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INDICE
1. AUTONOMIA SCOLASTICA
1.1.1. L’autonomia scolastica e l’organizzazione del sistema scolastico
1.1.2. Il piano dell’offerta formativa
1.1.3. I profili dell’autonomia didattica e organizzativa
1.1.4. L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo
1.1.5. L’autonomia di associarsi in rete
1.1.6. Le competenze amministrative attribuite alle scuole
1.1.7. La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema
8.1.4. I licei
8.1.5. L’alternanza scuola-lavoro
8.1.6. Novità introdotte dal d.lgs. 61/2017
9. I DOCUMENTI EUROPEI
9.1.1. Le competenze chiave di cittadinanza
9.1.2. Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
9.1.3. Il CLIL
9.1.4. Il Quadro comune europeo per le qualifiche professionali (EQF)
CAPITOLO 1
AUTONOMIA SCOLASTICA
1.1.1 L’autonomia scolastica e l’organizzazione del sistema scolastico
Il termine “autonomia” (autòs “se stesso” e nòmos “legge”), riferito ad una Pubblica Amministrazione,
indica la facoltà di realizzare le finalità istituzionali assegnate dalla legge tramite
l'autoregolamentazione delle proprie attività̀. In Italia la pubblica amministrazione è stata connotata per
lungo tempo da una struttura centralizzata, almeno fino al 1997, anno in cui, con la legge 59/1997,
venne avviato un ampio processo di ristrutturazione tendente al decentramento delle competenze
amministrative e istituzionali dallo Stato verso le Regioni e gli enti locali. L’art. 21 della legge 59/1997
sancì in particolare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, alle quali venne estesa la personalità
giuridica già degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte, con conseguente conferimento
della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto.
L’introduzione dell’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca nell’ordinamento scolastico italiano
derivò dall’applicazione del principio di sussidiarietà adottato nel Trattato sull’Unione europea del
1992. L’autonomia condusse al coinvolgimento, alla responsabilizzazione e alla partecipazione dei
soggetti protagonisti della scuola del territorio: così la scuola è diventata più vicina ai bisogni del
discente e della comunità di cui egli è parte.
L’autonomia scolastica si regge su un duplice riferimento:
– da un lato deve rispettare le linee dell’ordinamento scolastico nazionale, riservato alla
competenza legislativa dello Stato (cioè gli indirizzi comuni richiamati dall’art. 8 del DPR
n. 275/1999);
– dall’altro deve raccordarsi con le competenze degli Enti locali in materia di programmazione
dell’offerta formativa sul territorio.
Essa ha avuto riconoscimento costituzionale a seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione
(legge cost. n. 3/2001), che hanno cancellato la tradizionale gerarchia verticale Ministero-
Provveditorato-Scuole all’interno del nuovo modello di Stato.
Gli strumenti attuativi della Delega contenuta nella legge n. 59/1997, con incidenza nell’ambito
scolastico, sono stati:
– il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni e agli enti locali”;
– il D. Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, “Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto
delle istituzioni scolastiche autonome”;
– il D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, “Regolamento recante norme per il dimensionamento
ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei
singoli istituti”;
– il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”;
– il decreto interministeriale 1° febbraio 2001, n. 44, “Regolamento concernente le «Istruzioni
generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche»”.
Questi cinque provvedimenti saldano fra loro gli elementi di un disegno unitario, scaturito anzitutto
dal I comma dell’art. 21 della legge stessa: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti
educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione
dell’intero sistema formativo”.
È l’art. 1, comma 2, DPR n. 275/1999 a definire le finalità dell’autonomia:
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Le forme di autonomia che il Regolamento (DPR 275/99) ha previsto sono state sostanzialmente:
didattica; organizzativa; di ricerca, sperimentazione e sviluppo e finanziaria. Tale prospettiva viene
oggi rilanciata dalla riforma della Buona Scuola (legge 107/2015) che si pone come obiettivo
fondamentale quello di dare piena attuazione all’autonomia scolastica intervenendo sulla scuola a vari
livelli.
In particolare, le Regioni e gli enti locali devono assicurare i servizi di trasporto per gli alunni delle
scuole primarie e il servizio mensa. Uno dei più recenti interventi finanziari statali è il D.lgs. 13 aprile
2017, n. 63, di attuazione della Buona scuola, che detta nuove disposizioni in materia di effettività del
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Ai fini della costruzione del piano dell’offerta formative occorre anzitutto recepire i punti di vista e
le aspettative delle famiglie utenti, magari tramite un questionario o, in modi più diretti, con
consultazioni assembleari, allo scopo di raccogliere informazioni riguardo a situazione anagrafica,
sociale e culturale nonché i servizi eventualmente richiesti all’istituzione scolastica (tempo pieno,
tra- sporti, libri di testo, offerta formativa aggiuntiva e facoltativa). Occorre poi, verificare i servizi e
le strutture che gli enti locali, possono fornire.
Sulla base dei dati così ottenuti, occorre confrontare e integrare le aspettative esterne con le priorità
istituzionali proprie della scuola. Occorre individuare le esigenze di formazione intellettiva,
culturale e sociale dell’alunno e di conseguenza definire il contratto formativo tra scuola e famiglia.
Il Regolamento dell’Autonomia assegna al Collegio dei Docenti il compito di elaborare il Piano
sulla base dei criteri generali definiti dal dirigente scolastico, tenuto conto delle proposte e dei
pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori. Tocca dunque al Dirigente secondo
la l.107/15, definire le scelte di fondo, le politiche educative della scuola e la strategia di
funzionamento. Quindi il Dirigente scolastico prepara una proposta ampia e articolata, sulla base
della quale il Consiglio d’istituto elabora i criteri essenziali riguardo alla elaborazione del PTOF: la
consultazione del D.S.G.A. assicura le necessarie informazioni sulle disponibilità di bilancio nonché
di finanziamento da parte del Fondo dell’istituzione scolastica.
Negli indirizzi generali dettati dal Dirigente scolastico, sono contenuti gli obiettivi formativi e le
scelte didattico- organizzative, con l’individuazione della “mission” o “vision”, cioè la politica di
fondo che si intende perseguire. Tali scelte comprendono la flessibilità organizzativa, la
strutturazione delle scansioni orarie dei diversi tipi di tempo-scuola, il potenziamento delle attività
laboratoriali, l’arricchimento dell’offerta formativa attraverso le attività facoltative-opzionali, la
sperimentazione di nuovi percorsi didattici, l’integrazione degli alunni stranieri, il recupero degli
alunni con difficoltà e la valorizzazione delle eccellenze.
Il Collegio dei Docenti attiva le proprie strutture interne di lavoro, anzitutto le Funzioni strumentali e
la Commissione a tal fine istituita, rappresentativa delle articolazioni interne della scuola. È infine
approvato dal Consiglio di Istituto.
Le istituzioni scolastiche, singolarmente o collegate in rete, realizzano ampliamenti dell’o fferta
formativa in risposta alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.
Tali ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri
alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli Enti locali, in favore della
popolazione giovanile e degli adulti (art. 9 DPR n. 275/1999). I contenuti e le attività sono in
relazione all’ordine di scuola:
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– nel primo ciclo possono essere maggiormente orientati verso l’inclusione, le attività
integrative, il potenziamento degli apprendimenti (corsi madrelingua, e-twinning), il
sostegno al disagio personale e sociale;
– nel secondo ciclo possono prevalere le attività orientative al lavoro (tirocini
professionalizzanti e stages), progetti di dimensione europea (Comenius, apprendimento
delle lingue, scambi di classi), tecnologie informatiche.
ricerca/sviluppo nasce nel campo dell'organizzazione aziendale (R&S) per garantire all'impresa la
capacità di migliorare i propri prodotti e i propri processi, innalzandone la qualità e la capacità di
innovazione. In ambito scolastico gli elementi essenziali di un processo di ricerca, sperimentazione e
sviluppo sono da individuare nella libertà d'insegna mento, nell'opportunità di rispondere
adeguatamente ai bisogni educativi degli studenti e alle attese delle famiglie e del territorio
migliorando l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Nell'ambito
dell'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, le istituzioni scolastiche possono potenziare
inoltre lo scambio di documentazione e di informazioni attivando collegamenti con gli istituti
regionali di ricerca, con università e con altri soggetti pubblici e privati. Coerentemente con tale
prerogativa dell'autonomia scolastica, il modello di ricerca più di ffuso nelle scuole è la ricerca-
azione, finalizzata non tanto ad approfondire determinate conoscenze teoriche, ma piuttosto ad
analizzare una pratica relativa a un campo di esperienza con lo scopo di introdurre, nella pratica
stessa, dei cambiamenti migliorativi. In campo educativo la ricerca-azione costituisce un elemento
cardine della pedagogia istituzionale, sia per ciò che riguarda la formazione del personale, sia per
quanto concerne l'analisi della pratica educativa e il suo miglioramento.
CAPITOLO 2
GLI ORGANI COLLEGIALI D’ISTITUTO
La base della struttura partecipativa della scuola disegnata dal D.P.R. 31-5-1974, n. 416 e poi fatta
propria dal D. Lgs. 297/1994 è rappresentata dagli organi collegiali che operano a livello di circolo e di
istituto.
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Il consiglio di circolo nelle direzioni didattiche, o d’istituto in tutti gli altri casi.
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Nelle scuole secondarie di secondo grado il numero dei genitori è dimezzato per far posto ad
altrettanti rappresentanti degli studenti. Le rappresentanze sono elette per la durata di tre anni; la
componente degli studenti è rinnovata annualmente. Il presidente è un genitore, votato a scrutinio
segreto nella prima convocazione del neoeletto consiglio.
In quanto organo di raccordo fra scuola-apparato e scuola-comunità il consiglio d’istituto è la sede del
confronto fra l’istituzione e la società del territorio in cui la scuola agisce. All’interno dell’istituto, il
consiglio è l’interlocutore del collegio dei docenti. Se il collegio è l’organo della elaborazione della
programmazione educativa e didattica nonché del Piano Triennale dell’offerta formativa (PTOF), il
consiglio è la sede della deliberazione sulle proposte del collegio in merito all’o fferta formativa
nonché del sostegno organizzativo e finanziario per la sua attuazione. Esso ha quindi potere
deliberante in tre settori fondamentali (art. 10 TU):
– l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola;
– la materia finanziaria;
– la materia regolamentare, con particolare riferimento alle responsabilità di cui agli artt. 2047 e
2048 cod. civ. (responsabilità sugli alunni).
L’individuazione dell’organo collegiale competente a dare agli studenti responsabili di gravi fatti di
indisciplina le sanzioni più gravi (sospensioni lunghe dalle lezioni, esclusione dagli scrutini,
espulsione dall’istituto) è stata più volta mutata negli anni. Con l’entrata in vigore del DPR n.
235/2007, le sanzioni più gravi (allontanamento dalle lezioni per periodi superiori ai 15 giorni,
l’esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di
studi) sono state attribuite alla competenza del consiglio d’istituto, su proposta del consiglio di classe.
Nelle materie che seguono può formulare proposte al dirigente scolastico, tenuto conto dei criteri
deliberati dal consiglio di circolo/d’istituto:
– formazione e composizione delle classi;
– assegnazione ad esse dei docenti;
– formulazione dell’orario delle lezioni.
È collegio elettorale:
– quando elegge il comitato per la valutazione del servizio del personale;
– quando designa i docenti responsabili delle funzioni strumentali al piano dell’offerta
formativa (CCNL 1999, art. 28).
Il collegio è convocato e presieduto dal dirigente scolastico. Nella veste di presidente del collegio,
organo dotato di competenze definite dalla legge, il dirigente ha la competenza specifica della
gestione unitaria dell’istituzione, nell’equilibrata tutela dei tre diritti in essa costituzionalmente
tutelati:
– il diritto all’apprendimento degli alunni:
– la libertà d’insegnamento dei docenti:
– la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie.
Dalla sua posizione di primus inter pares deriva che:
– egli esercita il diritto di voto;
– il suo voto prevale in caso di parità tra favorevoli e contrari in una votazione a scrutinio palese.
In caso di legittimo impedimento del dirigente (solo in questo caso), il collegio è convocato e
presieduto dal docente collaboratore da lui delegato.
“L’istituzione dei dipartimenti assume, pertanto, valenza strategica per valorizzare la dimensione
collegiale e cooperativa dei docenti, strumento prioritario per innalzare la qualità del processo
d’insegnamento-apprendimento”. Le tipologie di attività che i dipartimenti possono svolgere sono
strettamente correlate alle esperienze realizzate dalla scuola e agli obiettivi di sviluppo e di
miglioramento che si intendono perseguire.
hanno i compiti di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e
didattica nonché di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori e alunni; hanno
altresì la competenza dell’approvazione del piano annuale delle visite e dei viaggi di istruzione.
Inoltre essi esprimono parere sull’adozione dei libri di testo e verificano l’andamento complessivo
dell’attività didattica nelle classi di competenza. Nella scuola secondaria hanno la competenza
dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari fino all’allontanamento dalle lezioni di durata non
superiore ai 15 giorni.
CAPITOLO 3
LA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA
3.1.1. Riferimenti normativi
A livello normativo, il concetto di programmazione comparve per la prima volta nel DPR n. 416 del
1974 nell’art n. 4 “il collegio dei docenti ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico
del circolo e d’istituto. In particolare cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di
adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di
insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare.”
Tuttavia fu nei documenti successivi che la cultura della programmazione irruppe sulla scena scolastica
in modo ancora più accentuato e in particolare:
– la Legge 517/77 rese obbligatoria la pratica programmatoria, fissando anche i tempi e le
modalità.
– La Carta dei servizi scolastici, D.P.C.M. /1995 così definì la programmazione educative e
didattica: la programmazione è elaborata dal Collegio docenti, progetta i percorsi formativi
correlati agli obiettivi e alle finalità nei programmi. La programmazione educativa assicura la
formazione dell’alunno, facilitandone le potenzialità evolutive e contribuendo allo sviluppo
armonico della personalità, nel rispetto degli obiettivi formativi nazionali e comunitari,
recepiti dai piani di studi di ciascun indirizzo. La programmazione educativa, elaborata dal
Collegio dei docenti e messa a fuoco nelle riunioni di dipartimento, progetta i percorsi
correlati agli obiettivi e alle finalità delineati nei programmi ordinamentali. Individua gli
strumenti per la rilevazione della situazione finale e per la verifica e la valutazione dei
percorsi didattici. Definisce le attività riguardanti l’orientamento, i corsi di recupero e ogni
altra azione di supporto alla formazione integrate. Ogni anno la programmazione è redatta
entro il 30 ottobre. La programmazione didattica, elaborata da ogni consiglio di classe nel
quadro della programmazione educativa del Collegio dei docenti, delinea il percorso
formativo del gruppo-classe. Prevede dei momenti di verifica e di valutazione dei risultati, al
fine di adeguare gli interventi alle esigenze formative sopravvenute.
– Con il DPR N. 275/1999 “regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche”, ai sensi dell’art.21 della legge n. 59/97, i diversi tipi di
programmazione sono confluiti nel Piano dell’offerta Formativa.
La programmazione differisce dai programmi perchè in essa si esplicitano tutte le variabili che entrano
in gioco nel rapport insegnamento/apprendimento. Il Programma infatti, è l’insieme dei contenuti
culturali da trasmettere ed è ordinato secondo una struttura che si adatta alle diverse fasi di sviluppo
cognitivo degli alunni ed ha lo scopo di formare gli alunni e di prepararli agli studi universitari; inoltre
la “funzione docente realizza il processo d’insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo
sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni sulla base delle finalità e degli obiettivi
previsti per i vari ordini e gradi dell’istruzione” . Con la parola programmazione, in linea generale,
s’intende sviluppare, puntualizzare, mettere in opera, una serie d’interventi coordinata che concorrono
a conseguire, attraverso efficienza, efficacia economicità, un obiettivo. Sul piano strettamente didattico
la programmazione permette al docente di superare l’improvvisazione, la causalità operativa e di
organizzare in modo razionale e coerente gli interventi educativi, di organizzare i contenuti e le diverse
attività scolastiche, verifiche comprese. Consente, inoltre, di “tradurre” le discipline culturali in materie
da insegnare e da apprendere. Con la programmazione, quindi, si adeguano i programmi alla classe,
s’individuano i collegamenti interdisciplinari, e si scelgono le metodologie che consentano
effettivamente di facilitare il processo di apprendimento e di crescita, oltre che culturale, emotiva,
relazionale e civile. Alla formulazione della programmazione concorrono tutti i docenti attraverso la
programmazione del piano annuale delle attività contenute nel PTOF, in una seconda fase, i consigli di
classe e i singoli docenti renderanno operativa la programmazione individuando contenuti, metodi e
tempi e modalità di verifica. È quindi l’attività programmatica del collegio docenti ad avere un ruolo di
fondamentale importanza operativa perché procede nell’individuare, attraverso l’adozione del PTOF,
gli obiettivi e le finalità educative (programmazione educativa) dell’istituto, obiettivi naturalmente
coerenti con le finalità Costituzionali e le leggi vigenti; In un secondo momento i dipartimenti
individuano i contenuti da impartire e gli obiettivi disciplinari, infine i consigli di classe e i singoli
docenti attuano la programmazione educativa, didattica e disciplinare.
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Accertare la situazione di partenza della classe è uno dei momenti più di fficili, perché dalla prima
impressione, dall’analisi dei risultati delle verifiche, tese a conoscere il livello generale culturale, le
competenze e le capacità, scaturiscono gli elementi che concorreranno a determinare i contenuti, i
tempi e gli obiettivi. Una conoscenza affrettata della classe, o strumenti di verifica inadeguati, possono
rivelarsi estremamente dannosi, sia sotto il profilo relazionale, sia nello sviluppo del processo
insegnamento-apprendimento. È necessario, quindi, “disporre di metodi di verifica che permettano di
strutturare la programmazione in modo coerente e organico”, palesando le e ffettive capacità e
potenzialità degli alunni. Lo scopo di una attendibile conoscenza di una situazione di partenza consiste
nel “ridurre le impressioni personali, ed individuare, per quanto possibile, ed al di là di uno stretto
soggettivismo, le variabili dipendenti e le condizioni “oggettivamente rilevabili” della classe. Si sa che
non è possibile eliminare la dimensione soggettiva, ma è possibile limitarne il campo d’azione,
ricorrendo a strumenti e procedure tali, che se pur non rilevano dati oggettivamente validi, forniscono
comunque dati ragionevolmente attendibili. Accertare, sul piano generale, le condizioni d’ingresso di
un alunno è semplicemente utopia, però possono accertati, interessi, abilità, competenze conoscenze,
stili di linguaggio, gli stili cognitivi, le competenze culturali, cioè tutti quegli elementi che concorrono
a definire il quadro d’ingresso o la situazione di partenza. L’insegnante che intende intraprendere una
attività didattica su dei precisi contenuti deve limitare l’accertamento esclusivamente ai prerequisiti
necessari per potere affrontare i contenuti. L’accertamento dei prerequisiti “una volta che siano stati
individuati dall’insegnante, sulla base della letteratura esistente o sulla base all’esperienza diretta e
personale può avvenire in due modi: uno attraverso tecniche rigorose con strumenti quali il test di
profitto che portano a risultati quantificabili; l’altro più tradizionale attraverso strumenti quali il
colloquio o il testo scritto, senza esprimere alcuna valutazione di profitto. L’accertamento dei
prerequisiti necessari per strutturare in modo organico e coerente i saperi non è altro che “una diagnosi
in grado di evidenziare uno “stato”, non di giudicare un comportamento e tanto meno di impedire uno
sviluppo futuro, anzi deve poter “agevolare” uno sviluppo futuro. Un problema non meno rilevante è
rappresentato dagli obiettivi. Come sappiamo gli obiettivi sono educativi e didattico disciplinari, gli uni
contemplano lo sviluppo complessivo della personalità e sono espressi nel PTOF, gli altri vengono
individuati dai dipartimenti, dai singoli consigli di classe e dai singoli docenti. Con l’espressione
obiettivi didattici si indicano esclusivamente i comportamenti degli alunni che l’insegnamento è in
grado di suscitare e debbono poter essere verificati al temine di un ciclo di insegnamento. Devono
perciò essere formulati in maniera chiara e comprensibile dall’alunno, senza ricorrere all’uso di termini
equivoci o che possono dar luogo a fraintendimenti. Devono anche tenere conto dello sviluppo
cognitivo dell’alunno e del fatto che l’apprendimento non è mai sincronico, cioè non avviene secondo i
processi temporali impostati dal docente, ma secondo ritmi e tempi di apprendimento propri
dell’alunno, spesso anche influenzati dai comportamenti e dalle abitudini del gruppo famigliare. È
anche chiaro che il processo di insegnamento-apprendimento deve potere ridurre i tempi di
assimilazione e di elaborazione dei contenuti, altrimenti non si avrà nessun miglioramento né culturale
né personale, né relazione o affettivo. Gli obiettivi devono essere calibrati sugli alunni e proporzionati
alla situazione di partenza rivelata. Nel predisporre la programmazione il docente dovrà prestare
particolare attenzione a strutturare le attività di recupero per quanto disposto dal D.M. n. 42 del 22
maggio 2007, perché la presenza di un debito formativo è ostativa per l’ammissione agli esami di Stato.
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Ciclico Consiste nel trattare gli stessi argomenti nei vari gradi d’insegnamento,
ma può essere proficuo anche nella lezione frontale presentando lo stesso
argomento secondo livelli di profondità e di analisi diversi, partendo dal
semplice al complesso.
Dei lavori di Gli alunni sono chiamati ad operare in gruppo. L’insegnante coadiuva
gruppo o dei l’attività degli alunni limitando il suo intervento. Può essere un buon metodo
gruppi di lavoro ma ha bisogno di una programmazione dettagliata delle fasi e deve essere ben
chiaro il punto d’arrivo.
Della ricerca È quello che mira ad educare nell’alunno la capacità di giungere alla
conoscenza, è il metodo che più degli altri permette di raggiungere l’obiettivo
educativo dell’“imparare ad imparare”.
Didattica Matrice: A.L. Brown. La didattica meta - cognitiva consiste nel rendere
metacognitiva cosciente l’alunno dei processi di apprendimento. La didattica meta - cognitiva
appare particolarmente utile quando si privilegia l’insegnamento di un metodo
di studio.
IMPARARE AD IMPARARE
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Didattica dell’errore Didattica attenta alla fecondità dell’errore. Troppo spesso si stigmatizza l’errore
non inserendolo dinamicamente nella attività didattica.
La matrice è H. Perkinson 1982. L’errore diventa una risorsa epistemologica.
Didattica lineare Matrice: le teorie computazionali, la logica binaria. Sorse negli anni ‘50 ed è
una didattica tecnomorfa ed è legata, come si può intuire, alle premesse alla
rivoluzione informatica e all’utilizzo di tecnologie informatiche. (Si inizia a
parlare di programmazione).
1. CAI : Computer Assisted Instruction;
2. CBT: Computer Based Training.
Didattica speciale Didattica per i diversamente abili (OMS 1997 sostituisce la parola handicap) e
si fonda sul principio che la diversità costituisca comunque una risorsa. Diverse
sono le matrici e complessa è l’origine della didattica speciale che alcuni fanno
risalire a J. Itard.
Didattica breve Matrice: prof. Ciampolini. Questa prassi didattica è nata negli anni ’70 per
facilitare l’aggiornamento dei docenti.
Didattica dell’oscuro Matrice: J.V. Watsch. Questa particolare didattica pone in evidenza come gli
insegnanti ricorrano a forme di guida indirette come le dinamiche relazionali ed
affettive che coadiuvano (o ostacolano) le abilità cognitive, come il tono della
voce, l’uso a scopo didattico dei gruppi spontanei, le condizioni che
favoriscono la nascita della curiosità etc. Proprio perché queste sono forme di
insegnamento indirette e interpersonali questa didattica è detta didattica
dell’oscuro.
Didattica Matrice: anni ‘60. Accettata dai programmi Ministeriali solo nel 1997.
multimediale Computer e Tv di diritto oramai sono parti integranti della didattica. Questa
stessa lezione ne è un esempio. Naturalmente il dibattito è aperto se la didattica
multimediale sia creativa o serva solo per rafforzare le procedure apprese.
Oltre a questa oggi si parla di e-learnig (electronic learning).
Didattica del Matrice: J. Dewey. Questa metodologia didattica prevede di far lavorare i
cooperative learning discenti in piccoli gruppi.
Didattica del Apprendimento per padronanza. Affermatosi negli anni ’70 è una delle
mastery learning strategie individuali di apprendimento più accreditate dal punto di vista
psicologico e pedagogico. Si mira a realizzare una situazione di
APPRENDIMENTO – INSEGNAMENTO ottimale in modo tale da porre tutti
gli allievi nelle condizioni di padroneggiare le conoscenze o le competenze da
apprendere.
Questa procedura prevede:
1. Rispetto dei ritmi di apprendimento di ciascun allievo;
2. Le pause in itinere e l’eventuale riavvio delle procedure in caso
di insuccesso;
3. I docenti devono pianificare le discipline mediante un rigoroso
censimento dei contenuti essenziali.
4. La divisione dei contenuti in unità didattiche;
5. La previsione dei tempi;
6. La valutazione formativa o in itinere;
7. La predisposizione di attività di recupero;
8. La verifica finale o sommativa.
Vedere A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Ed. Mondatori,
pag. 187.
CAPITOLO 4
NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA
orientamento ai settori strategici del made in Italy, contatti con il territorio, collocazione nel lavoro dei
giovani non occupati.
Ogni scuola ha un "animatore digitale", un docente che, insieme al dirigente scolastico e al direttore
amministrativo, ha un ruolo strategico nella diffusione dell'innovazione a scuola, a partire dai contenuti
del PNSD in concreto, l’Animatore deve coordinare la diffusione dell’innovazione a scuola e le attività
del PNSD anche previste nel piano nel Piano triennale dell’o fferta formativa della propria scuola. Si
tratta, quindi, di una figura di sistema e non un semplice supporto tecnico. I tre punti principali del suo
lavoro sono: formazione interna, coinvolgimento della comunità scolastica, creazione di soluzioni
innovative.
CAPITOLO 5
LA VALUTAZIONE
In esito alla riforma costituzione del 2001, la nuova formulazione dell’art. 117 assegna alla
legislazione esclusiva dello Stato:
– la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
– le norme generali sull’istruzione.
Si è così passati dalla “scuola dei programmi ministeriali” alla “scuola dell’autonomia didattica”
(DPR n. 275/1999), la cui ragione sta nella funzione di concretizzare gli obiettivi nazionali in
percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di
tutti gli alunni, riconoscendo e valorizzando le diversità e le potenzialità di ciascuno, per
raggiungere il successo formativo con tutte le iniziative utili.
Anche l’autonomia organizzativa è espressione di libertà progettuale (art. 5 del citato D.P.R.): le
scuole possono regolare autonomamente i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole
discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni,
adottando tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune.
Si intersecano quindi, nel sistema dell’istruzione, compiti e responsabilità che a fferiscono a livelli
diversi: in particolare, se allo Stato compete la “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale”, con altrettanta forza gli compete la verifica sulla fruizione, da parte di tutti i cittadini, di
tali livelli essenziali di prestazioni. Alle istituzioni scolastiche compete la responsabilità della
realizzazione dei diritti dei discenti, anzitutto al successo formativo, nell’ambito delle Indicazioni
ricevute e delle risorse assegnate, collaborando con l’Amministrazione centrale nella verifica
dell’efficienza del sistema.
Nel sistema scolastico la verifica del rispetto degli standard è valutata mediante le attività
predisposte dall’INVALSI.
(IRRSAE).
Al neonato Istituto furono attribuiti, oltre ai compiti già svolti dalla BDP, nuovi campi di impegno a
fianco delle istituzioni scolastiche autonome:
– lo sviluppo di un sistema di documentazione finalizzato alle esperienze di ricerca e
innovazione didattica e pedagogica in ambito nazionale e internazionale;
– la creazione di servizi e materiali a sostegno dell’attività didattica e del processo di autonomia;
– lo sviluppo dei sistemi tecnologici e documentari;
– la collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione per la gestione dei programmi e dei
progetti dell’Unione europea.
Con l’art. 19 della legge n. 111/2011 che ha disposto l’istituzione dell’INDIRE, “quale ente di
ricerca con autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale, amministrativa e regolamentare” e
disponendo che “l’Istituto si articola in 3 nuclei territoriali e si raccorda anche con le regioni”.
Oggi l’ente, con l’INVALSI e il corpo ispettivo del MIUR, è parte del sistema di nazionale di
valutazione in materia di istruzione e formazione. L’Istituto utilizza le nuove tecnologie per la
formazione in servizio del personale docente, non docente, dei dirigenti scolastici. Guarda
all’Europa attraverso il Lifelong Learning Programme e le tante collaborazioni internazionali,
contribuendo allo sviluppo di una rete di contatti, scambi, flussi di informazioni ed esperienze fra
scuole, studenti, aziende e istituzioni di tutti i Paesi dell’UE.
circa i livelli cognitivi di partenza (in termini di conoscenze e di abilità) e le caratteristiche a ffettive
d'ingresso (gli atteggiamenti verso la scuola e verso le singole materie) degli alunni. Un certo grado di
conoscenza di questi ultimi rappresenta infatti un punto di avvio ineludibile per la programmazione.
La valutazione in itinere o formativa si colloca nel corso degli interventi didattici e più precisamente,
va a punteggiare l'attuazione di specifici percorsi d'insegnamento con lo scopo di assicurare
all'insegnante le informazioni necessario per la regolazione dell'azione didattica. La valutazione finale
è situata al termine di una frazione rilevante del lavoro scolastico, che può essere sia una singola
Unità didattica, sia un quadrimestre, sia l'intero armo scolastico. La sua funzione è sommativa, nel
senso che redigere un bilancio complessivo dell'apprendimento, sia al livello del singolo alunno (con
la conseguente espressione di voti o di giudizi), sia a livello dell'intero gruppo classe (nell'intento di
stimare la validità della programmazione). In linea di massima, le procedure e gli strumenti di
valutazione si possono classificare in prove strutturate, semistrutturate e aperte. Le prove
strutturate sono del genere a stimolo chiuso e risposta chiusa. Consistono, cioè, in domande precise e
circoscritte rispetto alle quali le alternative di risposta sono predefìnite, perciò il compito dello
studente è quello di scegliere la risposta che ritiene corretta. Sono prove di questo tipo: le domande
con risposta a scelta multipla, i brani da completare, le corrispondenze, le a ffermazioni vero-falso
ecc. Le prove semistrutturate sono del tipo a stimolo chiuso e risposta aperta; cioè a dire, consistono
in compiti precisi e circoscritti rispetto ai quali lo studente deve costruire una propria "risposta". Sono
prove di questo genere: i questionari a risposta libera, i saggi brevi, le relazioni su traccia, i riassunti, i
problemi ecc. Le prove aperte sono del genere a stimolo aperto e risposta aperta; in altre parole,
consistono in compiti ampi e definiti in modo generale rispetto ai quali lo studente deve produrre un
proprio elaborato. Sono prove di questo tipo: il tema, l'interrogazione, la relazione libera ecc..
docente e da parte della scuola, sia che la valutazione degli alunni abbia carattere essenzialmente
formativo.
5.1.8. L’ordinanza ministeriale n. 172 del 04.12.2020 e le Linee guida: “La formulazione
dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria”
Come è noto, con l’OM 172 del 4 dicembre 2020, il Ministero dell’istruzione rivoluziona il metodo di valutazione
degli scrutini nella scuola Primaria. L’art. 3 comma 1 dell’Ordinanza, così recita: “A decorrere dall’anno scolastico
2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è espressa, per ciascuna delle discipline di studio
previste dalle Indicazioni Nazionali, ivi compreso l’insegnamento trasversale di educazione civica di cui alla legge
20 agosto 2019, n. 92, attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, nella prospettiva
formativa della valutazione e della valorizzazione del miglioramento degli apprendimenti”.
Un impianto valutativo che supera il voto numerico su base decimale nella valutazione periodica e finale.
Pertanto, la nuova normativa ha individuato, per la scuola primaria, un impianto valutativo che supera il voto
numerico su base decimale nella valutazione periodica e finale e consente di rappresentare, in trasparenza, gli
articolati processi cognitivi e meta-cognitivi, emotivi e sociali attraverso i quali si manifestano i risultati degli
apprendimenti. Quindi, il voto è sostituito da una descrizione autenticamente analitica, affidabile e valida del livello
raggiunto in ciascuna delle dimensioni che caratterizzano gli apprendimenti. La valutazione è lo strumento
essenziale per attribuire valore alla progressiva costruzione di conoscenze realizzata dagli alunni, per sollecitare il
dispiego delle potenzialità di ciascuno partendo dagli effettivi livelli di apprendimento raggiunti, per sostenere e
potenziare la motivazione al continuo miglioramento a garanzia del successo formativo e scolastico.
L’ordinanza compie alcune scelte di fondo. Rimangono invariate, così come previsto dall’articolo 2, commi 3, 5 e 7
del D.Lgs. 62/2017, le modalità per la descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti,
la valutazione del comportamento e dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) o dell’attività alternativa
(AAIRC). I giudizi descrittivi delle discipline sono elaborati e sintetizzati sulla base di quattro livelli di
apprendimento ( - In via di prima acquisizione, - Base, - Intermedio, - Avanzato) e dei relativi descrittori, in
analogia con i livelli e i descrittori adottati per la Certificazione delle competenze, da correlare agli obiettivi delle
Indicazioni Nazionali, come declinati nel curricolo di istituto e nella progettazione annuale della singola
classe/interclasse.
Pertanto, a decorrere dall’anno scolastico 2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è
espressa, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali, ivi compreso l’insegnamento
trasversale di educazione civica di cui alla legge 20 agosto 2019, n. 92, attraverso un giudizio descrittivo riportato
nel documento/scheda di valutazione, riferito agli obiettivi oggetto di valutazione definiti nel curricolo d’istituto e
riportati nella scheda di valutazione. Gli obiettivi sono riferiti alle Indicazioni Nazionali, con particolare attenzione
agli obiettivi disciplinari e ai traguardi di sviluppo delle competenze.
La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative, per le alunne e gli alunni che si
avvalgono di tali insegnamenti, viene riportata su una nota separata dal documento di valutazione ed espressa
mediante un giudizio sintetico riferito all’interesse manifestato e ai livelli di apprendimento conseguiti.
La valutazione del comportamento viene espressa per tutto il primo ciclo (lo era anche prima), mediante un giudizio
sintetico che fa riferimento allo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva e responsabile:
Rispetto delle regole della comunità scolastica (Costituzione);
Rispetto dell’ambiente di vita scolastica (Sostenibilità);
Uso corretto delle tecnologie e delle netiquette (in DaD e in DIP) – cittadinanza digitale; •
Rispetto degli altri, disponibilità alla collaborazione e all’interazione con compagni (relazione);
Partecipazione, impegno, metodo di studio.
altre dimensioni eventualmente elaborate dal Collegio Docenti (inserite nei criteri di valutazione all’interno
del PTOF): partecipazione, rispetto delle regole, responsabilità, autovalutazione, creatività, senso di
appartenenza, relazione, lessico e comunicazione, pensiero divergente.
I livelli di apprendimento (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione) sono descritti, tenendo conto
della combinazione delle dimensioni sopra definite:
Avanzato: L’ alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di
risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità.
Intermedio: L’ alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve
compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo
discontinuo e non del tutto autonomo.
Base: L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente,
sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità.
In via di prima acquisizione: L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il
supporto del docente e di risorse fornite appositamente.
Per gli obiettivi non ancora raggiunti o per gli apprendimenti in via di prima acquisizione i docenti strutturano
percorsi educativo-didattici tesi al raggiungimento degli obiettivi, coordinandosi con le famiglie nell’individuazione
di eventuali problematiche legate all’apprendimento, mettendo in atto strategie individualizzate e personalizzate.
L’ottica è quella della valutazione nella prospettiva di apprezzamento e non di misurazione e come sommatoria degli
esiti delle prove, ma come valutazione formativa allargando lo sguardo valutativo sia verso il prodotto, sia verso il
processo, cioè PER l’apprendimento che “precede, accompagna, segue” ogni processo curricolare e deve consentire
di valorizzare i progressi negli apprendimenti degli allievi e il processo di apprendimento educativo”, assume una
preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento
continuo; documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle
acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
In conclusione, il momento valutativo NON sarà inteso come classificatorio e sanzionatorio, ma come regolatore del
processo di insegnamento-apprendimento e questo documento vuole comunicare il concetto di valutazione dialogata
con le famiglie e con una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di
stimolo/motivazione al miglioramento continuo.
La riforma della valutazione è un’occasione per promuovere una vera cultura della valutazione e sottolineare la cura
del processo di apprendimento, per cui la sfida per la valutazione è costruire concetti prima di costruire strumenti
(scheda di valutazione).
Allora, quale concetto di valutazione vogliamo portare avanti? Quali scopi vogliamo assegnare alla valutazione?
Il passaggio dai voti al giudizio descrittivo comporta la sfida di combattere la povertà informativa del voto che
misura, ma non fornisce la spiegazione del perché e del come. La riforma mira a sradicare la concezione della
misura come fattore di qualità, per portare avanti la valutazione formativa e proattiva.
È un ritorno al passato per la scuola primaria poiché il giudizio descrittivo sottende una certa cultura della
valutazione, il voto un’altra cultura: il giudizio descrittivo va oltre la misurazione in quanto descriviamo il “come”
cioè il processo e gli obiettivi.
La nuova cultura o filosofia valutativa, che sottende questa modifica pedagogica, porta i docenti ad allargare il loro
sguardo valutativo, una sfida che porta a valutare non la persona alunno, ma il suo apprendimento, come matura e
ciò che i docenti fanno e come l’hanno fatto.
33
L’educazione civica è una materia di tipo trasversale che comprende la conoscenza e la comprensione delle strutture
e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società.
Il curricolo è di 33 ore annue e viene valutato come una disciplina a sé stante.
QUALI SONO LE LINEE GUIDA DELL’EDUCAZIONE CIVICA
Le linee guida dei contenuti dell’educazione civica si possono raggruppare in 3 macro categorie:
Costituzione, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà: la conoscenza, la riflessione sui
significati, la pratica quotidiana del dettato costituzionale rappresentano il primo e fondamentale aspetto da
trattare.
Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio: l'Agenda
2030 dell‘ONU ha fissato i 17 obiettivi da perseguire entro il 2030 a salvaguardia della convivenza e dello
sviluppo sostenibile.
Cittadinanza digitale: la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei
mezzi di comunicazione virtuali.
L’insegnamento dell’Educazione Civica è oggetto di valutazioni periodiche e finali per registrare il raggiungimento
delle competenze in uscita previste dai curricoli. Data la trasversalità e la contitolarità della disciplina, occorre
individuare un docente Coordinatore di classe che formulerà una proposta di valutazione, in sede di scrutinio, dopo
aver acquisito elementi conoscitivi dai docenti del Team. Le griglie di valutazione, elaborate dai docenti, saranno
uno degli strumenti oggettivi di valutazione, applicati ai percorsi interdisciplinari, per registrare il progressivo
sviluppo delle competenze previste nel Curricolo. Poiché la valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo
delle competenze di cittadinanza, allo Statuto delle studentesse e degli studenti, al Patto educativo di
corresponsabilità e ai Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche, nel formularla, in sede di scrutinio, si terrà
conto anche delle competenze conseguite nell’ambito dell’insegnamento di Educazione Civica.
34
CAPITOLO 6
GLI STUDENTI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
didattica su base annuale (ma flessibile e rivedibile in ogni momento) nel quale sono descritti
gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predi- sposti per l’alunno in situazione di
handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto
all’educazione e all’istruzione. È redatto dal Consiglio di classe, congiuntamente agli
operatori sanitari.
Queste documentazioni sono le tappe per la costruzione di un progetto di vita, che riguarda la
crescita personale e sociale dell’alunno con disabilità e che ha come prospettiva l’innalzamento della
qualità della sua vita, anche attraverso la predisposizione di percorsi volti sia a sviluppare il senso di
autoefficacia e sentimenti di autostima, sia a predisporre il conseguimento delle competenze
necessarie a vivere in contesti di esperienza comuni. Tutta la materia di interesse della scuola è oggi
riassunta dalle “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” (documento
trasmesso con Nota MIUR prot. 4274 del 4 agosto 2009), che costituisce una specie di “Testo unico”
per l’integrazione scolastica in Italia.
metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa.
Lo strumento di programmazione per l’alunno con DSA prende il nome di Piano didattico
personalizzato (PDP). Esso va redatto entro il primo trimestre dell’anno, anche in raccordo con la
famiglia e descrive:
– le attività didattiche individualizzate;
– le attività didattiche personalizzate;
– gli strumenti compensativi utilizzati;
– le misure dispensative adottate;
– le forme di verifica e valutazione personalizzate.
L’obbligo di adozione di strumenti compensativi e misure dispensative è contenuto nell’art. 5 della
legge n. 170/2010.
Gli strumenti compensativi sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria:
– la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
– il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della
lezione;
– i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di
testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale
correzione degli errori;
– la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
– altri strumenti più tradizionali quali tabelle, formulari, mappe concettuali ecc.
Tali strumenti sollevano l’alunno dalla prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro
esimerlo dall’impegno dello studio.
L’utilizzo di taluni strumenti informatici può essere complesso: i docenti sono chiamati a sostenerne
l’uso da parte degli alunni; la scuola può altresì organizzare attività di formazione per genitori e
alunni, ripartendone i costi sui fruitori.
Le misure dispensative consentono invece all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa
del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non sono essenziali all’apprendimento.
Esempi:
– non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via
del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura.
– gli va invece assegnato un tempo più lungo per lo svolgimento di una prova;
– le prove vanno predisposte su contenuti significativi ma ridotti nella quantità.
L’obiettivo della legge n. 170 non è quello di creare percorsi immotivatamente facilitati, bensì quello
di formulare specifici progetti che assicurino il successo formativo degli alunni con DSA.
La Legge 170/2010 e le Linee Guida insistono sul tema della didattica individualizzata e
personalizzata come strumento di garanzia del diritto allo studio: le strategie didattiche sono
essenziali per il raggiungimento del successo formativo degli alunni con DSA.
I termini individualizzata e personalizzata non sono sinonimi, anche se la discussione in merito è
articolata. Si possono proporre le seguenti definizioni:
– la didattica individualizzata lavora sullo sviluppo e sul raggiungimento delle competenze di
base garantendo a tutti gli alunni il raggiungimento degli obiettivi comuni. Individualizzato è
l’intervento calibrato sul singolo, in particolare per migliorare al- cune competenze
deficitarie o per potenziare l’automatizzazione di processi basilari.
– la didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge n.
53/2003 e nel Decreto legislativo n. 59/2004, lavora sulle potenzialità personali: offre a
ciascun alunno l’opportunità di svilupparle al meglio attraverso un lavoro in classe
diversificato. Favorisce, così, l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo
sviluppo consapevole delle sue ‘preferenze’ e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi
generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia di una varietà di
metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo
in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali etc.), l’attenzione
agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti,
nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo.
– della disabilità (handicap), il cui diritto allo studio è tutelato dalla legge n. 104/1992;
– dei DSA, il cui diritto allo studio è tutelato dalla legge n. 170/2010;
– dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.
Mentre l’individuazione degli alunni dei primi due gruppi compete ai servizi di NPI, il compito di
individuare i bisogni educativi degli alunni della terza "sotto-categoria" e di costruirne i percorsi di
personalizzazione (PDP) è affidato ai consigli di classe (nella scuola dell’infanzia e primaria ai team
dei docenti). Gli alunni con BES sono individuati sulla base di elementi oggettivi (segnalazioni degli
operatori dei servizi sociali, eventi traumatici) oppure di fondate considerazioni psicopedagogiche e
didattiche; i relativi PDP sono di durata temporanea.
Il GLH d’istituto, con funzioni di Gruppo di lavoro per l’inclusione, rileva i BES presenti nella scuola
con l’obiettivo di elaborare il Piano annuale per l’Inclusività (PAI) da sottoporre alla delibera del
collegio dei docenti nell’ambito del Piano dell’offerta formativa.
coinvolti.
Dal 2009, con l’entrata in vigore del Regolamento per la valutazione (DPR n. 122), è stato chiarito
che gli alunni stranieri vanno valutati alla stessa stregua degli alunni italiani. Nella sua formulazione,
la norma appare rigida e di difficile applicazione se la scuola non ha promosso una vera uguaglianza
di opportunità; né, del resto, elargire attestati e diplomi senza averne costruite le competenze da essi
certificate va nel senso della cittadinanza vera e attiva, né per il singolo né per la società nel suo
insieme.
Il citato art. 45 del DPR n 394/1999 prescrive che “il collegio dei docenti definisce, in relazione al
livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di
insegnamento…”. Pur non essendo legittimo ricorrere, per gli alunni stranieri, agli strumenti di
individualizzazione previsti da specifiche leggi per gli alunni con handicap o con DSA, la scuola è
chiamata alla personalizzazione dei Piani di studio (Legge n. 53/2003; D. Lgs. n. 59/2004). In questo
contesto, si prendono in considerazione il percorso dell’alunno, i passi realizzati, la motivazione e
l’impegno, le potenzialità di apprendimento dimostrate.
Il Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020 e le relative Linee Guida hanno sancito
l’ingresso nel mondo scolastico del nuovo modello nazionale di PEI insieme alle nuove modalità di
assegnazione delle misure di sostegno.
Il nuovo PEI su base ICF avrebbe dovuto essere adottato a partire dal 2021/2022, ma già dall’anno
scolastico 2020/2021 le scuole hanno provveduto alla redazione di un PEI provvisorio per gli alunni con
disabilità certificata neo iscritti o con nuova certificazione, indicando gli interventi necessari, da
verificare e riportare con le eventuali integrazioni e modifiche nel PEI dell’anno successivo.
L’alunno con disabilità verrà osservato prendendo in considerazione sia l’aspetto medico, legato quindi
direttamente alla malattia, al trauma, che quello sociale, che nasce appunto dal senso di malessere, che
avverte all’interno del suo contesto sociale, che sia la scuola, la famiglia o gli amici.
Infine l’azione formativa personalizzata fornirà all’allievo la possibilità di sviluppare le sue potenzialità e
rendere così plausibile il suo successo formativo.
La verifica finale del PEI è approvata dal GLO, acquisita e valutata dal Dirigente scolastico al fine di:
a. Formulare la richiesta complessiva d’istituto delle misure di sostegno da trasmettere al competente
Ufficio Scolastico Regionale entro il 30 di giugno;
b. formulare la richiesta complessiva d’Istituto delle misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle
didattiche, da proporre e condividere con l’Ente Territoriale.
Con la sentenza n. 9795/2021 del 14 settembre 2021, del Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio, le scuole sono chiamate ad utilizzare i modelli precedenti integrandoli però con alcune novità,
parti non rigettate dal Tar del Lazio, come ha spiegato il Ministero dell’Istruzione con una nota apposita
di chiarimento.
Il Ministero ha ricordato che “in materia, resta vigente il decreto legislativo n. 66/2017 e ss.mm..ii.. in cui
sono contenute indicazioni dettagliate al fine di assicurare la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti
nel progetto di inclusione relativamente:
a) al Piano Educativo Individualizzato-PEI (Art. 7, comma 2), con riferimento alle modalità e ai
tempi di redazione; all’individuazione degli obiettivi educativi e didattici; etc.
b) ai Gruppi per l’inclusione scolastica (Art. 9) e, nello specifico, ai GLO – Gruppi di Lavoro
Operativo per l’inclusione, con particolare riguardo alla composizione e alle sue funzioni
(comma 10) oltre che alla partecipazione degli studenti (comma 11).”
Il Ministero punta, quindi, “dare continuità all’azione educativa e didattica a favore di bambini e
bambine, alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità, nel rispetto delle norme sancite dalla Carta
Costituzionale e dell’assoluta preminenza del diritto allo studio.”
Ciò significa che si deve adottare il modello che si è adoperato fino ad oggi, però, riadattandolo a quello
che viene esplicitato dal decreto 66/17. Dunque dobbiamo aggiungere delle sezioni che riguardano il
profilo bio-psico-sociale.
41
CAPITOLO 7
LA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO
Le modalità di realizzazione del tempo pieno prevedono 2 insegnanti titolari sulla stessa classe e uno
specifico progetto formativo integrato (senza distinzione tra le attività didattiche del mattino e quelle
del pomeriggio) attivabile sulla base delle disponibilità di organico assegnate all'istituto, nonché in
presenza delle necessarie strutture e servizi.
Il tempo-scuola ordinario della primaria è svolto, invece, secondo il modello dell'insegnante unico di
riferimento, attivabile a richiesta delle famiglie, alternativo al precedente assetto del modulo e delle
compresenze, attualmente ancora molto diffuso. Di fatto l'insegnante, unico non lo è mai. La L.
169/2008 aveva l'intento di restaurare il «maestro» unico in Italia, al fine di conformarsi a quello che è
il sistema adottato prevalentemente in Europa. Ma di fatto l'insegnante non è unico bensì prevalente, in
quanto è affiancato sempre da altri colleghi specializzati (docenti di sostegno, per l'insegnamento della
lingua e della religione cattolica).
Le classi della scuola primaria sono costituite, di norma, con un numero di bambini non inferiore a 15
e non superiore a 26. Le pluriclassi sono costituite da non meno di 8 e non più di 18alunni. Le sezioni
di scuola primaria, che accolgono alunni con disabilità, sono costituite con non più di 20 alun.ni, limite
confermato dal D.Lgs. 66/2017 in materia di inclusione scolastica. Nelle scuole e nelle sezioni staccate
funzionanti nei Comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche abitate da minoranze
linguistiche possono essere costituite classi, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni
inferiore al numero minimo previsto e comunque non inferiore a 10 alunni.
L’insegnamento della lingua inglese è stato reso obbligatorio dalla Legge 53/2003. L’orario settimanale
è differenziato a seconda delle annualità: un’ora nella classe prima, due nella seconda, tre nelle
successive.
La valutazione periodica ed annuale del rendimento scolastico degli alunni, nonché la relativa
certificazione, è espressa con voti in decimi; la valutazione del comportamento è invece espressa con un
giudizio, formulato secondo le modalità deliberate dal collegio dei docenti. Anche per la religione
cattolica resta la valutazione attraverso un giudizio sintetico. Gli insegnanti di sostegno, assegnati alle
classi in cui sono inseriti alunni con certificazione di handicap, partecipano alla valutazione di tutti gli
alunni. I docenti possono deliberare all’unanimità di non ammettere un alunno alla classe successiva
soltanto in casi eccezionali debitamente motivati. II criterio della frequenza di almeno tre quarti
dell’orario annuale personalizzato non è previsto per la scuola primaria: ne consegue che la valutazione
dell’incidenza delle assenze sul profitto scolastico è rimessa al team dei docenti.
43
La scuola primaria promuove, quindi, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della
personalità; permette di acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base fino alle prime
sistemazioni logico-critiche; favorisce l'apprendimento dei mezzi espressivi, ivi inclusa
l'alfabetizzazione in almeno una lingua dell'Unione europea (jnglese) oltre alla lingua italiana; pone le
basi per l'utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e
delle sue leggi; valorizza le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo; educa i
giovani cittadini ai principi fondamentali della convivenza civile.
Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado, al termine della quinta classe, non prevede più che
gli alunni sostengano un esame.
Settimana Annuale
le
Italiano, Storia, Geografia 9 297
Attività di approfondimento in materie letterarie 1 33
Matematica e Scienze 6 198
Tecnologia 2 66
Inglese 3 99
Seconda lingua comunitaria 2 66
Arte e immagine 2 66
Scienze motorie e sportive 2 66
Musica 2 66
Religione cattolica 1 33
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Anche in questo caso l'insegnamento della religione cattolica è facoltative per le famiglie.
Il quadro orario settimanale e annuale delle discipline per gli insegnamenti della scuola secondaria di
primo grado a tempo prolungato è invece determinato come specificato nella tabella che segue.
Settimanale Annuale
Italiano, Storia, Geografia 15 495
Matematica e Scienze 9 297
Tecnologia 2 66
Inglese 3 99
Seconda lingua comunitaria 2 66
Arte e immagine 2 66
Scienze motorie e sportive 2 66
Musica 2 66
Religione cattolica l 33
Approfondimento a scelta delle scuole nelle discipline presenti 2 33/66
nel quadro orario
Le classi prime sono costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28
in caso di iscritti in eccedenza. Qualora si formi una sola classe prima, gli alunni possono essere 30. Le
classi di scuola secondaria di primo grado che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma,
con non più di 20 alunni, qualora si tratti di alunni disabili gravi.
È previsto l’insegnamento di due lingue comunitarie: la prima è obbligatoriamente l’inglese, con tre ore
settimanali; la seconda lingua ha due ore settimanali e, sulla base del Piano dell’o fferta formativa,
prevede normalmente l’opzione fra il francese, lo spagnolo ο il tedesco.
bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando
disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali», favorendo l'inclusione e
ricorrendo ad un'adeguata personalizzazione ed organizzazione degli spazi. Con il d.lgs. 65/2017 viene
progressivamente istituito il Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i
bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni (a norma dell'art. 1 commi 180 e 181 lettera e
della l.107/2015), con lo scopo di:
– promuovere la continuità del percorso educativo e scolastico, con particolare riferimento al
primo ciclo di istruzione, sostenendo lo sviluppo delle bambine e dei bambini in un processo
unitario, in cui le diverse articolazioni del Sistema integrato di educazione e di istruzione
collaborano attraverso attività di progettazione, di coordinamento e di formazione comuni;
– concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorisce l'inclusione di tutte
le bambine e di tutti i bambini attraverso interventi personalizzati e un'adeguata
organizzazione degli spazi e delle attività;
– accogliere le bambine e i bambini con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio
1992, n. 104, nel rispetto della vigente normativa in materia di inclusione scolastica;
– rispettare e accogliere le diversità ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica
italiana;
– sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie, anche attraverso organismi di
rappresentanza, favorendone il coinvolgimento, nell'ambito della comunità educativa e
scolastica;
– favorire la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e la cura delle bambine
e dei bambini, con particolare attenzione alle famiglie monoparentali;
– promuovere la qualità dell'offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con
qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione
collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale.
Gli articoli 2 e 3 descrivono i diversi servizi educativi per l'infanzia che si collegano alla scuola
dell'infanzia:
– nidi e micronidi: per bambini da 3 a 36 mesi.
– sezioni primavera per bambini da 24 a 36 mesi "aggregate, di norma, alle scuole per l'infanzia
statali o paritarie
– servizi integrativi rivolti ai bambini e alle famiglie in modo diversificato:
– spazi gioco: per bambini dai 12 ai 36 mesi, senza servizio di mensa, consentono una frequenza
flessibile fino ad un massimo di 5 ore al giorno, con la presenza di uno o più educatori.
– centri per bambini e famiglie: per bambini con un adulto accompagnatore. prevedono una
frequenza flessibile con momenti di socializzazione tra bambini e di scambi di esperienze tra i
famigliari.
– servizi educativi in contesto domiciliare: per ridotto numero di bambini da 3 e 36 mesi affidati
ad uno o più educatori.
I servizi educativi per l'infanzia sono gestiti dagli enti locali in forma diretta in convenzione con
soggetti od enti privati.
Al fine di avviare l'incremento dei servizi per l'infanzia, in continuità con la scuola dell'infanzia, specie
nelle regioni del sud dove mancano questi servizi, si prevede la creazione in ogni regione di almeno un
polo per l'infanzia (fino ad un massimo di 3) ubicato anche presso istituti comprensivi.
I nuovi poli si avvarrebbero di aree messe a disposizione dagli enti locali, di finanziamenti dell’INAIL
ed in parte dello Stato sulla base di accordi tra Regioni e Uffici Scolastici Regionali.
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CAPITOLO 8
IL SECONDO CICLO DELL’ISTRUZIONE
La scuola secondaria di secondo grado costituisce, soprattutto nell'impianto della legge 53/2003
(Riforma Moratti), il secondo ciclo dell'istruzione ed ha la finalità di preparare lo studente agli
studi universitari nonché a fornirgli un'adeguata preparazione per il mondo del lavoro.
In seguito la legge n. 40 del 2 aprile 2007 ha modificato sostanzialmente l'impianto della normativa,
lasciando però, come conquista acquisita, la pari dignità tra i percorsi del sistema dell'istruzione
secondaria superiore (licei, istituti tecnici e istituti professionali) e quelli del sistema dell'istruzione
e formazione professionale, in cui si realizza il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui
al D.lgs. 76/2005.
I provvedimenti del 2010 ridisegnarono il tradizionale “sistema a tre punte” dell’istruzione,
ripristinando le distinte identità dell’istituto professionale, dell’istituto tecnico e dei licei.
All’interno del sistema dell’istruzione rimase tuttavia la prioritaria esigenza di mantenere un nucleo
unitario di saperi e di competenze, anche al fine di favorire il passaggio e il ri-orientamento da un
percorso all’altro.
È significativo che sia le Linee guida di professionali e tecnici sia le Indicazioni per i licei
esordiscano con un non convenzionale richiamo all’Allegato A del D. Lgs. n. 226/2005:
– Linee guida 2010 per gli istituti professionali: “Il secondo ciclo di istruzione e formazione ha
come riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito dal decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
– Linee guida 2010 per gli istituti tecnici: “Il secondo ciclo di istruzione e formazione ha come
riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito dal decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
– Indicazioni nazionali 2010 dei licei: “I licei sono dotati di una propria identità culturale, che
fa riferimento al profilo educativo, culturale e professionale dello studente, a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e forma- zione di cui all’articolo 1, comma
5, del decreto legislativo n. 226/05”.
La normativa fissa, inoltre, un tetto massimo di 30-32 ore per l'orario settimanale (35 ore solo per
l'istruzione artistica). Le scuole, nell'esercizio della propria autonomia didattica e organizzativa,
possono definire unità di insegnamento non coincidenti con ore di 60 minuti per realizzare specifiche
attività didattiche (ad esempio l'alternanza scuola/lavoro), ma devono garantire agli studenti e alle
famiglie un orario complessivo di lezioni corrispondente al monte-ore annuale assegnato al corso di
studi, calcolato su ore di 60 minuti e non più di 50 come invalso nella pratica didattica della maggior
parte delle scuole. Per gli allievi il tempo di presenza in aula è, dunque, più o meno lo stesso, ma
distribuito su un minore numero di materie, in modo da consentire una maggiore concentrazione.
In sostanza, la riforma mirava ad offrire un'organizzazione più efficiente in un quadro più moderno
e semplificato, mantenendo un servizio analogo a quello precedente dal punto di vista del monte-ore
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annuale.
Gli istituti professionali sono stati oggetto nel giro di pochi anni di due radicali riforme: il D.P.R.
n. 87/2010 e il D.Lgs. n. 61/2017.
Il D.P.R. n. 87 del 15 marzo 2010 (destinato a essere progressivamente abrogato ex D.Lgs. n.
61/2017) ha definito gli istituti professionali (l.P.) quali percorsi quinquennali di articolazione del
secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.
Gli istituti professionali, in base a questo ordinamento, operano in due settori che comprendono in
totale 6 indirizzi in luogo degli originari 28. Tale composizione rispondeva a un'esigenza di
razionalizzazione e, in particolare, consentiva di evitare il rischio di sovrapposizione con l'istruzione
tecnica e soprattutto con il sistema regionale dell'istruzione e della formazione professionale.
Nel decreto legislativo n. 61 del 13 aprile 2017 di attuazione della Buona scuola (art. l, commi 180 e
181, lett. d) si legge l'intenzione di rinnovare l'identità degli istituti professionali attraverso un nuovo
PECUP, profilo educativo, culturale e professionale degli stessi I.P.; di innovarne l'assetto
organizzativo e didattico attraverso la revisione dei piani di studio, improntati anche alla
personalizzazione del percorso di apprendimento attraverso il Progetto formativo individuale (PFI).
L'applicazione del D.lgs. n. 61inizierà con le prime classi dell'anno scolastico 2018/2019. Il D.P.R.
n. 87/2010 rimarrà in vigore per le classi già istituite prima dell'anno 2018 e dunque fino al
completamento dell'anno scolastico 2022-2023.
• Dunque, al termine del primo ciclo di istruzione gli studenti che intendono proseguire con
un'istruzione di taglio professionale possono scegliere tra:
i percorsi di istruzione professionale (I.P.), di durata quinquennale, finalizzati al conseguimento del
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Il D.P.R. 31luglio 2017, n. 133 (di modifica dell'art. 5 n. 87/2010) fissa poi i criteri di definizione
dell'orario complessivo annuale degli istituti professionali.
Il D.Lgs. 61/2017 prevede 11 indirizzi in luogo dei 6 precedenti.
INDIRIZZI, ARTICOLAZIONI E OPZIONI NELL'ORDINAMEN- NUOVI INDIRIZZI DI STUDIO {validi per le prime classi a
TO PREVIGENTE {validi per le classi a completamento dei corsi di studio partire dall'anno scolastico 2018-2019}
già cominciati)
-Servizi per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (indi- rizzo) Agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del
-Gestione risorse forestali e montane (opzione) territorio e gestione delle risorse forestali e montane
-Valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli del territorio
(opzione)
- Produzioni industriali e artigianali (indirizzo), collegate al settore Pesca commerciale e produzioni ittiche
produttivo economia del mare
- Produzioni industriali e artigianali (articolazione industria) Industria e artigianato per il made in ltaly
-Arredi e forniture di interni (opzione)
- Produzioni industriali e artigianali (articolazione artigianato)
- Produzioni tessili sartoriali (opzione)
- Produzioni artigianali del territorio (opzione)
- Coltivazione e lavorazione dei materiali lapidei (opzione)
Come detto, la riforma del 2017 promuove una forte personalizzazione dei percorsi attraverso
un'organizzazione più flessibile e una più ampia autonomia didattica e gestionale. Questa
personalizzazione dei percorsi di apprendimento (cui nel biennio sono destinate ben 264 ore) si
concretizza nel Progetto formativo individuale (PFI) elaborato dal Consiglio di classe entro il 31
gennaio del primo anno. Il PFI va aggiornato durante il percorso scolastico e si basa su un bilancio
personale di sa peri e competenze acquisiti in modo sia formale che informale. I percorsi di studio sono
strutturati in unità di apprendimento (UdA). Le unità di apprendimento costituiscono il riferimento
per la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti posseduti dalla studentessa e dallo
studente, nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione.
Dal punto di vista didattico, le attività e gli insegnamenti nel biennio sono aggregati in assi
culturali che raccolgono insegnamenti fra loro omogenei e irrinunciabili in quanto consentono di
acquisire le competenze chiave di cittadinanza rientranti nell'obbligo scolastico.
Le scuole, poi, sulla base del Progetto formativo individuale, articolano il primo biennio in periodi
didattici che si concretizzano attraverso l'utilizzo di metodologie didattiche induttive da adottare
nell'ambito delle esperienze laboratoriali, anche con la definizione di analisi e soluzioni di casi
concreti. Molta importanza è data anche all'alternanza scuola-lavoro e all'organizzazione didattica
per unità di apprendimento, agevolano così il più possibile i passaggi ad altri percorsi di istruzione e
formazione.
La quota di autonomia, da utilizzare nell'ambito dell'organico dell'autonomia, sul monte ore
generale resta invariata, è cioè pari al 20%, sia nel biennio che nel triennio; tale quota di autonomia è
destinata a potenziare gli insegnamenti obbligatori con particolare riferimento alle attività
laboratoriali, nonché gli spazi di flessibilità, intesa quale possibilità di articolare gli indirizzi del
triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell'orario complessivo previsto per il terzo, quarto
e quinto anno.
Per l'attuazione dell'autonomia sono previsti altri strumenti, tra i quali: stipula di contratti d'opera
con esperti del mondo del lavoro; partenariati per il miglioramento dell'o fferta formativa; sviluppo
di attività e progetti di orientamento scolastico ed inserimento nel mondo del lavoro, con
l'apprendistato di primo livello.
La possibilità del passaggio tra i sistemi è diretta a consentire agli studenti di seguire un percorso
personalizzato di crescita più rispondente alle proprie potenzialità anche cambiando la scelta
iniziale. La norma prevede che i passaggi degli studenti tra i percorsi di istruzione professionale e i
percorsi di istruzione e formazione professionale siano attivati su domanda dello studente e non
avvengano in maniera automatica ma tengano conto dei risultati di apprendimento; inoltre, il
passaggio reciproco tra percorsi di istruzione professionale e quelli di leFP non sono irreversibili ma
prevedono che te scuole e gli istituti formativi progettino modalità di inserimento graduale nel nuovo
percorso.
Il Ministero declinerà con decreto i profili di uscita e i risultati di apprendimento
e la correlazione tra qualifiche e diplomi professionali leFP da un lato e gli indirizzi dei percorsi
dell'istruzione professionale dall'altro, per consentire i passaggi tra sistemi formativi.
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L’orario complessivo annuale è quindi determinato in 1.056 ore, traducibili in 32 ore settimanali di
lezione, comprensive della quota riservata alle Regioni e dell’insegnamento della religione cattolica. Le
32 ore corrispondono in termini effettivi alle 36-38 ore di 50 minuti della maggior parte dei corsi del
precedente ordinamento. Le metodologie adottate si basano su:
– la didattica di laboratorio, l’analisi e la soluzione dei problemi, il lavoro per progetti;
– la gestione dei processi in contesti organizzati, ricorrendo a modelli e linguaggi specifici;
– il collegamento organico con il mondo del lavoro e delle professioni, compresi il volontariato
e il privato sociale;
– il ricorso a stage, tirocini e alternanza scuola lavoro.
La finalità guarda alla formazione complessiva della persona: “in sintesi, occorre valorizzare il metodo
scientifico e il sapere tecnologico, che abituano al rigore, all’onestà intellettuale, alla libertà di
pensiero, alla creatività, alla collaborazione, in quanto valori fonda- mentali per la costruzione di una
società aperta e democratica. Valori che, insieme ai principi ispiratori della Costituzione, stanno alla
base della convivenza civile” (Linee guida, pag. 7). Il Regolamento dell’autonomia (art. 8, c. 2, del
DPR n. 275/1999) prevede che “le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’o fferta formativa
il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare la quota definita a livello nazionale con
la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte”.
Nello specifico, gli istituti tecnici possono utilizzare la quota di autonomia pari al 20% dei curricoli,
nell’ambito degli indirizzi definiti dalle Regioni e in coerenza con il profilo di uscita:
– per potenziare gli insegnamenti obbligatori (in particolare le attività di laboratorio);
– per attivare ulteriori insegnamenti coerenti con gli obiettivi del POF.
Nelle aree di indirizzo, per corrispondere alle esigenze espressi dal mondo del la- voro e delle
professioni, la quota di flessibilità può salire al 30% nel secondo biennio e al 35% nell’ultimo anno.
Con la riforma gli indirizzi degli istituti tecnici sono passati da 39 (più le sperimentazioni) a 11. Essi
sono così suddivisi: 2 indirizzi nel settore economico e 9 nel settore tecnologico (quasi tutti con
articolazioni nel triennio). Fanno parte del “Regolamento recante norme per il riordino degli istituti
tecnici” (DPR n. 88/2010):
– Allegato A - Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione per gli Istituti Tecnici;
– Allegato B - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore economico;
– Allegato C - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore tecnologico;
– Allegato D - Tabella di confluenza dei percorsi degli istituti tecnici previsti dall’ordinamento
previgente (art. 8, c. 1).
Per la programmazione educativa e didattica i riferimenti fondamentali sono:
– la Direttiva n. 57 del 15 luglio 2010, Linee guida per il passaggio al nuovo ordina- mento
(riporta la Declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze e abilità per il primo
biennio);
– la Direttiva n. 4 del 16 gennaio 2012, Linee guida per il secondo biennio e quinto anno per i
percorsi degli istituti tecnici.
Dopo il completamento degli studi secondari i diplomati degli istituti professionali, oltre alle
opportunità del lavoro e dell’iscrizione all’università, hanno le seguenti possibilità:
– percorsi brevi di 800/1000 ore per conseguire una specializzazione tecnica superiore (IFTS) per
rispondere ai fabbisogni formativi del territorio;
– percorsi biennali per conseguire un diploma di tecnico superiore nelle aree tecno- logiche più
avanzate presso gli Istituti Tecnici Superiori (ITS), in via di costituzione.
Rinviamo ai testi che a questi temi sono stati dedicati nella trattazione relativa all’istituto
professionale.
8.1. 4. I licei
Le Indicazioni nazionali dei licei sono state emanate con Decreto 7 ottobre 2010, n. 211: un testo
ponderoso, di oltre 400 pagine, che fornisce finalità e indirizzi sia al complesso della formazione liceale
sia ai singoli percorsi. Diamo al lettore una serie di rimandi pratici, al fine di orientarsi in un testo
estremamente complesso che possiamo qui presentare solo per sommi capi:
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L’orario complessivo annuale non è determinato in misura uguale, variando per ciascuno dei percorsi e,
all’interno di ognuno di essi tra il primo biennio e il triennio conclusivo, composto a sua volta da secondo
biennio e ultimo anno. Esemplificando:
Nel quinto anno dei licei è previsto l’insegnamento di una disciplina non linguisti- ca in una lingua
straniera (CLIL, Content and Language Integrated Learning: per la trattazione si rinvia alla sezione sui
documenti europei). Nel liceo linguistico, data la sua particolare vocazione, è previsto un duplice
insegnamento CLIL:
– dal primo anno del secondo biennio per il primo;
– dal secondo anno del secondo biennio per il secondo.
Fonti regolamentari per i licei
Fanno parte del “Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
dei licei” (DPR n. 89/2010):
– Allegato A - Profilo educativo, culturale e professionale dei Licei;
– Allegato B - Piano degli studi del liceo artistico (per i sei indirizzi);
– Allegato C - Piano degli studi del liceo classico;
– Allegato D - Piano degli studi del liceo linguistico;
– Allegato E - Piano degli studi del liceo musicale e coreutico (per le due sezioni);
– Allegato F - Piano degli studi del liceo scientifico (con l’opzione: scienze applicate);
– Allegato G - Piano degli studi del liceo delle scienze umane (con l’opzione economico-
sociale);
– Allegato H - Insegnamenti attivabili sulla base del POF nei limiti dell’organico assegnato;
– Allegato I - Tabella di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore, previsti
dall’ordinamento previgente, nei percorsi liceali del nuovo ordinamento;
– Allegato L - Tabella di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di Istruzione
secondaria di secondo grado dell’ordinamento previgente con i titoli di studio in uscita dai
percorsi liceali del nuovo ordinamento
Costituiscono testo fondamentale per l’azione educativa e didattica le “Indicazioni nazionali
riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti
compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali”, emanate con DM 7 ottobre 2010, n. 211.
I percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell'istituzione
scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive
associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con
gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per
periodi di apprendimento, al fine di correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed
economico del territorio. Nell’ambito del progetto di ASL, riveste particolare importanza la funzione
tutoriale personalizzata per gli studenti in alternanza che è svolta dal docente tutor interno e dal tutor
esterno. Fra i due è necessario sviluppare un rapporto di “forte interazione”, per definire gli aspetti
organizzativi e didattici, per garantire il monitoraggio del percorso, per verificare e attestare le
competenze acquisite. Il tutor interno ha anche il compito di rapportarsi agli organi scolastici preposti
(dirigente scolastico, funzione strumentale, dipartimenti, collegio docenti, comitato tecnico scientifico
o comitato scientifico), di informare il consiglio di classe sullo svolgimento dei percorsi e fornire gli
elementi utili alla valutazione dei risultati di apprendimento conseguiti dagli studenti. A
conclusione dell’anno scolastico, i docenti del consiglio di classe sono tenuti, infatti, a valutare tre
aspetti: la ricaduta sugli apprendimenti disciplinari, sul voto di condotta e sull’attribuzione dei crediti
per l’esame di stato, in base ai report di valutazione in itinere e finali del tutor interno, del tutor esterno
e della certificazione finale. Con il Decreto Interministeriale D. I. 195 DEL 3.11.2017 ovvero la “Carta
dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola lavoro” sono stati normati i diritti e i correlati
doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza; con particolare riguardo alla possibilità per lo
studente di esprimere una valutazione sull'efficacia e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio
indirizzo di studio. Gli studenti impegnati nei percorsi di alternanza hanno diritto ad: un ambiente di
apprendimento favorevole alla crescita della persona, una formazione qualificata, una formazione
coerente con l’indirizzo di studio seguito, una formazione che rispetti e valorizzi l’identità di ciascuno.
L’alunno deve poi esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza del percorso di alternanza
effettuato rispetto al proprio indirizzo di studio, anche ai fini orientativi, sia durante lo svolgimento del
percorso, sia alla sua conclusione.
Gli studenti, durante i periodi di alternanza, sono tenuti a: rispettare le regole di comportamento,
funzionali e organizzative della struttura presso la quale è svolto il periodo di alternanza, rispettare il
regolamento degli studenti dell’istituzione scolastica di appartenenza, garantire l’effettiva frequenza
delle attività formative erogate dal soggetto ospitante, che sono parte integrante del curricolo
scolastico, rispettare le norme in materia di igiene, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, relazionare al
termine dell’attività di alternanza in merito all’esperienza svolta. I genitori hanno diritto ad una ampia e
dettagliata informazione sul progetto e sulle sue finalità educative e formative; sul percorso formativo
personalizzato in cui vengono declinati le competenze attese e sugli obblighi che derivano dall’attività
in contesto lavorativo. I percorsi di alternanza sono realizzati per gli studenti con disabilità in modo da
promuovere l’autonomia nell’inserimento nel mondo del lavoro. Ai sensi dell’art. 7 c. 2 lettera e) del
D. Lgs. 66/2017 il Piano educativo individualizzato (P.E.I.) definisce gli strumenti per l’effettivo
svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel
progetto di inclusione. Il D. Lgs. n° 77 del 15 aprile 2005 evidenziava inoltre, che i periodi di
apprendimento mediante esperienze di lavoro sono dimensionati, per i soggetti disabili, in modo da
promuoverne l'autonomia anche ai fini. Il patto educativo di corresponsabilità, previsto dall’articolo 5-
bis dello Statuto delle studentesse e degli studenti (Decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno
1998, n. 249), definisce nel dettaglio, anche i diritti e i doveri degli studenti e dei soggetti con
responsabilità genitoriale nel rapporto con l’istituzione scolastica e con gli enti presso i quali è svolto il
percorso di alternanza. Con D.P.R. 24-6-1998, n. 249, integrato e modificato poi con D.P.R. 235/2007,
è stato approvato lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria che si propone
quale carta dei diritti e dei doveri degli alunni. Lo statuto recepisce e sviluppa le indicazioni
emergenti dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo ratificata con L. 27-5-1991, n. 176.
Sotto altro profilo, lo statuto rappresenta una tappa del processo autonomistico awiato dalle istituzioni
scolastiche in quanto tratteggia le fondamenta di una scuola che non è solo luogo di studio e di
apprendimento, ma costituisce una comunità complessa le cui componenti- docenti, studenti, genitori-
sono integrate fortemente tra di• loro in un rapporto fondato sulla libertà e la responsabilità. Ogni
istituto scolastico deve integrare questo documento, sviluppando un proprio regolamento (Regolamento
d'istituto) (vedi Cap. 7), il cui obiettivo è quello di definire le relazioni tra gli studenti e le altre
componenti della scuola. Più precisamente l'art. 2 D.P.R. 249/1998 definisce la scuola come comunità
di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale informata ai valori democratici e volta alla
57
crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei
ruoli opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo
sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio. Concretamente, la
comunità scolastica, interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di cui è parte, fonda il suo
progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente, contribuisce allo
sviluppo della personalità dei giovani, anche attraverso l'educazione alla consapevolezza e alla
valorizzazione dell'identità di genere, del loro senso di responsabilità e della loro autonomia
individuale e persegue il raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati all'evoluzione
delle conoscenze e all'inserimento nella vita attiva. La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà
di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la
compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e
culturale. Ciò comporta che nel rapporto insegnante-alunno ciascuna delle componenti è titolare di
diritti e centro di imputazione di doveri.
Il triennio è articolato in un terzo, quarto e quinto anno. Per ciascun anno del triennio, l’orario
scolastico è di 1056 ore, articolate in: 462 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale e 594 ore
di attività e insegnamenti di indirizzo
Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale sono dotate di un u fficio
tecnico, senza ulteriori oneri di funzionamento se non quelli previsti nell’ambito delle risorse
disponibili a legislazione vigente, le funzioni relative agli u ffici tecnici sono svolte dagli insegnanti
tecnico-pratici.
Il consiglio di classe entro il 31 gennaio del primo anno di frequenza redige per ciascuna studentessa e
per ciascuno studente il “Progetto formativo individuale”.
Il dirigente scolastico, sentito il consiglio di classe, individua, all’interno di quest’ultimo, i docenti che
assumono la funzione di tutor per sostenere le studentesse e gli studenti nell’attuazione e nello sviluppo
del Progetto formativo individuale. L’attività di tutorato è svolta dai docenti designati nell’ambito delle
risorse disponibili presso l’istituzione scolastica a legislazione vigente.
I percorsi sono organizzati per unità di apprendimento. Nel primo biennio, una quota, non superiore a
264 ore, è destinata, nei limiti degli assetti ordinamentali e delle consistenze di organico previste dalla
normativa vigente:
– alla personalizzazione degli apprendimenti,
– alla realizzazione del progetto formativo individuale
– allo sviluppo della dimensione professionalizzate delle attività di alternanza scuola-
lavoro Per l’attuazione dell’Autonomia le istituzioni scolastiche possono:
– utilizzare la quota di autonomia del 20 per cento dell’orario complessivo del biennio, nonché
dell’orario complessivo del triennio
– utilizzare gli spazi di flessibilità entro il 40 per cento dell’orario complessivo previsto per il
terzo, quarto e quinto anno,
– stipulare contratti d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle professioni nel limite delle
risorse disponibili a legislazione vigente
– costituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, i dipartimenti quali
articolazioni funzionali del collegio dei docenti
– dotarsi di un comitato tecnico-scientifico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, composto da docenti e da esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della
ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per l’organizzazione
delle attività e degli insegnamenti di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di autonomia e
flessibilità.
I “nuovi” percorsi di istruzione professionale saranno attivati a partire dalle classi prime funzionanti
nell’anno scolastico 2018/2019.
Previa intesa in conferenza Stato-Regioni, recepita in apposito decreto interministeriale, e successivi
accordi tra la regione e l’Ufficio scolastico regionale, le istituzioni scolastiche che o ffrono percorsi di
istruzione professionale possono attivare, in via sussidiaria, previo accreditamento regionale percorsi di
istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del diploma professionale
quadriennale.
I passaggi tra i percorsi di istruzione professionale e percorsi di istruzione e formazione professionale è
effettuato esclusivamente a domanda della studentessa e dello studente.
Viene istituita la “Rete nazionale delle scuole professionali” allo scopo di ra fforzare gli interventi di
supporto alla transizione dalla scuola al lavoro e di di ffondere e sostenere il sistema duale realizzato in
alternanza scuola-lavoro e in apprendistato, di cui fanno parte le istituzioni scolastiche statali o paritarie
che offrono percorsi di istruzione professionale e le istituzioni
Al decreto si riferiscono anche i seguenti allegati:
– nell’allegato A è riportato il nuovo “profilo educativo, culturale e professionale” (PECUP),
comune a tutti gli indirizzi,
– nell’allegato B sono riportati i quadri orari dei nuovi indirizzi di studio,
– nell’allegato C sono riportate le tabelle sulla “confluenza” degli indirizzi, articolazioni ed
opzioni già̀ presenti nell’ordinamento stabilito nel d.p.r. n. 87/2010, all’interno dei nuovi 11
indirizzi di studio (vedi comma 2).
59
CAPITOLO 9
I DOCUMENTI EUROPEI
I settori dell’istruzione e della formazione non sono di competenza dell’Unione: di- fatti, nel Trattato
sull’Unione europea (1992 e successivi), non si menziona alcuna politica comunitaria in materia. La
legittimazione a interventi nella sussidiarietà è contenuta nell’art. 126, il quale recita: “la Comunità
contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione
tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della
responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e
l’organizzazione del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”. Il
susseguente art. 127 statuisce la politica comunitaria di supporto alla formazione professionale “che
rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi
ultimi per quanto riguarda il contenuto e l’organizzazione della formazione professionale”. Ne
deriva che in materia di educazione la Comunità può svolgere solo un ruolo sussidiario e di sostegno
alle politiche nazionali.
Gli Stati membri, sovrani in materia d’istruzione e formazione, cooperano all’interno del quadro
europeo per il perseguimento di fini condivisi. Infatti, l’UE ritiene che sia negativo avere un unico
sistema di istruzione, poiché le diversità culturali sono una preziosa ricchezza per l’Europa: quindi i
sistemi di istruzione sono e rimarranno di competenza nazionale. Appare allora più saggio far
dialogare queste diversità, sia sul piano tecnico (ad esempio con il riconoscimento dei titoli di
studio) sia su quello culturale (favorendo incontri tra giovani in un ambiente guidato).
Tuttavia, se il Trattato prevede che i sistemi di istruzione siano di competenza degli Stati, gli
obiettivi da raggiungere sono da un ventennio materia di strategie comuni concordate al livello del
Consiglio dei ministri dell’istruzione dell’Unione europea se non addirittura al livello del Consiglio
europeo. È corretto quindi parlare non di politica comune dell’istruzione bensì di cooperazione nel
settore dell’educazione, sulla base del principio di sussidiarietà.
LE OTTO DESCRIZIONE
COMPETENZE
competenza alfabetica Le persone dovrebbero possedere l'abilità di comunicare in forma orale e scritta in
funzionale tutta una serie di situazioni e di sorvegliare e adattare la propria comunicazione in
funzione della situazione. Questa competenza comprende anche la capacità di
distinguere e utilizzare fonti di diverso tipo, di cercare, raccogliere ed elaborare
informazioni, di usare ausili, di formulare ed esprimere argomentazioni in modo
convincente e appropriato al contesto, sia oralmente sia per iscritto. Essa comprende il
pensiero critico e la capacità di valutare informazioni e di servirsene (pag. 16)
competenza multilinguistica Questa competenza richiede la conoscenza del vocabolario e della grammatica
funzionale di lingue diverse e la consapevolezza dei principali tipi di interazione
verbale e di registri linguistici. È importante la conoscenza delle convenzioni sociali,
dell'aspetto culturale e della variabilità dei linguaggi (pag. 17).
61
competenza digitale La competenza digitale presuppone l'interesse per le tecnologie digitali e il loro
utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e
partecipare alla società. Essa comprende l'alfabetizzazione informatica e digitale, la
comunicazione e la collaborazione, l'alfabetizzazione mediatica, la creazione di
contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l'essere a
proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cibersicurezza),
le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero
critico (pag. 20).
competenza personale, La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare consiste nella
sociale e capacità di capacità di riflettere su sé stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di
imparare a imparare lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il
proprio apprendimento e la propria carriera. Comprende la capacità di far fronte
all'incertezza e alla complessità, di imparare a imparare, di favorire il proprio
benessere fisico ed emotivo, di mantenere la salute fisica e mentale, nonché di essere
in grado di condurre una vita attenta alla salute e orientata al futuro, di empatizzare e
di gestire il conflitto in un contesto favorevole e inclusivo (pag. 21).
competenza in materia di La competenza in materia di cittadinanza si riferisce alla capacità di agire da cittadini
cittadinanza responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla
comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre
che dell'evoluzione a livello globale e della sostenibilità. (...) Per la competenza in
materia di cittadinanza è indispensabile la capacità di impegnarsi e fficacemente con gli
altri per conseguire un interesse comune o pubblico, come lo sviluppo sostenibile della
società (pagg. 22-23).
competenza in materia di Questa competenza richiede la conoscenza delle culture e delle espressioni locali,
consapevolezza ed nazionali, regionali, europee e mondiali, comprese le loro lingue, il loro patrimonio
espressione culturali espressivo e le loro tradizioni, e dei prodotti culturali, oltre alla comprensione di come
tali espressioni possono influenzarsi a vicenda e avere e ffetti sulle idee dei singoli
individui (pag. 25).
Per comprendere l'evoluzione avvenuta nei dodici anni che separano la prima versione da quella
attuale è utile una lettura sinottica: essa mette in risalto l'avvenuto allargamento degli orizzonti,
sviluppando l'attenzione alla complessità dei contesti e delle funzioni ed evitando le semplificazioni
delle metodologie e dei programmi propri dell'istruzione formale.
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Il testo della Raccomandazione, per ciascuna delle otto competenze, offre una descrizione articolata
che, a partire da una prima definizione, passa a descriverne "Conoscenze, abilità e atteggiamenti
essenziali".
Rinviando a studi dedicati l'analisi sistematica delle proposte e del loro impatto nei contesti
dell'istruzione formale e informale nonché dell'apprendimento esteso a tutto l'arco della vita, ci
limitiamo qui a qualche spunto di lettura per un inizio di riflessione sulle proposte insite nella
Raccomandazione 2018.
L'ultima parte del documento europeo è dedicata alle misure di sostegno allo sviluppo delle
competenze chiave. Essendo queste costituite da una combinazione dinamica di conoscenze, abilità e
atteggiamenti che il discente deve sviluppare lungo tutto il corso della sua vita, le occasioni di sviluppo
possono presentarsi in tutti i contesti educativi, formativi e di apprendimento nel corso della vita.
dedicarsi prima all’apprendimento e poi passare alla pratica”, stimolando la fiducia dei giovani e di
coloro che non avevano ottenuto “buoni risultati linguistici nell’apprendimento formale organizzato
nell’ambito del sistema generale”. Oggi, infatti, la didattica di tipo CLIL – cioè un insegnamento in
cui le lezioni si svolgono in almeno due lingue diverse – fa parte dell’o fferta formativa a livello
primario e secondario nella maggior parte dei Paesi della UE.
Nella scuola italiana l’introduzione del CLIL ha trovato attuazione nei recenti Regolamenti per il
riordino degli istituti tecnici e dei licei (DPR n. 88 e n. 89 del 15 marzo 2010): nell’ultimo anno dei
licei e degli istituti tecnici l’insegnamento di una disciplina non linguistica sarà impartito in lingua
straniera.
Nei licei linguistici il CLIL avrà decisamente più spazio:
– l’insegnamento di una disciplina non linguistica in una prima lingua comincerà già a partire
dal terzo anno;
– dal quarto anno, una seconda materia sarà veicolata in altra lingua.
Per quanto concerne, invece, gli istituti professionali, il relativo DPR n. 87/2010 non prevede
l’esplicito inserimento nel quadro orario di moduli CLIL, anche se è possibile utilizzare la quota di
autonomia per consolidare esperienze già avviate.
Per avviare i CLIL, a partire dall’a.s. 2012-2013, sono necessari docenti preparati e che
posseggano non solo competenze disciplinari, ma anche competenze interculturali e linguistico-
comunicative in una lingua straniera. Per tal motivo il Regolamento per la formazione iniziale degli
insegnanti (D.M. n. 249/2010) ha previsto, all’art. 14, il percorso per la formazione di docenti CLIL
attraverso corsi di perfezionamento a cui possono accedere docenti in possesso di abilitazione per
l’insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado e di competenze certificate nella lingua
straniera corrispondenti almeno al Livello C1 del QCER: i corsi saranno attivati presso le università
su autorizzazione del Ministero.
da altri paesi a favore della costituzione di una forza lavoro europea mobile e flessibile. Dal punto di
vista del cittadino, intende garantire un maggior livello di “portabilità” delle qualifiche e delle
competenze in Europa, in funzione di una più ampia possibilità di vagliare le opportunità lavorative e
le proposte di istruzione e formazione dei diversi Paesi europei.
CAPITOLO 10
DOCENTE: STATO GIURIDICO E FUNZIONE
– Art. 1 dello stato giuridico: “Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della
scuola stabiliti dalle leggi dello Stato, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento.
L’esercizio di tale libertà è inteso a promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni
culturali la piena formazione della personalità degli alunni. Tale azione di promozione è
attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi”.
La libertà d’insegnamento consiste nel garantire il docente contro ogni costrizione o
condizionamento da parte dei pubblici poteri. La sua espressa formulazione nella Costituzione deriva
dalla tragica esperienza nell’Europa della prima metà del XX secolo, quando i sistemi totalitari
asservirono l’individuo allo Stato, la cultura alla propaganda, la scienza alle politiche di dominio, la
scuola all’indottrinamento ideologico.
La libertà d’insegnamento si riferisce alle più alte elaborazioni dell’uomo, non alla veicolazione
nella scuola di ogni e qualsiasi pensiero soggettivo. Il corretto esercizio della libertà d’insegnamento
si integra con altri diritti, pure di rango costituzionale, che fanno capo ad altri soggetti. Infatti la
libertà d’insegnamento è finalizzata alla realizzazione delle libertà e dei diritti dei discenti: anzitutto
del diritto all’apprendimento. Esso è anzitutto:
– diritto di accedere liberamente al sistema scolastico: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34, 1º
c. Cost.);
– diritto all’eguaglianza dei punti di partenza: “È compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, (…) impediscono il pieno sviluppo della persona
umana (…)” (art. 3, comma 2, Cost.).
Infine, la libertà d’insegnamento rispetta la libertà di scelta educativa della famiglia perché:
– essa è “società naturale fondata sul matrimonio”: donde l’assoluta autonomia del nucleo
familiare (società nella società) nei confronti dello Stato (art. 29 Cost.);
– i genitori hanno primariamente “dovere e diritto” di “mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori dal matrimonio” (art. 30 Cost.).
Si noti che:
– il consueto ordine nella sequenza diritto-dovere è invertito, a segnare, in capo ai genitori, la
pregnanza del dovere;
– il compito dello Stato democratico non è quello di educare ma quello di mettere le famiglie
in condizione di educare i figli fornendone le opportunità in regime di sussidiarietà;
– alla scuola è dato il compito di elaborare la proposta educativa e didattica.
Nella scuola spetta all’intera comunità la promozione dei diritti costituzionalmente tutelati:
“L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo
culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione,
formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla
domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire
loro il successo formativo (…)” (DPR n. 275/1999, art. 1). Il contemperamento nella scuola dei
diritti costituzionali è compito precipuo del dirigente scolastico: “Il dirigente scolastico promuove
gli interventi (…) per l’esercizio della libertà di insegnamento (…), per l’esercizio della libertà di
scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli
alunni” (art. 25 D. Lgs. n. 165/2001).
10.1.3. La funzione docente
Lo stato giuridico del 1974, dopo aver esordito con il principio della libertà d’insegnamento (art. 1),
all’art. 2 delinea la nuova identità della connessa funzione. Essa viene anzitutto declinata come
esplicazione dell’attività di:
– trasmissione della cultura;
– contributo alla elaborazione di essa;
– impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della
loro personalità.
Mediante la trasmissione della cultura a opera dell’insegnante, i giovani interiorizzano il patrimonio
di conoscenze e di valori elaborati dalle generazioni che li hanno preceduti e si inseriscono
attivamente in tale processo. Ricordiamo le parole di Ignazio di Antiochia (II secolo dopo Cristo):
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“Si educa con ciò che si dice; di più, si educa con ciò che si fa; ancor più si educa con ciò che si è ”.
Nel CCNL del comparto scuola l’art. 27 così delinea il profilo professionale del docente.
Il profilo è costituito da competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche,
organizzativo- relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione. Le competenze sono tra loro
correlate e correlate ed interagenti; implicano interagenti un intrinseco sviluppo mediante: maturazione
dell'esperienza didattica, l'attività di studio e di ◦sistematizzazione della pratica didattica.
I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli
obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati
nel piano dell’offerta formativa della scuola” (art. 27).
Dalla lettura dell’art. 27 del CCNL, le competenze dell’insegnante appaiono riferibili a tre aree:
– l’area delle competenze disciplinari, da aggiornare con l’attività di studio, così che il docente
sia in grado di collocare finalità e obiettivi di apprendimento della propria disciplina
all’interno delle finalità del sistema scuola;
– l’area delle competenze psico-pedagogiche e relazionali, così che il docente sia in grado di
individuare i diversi stili e ritmi di apprendimento e di gestire costruttivamente le relazioni
all’interno della classe, nella consapevolezza che i messaggi di “contenuto” sono sempre
messaggi di “relazione” e che la comunicazione non è centrata su “quello che io voglio dire”,
ma su “quello che l’altro capisce”;
– l’area delle competenze organizzative, così che il docente sia in grado di costruire il progetto
educativo nella collegialità e attuarlo nel contesto dato, seguendo le regole e lo stile di lavoro
della scuola pubblica. Il profilo giuridico del docente nell’Art. 395 del testo unico
dell’istruzione 297 del 1994: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale
dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso
alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della
personalità».
Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività
funzionali alla prestazione di insegnamento. Nell’ambito del calendario scolastico delle lezioni
definito a livello regionale, l'attività d’insegnamento si svolge in 25 ore settimanali nella scuola
dell’infanzia, in 22 ore settimanali nella scuola elementare e in 18 ore settimanali nelle scuole e
istituti d'istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali.
Alle 22 ore settimanali di insegnamento stabilite per gli insegnanti elementari, vanno aggiunte 2 ore
da dedicare, anche in modo flessibile e su base plurisettimanale, alla programmazione didattica da
attuarsi in incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l'orario delle
lezioni. (CCNL 2016/8 ART.28 - ATTIVITÀ DI INSEGNAMENTO)
L’attività funzionale all’insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente
previsto dai diversi ordinamenti scolastici. Essa comprende tutte le attività, anche a carattere
collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento
e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle
riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi. Tra gli adempimenti individuali
dovuti rientrano le attività relative: a) alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; b) alla
correzione degli elaborati; c) ai rapporti individuali con le famiglie.
Le attività di carattere collegiale riguardanti tutti i docenti sono costituite da: a) partecipazione alle
riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l'attività di programmazione e verifica di inizio e fine
anno e l'informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e
sull'andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative, fino a 40
ore annue; b) la partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di
intersezione. Gli obblighi relativi a queste attività sono programmati secondo criteri stabiliti dal
collegio dei docenti; nella predetta programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio
degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere un impegno fino a 40
ore annue; c) lo svolgimento degli scrutini e degli esami, compresa la compilazione degli atti relativi
alla valutazione (CCNL 2016/18 ART.29 - ATTIVITÀ FUNZIONALI ALL’INSEGNAMENTO).
L’art. 60 del DPR n. 3/1957 dispone che l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né
alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società
costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è
riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente. L’art. 53 del
D. Lgs. n. 165/2001 conferma tale incompatibilità per tutti i dipendenti pubblici. Per assumere
particolari incarichi da parte di enti pubblici o di privati, il dipendente deve essere preventivamente
autorizzato. L’eccezione rispetto al criterio costituzionale dell’esclusività del lavoro pubblico è
costituita dalla scelta del part time non superiore al 50%. Infatti i dipendenti delle PA possono
esercitare le libere professioni o svolgere altra attività purché optino per il regime di part time con
prestazione lavorativa non superiore al 50% rispetto a quella prevista per il tempo pieno (art. 53, c. 6,
D. Lgs. n. 165/2001). La norma introduce una significativa attenuazione del dovere di esclusività per
chi opta per l’orario di lavoro non superiore alla metà di quello ordinario: la regola da applicare in
questi casi è che la doppia attività è consentita, mentre il diniego ha carattere residuale (attività in
conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente). Il dipendente è tenuto
a presentare alla propria amministrazione di servizio la richiesta di autorizzazione allo svolgimento
del secondo lavoro.
Esistono, inoltre, norme particolari per i docenti, che derogano dal criterio assoluto
dell’incompatibilità. Previa autorizzazione del dirigente scolastico e previa verifica della
compatibilità con l’orario di insegnamento e di servizio, il docente può:
– esercitare libere professioni che non siano di pregiudizio alla funzione docente (art. 508 TU);
– impartire lezioni private ad alunni di altri istituti (non del proprio);
– accettare incarichi di docenza entro il limite di 6 ore settimanali (art. 35 CCNL).