità. 
E’ importante sottolineare che il “Preambolo” della Convenzione riconosce “la disabilità” un
concetto in evoluzione, e che essa è il risultato dell’interazione tra persone con “menomazioni” e
“barriere” comportamentali ed ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva inclusione
partecipata nella società su base di uguaglianza con gli altri. Di conseguenza, la nozione di
“disabilità” non viene fissata una volta per tutte, ma può cambiare a seconda del contesto. È
necessario che quest’ultimo si adatti ai bisogni specifici delle persone con disabilità. A tal
proposito, viene richiamato il principio di “accomodamento ragionevole”, ovvero le modifiche e gli
adattamenti necessari e appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo per
assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, sulla base dell’eguaglianza con gli
altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali.
L’importanza dell’accomodamento ragionevole viene rimarcata anche nel dlgs 66/2017, in cui si
ribadisce anche il principio di corresponsabilità educativa tra famiglie, insegnanti curriculari e di
sostegno. Questo decreto attuativo della L.107/2015 è stato molto importante perché estende
l’adozione dei criteri dell’ICF anche all’accertamento della condizione di disabilità. Con la
classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health ), pubblicata
nel 2001 e nella versione per bambini ed adolescenti nel 2007 (ICF-CY), l’Organizzazione

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Mondiale della Sanità ha introdotto un modello antropologico in cui il “funzionamento umano” è
osservato da una prospettiva bio-psico-sociale. Secondo l’ICF, la disabilità è determinata
dall’interazione sfavorevole tra le condizioni di salute di una persona ed il contesto in cui essa vive.
La disabilità è quindi da considerare una variabile dipendente dall’ambiente, il quale può fungere da
facilitatore o da barriera nello svolgimento delle comuni attività della vita quotidiana.
Per concludere, possiamo dire che siamo passati da un approccio medico ad un approccio bio-
psicosociale alla disabilità. Di fatti, inizialmente le persone con disabilità erano considerate delle
persone con dei deficit che dovevano essere curati e esse venivano inserite nel contesto scolastico,
senza che ad esso venissero apportati i dovuti cambiamenti, anzi, pretendendo che la persona con
disabilità si adattasse ad essi. La nuova visione della persona con disabilità in cui il contesto gioca
un ruolo importante per la sua piena integrazione nella società, ci conduce invece ad un approccio
bio-psicososciale alla disabilità, cioè l’interesse non solo per gli aspetti biologici ma anche di quelli
psicologici, familiari e sociali dell'individuo, in particolar modo del contesto in cui vive.
In sostanza, si è passati dal definire la disabilità una deviazione dalla normalità al considerarla
una variazione del funzionamento umano, che origina dall'interazione tra caratteristiche intrinseche
dell'individuo e caratteristiche dell'ambiente fisico e sociale.
L’Italia, con l’evolversi della sua normativa scolastica, ha saputo stare al passo con i tempi,
adottando il modello bio-psicosociale e in alcuni momenti storici si è fatta precursore di
cambiamenti e innovazioni. Ad oggi, il nostro modello di integrazione scolastica è apprezzato in
tutta Europa e nel mondo perché tutte le persone con disabilità godono del diritto all’istruzione nelle
comuni istituzioni scolastiche, a differenza di altri Paesi in cui gli alunni sono tutt’ora relegati in
classi differenziali e/o in scuole speciali.

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Bibliografia
Artt. 3, 34, 38 Cost.
Circolare ministeriale n. 1771/12 dell’11 marzo1953
Legge 118 del 1971, art. 28
Documento Falcucci del 1975 https://www.edscuola.it/archivio/didattica/falcucci.html
Legge 517 del 1977
Circolare ministeriale n.199 del 28 luglio 1979
Sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87
Circolare ministeriale n. 262 del 22 settembre 1988
Legge 104 del 1992
Decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297
Decreto Ministeriale n. 141 del 1999
Legge n. 328 dell’8 novembre 2000
International Classification of Functioning, Disability and Health del 2001
Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006
International Classification of Functioning, Disability and Health (for Children and Youth) del 2007
Legge n. 18 del 3 marzo 2009
Decreto Legislativo n. 66 del 2017

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