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INDICE

1. AUTONOMIA SCOLASTICA
1.1.1. L’autonomia scolastica e l’organizzazione del sistema scolastico
1.1.2. Il piano dell’offerta formativa
1.1.3. I profili dell’autonomia didattica e organizzativa
1.1.4. L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo
1.1.5. L’autonomia di associarsi in rete
1.1.6. Le competenze amministrative attribuite alle scuole
1.1.7. La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema

2. GLI ORGANI COLLEGIALI D’ISTITUTO


2.1.1. Gli organi collegiali dell’istituzione scolastica e la loro funzione
2.1.2. Il consiglio di circolo o d’istituto
2.1.3. La giunta esecutiva
2.1.4. Il collegio dei docenti
2.1.5. I dipartimenti
2.1.6. Il comitato tecnico-scientifico
2.1.7. Il comitato per la valutazione dei docenti
2.1.8. Il consiglio di intersezione, di interclasse e di classe
2.1.9. Le assemblee dei genitori e degli studenti

3. LA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA


3.1.1. Riferimenti normativi
3.1.2. Presupposti teorici
3.1.3. Le fasi della programmazione
3.1.4. La pianificazione del curricolo
3.1.5. Le metodologie didattiche

4. NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA


4.1.1. La scuola digitale
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4.1.2. La diffusione della LIM

5. LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI


5.1.1. Il SNV
5.1.2. La valutazione istituzionale: l’INVALSI e l’INDIRE
5.1.3. La valutazione del docente periodica
5.1.4. Complessità dell’apprendimento e centralità dei processi valutativi
5.1.5. Il ruolo formativo dei processi valutativi
5.1.6. Autoriflessività e autovalutazione della scuola
5.1.7. Novità introdotte dal d.Lgs 62/2017
5.1.8. L’ordinanza ministeriale n. 172 del 04.12.2020 e le Linee guida: “La formulazione
dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria”
5.1.9. L’insegnamento dell’Educazione Civica

6. GLI STUDENTI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI


6.1.1. La didattica personalizzata
6.1.2. Il piano educativo individualizzato per gli alunni con disabilità
6.1.3. I disturbi specifici di apprendimento
6.1.4. Il piano didattico personalizzato; strumenti compensativi e misure
dispensative; didattica individualizzata e personalizzata.
6.1.5. I Bisogni Educativi Speciali
6.1.6. Gli alunni stranieri
6.1.7. Novità introdotte dal d.lgs 66/2017
6.1.8. Il Nuovo PEI

7. LA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO


7.1.1. La scuola dell’infanzia
7.1.2. La scuola primaria
7.1.3. La scuola secondaria di primo grado
7.1.4. Le indicazioni nazionali per il primo ciclo
7.1.5. Novità introdotte dal d.lgs. 65/2017

8. IL SECONDO CICLO D’ISTRUZIONE


8.1.1. Gli ordinamenti di istituti professionali, istituti tecnici, licei
8.1.2. Gli istituti professionali
8.1.3. Gli istituti tecnici
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8.1.4. I licei
8.1.5. L’alternanza scuola-lavoro
8.1.6. Novità introdotte dal d.lgs. 61/2017

9. I DOCUMENTI EUROPEI
9.1.1. Le competenze chiave di cittadinanza
9.1.2. Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
9.1.3. Il CLIL
9.1.4. Il Quadro comune europeo per le qualifiche professionali (EQF)

10. DOCENTE: STATO GIURIDICO E FUNZIONE


10.1.1. Lo stato giuridico
10.1.2. La libertà d’insegnamento
10.1.3. La funzione docente
10.1.4. Esclusività del lavoro pubblico
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CAPITOLO 1
AUTONOMIA SCOLASTICA
1.1.1 L’autonomia scolastica e l’organizzazione del sistema scolastico
Il termine “autonomia” (autòs “se stesso” e nòmos “legge”), riferito ad una Pubblica Amministrazione,
indica la facoltà di realizzare le finalità istituzionali assegnate dalla legge tramite
l'autoregolamentazione delle proprie attività̀. In Italia la pubblica amministrazione è stata connotata per
lungo tempo da una struttura centralizzata, almeno fino al 1997, anno in cui, con la legge 59/1997,
venne avviato un ampio processo di ristrutturazione tendente al decentramento delle competenze
amministrative e istituzionali dallo Stato verso le Regioni e gli enti locali. L’art. 21 della legge 59/1997
sancì in particolare l’autonomia delle istituzioni scolastiche, alle quali venne estesa la personalità
giuridica già degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte, con conseguente conferimento
della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto.
L’introduzione dell’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca nell’ordinamento scolastico italiano
derivò dall’applicazione del principio di sussidiarietà adottato nel Trattato sull’Unione europea del
1992. L’autonomia condusse al coinvolgimento, alla responsabilizzazione e alla partecipazione dei
soggetti protagonisti della scuola del territorio: così la scuola è diventata più vicina ai bisogni del
discente e della comunità di cui egli è parte.
L’autonomia scolastica si regge su un duplice riferimento:
– da un lato deve rispettare le linee dell’ordinamento scolastico nazionale, riservato alla
competenza legislativa dello Stato (cioè gli indirizzi comuni richiamati dall’art. 8 del DPR
n. 275/1999);
– dall’altro deve raccordarsi con le competenze degli Enti locali in materia di programmazione
dell’offerta formativa sul territorio.
Essa ha avuto riconoscimento costituzionale a seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione
(legge cost. n. 3/2001), che hanno cancellato la tradizionale gerarchia verticale Ministero-
Provveditorato-Scuole all’interno del nuovo modello di Stato.
Gli strumenti attuativi della Delega contenuta nella legge n. 59/1997, con incidenza nell’ambito
scolastico, sono stati:
– il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni e agli enti locali”;
– il D. Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, “Disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto
delle istituzioni scolastiche autonome”;
– il D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, “Regolamento recante norme per il dimensionamento
ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei
singoli istituti”;
– il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”;
– il decreto interministeriale 1° febbraio 2001, n. 44, “Regolamento concernente le «Istruzioni
generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche»”.
Questi cinque provvedimenti saldano fra loro gli elementi di un disegno unitario, scaturito anzitutto
dal I comma dell’art. 21 della legge stessa: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti
educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione
dell’intero sistema formativo”.
È l’art. 1, comma 2, DPR n. 275/1999 a definire le finalità dell’autonomia:
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Le forme di autonomia che il Regolamento (DPR 275/99) ha previsto sono state sostanzialmente:
didattica; organizzativa; di ricerca, sperimentazione e sviluppo e finanziaria. Tale prospettiva viene
oggi rilanciata dalla riforma della Buona Scuola (legge 107/2015) che si pone come obiettivo
fondamentale quello di dare piena attuazione all’autonomia scolastica intervenendo sulla scuola a vari
livelli.

Diritto-dovere di istruzione e formazione e obbligo scolastico


L'art. 34, comma l, Cost. stabilisce che «L'istruzione inferiore, impartita per almeno-otto anni, è
obbligatoria e gratuita. In attuazione della cd. Riforma Moratti venne poi approvato il D.lgs. n. 76 del
15 aprile 2005 per la disciplina degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per
assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione. Tale decreto partiva dal
presupposto che l'obbligo scolastico di cui all'art. 34 Cast. poteva essere ridefinito e ampliato come
diritto all'istruzione e formazione e correlativo dovere per almeno dodici anni. La locuzione utilizzata
dal legislatore va intesa nel senso che la fruizione dell'offerta di istruzione e formazione deve costituire
per tutti i minori, compresi quelli stranieri presenti nel territorio dello Stato, non solo un diritto
soggettivo, ma anche, ai sensi dell'art. 4, comma 2 della Costituzione, un dovere sociale,
appositamente sanzionato.
È stato osservato che un diritto/dovere di formazione così concepito sopravanzava certamente il vecchio
obbligo scolastico, divenendo una sorta di diritto di cittadinanza sociale, perla realizzazione del quale si
richiedeva l'azione di soggetti istituzionali diversi. Inoltre, la mutata concezione dell'obbligo scolastico
in "diritto di formazione" crea un legame significativo tra sistema formativo e sistema delle imprese,
dalle forme più antiche dell'apprendistato a quelle più moderne dello stage o dell'alternanza
scuola/lavoro. Diverso dal diritto di istruzione previsto dall'art. 34 Cast., comma l, è il diritto allo studio
che, invece, trova il suo fondamento nei commi 3 e 4 dello stesso articolo, nei quali si a fferma il diritto
dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i gradi più alti degli studi
nonché il dovere della Repubblica a rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze da attribuire mediante concorso.
Gli interventi dello Stato per garantire il diritto allo studio concernono sia la
scuola che l'università. Per quanto riguarda la scuola gli interventi possono essere di vario tipo:
sostegni economici (borse di studio, fornitura gratuita o semigratuita dei libri di testo, borse di studio
per merito, buoni scuola regionali), servizi (trasporto scolastico, servizio mensa, misure di
accompagnamento per i disabili) e agevolazioni varie. Per sostenere il diritto allo studio vi sono
interventi finanziari o altre misure di sostegno messe in atto sia a livello nazionale {Ministero della
Pubblica Istruzione) che territoriale {Regioni ed Enti locali).

In particolare, le Regioni e gli enti locali devono assicurare i servizi di trasporto per gli alunni delle
scuole primarie e il servizio mensa. Uno dei più recenti interventi finanziari statali è il D.lgs. 13 aprile
2017, n. 63, di attuazione della Buona scuola, che detta nuove disposizioni in materia di effettività del
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diritto allo studio e potenzia mento della Carta dello studente.


Scopo del decreto è garantire su tutto il territorio nazionale l'e ffettività del diritto allo studio degli
alunni del sistema nazionale di istruzione e formazione, statale e paritario, fino al completamento di
tutto il percorso di istruzione secondaria di secondo grado.
Il provvedimento, dunque, riorganizza le prestazioni per il sostegno allo studio (borse di studio, sussidi
didattici per gli alunni con disabilità, comodato d'Uso dei libri di testo e dei sussidi digitali,
potenziamento della Carta dello studente, servizi per gli alunni ospedalizzati o per i quali è richiesta
l'istruzione domiciliare) promuovendo un sistema di welfare studentesco fondato sull'uniformità
territoriale dei servizi tesi a garantire il diritto allo studio. A tal fine è istituito il Fondo unico per il
welfare dello studente e per il diritto allo studio.
Il decreto definisce inoltre le modalità per l'individuazione dei requisiti di eleggibilità per l'accesso alle
prestazioni da assicurare sul territorio nazionale e fissa i principi generali per il potenzia mento della
Carta dello studente. La Carta dello Studente "lo Studio" è una carta nominativa che consente di
attestare lo status di studente in Italia e all'estero e di usufruire di vantaggi, agevolazioni e sconti o fferti
dai partner nazionali e locali aderenti al progetto (cinema, teatri, musei e aree archeologiche, agenzie di
viaggio, esercizi commerciali etc.). Per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, la Carta
("lo Studio-Postepay") è integrata con nuovi servizi digitali e, grazie alla collaborazione con Poste
Italiane, può essere attivata anche come un borsellino elettronico (carta prepagata ricaricabile).
Ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. 63/2017la Carta dello Studente è destinata agli studenti delle scuole
primarie e secondarie di primo e secondo grado. La Carta è attribuita, a richiesta, anche agli studenti
frequentanti le Università, gli Istituti per l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e i Centri
regionali per la formazione professionale.

1.1.2 Il piano triennale dell’offerta formativa


L’autonomia delle istituzioni scolastiche si traduce anzitutto nella definizione e nell’attuazione del
Piano dell’offerta formativa. Esso è “ il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e
progettuale dell’Istituzione scolastica ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare,
educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia” (DPR
n. 275/99). Costituisce la carta d’identità della scuola ed esplicita il progetto dell’istituzione
scolastica, cioè le scelte di fondo sul versante educativo, didattico e organizzativo che l’istituzione
scolastica attua per rispondere in modo efficace ai bisogni formativi dei “fruitori” del proprio
servizio. Presuppone un costante rapporto collaborativo con i soggetti partner coinvolti: le famiglie
anzitutto, ma anche gli Enti locali, l’ASL, le associazioni, il mondo delle imprese.
Il PTOF (che sostituisce il POF, art. 3 dpr. 275/1999) è un vero e proprio contratto formativo
stipulato tra la scuola, le famiglie e il territorio per rispondere ai bisogni educativi delle nuove
generazioni. La logica che si è affermata con il PTOF è stata quella di abbandonare forme di
progettualità frammentate per recuperare, invece, il senso complessivo di una proposta scolastica
realmente formativa. Attraverso il PTOF vengono condotte a sintesi tutte le attività della scuola,
nell’ottica primaria di realizzazione delle finalità educative.
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Ai fini della costruzione del piano dell’offerta formative occorre anzitutto recepire i punti di vista e
le aspettative delle famiglie utenti, magari tramite un questionario o, in modi più diretti, con
consultazioni assembleari, allo scopo di raccogliere informazioni riguardo a situazione anagrafica,
sociale e culturale nonché i servizi eventualmente richiesti all’istituzione scolastica (tempo pieno,
tra- sporti, libri di testo, offerta formativa aggiuntiva e facoltativa). Occorre poi, verificare i servizi e
le strutture che gli enti locali, possono fornire.
Sulla base dei dati così ottenuti, occorre confrontare e integrare le aspettative esterne con le priorità
istituzionali proprie della scuola. Occorre individuare le esigenze di formazione intellettiva,
culturale e sociale dell’alunno e di conseguenza definire il contratto formativo tra scuola e famiglia.
Il Regolamento dell’Autonomia assegna al Collegio dei Docenti il compito di elaborare il Piano
sulla base dei criteri generali definiti dal dirigente scolastico, tenuto conto delle proposte e dei
pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori. Tocca dunque al Dirigente secondo
la l.107/15, definire le scelte di fondo, le politiche educative della scuola e la strategia di
funzionamento. Quindi il Dirigente scolastico prepara una proposta ampia e articolata, sulla base
della quale il Consiglio d’istituto elabora i criteri essenziali riguardo alla elaborazione del PTOF: la
consultazione del D.S.G.A. assicura le necessarie informazioni sulle disponibilità di bilancio nonché
di finanziamento da parte del Fondo dell’istituzione scolastica.
Negli indirizzi generali dettati dal Dirigente scolastico, sono contenuti gli obiettivi formativi e le
scelte didattico- organizzative, con l’individuazione della “mission” o “vision”, cioè la politica di
fondo che si intende perseguire. Tali scelte comprendono la flessibilità organizzativa, la
strutturazione delle scansioni orarie dei diversi tipi di tempo-scuola, il potenziamento delle attività
laboratoriali, l’arricchimento dell’offerta formativa attraverso le attività facoltative-opzionali, la
sperimentazione di nuovi percorsi didattici, l’integrazione degli alunni stranieri, il recupero degli
alunni con difficoltà e la valorizzazione delle eccellenze.
Il Collegio dei Docenti attiva le proprie strutture interne di lavoro, anzitutto le Funzioni strumentali e
la Commissione a tal fine istituita, rappresentativa delle articolazioni interne della scuola. È infine
approvato dal Consiglio di Istituto.
Le istituzioni scolastiche, singolarmente o collegate in rete, realizzano ampliamenti dell’o fferta
formativa in risposta alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.
Tali ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri
alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli Enti locali, in favore della
popolazione giovanile e degli adulti (art. 9 DPR n. 275/1999). I contenuti e le attività sono in
relazione all’ordine di scuola:
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– nel primo ciclo possono essere maggiormente orientati verso l’inclusione, le attività
integrative, il potenziamento degli apprendimenti (corsi madrelingua, e-twinning), il
sostegno al disagio personale e sociale;
– nel secondo ciclo possono prevalere le attività orientative al lavoro (tirocini
professionalizzanti e stages), progetti di dimensione europea (Comenius, apprendimento
delle lingue, scambi di classi), tecnologie informatiche.

1.1.3. I profili dell’autonomia didattica e organizzativa


L’autonomia didattica va esercitata “nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta
educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema” (DPR n. 275/1999, art. 4).
Nell'esercizio dell'autonomia didattica (che si richiama inequivocabilmente alla libertà
d'insegnamento), le singole scuole regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle
discipline e delle attività nonché i metodi e gli strumenti da utilizzare in modo funzionale alla
tipologia di studi e ai ritmi di apprendimento degli allievi. A titolo di esemplificazione, l’autonomia
didattica può innovare modalità di insegnamento e di valutazione:
– l’articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività;
– la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione e
l’utilizzazione degli spazi orari residui;
– l’attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale
dell’integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo;
– l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da
diversi anni di corso;
– l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari;
– le iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e
professionale;
– l’individuazione di modalità e criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa
nazionale;
– l’adozione e utilizzazione di metodologie e strumenti didattici (compresi i libri di testo)
coerenti con il POF;
– l’introduzione e l’utilizzazione di tecnologie innovative.
L’autonomia didattica richiede, per essere attuata, l’adozione di modalità organizzative che siano
espressione di libertà progettuale, anche per quanto riguarda l’impiego dei docenti: sotto questo
profilo essa è definita autonomia organizzativa. Le innovazioni devono essere coerenti con gli
obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio. Gli adattamenti del calendario
scolastico regionale sono stabiliti in relazione alle esigenze derivanti dal Piano dell’offerta
formativa. L’orario complessivo del curricolo e quello destinato alle singole discipline e attività sono
organizzati in modo flessibile, anche sulla base di una programmazione plurisettimanale. Tutto ciò
incrementa la dimensione autonomista della scuola che ancora una volta trova la sua
concretizzazione nel PTOF. Ogni istituzione scolastica, infatti, nell'ambito dell'autonomia
organizzativa, adotta criteri flessibili di svolgimento delle attività-formative nel rispetto delle finalità
predefinite ed esercita l'autonomia di ricerca-sperimentazione e sviluppo in considerazione del
contesto in cui opera, anche in collaborazione con altre scuole o soggetti esterni, mediante la stipula
di accordi di rete, consorzi o intese infra par. 6). •
L'autonomia organizzativa, di cui all'art. 5 del D.P.R. 275/1999, utilizzando la variabilità dei tempi,
degli spazi e dei gruppi, determina il passaggio da un assetto rigido a un'organizzazione che
favorisce l'interconnessione delle variabili dell'organizzazione scolastica in funzione di una migliore
pianificazione dell'offerta formativa, in conformità con le caratteristiche degli alunni e con le loro
esigenze formative.

1.1.4. L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo


Anche in questo settore l’autonomia scolastica è stata arricchita di nuove possibilità e, quindi, di
nuove responsabilità. Il regime delle autorizzazioni ministeriali, già previsto dal DPR n. 419/1974 (il
decreto delegato su Sperimentazione e ricerca educativa), è stato superato a favore della diretta
attribuzione alle scuole dell’“autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo conto delle
esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali”. Il binomio
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ricerca/sviluppo nasce nel campo dell'organizzazione aziendale (R&S) per garantire all'impresa la
capacità di migliorare i propri prodotti e i propri processi, innalzandone la qualità e la capacità di
innovazione. In ambito scolastico gli elementi essenziali di un processo di ricerca, sperimentazione e
sviluppo sono da individuare nella libertà d'insegna mento, nell'opportunità di rispondere
adeguatamente ai bisogni educativi degli studenti e alle attese delle famiglie e del territorio
migliorando l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Nell'ambito
dell'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, le istituzioni scolastiche possono potenziare
inoltre lo scambio di documentazione e di informazioni attivando collegamenti con gli istituti
regionali di ricerca, con università e con altri soggetti pubblici e privati. Coerentemente con tale
prerogativa dell'autonomia scolastica, il modello di ricerca più di ffuso nelle scuole è la ricerca-
azione, finalizzata non tanto ad approfondire determinate conoscenze teoriche, ma piuttosto ad
analizzare una pratica relativa a un campo di esperienza con lo scopo di introdurre, nella pratica
stessa, dei cambiamenti migliorativi. In campo educativo la ricerca-azione costituisce un elemento
cardine della pedagogia istituzionale, sia per ciò che riguarda la formazione del personale, sia per
quanto concerne l'analisi della pratica educativa e il suo miglioramento.

1.1.5. L’autonomia di associarsi in rete


Le istituzioni scolastiche possono promuovere o aderire ad accordi, dando vita a Reti di scuole per il
raggiungimento della proprie finalità istituzionali (art. 7 del DPR n. 275/1999), sia per attività
didattiche, sia per ricerca, sperimentazione e sviluppo, formazione e aggiornamento, ed anche per
migliorare l’amministrazione e la contabilità (“ferma restando l’autonomia dei singoli bilanci”), per
l’acquisto comune di beni e servizi e per l’organizzazione di altre attività “coerenti con le finalità
istituzionali”. In base a queste norme le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete
per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali inerenti al potenziamento delle attività
didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, di
amministrazione e contabilità, di acquisto di beni e servizi; di organizzazione, avvalendosi della
collaborazione anche di enti esterni specializzati. Tra le istituzioni in rete, mediante un accordo
scritto, si può prevedere lo scambio temporaneo di docenti impegnati in progetti comuni (se
consenzienti e con uno stato giuridico omogeneo).
L'organo competente per la deliberazione di tali accordi è il Consiglio d'istituto, ma nel caso in cui
l'accordo preveda attività didattiche o di ricerca, sperimentazione e sviluppo, ovvero di formazione e
aggiornamento, esso deve essere approvato anche dal Collegio dei docenti delle singole scuole
interessate per la parte di propria competenza.

Le reti di scuole possono istituire laboratori finalizzati, ad esempio:


– alla ricerca didattica e alla sperimentazione;
– alla documentazione, per la circolazione di ricerche, esperienze, documenti e informazioni,
anche attraverso rete telematica, seguendo un “protocollo” nazionale;
– alla formazione in servizio del personale scolastico;
– all’orientamento scolastico e professionale.
Nel definire gli “organici funzionali di istituto” si può prevedere la possibilità di “affidamento a
personale dotato di specifiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo
interistituzionale e di gestione dei laboratori”.
Tutte le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono:
– stipulare convenzioni con università statali o private, o con istituzioni, enti, associazioni o
agenzie del territorio che offrano il loro apporto alla realizzazione di specifici obiettivi;
– promuovere e partecipare, su progetti determinati, ad accordi e convenzioni per il
coordinamento di attività di comune interesse di più scuole, enti, associazioni del
volontariato e del privato sociale;
– assolvere compiti istituzionali coerenti col P.O.F., “costituire o aderire a consorzi pubblici e
privati per l’acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento dei compiti di
carattere formativo”.

1.1.6. Le competenze amministrative attribuite alle scuole


Con l’attribuzione della dirigenza ai capi d’istituto, le scuole autonome sono divenute centri di
responsabilità amministrativa per l’esercizio di funzioni già di competenza dell’Amministrazione
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centrale e periferica (art. 14 D.P.R. n. 275/1999). Materie:


– alunni: gestione della loro carriera scolastica;
– bilancio e patrimonio, capacità negoziale;
– stato giuridico ed economico del personale (ad eccezione delle competenze escluse dall’art.
15);
– formazione e aggiornamento del personale.
Per tutte le competenze trasferite è abolito il precedente regime autorizzatorio. Nel quadro positivo
del decentramento, nell’attuazione del principio di sussidiarietà, risalta però una serie di limitazioni,
la più rilevante delle quali concerne il reclutamento del personale con rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (art. 14 DPR n. 275/1999). La principale risorsa di una scuola è costituita proprio dai
docenti, la cui attività trova supporto nei servizi generali e amministrativi forniti dai non docenti.
Comuni, Province, Regioni, Aziende ospedaliere, Aziende sanitarie locali, Camere di commercio
(Enti autonomi di diritto pubblico) selezionano in proprio il personale necessario e idoneo allo
svolgimento dei compiti istituzionali. Alle scuole questo non è dato.

1.1.7 La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema


A seguito della riforma costituzionale del 2001, sono riservate alla legislazione esclusiva dello Stato
(art. 117): la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
(LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le norme generali sull’istruzione.
Si intersecano, nel sistema dell’istruzione, compiti e responsabilità che afferiscono a livelli diversi: in
particolare, se allo Stato compete la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", per le stesse ragioni
gli compete la verifica sulla fruizione, da parte di tutti i cittadini, di tali livelli essenziali di prestazioni.
Alle istituzioni scolastiche compete la responsabilità della realizzazione dei diritti dei discenti,
anzitutto al successo formativo, nell’ambito delle Indicazioni ricevute e delle risorse assegnate,
elaborando il PTOF e collaborando con l’Amministrazione centrale nella verifica dell’efficienza del
sistema (per approfondimenti si rimanda al capitolo 5).
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CAPITOLO 2
GLI ORGANI COLLEGIALI D’ISTITUTO

2.1.1. Gli organi collegiali dell’istituzione scolastica e la loro funzione


La legge 30 luglio 1973, n. 477, istituì “nuovi organi collegiali di governo… finalizzati a realizzare
la partecipazione nella gestione della scuola… dando alla scuola stessa i caratteri di una comunità
che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (art. 5). Gli organi collegiali nacquero
all’indomani della rivolta del Sessantotto, allo scopo di favorire e regolare la partecipazione delle
componenti scolastiche (personale docente e non docente, genitori, studenti) alla gestione
democratica della scuola. Nel 1999, con l’avvento dell’autonomia scolastica e il conferimento della
dirigenza ai capi d’istituto, gli organi collegiali della partecipazione divennero gli organi di
programmazione, indirizzo e controllo dell’autonomia stessa.

La base della struttura partecipativa della scuola disegnata dal D.P.R. 31-5-1974, n. 416 e poi fatta
propria dal D. Lgs. 297/1994 è rappresentata dagli organi collegiali che operano a livello di circolo e di
istituto.
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Gli organi collegiali interessati dalle elezioni scolastiche sono:


– il consiglio di circolo o di istituto per tutte le componenti (genitori e/o studenti, docenti, non
docenti), di durata triennale;
– i consigli di classe di intersezione, di interclasse e di classe per la componente genitori, di
durata annuale.
Il collegio dei docenti è invece l’assemblea professionale costituita da tutti i docenti di fatto in
servizio; il comitato per la valutazione del servizio dei docenti è organo interno al collegio, da
questo eletto.
La normativa per le elezioni scolastiche è contenuta nell’ordinanza ministeriale 15 luglio 1991, n.
215, “Elezione degli organi collegiali a livello di circolo-istituto”. L’indizione delle elezioni fa capo
al dirigente scolastico; le date sono indicate dal ministero. Si noti che per l’esercizio dell’elettorato
attivo e passivo non è richiesta la cittadinanza italiana (art. 3 della citata O.M.): quindi i genitori e gli
studenti stranieri nella scuola sono in una condizione di parità rispetto ai loro omologhi italiani.
Nel regolamento d’istituto una parte di rilievo riguarda il funzionamento degli organi collegiali. Il
Ministero, con C.M. 16 aprile 1975, n. 105, ha fornito un “Regolamento tipo”: esso è prescrittivo nel
caso in cui la scuola non se ne sia autonomamente dotata. La competenza regolamentare è del
consiglio d’istituto. L’obbligo di regolamentare le attività degli organi collegiali d’istituto è
contenuto nella “Carta dei servizi della scuola”, prescritta dal decreto del presidente del consiglio dei
ministri (DPCM) 7 giugno 1995, Parte I, lett. A.

Le principali regole di funzionamento sono:


– convocazione ad opera del presidente dell’organo stesso, con preavviso scritto, di norma non
inferiore ai cinque giorni, che riporta l’ordine del giorno sottoposto a delibera;
– presenza di almeno la metà più uno dei componenti in carica per la validità della riunione e
delle delibere;
– votazioni su iniziativa del presidente: in modo palese per alzata di mano; per appello
nominale su richiesta di uno dei componenti; segreta quando si fa questione di persone;
– gli astenuti si computano nel numero necessario a rendere legale l’adunanza, ma non nel
numero dei votanti;
– in caso di parità, nelle votazioni palesi, prevale il voto del presidente.
Di ogni seduta dell’organo collegiale viene redatto processo verbale a opera di un componente
dell’organo collegiale stesso, designato dal presidente alla funzione di segretario. In quanto atto
pubblico, il verbale fa fede fino a prova di falso.

2.1.2. Il consiglio di circolo o d’istituto

Il consiglio di circolo nelle direzioni didattiche, o d’istituto in tutti gli altri casi.
13

Nelle scuole secondarie di secondo grado il numero dei genitori è dimezzato per far posto ad
altrettanti rappresentanti degli studenti. Le rappresentanze sono elette per la durata di tre anni; la
componente degli studenti è rinnovata annualmente. Il presidente è un genitore, votato a scrutinio
segreto nella prima convocazione del neoeletto consiglio.
In quanto organo di raccordo fra scuola-apparato e scuola-comunità il consiglio d’istituto è la sede del
confronto fra l’istituzione e la società del territorio in cui la scuola agisce. All’interno dell’istituto, il
consiglio è l’interlocutore del collegio dei docenti. Se il collegio è l’organo della elaborazione della
programmazione educativa e didattica nonché del Piano Triennale dell’offerta formativa (PTOF), il
consiglio è la sede della deliberazione sulle proposte del collegio in merito all’o fferta formativa
nonché del sostegno organizzativo e finanziario per la sua attuazione. Esso ha quindi potere
deliberante in tre settori fondamentali (art. 10 TU):
– l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola;
– la materia finanziaria;
– la materia regolamentare, con particolare riferimento alle responsabilità di cui agli artt. 2047 e
2048 cod. civ. (responsabilità sugli alunni).
L’individuazione dell’organo collegiale competente a dare agli studenti responsabili di gravi fatti di
indisciplina le sanzioni più gravi (sospensioni lunghe dalle lezioni, esclusione dagli scrutini,
espulsione dall’istituto) è stata più volta mutata negli anni. Con l’entrata in vigore del DPR n.
235/2007, le sanzioni più gravi (allontanamento dalle lezioni per periodi superiori ai 15 giorni,
l’esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione all’esame di Stato conclusivo del corso di
studi) sono state attribuite alla competenza del consiglio d’istituto, su proposta del consiglio di classe.

2.1.3. La giunta esecutiva


Essa è eletta tra i componenti del consiglio stesso, con la seguente composizione:
– un docente;
– un rappresentante del personale non docente;
– due genitori (nella scuola superiore: un genitore e uno studente).
Ne fanno parte di diritto il dirigente scolastico, che la presiede e ha la rappresentanza del circolo o
dell’istituto, e il capo dei servizi di segreteria (DSGA), che svolge anche funzioni di segretario della
giunta stessa. La giunta svolge: compiti preparatori ed esecutivi nei riguardi del consiglio;
predispone il bilancio consecutivo ed il conto preventivo; appronta i lavori del consiglio e cura
l’esecuzione delle relative delibere.

2.1.4. Il collegio dei docenti


È composto da tutto il personale insegnante di ruolo e non di ruolo in servizio alla data di
convocazione. È organo collegiale annuale: decade e si rinnova ad ogni inizio di anno scolastico. La
convocazione del collegio è obbligatoria:
– all’inizio di ogni anno scolastico;
– almeno una volta per ogni trimestre o quadrimestre;
– nel caso in cui la relativa richiesta sia sottoscritta da almeno un terzo dei docenti.
Il collegio dei docenti ha potere deliberante in una serie di materie:
– la programmazione educativa e didattica;
– la valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica DLGS n.62/17;
– i criteri della valutazione degli alunni, improntati alla trasparenza e alla tempestività ai sensi
dell’art. 1 del DPR n. 122/2009;
– l’adozione dei libri di testo;
– la promozione di iniziative di sperimentazione;
– la promozione di iniziative di aggiornamento per gli insegnanti;
– la programmazione e l’attuazione di iniziative per il sostegno degli alunni disabili o con DSA,
l’integrazione degli alunni stranieri, il recupero degli alunni in difficoltà di apprendimento.
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Nelle materie che seguono può formulare proposte al dirigente scolastico, tenuto conto dei criteri
deliberati dal consiglio di circolo/d’istituto:
– formazione e composizione delle classi;
– assegnazione ad esse dei docenti;
– formulazione dell’orario delle lezioni.
È collegio elettorale:
– quando elegge il comitato per la valutazione del servizio del personale;
– quando designa i docenti responsabili delle funzioni strumentali al piano dell’offerta
formativa (CCNL 1999, art. 28).
Il collegio è convocato e presieduto dal dirigente scolastico. Nella veste di presidente del collegio,
organo dotato di competenze definite dalla legge, il dirigente ha la competenza specifica della
gestione unitaria dell’istituzione, nell’equilibrata tutela dei tre diritti in essa costituzionalmente
tutelati:
– il diritto all’apprendimento degli alunni:
– la libertà d’insegnamento dei docenti:
– la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie.
Dalla sua posizione di primus inter pares deriva che:
– egli esercita il diritto di voto;
– il suo voto prevale in caso di parità tra favorevoli e contrari in una votazione a scrutinio palese.
In caso di legittimo impedimento del dirigente (solo in questo caso), il collegio è convocato e
presieduto dal docente collaboratore da lui delegato.

2.1.5. Articolazioni del collegio: i dipartimenti


L'istituzione del dipartimento è prevista dal D. L.vo n. 297/1994 (Testo unico), che all'art. 7 recita: "Il
collegio dei docenti si articola in dipartimenti disciplinari e interdisciplinari e in organi di
programmazione didattico-educativa e di valutazione degli alunni". Si pongono quali articolazioni
funzionali del Collegio dei docenti per il sostegno alla didattica e alla progettazione formativa.
Possono essere costituiti negli istituti professionali, negli istituti tecnici e nei licei nell’esercizio della
loro autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, insieme al Comitato tecnico-scientifico, composto
da docenti ed esperti del mondo del lavoro, con funzioni consultive e di proposta per l’organizzazione
delle aree di indirizzo e degli spazi di flessibilità.
Compiti specifici:

“L’istituzione dei dipartimenti assume, pertanto, valenza strategica per valorizzare la dimensione
collegiale e cooperativa dei docenti, strumento prioritario per innalzare la qualità del processo
d’insegnamento-apprendimento”. Le tipologie di attività che i dipartimenti possono svolgere sono
strettamente correlate alle esperienze realizzate dalla scuola e agli obiettivi di sviluppo e di
miglioramento che si intendono perseguire.

2.1.6. Il ruolo del comitato tecnico-scientifico


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COMPITI SPECIFICI COMPOSIZIONE

2.1.7 Il comitato per la valutazione dei docenti


Il comitato per la valutazione dei docenti ha tre funzioni:
1. individuare i criteri sulla base dei quali il dirigente scolastico assegna il bonus per premiare i
docenti meritevoli;
2. esprimere il parere sull’anno di prova-formazione dei neodocenti;
3. valutare il servizio dei docenti già di ruolo che ne facciano richiesta.
Il comitato ha durata di tre anni scolastici, è presieduto dal dirigente scolastico ed è costituito dai
seguenti componenti:
– tre docenti dell'istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio
di istituto;
– due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un
rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, per il secondo ciclo di istruzione,
scelti dal consiglio di istituto;
– un componente esterno individuato dall'Ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti
scolastici e dirigenti tecnici.
Nella composizione appena descritta, il comitato svolge la funzione di determinare i criteri per la
valorizzazione dei docenti: ad essi si attiene il dirigente scolastico quando, a fine anno, individua i
docenti meritevoli destinatari del bonus. Quando il comitato esprime il proprio parere sul superamento
del periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo, esso si riunisce in una
formazione tecnico-valutativa, composta dal dirigente scolastico, che lo presiede, e dai tre docenti
dell’istituzione scolastica; è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor.

2.1.8 Il consiglio d’intersezione, d’interclasse e di classe


Nella scuola dell’infanzia il consiglio d’intersezione riunisce i docenti e i genitori eletti
rappresentanti: la riunione avviene per sezioni parallele (un genitore viene eletto per ogni sezione) o,
nelle piccole realtà, con tutte le sezioni.
Nella scuola primaria i consigli d’interclasse riuniscono i docenti e i genitori eletti rappresentanti: la
riunione avviene per classi parallele (un genitore eletto per ogni classe) o, nelle piccole realtà, con
tutte le classi del plesso.
Nella scuola secondaria i consigli di classe sono composti dagli insegnanti di ciascuna classe e dai
genitori eletti rappresentanti (quattro genitori per ciascuna classe nella scuola secondaria di primo
grado; nella secondaria di secondo grado metà dei posti riservati ai genitori sono dati agli studenti
della medesima classe).
Le componenti elettive (genitori e, nella secondaria di secondo grado, gli studenti) sono elette
annualmente (O.M. n. 215/1991, art. 21 sgg.). I consigli si riuniscono secondo due diverse modalità:
– con la presenza dei soli docenti;
– con la presenza dei docenti e dei rappresentanti di classe eletti dai genitori (e dagli studenti
nella scuola secondaria di secondo grado).
Durante le riunioni con la presenza dei soli docenti, gli insegnanti svolgono “le competenze relative
alla realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti interdisciplinari” (art. 5, comma 6,
TU). Competono loro anche le operazioni di scrutinio, la valutazione periodica e finale degli alunni.
Durante le riunioni con la partecipazione dei rappresentanti dei genitori (e degli studenti) i consigli
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hanno i compiti di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e
didattica nonché di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori e alunni; hanno
altresì la competenza dell’approvazione del piano annuale delle visite e dei viaggi di istruzione.
Inoltre essi esprimono parere sull’adozione dei libri di testo e verificano l’andamento complessivo
dell’attività didattica nelle classi di competenza. Nella scuola secondaria hanno la competenza
dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari fino all’allontanamento dalle lezioni di durata non
superiore ai 15 giorni.

2.1.9. Le assemblee dei genitori e le assemblee degli studenti


Le assemblee dei genitori che possono essere di sezione (nella scuola dell’infanzia), di classe o
d’istituto devono essere autorizzate dal capo d’istituto. L’assemblea di sezione o di classe è
convocata su richiesta dei genitori eletti nei consigli di intersezione, di interclasse o di classe.
L’assemblea d’istituto è convocata su richiesta:
– del presidente dell’assemblea, ove sia stato eletto;
– della maggioranza del comitato dei genitori;
– qualora la richiedano 100 genitori negli istituti con popolazione scolastica fino a 500, 200 negli
istituti con popolazione scolastica fino a 1000, 300 negli altri.
L’assemblea dei genitori deve darsi un regolamento per il proprio funzionamento che viene
inviato in visione al consiglio di istituto. All’assemblea di sezione, di classe o di istituto possono
partecipare con diritto di parola il dirigente scolastico nonché i docenti rispettivamente della
sezione, della classe o dell’istituto.
Anche agli studenti della scuola secondaria superiore il DPR n. 416/1974 ha dato la possibilità di
riunione in assemblee di classe o d’istituto all’interno degli edifici scolastici (artt. 43 e 44).
L’assemblea d’istituto può essere convocata una volta al mese per tutta la durata delle lezioni della
giornata, su richiesta della maggioranza del comitato studentesco o del 10% degli studenti; anche
l’assemblea di classe può essere convocata una volta al mese, con il limite di due ore.
La norma nacque con l’intento di incanalare i movimenti di contestazione e protesta, fornendo
opportunità di crescita civile e di confronto democratico all’interno delle scuole, tramite le
assemblee definite “occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi
della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti”.
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CAPITOLO 3
LA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA
3.1.1. Riferimenti normativi
A livello normativo, il concetto di programmazione comparve per la prima volta nel DPR n. 416 del
1974 nell’art n. 4 “il collegio dei docenti ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico
del circolo e d’istituto. In particolare cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di
adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di
insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare.”
Tuttavia fu nei documenti successivi che la cultura della programmazione irruppe sulla scena scolastica
in modo ancora più accentuato e in particolare:
– la Legge 517/77 rese obbligatoria la pratica programmatoria, fissando anche i tempi e le
modalità.
– La Carta dei servizi scolastici, D.P.C.M. /1995 così definì la programmazione educative e
didattica: la programmazione è elaborata dal Collegio docenti, progetta i percorsi formativi
correlati agli obiettivi e alle finalità nei programmi. La programmazione educativa assicura la
formazione dell’alunno, facilitandone le potenzialità evolutive e contribuendo allo sviluppo
armonico della personalità, nel rispetto degli obiettivi formativi nazionali e comunitari,
recepiti dai piani di studi di ciascun indirizzo. La programmazione educativa, elaborata dal
Collegio dei docenti e messa a fuoco nelle riunioni di dipartimento, progetta i percorsi
correlati agli obiettivi e alle finalità delineati nei programmi ordinamentali. Individua gli
strumenti per la rilevazione della situazione finale e per la verifica e la valutazione dei
percorsi didattici. Definisce le attività riguardanti l’orientamento, i corsi di recupero e ogni
altra azione di supporto alla formazione integrate. Ogni anno la programmazione è redatta
entro il 30 ottobre. La programmazione didattica, elaborata da ogni consiglio di classe nel
quadro della programmazione educativa del Collegio dei docenti, delinea il percorso
formativo del gruppo-classe. Prevede dei momenti di verifica e di valutazione dei risultati, al
fine di adeguare gli interventi alle esigenze formative sopravvenute.
– Con il DPR N. 275/1999 “regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche”, ai sensi dell’art.21 della legge n. 59/97, i diversi tipi di
programmazione sono confluiti nel Piano dell’offerta Formativa.
La programmazione differisce dai programmi perchè in essa si esplicitano tutte le variabili che entrano
in gioco nel rapport insegnamento/apprendimento. Il Programma infatti, è l’insieme dei contenuti
culturali da trasmettere ed è ordinato secondo una struttura che si adatta alle diverse fasi di sviluppo
cognitivo degli alunni ed ha lo scopo di formare gli alunni e di prepararli agli studi universitari; inoltre
la “funzione docente realizza il processo d’insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo
sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni sulla base delle finalità e degli obiettivi
previsti per i vari ordini e gradi dell’istruzione” . Con la parola programmazione, in linea generale,
s’intende sviluppare, puntualizzare, mettere in opera, una serie d’interventi coordinata che concorrono
a conseguire, attraverso efficienza, efficacia economicità, un obiettivo. Sul piano strettamente didattico
la programmazione permette al docente di superare l’improvvisazione, la causalità operativa e di
organizzare in modo razionale e coerente gli interventi educativi, di organizzare i contenuti e le diverse
attività scolastiche, verifiche comprese. Consente, inoltre, di “tradurre” le discipline culturali in materie
da insegnare e da apprendere. Con la programmazione, quindi, si adeguano i programmi alla classe,
s’individuano i collegamenti interdisciplinari, e si scelgono le metodologie che consentano
effettivamente di facilitare il processo di apprendimento e di crescita, oltre che culturale, emotiva,
relazionale e civile. Alla formulazione della programmazione concorrono tutti i docenti attraverso la
programmazione del piano annuale delle attività contenute nel PTOF, in una seconda fase, i consigli di
classe e i singoli docenti renderanno operativa la programmazione individuando contenuti, metodi e
tempi e modalità di verifica. È quindi l’attività programmatica del collegio docenti ad avere un ruolo di
fondamentale importanza operativa perché procede nell’individuare, attraverso l’adozione del PTOF,
gli obiettivi e le finalità educative (programmazione educativa) dell’istituto, obiettivi naturalmente
coerenti con le finalità Costituzionali e le leggi vigenti; In un secondo momento i dipartimenti
individuano i contenuti da impartire e gli obiettivi disciplinari, infine i consigli di classe e i singoli
docenti attuano la programmazione educativa, didattica e disciplinare.
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3.1.2. Presupposti teorici


La ricerca pedagogica definisce la programmazione, un tipo d’elaborazione di contenuti e metodi
didattici che spetta ai soggetti d’insegnamento, ma non con criteri soggettivi: utilizza, infatti, criteri
scientifici di validità generale, in altre parole si serve di regole e di leggi comuni a tutte le situazioni
d’insegnamento-apprendimento e quindi di tutte le condizioni scolastiche. Il termine programmazione
viene usato anche per richiamare una determinata tecnologia della didattica: La programmazione (…)
rappresenta una regolamentazione di un’attività secondo le tecnologie didattiche, vale a dire,
un’organizzazione, una razionalizzazione ed una individuazione dei metodi e tempi di applicazione. La
programmazione come razionalizzazione deve avere scopi ben precisi. Il primo in assoluto è quello di
conferire organicità, coerenza, efficacia al lavoro del docente; il secondo organizzare il lavoro così da
sfruttare il tempo scuola; il terzo individuare i metodi e gli strumenti con cui conseguire gli obiettivi; il
quarto e non ultimo, facilitare l’apprendimento. Ogni attività di insegnamento è giustificata e fondata
solo se programmata, in altre parole se è inserita in un piano di lavoro ad inizio anno scolastico e
modulata sulle reali capacità degli alunni, perché non bisogna mai dimenticare che sono gli alunni i
destinatari della programmazione e delle attività del corpo docente. L’assenza di una programmazione,
oltre a rendere più difficile il lavoro dell’insegnante, disorienta la classe e le attività risultano
dispersive e caotiche, spesso mal collegate l’una con l’altra. L’alunno è facilitato nell’apprendimento se
sono ben chiari i punti di partenza ed i punti di arrivo, le procedure operative, se la programmazione è
dotata di una coerenza interna, ed infine se effettivamente tiene conto del “sapere degli alunni”.
Si fa risalire a Ralph Tyler il merito di aver dato avvio a quel settore di ricerca che va sotto il nome di
teoria del curricolo, o anche della programmazione scolastica. Ritiene che “una programmazione
didattica debba essere fondata su obiettivi in precedenza tradotti in comportamenti osservabili e
misurabili; per il Tyler la programmazione deve partire dall’analisi del contesto sociale, dai bisogni
dello studente e dal patrimonio culturale, perciò implica una “scelta” dei contenuti e dei metodi e degli
strumenti di verifica e con essi anche un ben preciso sistema di valori etici e politici. M. Pellery divide
gli obiettivi educativi dagli obiettivi didattici. Gli obiettivi educativi concorrono alla formazione
globale della personalità umana, spaziando dall’aspetto cognitivo a quello relazione e a ffettivo; gli
obiettivi didattici, invece, sono tipici di ogni disciplina. Pellery “giunge ad individuare due livelli di
programmazione: una programmazione e educativa e una programmazione didattica, con la prima che
adempie rispetto alla seconda, una funzione di guida”.

3.1.3. Le fasi della programmazione


Le fasi della programmazione possono essere così elencate:
1. Presa d’atto della situazione di partenza e analisi del contesto socio-culturale
- presentazione della classe
- presenza di alunni diversamente abili
- provenienza geografica
- ripetenti
- nuovi inserimenti
2. Accertamento dei prerequisiti
- uso di metodi e mezzi come il questionario, il test
3. Definizione degli Obiettivi:
- educativi
- trasversali
- disciplinari o didattici
-generali specifici, a lungo e a breve termine
4. Contenuti
- scansione temporale dei contenuti
5. Moduli didattici lineari o trasversali
- i moduli didattici sono composti da unità didattiche
6. Definizione delle metodologie
- mezzi
7. Osservazione sistematica dei processi di apprendimento
8. Verifica e Valutazione del processo didattico attuato
8. Attività di recupero
9. Relazione finale e miglioramenti ottenuti ed accertati rispetto alla situazione di partenza
10. Documentazione delle buone prassi attuate
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Accertare la situazione di partenza della classe è uno dei momenti più di fficili, perché dalla prima
impressione, dall’analisi dei risultati delle verifiche, tese a conoscere il livello generale culturale, le
competenze e le capacità, scaturiscono gli elementi che concorreranno a determinare i contenuti, i
tempi e gli obiettivi. Una conoscenza affrettata della classe, o strumenti di verifica inadeguati, possono
rivelarsi estremamente dannosi, sia sotto il profilo relazionale, sia nello sviluppo del processo
insegnamento-apprendimento. È necessario, quindi, “disporre di metodi di verifica che permettano di
strutturare la programmazione in modo coerente e organico”, palesando le e ffettive capacità e
potenzialità degli alunni. Lo scopo di una attendibile conoscenza di una situazione di partenza consiste
nel “ridurre le impressioni personali, ed individuare, per quanto possibile, ed al di là di uno stretto
soggettivismo, le variabili dipendenti e le condizioni “oggettivamente rilevabili” della classe. Si sa che
non è possibile eliminare la dimensione soggettiva, ma è possibile limitarne il campo d’azione,
ricorrendo a strumenti e procedure tali, che se pur non rilevano dati oggettivamente validi, forniscono
comunque dati ragionevolmente attendibili. Accertare, sul piano generale, le condizioni d’ingresso di
un alunno è semplicemente utopia, però possono accertati, interessi, abilità, competenze conoscenze,
stili di linguaggio, gli stili cognitivi, le competenze culturali, cioè tutti quegli elementi che concorrono
a definire il quadro d’ingresso o la situazione di partenza. L’insegnante che intende intraprendere una
attività didattica su dei precisi contenuti deve limitare l’accertamento esclusivamente ai prerequisiti
necessari per potere affrontare i contenuti. L’accertamento dei prerequisiti “una volta che siano stati
individuati dall’insegnante, sulla base della letteratura esistente o sulla base all’esperienza diretta e
personale può avvenire in due modi: uno attraverso tecniche rigorose con strumenti quali il test di
profitto che portano a risultati quantificabili; l’altro più tradizionale attraverso strumenti quali il
colloquio o il testo scritto, senza esprimere alcuna valutazione di profitto. L’accertamento dei
prerequisiti necessari per strutturare in modo organico e coerente i saperi non è altro che “una diagnosi
in grado di evidenziare uno “stato”, non di giudicare un comportamento e tanto meno di impedire uno
sviluppo futuro, anzi deve poter “agevolare” uno sviluppo futuro. Un problema non meno rilevante è
rappresentato dagli obiettivi. Come sappiamo gli obiettivi sono educativi e didattico disciplinari, gli uni
contemplano lo sviluppo complessivo della personalità e sono espressi nel PTOF, gli altri vengono
individuati dai dipartimenti, dai singoli consigli di classe e dai singoli docenti. Con l’espressione
obiettivi didattici si indicano esclusivamente i comportamenti degli alunni che l’insegnamento è in
grado di suscitare e debbono poter essere verificati al temine di un ciclo di insegnamento. Devono
perciò essere formulati in maniera chiara e comprensibile dall’alunno, senza ricorrere all’uso di termini
equivoci o che possono dar luogo a fraintendimenti. Devono anche tenere conto dello sviluppo
cognitivo dell’alunno e del fatto che l’apprendimento non è mai sincronico, cioè non avviene secondo i
processi temporali impostati dal docente, ma secondo ritmi e tempi di apprendimento propri
dell’alunno, spesso anche influenzati dai comportamenti e dalle abitudini del gruppo famigliare. È
anche chiaro che il processo di insegnamento-apprendimento deve potere ridurre i tempi di
assimilazione e di elaborazione dei contenuti, altrimenti non si avrà nessun miglioramento né culturale
né personale, né relazione o affettivo. Gli obiettivi devono essere calibrati sugli alunni e proporzionati
alla situazione di partenza rivelata. Nel predisporre la programmazione il docente dovrà prestare
particolare attenzione a strutturare le attività di recupero per quanto disposto dal D.M. n. 42 del 22
maggio 2007, perché la presenza di un debito formativo è ostativa per l’ammissione agli esami di Stato.
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3.1.4. La pianificazione del curricolo


Il curricolo è un compendio della progettazione e della pianificazione dell’intera o fferta formativa della
scuola che definisce: le finalità, i risultati di apprendimento attesi, le strategie, i mezzi, i tempi, gli
strumenti e i criteri di valutazione, le risorse interne ed esterne e la rete di relazioni che permetteranno
agli allievi di conseguire le competenze. Il curricolo prevede un percorso formativo intenzionale
organicamente progettato e realizzato dagli insegnanti al fine di porre gli alunni nelle condizioni di
raggiungere i traguardi previsti (Scurati).
Le istituzioni scolastiche formulano i curricoli nel rispetto delle Indicazioni Nazionali e Linee Guida
mettendo al centro del processo di apprendimento gli allievi, le loro esigenze e le loro peculiarità, in
collaborazione e sinergia con il territorio, in un’ottica di apprendimento permanente lungo tutto l’arco
della vita.
La scuola del terzo millennio che aspira a configurarsi come comunità educante, deve allora
necessariamente costruire il proprio curricolo come luogo di vita, in quanto luogo di esperienza, di
approfondimento e di studio di problemi, che si ritengono significativi per i soggetti che li a ffrontano.
La scuola della “complessità”, in altri termini, “non è il luogo dove è dato un curricolo, ma è il luogo,
dove si costruisce un curricolo come percorso di vita” in una visione longitudinale che vede lo studente
come persona, come cittadino e come futuro lavoratore.
Il compito primario affidato al complesso mondo della scuola è in primis attrezzarsi ad accogliere i
destinatari, soggetti di vario livello di maturità, di diversa provenienza, cultura, religione e lingua. A tal
fine bisogna approcciarsi alle variabilità di apprendimento e di possibili percorsi di formazione. In tal
modo le strutture educative, ispirate alla contemporanea nozione di “complessità”, diventano
concretamente un elemento portante dell’esercizio di un diritto della cittadinanza, veicolo e supporto in
processi di uguagliamento delle opportunità per persone di diversa classe sociale e provenienza
culturale. Si perviene, in tal modo, alla contestualizzazione, avviene il riconoscimento formale di
acquisizione di competenze realizzate al di fuori del sistema istituzionale.
E le competenze, in ultima analisi, devono intendersi come oggetto d’indagine, che integra il sapere con
le abilità pratiche dell’individuo conferenti allo sviluppo della collettività. E se al concetto di
competenza associamo la relata valenza etica, quale condizione del processo formativo dell’alunno per
il suo esplicarsi finalizzato alla crescita civile della società.
Il ruolo cruciale del docente nella pianificazione dei percorsi è quello di formare le menti, “che possano
disporre di un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi e i principi organizzativi che
permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso”, che permette ad un pensiero complesso di
organizzare il sapere e di collegare le conoscenze, oggi confinate settorialmente nelle discipline.

3.1.5. Le metodologie didattiche: alcuni metodi


L’argomento diviene ancora più complesso se si affronta il problema del metodo e della didattica.
Complesso perché un metodo “predefinito” non esiste, ma va ricercato all’interno della stessa
disciplina, nella prassi della didassi e nell’attività quotidiana, ma riflettere sul metodo è
particolarmente importante per due motivi, uno di ordine formale e contrattuale, l’altro di ordine
didattico in senso stretto. Il primo caso ci riporta direttamente al contratto, art. 25: “Il profilo dei
docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologiche didattiche,
organizzativo relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti (…)”. Lo stesso contratto prevede
che il docente possieda competenze didattiche e metodologiche per potere “operare in classe e
perseguire gli obiettivi di insegnamento-apprendimento”. Il secondo motivo è strettamente operativo e
psicopedagogico, perché “un buon metodo facilita l’apprendimento”. La ricerca di un metodo è
un’attività continua di riflessione teoretica, di sperimentazione pratica in classe, fino a strutturarne uno
personale, efficace e funzionale alle necessità di apprendimento degli alunni.
Il primo grande pedagogista che ha dedicato la propria vita al rinnovamento della didattica ed alla
ricerca metodologica è G.A. Komenski, latinizzato “Comenio”. Per Comenio la funzione fondamentale
dell’istruzione è condurre l’uomo a riconoscere la propria dignità umana e a formare la propria
ragione, e ciò non può essere perseguito che seguendo i principi di una didattica naturale, ovvero
seguendo le tappe di sviluppo naturali del fanciullo. Nella Didactica Magna individua ben 10 punti in
cui si articola la sua proposta didattica. In sintesi insiste, oltre che sul rispetto del fanciullo, sulla
ciclicità, sulla gradualità, sulla continuità ed omogeneità del metodo, ed infine sulla “motivazione ad
apprendere”.
Quest’ultimo punto necessita di una ulteriore riflessione. Motivare e incuriosire l’alunno non è
semplice soprattutto quando si affrontano argomenti che richiedono una capacità di astrazione e di
operatività formale, come nella matematica o nella filosofia, tuttavia l’insegnante deve poter svolgere
altrettante funzioni didattiche miranti a semplificare l’apprendimento; vediamole:
– far da guida all’allievo come modello da imitare (…);
– far sì che l’insegnamento muova da conoscenze che riguardano l’ambiente con cui l’allievo è
quotidianamente in contatto (…);
– nel corso delle lezioni esplicative esprimersi con chiarezza (…);
– far subito applicare quanto appreso (…);
– nella scelta degli argomenti, optare per quelli che possono suscitare l’interesse degli alunni;
– presentare le materie in modo attraente (…).
21

METODO DESCRIZIONE OPERATIVA


A spirale È il metodo teorizzato dal Bruner. Secondo il Bruner è sufficiente
presentare la struttura dei contenuti, e il processo di apprendimento si
struttura su tre processi simultanei: acquisizione, trasformazione,
valutazione.
Attivo Considera l’insegnamento un processo “formativo” più che informativo e
asseconda i bisogni e le tendenze del fanciullo, lasciandolo libero di
pensare, agire.

Ciclico Consiste nel trattare gli stessi argomenti nei vari gradi d’insegnamento,
ma può essere proficuo anche nella lezione frontale presentando lo stesso
argomento secondo livelli di profondità e di analisi diversi, partendo dal
semplice al complesso.
Dei lavori di Gli alunni sono chiamati ad operare in gruppo. L’insegnante coadiuva
gruppo o dei l’attività degli alunni limitando il suo intervento. Può essere un buon metodo
gruppi di lavoro ma ha bisogno di una programmazione dettagliata delle fasi e deve essere ben
chiaro il punto d’arrivo.

Della ricerca È quello che mira ad educare nell’alunno la capacità di giungere alla
conoscenza, è il metodo che più degli altri permette di raggiungere l’obiettivo
educativo dell’“imparare ad imparare”.

Dialettico È il metodo corrente della lezione frontale o della lezione-discussione, metodo


accusato troppo spesso di verbalismo.
Dogmatico Si basa su contenuti aprioristici, non discutibili, fecondo in alcune discipline,
deleterio se adottato come prassi consueta dall’insegnante.
Euristico Permette all’alunno di ricercare in piena autonomia. Il metodo è fecondo ma
non per com’è attualmente strutturata la scuola italiana.

Metodo Metodo analitico che segue ed applica il principio dell’istruzione


dell’istruzi programmata. Tre sono le sue possibili esplicazioni: metodo di Skinner,
one metodo di Crowder, metodo Pressey.
programm
ata
Nozionistico Metodo tradizionale direttamente interagente con la lezione frontale,
possibilmente da evitare.

Scheda: metodologie didattiche

METODOLOGIE DESCRIZIONE OPERATIVA


DIDATTICHE
Didattica per Matrice neo-positivista: Piaget, Vygotskij, Bruner. All’origine vi è lo
concetti strutturalismo didattico. La proposta didattica consiste nella esplicitazione dei
processi di concettualizzazione. Per Piaget formare uno schema. Struttura:
1. Identificazione dell’argomento;
2. Progettare l’unità didattica;
3. Stabilire le sequenze;
4. Valutazione.

Didattica Matrice: A.L. Brown. La didattica meta - cognitiva consiste nel rendere
metacognitiva cosciente l’alunno dei processi di apprendimento. La didattica meta - cognitiva
appare particolarmente utile quando si privilegia l’insegnamento di un metodo
di studio.
IMPARARE AD IMPARARE
22

Didattica dell’errore Didattica attenta alla fecondità dell’errore. Troppo spesso si stigmatizza l’errore
non inserendolo dinamicamente nella attività didattica.
La matrice è H. Perkinson 1982. L’errore diventa una risorsa epistemologica.
Didattica lineare Matrice: le teorie computazionali, la logica binaria. Sorse negli anni ‘50 ed è
una didattica tecnomorfa ed è legata, come si può intuire, alle premesse alla
rivoluzione informatica e all’utilizzo di tecnologie informatiche. (Si inizia a
parlare di programmazione).
1. CAI : Computer Assisted Instruction;
2. CBT: Computer Based Training.

Didattica speciale Didattica per i diversamente abili (OMS 1997 sostituisce la parola handicap) e
si fonda sul principio che la diversità costituisca comunque una risorsa. Diverse
sono le matrici e complessa è l’origine della didattica speciale che alcuni fanno
risalire a J. Itard.

Didattica breve Matrice: prof. Ciampolini. Questa prassi didattica è nata negli anni ’70 per
facilitare l’aggiornamento dei docenti.
Didattica dell’oscuro Matrice: J.V. Watsch. Questa particolare didattica pone in evidenza come gli
insegnanti ricorrano a forme di guida indirette come le dinamiche relazionali ed
affettive che coadiuvano (o ostacolano) le abilità cognitive, come il tono della
voce, l’uso a scopo didattico dei gruppi spontanei, le condizioni che
favoriscono la nascita della curiosità etc. Proprio perché queste sono forme di
insegnamento indirette e interpersonali questa didattica è detta didattica
dell’oscuro.

Didattica Matrice: anni ‘60. Accettata dai programmi Ministeriali solo nel 1997.
multimediale Computer e Tv di diritto oramai sono parti integranti della didattica. Questa
stessa lezione ne è un esempio. Naturalmente il dibattito è aperto se la didattica
multimediale sia creativa o serva solo per rafforzare le procedure apprese.
Oltre a questa oggi si parla di e-learnig (electronic learning).

Didattica del Matrice: J. Dewey. Questa metodologia didattica prevede di far lavorare i
cooperative learning discenti in piccoli gruppi.
Didattica del Apprendimento per padronanza. Affermatosi negli anni ’70 è una delle
mastery learning strategie individuali di apprendimento più accreditate dal punto di vista
psicologico e pedagogico. Si mira a realizzare una situazione di
APPRENDIMENTO – INSEGNAMENTO ottimale in modo tale da porre tutti
gli allievi nelle condizioni di padroneggiare le conoscenze o le competenze da
apprendere.
Questa procedura prevede:
1. Rispetto dei ritmi di apprendimento di ciascun allievo;
2. Le pause in itinere e l’eventuale riavvio delle procedure in caso
di insuccesso;
3. I docenti devono pianificare le discipline mediante un rigoroso
censimento dei contenuti essenziali.
4. La divisione dei contenuti in unità didattiche;
5. La previsione dei tempi;
6. La valutazione formativa o in itinere;
7. La predisposizione di attività di recupero;
8. La verifica finale o sommativa.
Vedere A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Ed. Mondatori,
pag. 187.

Didattica orientativa Matrice: Pellerey. Importanza del ruolo del docente.


1. Porre il soggetto in condizioni di conquistare la propria identità di fronte
al contesto sociale;
2. Favorire la capacità di decidere, valutare, ponderare alternative
e cambiamenti;
23

3. Individuare ed incoraggiare le prime manifestazioni attitudinali, scoprire


le inclinazioni, destare interesse per le esperienze disciplinari.
4. In tale contesto acquista un ruolo rilevante il docente.

CAPITOLO 4
NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA

4.1.1. La scuola digitale


La diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione è una grande opportunità e
rappresenta la frontiera decisiva per la scuola. Si tratta di una rivoluzione epocale, non riconducibile a
un semplice aumento dei mezzi implicati nell’apprendimento. Sono chiamati in causa l’organizzazione
della memoria, la presenza simultanea di molti e diversi codici, la compresenza di procedure logiche e
analogiche. Per la scuola significa curare e consolidare le competenze e i saperi di base, che sono
irrinunciabili perché sono le fondamenta per l’uso consapevole del sapere di ffuso attraverso altri canali
informali e non formali. E poiché le relazioni con gli strumenti informatici sono tuttora assai diseguali
fra gli studenti come fra gli insegnanti il lavoro di apprendimento e riflessione dei docenti e di
attenzione alla diversità di accesso ai nuovi media diventa di decisiva rilevanza. Dunque il “fare
scuola” oggi significa mettere in relazione la complessità di modi radicalmente nuovi di apprendimento
con un’opera quotidiana di guida, attenta al metodo, ai nuovi media e alla ricerca multi-dimensionale.
(Indicazioni Nazionali 2012)
La legge 107 pone tra gli obiettivi formativi prioritari lo sviluppo delle competenze digitali degli
studenti, e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in
generale, con particolare riguardo al pensiero computazionale, all'utilizzo critico e consapevole dei
social network e dei media nonché alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro. A tal fine
prevede le istituzioni scolastiche promuovono, all’interno dei piani triennali il Piano nazionale della
scuola digitale. Più da vicino tale piano persegue i seguenti obiettivi: il potenziamento degli strumenti
didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni
scolastiche, la formazione dei docenti per l'innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale, il
potenziamento delle infrastrutture di rete l'adozione di testi didattici in formato digitale e per la
produzione e la diffusione di opere e materiali per la didattica, anche prodotti autonomamente dagli
istituti scolastici, l'adozione di testi didattici in formato digitale e per la produzione e la di ffusione di
opere e materiali per la didattica, anche prodotti autonomamente dagli istituti scolastici. Per favorire lo
sviluppo della didattica laboratoriale, le istituzioni scolastiche, anche attraverso i poli tecnico-
professionali, possono dotarsi di laboratori territoriali per l'occupabilità attraverso la
partecipazione, anche in qualità di soggetti cofinanziatori, di enti pubblici e locali, camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, università, associazioni, fondazioni, enti di formazione
professionale, istituti tecnici superiori e imprese private, per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
24

orientamento ai settori strategici del made in Italy, contatti con il territorio, collocazione nel lavoro dei
giovani non occupati.
Ogni scuola ha un "animatore digitale", un docente che, insieme al dirigente scolastico e al direttore
amministrativo, ha un ruolo strategico nella diffusione dell'innovazione a scuola, a partire dai contenuti
del PNSD in concreto, l’Animatore deve coordinare la diffusione dell’innovazione a scuola e le attività
del PNSD anche previste nel piano nel Piano triennale dell’o fferta formativa della propria scuola. Si
tratta, quindi, di una figura di sistema e non un semplice supporto tecnico. I tre punti principali del suo
lavoro sono: formazione interna, coinvolgimento della comunità scolastica, creazione di soluzioni
innovative.

4.1.2. La diffusione della LIM


Nata nel lontano 1992, la tecnologia touch-screen ha avuto il suo naturale sviluppo a partire dal 1990,
approdando in italia con il primo piano nazionale di di ffusione della LIM (LAVAGNA INTERATTIVA
MULTIMEDIALE). Dai risultati della letteratura scientifica viene attribuita alla lavagna digitale una
funzione facilitatrice per l’integrazione delle ICT nei processi di apprendimento e insegnamento e si
evidenzia l’approccio graduale ai linguaggi della multimedialità e dell’interattività ed all’innovazione
delle metodologie didattiche che questa tecnologia veicola. l’importanza dell’installazione della LIM
all’interno della classe risulta fondamentale per la costruzione di un ambiente di apprendimento
adeguato allo sviluppo di una didattica centrata sullo studente e sui suoi bisogni, nell’ambito della
società dell’informazione e della conoscenza.
Nel 2006, vi è un cambiamento nella politica di formazione con il progetto DiGiScuola. Il progetto si
prefigge obiettivi di carattere culturale e metodologico, finalizzati alla costruzione di una nuova visione
del rapporto tra TIC e scuola. Le TIC vengono viste in collegamento con l’organizzazione didattica, la
comunicazione, le attività di gruppo ed il lavoro a casa. L’attività di formazione collegata al progetto,
aveva la finalità di: fornire ai docenti gli strumenti metodologici e didattici per un utilizzo critico e
consapevole dei contenuti didattici digitali della piattaforma tecnologica DiGiScuola e della dotazione
d’aula, intesi come strumenti e metodologie orientate al rinnovamento della didattica tradizionale;
permettere ai docenti l’acquisizione delle competenze necessarie a progettare e realizzare contenuti
didattici digitali e a contestualizzarli in propri ambienti di apprendimento, valorizzando così
l’esperienza e la creatività di ciascun insegnante. Pertanto ad ogni scuola viene assegnata una dotazione
tecnologica composta da PC Portatili (per i docenti), videoproiettori e lavagne interattive multimediali.
L’apporto pedagogico delle LIM è certamente l’interattività. L'interesse maggiore delle LIM è infatti di
favorire l'interattività tra professore ed alunni. Grazie alle LIM si suscita la curiosità e l'interesse degli
alunni, e si rende più efficace e stimolante l’insegnamento. Il suo utilizzo può produrre un impatto sui
risultati scolastici e sull'attenzione e la concentrazione degli alunni.
25

CAPITOLO 5
LA VALUTAZIONE

5.1.1. Il Sistema Nazionale di Valutazione

In esito alla riforma costituzione del 2001, la nuova formulazione dell’art. 117 assegna alla
legislazione esclusiva dello Stato:
– la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
– le norme generali sull’istruzione.
Si è così passati dalla “scuola dei programmi ministeriali” alla “scuola dell’autonomia didattica”
(DPR n. 275/1999), la cui ragione sta nella funzione di concretizzare gli obiettivi nazionali in
percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di
tutti gli alunni, riconoscendo e valorizzando le diversità e le potenzialità di ciascuno, per
raggiungere il successo formativo con tutte le iniziative utili.
Anche l’autonomia organizzativa è espressione di libertà progettuale (art. 5 del citato D.P.R.): le
scuole possono regolare autonomamente i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole
discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni,
adottando tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune.
Si intersecano quindi, nel sistema dell’istruzione, compiti e responsabilità che a fferiscono a livelli
diversi: in particolare, se allo Stato compete la “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale”, con altrettanta forza gli compete la verifica sulla fruizione, da parte di tutti i cittadini, di
tali livelli essenziali di prestazioni. Alle istituzioni scolastiche compete la responsabilità della
realizzazione dei diritti dei discenti, anzitutto al successo formativo, nell’ambito delle Indicazioni
ricevute e delle risorse assegnate, collaborando con l’Amministrazione centrale nella verifica
dell’efficienza del sistema.
Nel sistema scolastico la verifica del rispetto degli standard è valutata mediante le attività
predisposte dall’INVALSI.

5.1.2. La valutazione istituzionale: l’INVALSI e l’INDIRE


L’INVALSI è un Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, che ha raccolto
l’eredità del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE), istituito con i decreti delegati del 1974.
Rientra nella categoria delle “Agenzie”, normate dal Titolo II del D. Lgs. n. 300/1999. L’Agenzia
comporta una formula organizzativa che scorpora dall’organizzazione diretta dei Ministeri alcune
funzioni che possono essere più efficacemente svolte tramite strutture fornite di autonomia e
sottoposte al controllo della Corte dei conti (legge n. 20/1994).
L’istituzione dell’INVALSI è stata operata con legge n. 53/2003, il cui art. 3 è rubricato “Valutazione
degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo di istruzione e di formazione”. La norma
prevede:
– la delega al Governo per l’emanazione delle “norme generali sulla valutazione del sistema
educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli studenti”;
– l’affidamento all’INVALSI del compito di effettuare “verifiche periodiche e sistematiche
sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa
delle istituzioni scolastiche e formative”;
– l’effettuazione, in sede di “esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione”, anche di
“prove predisposte e gestite dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di
istruzione, sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento del corso ed in relazione alle
discipline di insegnamento dell’ultimo anno”.
Le norme attuative sono state emanate con D. Lgs. n. 286 dell’11 novembre 2004. Nella
successiva legislatura è stata emanata la legge n. 176/2007, la quale, in sostanziale continuità
(almeno questa volta) con la legge n. 53, prevede che (art. 1, c. 5): “A decorrere dall’anno
scolastico 2007-2008 il Ministro della pubblica istruzione fissa, con direttiva annuale, gli obiettivi
della valutazione esterna condotta dal Servizio nazionale di valutazione in relazione al sistema
scolastico e ai livelli di apprendimento degli studenti:
– per effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti, di
norma,
– alla classe seconda e quinta della scuola primaria,
26

– alla prima e terza classe della scuola secondaria di I grado


– e alla seconda e quinta classe del secondo ciclo,
– nonché altre rilevazioni necessarie per la valutazione del valore aggiunto realizzato dalle scuole”.

La prova nazionale nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo dell’istruzione


Il Regolamento della valutazione, emanato con DPR n. 122/2009 (art. 3, c. 4), prevede che “ alla
valutazione conclusiva dell’esame concorre l’esito della prova scritta nazionale (…). I testi della
prova sono scelti dal Ministro tra quelli predisposti annualmente dall’Istituto nazionale per la
valutazione del sistema di istruzione (INVALSI)”. Le due aree disciplinari oggetto di valutazione
sono l’italiano e la matematica. Gli aspetti maggiormente indagati sono:
– la competenza di lettura;
– la capacità di comprendere e di argomentare un testo;
– la conoscenza lessicale e grammaticale;
– la capacità di risolvere problemi;
– le abilità logiche e inferenziali.

Le azioni dell’INVALSI nella secondaria di secondo grado


Nel 2010 sono entrati in vigore i Regolamenti attuativi della revisione ordinamentale degli Istituti
professionali, degli Istituti Tecnici nonché dei Licei. In essi è contenuta la previsione di azioni di
costante monitoraggio, valutazione di sistema e aggiornamento dei percorsi (art. 7 del DPR n.
87/2010 per gli Istituti professionali; art. 7 del DPR n. 88/2010 per gli Istituti tecnici; art. 12 del
DPR n. 89/2010 per i Licei). A partire da queste previsioni di legge, l’azione dell’INVALSI si
esercita nell’ambito delle Direttive ricevute dal MIUR.
Nella Direttiva n. 88 del 2012 viene assegnato all’INVALSI anche il compito di realizzare uno
studio di fattibilità per l’introduzione di prove standardizzate nell’ambito dell’esame di Stato. La
prospettiva è quella di sostituire la terza prova (quella d’Istituto) con una prova nazionale
equivalente a quella che, dal 2009, viene somministrata nel corso degli esami conclusivi del primo
ciclo dell’istruzione.
La Direttiva n. 85 del 2012 si riferisce al triennio 2012/2013, 2013/2014 e 2014/2015 e impartisce
all’INVALSI le seguenti istruzioni:
> le rilevazioni nazionali degli apprendimenti valutano prioritariamente le aree disciplinari
dell’italiano e della matematica, in coerenza con gli obiettivi delle Indicazioni nazionali;
> nelle seconde classi del secondo ciclo riguardano anche gli studenti dei percorsi di qualifica
professionale presso gli istituti professionali statali, in regime di sussidiarietà, o nelle strutture
formative accreditate dalle Regioni;
> l’INVALSI garantisce la partecipazione dell’Italia alle indagini internazionali OCSE- PISA, IEA-
TIMSS, IEA-PIRLS e TALIS, operando sempre più stretti collegamenti tra gli esiti delle indagini
internazionali e i risultati delle rilevazioni nazionali;
> per l’esame di Stato conclusivo dei corsi di istruzione secondaria di II grado l’INVALSI
– cura la predisposizione di modelli per l’elaborazione delle terze prove;
– predispone quadri di riferimento per la valutazione degli elaborati della prima prova scritta
(italiano per tutti) e della seconda prova scritta di matematica presso i licei scientifici.
L’INDIRE è l’acronimo di Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa.
L’idea che la scuola avesse bisogno di un centro di documentazione e di studio, finalizzato a investire
in formazione e innovazione e a sostenere i processi di miglioramento, è antica quanto la scuola
stessa. La prima attivazione di quest’idea risale al 1925; la sua storia moderna comincia con i decreti
delegati.
L’art. 14 del DPR n. 419/1974 istituiva, infatti, la Biblioteca di documentazione pedagogica (BDP),
con sede in Firenze, per:
– raccolta, conservazione e valorizzazione del materiale bibliografico e di documentazione
didattico-pedagogica;
– sviluppo e funzionamento della biblioteca pedagogica nazionale a servizio delle istituzioni e
degli studiosi, oltre che del personale della scuola.
Con l’art. 2 del D. Lgs. n. 258/1999 la BDP fu trasformata in Istituto nazionale di documentazione
per l’innovazione e la ricerca educativa, sottoposto alla vigilanza del Ministero della pubblica
istruzione e collegato con gli Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi
27

(IRRSAE).
Al neonato Istituto furono attribuiti, oltre ai compiti già svolti dalla BDP, nuovi campi di impegno a
fianco delle istituzioni scolastiche autonome:
– lo sviluppo di un sistema di documentazione finalizzato alle esperienze di ricerca e
innovazione didattica e pedagogica in ambito nazionale e internazionale;
– la creazione di servizi e materiali a sostegno dell’attività didattica e del processo di autonomia;
– lo sviluppo dei sistemi tecnologici e documentari;
– la collaborazione con il Ministero della pubblica istruzione per la gestione dei programmi e dei
progetti dell’Unione europea.
Con l’art. 19 della legge n. 111/2011 che ha disposto l’istituzione dell’INDIRE, “quale ente di
ricerca con autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale, amministrativa e regolamentare” e
disponendo che “l’Istituto si articola in 3 nuclei territoriali e si raccorda anche con le regioni”.
Oggi l’ente, con l’INVALSI e il corpo ispettivo del MIUR, è parte del sistema di nazionale di
valutazione in materia di istruzione e formazione. L’Istituto utilizza le nuove tecnologie per la
formazione in servizio del personale docente, non docente, dei dirigenti scolastici. Guarda
all’Europa attraverso il Lifelong Learning Programme e le tante collaborazioni internazionali,
contribuendo allo sviluppo di una rete di contatti, scambi, flussi di informazioni ed esperienze fra
scuole, studenti, aziende e istituzioni di tutti i Paesi dell’UE.

5.1.3. La valutazione del docente periodica


Fino a non molti anni or sono, la valutazione scolastica era essenzialmente considerata come il
momento conclusivo di un processo che prevedeva tre fasi distinte: l’insegnamento del docente,
l’apprendimento dell’alunno, il giudizio, spesso inappellabile, espresso dal docente sul livello di
apprendimento conseguito dall’alunno. Stava esclusivamente alla sensibilità e all’etica professionale
del docente discutere con l’alunno le motivazioni del giudizio, mettere in atto azioni di ricupero e
sostegno nei confronti degli alunni con difficoltà di apprendimento oppure, più raramente, riflettere
sulla validità delle strategie applicate durante l’insegnamento ed, eventualmente, modificarle.
Attualmente invece, le scienze dell’educazione concepiscono la valutazione come una operazione
diagnostica e assume l’ulteriore e fondamentale compito di regolazione dell'azione didattica e che si
esplica nella rilevazione di informazioni concernenti il processo di apprendimento, con lo scopo di
fornire una base empirica all'assunzione delle decisioni didattiche. Secondo la docimologia, cioè la
scienza che studia i problemi legati alla valutazione, in qualsiasi processo valutativo, oggettivamente
e scientificamente corretto, si devono distinguere tre momenti: 1. la verifica, cioè un insieme di prove
(osservazioni sistematiche, interrogazioni, prove scritte, questionari a risposta aperta o chiusa, ecc.).
Una verifica scientificamente corretta deve essere condotta con una pluralità di prove diversificate,
per evitare le trappole che ognuna di esse, da sola, può causare. 2. la misurazione, cioè
l’elaborazione quantitativa delle prove di verifica. Una prova di verifica può essere considerata valida
quando, una volta misurata, essa rispecchia un andamento definito come “Campana di Gauss”, cioè
dà, grosso modo, i seguenti risultati: 20-25% di risultati eccellenti, 50-60% di risultati medi, 20-25%
di risultati non sufficienti. Quando l’insegnante ottiene risultati che si discostano di molto da quelli
statisticamente previsti, ciò significa che la prova somministrata era, a seconda dei casi, troppo facile
o troppo difficile. 3. la valutazione vera e propria, cioè l’interpretazione dei dati ottenuti con la
misurazione. L’interpretazione dei dati è un processo abbastanza complesso che, per essere
considerato scientificamente corretto, può essere soggetta a molti errori. I più comuni sono tre: lo
stereotipo, cioè valutare secondo l’abitudine e non accorgersi o non voler considerare
compiutamente i cambiamenti in positivo o in negativo, l’effetto alone, cioè trasferire in determinati
ambiti disciplinari le valutazioni positive o negative espresse in altri ambiti, l’effetto Pigmalione,
cioè i circoli viziosi (o virtuosi) che si instaurano incoraggiando o scoraggiando un alunno con il
proprio atteggiamento.
La valutazione degli apprendimenti, per rispondere alla sua funzione, si articola in: la valutazione
iniziale, quella in itinere e quella finale. La valutazione iniziale, così definita perché si colloca nella
prima fase dell’anno scolastico (grosso modo il primo mese), ha una funzione di natura diagnostica
28

circa i livelli cognitivi di partenza (in termini di conoscenze e di abilità) e le caratteristiche a ffettive
d'ingresso (gli atteggiamenti verso la scuola e verso le singole materie) degli alunni. Un certo grado di
conoscenza di questi ultimi rappresenta infatti un punto di avvio ineludibile per la programmazione.
La valutazione in itinere o formativa si colloca nel corso degli interventi didattici e più precisamente,
va a punteggiare l'attuazione di specifici percorsi d'insegnamento con lo scopo di assicurare
all'insegnante le informazioni necessario per la regolazione dell'azione didattica. La valutazione finale
è situata al termine di una frazione rilevante del lavoro scolastico, che può essere sia una singola
Unità didattica, sia un quadrimestre, sia l'intero armo scolastico. La sua funzione è sommativa, nel
senso che redigere un bilancio complessivo dell'apprendimento, sia al livello del singolo alunno (con
la conseguente espressione di voti o di giudizi), sia a livello dell'intero gruppo classe (nell'intento di
stimare la validità della programmazione). In linea di massima, le procedure e gli strumenti di
valutazione si possono classificare in prove strutturate, semistrutturate e aperte. Le prove
strutturate sono del genere a stimolo chiuso e risposta chiusa. Consistono, cioè, in domande precise e
circoscritte rispetto alle quali le alternative di risposta sono predefìnite, perciò il compito dello
studente è quello di scegliere la risposta che ritiene corretta. Sono prove di questo tipo: le domande
con risposta a scelta multipla, i brani da completare, le corrispondenze, le a ffermazioni vero-falso
ecc. Le prove semistrutturate sono del tipo a stimolo chiuso e risposta aperta; cioè a dire, consistono
in compiti precisi e circoscritti rispetto ai quali lo studente deve costruire una propria "risposta". Sono
prove di questo genere: i questionari a risposta libera, i saggi brevi, le relazioni su traccia, i riassunti, i
problemi ecc. Le prove aperte sono del genere a stimolo aperto e risposta aperta; in altre parole,
consistono in compiti ampi e definiti in modo generale rispetto ai quali lo studente deve produrre un
proprio elaborato. Sono prove di questo tipo: il tema, l'interrogazione, la relazione libera ecc..

5.1.4 Complessità dell’apprendimento e centralità dei processi valutativi


La valutazione è stata concepita e praticata tradizionalmente come puro strumento di misurazione
della risposta degli alunni all’insegnamento. È sempre stato ovvio che il bravo insegnante adegua le
forme e i contenuti dell’insegnamento ai ritmi e ai modi di apprendimento dei bambini e dei ragazzi,
soprattutto in relazione all’età, ma, al dunque, la valutazione aveva scopo classificatorio e si riferiva
ai risultati, uscendo sostanzialmente dal processo formativo. E le due variabili, apprendimento e
insegnamento, non erano autenticamente poste in relazione biunivoca.
D’altra parte, che valutazione dell’alunno e autovalutazione del docente siano parte essenziale di un
medesimo processo è idea che, se sta probabilmente affermandosi, come cultura di base
dell’insegnante, è però dura da portare a realizzazione diffusa nella professione docente e nelle
scuole. Lo stesso dicasi per l’autovalutazione della scuola stessa. È tuttavia profondamente mutata,
in ogni caso, la visione del processo di insegnamento-apprendimento. Si tratta di un mutamento che
ha due diverse matrici culturali e scientifiche. Da un lato la scienza delle organizzazioni, divenuta
ormai un punto di riferimento ineludibile per la conoscenza dei processi di tutte le organizzazioni
sociali, ha portato alla consapevolezza diffusa del fatto che, in una società complessa, alla base del
funzionamento delle organizzazioni, sta la valutazione dei risultati sia di prodotto, sia di processo in
funzione di automiglioramento dell’organizzazione stessa; dall’altro è cresciuta enormemente nel
corso del secolo appena terminato, e ancor più negli ultimi decenni, la consapevolezza della grande
complessità dei processi dell’apprendimento nella loro forte variabilità individuale sia a livello di
funzionamento cognitivo, sia per il loro intreccio essenziale con aspetti della struttura emotiva e
biografica del singolo alunno.
La ormai diffusa consapevolezza, anche se tuttora generica e ancora largamente insu fficiente, di
una tale complessità è evidentemente incompatibile con una concezione della valutazione centrata
solo sull’alunno e in termini di semplice adeguatezza o inadeguatezza della risposta. Anche
l’insegnamento è chiamato, infatti, corrispondentemente, ad assumere caratteristiche di complessità,
dovendo tener conto della multifattorialità in gioco nei processi di apprendimento, dal riconosci-
mento e rispetto delle diverse propensioni cognitive (stili di apprendimento), alla costituzione di un
contesto motivante ecc. Dovendo non limitarsi a prendere atto dei livelli raggiunti dall’alunno e a
classificarli come sarebbe proprio di una scuola con scopi di selezione sociale, ma fare di tutto per
portare ognuno al massimo successo possibile nell’apprendimento, una tale consapevolezza impone
sia la riflessione sistematica sulla stessa azione di insegnamento, cioè l’autovalutazione da parte del
29

docente e da parte della scuola, sia che la valutazione degli alunni abbia carattere essenzialmente
formativo.

5.1.5. Il ruolo formativo dei processi valutativi


Il carattere formativo della valutazione nella progressione dei vari aspetti del percorso di
apprendimento si realizza quando la valutazione è concepita e praticata come strumento che il
docente utilizza, affinandolo progressivamente, per cogliere lo stato e il modo del processo di
avanzamento degli apprendimenti nell’alunno. Ciò permette al docente di tornare sulla propria
azione in modo puntuale rispetto alle condizioni rilevate e gli consente di condurre l’alunno alla
pienezza del processo oggetto di intervento, anche attraverso una acquisizione di consapevolezza dei
propri comportamenti cognitivi nello svolgimento del compito (la valutazione diviene così anche
autovalutazione dell’alunno). Anche in questo senso – come esercizio della riflessione su singoli
tratti del percorso – il momento valutativo è parte essenziale del processo formativo. Il suo primo
scopo, naturalmente, è di fungere per l’insegnante da sensore del processo di apprendimento-
insegnamento, quale sistema che funziona non nel modo e secondo l’ambizione del controllo
unidirezionale dell’apprendimento, ma che è finalizzato ad apprendere a reagire, flessibilmente e
ricorsivamente, al proprio funzionamento secondo un principio di autoregolazione. L’espressione
“valutazione per l’apprendimento”, in uso in ambiente anglosassone, rende ancor meglio, per il suo
respiro comprensivo, il senso del carattere formativo della valutazione.

5.1.6. Autoriflessività e autovalutazione della scuola


Le organizzazioni che arrivano a sviluppare sensibilità ai propri risultati apprendono a reagire ad
essi con effetti di automiglioramento. Al di fuori di questa ottica, la realizzazione di iniziative di
autovalutazione costituisce un esercizio sostanzialmente inutile. In questo senso l’autovalutazione
stessa necessita di essere soggetta ad autovalutazione. In effetti lo scopo dell’autovalutazione non è
quello di sapere se una scuola funziona più o meno bene per determinati aspetti o, addirittura,
complessivamente, non è di rendere disponibili dei dati in tal senso ai docenti, ma quello di reagire
ai propri risultati sia di prodotto, in primis quelli di apprendimento degli alunni, sia di processo, cioè
rappresentati da aspetti di funzionamento. In questo senso, la rilevazione dei dati è di per sé
operazione di verifica e non di valutazione, la quale è attribuzione di significato dei dati verificati,
cioè discussione, riflessione. Come in un individuo, così in un’organizzazione l’autoriflessione è
autocomunicazione oppure non è. Non c’è autovalutazione se, rilevati i dati oggetto dell’indagine, è
lasciato ai singoli docenti – dopo un primo momento collegiale di presa d’atto e discussione – di fare
i conti con la situazione emersa. La riflessione dei singoli docenti non è autoriflessione della scuola.
Questa ha luogo se la scuola vive un grado di connessione comunicativa che dia luogo a una
struttura – che è cosa reale e concreta, anche se potrebbe erroneamente apparire impalpabile – di
coscienza collettiva, che è, appunto, coscienza della organizzazione scuola, del sistema stesso. A
quel punto, quando la sensibilità agli scopi – e, di conseguenza, ai risultati – fa maturare il passaggio
al livello dell’autoriflessività della scuola – intesa qui come autoriflessività del gruppo docente,
dirigente compreso – allora la scuola diviene un sistema dotato non solo di connessione, ma di
connettività: la sensibilità, la consapevolezza, la percezione dei problemi, come, naturalmente,
l’orgoglio dei successi, la stessa volontà si trasmettono.
È evidente che questa funzione alta ha necessità di una condizione perfettamente materiale che
consiste in luoghi e tempi destinati alla comunicazione su ciò che nasce dall’azione stessa dei
docenti, ciò che nella loro attività essi sperimentano come scoperta e soluzione o come problema o
come desiderio di più avanzata realizzazione didattica.

5.1.7. Novità introdotte dal d.lgs. 62/2017


Il decreto legislativo n. 62/2017 recante norme in materia di valutazione e di certificazione delle
competenze, approvato ai sensi dell’art.1 commi 180 e 181 della Legge 107/2015, apporta importanti
modifiche al decreto n. 122 del 2009, Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la
valutazione.
30

Al decreto n. 62/2017, attuativo della legge n. 107/2015, seguono il DM n. 741/2017, dedicato a


disciplinare in modo organico gli esami di Stato di scuola secondaria di I grado, il DM n. 742/2017,
con il quale sono stati adottati i modelli nazionali di certificazione nazionale delle competenze, e la
nota n. 1865 del 10 ottobre 2017, volta a fornire indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle
competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione.
In sintesi, le principali disposizioni sono le seguenti:
• Valutazione degli apprendimenti e del comportamento. Il collegio dei docenti delibera i criteri e le
modalità di valutazione degli apprendimenti e del comportamento. I criteri saranno resi pubblici e
inseriti nel Piano triennale dell’offerta formativa. I voti in decimi saranno accompagnati dalla
descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti raggiunto. La valutazione
del comportamento non sarà più espressa in voti decimali, ma con un giudizio sintetico. Non è più
prevista la non ammissione alla classe successiva per chi consegue un voto di comportamento inferiore
a 6/10. Gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe della
scuola secondaria di I grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in
via di prima acquisizione.
• Prove INVALSI. Nella scuola primaria le prove si sostengono in seconda e quinta. In quinta viene
introdotta una prova in inglese coerente con il Quadro comune europeo di riferimento delle lingue e
con le Indicazioni nazionali per il curricolo. Nella secondaria di I grado le prove si sostengono in terza,
ma non fanno più parte dell’esame. Alle prove di italiano e matematica, si aggiunge la prova di inglese.
Le prove saranno computer-based. La partecipazione sarà requisita per l’accesso all’Esame, ma non
inciderà sul voto finale.
• Esame conclusivo del primo ciclo. L’ammissione all’esame è subordinata alla frequenza di almeno
tre quarti del monte ore annuale, alla non presenza di sanzioni disciplinari che comportano la non
ammissione all’esame, e alla partecipazione alle prove INVALSI di italiano, matematica e inglese. Le
prove scritte dell’esame sono tre:
1. italiano: le tracce dovranno comprendere un testo narrativo o descrittivo; un testo argomentativo,
che consenta l’esposizione di riflessioni personali, per il quale dovranno essere fornite indicazioni di
svolgimento; una traccia di comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico;
2. matematica: la prova sarà strutturata con problemi articolati su una o più richieste e quesiti a risposta
aperta;
3. lingua straniera.
La prova potrà consistere in: questionario di comprensione di un testo; completamento di un testo in cui
siano state omesse parole o gruppi di parole; riordino e riscrittura o trasformazione di un testo;
elaborazione di un dialogo su traccia articolata; elaborazione di una lettera o email personale su traccia
riguardante argomenti di carattere familiare o di vita quotidiana; sintesi di un testo.
Il colloquio è finalizzato a valutare il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze
previsto dalla Indicazioni nazionali, con particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di
risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento fra discipline e prenderà in
considerazione anche le competenze di Cittadinanza e Costituzione.
Il voto finale deriverà dalla media fra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove scritte e del
colloquio. Potrà essere assegnata la lode.
• Certificazione delle competenze. Insieme al diploma finale del I ciclo sarà rilasciata una
Certificazione delle competenze con riferimento alle competenze chiave europee. Saranno otto le
competenze certificate dalle scuole: comunicazione nella madrelingua, comunicazione nella lingua
straniera, competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia, competenze digitali,
capacità di imparare ad imparare competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa, consapevolezza ed
espressione culturale Per ognuna di esse va indicato il livello conseguito (avanzato, intermedio, base,
iniziale).
31

5.1.8. L’ordinanza ministeriale n. 172 del 04.12.2020 e le Linee guida: “La formulazione
dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria”
Come è noto, con l’OM 172 del 4 dicembre 2020, il Ministero dell’istruzione rivoluziona il metodo di valutazione
degli scrutini nella scuola Primaria. L’art. 3 comma 1 dell’Ordinanza, così recita: “A decorrere dall’anno scolastico
2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è espressa, per ciascuna delle discipline di studio
previste dalle Indicazioni Nazionali, ivi compreso l’insegnamento trasversale di educazione civica di cui alla legge
20 agosto 2019, n. 92, attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, nella prospettiva
formativa della valutazione e della valorizzazione del miglioramento degli apprendimenti”.
Un impianto valutativo che supera il voto numerico su base decimale nella valutazione periodica e finale.
Pertanto, la nuova normativa ha individuato, per la scuola primaria, un impianto valutativo che supera il voto
numerico su base decimale nella valutazione periodica e finale e consente di rappresentare, in trasparenza, gli
articolati processi cognitivi e meta-cognitivi, emotivi e sociali attraverso i quali si manifestano i risultati degli
apprendimenti. Quindi, il voto è sostituito da una descrizione autenticamente analitica, affidabile e valida del livello
raggiunto in ciascuna delle dimensioni che caratterizzano gli apprendimenti. La valutazione è lo strumento
essenziale per attribuire valore alla progressiva costruzione di conoscenze realizzata dagli alunni, per sollecitare il
dispiego delle potenzialità di ciascuno partendo dagli effettivi livelli di apprendimento raggiunti, per sostenere e
potenziare la motivazione al continuo miglioramento a garanzia del successo formativo e scolastico.

L’ordinanza compie alcune scelte di fondo. Rimangono invariate, così come previsto dall’articolo 2, commi 3, 5 e 7
del D.Lgs. 62/2017, le modalità per la descrizione del processo e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti,
la valutazione del comportamento e dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) o dell’attività alternativa
(AAIRC). I giudizi descrittivi delle discipline sono elaborati e sintetizzati sulla base di quattro livelli di
apprendimento ( - In via di prima acquisizione, - Base, - Intermedio, - Avanzato) e dei relativi descrittori, in
analogia con i livelli e i descrittori adottati per la Certificazione delle competenze, da correlare agli obiettivi delle
Indicazioni Nazionali, come declinati nel curricolo di istituto e nella progettazione annuale della singola
classe/interclasse.
Pertanto, a decorrere dall’anno scolastico 2020/2021 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti è
espressa, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali, ivi compreso l’insegnamento
trasversale di educazione civica di cui alla legge 20 agosto 2019, n. 92, attraverso un giudizio descrittivo riportato
nel documento/scheda di valutazione, riferito agli obiettivi oggetto di valutazione definiti nel curricolo d’istituto e
riportati nella scheda di valutazione. Gli obiettivi sono riferiti alle Indicazioni Nazionali, con particolare attenzione
agli obiettivi disciplinari e ai traguardi di sviluppo delle competenze.
La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative, per le alunne e gli alunni che si
avvalgono di tali insegnamenti, viene riportata su una nota separata dal documento di valutazione ed espressa
mediante un giudizio sintetico riferito all’interesse manifestato e ai livelli di apprendimento conseguiti.
La valutazione del comportamento viene espressa per tutto il primo ciclo (lo era anche prima), mediante un giudizio
sintetico che fa riferimento allo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva e responsabile:
 Rispetto delle regole della comunità scolastica (Costituzione);
 Rispetto dell’ambiente di vita scolastica (Sostenibilità);
 Uso corretto delle tecnologie e delle netiquette (in DaD e in DIP) – cittadinanza digitale; •
 Rispetto degli altri, disponibilità alla collaborazione e all’interazione con compagni (relazione);
 Partecipazione, impegno, metodo di studio.

I criteri per descrivere gli apprendimenti sono le dimensioni:

 Autonomia: l’autonomia dell’alunno nel mostrare la manifestazione di apprendimento descritto in uno


specifico obiettivo. L’attività dell’alunno si considera completamente autonoma quando non è riscontrabile
alcun intervento diretto del docente;
 tipologia della situazione (nota e non nota): la tipologia della situazione (nota o non nota) entro la quale
l’alunno mostra di aver raggiunto l’obiettivo. Una situazione (o attività, compito) nota può essere quella
che è già stata presentata dal docente come esempio o riproposta più volte in forme simili per lo
svolgimento di esercizi o compiti di tipo esecutivo. Al contrario, una situazione non nota si presenta
all’allievo come nuova, introdotta per la prima volta in quella forma e senza specifiche indicazioni rispetto
al tipo di procedura da seguire;
 risorse mobilitate: le risorse mobilitate per portare a termine il compito. L’alunno usa risorse
appositamente predisposte dal docente per accompagnare il processo di apprendimento o, in alternativa,
ricorre a risorse reperite spontaneamente nel contesto di apprendimento o precedentemente acquisite in
contesti informali e formali;
 continuità: la continuità nella manifestazione dell’apprendimento. Vi è continuità quando un
apprendimento è messo in atto più volte o tutte le volte in cui è necessario oppure atteso. In alternativa, non
vi è continuità quando l’apprendimento si manifesta solo sporadicamente o mai.
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 altre dimensioni eventualmente elaborate dal Collegio Docenti (inserite nei criteri di valutazione all’interno
del PTOF): partecipazione, rispetto delle regole, responsabilità, autovalutazione, creatività, senso di
appartenenza, relazione, lessico e comunicazione, pensiero divergente.

I livelli di apprendimento (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione) sono descritti, tenendo conto
della combinazione delle dimensioni sopra definite:
 Avanzato: L’ alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di
risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità.
 Intermedio: L’ alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve
compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo
discontinuo e non del tutto autonomo.
 Base: L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente,
sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità.
 In via di prima acquisizione: L’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il
supporto del docente e di risorse fornite appositamente.

Per gli obiettivi non ancora raggiunti o per gli apprendimenti in via di prima acquisizione i docenti strutturano
percorsi educativo-didattici tesi al raggiungimento degli obiettivi, coordinandosi con le famiglie nell’individuazione
di eventuali problematiche legate all’apprendimento, mettendo in atto strategie individualizzate e personalizzate.

L’ottica è quella della valutazione nella prospettiva di apprezzamento e non di misurazione e come sommatoria degli
esiti delle prove, ma come valutazione formativa allargando lo sguardo valutativo sia verso il prodotto, sia verso il
processo, cioè PER l’apprendimento che “precede, accompagna, segue” ogni processo curricolare e deve consentire
di valorizzare i progressi negli apprendimenti degli allievi e il processo di apprendimento educativo”, assume una
preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento
continuo; documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle
acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
In conclusione, il momento valutativo NON sarà inteso come classificatorio e sanzionatorio, ma come regolatore del
processo di insegnamento-apprendimento e questo documento vuole comunicare il concetto di valutazione dialogata
con le famiglie e con una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di
stimolo/motivazione al miglioramento continuo.
La riforma della valutazione è un’occasione per promuovere una vera cultura della valutazione e sottolineare la cura
del processo di apprendimento, per cui la sfida per la valutazione è costruire concetti prima di costruire strumenti
(scheda di valutazione).
Allora, quale concetto di valutazione vogliamo portare avanti? Quali scopi vogliamo assegnare alla valutazione?
Il passaggio dai voti al giudizio descrittivo comporta la sfida di combattere la povertà informativa del voto che
misura, ma non fornisce la spiegazione del perché e del come. La riforma mira a sradicare la concezione della
misura come fattore di qualità, per portare avanti la valutazione formativa e proattiva.
È un ritorno al passato per la scuola primaria poiché il giudizio descrittivo sottende una certa cultura della
valutazione, il voto un’altra cultura: il giudizio descrittivo va oltre la misurazione in quanto descriviamo il “come”
cioè il processo e gli obiettivi.
La nuova cultura o filosofia valutativa, che sottende questa modifica pedagogica, porta i docenti ad allargare il loro
sguardo valutativo, una sfida che porta a valutare non la persona alunno, ma il suo apprendimento, come matura e
ciò che i docenti fanno e come l’hanno fatto.
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5.1.9 L’insegnamento dell’Educazione civica


La legge 20 agosto 2019, n. 92 “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica” nella scuola
primaria e secondaria stabilisce come l’Educazione civica sia una materia curriculare e ne definisce la messa in
pratica per le scuole e gli argomenti connessi.

L’educazione civica è una materia di tipo trasversale che comprende la conoscenza e la comprensione delle strutture
e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società.
Il curricolo è di 33 ore annue e viene valutato come una disciplina a sé stante.
QUALI SONO LE LINEE GUIDA DELL’EDUCAZIONE CIVICA
Le linee guida dei contenuti dell’educazione civica si possono raggruppare in 3 macro categorie:
 Costituzione, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà: la conoscenza, la riflessione sui
significati, la pratica quotidiana del dettato costituzionale rappresentano il primo e fondamentale aspetto da
trattare.
 Sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio: l'Agenda
2030 dell‘ONU ha fissato i 17 obiettivi da perseguire entro il 2030 a salvaguardia della convivenza e dello
sviluppo sostenibile.
 Cittadinanza digitale: la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei
mezzi di comunicazione virtuali.

L’insegnamento dell’Educazione Civica è oggetto di valutazioni periodiche e finali per registrare il raggiungimento
delle competenze in uscita previste dai curricoli. Data la trasversalità e la contitolarità della disciplina, occorre
individuare un docente Coordinatore di classe che formulerà una proposta di valutazione, in sede di scrutinio, dopo
aver acquisito elementi conoscitivi dai docenti del Team. Le griglie di valutazione, elaborate dai docenti, saranno
uno degli strumenti oggettivi di valutazione, applicati ai percorsi interdisciplinari, per registrare il progressivo
sviluppo delle competenze previste nel Curricolo. Poiché la valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo
delle competenze di cittadinanza, allo Statuto delle studentesse e degli studenti, al Patto educativo di
corresponsabilità e ai Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche, nel formularla, in sede di scrutinio, si terrà
conto anche delle competenze conseguite nell’ambito dell’insegnamento di Educazione Civica.
34

CAPITOLO 6
GLI STUDENTI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

6.1.1. La didattica personalizzata


La personalizzazione dell’attività d’insegnamento è entrata nel solco della tradizione italiana a
partire dal 1977, quando la legge n. 517 pose al primo posto nell’azione della scuola “l’attuazione
del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni”.
Fu introdotta la flessibilità della programmazione educativa, che consentiva attività
scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della classe oppure di classi diverse
e/o interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.
In questo contesto fu dato agli alunni portatori di handicap il diritto di frequentare le classi comuni,
con la prestazione di insegnanti specializzati, all’interno di un percorso individualizzato teso a
valorizzare le potenzialità di sviluppo e a ridurre lo svantaggio tramite interventi compensativi. Il
quadro dei diritti e degli interventi correlati fu ulteriormente definito con la legge n. 104/1992 e il
successivo “Atto di indirizzo e di coordinamento” del 1994.
Successivamente, la legge n. 53/2003, andando a riformare l’intero sistema scolastico italiano,
affermò la centralità, nella scuola, della “ crescita e valorizzazione della persona umana”
relativamente ai tre ambiti:
– ritmi dell’età evolutiva;
– differenze e identità di ciascuno;
– scelte educative della famiglia.
L’impostazione personalistica della nuova scuola comportò:
– la sottolineatura dei Piani di studio personalizzati vs la scuola dei programmi;
– l’individuazione di un referente-tutor, all’interno della pluralità dei docenti della classe, per
le relazioni scuola-famiglia;
– la partecipazione della famiglia all’arricchimento del portfolio individuale dello studente.
Infine, ultima in ordine di tempo ma non di importanza, la legge n. 170/2010 aprì un ulteriore canale
di tutela del diritto allo studio, rivolto specificamente agli alunni con DSA, diverso da quello
previsto dalla legge 104/1992. Infatti, il tipo di intervento per l’esercizio del diritto allo studio
previsto dalla Legge si focalizza sulla didattica individualizzata e personalizzata, sugli strumenti
compensativi, sulle misure dispensative e su adeguate forme di verifica e valutazione.
6.1.2. Il Piano educativo individualizzato per gli alunni con disabilità
Il punto di partenza è la legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” il cui art. 3 recita: “È persona
handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o
progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e
tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Nella definizione appena riportata i termini “minorazione”, “difficoltà”, “handicap” sono collocati
in correlazione sequenziale: da una minorazione discende una determinata di fficoltà che può
costituire un handicap.
Con il DPR 24 febbraio 1994 “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di individua- zione e
certificazione dell’handicap ai fini scolastici” si individuarono competenze e procedure per
l’individuazione dell’handicap e la formulazione di un progetto di sostegno attraverso i seguenti
passaggi:
a) l’individuazione dell’alunno come persona handicappata, tramite accertamenti che si
concludono con Verbale redatto dal Collegio medico dell’ASL o dell’Azienda Ospedaliera
(DPCM n. 185/2006);
b) la diagnosi funzionale (DF) del soggetto, cioè la descrizione analitica della compromissione
funzionale dello stato psicofisico dell’alunno, a cura del personale sanitario della NPI;
c) il profilo dinamico funzionale (PDF), che indica il prevedibile livello di sviluppo che l’alunno
in situazione di handicap dimostra di possedere nei tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi
(due anni): esso scaturisce dalla collaborazione fra il personale della NPI e il team dei docenti
della scuola, integrati dal docente di sostegno;
d) il Piano educativo individualizzato (PEI), documento di programmazione educativa e
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didattica su base annuale (ma flessibile e rivedibile in ogni momento) nel quale sono descritti
gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predi- sposti per l’alunno in situazione di
handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto
all’educazione e all’istruzione. È redatto dal Consiglio di classe, congiuntamente agli
operatori sanitari.
Queste documentazioni sono le tappe per la costruzione di un progetto di vita, che riguarda la
crescita personale e sociale dell’alunno con disabilità e che ha come prospettiva l’innalzamento della
qualità della sua vita, anche attraverso la predisposizione di percorsi volti sia a sviluppare il senso di
autoefficacia e sentimenti di autostima, sia a predisporre il conseguimento delle competenze
necessarie a vivere in contesti di esperienza comuni. Tutta la materia di interesse della scuola è oggi
riassunta dalle “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” (documento
trasmesso con Nota MIUR prot. 4274 del 4 agosto 2009), che costituisce una specie di “Testo unico”
per l’integrazione scolastica in Italia.

6.1.3. I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)


I DSA riguardano soggetti con intelligenza nella norma, i quali presentano difetti di
“funzionamento” in determinate aree. La sigla raggruppa in un’unica definizione disturbi
caratterizzati da elementi deficitari nella percezione e nella produzione di messaggi o altre
prestazioni intellettuali in soggetti senza deficit intellettivo o insu fficienza mentale (anzi, a volte in
un quadro di superdotazione). Tali disturbi sono principalmente:
– la dislessia: disturbo della lettura e del suo apprendimento caratterizzato da inversione di
lettere e sillabe, confusione di fonemi simili (p/b; t/d; f/v; s/z ecc.), mutilazione di parole; è
accompagnata spesso da anomalie della percezione, della lateralizzazione e della motricità,
oltre che essere spesso associata a disgrafia e discalculia;
– la discalculia, consistente nella difficoltà a compiere operazioni di seriazione e di calcolo;
– la disgrafia, consistente nella difficoltà di apprendimento e di uso della scrittura (in
quest’ultimo caso si usa definire come disortografia: può essere sintomo di un’altera- zione
del coordinamento oculo-manuale o anche effetto di un mancinismo contra- stato; la
rieducazione è possibile con l’applicazione di tecniche specifiche.
Il diritto allo studio per gli alunni con DSA è garantito con i particolari interventi previsti dalla legge
n. 170/2010. Il Ministero, con DM 12 luglio 2011, ha emanato le “Linee guida per il diritto allo
studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”.
I DSA talvolta si associano, o si confondono, con il cosiddetto “disordine da deficit dell’attenzione”,
spesso caratterizzato da iperattività (in inglese, Attention Deficit and Hyperactivity Desorder -
ADHD), che caratterizza i disturbi di tipo oppositivo-provocatorio, della condotta, a volte secondari
anche a difficoltà di apprendimento. L’iperattività può essere a sua volta “predittiva” di disturbi
specifici dell’apprendimento: ma l’ADHD, in sé, non costituisce Disturbo specifico di
apprendimento ai sensi della legge n. 170/2010.

6.1.4. Il Piano didattico personalizzato


La legge n. 170/2010, all’art. 3, prescrive che “la diagnosi dei DSA è effettuata nell’ambito dei
trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente ed è
comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente”.
In genere la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda classe della
scuola primaria (fine terza per la discalculia). È evidente la distinzione delle competenze:
– la scuola effettua azioni di osservazione, con i primi interventi di didattica mirata, e di
screening su tutti gli alunni: ai genitori degli alunni che, nel tempo, confermano difficoltà
importanti va consegnata lettera (descrittiva delle difficoltà riscontrate) contenente invito a
rivolgersi ai servizi sanitari;
– le ASL, svolti gli accertamenti previsti dai protocolli medici regionali, valuta la situa- zione e,
nel caso, certifica la presenza di uno o più disturbi specifici di apprendi- mento, consegnando
alla famiglia la relativa diagnosi con le prescrizioni ritenute opportune.
Ricevuta dalla famiglia la certificazione di DSA, il dirigente scolastico attiva il team dei docenti
perché sia programmata e assicurata l’azione didattica personalizzata.
È preliminare la verifica sulle metodologie d’insegnamento adottate: la loro qualità è funzionale alla
compensazione delle difficoltà e dei disturbi. Se, al contrario, esse non sono adeguate, si rischia di
compromettere il percorso formativo degli alunni più fragili. Si deve infatti sottolineare che le
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metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa.
Lo strumento di programmazione per l’alunno con DSA prende il nome di Piano didattico
personalizzato (PDP). Esso va redatto entro il primo trimestre dell’anno, anche in raccordo con la
famiglia e descrive:
– le attività didattiche individualizzate;
– le attività didattiche personalizzate;
– gli strumenti compensativi utilizzati;
– le misure dispensative adottate;
– le forme di verifica e valutazione personalizzate.
L’obbligo di adozione di strumenti compensativi e misure dispensative è contenuto nell’art. 5 della
legge n. 170/2010.
Gli strumenti compensativi sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria:
– la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
– il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della
lezione;
– i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di
testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale
correzione degli errori;
– la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;
– altri strumenti più tradizionali quali tabelle, formulari, mappe concettuali ecc.
Tali strumenti sollevano l’alunno dalla prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro
esimerlo dall’impegno dello studio.
L’utilizzo di taluni strumenti informatici può essere complesso: i docenti sono chiamati a sostenerne
l’uso da parte degli alunni; la scuola può altresì organizzare attività di formazione per genitori e
alunni, ripartendone i costi sui fruitori.
Le misure dispensative consentono invece all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa
del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non sono essenziali all’apprendimento.
Esempi:
– non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via
del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura.
– gli va invece assegnato un tempo più lungo per lo svolgimento di una prova;
– le prove vanno predisposte su contenuti significativi ma ridotti nella quantità.
L’obiettivo della legge n. 170 non è quello di creare percorsi immotivatamente facilitati, bensì quello
di formulare specifici progetti che assicurino il successo formativo degli alunni con DSA.
La Legge 170/2010 e le Linee Guida insistono sul tema della didattica individualizzata e
personalizzata come strumento di garanzia del diritto allo studio: le strategie didattiche sono
essenziali per il raggiungimento del successo formativo degli alunni con DSA.
I termini individualizzata e personalizzata non sono sinonimi, anche se la discussione in merito è
articolata. Si possono proporre le seguenti definizioni:
– la didattica individualizzata lavora sullo sviluppo e sul raggiungimento delle competenze di
base garantendo a tutti gli alunni il raggiungimento degli obiettivi comuni. Individualizzato è
l’intervento calibrato sul singolo, in particolare per migliorare al- cune competenze
deficitarie o per potenziare l’automatizzazione di processi basilari.
– la didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge n.
53/2003 e nel Decreto legislativo n. 59/2004, lavora sulle potenzialità personali: offre a
ciascun alunno l’opportunità di svilupparle al meglio attraverso un lavoro in classe
diversificato. Favorisce, così, l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo
sviluppo consapevole delle sue ‘preferenze’ e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi
generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia di una varietà di
metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo
in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali etc.), l’attenzione
agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti,
nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo.

6.1.5. Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES)


Nella Direttiva del 27 dicembre 2012 viene delineato il quadro complessivo degli studenti con BES,
proponendo la loro classificazione nelle tre "sotto-categorie":
37

– della disabilità (handicap), il cui diritto allo studio è tutelato dalla legge n. 104/1992;
– dei DSA, il cui diritto allo studio è tutelato dalla legge n. 170/2010;
– dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.
Mentre l’individuazione degli alunni dei primi due gruppi compete ai servizi di NPI, il compito di
individuare i bisogni educativi degli alunni della terza "sotto-categoria" e di costruirne i percorsi di
personalizzazione (PDP) è affidato ai consigli di classe (nella scuola dell’infanzia e primaria ai team
dei docenti). Gli alunni con BES sono individuati sulla base di elementi oggettivi (segnalazioni degli
operatori dei servizi sociali, eventi traumatici) oppure di fondate considerazioni psicopedagogiche e
didattiche; i relativi PDP sono di durata temporanea.
Il GLH d’istituto, con funzioni di Gruppo di lavoro per l’inclusione, rileva i BES presenti nella scuola
con l’obiettivo di elaborare il Piano annuale per l’Inclusività (PAI) da sottoporre alla delibera del
collegio dei docenti nell’ambito del Piano dell’offerta formativa.

6.1.6 Gli alunni stranieri


La presenza di bambini e adolescenti con radici etniche e culturali diverse è fenomeno non più
episodico ma strutturale. La scuola non può limitarsi a rilevare le di fferenze ma sostiene attivamente
la loro integrazione. Essa va intesa come un processo bidirezionale, che prevede diritti e doveri tanto
per gli immigrati quanto per la società che li accoglie. La scuola, infatti, è un luogo centrale per la
costruzione e con- divisione di regole comuni; insieme, può trasmettere le conoscenze storiche,
sociali, giuridiche ed economiche che sono saperi indispensabili nella formazione di una nuova
cittadinanza.
Raramente l’iscrizione dello straniero avviene nei tempi previsti dalla normativa: è il flusso della vita
a decidere il momento e le condizioni del suo arrivo in Italia.
Rimane fondamentale il criterio generale di inserire l’alunno secondo l’età anagrafica (art. 45 del
DPR 394/99). Slittamenti di un anno su classe inferiore possono essere utili per dare al nuovo arrivato
il tempo di orientarsi nel nuovo contesto, senza l’immediato incombere di scadenze valutative.
È utile accertare alcuni livelli di competenze per definire l’assegnazione alla classe: vi sono test idonei
a rilevare il livello di sviluppo di abilità logiche, matematiche, espressive. A volte l’inglese o il
francese costituiscono un veicolo già presente di comunicazione.
Per l’approfondimento e la rilevazione dei dati relativi al bambino straniero e alla sua famiglia è
opportuno fissare un incontro successivo all’iscrizione. Risulta utile a tal proposito che la scuola,
attraverso la commissione accoglienza o intercultura, si doti di una traccia tipo per lo svolgimento di
questo colloquio che sia utile a comuni- care informazioni sull’organizzazione della scuola, sulle
modalità di rapporto scuola- famiglia, che faciliti la raccolta di informazioni sulla situazione familiare
e sulla storia personale e scolastica dell’alunno, nonché sulle aspirazioni della famiglia. La presenza
del mediatore culturale, ove fornita dall’Amministrazione comunale o da specifici progetti di scuola,
contribuisce a creare un clima sereno di comunicazione reale.
L’obiettivo prioritario nell’integrazione degli alunni stranieri è l’acquisizione di una minima
competenza nell’italiano scritto e parlato, nelle forme ricettive e produttive, per assicurare il
principale fattore di successo scolastico e d’inclusione sociale. Gli alunni stranieri, dal momento del
loro arrivo, si confrontano con:
– la lingua italiana del contesto concreto, indispensabile per la vita quotidiana (la lingua per
comunicare);
– la lingua italiana specifica, necessaria per comprendere ed esprimere concetti, sviluppare
l’apprendimento delle diverse discipline e una riflessione sulla lingua stessa (la lingua dello
studio).
La prima può essere appresa in un arco di tempo che oscilla da un mese a un anno. Per apprendere la
lingua dello studio, invece, sono necessari alcuni anni, considerato che si tratta di competenze
specifiche.
Lo studio della lingua italiana deve essere inserito nella quotidianità dell’apprendimento e della vita
scolastica degli alunni stranieri, con attività di laboratorio linguistico e con percorsi e strumenti per
l’insegnamento intensivo dell’italiano. Occorre, quindi, che tutti gli insegnanti della classe siano
38

coinvolti.
Dal 2009, con l’entrata in vigore del Regolamento per la valutazione (DPR n. 122), è stato chiarito
che gli alunni stranieri vanno valutati alla stessa stregua degli alunni italiani. Nella sua formulazione,
la norma appare rigida e di difficile applicazione se la scuola non ha promosso una vera uguaglianza
di opportunità; né, del resto, elargire attestati e diplomi senza averne costruite le competenze da essi
certificate va nel senso della cittadinanza vera e attiva, né per il singolo né per la società nel suo
insieme.
Il citato art. 45 del DPR n 394/1999 prescrive che “il collegio dei docenti definisce, in relazione al
livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di
insegnamento…”. Pur non essendo legittimo ricorrere, per gli alunni stranieri, agli strumenti di
individualizzazione previsti da specifiche leggi per gli alunni con handicap o con DSA, la scuola è
chiamata alla personalizzazione dei Piani di studio (Legge n. 53/2003; D. Lgs. n. 59/2004). In questo
contesto, si prendono in considerazione il percorso dell’alunno, i passi realizzati, la motivazione e
l’impegno, le potenzialità di apprendimento dimostrate.

6.1.7. Novità introdotte dal d.lgs 66/2017


Il decreto inizia con il definire, in linea generale, il concetto di “scuola inclusiva”. L’inclusione
scolastica viene individuata quale architrave dell’identità culturale, educativa e progettuale delle
scuole, caratterizzandone nel profondo la mission educativa, attraverso un coinvolgimento diretto e
cooperativo di tutte le componenti scolastiche. Essa, pertanto, viene sviluppata e valorizzata
nell’àmbito dei documenti fondamentali della vita della scuola, quali il PTOF (Piano Triennale
dell’Offerta Formativa).
Il legislatore intende dunque intervenire a rinnovare e ad adeguare le strategie specifiche messe in atto
per gli alunni e studenti con disabilità di cui alla Legge 104/92.
L’inclusione scolastica va realizzata in un sistema integrato che operi all’interno di un progetto
complessivo di sostegno e assistenza, realizzato da scuola, famiglia e dai diversi soggetti, pubblici e
privati, a diverso titolo coinvolti e con diverse competenze e responsabilità.
Il PEI (Piano Educativo Individualizzato) è inserito, infatti, quale parte integrante del progetto
individuale, potenziandone sostanzialmente il ruolo, ed essendo lo stesso non un mero documento
burocratico, ma l’occasione fondamentale per la realizzazione del “progetto di vita” degli alunni e degli
studenti con disabilità.
In virtù dell’attuale assetto di riparto delle competenze, come tracciato dal vigente Titolo V della
Costituzione, vengono ripartite le funzioni dei vari Enti coinvolti nel processo d’inclusione scolastica,
mentre una prestazione comune a ciascuno degli Enti istituzionalmente preposti all’inclusione
scolastica nell’àmbito della strumentazione didattica, la garanzia in capo allo Stato (istituzioni
scolastiche), alle Regioni (diritto allo studio) e agli Enti Locali (erogazione dei sussidi didattici)
dell’accessibilità e della fruibilità di strumentazioni tecnologiche e digitali nell’àmbito della didattica,
oggi indispensabili per l’apprendimento degli alunni e degli studenti con determinate tipologie di
disabilità, quali ad esempio quelle sensoriali.
Vengono introdotti i criteri relativi al processo di valutazione e autovalutazione delle istituzioni
scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica. Vengono delineate le direttrici
fondamentali verso cui si deve muovere l’azione educativa e formativa nell’àmbito dell’inclusione
scolastica da parte delle scuole, nei più ampi processi di valutazione e di autovalutazione necessari per
la definizione dei cosiddetti «piani di miglioramento».
L’articolo 5 individua la «Valutazione Diagnostico-Funzionale» in luogo della «Diagnosi
Funzionale» (DF) e del «Profilo Dinamico-Funzionale» (PDF), quale nuovo strumento per la
definizione del cosiddetto “funzionamento” dell’alunno e dello studente con disabilità certificata ai
sensi della Legge 104/92, che costituisce il fondamento stesso su cui definire le diverse provvidenze,
ivi incluso il diritto al sostegno didattico.
Le Commissioni Mediche devono essere composte da un medico specialista in Medicina Legale, che
assume le funzioni di Presidente, e da due medici, dei quali uno scelto tra gli specialisti in
Neuropsichiatria Infantile e l’altro tra gli specialisti in Pediatria. Le Commissioni sono
obbligatoriamente integrate dal medico INPS.
Al fine della Valutazione Diagnostico-Funzionale, le Commissioni sono integrate da un
rappresentante dell’Amministrazione Scolastica, con specifiche competenze in materia di disabilità,
39

nominato dall’Ufficio Scolastico Regionale. Nella fase della Valutazione Diagnostico-Funzionale, si


aggregheranno poi alle Commissioni pure uno specialista (terapista della riabilitazione) e un
operatore sociale, figure già previste dalle commissioni disciplinate all’articolo 4 della Legge 104/92.
L’INPS è il soggetto a cui ordinariamente dev’essere rivolta inizialmente l’istanza per la certificazione,
deve trattare quelle relative all’inclusione scolastica in via prioritaria, onde consentirne la
calendarizzazione dell’accertamento entro trenta giorni dalla data di ricevimento dell’istanza.
Le fasi relative all’inclusione scolastica, sono quindi:
a) presentazione da parte del medico di medicina generale o di un pediatra di libera scelta, in via
telematica e su richiesta dei genitori o del soggetto con responsabilità genitoriale, della domanda di
accertamento della condizione di disabilità. La domanda dev’essere corredata dalla certificazione e
dalla documentazione del medico specialista, redatte ai sensi di quanto previsto dal precedente articolo
5;
b) accertamento della condizione di disabilità, redazione della Valutazione Diagnostico-Funzionale,
individuazione e quantificazione di quanto previsto al precedente articolo 6 da parte della Commissione
e successiva trasmissione ai genitori della documentazione;
c) trasmissione dei documenti da parte dei genitori all’istituzione scolastica, nonché al competente Ente
Locale, ai fini dell’elaborazione, rispettivamente, del Piano Educativo Individualizzato e del Progetto
individuale, ove richiesto dai Genitori;
d) elaborazione del Progetto Individuale da parte dell’Ente Locale e trasmissione all’istituzione
scolastica;
e) trasmissione, a cura del Dirigente Scolastico, al GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale), di cui
all’articolo 15 della Legge 104/92, come modificato dal presente Decreto, ai fini della proposta delle
risorse per il sostegno didattico, dei seguenti documenti: 1) documenti di cui ai precedenti articoli 5 e
6;
2) Progetto Individuale; 3) Piano per l’Inclusione (PAI); 4) elaborazione del Piano Educativo
Individualizzato (PEI) da parte dell’istituzione scolastica.
Si rinnova l’articolo 15 della Legge 104/92, istituendo appunto il GIT (Gruppo per l’Inclusione
Territoriale) che sopprime tutti gli altri gruppi di lavoro ormai obsoleti e avrà il compito di procedere
ad effettuare la proposta di risorse per il sostegno didattico all’U fficio Scolastico Regionale
competente per territorio e sarà costituito per ogni ambito territoriale.
Viene rimarcato e potenziato il principio secondo cui il PEI – sempre nell’àmbito della progettazione
integrata – viene elaborato con la necessaria partecipazione delle famiglie e di tutti gli operatori
assegnati alla classe in supporto alla disabilità.
L’articolo 12 istituisce le articolazioni del personale per il sostegno didattico per ciascun grado di
istruzione, inclusa la scuola dell’infanzia, nell’àmbito di quelli previsti dall’articolo 1, comma 66, della
Legge 107/15.
Viene introdotta una nuova disciplina per l’accesso alla carriera di docente per il sostegno didattico
nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. In particolare, si prevede – con decorrenza a partire
dall’anno 2019, lo studente consegua preventivamente 60 Crediti Formativi Universitari (CFU)
relativi alle didattiche dell’inclusione, oltre a quelli già previsti nel corso di laurea (31 CFU).
In pratica, la formazione viene considerata come uno snodo fondamentale anche per l’innalzamento
della qualità della didattica inclusiva e si precisa che essa deve coinvolgere tutte le componenti
scolastiche anche il personale ATA (che è tenuto a parteciparvi) e il personale dirigenziale, sia
all’atto dell’immissione in ruolo che durante lo svolgimento dell’intera carriera.
Le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale, gli Enti Locali e le
Aziende Sanitarie Locali devono individuare azioni per garantire il diritto all’istruzione agli alunni e
studenti per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a
trenta giorni di lezione, a causa di gravi patologie certificate, anche attraverso la definizione di progetti
che possono avvalersi dell’uso delle nuove tecnologie.
40

6.1.8 Il nuovo Pei

Il Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020 e le relative Linee Guida hanno sancito
l’ingresso nel mondo scolastico del nuovo modello nazionale di PEI insieme alle nuove modalità di
assegnazione delle misure di sostegno.
Il nuovo PEI su base ICF avrebbe dovuto essere adottato a partire dal 2021/2022, ma già dall’anno
scolastico 2020/2021 le scuole hanno provveduto alla redazione di un PEI provvisorio per gli alunni con
disabilità certificata neo iscritti o con nuova certificazione, indicando gli interventi necessari, da
verificare e riportare con le eventuali integrazioni e modifiche nel PEI dell’anno successivo.
L’alunno con disabilità verrà osservato prendendo in considerazione sia l’aspetto medico, legato quindi
direttamente alla malattia, al trauma, che quello sociale, che nasce appunto dal senso di malessere, che
avverte all’interno del suo contesto sociale, che sia la scuola, la famiglia o gli amici.
Infine l’azione formativa personalizzata fornirà all’allievo la possibilità di sviluppare le sue potenzialità e
rendere così plausibile il suo successo formativo.

La verifica finale del PEI è approvata dal GLO, acquisita e valutata dal Dirigente scolastico al fine di:
a. Formulare la richiesta complessiva d’istituto delle misure di sostegno da trasmettere al competente
Ufficio Scolastico Regionale entro il 30 di giugno;

b. formulare la richiesta complessiva d’Istituto delle misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle
didattiche, da proporre e condividere con l’Ente Territoriale.

Con la sentenza n. 9795/2021 del 14 settembre 2021, del Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio, le scuole sono chiamate ad utilizzare i modelli precedenti integrandoli però con alcune novità,
parti non rigettate dal Tar del Lazio, come ha spiegato il Ministero dell’Istruzione con una  nota apposita
di chiarimento.
Il Ministero ha ricordato che “in materia, resta vigente il decreto legislativo n. 66/2017 e ss.mm..ii.. in cui
sono contenute indicazioni dettagliate al fine di assicurare la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti
nel progetto di inclusione relativamente:
a) al Piano Educativo Individualizzato-PEI (Art. 7, comma 2), con riferimento alle modalità e ai
tempi di redazione; all’individuazione degli obiettivi educativi e didattici; etc.
b) ai Gruppi per l’inclusione scolastica (Art. 9) e, nello specifico, ai GLO – Gruppi di Lavoro
Operativo per l’inclusione, con particolare riguardo alla composizione e alle sue funzioni
(comma 10) oltre che alla partecipazione degli studenti (comma 11).”

Il Ministero punta, quindi, “dare continuità all’azione educativa e didattica a favore di bambini e
bambine, alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità, nel rispetto delle norme sancite dalla Carta
Costituzionale e dell’assoluta preminenza del diritto allo studio.”
Ciò significa che si deve adottare il modello che si è adoperato fino ad oggi, però, riadattandolo a quello
che viene esplicitato dal decreto 66/17. Dunque dobbiamo aggiungere delle sezioni che riguardano il
profilo bio-psico-sociale.
41

CAPITOLO 7
LA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO

7.1.1. L’ordinamento della scuola dell’infanzia


La scuola materna statale fu istituita con la legge 18 marzo 1968, n. 444. L'ordinamento della scuola
dell’infanzia (chiamate prima della Riforma Moratti, scuole materne) e del primo ciclo è stato
disciplinato dal dpr 89/200.9 con il quale si è provveduto ad introdurre nell'organizzazione e nel
funzionamento della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione misure di riorganizzazione e
qualificazione, al fine di assicurare sia migliori opportunità di apprendimento e di crescita educativa,
sia l'assolvimento dell'obbligo di istruzione. L’attuale scuola dell’infanzia è un percorso prescolastico,
consigliato ma non obbligatorio, per i bambini dai 3 ai 6 anni d’età.
Il funzionamento normale è di quaranta ore settimanali, su cinque ο sei giorni, elevabili fino a un
massimo di cinquanta ore settimanali e riducibili a non meno di venticinque.
Le sezioni di scuola primaria sono costituite, di norma, con un numero di bambini non inferiore a 18 e
non superiore a 26.
Per i bambini da 24 a 36 mesi possono essere attivate le sezioni primavera, sulla base di progetti di
scuola nell’ambito di intese fra gli Uffici scolastici regionali e le Regioni. Le istituzioni scolastiche
organizzano le attività educative per la scuola dell'infanzia con l'inserimento dei bambini in sezioni
distinte a seconda dei modelli-orario scelti dalle famiglie. Le sezioni primavera (ex L. 296/2006) con le
quali, all'interno delle scuole dell'infanzia, possono essere istituite delle classi dedicate ai bambini dai 2
ai 3 anni di e à (da 24 a 36mesi), costituiscono un ponte tra l'asilo nido-e fa ·scuola dell'infanzia e
nascono da un accordo che viene sigla.to di anno in ari.no, in sede di Conferenza unificata Stato,
Regioni e Autonomie locali, a cui seguono a livello locale le intese regionali tra Regione e Ufficio
scolastico regionale. Tuttavia, l'inserimento dei bambini ammessi alla frequenza anticipata può essere
disposto solo se ricorrono le seguenti condizioni: disponibilità dei posti; accertamento dell'avvenuto
esaurimento di eventuali liste di attesa; disponibilità di dotazioni e locali idonei sotto il profilo
dell'agibilità e della funzionalità, tali da rispondere alle diverse esigenze dei bambini di età inferiore a
tre anni; valutazione pedagogica e didattica, da parte del Collegio dei docenti, dei tempi e delle
modalità dell'accoglienza. Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia sono contenute nelle
Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, emanate nel 2012. L'approvazione
definitiva delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di
istruzione è avvenuta dopo una sperimentazione durata tre anni ed ha portato al regolamento emanato
con D.M. 16- 11-2012, n. 254, che organizza le attività educative per i bambini di scuola dell'infanzia
in base a cinque "campi di esperienza":
42

7.1.2. La scuola primaria


Le Indicazioni nazionali per la scuola primaria sono contenute nelle "Indicazioni nazionali per la scuola
dell’infanzia e del primo ciclo", emanate nel 2012. La scuola primaria costituisce il primo gradino del
primo ciclo di istruzione. L’obbligo di iscrizione alla scuola primaria deriva dal compimento dei 6 anni.
Sono iscritti alla scuola primaria le bambine e i bambini che compiono sei anni di età entro il 31
dicembre dell'anno scolastico di riferimento. Possono, altresì, essere iscritti alla scuola primaria, su
richiesta delle famiglie, le bambine e i bambini che compiono sei anni di età entro il30 aprile dell'anno
scolastico di riferimento. All’Atto dell’iscrizione, i genitori ο gli esercenti la responsabilità genitoriale
esprimono le proprie opzioni rispetto all’orario settimanale, che prevede quattro modelli:
1. le 24 ore settimanali, introdotte dalla legge n. 169/2008;
2. le 27 ore settimanali, introdotte dal D. Lgs n. 59/2004 (art. 7);
3. le 30 ore settimanali, che alle 27 dell’opzione n. 2 aggiungono altre 3 ore di attività opzionali
rimesse alla scelta dei genitori e alle disponibilità di organico (i modelli orari n. 2 e n. 3
derivano dalla legge n. 53/2003, c.d. "riforma Moratti");
4. le 40 ore settimanali (tempo pieno), con 8 ore giornaliere per 5 giorni settimanali, con incluso
l’orario per l’intervallo mensa, la cui durata (da una a due ore) è deliberata dal consiglio
d’Istituto su proposta del collegio dei docenti.

Le modalità di realizzazione del tempo pieno prevedono 2 insegnanti titolari sulla stessa classe e uno
specifico progetto formativo integrato (senza distinzione tra le attività didattiche del mattino e quelle
del pomeriggio) attivabile sulla base delle disponibilità di organico assegnate all'istituto, nonché in
presenza delle necessarie strutture e servizi.
Il tempo-scuola ordinario della primaria è svolto, invece, secondo il modello dell'insegnante unico di
riferimento, attivabile a richiesta delle famiglie, alternativo al precedente assetto del modulo e delle
compresenze, attualmente ancora molto diffuso. Di fatto l'insegnante, unico non lo è mai. La L.
169/2008 aveva l'intento di restaurare il «maestro» unico in Italia, al fine di conformarsi a quello che è
il sistema adottato prevalentemente in Europa. Ma di fatto l'insegnante non è unico bensì prevalente, in
quanto è affiancato sempre da altri colleghi specializzati (docenti di sostegno, per l'insegnamento della
lingua e della religione cattolica).

Le classi della scuola primaria sono costituite, di norma, con un numero di bambini non inferiore a 15
e non superiore a 26. Le pluriclassi sono costituite da non meno di 8 e non più di 18alunni. Le sezioni
di scuola primaria, che accolgono alunni con disabilità, sono costituite con non più di 20 alun.ni, limite
confermato dal D.Lgs. 66/2017 in materia di inclusione scolastica. Nelle scuole e nelle sezioni staccate
funzionanti nei Comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche abitate da minoranze
linguistiche possono essere costituite classi, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni
inferiore al numero minimo previsto e comunque non inferiore a 10 alunni.
L’insegnamento della lingua inglese è stato reso obbligatorio dalla Legge 53/2003. L’orario settimanale
è differenziato a seconda delle annualità: un’ora nella classe prima, due nella seconda, tre nelle
successive.
La valutazione periodica ed annuale del rendimento scolastico degli alunni, nonché la relativa
certificazione, è espressa con voti in decimi; la valutazione del comportamento è invece espressa con un
giudizio, formulato secondo le modalità deliberate dal collegio dei docenti. Anche per la religione
cattolica resta la valutazione attraverso un giudizio sintetico. Gli insegnanti di sostegno, assegnati alle
classi in cui sono inseriti alunni con certificazione di handicap, partecipano alla valutazione di tutti gli
alunni. I docenti possono deliberare all’unanimità di non ammettere un alunno alla classe successiva
soltanto in casi eccezionali debitamente motivati. II criterio della frequenza di almeno tre quarti
dell’orario annuale personalizzato non è previsto per la scuola primaria: ne consegue che la valutazione
dell’incidenza delle assenze sul profitto scolastico è rimessa al team dei docenti.
43

La scuola primaria promuove, quindi, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della
personalità; permette di acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base fino alle prime
sistemazioni logico-critiche; favorisce l'apprendimento dei mezzi espressivi, ivi inclusa
l'alfabetizzazione in almeno una lingua dell'Unione europea (jnglese) oltre alla lingua italiana; pone le
basi per l'utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e
delle sue leggi; valorizza le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo; educa i
giovani cittadini ai principi fondamentali della convivenza civile.
Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado, al termine della quinta classe, non prevede più che
gli alunni sostengano un esame.

7.1.3. La scuola secondaria di primo grado


La scuola secondaria di primo grado ha il compito di assicurare ad ogni allievo il consolidamento delle
padronanze strumentali (lettura, scrittura, matematica, lingue} e della capacità di apprendere, nonché
un adeguato livello di conoscenze e di competenze, che formano la piattaforma su cui costruire il
percorso successivo.
La frequenza alla scuola secondaria di primo grado è obbligatoria per tutti i ragazzi italiani e stranieri
che abbiano concluso il percorso della scuola primaria. Successiva alla scuola primaria, della durata di
tre anni, la scuola secondaria di primo grado prevede due modelli di funzionamento orario settimanale:
orario di base di 30 ore settimanali (tempo normale); tempo prolungato di 36 ore settimanali, elevabili
fino a 40 su autorizzazione dell’Ufficio scolastico regionale: l’orario è comprensivo del tempo dedicato
alla mensa. Spetta ai genitori ο agli esercenti la responsabilità genitoriale esprimere la relativa opzione
in sede di iscrizione.
Il quadro orario settimanale e annuale delle discipline e le classi di concorso per gli insegnamenti della
scuola secondaria di primo grado, definiti tenendo conto dei nuovi piani di studio, sono determinati
come specificato nella tabella che segue.

Settimana Annuale
le
Italiano, Storia, Geografia 9 297
Attività di approfondimento in materie letterarie 1 33
Matematica e Scienze 6 198
Tecnologia 2 66
Inglese 3 99
Seconda lingua comunitaria 2 66
Arte e immagine 2 66
Scienze motorie e sportive 2 66
Musica 2 66
Religione cattolica 1 33
44

Anche in questo caso l'insegnamento della religione cattolica è facoltative per le famiglie.
Il quadro orario settimanale e annuale delle discipline per gli insegnamenti della scuola secondaria di
primo grado a tempo prolungato è invece determinato come specificato nella tabella che segue.

Settimanale Annuale
Italiano, Storia, Geografia 15 495
Matematica e Scienze 9 297
Tecnologia 2 66
Inglese 3 99
Seconda lingua comunitaria 2 66
Arte e immagine 2 66
Scienze motorie e sportive 2 66
Musica 2 66
Religione cattolica l 33
Approfondimento a scelta delle scuole nelle discipline presenti 2 33/66
nel quadro orario

Le classi prime sono costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28
in caso di iscritti in eccedenza. Qualora si formi una sola classe prima, gli alunni possono essere 30. Le
classi di scuola secondaria di primo grado che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma,
con non più di 20 alunni, qualora si tratti di alunni disabili gravi.
È previsto l’insegnamento di due lingue comunitarie: la prima è obbligatoriamente l’inglese, con tre ore
settimanali; la seconda lingua ha due ore settimanali e, sulla base del Piano dell’o fferta formativa,
prevede normalmente l’opzione fra il francese, lo spagnolo ο il tedesco.

7.1.4. Le Indicazioni nazionali per il primo ciclo


Le Indicazioni nazionali del 2012 sottolineano che la scuola primaria e la scuola secondaria di primo
grado vanno unitariamente a costituire il primo ciclo dell’istruzione. Da qui la scelta del curricolo
verticale, costruito dall’autonomia scolastica all’interno del quadro di riferimento o fferto dalle
Indicazioni. Gli obiettivi di apprendimento sono scanditi:
al termine della classe terza della scuola primaria; al termine della classe quinta della scuola primaria;
al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado.

7.1.5. Novità introdotte dal d.lgs. 65/2017


Alla scuola dell'infanzia che accoglie bambini e bambine dai tre ai sei anni viene a ffidata una 'funzione
strategica nel sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni introdotto con
il D.Lgs. 13-4-2017, n. 65 sulla base della delega contenuta nella L. 107/2015: essa infatti opera in
maniera contigua con i servizi educativi per l'infanzia, prima, e con il successivo primo ciclo di
istruzione, per la necessaria continuità del processo educativo che è elemento imprescindibile dei
servizi per la prima infanzia ma che si estende appunto a tutto il primo ciclo in un processo unitario.
Come si legge nella Relazione illustrativa, il Sistema educativo 0-6 anni è diretto a garantire «ai
45

bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando
disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali», favorendo l'inclusione e
ricorrendo ad un'adeguata personalizzazione ed organizzazione degli spazi. Con il d.lgs. 65/2017 viene
progressivamente istituito il Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i
bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni (a norma dell'art. 1 commi 180 e 181 lettera e
della l.107/2015), con lo scopo di:
– promuovere la continuità del percorso educativo e scolastico, con particolare riferimento al
primo ciclo di istruzione, sostenendo lo sviluppo delle bambine e dei bambini in un processo
unitario, in cui le diverse articolazioni del Sistema integrato di educazione e di istruzione
collaborano attraverso attività di progettazione, di coordinamento e di formazione comuni;
– concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorisce l'inclusione di tutte
le bambine e di tutti i bambini attraverso interventi personalizzati e un'adeguata
organizzazione degli spazi e delle attività;
– accogliere le bambine e i bambini con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio
1992, n. 104, nel rispetto della vigente normativa in materia di inclusione scolastica;
– rispettare e accogliere le diversità ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica
italiana;
– sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie, anche attraverso organismi di
rappresentanza, favorendone il coinvolgimento, nell'ambito della comunità educativa e
scolastica;
– favorire la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e la cura delle bambine
e dei bambini, con particolare attenzione alle famiglie monoparentali;
– promuovere la qualità dell'offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con
qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione
collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale.
Gli articoli 2 e 3 descrivono i diversi servizi educativi per l'infanzia che si collegano alla scuola
dell'infanzia:
– nidi e micronidi: per bambini da 3 a 36 mesi.
– sezioni primavera per bambini da 24 a 36 mesi "aggregate, di norma, alle scuole per l'infanzia
statali o paritarie
– servizi integrativi rivolti ai bambini e alle famiglie in modo diversificato:
– spazi gioco: per bambini dai 12 ai 36 mesi, senza servizio di mensa, consentono una frequenza
flessibile fino ad un massimo di 5 ore al giorno, con la presenza di uno o più educatori.
– centri per bambini e famiglie: per bambini con un adulto accompagnatore. prevedono una
frequenza flessibile con momenti di socializzazione tra bambini e di scambi di esperienze tra i
famigliari.
– servizi educativi in contesto domiciliare: per ridotto numero di bambini da 3 e 36 mesi affidati
ad uno o più educatori.
I servizi educativi per l'infanzia sono gestiti dagli enti locali in forma diretta in convenzione con
soggetti od enti privati.
Al fine di avviare l'incremento dei servizi per l'infanzia, in continuità con la scuola dell'infanzia, specie
nelle regioni del sud dove mancano questi servizi, si prevede la creazione in ogni regione di almeno un
polo per l'infanzia (fino ad un massimo di 3) ubicato anche presso istituti comprensivi.
I nuovi poli si avvarrebbero di aree messe a disposizione dagli enti locali, di finanziamenti dell’INAIL
ed in parte dello Stato sulla base di accordi tra Regioni e Uffici Scolastici Regionali.
46

CAPITOLO 8
IL SECONDO CICLO DELL’ISTRUZIONE

8.1.1. Gli ordinamenti di istituti professionali, istituti tecnici, licei


La legge n. 53/2003 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei
livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale” (la c.d. riforma
Moratti) ebbe come strumenti attuativi una serie di decreti legislativi. Per il sistema di istruzione e
formazione del secondo ciclo fu emanato il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, “Norme
generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di
istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53”. Il secondo ciclo
era stato previsto con due percorsi formativi:
– quello dei licei, la cui normativa è di competenza statale, della durata di cinque anni
(artistico con più indirizzi, classico, economico con più indirizzi, linguistico, musicale e
coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane);
– quello dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) di competenza regionale, della
durata di tre anni (fino alla qualifica professionale) o fino a quattro anni (diploma).
In appendice il D. Lgs. n. 226 riporta una serie di Allegati, tra i quali ricordiamo:
– Allegato A. Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione;
– Allegato B. Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione per il sistema dei licei.
Le Finalità del secondo ciclo sono puntate su tre essenziali direzioni:
– crescita educativa, culturale e professionale dei giovani: essa trasforma la molteplicità dei
saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazioni e di fini; allo stesso modo,
trasforma le prestazioni professionali in competenze consapevoli e creative;
– sviluppo dell’autonoma capacità di giudizio: esso si concretizza in metodo di studio, spirito
di esplorazione e d’indagine, capacità intuitiva, procedimenti argomentativi e dimostrativi,
consapevolezza e responsabilità morale, elaborazione di progetti e
– risoluzione di problemi;
– esercizio della responsabilità personale e sociale: lo studente decide consapevolmente le
proprie azioni in rapporto a sé e al mondo civile, sociale, economico, religioso di cui fa parte
e all’interno del quale vive; si fa carico delle conseguenze delle proprie scelte; si impegna nel
rispetto e nella crescita delle istituzioni che possono aiutarlo a ottimizzare le scelte personali
in funzione del bene comune.

La scuola secondaria di secondo grado costituisce, soprattutto nell'impianto della legge 53/2003
(Riforma Moratti), il secondo ciclo dell'istruzione ed ha la finalità di preparare lo studente agli
studi universitari nonché a fornirgli un'adeguata preparazione per il mondo del lavoro.
In seguito la legge n. 40 del 2 aprile 2007 ha modificato sostanzialmente l'impianto della normativa,
lasciando però, come conquista acquisita, la pari dignità tra i percorsi del sistema dell'istruzione
secondaria superiore (licei, istituti tecnici e istituti professionali) e quelli del sistema dell'istruzione
e formazione professionale, in cui si realizza il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui
al D.lgs. 76/2005.
I provvedimenti del 2010 ridisegnarono il tradizionale “sistema a tre punte” dell’istruzione,
ripristinando le distinte identità dell’istituto professionale, dell’istituto tecnico e dei licei.
All’interno del sistema dell’istruzione rimase tuttavia la prioritaria esigenza di mantenere un nucleo
unitario di saperi e di competenze, anche al fine di favorire il passaggio e il ri-orientamento da un
percorso all’altro.
È significativo che sia le Linee guida di professionali e tecnici sia le Indicazioni per i licei
esordiscano con un non convenzionale richiamo all’Allegato A del D. Lgs. n. 226/2005:
– Linee guida 2010 per gli istituti professionali: “Il secondo ciclo di istruzione e formazione ha
come riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito dal decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
– Linee guida 2010 per gli istituti tecnici: “Il secondo ciclo di istruzione e formazione ha come
riferimento unitario il profilo educativo, culturale e professionale definito dal decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Allegato A”;
– Indicazioni nazionali 2010 dei licei: “I licei sono dotati di una propria identità culturale, che
fa riferimento al profilo educativo, culturale e professionale dello studente, a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e forma- zione di cui all’articolo 1, comma
5, del decreto legislativo n. 226/05”.
La normativa fissa, inoltre, un tetto massimo di 30-32 ore per l'orario settimanale (35 ore solo per
l'istruzione artistica). Le scuole, nell'esercizio della propria autonomia didattica e organizzativa,
possono definire unità di insegnamento non coincidenti con ore di 60 minuti per realizzare specifiche
attività didattiche (ad esempio l'alternanza scuola/lavoro), ma devono garantire agli studenti e alle
famiglie un orario complessivo di lezioni corrispondente al monte-ore annuale assegnato al corso di
studi, calcolato su ore di 60 minuti e non più di 50 come invalso nella pratica didattica della maggior
parte delle scuole. Per gli allievi il tempo di presenza in aula è, dunque, più o meno lo stesso, ma
distribuito su un minore numero di materie, in modo da consentire una maggiore concentrazione.
In sostanza, la riforma mirava ad offrire un'organizzazione più efficiente in un quadro più moderno
e semplificato, mantenendo un servizio analogo a quello precedente dal punto di vista del monte-ore
47

annuale.

8.1.2. Gli istituti professionali


Le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento dell’istituto professionale (DPR 15 marzo
2010, n. 87, art. 8, c. 6) esordiscono con il richiamo al nesso tra l’identità degli Istituti professionali
e gli indirizzi dell’Ue nel richiamare la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio d’Europa
18 dicembre 2006 sulle “Competenze chiave per l’apprendimento permanente” e la
Raccomandazione 23 aprile 2008 sulla costituzione del “Quadro europeo delle qualifiche per
l’apprendimento permanente” (EQF).
Il rinnovamento degli istituti professionali è in coerenza con gli impegni assunti dal nostro Paese a
seguito del Consiglio di Lisbona del 2000, nell’ambito del “nuovo slancio” dato alle quattro priorità
del quadro strategico per il settore dell’istruzione e della formazione fino al 2020: formazione
permanente e mobilità, qualità ed efficienza, equità e cittadinanza attiva, innovazione, creatività e
imprenditorialità.
Il Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) consente, in particolare,
di mettere in relazione e posizionare, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi,
certificazioni ecc.) rilasciati nei Paesi membri.
Le Linee guida identificano tre parole-chiave per sintetizzare l’o fferta formativa e l’identità
dell’istituto professionale: menti d’opera, professionalità e laboratorialità.
– Menti d’opera richiama sia la tradizione di iniziativa e intelligenza dell’“impresa
molecolare” italiana sia il principio dell’equivalenza formativa di tutti i percorsi del sistema
educativo di istruzione e formazione, superando lo stereotipo del primato dei saperi teorici.
– Professionalità propone la valorizzazione della cultura del lavoro, intesa sia come insieme di
operazioni, linguaggi e valori, sia come identità e senso di appartenenza a una comunità
professionale, che riflettono una visione etica della realtà, un modo di agire per scopi positivi
in relazione a esigenze non solo personali ma comuni.
– Laboratorialità estende il valore del lavoro dal percorso di studi (imparare a lavorare), al
metodo che consente di apprendere in modo attivo, coinvolgente, significativo ed efficace
(imparare lavorando).
Nel panorama della scuola italiana l’istruzione professionale, sia nel canale dell’istruzione (di
competenza statale) sia in quello dell’istruzione e formazione professionale (IeFP, di competenza
regionale), ha costituito il segmento di maggiore sviluppo e dinamicità, raggiungendo nell’ultimo
decennio la sua piena maturità funzionale. Essa fa parte a pieno titolo del sistema di istruzione,
assieme ai licei e agli istituti tecnici, e si distingue da questi ultimi perché caratterizzata dal
riferimento a filiere produttive di rilevanza nazionale.

Gli istituti professionali sono stati oggetto nel giro di pochi anni di due radicali riforme: il D.P.R.
n. 87/2010 e il D.Lgs. n. 61/2017.
Il D.P.R. n. 87 del 15 marzo 2010 (destinato a essere progressivamente abrogato ex D.Lgs. n.
61/2017) ha definito gli istituti professionali (l.P.) quali percorsi quinquennali di articolazione del
secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione.

Gli istituti professionali, in base a questo ordinamento, operano in due settori che comprendono in
totale 6 indirizzi in luogo degli originari 28. Tale composizione rispondeva a un'esigenza di
razionalizzazione e, in particolare, consentiva di evitare il rischio di sovrapposizione con l'istruzione
tecnica e soprattutto con il sistema regionale dell'istruzione e della formazione professionale.

Nel decreto legislativo n. 61 del 13 aprile 2017 di attuazione della Buona scuola (art. l, commi 180 e
181, lett. d) si legge l'intenzione di rinnovare l'identità degli istituti professionali attraverso un nuovo
PECUP, profilo educativo, culturale e professionale degli stessi I.P.; di innovarne l'assetto
organizzativo e didattico attraverso la revisione dei piani di studio, improntati anche alla
personalizzazione del percorso di apprendimento attraverso il Progetto formativo individuale (PFI).

L'applicazione del D.lgs. n. 61inizierà con le prime classi dell'anno scolastico 2018/2019. Il D.P.R.
n. 87/2010 rimarrà in vigore per le classi già istituite prima dell'anno 2018 e dunque fino al
completamento dell'anno scolastico 2022-2023.

• Dunque, al termine del primo ciclo di istruzione gli studenti che intendono proseguire con
un'istruzione di taglio professionale possono scegliere tra:
i percorsi di istruzione professionale (I.P.), di durata quinquennale, finalizzati al conseguimento del
48

relativo diploma, realizzati da scuole statali e da scuole paritarie riconosciute;


- i percorsi di istruzione e formazione professionale (leFP), per il conseguimento di qualifiche e di
diplomi professionali quadriennali, realizzati dalle istituzioni formative accreditate dalle
Regioni e dalle Province autonome.
Inoltre, il raccordo del sistema di istruzione professionale con il sistema dell'istruzione e formazione
professionale diventa strutturale, attraverso la costituzione di una "Rete nazionale delle scuole
professionali", da disciplinare con apposito decreto interministeriale, di cui fanno parte le istituzioni
scolastiche statali o paritarie, che offrono percorsi di istruzione professionale, e le istituzioni
formative accreditate, che offrono percorsi di leFP.
Dal punto di vista organizzativo, il decreto legislativo n. 61/2017 riordina l'assetto dell'istruzione
professionale nel seguente modo:
● un biennio di complessive 2112 ore (1056 ore l'anno), articolate in 1188 ore complessive di
attività e insegnamenti di istruzione generale e in924 ore complessive di attività e
insegnamenti caratterizzanti l'indirizzo, comprensive del tempo da destinare al potenzia
mento dei laboratori. Nell'ambito delle 2112 ore del biennio, una quota non superiore a 264
ore, è destinata alla personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto
formativo individuale (PFI), ad opera del Consiglio di classe; tale quota può comprendere
anche le attività di alternanza scuola-lavoro, che negli istituti professionali sono attivabili
già dal secondo anno;
● un triennio (in luogo dell'attuale secondo biennio più ultimo anno) articolato in un terzo,
quarto e quinto anno e con una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa in generale.
Per ciascun anno del triennio, l'orario scolastico è di 1056 ore, articolate in 462 ore di
attività e insegnamenti di istruzione generale e in 594 ore di attività e insegnamenti di
indirizzo.

Il D.P.R. 31luglio 2017, n. 133 (di modifica dell'art. 5 n. 87/2010) fissa poi i criteri di definizione
dell'orario complessivo annuale degli istituti professionali.
Il D.Lgs. 61/2017 prevede 11 indirizzi in luogo dei 6 precedenti.

INDIRIZZI, ARTICOLAZIONI E OPZIONI NELL'ORDINAMEN- NUOVI INDIRIZZI DI STUDIO {validi per le prime classi a
TO PREVIGENTE {validi per le classi a completamento dei corsi di studio partire dall'anno scolastico 2018-2019}
già cominciati)
-Servizi per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (indi- rizzo) Agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del
-Gestione risorse forestali e montane (opzione) territorio e gestione delle risorse forestali e montane
-Valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli del territorio
(opzione)

- Produzioni industriali e artigianali (indirizzo), collegate al settore Pesca commerciale e produzioni ittiche
produttivo economia del mare
- Produzioni industriali e artigianali (articolazione industria) Industria e artigianato per il made in ltaly
-Arredi e forniture di interni (opzione)
- Produzioni industriali e artigianali (articolazione artigianato)
- Produzioni tessili sartoriali (opzione)
- Produzioni artigianali del territorio (opzione)
- Coltivazione e lavorazione dei materiali lapidei (opzione)

Manutenzione e assistenza tecnica (indirizzo) Manutenzione e assistenza tecnica


Apparati, impianti e servii tecnici industriali e civili (opzione) Manutenzione
dei mezzi di trasporto (opzione)
Gestione delle acque e risanamento ambientale
49

Servizi commerciali (indirizzo) Servizi commerciali


Promozione commerciale e pubblicitaria (opzione)
Servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera (articolazione Enogastronomia e ospitalità alberghiera
enogastronomia)
Prodotti dolciari artigianali ed industriali (opzione)
Servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera (articolazione
servizi di sala e di vendita)
Servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera (articolazione
accoglienza turistica)
Produzioni industriali e artigianali (articolazione industria- Servizi culturali e di spettacolo
opzione produzioni audiovisive)
Servizi socio-sanitari (indirizzo) Servizi per la sanità e l'assistenza sociale
Servizi socio sanitari delle professioni sanitarie: odontotecnico Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico
(articolazione arti ausiliarie)
Servizi socio sanitari delle professioni sanitarie: ottico (articolazione arti Arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico
ausiliarie)

Come detto, la riforma del 2017 promuove una forte personalizzazione dei percorsi attraverso
un'organizzazione più flessibile e una più ampia autonomia didattica e gestionale. Questa
personalizzazione dei percorsi di apprendimento (cui nel biennio sono destinate ben 264 ore) si
concretizza nel Progetto formativo individuale (PFI) elaborato dal Consiglio di classe entro il 31
gennaio del primo anno. Il PFI va aggiornato durante il percorso scolastico e si basa su un bilancio
personale di sa peri e competenze acquisiti in modo sia formale che informale. I percorsi di studio sono
strutturati in unità di apprendimento (UdA). Le unità di apprendimento costituiscono il riferimento
per la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti posseduti dalla studentessa e dallo
studente, nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione.

Dal punto di vista didattico, le attività e gli insegnamenti nel biennio sono aggregati in assi
culturali che raccolgono insegnamenti fra loro omogenei e irrinunciabili in quanto consentono di
acquisire le competenze chiave di cittadinanza rientranti nell'obbligo scolastico.
Le scuole, poi, sulla base del Progetto formativo individuale, articolano il primo biennio in periodi
didattici che si concretizzano attraverso l'utilizzo di metodologie didattiche induttive da adottare
nell'ambito delle esperienze laboratoriali, anche con la definizione di analisi e soluzioni di casi
concreti. Molta importanza è data anche all'alternanza scuola-lavoro e all'organizzazione didattica
per unità di apprendimento, agevolano così il più possibile i passaggi ad altri percorsi di istruzione e
formazione.
La quota di autonomia, da utilizzare nell'ambito dell'organico dell'autonomia, sul monte ore
generale resta invariata, è cioè pari al 20%, sia nel biennio che nel triennio; tale quota di autonomia è
destinata a potenziare gli insegnamenti obbligatori con particolare riferimento alle attività
laboratoriali, nonché gli spazi di flessibilità, intesa quale possibilità di articolare gli indirizzi del
triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell'orario complessivo previsto per il terzo, quarto
e quinto anno.
Per l'attuazione dell'autonomia sono previsti altri strumenti, tra i quali: stipula di contratti d'opera
con esperti del mondo del lavoro; partenariati per il miglioramento dell'o fferta formativa; sviluppo
di attività e progetti di orientamento scolastico ed inserimento nel mondo del lavoro, con
l'apprendistato di primo livello.
La possibilità del passaggio tra i sistemi è diretta a consentire agli studenti di seguire un percorso
personalizzato di crescita più rispondente alle proprie potenzialità anche cambiando la scelta
iniziale. La norma prevede che i passaggi degli studenti tra i percorsi di istruzione professionale e i
percorsi di istruzione e formazione professionale siano attivati su domanda dello studente e non
avvengano in maniera automatica ma tengano conto dei risultati di apprendimento; inoltre, il
passaggio reciproco tra percorsi di istruzione professionale e quelli di leFP non sono irreversibili ma
prevedono che te scuole e gli istituti formativi progettino modalità di inserimento graduale nel nuovo
percorso.
Il Ministero declinerà con decreto i profili di uscita e i risultati di apprendimento
e la correlazione tra qualifiche e diplomi professionali leFP da un lato e gli indirizzi dei percorsi
dell'istruzione professionale dall'altro, per consentire i passaggi tra sistemi formativi.
50

8.1.3. Gli istituti tecnici


Anche le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento dell’istituto tecnico (DPR 15 marzo
2010, art. 8, c. 3) esordiscono con il richiamo al nesso tra l’identità degli Istituti tecnici e gli indirizzi
dell’Ue (rinviamo al paragrafo precedente). Viene ancora ribadito che la diversificazione dei percorsi
di istruzione e formazione ha lo scopo di valorizzare le diverse intelligenze e vocazioni dei giovani
al fine di:
– prevenire i fenomeni di disaffezione allo studio e la dispersione scolastica;
– superare concezioni culturali fondate sul primato dei saperi teorici;
– garantire a tutti gli studenti, indipendentemente dall’indirizzo di studi, uno “zoccolo
comune”, caratterizzato da saperi e competenze riferiti soprattutto agli insegnamenti di
lingua e letteratura italiana, lingua inglese, matematica, storia e scienze.
Gli istituti tecnici sono chiamati a essere “scuole dell’innovazione”, perché orientati al cambiamento
e, allo stesso tempo, a favorire attitudini all’autoapprendimento, al lavoro di gruppo, alla formazione
continua. In tal modo diventano laboratori di costruzione del futuro, capaci di trasmettere ai giovani
la curiosità, il fascino dell’immaginazione e il gusto della ricerca, del costruire insieme dei prodotti,
di proiettare nel futuro il proprio impegno professionale per una piena realizzazione sul piano
culturale, umano e sociale.
L’immaginazione è individuata come il valore aggiunto in quanto rinnova la funzione di una scuola
che ha costituito, per molto tempo, un punto di forza del sistema Italia, mettendo a disposizione del
mondo produttivo e delle professioni giovani tecnici:
– preparati e capaci di crescere sul lavoro;
– in grado di raggiungere posizioni di elevata responsabilità, anche come imprenditori di
successo.
Le Linee guida sottolineano l’importanza che i PTOF degli istituti mettano a frutto le opportunità
(offerte dall’autonomia scolastica) di:
– utilizzare, nei percorsi educativi, la quota di autonomia del 20% dei curricoli.
Con il DPR n. 88 del 15 marzo 2010 è stato emanato il “Regolamento recante norme per il riordino
degli istituti tecnici”. L’art. 2 ne definisce l’identità che: si caratterizza per una solida base culturale di
carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso
lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e
specifico, è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo
sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione
all’esercizio di professioni tecniche, i saperi e le competenze necessari, per un rapido inserimento nel
mondo del lavoro, per l’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore.
Gli istituti tecnici hanno la durata di cinque anni; sono suddivisi in due bienni e in un quinto anno, al
termine del quale gli studenti sostengono l’esame di Stato e con- seguono il diploma di istruzione
tecnica, utile ai fini della continuazione degli studi in qualunque facoltà universitaria. Il quinto anno è
anche finalizzato a un migliore raccordo tra la scuola e l’istruzione superiore e alla preparazione
all’inserimento nella vita lavorativa.
Con la riforma del 2010 è stato riprogettato il percorso dell’istruzione tecnica, secondo le seguenti
direttrici:
– restituire all’istruzione tecnica un’autonoma identità e una specifica missione formativa,
diversa da quella dei licei e distinta da quella degli istituti professionali;
– superare la frammentazione dei percorsi, ramificata in un grande numero di indirizzi e in un
eccessivo numero di sperimentazioni;
– invertire la tendenza al calo delle iscrizioni, andando incontro alle esigenze delle imprese.
Il primo biennio, valido ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione, prevede per ciascun
anno:
– 660 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale (20 ore settimanali);
– 396 ore di attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo (12 ore settimanali).
Il secondo biennio e il quinto anno prevedono, per ciascun anno:
– 495 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale (25 ore settimanali);
51

– 561 ore di attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo (17 ore settimanali).

L’orario complessivo annuale è quindi determinato in 1.056 ore, traducibili in 32 ore settimanali di
lezione, comprensive della quota riservata alle Regioni e dell’insegnamento della religione cattolica. Le
32 ore corrispondono in termini effettivi alle 36-38 ore di 50 minuti della maggior parte dei corsi del
precedente ordinamento. Le metodologie adottate si basano su:
– la didattica di laboratorio, l’analisi e la soluzione dei problemi, il lavoro per progetti;
– la gestione dei processi in contesti organizzati, ricorrendo a modelli e linguaggi specifici;
– il collegamento organico con il mondo del lavoro e delle professioni, compresi il volontariato
e il privato sociale;
– il ricorso a stage, tirocini e alternanza scuola lavoro.
La finalità guarda alla formazione complessiva della persona: “in sintesi, occorre valorizzare il metodo
scientifico e il sapere tecnologico, che abituano al rigore, all’onestà intellettuale, alla libertà di
pensiero, alla creatività, alla collaborazione, in quanto valori fonda- mentali per la costruzione di una
società aperta e democratica. Valori che, insieme ai principi ispiratori della Costituzione, stanno alla
base della convivenza civile” (Linee guida, pag. 7). Il Regolamento dell’autonomia (art. 8, c. 2, del
DPR n. 275/1999) prevede che “le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’o fferta formativa
il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare la quota definita a livello nazionale con
la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte”.
Nello specifico, gli istituti tecnici possono utilizzare la quota di autonomia pari al 20% dei curricoli,
nell’ambito degli indirizzi definiti dalle Regioni e in coerenza con il profilo di uscita:
– per potenziare gli insegnamenti obbligatori (in particolare le attività di laboratorio);
– per attivare ulteriori insegnamenti coerenti con gli obiettivi del POF.
Nelle aree di indirizzo, per corrispondere alle esigenze espressi dal mondo del la- voro e delle
professioni, la quota di flessibilità può salire al 30% nel secondo biennio e al 35% nell’ultimo anno.
Con la riforma gli indirizzi degli istituti tecnici sono passati da 39 (più le sperimentazioni) a 11. Essi
sono così suddivisi: 2 indirizzi nel settore economico e 9 nel settore tecnologico (quasi tutti con
articolazioni nel triennio). Fanno parte del “Regolamento recante norme per il riordino degli istituti
tecnici” (DPR n. 88/2010):
– Allegato A - Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione per gli Istituti Tecnici;
– Allegato B - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore economico;
– Allegato C - Indirizzi, profili, quadri orari e risultati di apprendimento del settore tecnologico;
– Allegato D - Tabella di confluenza dei percorsi degli istituti tecnici previsti dall’ordinamento
previgente (art. 8, c. 1).
Per la programmazione educativa e didattica i riferimenti fondamentali sono:
– la Direttiva n. 57 del 15 luglio 2010, Linee guida per il passaggio al nuovo ordina- mento
(riporta la Declinazione dei risultati di apprendimento in conoscenze e abilità per il primo
biennio);
– la Direttiva n. 4 del 16 gennaio 2012, Linee guida per il secondo biennio e quinto anno per i
percorsi degli istituti tecnici.
Dopo il completamento degli studi secondari i diplomati degli istituti professionali, oltre alle
opportunità del lavoro e dell’iscrizione all’università, hanno le seguenti possibilità:
– percorsi brevi di 800/1000 ore per conseguire una specializzazione tecnica superiore (IFTS) per
rispondere ai fabbisogni formativi del territorio;
– percorsi biennali per conseguire un diploma di tecnico superiore nelle aree tecno- logiche più
avanzate presso gli Istituti Tecnici Superiori (ITS), in via di costituzione.
Rinviamo ai testi che a questi temi sono stati dedicati nella trattazione relativa all’istituto
professionale.

8.1. 4. I licei
Le Indicazioni nazionali dei licei sono state emanate con Decreto 7 ottobre 2010, n. 211: un testo
ponderoso, di oltre 400 pagine, che fornisce finalità e indirizzi sia al complesso della formazione liceale
sia ai singoli percorsi. Diamo al lettore una serie di rimandi pratici, al fine di orientarsi in un testo
estremamente complesso che possiamo qui presentare solo per sommi capi:
52

– Allegato B (liceo artistico) pag. 21;


– Allegato C (liceo classico) pag. 204;
– Allegato D (liceo linguistico) pag. 235;
– Allegato E (liceo musicale e coreutico) pag. 264: settore musicale pag. 284 e settore coreutico pag.
295;
– Allegato F (liceo scientifico) pag. 304: opzione delle scienze applicate pag. 333;
– Allegato G (scienze umane) pag. 363; opzione economico sociale pag. 395.
L’estensore ancora una volta ribadisce la natura delle Indicazioni nazionali, rispetto ai tradizionali
Programmi ministeriali, da noi già riportata nella trattazione dell’autonomia scolastica: “le Indicazioni
non dettano alcun modello didattico-pedagogico”. Torna sulla necessità che sia costruito lo “zoccolo di
saperi e competenze” comune ai percorsi liceali, tecnici e professionali e ai percorsi dell’istruzione e
dell’istruzione e formazione professionale, pur considerando “che lo sbocco naturale (anche se non
esclusivo) di uno studente liceale è proprio negli studi superiori”.
Il testo si misura quindi con la difficoltà di trovare elementi comuni d’identità dei licei. Tale identità è
connotata dall’obiettivo di trasformare i «saperi» in organica consapevolezza dell’unità della cultura, in
grado di aiutare i giovani nella costruzione di una visione del mondo capace di coglierne la complessità
e stratificazione.
A conclusione dei percorsi di ogni liceo, attraverso lo studio, le esperienze operative, il dialogo, la
valorizzazione della loro creatività e indipendenza intellettuale, gli studenti sono in grado di:
– avere gli strumenti culturali e metodologici per porsi con atteggiamento razionale e critico di
fronte alla realtà;
– riconoscere, nei diversi campi disciplinari studiati, i criteri scientifici di a ffidabilità delle
conoscenze e delle conclusioni, distinguendo il valore conoscitivo delle diverse scienze in
relazione ai loro diversi metodi di indagine;
– possedere e utilizzare, in modo ampio e sicuro, un patrimonio lessicale ed espressivo della lingua
italiana;
– riuscire a stabilire comparazioni e a riconoscere i vari elementi di continuità o di diversità tra
l’italiano e le lingue antiche o moderne studiate;
– possedere, nelle lingue straniere moderne studiate, competenze tali da permettere la comprensione
di differenti codici comunicativi, che potranno poi essere approfonditi all’università o nel proprio
ambito di lavoro;
– conoscere le linee essenziali della nostra storia letteraria e orientarsi agevolmente fra testi e autori
fondamentali; istituire rapporti significativi e storicamente contestualizzati con i movimenti e le
opere più importanti delle letterature classiche e moderne, soprattutto con quelle dei paesi di cui si
studiano lingua e cultura;
– acquisire la consapevolezza dei nuclei fondamentali della fisionomia culturale, sociale e linguistica
dell’Europa;
– individuare e comprendere le forme moderne della comunicazione, quali messaggi orali, scritti,
visivi, digitali, multimediali, nei loro contenuti, nelle loro strategie espressive e negli strumenti
tecnici utilizzati;
– conoscere le linee essenziali della storia del nostro Paese, inquadrandola in quella dell’Europa, a
partire dalle comuni origini greco-romane e nel quadro più generale della storia del mondo;
– padroneggiare le nozioni e le categorie essenziali elaborate dalla tradizione filosofica,
inquadrandone storicamente i principali autori, leggerne i testi più significativi e apportare il
proprio contributo di pensiero nella discussione dei temi metafisici, logici, etici, estetici e politici
posti all’attenzione;
– “leggere” opere d’arte significative (pittoriche, plastiche, grafiche, architettoniche, urbanistiche,
musicali) nelle diverse tipologie, collocarle nel loro contesto storico, culturale e tecnico, e
comprendere l’importanza della cultura artistica;
– conoscere e padroneggiare il linguaggio formale e i procedimenti dimostrativi della matematica;
possedere gli strumenti matematici, statistici e del calcolo delle probabilità fondamentali e
necessari per la comprensione delle discipline scientifiche e per poter operare nel campo delle
scienze applicate;
– comprendere il tipo di indagine propria delle discipline scientifiche, la modellizza- zione dei
fenomeni, la convalida sperimentale del modello, l’interpretazione dei dati sperimentali;
– collocare il pensiero matematico e scientifico nei grandi temi dello sviluppo della storia delle idee
e della cultura, nella storia delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche;
– avere familiarità con gli strumenti informatici per utilizzarli nelle attività di studio e di
53

approfondimento delle altre discipline;


– individuare le connessioni tra scienza e tecnica;
– essere consapevoli delle potenzialità comunicative dell’espressività corporea e del rapporto
possibile con altre forme di linguaggio
Con il DPR n. 89 del 15 marzo 2010 è stato emanato il “Regolamento recante revisione dell’assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei”. L’art. 2 ne delinea l’identità: essi forniscono allo
studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, a ffinché
egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai
fenomeni e ai problemi, e acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le
scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita
socia- le e nel mondo del lavoro. Dopo aver analizzato le funzioni degli istituti professionali e tecnici,
siamo in grado di porre a confronto le tre dichiarazioni programmatiche.
I tratti precipui della formazione liceale sono:
– fornire “strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà”: non
sono quindi espressamente indirizzati a preparare a “professioni tecniche” o “alle esigenze
formative del settore produttivo di riferimento”, pur non escludendo “l’inserimento nel mondo
del lavoro”;
– trasformare i “saperi” in organica consapevolezza dell’unità della cultura, in grado di aiutare i
giovani nella costruzione di una visione del mondo capace di coglierne la complessità e
stratificazione (Allegato A, PECUP, p. 2);
– chiedere allo studente di porsi “con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico di
fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi”: la realtà, così declinata, non è specificamente
quella dello “sviluppo economico e produttivo del Paese” o della “dimensione operativa”.
Al termine dei percorsi liceali la prima opzione, fra quelle proposte, è quella del “proseguimento
degli studi di ordine superiore”, anzitutto l’università: si noti invece che il “rapido inserimento nel
mondo del lavoro” è la prima opzione che viene posta al termine dei percorsi tecnici e professionali.
Tuttavia, solo apparentemente tali formulazioni richiamano l’ottocentesca concezione dell’istruzione
liceale come otium, cioè dimensione non economica e non pratica dello studio, contrapposta al
negotium della preparazione al lavoro, inteso sia nel- la sua dimensione scientifica e organizzativa,
sia nella sua dimensione applicativa ed esecutiva. Non c’è spazio per l’istruzione che riproduce se
stessa, essendo essa in ogni caso finalizzata a una crescita economica sostenibile. Sono diversi gli
accenti, diversi e flessibili i tempi, differenti i contesti nazionali e locali; sono pure diversi vocazioni
personali e progetti individuali di vita. La sopravvivenza del sistema Europa è legata all’elevazione
per tutti della qualità della formazione, nella maniera massima possibile e per tutto l’arco della vita.
I percorsi liceali hanno durata quinquennale, sviluppandosi in due periodi biennali e in un quinto
anno che completa il percorso disciplinare. Il primo biennio è finalizzato all’iniziale
approfondimento e sviluppo delle conoscenze e delle abilità nonché a una prima maturazione delle
competenze caratterizzanti le singole articolazioni del sistema liceale. Il primo biennio è altresì utile
all’assolvimento dell’obbligo di istruzione. Il secondo biennio è finalizzato all’approfondimento e
allo sviluppo delle conoscenze e delle abilità nonché alla maturazione delle competenze
caratterizzanti le singole articolazioni del sistema liceale. Nel quinto anno si persegue la piena
realizzazione del profilo educativo, culturale e professionale dello studente nonché il completo
raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento.
54

L’area liceale comprende 6 percorsi:

L’orario complessivo annuale non è determinato in misura uguale, variando per ciascuno dei percorsi e,
all’interno di ognuno di essi tra il primo biennio e il triennio conclusivo, composto a sua volta da secondo
biennio e ultimo anno. Esemplificando:

Licei Bienni: orario Biennio: orario Biennio e Biennio e ultimo


annuale settimanale ultimo anno: anno: orario
orario annuale settimanale

artistico 1122 34 1155 35


classico 891 27 1023 31
linguistico 891 27 990 30
musicale e 1056 32 1056 32
coreutico
scientifico 891 27 990 30
scienze umane 891 27 990 30
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Nel quinto anno dei licei è previsto l’insegnamento di una disciplina non linguisti- ca in una lingua
straniera (CLIL, Content and Language Integrated Learning: per la trattazione si rinvia alla sezione sui
documenti europei). Nel liceo linguistico, data la sua particolare vocazione, è previsto un duplice
insegnamento CLIL:
– dal primo anno del secondo biennio per il primo;
– dal secondo anno del secondo biennio per il secondo.
Fonti regolamentari per i licei
Fanno parte del “Regolamento recante revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
dei licei” (DPR n. 89/2010):
– Allegato A - Profilo educativo, culturale e professionale dei Licei;
– Allegato B - Piano degli studi del liceo artistico (per i sei indirizzi);
– Allegato C - Piano degli studi del liceo classico;
– Allegato D - Piano degli studi del liceo linguistico;
– Allegato E - Piano degli studi del liceo musicale e coreutico (per le due sezioni);
– Allegato F - Piano degli studi del liceo scientifico (con l’opzione: scienze applicate);
– Allegato G - Piano degli studi del liceo delle scienze umane (con l’opzione economico-
sociale);
– Allegato H - Insegnamenti attivabili sulla base del POF nei limiti dell’organico assegnato;
– Allegato I - Tabella di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore, previsti
dall’ordinamento previgente, nei percorsi liceali del nuovo ordinamento;
– Allegato L - Tabella di corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di Istruzione
secondaria di secondo grado dell’ordinamento previgente con i titoli di studio in uscita dai
percorsi liceali del nuovo ordinamento
Costituiscono testo fondamentale per l’azione educativa e didattica le “Indicazioni nazionali
riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti
compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali”, emanate con DM 7 ottobre 2010, n. 211.

8.1.5. L’alternanza scuola lavoro


La legge 107/2015 pone tra gli obiettivi formativi prioritari per l’organico dell’autonomia, l’incremento
dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione. Già il d.lgs. 77/2005 individuava
nell'alternanza scuola-lavoro, una modalità per assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base,
l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro, nonché incrementare le capacità di
orientamento degli studenti. Con la possibilità di realizzare tali percorsi nei corsi del secondo ciclo, sia
nel sistema dei licei, sia nel sistema dell'istruzione e della formazione professionale. L’alternanza,
quindi, non è una novità nel sistema scolastico italiano, essendo già presente nel D. Lgs. n° 77 del 15
aprile 2005, in applicazione della legge n° 53 del 28 marzo 2003; L. 107/2015. Essa secondo la legge
107/15 può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche secondo il programma
formativo e le modalità di verifica ivi stabilite nonché con la modalità dell’impresa formativa simulata.
Il percorso di alternanza scuola-lavoro si può realizzare anche all’estero. I percorsi di alternanza scuola
lavoro sono ridenominati “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”. Le ore
obbligatorie previste dalla Legge 107/15 nel triennio della scuola secondaria di II grado sono ridotte a
210 ore negli istituti professionali a fronte delle 400, a 150 negli istituti tecnici (a fronte delle 400), 90
ore nei licei a fronte delle 200 (Legge Bilancio 2019).
56

I percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell'istituzione
scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive
associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con
gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per
periodi di apprendimento, al fine di correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed
economico del territorio. Nell’ambito del progetto di ASL, riveste particolare importanza la funzione
tutoriale personalizzata per gli studenti in alternanza che è svolta dal docente tutor interno e dal tutor
esterno. Fra i due è necessario sviluppare un rapporto di “forte interazione”, per definire gli aspetti
organizzativi e didattici, per garantire il monitoraggio del percorso, per verificare e attestare le
competenze acquisite. Il tutor interno ha anche il compito di rapportarsi agli organi scolastici preposti
(dirigente scolastico, funzione strumentale, dipartimenti, collegio docenti, comitato tecnico scientifico
o comitato scientifico), di informare il consiglio di classe sullo svolgimento dei percorsi e fornire gli
elementi utili alla valutazione dei risultati di apprendimento conseguiti dagli studenti. A
conclusione dell’anno scolastico, i docenti del consiglio di classe sono tenuti, infatti, a valutare tre
aspetti: la ricaduta sugli apprendimenti disciplinari, sul voto di condotta e sull’attribuzione dei crediti
per l’esame di stato, in base ai report di valutazione in itinere e finali del tutor interno, del tutor esterno
e della certificazione finale. Con il Decreto Interministeriale D. I. 195 DEL 3.11.2017 ovvero la “Carta
dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola lavoro” sono stati normati i diritti e i correlati
doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza; con particolare riguardo alla possibilità per lo
studente di esprimere una valutazione sull'efficacia e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio
indirizzo di studio. Gli studenti impegnati nei percorsi di alternanza hanno diritto ad: un ambiente di
apprendimento favorevole alla crescita della persona, una formazione qualificata, una formazione
coerente con l’indirizzo di studio seguito, una formazione che rispetti e valorizzi l’identità di ciascuno.
L’alunno deve poi esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza del percorso di alternanza
effettuato rispetto al proprio indirizzo di studio, anche ai fini orientativi, sia durante lo svolgimento del
percorso, sia alla sua conclusione.

Gli studenti, durante i periodi di alternanza, sono tenuti a: rispettare le regole di comportamento,
funzionali e organizzative della struttura presso la quale è svolto il periodo di alternanza, rispettare il
regolamento degli studenti dell’istituzione scolastica di appartenenza, garantire l’effettiva frequenza
delle attività formative erogate dal soggetto ospitante, che sono parte integrante del curricolo
scolastico, rispettare le norme in materia di igiene, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, relazionare al
termine dell’attività di alternanza in merito all’esperienza svolta. I genitori hanno diritto ad una ampia e
dettagliata informazione sul progetto e sulle sue finalità educative e formative; sul percorso formativo
personalizzato in cui vengono declinati le competenze attese e sugli obblighi che derivano dall’attività
in contesto lavorativo. I percorsi di alternanza sono realizzati per gli studenti con disabilità in modo da
promuovere l’autonomia nell’inserimento nel mondo del lavoro. Ai sensi dell’art. 7 c. 2 lettera e) del
D. Lgs. 66/2017 il Piano educativo individualizzato (P.E.I.) definisce gli strumenti per l’effettivo
svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel
progetto di inclusione. Il D. Lgs. n° 77 del 15 aprile 2005 evidenziava inoltre, che i periodi di
apprendimento mediante esperienze di lavoro sono dimensionati, per i soggetti disabili, in modo da
promuoverne l'autonomia anche ai fini. Il patto educativo di corresponsabilità, previsto dall’articolo 5-
bis dello Statuto delle studentesse e degli studenti (Decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno
1998, n. 249), definisce nel dettaglio, anche i diritti e i doveri degli studenti e dei soggetti con
responsabilità genitoriale nel rapporto con l’istituzione scolastica e con gli enti presso i quali è svolto il
percorso di alternanza. Con D.P.R. 24-6-1998, n. 249, integrato e modificato poi con D.P.R. 235/2007,
è stato approvato lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria che si propone
quale carta dei diritti e dei doveri degli alunni. Lo statuto recepisce e sviluppa le indicazioni
emergenti dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo ratificata con L. 27-5-1991, n. 176.
Sotto altro profilo, lo statuto rappresenta una tappa del processo autonomistico awiato dalle istituzioni
scolastiche in quanto tratteggia le fondamenta di una scuola che non è solo luogo di studio e di
apprendimento, ma costituisce una comunità complessa le cui componenti- docenti, studenti, genitori-
sono integrate fortemente tra di• loro in un rapporto fondato sulla libertà e la responsabilità. Ogni
istituto scolastico deve integrare questo documento, sviluppando un proprio regolamento (Regolamento
d'istituto) (vedi Cap. 7), il cui obiettivo è quello di definire le relazioni tra gli studenti e le altre
componenti della scuola. Più precisamente l'art. 2 D.P.R. 249/1998 definisce la scuola come comunità
di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale informata ai valori democratici e volta alla
57

crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei
ruoli opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo
sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio. Concretamente, la
comunità scolastica, interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di cui è parte, fonda il suo
progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente, contribuisce allo
sviluppo della personalità dei giovani, anche attraverso l'educazione alla consapevolezza e alla
valorizzazione dell'identità di genere, del loro senso di responsabilità e della loro autonomia
individuale e persegue il raggiungimento di obiettivi culturali e professionali adeguati all'evoluzione
delle conoscenze e all'inserimento nella vita attiva. La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà
di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la
compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e
culturale. Ciò comporta che nel rapporto insegnante-alunno ciascuna delle componenti è titolare di
diritti e centro di imputazione di doveri.

8.1.6. Novità introdotte dal d.lgs. 61/2017


La legge comunemente conosciuta come la “Buona Scuola” (legge n. 107 del 13 luglio 2015),
all’articolo 1, commi 180 e 181, lett. d), ha previsto un’apposita delega legislativa sulla “revisione dei
percorsi dell’istruzione professionale” e sul “raccordo” di questi ultimi con i percorsi della IeFP.
In attuazione di tale delega, il Governo ha quindi proceduto all’approvazione del decreto legislativo n.
61 del 13 aprile 2017 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 16 maggio 2017).
Nel comma 1 dell’art.2, si prescrive che gli studenti, al termine del primo ciclo di istruzione, possono
scegliere tra
- i percorsi della istruzione professionale (IP), realizzati dalle istituzioni scolastiche statali o paritarie,
per il conseguimento dei diplomi quinquennali,
- i percorsi della istruzione e formazione professionale (IeFP), realizzati dalle istituzioni formative
accreditate dalle Regioni e dalle Province autonome ai sensi del decreto legislativo n. 226 del 2005, per
il conseguimento di qualifiche triennali e di diplomi professionali quadriennali (art. 2, comma 1, lett. a
e b).
Per corrispondere alla nuova domanda di competenze a livello settoriale e territoriali gli indirizzi
previsti passano da 6 a 11 e insieme viene aumentato il monte ore dedicato alle attività̀ pratiche, di
laboratorio e in alternanza presso le imprese, nonché la quota di flessibilità oraria a disposizione delle
scuole per poter adattare meglio l’offerta formativa alla domanda del territorio e dei giovani stessi.
Essi sono:
– agricoltura, sviluppo rurale, valorizzazione dei prodotti del territorio e gestione delle risorse
forestali e montane;
– pesca commerciale e produzioni ittiche;
– industria e artigianato per il made in Italy;
– manutenzione e assistenza tecnica;
– gestione delle acque e risanamento ambientale;
– servizi commerciali;
– enogastronomia e ospitalità alberghiera;
– servizi culturali e dello spettacolo;
– servizi per la sanità e l’assistenza sociale;
– arti ausiliarie delle professioni sanitarie: odontotecnico;
– arti ausiliarie delle professioni sanitarie: ottico.
Agli 11 indirizzi di studio corrispondono specifici “profili di uscita e risultati di apprendimento
declinati in termini di competenze, abilità e conoscenza” (vedi art.3, comma 3).
L’istruzione professionale è caratterizzata da una struttura quinquennale dei percorsi, che sono articolati
in un biennio e in un successivo triennio.
Nel biennio sono portate a 1188 le ore di attività e insegnamenti di istruzione generale e a 924 le ore di
attività e insegnamenti di indirizzo, comprensive del tempo da destinare al potenziamento dei
laboratori, per un totale di 2112 ore
Le istituzioni scolastiche possono organizzare le azioni didattiche, formative ed educative in periodi
didattici che possono essere collocati anche in due diversi anni scolastici (art. 4 comma 2) e articolare
le classi in livelli di apprendimento (allegato A punto 2 “Strumenti organizzativi e metodologici)
58

Il triennio è articolato in un terzo, quarto e quinto anno. Per ciascun anno del triennio, l’orario
scolastico è di 1056 ore, articolate in: 462 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale e 594 ore
di attività e insegnamenti di indirizzo
Le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale sono dotate di un u fficio
tecnico, senza ulteriori oneri di funzionamento se non quelli previsti nell’ambito delle risorse
disponibili a legislazione vigente, le funzioni relative agli u ffici tecnici sono svolte dagli insegnanti
tecnico-pratici.
Il consiglio di classe entro il 31 gennaio del primo anno di frequenza redige per ciascuna studentessa e
per ciascuno studente il “Progetto formativo individuale”.
Il dirigente scolastico, sentito il consiglio di classe, individua, all’interno di quest’ultimo, i docenti che
assumono la funzione di tutor per sostenere le studentesse e gli studenti nell’attuazione e nello sviluppo
del Progetto formativo individuale. L’attività di tutorato è svolta dai docenti designati nell’ambito delle
risorse disponibili presso l’istituzione scolastica a legislazione vigente.
I percorsi sono organizzati per unità di apprendimento. Nel primo biennio, una quota, non superiore a
264 ore, è destinata, nei limiti degli assetti ordinamentali e delle consistenze di organico previste dalla
normativa vigente:
– alla personalizzazione degli apprendimenti,
– alla realizzazione del progetto formativo individuale
– allo sviluppo della dimensione professionalizzate delle attività di alternanza scuola-
lavoro Per l’attuazione dell’Autonomia le istituzioni scolastiche possono:
– utilizzare la quota di autonomia del 20 per cento dell’orario complessivo del biennio, nonché
dell’orario complessivo del triennio
– utilizzare gli spazi di flessibilità entro il 40 per cento dell’orario complessivo previsto per il
terzo, quarto e quinto anno,
– stipulare contratti d’opera con esperti del mondo del lavoro e delle professioni nel limite delle
risorse disponibili a legislazione vigente
– costituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, i dipartimenti quali
articolazioni funzionali del collegio dei docenti
– dotarsi di un comitato tecnico-scientifico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, composto da docenti e da esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della
ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per l’organizzazione
delle attività e degli insegnamenti di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di autonomia e
flessibilità.
I “nuovi” percorsi di istruzione professionale saranno attivati a partire dalle classi prime funzionanti
nell’anno scolastico 2018/2019.
Previa intesa in conferenza Stato-Regioni, recepita in apposito decreto interministeriale, e successivi
accordi tra la regione e l’Ufficio scolastico regionale, le istituzioni scolastiche che o ffrono percorsi di
istruzione professionale possono attivare, in via sussidiaria, previo accreditamento regionale percorsi di
istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del diploma professionale
quadriennale.
I passaggi tra i percorsi di istruzione professionale e percorsi di istruzione e formazione professionale è
effettuato esclusivamente a domanda della studentessa e dello studente.
Viene istituita la “Rete nazionale delle scuole professionali” allo scopo di ra fforzare gli interventi di
supporto alla transizione dalla scuola al lavoro e di di ffondere e sostenere il sistema duale realizzato in
alternanza scuola-lavoro e in apprendistato, di cui fanno parte le istituzioni scolastiche statali o paritarie
che offrono percorsi di istruzione professionale e le istituzioni
Al decreto si riferiscono anche i seguenti allegati:
– nell’allegato A è riportato il nuovo “profilo educativo, culturale e professionale” (PECUP),
comune a tutti gli indirizzi,
– nell’allegato B sono riportati i quadri orari dei nuovi indirizzi di studio,
– nell’allegato C sono riportate le tabelle sulla “confluenza” degli indirizzi, articolazioni ed
opzioni già̀ presenti nell’ordinamento stabilito nel d.p.r. n. 87/2010, all’interno dei nuovi 11
indirizzi di studio (vedi comma 2).
59

CAPITOLO 9
I DOCUMENTI EUROPEI
I settori dell’istruzione e della formazione non sono di competenza dell’Unione: di- fatti, nel Trattato
sull’Unione europea (1992 e successivi), non si menziona alcuna politica comunitaria in materia. La
legittimazione a interventi nella sussidiarietà è contenuta nell’art. 126, il quale recita: “la Comunità
contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione
tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della
responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e
l’organizzazione del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”. Il
susseguente art. 127 statuisce la politica comunitaria di supporto alla formazione professionale “che
rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi
ultimi per quanto riguarda il contenuto e l’organizzazione della formazione professionale”. Ne
deriva che in materia di educazione la Comunità può svolgere solo un ruolo sussidiario e di sostegno
alle politiche nazionali.
Gli Stati membri, sovrani in materia d’istruzione e formazione, cooperano all’interno del quadro
europeo per il perseguimento di fini condivisi. Infatti, l’UE ritiene che sia negativo avere un unico
sistema di istruzione, poiché le diversità culturali sono una preziosa ricchezza per l’Europa: quindi i
sistemi di istruzione sono e rimarranno di competenza nazionale. Appare allora più saggio far
dialogare queste diversità, sia sul piano tecnico (ad esempio con il riconoscimento dei titoli di
studio) sia su quello culturale (favorendo incontri tra giovani in un ambiente guidato).
Tuttavia, se il Trattato prevede che i sistemi di istruzione siano di competenza degli Stati, gli
obiettivi da raggiungere sono da un ventennio materia di strategie comuni concordate al livello del
Consiglio dei ministri dell’istruzione dell’Unione europea se non addirittura al livello del Consiglio
europeo. È corretto quindi parlare non di politica comune dell’istruzione bensì di cooperazione nel
settore dell’educazione, sulla base del principio di sussidiarietà.

9.1.1. Le otto competenze-chiave 2018

Il 22 maggio 2018 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato, su proposta della Commissione


europea, una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente che
va a sostituire la Raccomandazione del 2006, una delle più apprezzate iniziative europee nel campo
dell’istruzione, che ha contribuito allo sviluppo di un’educazione e di una formazione su misura per le
esigenze dei cittadini della società europea. Promuovere lo sviluppo delle competenze è uno degli
obiettivi dello spazio europeo dell'istruzione: le potenzialità rappresentate da istruzione e cultura
diventano forze propulsive per l'occupazione, la giustizia sociale e la cittadinanza. Agli Stati membri
vengono raccomandate diverse azioni fra le quali sostenere il diritto a un’istruzione, a una formazione
e a un apprendimento permanente di qualità e assicurare a tutti le opportunità di sviluppare le
competenze chiave, prestando particolare attenzione ad alcuni aspetti fra cui: “innalzare e migliorare
il livello delle competenze digitali in tutte le fasi dell’istruzione e della formazione per tutti i segmenti
della popolazione”, “incoraggiare la competenza imprenditoriale, la creatività e lo spirito di iniziativa
in particolare tra i giovani, ad esempio favorendo le occasioni in cui i giovani possano fare almeno
un’esperienza imprenditoriale pratica durante l’istruzione scolastica”, “aumentare il livello delle
competenze linguistiche sia nelle lingue ufficiali che nelle altre lingue”, “promuovere lo sviluppo di
competenze in materia di cittadinanza al fine di rafforzare la consapevolezza dei valori comuni
enunciati nel trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.
Non manca il documento di raccomandare agli Stati membri di “facilitare l’acquisizione delle
competenze chiave grazie all’utilizzo delle buone pratiche”, “incorporare nell’istruzione, nella
formazione e nell’apprendimento le ambizioni degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni
Unite, in particolare dell’SDG 4.7, anche promuovendo l’acquisizione di conoscenze sulla limitazione
della natura multidimensionale dei cambiamenti climatici e sull’utilizzo sostenibile delle risorse
naturali”.
60

La Raccomandazione è divisa in due parti:


- nella prima (definita Allegato) sono contenute le “motivazioni” dell’aggiornamento delle
competenze, descritte in venti punti che fanno da premessa agli otto fondamentali obiettivi
proposti all'azione degli Stati membri, cui compiti sono dettagliatamente enunciati nelle pagg. 8-
12;
- nella seconda (definita Allegato dell'Allegato) sono enunciate e descritte, all'interno del "Quadro
di riferimento europeo", le otto competenze chiave, declinate in conoscenze, abilità e atteggiamenti
essenziali legati alla specifica competenza. In premessa sta la dichiarazione che "Ogni persona ha
diritto a un'istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al
fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e
di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro”.

LE OTTO DESCRIZIONE
COMPETENZE
competenza alfabetica Le persone dovrebbero possedere l'abilità di comunicare in forma orale e scritta in
funzionale tutta una serie di situazioni e di sorvegliare e adattare la propria comunicazione in
funzione della situazione. Questa competenza comprende anche la capacità di
distinguere e utilizzare fonti di diverso tipo, di cercare, raccogliere ed elaborare
informazioni, di usare ausili, di formulare ed esprimere argomentazioni in modo
convincente e appropriato al contesto, sia oralmente sia per iscritto. Essa comprende il
pensiero critico e la capacità di valutare informazioni e di servirsene (pag. 16)

competenza multilinguistica Questa competenza richiede la conoscenza del vocabolario e della grammatica
funzionale di lingue diverse e la consapevolezza dei principali tipi di interazione
verbale e di registri linguistici. È importante la conoscenza delle convenzioni sociali,
dell'aspetto culturale e della variabilità dei linguaggi (pag. 17).
61

competenza matematica e La competenza matematica è la capacità di sviluppare e applicare il pensiero e la


competenza in scienze, comprensione matematici per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane.
tecnologie e ingegneria Partendo da una solida padronanza della competenza aritmetico-matematica, l'accento
è posto sugli aspetti del processo e dell'attività oltre che sulla conoscenza. La
competenza matematica comporta, a differenti livelli, la capacità di usare modelli
matematici di pensiero e di presentazione (formule, modelli, costrutti, grafici,
diagrammi) e la disponibilità a farlo.

La competenza in scienze si riferisce alla capacità di spiegare il mondo che ci circonda


usando l'insieme delle conoscenze e delle metodologie, comprese l'osservazione e la
sperimentazione, per identificare le problematiche e trarre conclusioni che siano basate
su fatti empirici, e alla disponibilità a farlo. Le competenze in tecnologie e ingegneria
sono applicazioni di tali conoscenze e metodologie per dare risposta ai desideri o ai
bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in scienze, tecnologie e ingegneria
implica la comprensione dei cambiamenti determinati dall'attività umana e della
responsabilità individuale del cittadino (pag. 18).

competenza digitale La competenza digitale presuppone l'interesse per le tecnologie digitali e il loro
utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e
partecipare alla società. Essa comprende l'alfabetizzazione informatica e digitale, la
comunicazione e la collaborazione, l'alfabetizzazione mediatica, la creazione di
contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l'essere a
proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cibersicurezza),
le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero
critico (pag. 20).

competenza personale, La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare consiste nella
sociale e capacità di capacità di riflettere su sé stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di
imparare a imparare lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il
proprio apprendimento e la propria carriera. Comprende la capacità di far fronte
all'incertezza e alla complessità, di imparare a imparare, di favorire il proprio
benessere fisico ed emotivo, di mantenere la salute fisica e mentale, nonché di essere
in grado di condurre una vita attenta alla salute e orientata al futuro, di empatizzare e
di gestire il conflitto in un contesto favorevole e inclusivo (pag. 21).

competenza in materia di La competenza in materia di cittadinanza si riferisce alla capacità di agire da cittadini
cittadinanza responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla
comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre
che dell'evoluzione a livello globale e della sostenibilità. (...) Per la competenza in
materia di cittadinanza è indispensabile la capacità di impegnarsi e fficacemente con gli
altri per conseguire un interesse comune o pubblico, come lo sviluppo sostenibile della
società (pagg. 22-23).

competenza imprenditoriale La competenza imprenditoriale presuppone la consapevolezza che esistono opportunità


e contesti diversi nei quali è possibile trasformare le idee in azioni nell'ambito di
attività personali, sociali e professionali, e la comprensione di come tali opportunità si
presentano. (...)Le capacità imprenditoriali si fondano sulla creatività, che comprende
immaginazione, pensiero strategico e risoluzione dei problemi, nonché riflessione
critica e costruttiva in un contesto di innovazione e di processi creativi in evoluzione
(pagg. 23-24).

competenza in materia di Questa competenza richiede la conoscenza delle culture e delle espressioni locali,
consapevolezza ed nazionali, regionali, europee e mondiali, comprese le loro lingue, il loro patrimonio
espressione culturali espressivo e le loro tradizioni, e dei prodotti culturali, oltre alla comprensione di come
tali espressioni possono influenzarsi a vicenda e avere e ffetti sulle idee dei singoli
individui (pag. 25).

Per comprendere l'evoluzione avvenuta nei dodici anni che separano la prima versione da quella
attuale è utile una lettura sinottica: essa mette in risalto l'avvenuto allargamento degli orizzonti,
sviluppando l'attenzione alla complessità dei contesti e delle funzioni ed evitando le semplificazioni
delle metodologie e dei programmi propri dell'istruzione formale.
62

Raccomandazione del 18 dicembre 2006 Raccomandazione del 22 maggio 2018


Il quadro di riferimento delinea otto competenze Il quadro di riferimento delinea otto tipi di competenze
chiave: chiave:
1. comunicazione nella madrelingua; - competenza alfabetica funzionale;
2. comunicazione nelle lingue straniere; - competenza multilinguistica;
3. competenza matematica e competenze di base - competenza matematica e competenza in
in scienza e tecnologia; scienze, tecnologie e ingegneria;
4. competenza digitale; - competenza digitale;
5. imparare a imparare; - competenza personale, sociale e capacità
6. competenze sociali e civiche; di imparare a imparare;
7. spirito di iniziativa e imprenditorialità; - competenza in materia di cittadinanza;
8. consapevolezza ed espressione culturale. - competenza imprenditoriale;
- competenza in materia di consapevolezza
ed espressione culturali.

Il testo della Raccomandazione, per ciascuna delle otto competenze, offre una descrizione articolata
che, a partire da una prima definizione, passa a descriverne "Conoscenze, abilità e atteggiamenti
essenziali".
Rinviando a studi dedicati l'analisi sistematica delle proposte e del loro impatto nei contesti
dell'istruzione formale e informale nonché dell'apprendimento esteso a tutto l'arco della vita, ci
limitiamo qui a qualche spunto di lettura per un inizio di riflessione sulle proposte insite nella
Raccomandazione 2018.

L'ultima parte del documento europeo è dedicata alle misure di sostegno allo sviluppo delle
competenze chiave. Essendo queste costituite da una combinazione dinamica di conoscenze, abilità e
atteggiamenti che il discente deve sviluppare lungo tutto il corso della sua vita, le occasioni di sviluppo
possono presentarsi in tutti i contesti educativi, formativi e di apprendimento nel corso della vita.

9.1.2. Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue


Il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER), dall’inglese
Common European Framework of Reference for Languages (CEFR), è il sistema che qualifica il
livello di abilità conseguito da chi studia una lingua europea. È stato messo a punto dal Consiglio
d’Europa come parte principale del progetto Language Learning for European Citizenship
(apprendimento delle lingue per la cittadinanza europea) tra il 1989 e il 1996. Esso distingue tre
fasce di competenza, qui rappresentate a partire dal livello più alto:
– livello C - “Padronanza”;
– livello B - “Autonomia”;
– livello A - “Base”.
Ciascuna fascia viene ripartita a sua volta in due livelli, per un totale di sei livelli complessivi. Il
QCER descrive ciò che un individuo è in grado di fare a ciascun livello nei diversi ambiti di
competenza:
– comprensione scritta (comprensione di elaborati scritti);
– comprensione orale (comprensione della lingua parlata);
– produzione scritta e produzione orale (abilità nella comunicazione scritta e orale).

9.1.3. Il CLIL (insegnamento e apprendimento in altra lingua)


All’indomani del Consiglio di Barcellona (2002) i capi di Stato dell’Unione Europea auspicarono il
miglioramento delle competenze di base, in particolare “tramite l’insegnamento di almeno due
lingue straniere sin dall’infanzia” così che gli studenti europei acquisissero un’“efficace capacità
comunicativa”.
Uno degli strumenti più efficaci fu individuato nell’“Apprendimento Integrato di Lingua e
Contenuto” (Content and language integrated learning, CLIL/Enseignement d’une Matière par
l’Intégration d’une Langue Etrangère, EMILE) in quanto tale metodo offre ai discenti concrete
opportunità di “mettere subito in pratica le nuove competenze linguistiche acquisite, anziché
63

dedicarsi prima all’apprendimento e poi passare alla pratica”, stimolando la fiducia dei giovani e di
coloro che non avevano ottenuto “buoni risultati linguistici nell’apprendimento formale organizzato
nell’ambito del sistema generale”. Oggi, infatti, la didattica di tipo CLIL – cioè un insegnamento in
cui le lezioni si svolgono in almeno due lingue diverse – fa parte dell’o fferta formativa a livello
primario e secondario nella maggior parte dei Paesi della UE.
Nella scuola italiana l’introduzione del CLIL ha trovato attuazione nei recenti Regolamenti per il
riordino degli istituti tecnici e dei licei (DPR n. 88 e n. 89 del 15 marzo 2010): nell’ultimo anno dei
licei e degli istituti tecnici l’insegnamento di una disciplina non linguistica sarà impartito in lingua
straniera.
Nei licei linguistici il CLIL avrà decisamente più spazio:
– l’insegnamento di una disciplina non linguistica in una prima lingua comincerà già a partire
dal terzo anno;
– dal quarto anno, una seconda materia sarà veicolata in altra lingua.
Per quanto concerne, invece, gli istituti professionali, il relativo DPR n. 87/2010 non prevede
l’esplicito inserimento nel quadro orario di moduli CLIL, anche se è possibile utilizzare la quota di
autonomia per consolidare esperienze già avviate.
Per avviare i CLIL, a partire dall’a.s. 2012-2013, sono necessari docenti preparati e che
posseggano non solo competenze disciplinari, ma anche competenze interculturali e linguistico-
comunicative in una lingua straniera. Per tal motivo il Regolamento per la formazione iniziale degli
insegnanti (D.M. n. 249/2010) ha previsto, all’art. 14, il percorso per la formazione di docenti CLIL
attraverso corsi di perfezionamento a cui possono accedere docenti in possesso di abilitazione per
l’insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado e di competenze certificate nella lingua
straniera corrispondenti almeno al Livello C1 del QCER: i corsi saranno attivati presso le università
su autorizzazione del Ministero.

9.1.4. Il Quadro comune europeo per le qualifiche professionali (EQF)


L'Unione Europea comprende 28 Stati (anche se è in corso l'uscita della Gran Bretagna, cd. Brexit) e
quindi esiste sul territorio comunitario una grande varietà di sistemi di istruzione e formazione
spesso molto diversi tra loro. Per garantire un raffronto in qualche modo uniforme dei livelli di
istruzione e formazione di tutti i cittadini comunitari, l'Unione europea ha approvato il 23 aprile
2008 una raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente l'istituzione di un
Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento per manente con l'obiettivo primario di
promuovere la mobilità geografica e lavorativa nonché l'apprendimento permanente. In particolare, i
sistemi di istruzione e formazione in Europa differiscono al punto che è necessario spostare
l'attenzione sui risultati dell'apprendimento (piuttosto che sugli input, quali la durata del periodo di
studi) perché sia possibile effettuare raffronti e dare vita a una cooperazione fra Paesi. L’EQF, in
inglese European Qualification Framework, è una griglia di conversione e lettura che consente di
mettere in relazione, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi, certificati ecc.)
rilasciati nei Paesi membri dell’Unione europea; il confronto si basa sugli esiti dell’apprendimento.
Si tratta di una metastruttura rispetto alla quale, su base volontaria, gli Stati membri sono chiamati a
rileggere i propri sistemi di istruzione e formazione, in modo tale che ci sia un collegamento tra i
singoli sistemi nazionali di riferimento per i titoli e le qualifiche e il Quadro europeo EQF. L’EQF
non è quindi né una duplicazione a livello europeo dei sistemi nazionali, né tanto meno un tentativo
di imporre un’omogeneizzazione dei titoli e delle qualifiche a livello europeo. È stato pensato e
istituito per funzionare come un vero e proprio codice comune di riferimento, tale da consentire ai
diversi Paesi europei di posizionare e rendere così leggibili i propri sistemi nazionali. In modo più
specifico l’EQF può:
– semplificare la comunicazione fra gli attori coinvolti nei processi di istruzione e formazione
dei diversi Paesi e all’interno di ciascun Paese;
– permettere la traduzione, il posizionamento e il confronto tra di fferenti esiti
dell’apprendimento, consentendo il trasferimento e la spendibilità delle qualifiche e delle
competenze anche al di fuori del Paese in cui sono state conseguite;
– sostenere i processi di validazione dell’apprendimento non formale e informale;
– fungere da riferimento comune per la qualità e lo sviluppo di istruzione e formazione;
– stimolare e guidare riforme e sviluppo di nuove strutture nazionali di qualificazione.
Consentendo una più agevole comparazione fra sistemi, rende più dinamico il mercato del lavoro
e agevola le imprese, che possono valutare in modo paritario le candidature di persone provenienti
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da altri paesi a favore della costituzione di una forza lavoro europea mobile e flessibile. Dal punto di
vista del cittadino, intende garantire un maggior livello di “portabilità” delle qualifiche e delle
competenze in Europa, in funzione di una più ampia possibilità di vagliare le opportunità lavorative e
le proposte di istruzione e formazione dei diversi Paesi europei.

EQF: quale rapporto con ECVET?


Il sistema integrato europeo di trasferimento dei crediti (European Credit System for Vocational
Education and Training, ECVET) fa parte del set di strumenti inclusi nella strategia EQF. In pratica
si tratta di un sistema in grado di attribuire dei crediti (credit points) alle qualifiche e/o alle sue
componenti (units).
Una unit è definita come la parte “più piccola” di un curriculum, di un percorso di istruzione e
formazione, di una qualificazione, e corrisponde a una specifica combinazione di conoscenze, abilità
e competenze.
Ogni unit può essere di diversa ampiezza, secondo il sistema nazionale di istruzione e formazione
di riferimento. A essa corrisponde uno specifico risultato, in termini di risultati attesi, a livello
individuale. Un’unità è ancorata a una figura/ profilo professionale a sua volta inserito in un
determinato livello della struttura delle qualifiche.
I crediti sono attribuiti ai risultati di apprendimento raggiunti tenendo presente l’insieme delle
conoscenze, delle abilità e delle competenze richieste per una qualifica o per un’unità. I requisiti per
acquisire una qualifica o un’unità devono essere definiti dai competenti organismi a livello nazionale.
Il sistema integrato europeo di trasferimento e accumulo dei crediti correla esplicitamente ai livelli
dell’EQF le unità finalizzate alla capitalizzazione e all’accumulo dei crediti.

EQF: la relazione con Europass


Anche Europass, così come ECVET, si colloca come strumento funzionale all’interno della strategia
EQF. Nel dicembre 2004 la Commissione ha adottato la decisione relativa al Quadro unico per la
trasparenza delle qualifiche e delle competenze Europass. Il dispositivo inserisce le qualifiche e le
competenze in una prospettiva di apprendimento permanente, concentrandosi:
– sulle competenze personali (Europass curriculum vitae);
– sull’apprendimento delle lingue straniere (Europass passaporto delle lingue);
– sulle esperienze di mobilità (Europass mobilità);
– sui titoli dell’istruzione superiore (Europass supplemento al diploma);
– sulle qualifiche della formazione professionale (Europass supplemento al certificato).
Europass ha quindi raccolto all’interno di una cornice unitaria un set di documenti che possono
essere usati per mettere in trasparenza, rendendole più leggibili, le proprie qualifiche e competenze.
Europass però non consente la comparabilità fra i livelli, il suo sviluppo è quindi strettamente
connesso all’istituzione dell’EQF. In futuro i documenti che fanno parte del portfolio, con
riferimento particolare al Supplemento al diploma e al Supplemento al certificato, dovranno
contenere un chiaro riferimento al livello EQF appropriato.

Riflessi dell’EQF in Italia


In funzione dell’istituzione dell’EQF le autorità nazionali di ogni Paese sono state chiamate a
stabilire le relazioni tra i propri sistemi di titoli e qualifiche e il Quadro unico stesso. Già la Proposta
di raccomandazione, formalizzata dalla Commissione europea il 5 settembre 2006, prevedeva che
ciascuno Stato membro operasse, entro il 2009, per la definizione di questo collegamento, in
particolare in relazione agli otto livelli di apprendimento definiti nell’EQF, e che entro il 2011 tutte
le attestazioni/titoli/qualifiche rilasciate nei diversi Paesi contenessero il riferimento al Quadro unico
europeo, in modo da essere “leggibili” nei diversi sistemi nazionali e spendibili come crediti
formativi.
In Italia l’adesione alla richiesta dell’Europa si è concretizzata con l’avviamento, nel 2007, dei
lavori del Tavolo unico per la costruzione del sistema nazionale di standard minimi professionali, di
certificazione e formativi, promosso dal Ministero del lavoro. Il Tavolo ha l’obiettivo di definire un
sistema nazionale di standard, coerente con l’istituzione del Quadro europeo delle qualifiche e delle
competenze – EQF. Fanno parte del Tavolo: Ministero della pubblica istruzione, Ministero
dell’università e della ricerca, Regioni, Province autonome e parti sociali.
65

CAPITOLO 10
DOCENTE: STATO GIURIDICO E FUNZIONE

10.1.1. Lo stato giuridico nato dalla legge n. 477/1973


Lo stato giuridico di una categoria di soggetti di diritto pubblico (gli insegnanti, i dirigenti scolastici, i
dipendenti pubblici in generale) ne definisce la posizione:
– in rapporto alla pubblica amministrazione;
– in rapporto alla collettività/ai singoli cittadini.
Lo stato giuridico è il presupposto per l’applicazione di determinate norme, per l’attribuzione della
titolarità di diritti e di doveri, per la determinazione della capacità di agire, cioè di porre in essere atti
legittimi, per l’imputazione delle responsabilità ecc. Conoscere lo stato giuridico dell’insegnante
significa quindi conoscere le ragioni della sua professionalità, le regole del suo agire, le
responsabilità che si assume relativamente alle persone affidate.
La legge 30 luglio 1973, n. 477, fu la risposta dello Stato all’emergenza sociale e sindacale della
scuola, dopo gli sconvolgimenti del Sessantotto. Essa conteneva delega al Governo per
l’emanazione di nuove norme su:
– lo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente;
– la partecipazione alla gestione della scuola tramite gli organi collegiali;
– la sperimentazione nella scuola e l’aggiornamento del personale scolastico.
In attuazione delle deleghe contenute nella legge n. 477, il 31 maggio 1974 furono emanati i quattro
“decreti delegati” per antonomasia:
– il DPR n. 416 “Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna,
elementare, secondaria ed artistica”;
– il DPR n. 417 “Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della
scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”;
– il DPR n. 419 “Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale
ed istituzione dei relativi istituti”;
– il DPR n. 420 “Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle
scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche”.
Le norme del 1974 sono state novellate nel Testo Unico della scuola (D. Lgs. n. 297/1994).
Numerose di esse sono state modificate o abrogate a seguito di leggi successive: il Testo, quindi, non
è più “unico”, dovendo l’operatore ricorrere oggi a una pluralità di fonti.
66

10.1.2. La libertà d’insegnamento


Lo stato giuridico degli insegnanti italiani emanato con DPR n. 417/1974 è ancor oggi vigente. Esso è
strutturato su sette parti (Titoli), tali da normare l’intero arco della vita professionale (dal
reclutamento alla pensione), inquadrandone nel contempo l’esercizio delle funzioni, dei diritti e dei
doveri. Il primo dei diritti consiste nella libertà di insegnamento:
– Art. 33 Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”;

– Art. 1 dello stato giuridico: “Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della
scuola stabiliti dalle leggi dello Stato, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento.
L’esercizio di tale libertà è inteso a promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni
culturali la piena formazione della personalità degli alunni. Tale azione di promozione è
attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi”.
La libertà d’insegnamento consiste nel garantire il docente contro ogni costrizione o
condizionamento da parte dei pubblici poteri. La sua espressa formulazione nella Costituzione deriva
dalla tragica esperienza nell’Europa della prima metà del XX secolo, quando i sistemi totalitari
asservirono l’individuo allo Stato, la cultura alla propaganda, la scienza alle politiche di dominio, la
scuola all’indottrinamento ideologico.
La libertà d’insegnamento si riferisce alle più alte elaborazioni dell’uomo, non alla veicolazione
nella scuola di ogni e qualsiasi pensiero soggettivo. Il corretto esercizio della libertà d’insegnamento
si integra con altri diritti, pure di rango costituzionale, che fanno capo ad altri soggetti. Infatti la
libertà d’insegnamento è finalizzata alla realizzazione delle libertà e dei diritti dei discenti: anzitutto
del diritto all’apprendimento. Esso è anzitutto:
– diritto di accedere liberamente al sistema scolastico: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34, 1º
c. Cost.);
– diritto all’eguaglianza dei punti di partenza: “È compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che, (…) impediscono il pieno sviluppo della persona
umana (…)” (art. 3, comma 2, Cost.).
Infine, la libertà d’insegnamento rispetta la libertà di scelta educativa della famiglia perché:
– essa è “società naturale fondata sul matrimonio”: donde l’assoluta autonomia del nucleo
familiare (società nella società) nei confronti dello Stato (art. 29 Cost.);
– i genitori hanno primariamente “dovere e diritto” di “mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori dal matrimonio” (art. 30 Cost.).
Si noti che:
– il consueto ordine nella sequenza diritto-dovere è invertito, a segnare, in capo ai genitori, la
pregnanza del dovere;
– il compito dello Stato democratico non è quello di educare ma quello di mettere le famiglie
in condizione di educare i figli fornendone le opportunità in regime di sussidiarietà;
– alla scuola è dato il compito di elaborare la proposta educativa e didattica.
Nella scuola spetta all’intera comunità la promozione dei diritti costituzionalmente tutelati:
“L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo
culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione,
formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla
domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire
loro il successo formativo (…)” (DPR n. 275/1999, art. 1). Il contemperamento nella scuola dei
diritti costituzionali è compito precipuo del dirigente scolastico: “Il dirigente scolastico promuove
gli interventi (…) per l’esercizio della libertà di insegnamento (…), per l’esercizio della libertà di
scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli
alunni” (art. 25 D. Lgs. n. 165/2001).
10.1.3. La funzione docente
Lo stato giuridico del 1974, dopo aver esordito con il principio della libertà d’insegnamento (art. 1),
all’art. 2 delinea la nuova identità della connessa funzione. Essa viene anzitutto declinata come
esplicazione dell’attività di:
– trasmissione della cultura;
– contributo alla elaborazione di essa;
– impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della
loro personalità.
Mediante la trasmissione della cultura a opera dell’insegnante, i giovani interiorizzano il patrimonio
di conoscenze e di valori elaborati dalle generazioni che li hanno preceduti e si inseriscono
attivamente in tale processo. Ricordiamo le parole di Ignazio di Antiochia (II secolo dopo Cristo):
67

“Si educa con ciò che si dice; di più, si educa con ciò che si fa; ancor più si educa con ciò che si è ”.
Nel CCNL del comparto scuola l’art. 27 così delinea il profilo professionale del docente.
Il profilo è costituito da competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche,
organizzativo- relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione. Le competenze sono tra loro
correlate e correlate ed interagenti; implicano interagenti un intrinseco sviluppo mediante: maturazione
dell'esperienza didattica, l'attività di studio e di ◦sistematizzazione della pratica didattica.
I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli
obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati
nel piano dell’offerta formativa della scuola” (art. 27).
Dalla lettura dell’art. 27 del CCNL, le competenze dell’insegnante appaiono riferibili a tre aree:
– l’area delle competenze disciplinari, da aggiornare con l’attività di studio, così che il docente
sia in grado di collocare finalità e obiettivi di apprendimento della propria disciplina
all’interno delle finalità del sistema scuola;
– l’area delle competenze psico-pedagogiche e relazionali, così che il docente sia in grado di
individuare i diversi stili e ritmi di apprendimento e di gestire costruttivamente le relazioni
all’interno della classe, nella consapevolezza che i messaggi di “contenuto” sono sempre
messaggi di “relazione” e che la comunicazione non è centrata su “quello che io voglio dire”,
ma su “quello che l’altro capisce”;
– l’area delle competenze organizzative, così che il docente sia in grado di costruire il progetto
educativo nella collegialità e attuarlo nel contesto dato, seguendo le regole e lo stile di lavoro
della scuola pubblica. Il profilo giuridico del docente nell’Art. 395 del testo unico
dell’istruzione 297 del 1994: «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale
dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso
alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della
personalità».
Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività
funzionali alla prestazione di insegnamento. Nell’ambito del calendario scolastico delle lezioni
definito a livello regionale, l'attività d’insegnamento si svolge in 25 ore settimanali nella scuola
dell’infanzia, in 22 ore settimanali nella scuola elementare e in 18 ore settimanali nelle scuole e
istituti d'istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali.
Alle 22 ore settimanali di insegnamento stabilite per gli insegnanti elementari, vanno aggiunte 2 ore
da dedicare, anche in modo flessibile e su base plurisettimanale, alla programmazione didattica da
attuarsi in incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l'orario delle
lezioni. (CCNL 2016/8 ART.28 - ATTIVITÀ DI INSEGNAMENTO)
L’attività funzionale all’insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente
previsto dai diversi ordinamenti scolastici. Essa comprende tutte le attività, anche a carattere
collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento
e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle
riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi. Tra gli adempimenti individuali
dovuti rientrano le attività relative: a) alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; b) alla
correzione degli elaborati; c) ai rapporti individuali con le famiglie.
Le attività di carattere collegiale riguardanti tutti i docenti sono costituite da: a) partecipazione alle
riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l'attività di programmazione e verifica di inizio e fine
anno e l'informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e
sull'andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative, fino a 40
ore annue; b) la partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di
intersezione. Gli obblighi relativi a queste attività sono programmati secondo criteri stabiliti dal
collegio dei docenti; nella predetta programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio
degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere un impegno fino a 40
ore annue; c) lo svolgimento degli scrutini e degli esami, compresa la compilazione degli atti relativi
alla valutazione (CCNL 2016/18 ART.29 - ATTIVITÀ FUNZIONALI ALL’INSEGNAMENTO).

10.1.4. Esclusività del lavoro pubblico


“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 38 Cost.). Ne deriva il principio
generale dell’incompatibilità tra l’impiego pubblico e il contestuale svolgimento di altre attività
lavorative. Il principio di esclusività, in tutela del pubblico interesse, è infatti ribadito nelle norme
che si sono susseguite nel tempo e che hanno adeguato le nuove regole all’evoluzione del rapporto
di lavoro tra la pubblica amministrazione e i suoi dipendenti.
68

L’art. 60 del DPR n. 3/1957 dispone che l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né
alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società
costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è
riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente. L’art. 53 del
D. Lgs. n. 165/2001 conferma tale incompatibilità per tutti i dipendenti pubblici. Per assumere
particolari incarichi da parte di enti pubblici o di privati, il dipendente deve essere preventivamente
autorizzato. L’eccezione rispetto al criterio costituzionale dell’esclusività del lavoro pubblico è
costituita dalla scelta del part time non superiore al 50%. Infatti i dipendenti delle PA possono
esercitare le libere professioni o svolgere altra attività purché optino per il regime di part time con
prestazione lavorativa non superiore al 50% rispetto a quella prevista per il tempo pieno (art. 53, c. 6,
D. Lgs. n. 165/2001). La norma introduce una significativa attenuazione del dovere di esclusività per
chi opta per l’orario di lavoro non superiore alla metà di quello ordinario: la regola da applicare in
questi casi è che la doppia attività è consentita, mentre il diniego ha carattere residuale (attività in
conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente). Il dipendente è tenuto
a presentare alla propria amministrazione di servizio la richiesta di autorizzazione allo svolgimento
del secondo lavoro.
Esistono, inoltre, norme particolari per i docenti, che derogano dal criterio assoluto
dell’incompatibilità. Previa autorizzazione del dirigente scolastico e previa verifica della
compatibilità con l’orario di insegnamento e di servizio, il docente può:
– esercitare libere professioni che non siano di pregiudizio alla funzione docente (art. 508 TU);
– impartire lezioni private ad alunni di altri istituti (non del proprio);
– accettare incarichi di docenza entro il limite di 6 ore settimanali (art. 35 CCNL).

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