Sei sulla pagina 1di 47

Denys Riout

L’arte del ventesimo secolo


Protagonisti, temi, correnti

Premessa
La legge negli USA prevedeva la tassazione di prodotti manifatturieri, ma permetteva la
libera circolazione delle opere d’arte. Nel 1926 sono sbarcate delle opere di Brancusi a
NY, da qui nacque una disputa sul valore artistico di questi lavori, che nel 1928 vennero
considerati come opera d’arte.
“Uno dei traguardi del moderno è proprio quello di aver definitivamente messo in crisi le
certezze più consolidate”.

1- Avanguardie e grandi miti: accezione di origine militare, nasce da un nuovo sistema di


valori contrario a quelli del “Salon”, contrario a tradizione e conservazione.
Nasce la convinzione che per appartenere al classico, si debba esser appartenuti all’avanguardia: il
coraggio di aver portato avanti la propria opera a dispetto delle frustrazioni e delle
umiliazioni. (artista maledetto). L’avanguardismo sancisce l’esistenza di una rottura:
promulga valori sostitutivi, analizzando il presente, propone manifesti artistici e sollecita
alleanze.
“Gli sconfitti di oggi sono destinati a diventare i trionfatori di domani… l’arte
tenderà a scomparire una volta raggiunto il suo scopo”.

2- Un campo allargato: dagli anni ’70 la nozione di avanguardia tende a scomparire,


andando a formare una nuova categoria, quella delle “arti plastiche”; dai Papier colle
cubisti, i ready-made duchampiani, oggetti dadaisti e costruttivisti, gli happening, il video e
la fotografia, l’uso del corpo. La nuova definizione è “arte contemporanea” al posto di
avanguardia o di arte moderna: è il “post-moderno: morte dei grandi miti e la fine delle
ideologie. Le arti plastiche già dagli anni’10-’20 si sottraggono volontariamente alle nozioni
di pittura o scultura.
Tutto può diventare arte. Judd:”se uno afferma che il suo lavoro fa
parte dell’arte, allora è arte?”

3- Vedere e leggere le arti del ventesimo secolo: le “belle arti” discendono dalle arti
visive, le “arti plastiche” sono altra cosa, restano invisibili, o offrono enunciati verbali.
(cultura non solo visiva – H.Rosemberg). Il dibattito e le interpretazioni arricchiscono il
nostro approccio percettivo alle opere.
Picasso stabilisce due modi di guardare l’opera:
A- Guardare senza nulla da capire;
B- opera d’arte che si prolunga nell’indicibile.

4- Costruire un racconto: rendere comprensibile l’arte del XX secolo, un’arte che ha


dedicato tutte le sue energie alla distruzione. Il libro si dedica alle opere dei musei d’arte
moderna che suscitano meraviglia, stupore e indignazione.
Le prime due parti trattano l’abbandono della rappresentazione, l’astrazione come
rivoluzione capitale.
Il quadrato nero di Malevic che fa tabula rasa del passato e del concetto di “mimesis”.
La terza parte cerca di fornire modelli alternativi
Le ultime due parti sono dedicate alla diffusione delle arti plastiche, con nuovi rapporti tra
l’arte e il pubblico.

Parte prima: L’arte astratta

Dalle arti primitive al cubismo l’arte rimane sempre legata al mondo visibile.
Platone: la pittura, in quanto imitazione allontana dalla verità
Aristotele: esalta la mimesis e i piaceri che essa procura
L’imitazione è sempre stato un fatto imprescindibile nei secoli, rifiutarne la necessità è
stato un fortissimo elemento di rottura: l’arte astratta si pone in contrasto con l’arte
figurativa.

1- La nascita dell’astrazione. Gli anni ’10 e ’20: varie questioni di precedenza riguardo
la nascita della pittura astratta. Kandinskij vede nell’oscurità la bellezza di un suo quadro
che si fa astrazione. Tra il 1910 e il 1912 con lo “Spirituale nell’arte” viene definito il
concetto di astrazione.

A- Un’astrazione per decantazione: assenza di continuità tra arte figurativa e arte


astratta.
Per Kandinskij è un passaggio progressivo verso l’astrazione: impressioni (ispirate
alla natura), improvvisazioni (autonome) e le composizioni ( maturazione delle esperienze
precedenti).

Per Mondrian si ha avuto uno stesso processo progressivo dal 1912, con la
scomparsa dell’oggetto.
“L’astrazione da sola non basta ad escludere il naturale; occorre
anche una composizione delle linee e dei colori diversa da quella naturale”.

Picasso e Braque non hanno mai rotto con la mimesis, si tengono a distanza
dall’astrazione.

Delunay frammenta e moltiplica piani luminosi.


Ricerca di una rottura con la tradizione ricercando l’assenza deliberata di ogni
rappresentazione.

B- Apologia della rottura: Malevic ha un posto di primo piano tra gli apologeti della
rottura, processo verso l’astrazione. 1914, si depura dai riferimenti realistici e si riduce a
composizioni suprematiste: spazio vuoto e bianco nel quale fluttuano liberamente forme
piane.
E’ un processo di pittura verso la propria essenza, verità che si rivela gradualmente
attraverso varie rinunce agli attributi inessenziali che l’hanno sempre afflitta.
“Concepire la pittura in termini di mimetismo vuol dire sottostare alla morte”: il suprematismo è la
rivolta
delle forze della vita, potenza generatrice della creazione; “ogni forma è un mondo”, un
volto è una parodia.

“Quadrato nero” (1915) pone le basi di un’astrazione radicale,


quadrato nero con margine bianco, nega innegabilmente ogni legame con la natura.

C- Genealogia dell’astrazione: origine dell’astrazione resa possibili da varie condizioni;


per Léger è la carica dell’impressionismo che segna la svolta: hanno rinnegato il valore
assoluto del soggetto, dandogli solo un valore relativo.
Importanza del colore come elemento che contraddistingue il pittore dagli altri artisti. Il disegno
esiste di due tipi per Le Brun: intellettuale e teorico (dipende dall’immaginazione); e pratico che
dipende dalla manualità.

Per Du Fresnoy la pittura assomiglia alla poesia. Valutazione del quadro per

Diderot: interesse nell’immagine, prima, si sofferma sulla rappresentazione per giudicarne


il valore, poi si compiace del fascino della materia pittorica (la musica del quadro di
Delacroix).

Duret: nel quadro viene considerato solo il soggetto. Per Denis il quadro, prima
di essere un qualsiasi soggetto è prima di tutto una superficie piana ricoperta di colori
combinati secondo un certo ordine, egli non mira all’astrazione, ma ad un’entità materiale
organizzata.

Per Schuffenecker (1888) l’arte è il solo mezzo per ascendere al divino,


facendo come il nostro divino maestro: creare.

Per Kandinskij: la natura che è indipendente dalla natura non ha bisogno di prendere a prestito
forme esteriori, mentre la pittura è legata a forme naturali tratte dalla natura: “compito della
pittura è quello di vagliare le sue forme e i suoi mezzi, di conoscerli , come la musica fa già da
tempo, e di provare a impiegarli in modo puramente pittorico, a scopo creativo.

D- Gli esempi plastici: Léger poneva l’accento su tre grandi quantità plastiche: le linee, le
forme e i colori, tali quantità verranno denominate dagli anni ’20 “elementi plastici”.

Klee: distingue tre elementi plastici: la linea (solo questione di misura, le sue modalità
dipendono da segmenti); le tonalità (chiaroscuro, questioni di fondo); i colori (altre
caratteristiche di equilibrio).

Si può aggiungere la fattura (studiata dal costruttivismo russo:


è l’insieme delle caratteristiche dell’opera legata ai mezzi tecnici utilizzati); e l’estensione
(dimensioni e scala).
Costruttivismo russo (Gan, Tarabukin), Markov (1914) “la fattura”.
E- Il senso e la funzione: L’arte astratta priva di rappresentazione è anche priva di
senso?

Per Kandinskij la pittura è un’arte , ma non l’inutile creazione di cose che


svaniscono nel vuoto, ma è una forza che ha un fine.
Pittori simbolisti: Gauguin e Denis,
sminuisce l’importanza della mimesi per esaltare quella degli elementi formali. Obiettivo
dell’opera è l’espressione di un’idea, un pensiero. C’è una dissociazione tra i significati
letterari e i significati plastici che porta gli artisti a non riprodurre più il visibile, bensì,
secondo la formula di Klee “rendere visibile” con un linguaggio di forme e colori che poi in
Kandinskij diventa una semantica intuitiva degli effetti cromatici, intuizioni e
razionalizzazioni accompagnano lo sviluppo della propria arte.

Mondrian sceglie un vocabolario “ascetico”, il Neoplasticismo, in sintonia con l’angolo retto, il nero
, il bianco e i soli colori primari.

Van Doesburg introduce linee oblique nel sistema, rompendo ogni rapporto con Mondrian.
Malevic vuole alleggerire il visibile con il Quadrato nero, poi opere suprematiste con serie di quadri
bianco su bianco (1918).

Kandinskij (svolta spirituale, evoca un nuovo Mosè), Malevic (costruzione del mondo come
azione pura, conoscenza di sé alla perfezione) e Mondrian (forma impalpabile della verità
universale, ma non ha nulla a che vedere con l’arte per l’arte, annuncia la possibilità di un
mondo migliore, liberato dalla subordinazione alla materia) hanno voluto in ogni modo
cambiare il mondo, credono al progresso e allo sviluppo dell’uomo in sé.

F- Costruire le forme nuove della vita: la musica è il partner privilegiato dagli astrattisti;
poi divenne il cinema.

Van Doesburg fonda nel 1917 il “De stijl” con lo scopo di costituire
un nuovo senso estetico, contrappone le arte plastiche con il barocco (confusione) del
moderno.

Poi il “Bauhaus” (casa della costruzione) nasce a Weimar nel 1919 con Gropius,
il fine ultimo di ogni attività creativa è l’architettura, sintesi dell’arte nel segno dei mestieri
che sono i soli che possono riportare a un mondo dove si costruisce: “non c’è differenza
tra artista e artigiano, l’artista è solo un artigiano potenziato.

Si trasferisce a Dessau nel 1925, poi a Berlino con Mies, fino al ’33 in cui chiude.
New Bauhaus fondato nel 1937 negli USA (Chicago) da Moholy-Nagy.

G- Fine della pittura, fine dell’arte?: rapporto tra arte e arti applicate porta alla volontà di
costruire un mondo nuovo.

Gan e “il costruttivismo” (1922): guerra senza pietà all’arte


legata a teologia, metafisica e misticismo. (morte all’arte!).

Malevic nel suprematismo vuole abbandonare la pittura: “non si può parlare di pittura, il pittore è
solo un pregiudizio del passato.

Rodcenko fa nel 1921 tre piccoli quadri dipinti con un solo colore: giallo,
rosso, blu.

Per Tarabukin, l’agonia del quadro divenuto solo oggetto da museo non
determina la morte dell’arte. Si tende a collegare l’arte al lavoro, il lavoro alla produzione e
la produzione alla vita quotidiana.
L’artista è colui che sa mettere forma a un materiale.
L’arte diventa elemento in grado di cambiare la vita.

H- Scultura aperta e quadro assoluto:

Strzeminski: l’astrazione è un’acquisizione


definitiva: la riproduzione delle forme del mondo non ha nulla a che fare con l’arte che
definisce come:” “creazione di unità formali la cui organicità è parallela a quella della
natura.

La rinuncia delle contrapposizioni cromatiche, il rifiuto dei contrasti luce/ombra,


l’abbandono dell’autonomia colore e linea consentono la creazione di un quadro
omogeneo che esalta le proprie qualità intrinseche, nel rigoroso rispetto della sua
autosufficienza plastica.

Lessing dipinge rifiutando ogni movimento e dinamismo, qualsiasi


tensione direzionale, in quando indurrebbe un fenomeno temporale.
L’opera trova in se stessa il proprio fine, non ha nulla da decifrare, deve solo risultare attraente,
quindi,tutt’altro che vuota.

Unismo: oppone l’integrazione degli elementi plastici nella totalità


pacificata di un’attività priva di pathos, esente da psicologismi, indipendente dalle
idiosincrasie dell’artista. Esso mira alla “pittura assoluta”.
Strzeminski sviluppa delle riflessioni teoriche prima di fare le sue “composizioni uniste” che sono la
monocromia più
totale, ci sono minime variazioni tonali che preludono l’avvento della tela monocroma; la
sua contestualizzazione storica si allontana dalla logica tarabukiana dell’ultimo quadro.
L’Unismo tenta di salvaguardare l’esigenza di una pittura non oggettiva e autoreferenziale
senza tuttavia ripudiare la tradizione dell’arte da cavalletto.

Per Strzeminski la forma dell’esistenza genera la forma della coscienza; infatti difendeva
l’autonomia dell’arte nel
sociale.
Poi si sposta l’attenzione sulla scultura e il suo dispiegarsi nello spazio, mentre il
quadro si ritira solo in se stesso. Lo spazio diventa esigenza, avviene un’unione con lo
spazio attorno alla scultura, ma anche la totalità dello spazio illimitato, uniforme in ogni suo
punto.

Il colore si irradia nello spazio, nelle composizioni spaziali di Kobro, piani colorati
definiscono una versione scultorea dell’Unismo.
L’astrazione fatica trovare un riconoscimento pubblico, malgrado le tematiche spiritualiste
per costruire un mondo migliore. Eppure gli sforzi si moltiplicano in questa direzione.

2- Sviluppi e mutamenti dell’astrazione. Dagli anni ’30 agli anni ’50.


Anni ’10-’20, gi artisti astratti cercano di diffondere l’arte astratta e far conoscere le proprie
intenzioni: desiderio di chiarimento e di sperimentazione concettuale.

A- Realismi di stato: Dottrina ufficiale del realismo socialista nell’Unione Sovietica, come
educazione dei lavoratori nello spirito socialista: immagini realiste, popolari, edificanti.
L’arte astratta è giudicata troppo ermetica, e solo borghese.
Hitler fece lo stesso in Germania, espone opere espressioniste alla derisione del popolo, come
aborti della follia
(mostra Entartete Kunst che girò per quattro anni la Germania).

B- New York, nuova partenza: formazione di società per l’arte astratta, sulla base
dell’arte astratta e del surrealismo. Avanguardia USA privilegia la superficie piana perché
distruggono l’illusione e rivelano la verità; nessuno riuscì mai a realizzare questo ideale.

Pollock fu il primo a rappresentare questo ideale programmatico con il “dripping”


(sgocciolare): dipinge direttamente sul pavimento , così da girare attorno al quadro, essere
dentro al quadro.

Poi “action painting” di Harold Rosemberg che pone l’accento sull’atto


del dipingere più che sull’esito formale; la tela diventa un evento, il pittore usa la materia
per trasformare la materia che a di fronte, il quadro è il risultato di tale incontro.

L’artista lavora direttamente senza disegno, vita e pittura sono in rapporto strettissimo, la pittura
risulta inseparabile dalla vita dell’artista, ogni separazione tra arte e vita è tolta.

Greenberg si occupa di “all over” in cui i quadri creano uno spazio in cui prevale l’illusione
di una profondità indefinita, ma limitata; è coinvolto tutto il corpo e non solo la mano del
pittore, generando un labirinto di impronte, una griglia aperta di linee intrecciate; una fitta
maglia che tenta di eludere il modello gerarchico della composizione tradizionale.
All over
significa che tutte le zone del quadro hanno la stessa importanza (contro la tradizione
occidentale, elementi identici si ripetono senza variazioni marcate da una parte all’altra del
dipinto, “allucinante uniformità”.
Greenberg vede le origine nelle Ninfee di Monet.
C- L’espressionismo astratto: anni ’40-’50, USA, nasce “l’abstract expressionism”,
William De Kooning non vuole affidare un nome a questa corrente.
Vari artisti vi possono
appartenere: Action Painting: Pollock e De Kooning (subordinano materia pittorica a
gestualità intensa), Color Field (ampie stesure di colore e meno importanza al gesto):
Rothko (strati di colore sovrapposti con margini sbavati),
Newman (gli Zip, raddoppiano leverticali del quadro, strisce sottili che dividono il quadro grazie al
Masking Tape, quadri che non si fondono con l’ambiente circostante ma conservano la propria
integrità, il margine del dipinto è replicato nel dipinto stesso, sono dei campi), Still puro colore,
scompare ogni profondità (risale a Turner).

Varie rotture: Manet ostenta gli splendori dell’impasto pittorico; i cubisti con ricerca di
illusione volumetrica in piano; Pollock crea grovigli che sono un universo; Newman (Color
Field) elimina ogni disegno degli elementi costitutivi del dipinto.

Abstract Expressionism compare nel 1929 negli USA in uno scritto di Barr su Kandinskij
sul problema del cosa e del come (rimane il problema del come rappresentare l’oggetto
materiale), l’arte diventa comprensibile solo agli artisti.
Per Pollock la tecnica non conta,
conta solo il risultato. Baziotes, Hare, Motherwell, Rothko, Still fondano una scuola “The
subjects of the artist”. L’abstract expressionism non ha la valenza dell’espressione
dell’artista, sono altre forme di espressività che possono riguardare la psiche umana, la
materia, le angosce di un’epoca.

D- In Europa: ricostruzione e battaglie: Europa mutilata dopo la guerra. Dal ’46 a Parigi si
crea un Salon dedicato esclusivamente all’esposizione di opere astratte, non figurative,
svincolate dalla natura; gli artisti non vogliono soddisfare le esigenze del pubblico,
l’invenzione di nuove categorie è sintomo di fervore creativo.
Hartung (opere gestuali) e
Wols (quadri cupi, macchiati e graffiati): astrazione “lirica”, evoca uno stato d’animo più
che disegnare un registro. Creazione come contatto con i materiali (parentela con Action
Painting [1996 Bois e Krauss rilanciano il dibattito sull’informe]. Informe tende a
squalificare l’esigenza che ogni cosa abbia la sua forma; informe equivale a dire che
l’universo è uno ragno o uno sputo. “Tachisme”: visione combattiva per riconciliare
l’astrazione gestuale e l’automatismo surrealista.
Mathieu diffonde una nuova astrazione in Francia: rifiuta di assegnare all’uomo un totale
affrancamento metafisico, dal momento che la libertà è il vuoto, egli si rifiuta di diluire le singole
sensibilità nell’universalità cosmica.

Nel 1956 Mathieu porta in scena “l’estetica dalla velocità” (folgorazione del gesto). L’arte
astratta diventa fenomeno di società.
Nel 1950 Dewasne e Pillet aprono un atelier riservato all’insegnamento dell’astrattismo.
Critica di Robert Ray all’arte astratta che apre la strada a ogni imperizia tecnica, i segni sono
diventati la garanzia del genio.
Ha procedimenti del tutto empirici e può ignorare il saper disegnare o scolpire, etc.
E- Astrazione e libertà: l’accademizzazione vedeva lo sviluppo artistico come un
processo lineare. Gli astrattisti credono nell’estinzione definitiva della creazione figurativa
(Accademismo astratto).
Kandinskij e Mondrian: rottura definitiva; Delunay, Klee, Picabia,
eludono alla divaricazione tra arte figurativa e arte astratta. Pollok nel ’51 fa quadri bianchi
e neri, alcuni figurativi.
“L’arte è una grande zuppiera nella quale basta affondare le mani
per trovare qualcosa per sé”.
Anni’50 crisi dell’arte astratta con rifiuto di quadro
monocromo di Ives Klein (non accettò di aggiungere una macchia di colore al suo quadro
affinché potesse essere accettato. (“un solo colore non basta”).

3- L’astrazione dopo i tempi eroici. Gli anni ’70 e oltre.


Torna d’attualità il tema della morte della pittura e delle svalutazione del quadro.

A- Le “Ultimate Painting”: Ad Reinhardt, espressionista astratto, membro dell’AAA, dopo


gli Abstract Paintings degli anni ’30, dai ’40 passa all’ All-over (evita la monocromia,
utilizza chiaroscuri tonali e sfumature timbriche).
Fino agli anni ’60 in cui dipinge in nero.
Soprannominato “il monaco nero” per la sua idea di arte in quanto arte (art as art), scissa
dalla vita, priva di funzione e significato; pittura autosufficiente, non articolabile, ne
riproducibile, invendibile, inesplicabile;
è un “non-divertissement”: non fatto per l’arte commerciale, ne per la massa, né per se stesso.
L’unico posto dell’opera è il museo, dove
viene messo definitivamente messo in quarantena, la presentazione delle opere al
pubblico non è necessaria.
I suoi “Black Paintings” hanno eliminato tutto ciò che poteva
esser prima della sperimentazione del monocromo “muro assurdo, muto, cieco”, diventano
le “Ultimate Paintings” realizzabili. (in realtà questa corrente ebbe seguaci)

B- Pura visività: op art (optical art), Agam, Riley, Vasarely; artisti interessati alle
tecniche più disparate, illusionismo e altri giochi ottici, “l’obiettivo non è il cuore ma la
retina, lo spirito diventa soggetto della psicologia sperimentale”.
Agam si rifà alle
distorsioni del XIX secolo. Vasarely, variazioni seriali con ambiguità ottiche.
“Opere
cinetiche” alimentano una concezione umanistica e filosofica delle arti plastiche;
integrazione delle arti nell’universo urbano (erede del Bauhaus), sognava un’arte sociale
in grado di soddisfare le naturali aspirazioni dell’uomo al godimento dei sensi. Vasarely
contribuisce nell’esperienza innovatrice con i suoi “multipli”, opere originali, bi o
tridimensionali, il cui principio permette la moltiplicazione di esemplari equivalenti, “la
mano dell’artista non conta nulla”. [Già Moholy-Nagy nel ’25 tiene conto delle potenzialità
industriali del tempo].

I Multipli sono ri-creazioni, ma tutti esemplari da considerarsi


autentici, l’opera d’arte non è più è per pochi, ma è indispensabile per l’equilibrio collettivo.
Frank Stella, dipinti per il MOMA, ’59, monocromi con strisce nere contigue ma distinte,
combiante in composizioni “all-over”, “l’arte esclude il non necessario” (dipingere strisce
nere), una pittura non simbolica che conduce solo alla pittura.

Vuole trasferire il colore


sulla tela “tale e quale”, desiderio di fare opere sul quale “non si potesse scrivere nulla”,
privo di alcun simbolismo, non si può dichiarare nulla che trascenda la pittura. Anche Kelly
segue l’idea dell’importanza dell’aspetto visivo come il preponderante, egli vuole
organizzare ciò che è visivamente alla sua portata.

Sono opere Hard Edge, radicalizza la


lezione di Matisse, impatto visivo che coniuga ascetismo e piaceri immediati (siamo lontani
dall’estetica del color field). Si differenziano da Mondrian o da van Doesburg, con
concezioni antitetiche, semplificano le tele in due piani di colori differenti, il loro obiettivo è di
dividere lo spazio del quadro e non organizzare forme.

Punto focale dell’astrazione


Hard Edge non è la relazione tra le forme, ma la forma colorata in quanto forma-colore
(non riduzione modernista). Kelly dipinge nello spazio reale, conduce la pittura nella terza
dimensione. Sono proposte teoriche che invitano a interrogarsi sulla validità delle linee di
demarcazione tracciata tra le arti. “La forma della pittura è il mio contenuto” (logica
formalista).
Per Bell la distinzione di queste opere d’arte dagli altri oggetti è la forma
significante., combinazioni di linee e colori risvegliano le nostre emozioni estetiche.

C- Una parentesi: l’arte “sull’”arte: idea di autosufficienza delle forme, prese


unicamente per se stesse (astrazione), “Art as Art” di Reinhardt.

Atteggiamento più
distaccato e critico, negli anni ’70 con Robert Ryman: il suo lavoro riguarda la natura della
pittura; sono quadri bianchi, spesso considerati monocromi (lui non accettava la
definizione), ma nel quale egli considera i pigmenti, gli utensili, i supporti, la struttura delle
tele; egli rifiuta ogni confronto circa il contenuto: la questione non è mai che cosa
dipingere, ma solo, come dipingere.

Lo spettatore deve capire il processo dell’opera,


un’opera autoreferenziale, per trarne piacere.

Lavoro: indica insieme l’attività dall’artista e il risultato ottenuto. Si sostituisce l’opera con il lavoro,
sconsacrando la creazione artistica. (Praxis). Marc Devade: estensione a problemi
filosofici e teorici di questa sovversione formale.

Claude Viallat: l’oggetto della pittura è la


pittura stessa, i quadri esposti si rapportano solo a se stessi; non fanno minimamente un
appello a un “altrove”.
Artisti del gruppo Supports/Surfaces operano a volte con materiali
propri dell’arte tradizionale, decompongono gli elementi del quadro e ne scompongono gli
elementi costitutivi;

Buraglio (lavora su cornici di finestra senza tela);

Dolla espone tele


libere senza cornici;

Dezeuze inchioda un foglio di plastica su una cornice trasparente per


rivelarne la struttura nascosta;

Arnal incolla e dipinge 500 quadri che ripiega e dispone a


mucchi sul pavimento. Sono collezioni di oggetti che non rimandano ad alcuna categoria
dell’arte tradizionale. Una combinazione seriale che

Barré fa una conseguenza poetica:


serialità diventa modo di produrre opere tra loro il più differente possibile. Tutti i lavori
trovano l’esito in una realizzazione compiuta, come un vero e proprio “microcosmo”. Un la
serie chiama a raccolta l’intera nostra memoria, evita l’atteggiamento puramente
contemplativo.

Sol Le Witt, “artista seriale”: evita qualsiasi soggettività, non tenta di


produrre un oggetto bello. La scomparsa del soggetto o del contenuto porta alla
scomparsa dell’artista in quanto operatore singolo e insostituibile.

Claude Rutault, 1973,


ogni opera risponde a regole che le sono proprie, ma tutte richiedono, per esistere la
complicità dei loro acquirenti; sono “Definizione/Metodo”: 1-ridipingere la tela con il colore del
muro; 2-ridipingere il muro con il colore della tela; 3- ridipingere entrambi con lo stesso colore;
l’infinita varietà converte la monocromia in un punto di partenza.

Ryman: la pittura appartiene alla sfera delle emozioni, deve essere una sorta di
rivelazione, un sentimento di benessere. Riprende Matisse: “la pittura pittorica apre qui lo
spirito al puro piacere”.

D- La grata, il quadrato e la prigione: caduta delle teorie di supporto all’astrazione porta


alla rinuncia in ogni fede di progresso per l’umanità.
Radicalismo astratto: la grata e il quadrato (o cubo) La grata: una struttura con le
caratteristiche del mito, si giova di infinite variazioni: ha un successo quantitativo (molti lo
hanno utilizzato), qualitativo (migliori opere del secolo) e ideologico (impronta di
modernità).

Per Krauss la grata assume l’aspetto antimimetico dell’arte ed è per questo


emblema della modernità. Il quadrato (quadrato nero di Malevic, Homage to the square
di Albers e gli ultimate paintings di Reinhardt) per Van Doesburg “il quadrato è per noi
quello che fu la croce per i primi cristiani.
Mondrian considerava il mondo intero nei suoi
quadri.

Morellet: l’astrazione serviva a camuffare la figurazione per meglio “de-figurarla”.

Peter Halley: quadri quadrati con campiture uniformi e colori contrastanti, passano per
astratti; in realtà sono per lui delle prigioni, la geometria diventa internamento;
nel suo pensiero iniziale, la morte di Dio ha comportato la morte dell’arte; poi si ricrede: Dio non è
morto del tutto, ma vive in un’agonia interminabile che prosegue tuttora (l’arte è sempre
nella stessa condizione moribonda, già resuscitata da Preraffaelliti, postimpressionisti,
espressionisti astratti, postminimalisti, ecc. la magia non fa più effetto.
Egli dipinge con il Day-Glo, pitture fluorescenti, la cella è il luogo per eccellenza dove si consuma
un’attesa
interminabile. Gerhard Richter: passa da una “cosa all’altra”, parte da foto, paesaggi,
personaggi, nudi, finestre, tutto chiuso nella geometria di una grata, rappresenta il tutto in
grandi monocromi grigi, senza intenzione di rappresentare o di esprimere alcunché.

L’arte
astratta ha la stessa finalità dell’arte figurativa, entrambe concorrono a conoscere il mondo
creando modelli senza i quali saremmo ancora allo stato animale. L’arte astratta è
destinata a sostituire quella figurativa, rende percepibile una realtà invisibile. L’arte astratta
non ha ripudiato la mimesis, anzi è piuttosto un tentativo di preservare le ambizioni
dell’arte del passato.
PARTE SECONDA
La seduzione del reale
L’astrazione rompe con le arti visive e la rappresentazione del reale. Viene dato il nome di
“non figurativo” o “non oggettivo”, dato che l’arte di Mondrian è ciò che di più concreto
possa esserci, ma anche non figurativo, nei quadri sono dipinti figure, oppure non
oggettivo, l’arte guarda agli oggetti non come semplice mezzo espressivo.

Van Dousburg e altri optano per “l’arte concreta”: manifesto, quadro fatto da elementi
puramente plastici: piani e colori.
Oppure arte concreta fatta dai “papier collé” cubisti o
dai “ready-made”.

Capitolo primo
Rappresentare, presentare
A- Braque e Picasso: “la battaglia è iniziata”: già Turner inseriva dei personaggi
ritagliati nelle proprie tele. Ma divenne famosa la “natura morta con sedia impagliata” di
Picasso, del 1912.
Braque inventa il Papier Collé, poi ripreso da Picasso. Collage che
nasce come pura tecnica; Picasso introduce i pezzi di giornale.
Papier Collé rompono con
l’idea di rappresentazione, le stampe si rappresentano per quello che sono. Un pezzo di
giornale sulla tela rappresenta le forme del mondo, l’opera plastica si elabora a partire
direttamente da frammenti prelevati dalla trama del reale.
Ironia di Picasso che si rifà alla
maieutica socratica, anche se spesso è solo provocazione maliziosa.

B- I collage, il surrealismo: Da Papier Collé a Collage: è una tecnica ma anche uno


stato d’animo di fronte alla creazione artistica: elementi preesistenti ricavati dal mondo
dell’arte o dal quotidiano, integrati con l’opera in corso.
Ha una valenza più estetica che
tecnica, diventa la discriminante tra realismo cubista e surrealismo.
Max Ernst usa il
collage ma con finalità differenti, ne riprende gli elementi disegnati, immagini illustrate,
popolari, giornali, disegni pubblicitari.
Movimento surrealista e l’aspirazione al
meraviglioso di Ernst che diventa automatismo psichico corrispondente allo stato di sogno
difficilmente definibile.

Dalì: metodo paranoico-critico, per tradurre l’immaginario onirico


con il ricorso di tecniche illusionistiche.

Masson: la sua mano correva troppo veloce perché


egli ne potesse controllare l’esecuzione.

Ernst e il Frottage, realizzazione dell’immagine


indipendente dalla mano.

C- Dipinti-collages: Ernst crea tre Romanzi-collages (1929-1934) sulla base di immagini


trovate su cataloghi, opere scientifiche e racconti illustrati; con un montaggio che crea
continuità di superficie voluta dall’artista.
Li colloca agli antipodi dei Papier Collé cubisti.
Si esalta l’eterogeneità, l’incongruenza degli accostamenti e la legge del caso.

Magritte
associa immagini senza un nesso tra loro in una spazio comune. I papier collé hanno una
loro definizione; i collage sono eseguiti con materiali individualizzati, frammenti presi dalla
massa delle cose; implica il caso; amplia l’universo illimitato dei materiali con una infinita
scelta che amplia la libertà dell’artista.

D- Collages di tutti i tipi: molti artisti utilizzano la nuova tecnica: i futuristi, Malevic. Negli
anni ’10 i Dadaisti, manifestano il loro desiderio di rottura, rifiuto dei valori consolidati e
disprezzo per la logica del buon senso.

Arp ritaglia forme per i suoi collage con una


macchina apposita, elimina ogni contrasto manuale.

Hausmann nel ’19 sostituisce delle


parti in un’immagine fotografica.

Poi Dubuffet nelle sue trasformazione di oggetti in


paesaggi, Picabia con i suoi oggetti minimi.
Una tecnica accessibile a chiunque (critica della perdita del mestiere di Levi-Strauss, il “bricoleur”
capace di eseguire vari compiti, con
un universo strumentale chiuso. Collage applicato anche in letteratura e musica, basta
prendere ritagli di giornale a caso ed estrarli da un sacco.

E- Varianti: papier découpé e fotomontaggi: Matisse utilizza i Papier Découpé (anni


’40). Essi sono precedentemente dipinti a tempera secondo le istruzioni dell’artista, egli
ritaglia direttamente dal colore, come uno scultore, si disegna direttamente nel colore, con
semplice efficacia del gesto, tecnica difficile da operare.
I fotomontaggi, collage di foto o di frammenti, può esser opera in sé, o suscettibile di
sviluppo successivo, c’è chi lo considera solo come successiva manipolazione di foto,
distinguendo dal Photocollage che sono semplici assemblaggi di prove fotografiche.
La
tecnica fotografica non apparteneva di diritto al mondo dell’arte, ne entra a far parte solo
dopo l’esplosione del collage. Hausmann e i dadaisti utilizzano il “fotomontatore”.
Essi
puntavano alla distruzione di tutti i valori, il fotomontaggio dadaista ha potere di
propaganda.
Diffusione anche in Russia con El Lisickij e Rodcenko con procedimenti di
associazione.
Mentre Moholy-Nagy fa fotoplastiche nel 1925 che sono foto differenti
compenetrate tra loro, si attinge all’immaginario utilizzando lo strumento che attinge dal
reale.

F- Ready-made e oggetti: Ruota di bicicletta di Duchamp (1913), ruota su uno sgabello


da cucina, all’inizio fatta non per esposizione ma per il solo scintillio dei raggi in
movimento.
Per una frase annotata su un manico di una pala da neve, nasce il readymade
(manufatto di serie): oggetto di uso comune innalzato alla dignità di oggetto d’arte a
tutti gli effetti.
Nel 1917 espone la Fontana sotto falso nome di Richard Mutt, oggetto
scandaloso, rifiutato dalla Society of Indipendent Artists.
Tutti questi oggetti originali sono
andati perduti, ma per Duchamp la replica di un ready-made ha lo stesso significato
dell’originale. La scelta dell’oggetto si basava su una scelta di indifferenza visiva,
combinata con l’assenza di buono o cattivo gusto.

Oggetto banale in rottura con la manualità artistica.

Le opere si richiamano a oggetti specifici, esso promuove un’arte


generica.

Il ready-made pone il problema di cosa sia arte. Gioconda, 1919, con pizzetto e
baffi, è un ready-made aided “gli stupidi credono che scherzare non significhi essere seri”
(Valery).

Duchamp fa anche giochi verbali scritti sui suoi ready-made, enigmatiche.

Picabia fa Disegni meccaniformi, dal 1915, ready-made grafico.


Poi il ready-made testuale, con ispirazione sarcastica che diventa poi anti-arte, con varie
conseguenze.

Per la prima volta nel ‘20 sono esposti quadri dada, Picabia li definiva antiarte,
in maniera dissacratoria, slogan provocatorio. Si rimette in questione il
comportamento dell’artista, come gente comune.
Poi divenne Neodadaismo, Movimento Fluxus, fine anni ’50, è un’anti-arte che
appartiene comunque all’arte anche se tenta di scardinarla. Maciunas (Fluxus) dice che
anti-arte è vita, natura e realtà vera, sono artisti che cercano di rompere con le forme
canoniche.
E’ l’incoerenza del tempo.
Man Ray presenta aspetti tipici del ready-made
aided (rettificato), questa arte / anti-arte del montaggio fonde elementi visivi e linguistici
insieme. Fa il Cadeau che è un ferro da stiro con punto sporgenti, scomparso, forse preso
come vero regalo.
Capitolo secondo
Il puro e l’impuro
L’arte occidentale ricorse per un lungo periodo a un numero limitato di materiali, legittimati
dal loro impiego quotidiano. Nel XX secolo c’è stata l’emancipazione dei materiali,
“qualsiasi tipo di materiale”.
Dal ’12 Boccioni utilizza vari materiali, “non esistono materiali
che non possano concorrere all’elaborazione di un’opera. Dalle arti visive (collage, readymade)
si passa ad altri settori, la musica e “l’arte dei rumori” (1913, Modena) con Luigi
Russolo: rumore familiare al nostro orecchio.

A- Assemblaggi e costruzioni: dai papier collé cubisti, dalle sculture di carta che Braque
faceva prima di dipingere (mai arrivate a noi), poi gli assemblaggi di Picasso, fino ai
ready-made. C’è ibridazione tra pittura e volume.
Diventa “costruzione e
assemblaggio”, estrema eterogeneità di materiali, con legami con l’arte negra, aspetto
del primitivismo. Pitture e sculture si compenetrano.

B- La cultura dei materiali: Tatlin incontra Picasso a Parigi nel ’14, quando torna in
Russia espone assemblaggi di materiali. Bottiglia: assemblaggio di Forme, materiali e
colori (ancora figurativo).
In Tatlin è il “controrilievo”: costruzioni avulse dalla struttura
piana; poi “controrilievo d’angolo” con espansione nello spazio, con strutture metalliche
lucenti.

E’ la Faktura: elemento plastico della cultura rivoluzionaria russa: studio congiunto


di materiale e fattura apre prospettive nuove.

In Tarabukin è il materiale che detta la forma


all’artista, rovesciando il modello aristotelico. Fiducia illimitata nel progresso e nella società
comunista che stimola artisti e teorici.

Tatlin chiama le sue opere “assortimento di


materiali”, criticando Picasso che fa opere per il museo.

Per El’ Lisickij, contrario a limitare


la produzione degli oggetti artistici agli oggetti utilitari. I costruttivisti: alla fabbrica!
Trampolino per l’uomo per effettuare il salto nella cultura universale; rinnega l’autonomia
dell’arte, stigmatizza il quadro da cavalletto, oggetto mussale di una società divisa in classi
(Tarabukin);

Gan auspica una nuova società comunista che connette attività sociali e
doveri dell’uomo. Il “Byt” accostamento dell’arte alla vita quotidiana, spinto alle estreme
conseguenze da Tatlin con i “controrilievo inutili”.

Importanti lavori costruttivisti per i


club operai, per il teatro, sempre nella volontà di rompere con il museo.”La pittura non
figurativa ha abbandonato il museo, essa è la strada stessa, la città e il mondo intero. La
cultura dei materiali porta alla morte dell’arte.

C- Il movimento reale: Gabo e Pevsner, Mosca, 1920, Movimento realista (primo


proclama costruttivista). Vogliono aprire l’arte alla realtà, la realtà è la bellezza al suo
grado più elevato.

Per i futuristi è la rappresentazione del movimento, la bellezza della


velocità, di ispirazione alle cromofotografie di Marey e Muybridge. Ma per Gabo e Pevsner
la semplice registrazione di movimenti fissati per ricreare il movimento non può ricreare il
movimento in sé.

Soluzione dei “ritmi cinetici”: forme basilari della nostra percezione del
reale.

Gabo fa la Costruzione cinetica, utilizza un motore per imprimere un movimento


circolare, è un cinetismo reale. Calder, nel ’30, suggerisce a Mondrian di far oscillare i
suoi quadrati, che iniziò elgi stesso a realizzare. Jean Tinguely con costruzioni ludiche,
Bury e spostamenti programmati, Horn e le macchine strane.

Mostra del ’55 “Le


mouvement” a Paris: l’arte si è appropriata del fattore tempo, un ritmo cinetico che va
contro le teorie moderniste.

D- Il suono: inserimento di suono e luce nelle arti visive.


Nei Mobiles di Calder (’49):
colore e suono fanno appello a tutti i nostri sensi, inventore di “sculture sonore”. Anche
Duchamp fa l’Erratum musicale, una serie di note tirate a sorte. Poi “l’opera d’arte totale”
con collaborazione arti visive e musica.
O il “suono giallo di Kandinskij, associa colore e
suono. Nel dopoguerra le sculture sonore di Harry Partch, musica occidentale uncorporal,
deve essere attraente anche per gli occhi.

Tinguely fa opere cinetiche con suoni, nel ’60 fa


una macchina che si autodistrugge e va in pezzi.

Anche Taxis, Pacquement, Oppenheim


(manichino con testa metallica animata casualmente che batte contro una campana
sospesa. Maholy-Nagy, “arte opto-fonetica” che un giorno permetterà di vedere la
musicale ascoltare le immagini.

E- La luce: Insegne luminose nelle città, Moholy-Nagy propone l’utilizzo artistico della luce
reale, fa il “modulatore spazio-luce” (1922) macchinario che produce uno spettacolo
luminoso, reso mobile da un sistema di ruote dentate; la luce è in mano all’artista.
Come nei disegni fotografici di Fox Talbot. Il dadaista Christain Schad, nel ’18 fa le shadografie,
profilature opache e alterazioni luminose prodotte da oggetti diversi.
Man Ray fa le
Rayografie nel ’21, gli oggetti vengono deformati dalla luce nello sviluppo delle foto, i
rayogrammi sono le opere ottenute.

I fotogrammi di Moholy-Nagy sono le foto ottenute


senza apparecchio, grazie alla formalizzazione della luce, come il mezzo di accesso a un
nuovo tipo di creazione; il pittore progressista giungerà a scambiare i colori con la luce.

F- L’arte dei detriti: poetica moderna di utilizzare materiali di spazzatura, per Walter
Benjamin, dietro la figura del netturbino compare quella del poeta e il rifiuto della società.
Kurt Schwitters, intitola “Merz” l’insieme dei propri lavori (Merzbild, collage andato
perduto). Il termine dichiara una strategia unificante del suo lavoro.
Merz come
assemblaggio di materiali immaginabili, la Pittura Merz che si occupa di tutti i materiali
visibili, come fossero una tavolozza.
Egli opera con tutti i materiali che gli capitano sotto
mano, anche ciò che non aveva un buon odore (fascinazione per il pattume, il lirismo del
sordido, “l’arte è un mucchio di merda”.
Egli accumulava nelle opere tutto quello che
trovava, la materia non conta, ciò che conta è darle forma.
Costruisce il Merzbau checresce su se stessa negli anni fino a esplodere in tutta la sua casa, è il
work in progress,
egli non mira a una forma definitiva., è l’estetica del non-finito. Negli anni ’50 USA si lavora
con materiali di recupero fino alla formazione della Junk Sculture (rottame), John
Chamberlain (pezzi di auto alla rottamazione).

Mark Di Suvero usa vecchi cavi, catene,


materiali abietti. Arte critica alla società dei consumi. (eredità dal papier collé).
Capitolo terzo
L’assemblaggio: l’arte e la vita
1961, mostra al MOMA, “the art of assemblage” di oggetti del quotidiano: Arman,
Tinguely, César, Spoerri, Baj, Burri, Dubuffet, Chamberlain, Cornell, Johns, Kienholz,
Nevelson, Rauschemberg, Stankiewicz (150 artisti). Assemblage designa la categoria
delle opere tridimensionali a partire da oggetti e materiali eterogenei.

A- Neodadaismo e Pop Art: dal ’51 si riattualizza il dada, da Duchamp e John Cage, New
Dada; Jasper Johns, opere con humor corrosivo, materia manipolata con la spatola, opere
di oggetti di evidente banalità. Robert Rauschemberg, critica all’estetica espressionista,
chiede un disegno di De Kooning (si presta al gioco) che gli cancellerà, l’altra estremità
della matita è altrettanto buona. L’espressionismo può essere fabbricato a tavolino.

Produce serigrafie di fotografie e dipinge quadri in bianco e nero o su carta di giornale.

Introduce il Combine painting, opere miste di tecniche pittoriche tradizionali e


assemblaggio di oggetti reali. “quando una tecnica diventa un luogo comune, l’arte è
morta”. Egli è per l’arte che non ha niente a che vedere con l’arte, ma ha tutto a che
vedere con la vita; la pittura è legata sia all’arte che alla vita; egli vuole introdurre la vita
nell’arte (contrario a Mondrian e costruttivismo che portano al dissolvimento dell’arte nella
vita).
Leo Steinberg delinea il flatbed, quadro che allude a superfici piane, piano superiore
di un tavolo. Dalle Ninfee di Monet, ai Drip Painting di Pollock, ai Fletbed di
Rauschemberg, la radizione cambia volta e prospettiva.
Claes Oldenburg, nel ’61 affitta un locale “The Store” e lo apre al pubblico, un autentico
magazzino: “una discarica vale più di tutti i depositi di forniture del mondo”.
Pop art, artisti che hanno attinto dal mondo del mercato e del consumo di massa.

Andy
Warhol, strategie complesse: tela sulla strada per raccogliere i passi delle persone, il vero
è frutto di una registrazione; urinare sulle tele coperte di pittura metallizzata sul pavimento;
fino alle opere che rappresentano immagini pescate da rotocalchi: Campbell’s, Brillo,
Ketchup Heinz.
Utilizzo della serigrafia, somiglianza con ready-made, ma interamente
per il mondo dell’arte.

B- Appropriazione: un “nouveau réalisme”: mostra riferita al dada, anche in Europa, a


Parigi (1961), i Noveau realistes: Arman, Dufrene, Hains, Klein, Raysse, Spoerri,
Tinguely, de La Villeglé, firmatari di una dichiarazione di Pierre Restany, organizzatore
dell’evento. Questo movimento propone nuovi approcci percettivi al reale. Deschamps,
Mimmo Rotella, Niki de Saint-Phalle, Christo.

I nouveau realistes considerano il mondo


come un quadro, si appropriano di frammenti come parti di un’opera.
Dada e Merz come
modelli con rifiuto di esuberanza, ma piacere per lo humor. Arman si rifà a Schwitters.
Daniel Spoerri incolla oggetti a un supporto senza la minima possibilità di sceglierne la
posizione. Realizza i tableau-piege (quadro trappola): servono, come provocazione a
dirigere lo sguardo verso qualcos’altro; chiunque lo può creare, egli emette certificati di
garanzia che autorizzano chiunque a fabbricarli.

“L’epicerie” Spoerri compra oggetti in


una drogheria, ne cambia il nome e li firma dopo “attenzione opera d’arte”, poi rivenduti
allo stesso prezzo del negozio.
I tableau-piege fanno parte dei detrompe-l’oeil, contrario
del trompe-l’oeil, prodezza tecnica che porta l’imitazione al suo culmine (vallata con
ruscello a cui aggiunge un rubinetto e una doccia). Opere volutamente derisorie, il riso si è
insediato nell’arte, con un senso di spaesamento.

Il decollage di Raymond Hains, ’49, strappa, con de La Villegle, pannelli da affissione e


staccionate, dando valore al gesto artistico, “il mondo è divenuto quadro”. Anche Mimmo
Rotella espone manifesti pubblicitari strappati dai muri (linea duchampiana). La
lacerazione è il rifiuto di ogni scala di valori tra l’oggetto creato e il ready-made.

Esposizione sala decollagiste a Parigi nel ’59 di Hains, La Villegle e Dufrene. Nel ’60
Cesar espone le Compressions, relitti industriali saldati ad arco, carrozzerie pressate.

Altri amalgamano materiali diversi: Dechamps, le stoffe e la biancheria intima femminile;


Martial Raysse i prodotti della società dei consumi e la pubblicità che li accompagna;
Tinguely e Saint-Phalle, il ciarpame dei mercatini delle pulci; Chisto impacchetta piccoli
oggetti, poi più grandi;
Ives Klein, contrario ai nouveau-realiste; Piero Manzoni, criterio
dell’approprazione, trasforma le persone su cui pone la propria firma in “sculture viventi”
e ne rilascia dei certificati di autenticità.
Capitolo quarto
L’arte del reale
Mostra a Parigi “L’art du réel” (’68) del MOMA, non c’era nulla che somigliasse a
qualcosa di reale: artisti americani sostengono che le loro opere si avvicinano al reale.
Essa non riproduce gli oggetti del mondo, non li integra più al proprio interno, costruiscono
semplici artefatti che ci propongono di vivere l’esperienza empirica di un confronto con la
realtà fisica, inscritta nella spazio reale in cui ci muoviamo.

A- Specific Objects, opere letterali: nell’arte astratta Stella rifiutava ogni simbolismo nei
suoi black paintings del 1958-59, sono solo aggetti che mette in mostra.
Poi fa i shaped
canvas, adotta per le sue cornici le forme più diverse, il dipinto si presenta come un’opera
a tre dimensioni. Per Donald Judd questa collisione tra pittura e scultura non è isolata:
Rauscenberg, Oldenburg, Flavin, Stella, Judd, cercano una via d’uscita alla crisi del
quadro che imponeva una forma piana.
Nasce lo specific objects di Judd: più somiglianti
a sculture che a pitture, sono il tentativo di risolvere i problemi di bidimensionalità del
quadro che si rifiuta di riproporre uno spazio immaginario e che non si accontenta più della
pura monocromia.
Tutti hanno un punto in comune: rifiutano l’opposizione tra l’illusione di
uno spazio fittizio e la realtà dello spazio nella quale l’opera trova posto.

Si elimina il
problema dell’illusionismo e dello spazio letterale; le limitazioni della pittura non esistono
più.
Sono opere che possono assumere qualsiasi forma e materiale, sono come finestre
aperte su spazi immaginari, si dispiegano nello stesso spazio dello spettatore. Robert
Morris gioca sulla varietà delle possibili situazioni, volumi geometrici disposti
differentemente all’interno della stanza.

Sono artefatti non costruiti personalmente, Judd li


faceva costruire in fabbrica, Tony Smith ha ordinato per telefono Die, un cubo in acciaio di
183X183X183. Si scinde ogni rapporto diretto tra artista e oggetto.

Già Moholy-Nagy nel


’22 con i Telefonbilder che sono ordinati in fabbrica. Queste opere rinunciano all’Aura di
Benjamin e alla loro autenticità. Per Judd “basta che l’opera sia interessante”. Per Morris
l’opera non è altro che quello che è: sono forme unitarie che si offrono allo spettatore per
la loro essenza.

Morris fa le tre L-beams, nel ’65, identiche, poste in posizioni diverse. La


forma semplice si traduce in esperienza semplice; le forme unitarie ordinano i rapporti.

Richard Wollheim pubblica nel ’65 un articolo sulla Minimal Art, con riferimento ai readymade
duchampiani e ai black painting di Reinhardt, arte dotata di minimo contenuto
artistico.
B- Letteralità o teatralità?: successo delle mostre minimaliste grazie all’abilità degli artisti
nel suscitare interesse e dibattito critico.

Fried critica la minimal chiamandola “literalist


art” come se fosse il pretesto per un nuovo genere di teatro che, allo stato attuale,
sarebbe la negazione dell’arte; è una sensibilità teatrale perché tiene conto del reale
incontro tra arte e spettatore; egli critica che queste opere sono incomplete senza lo
spettatore.

Morris aveva vissuto un’esperienza da ballerino nel Living Theatre, Column,


’61. Non apprezza nemmeno la musica di Cage, né i combine painting di
Rauschemberg.
Nel frattempo si stavano sviluppando altre correnti: gli happening e il gruppo Fluxus,
parti di un modernismo che è privo di un discorso di continuità lineare; l’astrazione è stato
un momento di autonomizzazione di pittura e scultura; come il collage cubista, il readymade
che porta alla deflagrazione l’universo delle belle arti.
Parte terza
Riferimenti e modelli
Utilizzo di forme nuove e di materiali accantonati dalla tradizione, mezzi espressivi insoliti,
ricerca di modelli di riferimento. Impressionisti si ispirano alle stampe giapponesi, Gauguin,
espressionisti tedeschi e cubisti guardano alle culture figurative più selvagge.
Kandinskij,
Klee e Marc, amavano le illustrazioni popolari, naive e infantili;
Grosz, Picasso e Jorn guardavano ai graffiti. Si dà spazio all’intervento del caso, si valorizza
l’effimero e il
fallimentare; si afferma la riproducibilità tecnica e il museo immaginario

Capitolo primo
Una storia dell’arte allargata
La storia dell’arte prestò interesse alle sole opere prodotte dalla cultura occidentale
(etnocentrismo). Con il colonialismo e la conoscenza di culture diverse vennero facilitati i
contatti con culture diverse.

A- Primitivismi: Prima con Gauguin (primitivo è il non occidentale), poi con il cubismo (si
rimanda all’insieme delle arti primitive).
Rivalutazione del primitivismo. Gauguin si sente un
“indiano in esilio”, va a Tahiti, un mondo la cui cultura ancestrale è stata distrutta dal
mondo coloniale.

Per Picasso il senso della pittura sta in un processo estetico, come una
forma di magia che si interpone in universo a noi oscuro: un modo di impossessarsi del
potere imponendo una forma ai nostri terrori come ai nostri desideri; “il giorno in cui
compresi questo, seppi di aver trovato la mia strada”. (per Derain, Matisse o Braque le
maschere sono sculture come le altre).

Per Picasso le maschere hanno un’importanza


decisiva (Les demoiselles d’Avignon, 1907, fu il suo primo quadro di esorcismo). Per i
Die Brucke, Ernst e Kirchner trovano nelle sculture africane un parallelo alla loro attività
artistica. Gauguin, Fauve, Cubisti, Die Brucke e Blaue Reiter introducono le arti
“primitive” nella cultura occidentale, nascono tre atteggiamenti di giudizio:
1) criterio
formalistico: gli artisti moderni possono attingere alle forme (Brancusi, Epstein, Giacometti,
Henry Moore, evocano la forma del primitivo);
2) criterio etico-estetico: le opere sono armi
destinate a sublimare i nostri terrori e desideri (Janco, Arp, maschere e costumi da
selvaggio);
3) Criterio esistenziale: ricerca di un eden introvabile (Breton e surrealisti
collezionano pezzi di arte primitiva).

Per Barnet Newman inserisce in una mostra


l’immagine di Dio e non un oggetto d’argilla; come per Picasso, si va oltre alla mera
funzione estetica; il lavoro dell’artista consiste nel dare forma all’informe e alle angosce
che trasmette. Joseph Beyus e altri tentano di materializzare forme elementari riferibili a
un altrove, mitico; egli inventa rituali sciamaniche finalizzate al ripristino dell’armonia nel
mondo (anni ’60).

Coyote, Beyus si fa trasportare in un’ambulanza e entra in contatto con


l’animale (teoricamente), simbolo dell’america primordiale.

Gerard Gasiorowski, diventa


l’indiana Kiga, fa una regressione primitivista, fonda una scuola d’arte fittizia con solo
artisti conosciuti, egli si identifica completamente con l’indiana, attingendo in se stesso la
propria arte e cucinando i propri escrementi, modellandoli a forma di torta, come nature
morte di Cezanne.
Nel 1911 per Kandinskij e Marc il principio dell’universalità dell’arte
come l’unico possibile, non conosce né confini né popoli, conosce “l’umanità”.
Anche i
disegni infantili attirano l’attenzione di Kandinskij, per la loro tendenza a ignorare la
somiglianza esteriore, si elimina l’accessorio per arrivare all’essenziale; si vuole dipingere
con la stessa naturalezza dei bambini.

Bambini e selvaggi hanno in comune il non aver subito alcuna forma di acculturazione.
I Nabis e Maurice Denis regrediscono all’infanzia,
giocano all’ignoranza “in quel momento era la cosa più intelligente da fare”.

Per Klee l’arte


ha origine nei musei etnografici e in casa nostra, nella camera dei bambini. Klee, Mirò,
Picasso, Dubuffet, Baj non disegnano come bambini, ma ci insegnano a vedere e
apprezzare quello che fanno i bambini quando li si lascia liberi.

B- I Graffiti: scritte o disegni tracciati in spazi pubblici senza autorizzazione, oggetto di


riprovazione sociale, condanna sancita dalla legge che li vieta. Nella storia ci sono stati gli
eroi dell’Ariosto con le iniziali scritte sull’albero. Il segno può essere ridondante o
trasgressivo, come rottura con l’ordine costituito. Mutazione concettuale nel XX secolo:
graffiti come fonte d’informazioni sul risvolto nascosto dei pensieri e delle pulsioni umane.

Nel ’44 Dubuffet adotta uno stile ispirato ai graffiti, in cui tiene conto dei valori della
naturalità: istinto, passione, violenza, delirio. Nei ’50 Asger Jorn fonda la Cobra (istituto
scandinavo vandalismo comparato), per rispondere alle accuse di vandalismo.
Legittimazione dei graffiti dopo la seconda guerra mondiale; opere di Cy Twombly, Tapies,
Joan Mirò, Roland Barthes. Gérerd Zlotykamien salda una frattura considerata impossibile
con i suoi Ephemeres che sorgono sui muri delle città d’Europa, sono ombre leggere, ma
persistenti, pone un ponte tra l’universo urbano e l’arte, li espone alle intemperie e anche
nelle gallerie; le autorità lo citano in giudizio.

Grande movimento graffitista USA negli


anni ’70, con firme pseudonime nei vari ghetti di NY, le Tag, un marchio che invade la città
e si diffonde fino a prendere forme monumentali che diventano graph: complesse
elaborazioni grafiche di dimensioni impressionanti; il nome dell’autore può rimanere l’unico
elemento conduttore.

Suscitano interesse delle gallerie d’arte lavorando anche su tela. Ma


il loro posizionamento li rende antitetici all’arte, posti in un museo se ne perde il significato,
essi sono intrasportabili.

Sviluppo della Street Art con una serie di artisti che opera in
atelier e in strada, senza committenti a loro rischio e pericolo. Richard Ambleton disegna i
suoi personaggi sui muri più sordidi.

Il muro di Berlino prima dell’abbattimento diventa


sfogo per la street art. Lavorano artisti come Jenny Holzer, Barbara Kruger, Charles
Simonds, oggi riconosciuti nel mondo dell’arte; con accanto Keith Haring e Jean-Michel
Basquiat che fonda con gli amici SAMO, con scritte che inondano la strada, con messaggi
di stampo giovanilistico con un tono ribelle. Basquiat continua a scrivere slogan, poi
collabora con Warhol e diventa leggenda.

C- L’art brut: dalla fine del XIX sec. si raccolgono le produzioni degli alienati, l’arte dei folli
da parte dei medici, per illuminare i meccanismi del genio, come per i bambini; cercano di
individuarne l’idea.
Nuovo atteggiamento nei confronti della follia, si trova un parallelo nelle
mostre del Blaue Reiter.

Nasce lo studio dell’Art Brut, analisi di Jean Dubuffet (la sua arte
non può appartenere all’art brut data la sua cultura): opere eseguite da persone prive di
cultura artistica, il mimetismo non ha alcuna importanza, gli autori attingono da loro stessi
e non dagli stereotipi dell’arte e delle moda.

Atto artistico puro e bruto, arte come funzione


di invenzione. Un’opera è interessante solo se è proiezione immediata e diretto di ciò che
si agita nella profondità dell’essere (Dubuffet), sono posizioni anticulturali.
Le opere che
escono dalla sfera artistica possono rientrare sotto la definizione dell’art brut che non è un
movimento in sé.

Essa si fonda sullo statuto del creatore e non sui criteri stilistici delle sue
opere.

D- Il museo immaginario: dal Rinascimento in poi si raccolgono gli elementi visivi di una
cultura artistica universale; le illustrazioni diventano un museo portatile.

Nozione di “museo
immaginario” proposta da Malraux, le opere acquisiscono un dono di ubiquità, immagini su
cd-rom, ciccabili e visibili in ogni momento (come i cd per la musica).
La riproducibilità
delle opere porta alle conseguenza descritte da Benjamin sulla perdita dell’aura (fluido
sottile che si ritiene emani da un corpo), è ciò che appartiene propriamente ad una storia
sedimentatasi nel tempo, è l’apparizione unica di una lontananza.

Per Malraux la storia


dell’arte degli ultimi cent’anni era diventa la storia fatta dagli specialisti che potevano
scegliere e fotografare quello che volevano (la storia di quanto è fotografabile), tutto muta
le proprie dimensioni: l’arazzo diventa tascabile e la miniatura enorme; se ne falsa la
scala.

Per Jean Bazaine è la confusione tra immagine e quadro; tante buone intenzioni
minacciano la pittura nella sua stessa essenza.

Duchamp sfrutta la fotografia e le


potenzialità del museo immaginario, riproducendo le immagini per le riviste (Gioconda
con pizzetto e baffi). I ready-made originali sono andati perduti.

Ives Klein gioca con l’idea


di museo immaginario; egli senza aver mai esposto fa un museo immaginario per saggiare
le reazioni del pubblico.
I minimaliste gli happening danno vita a esperienze
intrasportabili, i concettuali sostituiscono l’oggetto artistico con il documento. Diventa
impossibile esporre in un museo l’opera in sé. Foto di Lawler giocano sull’incontro tra
diversi livelli di realtà: foto che facevano vedere la stessa mostra che era a pochi metri di
distanza, riconoscendo le stesse opere, “il museo è sempre parte di una finzione”.
Capitolo secondo
Dalla casualità al fallimento
Ricerca di modelli alternativi, bisogno di costruire una nuova storia dell’arte allargata, grido
contro l’Accademia. Importanza del caso, del fallimento, aprono nuove possbilità.

A- La casualità: Casualità nel processo creativo indica la perdita del controllo nel proprio
mestiere; nasce con l’inizio del XX sec. con i dada che ne celebrano le virtù. Nel ’16 Arp
strappa un disegno e sparge i brandelli sul pavimento rincollandoli su un nuovo supporto,
nell’ordine voluto dal caso.
L’abbandonarsi all’inconscio è il creare la vita allo stato puro.
Anche Duchamp ne è interprete con “erratum musicale” (1913): tre persone cantano
contemporaneamente su note estratte caso da un cappello, John Cage.

La nozione di
gioco entra in relazione con quella di caso. Anche i surrealisti sono cultori della “casualità
oggettiva”, fanno il “cadavere exquis”: un foglio piegato su cui ciascuno scrive qualcosa
senza vedere il resto dei contenuti, la prima frase scaturita ne diede il nome “le cadavere
exquis boira le vin nouveu”.
Breton assegna un posto decisivo all’automatismo psichico
nell’ambito del surrealismo, non si identifica con la casualità, ma concorre con la casualità
a modificare l’atteggiamento nei confronti della padronanza operativa dell’artista.
Anche
Dalì che dipingeva “accademicamente” dava grande importanza al caso.

Usa un metodo
“paranoico-critico” fondato sull’associazione sistematica propria dei fenomeni deliranti.
La casualità bandisce ogni razionalismo, è legata al gioco e alla fortuna.

Per Dubuffet è
inadeguato parlare di caso, dato che l’uomo dà questa definizione a tutto ciò che non
conosce, si può parlare piuttosto di velleità e aspirazioni di un determinato materiale che fa
resistenza. (dripping controllato da Pollock).

Per Tzara l’artista mantiene un ruolo


fondamentale nel mettere in moto le forze del caso e accoglierne o meno le risultanze,
assumendone la responsabilità e firmando col proprio nome.

B- L’effimero: gli artisti hanno sempre desiderato che le loro opere sfidassero il tempo.
Hanno lavorato su materiali e supporti preparati con cura.
Le maggior parte delle cose è
andato perduto. Si distingue tra desiderio di eternità e culto della conservazione. Alois
Riegl e la nozione di patrimonio artistico.

Le opere in un museo sono rispettate da tutti,


tutti sperano nel mantenimento del proprio manufatto. Marinetti trova ridicola la passione
per le cose eterne, egli vuole la transitorietà e l’effimero delle cose. Il dadaismo arriva alle
stesse cose in modo antitetico: “dada è contro il futuro, abolizione della memoria e
dell’archeologia, dei profeti e del futuro”.

Marcel Janco e le performance, Picabia e Breton


che lavano un quadro nero coperto da scritte; Man Ray.
L’effimero diventa arma contro il
museo; diventano happening e performance, manifestazioni pubbliche si esauriscono nel
momento stesso in cui si svolgono, il loro ricordo è legato a documentazioni fotografiche.
Dubuffet si definisce “presentista, effimerista”; egli è contro i musei e i quadri ammuffiti,
egli è per “i quadri lindi” di 10, 20, 30 anni.

Nel dopoguerra si lavora con materiali organici che deperiscono dopo breve tempo. Dieter
Roth si rallegrava della scomparsa delle sue opere. Beyus modella burro, cera d’api con
oggetti fragili o panno modellabile: l’insieme si modificava ininterrottamente, quando
l’opera è finita la assicura per due milioni di franchi, in un preciso momento l’opera è
diventata eterna (quindi la sua è una visione tradizionale).

Morellet rifà un dipinto su una


superficie curvata.

Carl Andre fa una “copia viaggiate” per la quale conviene comprare il


materiale sul posto piuttosto che trasportarla in giro.

Per Arp il processo dell’effimero e


della dissoluzione cominciano nel momento stesso in cui l’opera è compiuta, il processo di
dssoluzione nega qualsiasi esito, la forma diventa informe e il finito infinito.

C- Il kitsch: non è una cultura alternativa o una controcultura, ma una negazione di


determinate esigenze culturali, a vantaggio dei gusti grossolani e immediati della
maggioranza delle persone: è arte della felicità e espressione del cattivo gusto, stupido
conformismo.

E’ un modello tanto volgare e attraente quanto di facile consumo (nasce ne


XIX sec. Broch, studioso, è un male radicale, distruttivo del sistema dei valori. Esso non
mira al lavoro ben fatto ma alla bella fattura; utilizza mezzi sperimentati che volgono le
spalle all’inventività e alla creatività; è arte commerciale destinata alle masse; trae la
propria linfa da una riserva dei esperienze accumulate.

Broch: in nessuna arte si può


operare senza una goccia di effetto, senza una goccia di kitsch. Nella pop art compare il
camp (forma di kitsch), un qualcosa di gusto talmente cattivo da risultare divertente. Jeff
Koons, esponente del kitsch, fa un’enorme struttura a forma di cane accucciato (Puppy,
1992) ricoperto da piante fiorite.

Martin Honert ricostruisce tridimensionalmente degli


sketch infantili.
Sylvie Fleury che riveste navette spaziali in pelle sintetica (tono
sarcastico); come Wimm Delvoye maestro del sarcasmo. Facendo kitsch l’arte asseconda
il disordine che regna nel gusto dell’amatore.

D- Fallimento: per Alberto Giacometti l’apice della gloria era la propria incapacità
nell’eseguire una scultura, “provo e falisco senza fine, se ci riuscissi, smetterei”.

Fallimenti
testimonianza di una tensione nata con il romanticismo.

Come nel “Capolavoro


sconosciuto” di Balzac, Frenhofer prende atto del suo fallimento nell’incontro con Porbus e
Poussin.

Samuel Backett scrive del suo fallimento e della difficoltà della sua impresa. I
fallimenti di Manet rifiutato al Salon e lo scandalo del Salon des Refusés, artisti che
capiscono che bisogna diffidare dagli insuccessi che diventano fondamentali per i grandi
successi.

Picabia, “artista multiforme”, afferma di essere un imbecille “l’unica cosa che


prendo sul serio è il non prendermi sul serio”; è sempre pronto a far festa.

Gerard
Gariowski dipinge le Croutes, la loro grossolanità ne fanno delle vere croste.

Allan
Kaprow accredita all’happening tutto quanto è effimero, cangiante,, naturale, compresa
l’accettazione del fallimento.

Joachim Mogarra fotografa oggetti insignificanti, omaggi


satirici a opere o personaggi.

Michel Blazy utilizza il materiale meno adatto per costruire


un parallelepipedo senza colla, fatto di carta argentata che rischia di afflosciarsi. E’
l’esperienza del fiasco: inadeguatezza dei mezzi in vista di fini falsamente assegnati.

Jacques Lizène prende posizione nell’arte senza talento, accompagna le sue opere con
dei deprezzamenti piuttosto che apprezzamenti, nel ’70 crea l’istituto d’arte stupida, a lui si
aggiungono altri membri. Egli ha il desiderio di diventare il proprio tubetto di colore, infatti
non esita a dipingere con i propri escrementi.
Parte quarta
Dalle belle arti alle arti plastiche

“Lo sputo d’artista è arte” (Schwitters, 1925): ciò autorizza l’artista a presentare tutto ciò
che vuole sotto il nome di arte. (metafora dello scaracchio appartiene agi impressionisti).
Per Schwitters poco importa il parere del pubblico che finirà per adattarsi. La natura
dell’arte si fa incerta, ambigua, non si sa più che cosa sia.
Ad Petersen rivela la grande
varietà dei mezzi ai quali gli artisti ricorrono da quando hanno violato lo statuto delle belle
arti. Si amplia sempre più la gamma di materiali e metodi

Capitolo primo
Artisti senza atelier
Gli artisti sono sempre stati rappresentati nel loro atelier, o sul posto in cui lavoravano;
nuova concezione da fine ‘700 che stacca le opere (affreschi) dal muro per portarle nei
musei; interi monumenti demoliti per essere disposti in spazi ad hoc. Brancusi crea oggetti
trasportabili; Buren rivendica l’assenza di un atelier.
A- Lontano dai musei: legami evidenti tra minimalist e land artist: entrambi inventano
dai ’60 un’arte che non dipende dal disegno o da pitture, architettura, non si può nemmeno
parlare di sculture.
Mostra con Andre, Morris, Le Witt, De Maria, Heizer (dissipate, 5 tagli
sul fondo di un lago asciutto; una graduale dissipazione dell’opera agli attacchi climatici),
Oppenheim, Smithson; “earthworks” (NY, 1968).

Sono opere intrasportabili, realizzate in


un luogo preciso che l’opera trasforma come parte di sé.

La forma della scultura non può


essere separata dal terreno che occupa. I procedimenti cambiano tra gli artisti.
E’ indispensabile esporre queste opere nei musei, causa il grande costo realizzativi. Nasce la
“land art”. Oppenheim può solo fotografare il suo tornado nel cielo fatto da un aereo a
reazione (1973).
Vengono studiate le inquadrature per restituire il senso dello spazio;
oppure fanno le opere dei lavori in corso, presentando i macchinari con cui sono state
svolte; l’istante esatto del momento (De Maria; the lightning field).

Foto che circolano su


riviste, o montaggi didattici per far conoscere l’opera. Spiral Jetty di Robert Smithson,
visibile solo con la bassa marea, o dal cielo, difficile da vedere in loco; ne fa un film di lui
che corre lungo la spirale.
Per De Maria l’essenza della land art è l’isolamento. Smithson
fa dei site e nonsites, materiali prelevati dal luogo dell’opera esposti.
B- L’arte, la natura: siti migliori per Smithson sono quelli sconvolti dall’industria, divenne
land art per fini sociali, recupero di spazi degradati. Alcuni contrari a questo aspetto
sociale, cresce il tema della sopravvivenza; oppure sculture lavorate direttamente dentro
la natura;
Goldsworthy ammassano fiori, foglie in composizioni create sul posto. Giuseppe
Penone dà forma alla natura modellando patate in calchi di bronzo.
Richard Long fa delle
camminate nel quale struttura le sue impronte; oppure fa rettangoli e cerchi di pietra.

C- Installazioni “in situ”: estrema cura da sempre nell’installazione delle opere; la


cornice serve a isolare il quadro. Interazione tra luogo e opere che diventano
intrasportabili.

Daniel Buren trasforma la biografia personale in “Buren vive e lavora in


situ”che pone l’accento sia sul rapporto tra opera e sito, sia del suo inserimento. “In situ”
diventa il modo, come avviene per i reperti archeologici, per comprendere l’opera. I suoi
lavori rovesciano la tradizionale autonomia dell’opera;
egli lavora raramente sulla natura e
spesso in paesaggi urbani; espone spesso nei musei.

Tony Cragg esibisce la propria


precarietà strutturale, reversibile.
Se il ready-made induceva a fare attenzione all’integrità
fisica dell’oggetto.
Le installazioni separano l’opera dalle sue componenti materiali,
comporta una messa in scena degli elementi che la costituiscono. Le opere di Carl Andre
non sono concepite per una sede specifica, ma devono essere installate in funzione del
luogo.

Mostra a Berna del ’69. Beyus modella nell’angolo di una stanza un cumulo di
grasso facendo scandalo, nel ’69. Heizer sventra una parte di marciapiede di fronte
all’esposizione grazie a un’impresa di demolizioni. Buren venne arrestato la notte per
un’affissione selvaggia nel centro urbano. Serra riattualizza un’opera dell’anno prima, una
saldatura in piombo che congiunge muro e pavimento.

D- Opere senza forma fissa: mostra “art in process”, 1966 NY, la process art,
movimento polimorfo che non si incarna in una forma definita e durevole.

Morris interviene
ogni giorno su porzioni di terra, bidoni, lampadine; egli scrive di “anti form” (1968) nel
quale attacca i principi della tradizione occidentale: la preservazione della forma è una
sorta di idealismo funzionale.
Nell’opera in cui forma e pensiero sono indissolubili, la forma
è l’unica cosa che ne garantisca la possibilità di esistere. Dall’action painting, si passa ai
work in progress di Schwitters, Morris si batte per l’antiforma, gli happening e le
performance.
E- L’invisibile è reale: le belle arti sono le opere dello sguardo, “l’arte è qualcosa che si
guarda” per Judd.

Per Hegel la forma creata dall’artista non trova la propria finalità in se


stessa, in quanto provvede alla soddisfazione di interessi superiori.

Lo stesso per
Kandinskij, la delimitazione esteriore è utile quando si fa risaltare il contenuto interiore
della forma.
Logica simbolista che chiede di incarnare all’opera un fondo di invisibilità che
la trascende. La creazione dell’artista deve essere a un livello immateriale, quello
dell’intelletto.

Per Klein il segreto del quadro è l’indefinibile; egli propone una


materializzazione dei propri quadri monocromi blu. Poi organizza una mostra in cui i quadri
sono pagabili in oro che per metà tiene e metà nasconde in un luogo sconosciuto,
restituendolo alla natura. Artisti tentati dall’invisibile: Claes Oldenburg scava un buco che
riempie in Central Park.

Warhol crea la scultura invisibile in un locale, nell’85.

Walter De
Maria fa un monumento immaginato nel ’70 a Monaco, un pozzo sotto un disco di bronzo
profondo 120 metri, invisibile, sulla collina fatta dai detriti della guerra.
Oppure un’opera
irrealizzata, un buco di un km di profondità con un barra di ottone che affiora di qualche
millimetro dalla terra: invisibilità del nucleo, grandi mezzi utilizzati.

Jochen Gerz disselcia di


nascosto una piazza, sul retro di ogni pietra incide i nomi dei cimiteri ebraici, e ripone al
proprio posto. La piazza diventa Monumento invisibile.

Brancusi fa una scultura per cieco


(1916).

Ruttmann fa nel ’30 un film composto da soli fotogrammi neri.

Robert Barry lavora


sulle radiazioni elettromagnetiche emesse da un frammento di bario.

Anche Claudio
Parmiggiani si chiede se fosse indispensabile offrire l’arte ala vista, fa “terra”, una scultura
sepolta, nell’89: rifiuta il suo destino pubblico,accettando solo quello spirituale.
Capitolo secondo
L’arte e le parole

Rapporto privilegiato delle “belle arti” con i testi scritti.

Per Poussin l’arte appartiene alle


cose mute, anche per Matisse per fare pittura bisogna tapparsi la bocca. I testi proliferano
nel XX sec.

A- Territori più verbali: L’esigenza di spiegare delle opere moderne, accresce


l’importanza della mediazione.

Per Rosemberg si sacrifica il concreto per la parola che


diventa elemento vitale e stimolante. Opera come centauro, fatto per metà di materiali
artistici e metà di parole. L’arte moderna ha sconvolto le abitudini,

Klee scriveva sul


quadro, il titolo, per Magritte le parole sono fondamentali e diventano un confronto con
l’immagine (ceci n’est pas une pipe).

Duchamp parla di “retinico”, egli si batte perché


l’arte sia almeno in parte concettuale, concezione che si riallaccia alla tradizione.

B- Vedere e leggere: i testi assumono importanza nei ready-made quando non solo
spiegano, ma introducono un fattore di turbamento e sconcerto, fino agli anni’60 in cui la
parola diventa l’unica componente dell’opera.
Poi diventa humor,derisione e parodia,
come linguaggio del “witz”, Erik Dietman risponde con del pane vero a quello dipinto di
Man Ray. Polke occupa solo un angolo di una tela del colore nero, come fosse una
volontà superiore che glielo ha imposto.

Morellet utilizza tubi al neon a intermittenza. Ben


Vautier diventa specialista di provocazioni grafiche.

Poi Roy Lichtenstein con i suoi fumetti.


Il testo può assumere una forma discreta, o una veste spettacolare come il Bruce
Nauman, con l’uso del neon. La presenza-assenza di un contenuto rimane oggetto di
controversia dl XIX secolo.

Poi la serie dei “secret paintings” (67-68) di Mel Ramsden,


riecheggia gli ultimate paintings di Reinhardt. John Baldessarri fa scrivere da un pittore
degli enunciati su tele bianche “pura bellezza”. Marcel Broodthaers non vuole un’arte
depurata da ogni idea; correda i suoi oggetti con un completamento scritto.

Jenny Holzer
si interroga sulla natura del proprio lavoro, i suoi “truismi” sollecitano la riflessione dei
passanti, enunciati stampati su manifestini o su t-shirts; vicino agli artisti di strada e alla
street art.

C- Fiction e reportage: Broodthaers rivendicava l’insincerità dell’artista, come valore


antitetico a alla visione comunemente accettata. La sincerità è sempre stato valore che
premia.
Nella fiction la sincerità non è richiesta.

Corillon crea un luogo e personaggio


fittizio. Altre fiction utilizzano la tecnica del reportage, Sophie Calle gioca sull’effetto della
realtà per riprodurre situazioni costruite (les dormeurs, 1979, invita sconosciuti a dormire
nel proprio letto e li fotografa mentre dormono e ne registra i rumori; poi prende contatto
con gli amici di quelle persone e li interroga per ricostruire le vite dei personaggi; poi
chiede a otto ciechi dalla nascita in Les aveugles (1986) di descrivere l’immagine che si
sono fatti della bellezza).

Hans Hacke presenta dei reportage fondati sulla veridicità dei


fatti esposti, diffondendo documenti che provino questa veridicità.

On Kawara: date
paintings; ogni giorno dipinge la data del giorno, nel caso non sia ultimato viene distrutto;
e Roman Opalka: scrive i numeri da uno all’infinito. Entrambi rimettono in discussione le
frontiere delle belle arti, non rappresentano il mondo, ma promuovono la scrittura.

D- Le parole al lavoro: riflessione sulla natura dell’arte scinde ogni connessione tra
significato e interesse dell’opera e la persona privata del suo creatore.
Progetto “art by
telephone” (idea di Moholy-Nagy) ripresa da 40 artisti.

Le Witt stabilisce il primato


dell’idea, del concetto; idea della macchina esecutrice dell’opera; arte concettuale significa
rendere l’opera mentalmente interessante. Importanza degli assistenti (organizzatori delle
mostre) di Le Witt che realizzano le sue opere seguendo le sue istruzioni. Anche Weiner
formalizza l’equivalenza tra le parole e gli oggetti, gli “statements” del ’68, che richiamano
le azioni dell’opera, ne fa delle istruzioni:

1- l’artista può costruire il pezzo;


2- il pezzo può esser fabbricato da altri;
3- il pezzo non ha bisogno di esser realizzato; queste possibilità

hanno tutte il medesimo valore, la scelta deve esser fatta dall’acquirente. Si fanno mostre
in cui esiste solo il catalogo; conferenza sull’arte senza spazio.
Per ”Prospect ‘69” Barry
manda una sola lettera sulla validità del pezzo da mostrare che diventa la stessa lettera.
Poi c’è l’importanza dl libro che diventa “libro-oggetto” che Broodthaers illustra.
Gli artisti
concettuali si oppongono all’oggetti, ma i loro stessi lavori diventano oggetti di mercato.

Kosuth scinde l’arte dall’esistenza fisica degli oggetti (fa una lastra qualsiasi appoggiata ad
un muro qualsiasi. Il linguaggio diviene materiale legittimo a condizione che non abbia
rapporto con la poesia; obiettivo è il valore dell’arte in sé “l’arte è un sistema di relazioni
irriducibile al solo piacere visivo, l’arte esiste solo per se stessa”.
Si rifà a Reinhardt “art as
art” e “art as idea as idea”. L’arte concettuale è indirizzata ai soli artisti per essere “seria”,
come scienza e filosofia che non hanno più pubblico. Rauschenberg quando usa una certa
parola vuole solo significare quella determinata parola. L’arte può essere interessante e
divertente.
Baldessarri “non farò più arte noiosa” (tipico dei bambini). Le arti plastiche sono
divenute leggibili nel senso che la parola vi partecipa di diritto.

Capitolo terzo

Altre immagini
Nascita e sviluppo dell’arte astratta, legate all’avanguardia, ha contribuito alla creazione di
una storia dell’arte in cui ogni innovazione era vista come una conquista definitiva, nella
lunga marcia del progresso.
A- L’arruolamento della televisione: Tv nel mondo dell’arte come aspirazione a
un’opera d’arte totale e all’innovazione delle tecniche.
Per Prampolini e i futuristi il
dinamismo plastico della vita si realizza nel teatro, un “teatro totale” per Marinetti, in cui
gli spettatori possono circolare entro scenari.

Fontana ritiene necessario un superamento


della pittura e scultura, sogna la città con materiali nuovi, tra cui la tv. La tv è inserita
all’interno di allestimenti, già nei ’50 Vostell impiega il mezzo televisivo, con la nozione di
”de-coll/age”, una giustapposizione, (prima nel ’58), parte dal paradosso che un aereo
cade decollando.

Nam June Paik (membro di Fluxus) nel ’69 la tv fa il suo ingresso


trionfale sulla scena artistica. Egli fa anche “videosculture”: piramidi di tv che dissemina
tra le piante del giardino.

Poi fa un sistema chiuso “Buddha’s catacombs, posto su un


rialzo di fronte a una tv su cui c’è l’immagine di lui stesso (paradosso dell’immagine tv
fissa). Fabbrica egli stesso le immagini da far scorrere sullo schermo; lavora con la propria
videocamera portatile.

B- Un nuovo strumento: la videocamera: innesto di un video che viene assemblato,


utilizzato per happening e performance.

Il video prolifera in qualsiasi sala espositiva.


Kobota dispone tv in file nel quale c’è una donna che scende le scale. Gary Hill fa uscire i
tubi catodici dalle sue scatole di proiezione, l’impianto è messo a nudo. Il video esce dal
suo uso domestico con gli happening e gli “event fluxus”, con dispositivi di video
sorveglianza che facevano partecipare il pubblico all’expò.

Opere di Nauman in cui la


persona volge le spalle alla telecamera e vede se stesso nella ripresa allontanarsi.

Dan
Graham, nel ’74 fa opera a fini ludici, il visitatore si vede in tempo reale in uno specchio,
poi c’è una telecamera, ma l’immagine compare leggermente in differita, uno scarto di 8
secondi che provoca atteggiamenti ludici, l’opera è più complessa perché viene registrata
anche l’immagine del monitor nello specchio.

C- Mostrare, raccontare: cinema sperimentale che si inserisce nelle arti plastiche,


piuttosto che nei circuiti riservati al cinema. Alcuni lavorano sulla colonna sonora, altri
direttamente sulla pellicola vergine, graffiandola e bruciandola.

Dick Higgins individua


l’Intermedia art, modo nuovo di porre l’accento sul rapporto coi media; la polverizzazione
delle frontiere estetiche.

Warhol incontra il cinema, nel ’63, i suoi film mostrano azioni


elementari, o una durata priva di eventi; anche se non rifiuta mai il cinema hollywoodiano
commerciale.

Boltanski realizza un cortometraggio che vuole legare arte e vita, ma


estremamente violento, tanto che viene censurato e trovò rifugio nei musei.

Joel
Bartolomeo si riferisce al cinema in chiave parodia, incanta il pubblico con scene di vita
quotidiana familiare, scene che chiunque avrebbe potuto filmare.

Pierrick Sorin mette in


scena se stesso in azioni burlesche e frustranti: rovescia una tazza, gioca a pallone,
defeca, inventa passatempi.

Patrick Corillon racconta le storie di Oskar Serti, personaggio


immaginario;

Eric Duyckaerts registra conferenze che sono la parodia di discorsi


scientifici. La comparsa del videoproiettore dà la possibilità di una monumentalizzazione
delle immagini. Bill Viola giustappone grandi proiezioni simultanee.

Tony Oursler proietta


sul volto di bambole che si animano.

Pipilotti Rist ricostruisce un bar con immagini


inquietanti. Keun Byung Yook fa un occhio che fissa l’osservatore. Antoni Abad fa un
cuore divorato da topi, o sul soffitto un funambolo. Nuove tecnologie porta alla fondazione
nel ’66 dell’ Experiment in Art and in Technology, di Rauschenberg, Withman e Kluver.
Nuove tecniche avanzate che utilizzano internet e il computer. Si fanno installazioni
interattive.

Bus (1984), passeggeri di fronte a schermi che sono le finestre del bus, si può
schiacciare il pulsante e visitare il posto in cui ci si trova,di Boisser. Ikam fa “l’autre”
(1992) incontro con un’immagine virtuale tridimensionale. Graumann mostra un pittore in
uno schermo che cerca l’ispirazione, a un certo punto lascia la stanza e viene stampata la
tela, sempre diversa, con migliaia di soluzioni.

In Black box (’98) si può interagire e


parlare d’arte con un computer, l’arte è considerata come solo mezzo di comunicazione;
senza l’informazione l’opera è solo un oggetto tra i tanti, essa è gioco di comunicazione.
L’immagine contemporanea gira in rete ed ha un potere generativo.
Con il multimediale il
museo del XXI sec. diventa un parco divertimenti.

D- Fotografia come arte plastica: fotografia si è imposta lentamente nel mondo dell’arte,
anni ’60-’70, come documento per opere o eventi che non potevano essere esposti
direttamente, come le “azioni effimere” o gli interventi sulla natura.

Acconci fa primi piani


delle sue morsicature, 1970, che diventano impressionanti grazie alla fotografia.

Rousse
delinea i suoi calchi in funzione della ripresa fotografica. Negli anni ’80 la fotografia entra
direttamente nelle gallerie con immagini considerate opere d’arte e non solo più
documenti. Quindi si apre una dicotomia tra coloro che documentano le opere con la
fotografia (fotografia creativa) e i “fotografi puri”.

Rapporti complessi con la pittura,


provocò un terremoto nel XIX sec. A favore della pittura c’era il non mostrare tutto e il
potere dell’immaginazione che non si accontenta di copiare la natura (per Delacroix).
La
fotografia per Delaroche non condannava la pittura, ma ne liberava dai suoi compiti
esecutivi, stessa cosa viene propugnata dai fautori dell’astrazione. Il pittorialismo sfrutta la
fotografia, Delacroix la utilizza come modello; Degas si ispira alle proprie sedute
fotografiche; Malevic ne pubblica parecchie. Richter trasferisce nella sua pittura il “flou
fotografico”.

Warhol ricicla le foto dei rotocalchi e i ritratti di personalità note, con la


serigrafia.

L’artista per Delacroix diventa la macchina di un’altra macchina. Diventa “iperrealismo”


negli anni ’70, un “duplicato che nega l’entropia”. Bacon sfrutta la fotografia: non
si hanno più gli stessi motivi di una volta per dipingere; il pavimento del suo atelier era
coperto da riproduzione di malati di bocca; utilizza foto come promemoria, quando si
dipinge non si ha voglia di vedere gente, né modelli.

Fotomontaggi, fotografia
surrealista, fotogrammi, si distinguono dalle istantanee del fotogiornalismo. Non più
arte sacro, ma arte plastica.

Rucha, nel ’62, 26 gasoline stations, oggetti in serie o


tecnica del libro stampato, “è solo una “raccolta di fatti”; documenti fotografici che non si
differenziano dalle comuni foto. Becher presentano grandi serbatoi industriali come
sculture; rinuncia agli effetti fotografici: “il mezzo non conta, è l’idea che costituisce
l’essenziale”. (XIX sec.).

Un secolo dopo Boltanski dice quasi la stessa cosa: i pittori


hanno sempre avuto le stesse cose da dire, desiderio di catturare la realtà e la esprimono
in modi diversi; video e foto sono solo due altri trucchi per fare ciò.

Wall e Bustamante (fa


paesaggi che illustrano la composizione dei materiali nei paesaggi, come un pittore, vuole
far riconoscere la propria tecnica e far dire “è un Bustamante”) negano la differenza foto
e pittura.

E- Un’arte postmoderna: Fotografia ha a che fare con l’installazione: disposte in serie,


con scritte, etc. La foto avviene per contatto del flusso di fotoni.

Non c’è alcun bisogno di


sottolineare la veridicità del “veduto”. Si fa leva sul carattere “documentario” della foto:
come Sophie Calle; Boltanski nelle pseudo fotografie; o Cindy Sherman nei film stills.
Ritorno alla fiction e alle narrazioni: Bertrand Lavier, fa la foto di un paesaggio e ne fa
dipingere metà da un pittore.

Eric Rondepierre attinge dalle immagini del cinema che fissa;


oppure proietta i fotogrammi su una tela che poi l’artista dipinge con colori acrilici, quando
viene finito, il quadro è ancora fotografato e poi distrutto.
F- Il postmoderno, generalizzato: Il postmoderno, dagli anni ’80 indica una profonda
mutazione; esso trascende le arti plastiche, impiegato in architettura per designare
pratiche eclettiche.

Esso sancisce la fine dell’Avanguardia, rottura col moderno;


raggruppa pratiche estetiche dissimili: Koons riabilita il kitsch; David Salle mescola sulla
tela immagini disparate; John Armleder attinge a tutti gli stili possibili.

Il postmodern
prende come bersaglio il valore dell’originalità, l’innovazione creativa; è il
“Simulazionismo”: pratica del “remake”. Mike Bidlo dipinge copie con registro burlesco.
Sherrie Levine fa opere all’insegna dell’after (in inglese sia “dopo” che “da”), orinatoio in
bronzo dorato “after Marcel Duchamp), o copia dipinti moderni; “il mondo ha apposto il suo
marchio di ogni pietra, ogni immagine è affittata o ipotecata, possiamo soltanto
immaginare un gesto che è sempre anteriore, mai originale”.

Linda Nochlin critica la storia


dell’arte che è stata occidentale e maschile, le donne sono sempre state emarginate, con il
postmoderno le cose cambiano.

Per Judd “ognuno fa ciò che gli piace, l’arte diventerà un


atto sporadico di un individuo isolato.

Cattiva reputazione dell’arte postmoderna, rifiuto di


ambizione estetiche e di finalità seria, esaltazione dell’indifferenza e di un piacere
immediato.

Argan è infastidito dal vedere il postmoderno “all’unisono col proprio tempo”,


come il moderno che era però solidale con una cultura di progresso, mentre il
postmoderno è solidale con una cultura di riflusso.

Shneemann organizza “Interior scroll”


(1975), performance in cui l’artista estrae da una vagina una striscia di carta stampata di
cui leggeva un testo.

Adrian Piper nel ’91 fa una colonna con quattro tv su cui c’è un uomo
di colore che contravviene ai clichè più abituali “non sono pigro”, “non sono in calore”.
Allais si mette in scena con un vestito di carne. Koons si mette in scena con Cicciolina.

Hal
Foster distingue due posizioni antitetiche del postmodern: 1- si oppone al moderno,
ridotto al suo aspetto peggior, formalista (per Ottinger, può esser rappresentato dalla
transavanguardia italiana di Sandro Chia); 2- critica alla rappresentazione
(poststrutturalista, Hans Haacke).
Parte quinta
L’artista e il suo pubblico

Con le arti plastiche si trasformano le forme proposte e il gusto del pubblico, con nuovi
mezzi espressivi, il pubblico ha duttilità di giudizio. Per Duchamp non esiste più solo l’atto
creativo dell’artista, ma un contatto con il mondo esterno che fa parte del processo
creativo. L’artista è un giorno legittimato dall’intervento dello spettatore. Il polo di chi
guarda ha la stessa importanza di chi fa.

Capitolo primo
Guardare, agire

Klee opponeva la forma che è “fine, morte”, alla formazione che in grado di rivelare la
vita; identità dell’opera e del processo di elaborazione; lo spettatore esplora la superficie
del quadro come un animale pascola nella prateria; entra in sintonia con il processo
creativo. Rivelazione degli artisti del loro metodo di produzione (Pollock e il dripping), il
pubblico è invitato ad assistere alla creazione.

A- Lo spettacolo dell’arte: artisti salgono sul palco per incontrare direttamente il pubblico.
Dadaisti e futuristi organizzano delle manifestazioni. Improvvisazioni di carattere teatrale,
effimere.
Mathieu dipinge grandi quadri in presenza di amici, organizza un evento davanti
a 2000 persone; completare un quadro da 4X12 in 30 minuti, mentre lo racconta come un
telecronista.
James Mcneill chiede cento ghinee per aver gettato del colore in testa al
pubblico. Improvvisazioni dell’arte giapponese, Mathieu va e lavora in pubblico (1957),
abbigliato con il kimono.

Murakami fa “sei buchi in un istante”, è “l’azione fugace”.

Shiraga fa “lottare nel fango”, si misura con il fango e lo manipola; fa anche le “pitture
con i piedi, che suscitano scandalo nella loro regressione.
Klein in Giappone sperimenta il
“pennello vivente”, un modello nudo striscia su un foglio di carta sul pavimento,
diventeranno “antropometrie”; Klein in smoking tiene le distanze rispetto alla pittura, si
estranea dall’action painting, dato che lui non fa alcun lavoro manuale durante la
creazione, egli dà solo gli ordini.

I “nouveau realistes” moltiplicano le “azionispettacolo”;


Tinguely fa una scultura monumentale che si autodistrugge (homage to NY).
Arman fa “collera” (registra per una rete televisiva), distrugge un tavolo e una sedia nel
’61 e poi li fissa su un asse di legno alla maniera dei “tableau-piege” di Spoerri.
Spettacolarizzazione dell’atto creativo che reclama una partecipazione del pubblico.

Gruppo BMPT (Buren, Mosset, Parmentier, Toroni) lavorano in presenza del pubblico, nel
’67, mentre un altoparlante dice che gli artisti consigliano di diventare intelligenti.

B- Si prega di toccare: lo spettatore, oltre che vedere la creazione nel suo farsi, vuole
toccare l’opera che però si deturpa a lungo andare, diventa “vietato toccare”.
Il gruppo
Gutai propone percorsi da vivere con tutto il corpo, opere da attraversare, da calpestare.
Spoerri fa due sale, una immersa nel buio con diverse superfici tesaurizzate, con calore,
suoni e odori; la seconda espone opere fin de siecle, ma tutto è ruotato di 90 gradi, si
cammina sulle pareti.

GRAV organizza (’63 , Biennale di Paris) manifestazioni che


vogliono far uscire lo spettatore dalla sua apatica dipendenza che gli fa accettare in modo
passivo; essi vogliono coinvolgere lo spettatore, rilassarlo, farlo partecipare, porlo al centro
di una situazione che può trasformare, che interagisca con gli altri spettatori; lo spettatore
cosciente del suo potere d’azione potrà compiere da sé la vera rivoluzione dell’arte.
“vietato non partecipare, non toccare, non rompere”.

Soto nei “penetrables” (1968)


organizza una formula per creare complicità con il pubblico; la loro efficacia è
inversamente proporzionale alla loro semplicità (pioggia di fili nel quale lo spettatore
entra).

Nei penetrables gli spettatori diventano una delle componenti, “l’opera è davvero
completa solo quando la persona ne fa realmente parte”. Warhol lavora su quadri di “pittori
della domenica” che integra con colori.

Kaprow espone nel ’51 insiemi di materiali nel


quale il visitatore aveva l’obbligo di passare; egli dà responsabilità al visitatore che svolge
un ruolo all’interno dello spazio.

Collage_assemblage_environment: può essere


composto da qualsiasi tipo di materiale, il visitatore è immerso nell’arte, si distingue dalle
installazione a cui non è possibile l’accesso. Kienholz trasforma il visitatore in voyeur, una
camera da letto con una coppia riflessa nello specchio, con teste che escono dalle
lenzuola come mostruose caricature; i suoi environments sono indipendenti dal luogo in
cui sono posti.
Haacke fa Germania (1993) con documento storico di Hitler e desolazione
completa in una stanza.

C- Più vicino al pubblico: nel ’58 l’action painting di Pollock si è accademizzato.


Fa enormi tele tendenti all’environment, si trasforma il confronto con le sue opere con un
inglobamento.
Kaprow critica ciò e pone due soluzioni: giocare sulla sua estetica variando,
o smettere di dipingere, egli inventa L’happening, eventi che non vengono più riprodotti,
che incarnano valori antitetici a quelli delle belle arti, promuovono l’effimero, il mutevole, il
sorprendente, riavvicina l’arte alla vita.
Kaprow vuole creare un’arte totale, estendendo
pittura e collage, finisce con il rifiutarli.

Collage_assemblage_environment_
Happening che è un environment esaltato dalla partecipazione degli spettatori. Egli lo
distingue dal teatro, partecipa al processo di trasformazione da “belle arti” ad arti plastiche.

Happening si diffondono negli USA con Kaprow, Jin Dine, Oldenburg, Whitman, Red
Grooms; in Francia con Lebel; poi in tutta Europa e oltre, negli anni ’60. Cage nei suoi
“pieces” da delle istruzioni alle sequenze temporali. Rauschenberg proietta diapositive.

Cunningham e ballerini percorrevano le gallerie. Ciascuno era libero di fissare l’attenzione


su diversi aspetti, tra eventi, a partire dal materiale della vita. Happening si svolgevano
entro spazi culturali, il pubblico, precedentemente informato, era accuratamente
selezionato.
Restany e Guido Le Noci organizzano il decimo anniversario dei nouveau
realistes, Christo impacchetta il monumento a Vittorio Emanuele, costretto a cambiar
statua da ex-combattenti. Saint-Phalle spara con una carabina su vasetti di colore.

Tinguely espone davanti al Duomo un fallo dorato che si autodistrugge con un fuoco
d’artificio.

D- Spettatori partecipanti: happening da un lato sono aggressivi, dall’altro mantengono


le distanze, chi assiste è raramente chiamato a intervenire.
Piero Manzoni nel ’60, ognuno
è chiamato a collaborare alla consumazione delle opere, egli preme la sua impronta su
una serie di uova che dà in pasto al pubblico.

Anche Spoerri trasforma ogni sera la galleria


in ristorante, con la proposta di diversi menu, lui era ai fornelli, mentre critici d’arte
servivano ai tavoli (avvicina l’opera al pubblico); utensili e ingredienti messi in bella
mostra.

Abraovic e Ulai, uno di fronte all’altro, nudi, riducono al minimo lo spazio entro cui
passare, dobbiamo per forza infilarci tra i loro corpi (leben, 1974).

Orlac, posta dietro una


figura di donna nuda fa pagare 5 franchi al visitatore per farla uscire e dare un bacio (le
baiser de l’artiste, 1977).
Anni ’60-’70 più brutale, Nauman mette altoparlanti in una
stanza vuota, nascosti, ingiungono, senza sosta e in tutti i toni possibili. Smith, nuda in un
letto si faceva nutrire dai visitatori.

E- Ognuno è artista: si mantiene ancora la distanza tra l’opera e lo spettatore


partecipante.
Nella città di Dubuffet non ci saranno più regardeurs, ma solo attori, niente
più cultura, niente più sguardo.
Anche Beyus tenta di superare la dicotomia tra arte e
pubblico; da quando venne abbattuto il suo aereo, lui venne salvato da una tribù di
Tartari, da allora utilizza materiali simbolici, diventa artista-sciamano, con una funzione
terapeutica più che estetica egli aiuta il corpo sociale a guarire dalle sue ferite, per il
ripristino di un’armonia spirituale.

Per lui ognuno è artista, egli si rifà alle grandi utopie


delle avanguardie per la costruzione di un mondo migliore. Beyus elabora la “scultura
sociale” che attività stessa di lui-scultore, e la forma progressiva di molteplici legami.

Capitolo secondo
L’artista espone il suo corpo

Prestando il suo corpo il pittore trasforma il mondo in pittura. Le filosofie del soggetto sono
messe in dubbio, nei ’60, dallo strutturalismo, decostruttivismo e arte minimalista.

Artisti della “body art” espongono la propria persona; sconvolgono i valori tradizionali del
rapporto tra uomo e pubblico; anche se il pubblico ha accesso ad esse tramite una
mediazione documentaria. L’opera e il corpo dell’artista sono un tutt’uno.

A- Ai confini con il teatro: strategie per rendere più labile il confine tra arte e vita che
porta alla separatezza delle arti. Si esibisce il corpo e la propria sessualità.

Happening e
“event” (Cunningham e Event Fluxus – Muciunas) si riferiscono al retroterra USA,
performance e azioni hanno significati diversi a seconda del momento storico. Successo
fulmineo di queste tecniche. Rauschenberg prepara uno scenario, come pièce teatrali a
cui il pubblico può partecipare attivamente; realizza “quadri viventi”.

L’event era una


forma di performance, è rappresentazione e spettacolo. Burden realizza azioni violente e
spettacolari, fa dei “pieces”. Duchamp apprezzava gli happenging come contro dell’opera
da cavalletto.
B- Violenze e trasgressioni: Arnulf Reiner, austriaco (gruppo del cane , ’50) si lascia
andare a discorsi aggressivi, non disdegna l’abbaiare. Fa una pittura par “lasciare la
pittura”, fa i “dipinti ricoperti”, dipinge lentamente i suoi quadri sotto uno strato di pittura
monocroma nera.

Harold Rosemberg descrive la tela come un’arena in cui agire. Brus fa


dei suoi quadri un brandello di mondo, dipinge anche se stesso,nel ’65 deambula come un
tableau vivant per le strade di Vienna.

Otto Muhl scavalca l’action painting con la


Materialaktion, ricorso a tutte le sostanze corporee, sangue e escrementi; lotto contro la
repressione sessuale. Nitsch utilizza riti sacrificali pagani, con componente dissacratoria e
blasfema, “festa del naturalismo psicofisico”, 1963, diffonde un programma in cui si
taglia, si insozza, va nel letto con delle budella, piscio di vacca, appende un agnello morto
al soffitto, etc.

Sono gli “azionisti” viennesi che arrivano alla violenza più insostenibile.
Brus realizza la sua “follia pura” (1968) urina e defeca in pubblico, si incide con un rasoio,
il corpo stesso diventa medium. In un’altra beve la sua urina, si produce tagli ai fianchi, si
insozza con i propri escrementi, si sdraia e canta l’inno masturbandosi.
Muhl abbandona l’attività artistica;

Schwarzkogler si suicida dopo sei azioni.

Nitsch continua con cerimonie


su carcasse animali. Per tutti restano documenti fotografici e film, molti avvengono solo
davanti a un obiettivo.

Burden si fa sparare una rivoltellata da un amico su un braccio in


presenza di pubblico e fotografi. Negli anni ’90 la violenza del video diventa simulata con
intenzioni mistificatorie.

La body art rifiuta i vecchi valori estetici e morali.

C- Corpo utensile, corpo supporto: artisti prediligono situazioni con il corpo deturpato.
Burden ama le esperienze estreme; si fa rinchiudere 5 giorni in un armadio, alimentato
solo con bottiglie d’acqua.

Acconci si pone sotto un piano inclinato, con i visitatori che


passano sopra di lui. Parte del pubblico era disposta a stare al gioco.

Per Journiac il corpo


si afferma solo tramite pratiche rituali (porge un sanguinaccio con il suo sangue a mo’ di
ostia).
Gina Pane sale una scala chiodata a piedi e mani nudi. Performance, azioni e
deambulazioni acquistano il loro statuto estetico che si distacca dal teatro, ma come arti
plastiche, badano all’efficacia della loro rappresentazione.

D- Guardatemi: un museo immaginario: Ben Vautier si presenta come “living sculture”


nel ’62, l’artista diventa scultura, “la vita è opera”.

Gilbert & George si presentano come


sculture viventi, cantano e si scambiano oggetti, all’infinito. La body art diventa
inseparabile dall’azione.

Essa è un’opera “fittizia”, figlia di un museo immaginario nel


quale gli artisti hanno ripreso il sopravvento. Omosessualità e femminismo diventano
componenti importanti:

Yoko Ono, coinvolge lo spettatore facendo tagliare parti del suo


vestito, per appagare una comune fantasia;

Kobota dipinge con le sue mutandine un


quadro a terra;

Export si fa tatuare sulla coscia una giarrettiera, simbolo di seduzione del


sessismo ordinario;

Massager disegna dei volti su un corpo di donna, il cui vello pubico


funge da barba.
Capitolo terzo
Altri luoghi

Sviluppo del museo immaginario che influisce i musei reali, il pubblico deve modificare le
proprie attese; anche la mostra è un fenomeno recente, svolta del “Salon des refusés”
nel 1863; nuova figura del curatore della mostra.

A- L’arte moderna valorizzata e isolata: musei per l’arte moderna, il primo è il MOMA di
NY, 1929, nello stesso anno a Lodz, in Polonia. Nascono diverse forme del museo d’arte
moderna.
Si creano opere concepite per il museo stesso; un nuovo pubblico; e mostre
temporanee.
Buren critica il museo:
1- Estetica: il museo è la cornice in cui si scrive
l’opera;
2- Economica: conferisce a quanto espone un valore di mercato;
3- Mistica:
accredita come arte ciò che viene esposto. I musei delle “belle arti”: conservano i
capolavori; edificano il pubblico e insegnano i contenuti.
Il museo d’arte contemporanea
milita e promuove, non vuole insegnare; isolano le opere che presentano, le emancipano
dalla tradizione.

B- L’arte e le reti di comunicazione: invece di costruire un oggetto ci si affida alla rete


delle comunicazioni a distanza.

La “mail art”, non è un movimento artistico, ma un’attività


che utilizza un mezzo ben definito. Elabora le sue forme e i suoi messaggi a seconda delle
possibilità offerte dal traffico postale (On Kawara manda “I m still alive”, Boltanski manda
a persone che non conosce una lettere sottoforma di richiesta d’aiuto). Poi la tv diventa
mezzo di comunicazione di grande ampiezza, utilizzata per la land art:
Boezman, De
Maria, Dibbets, Flanagan (con hole in the sea, un cilindro di plexiglas in un buco riempito
dall’acqua) , Long, Oppenheim, Smithson. Trasmissione cancellata per il basso share
(3%).

Anche Burden utilizzò la tv per mandare in onda i suoi clip, realizza uno spot
pubblicitario con la sua firma, ironico, come marchio di certificazione.
Ci si pone il
problema di come stimolare la riflessione del pubblico, utilizza i giornali con asserzioni in
bianco da compilare da parte del lettore e rispedire la risposta all’artista (Fred Forest),
propone anche l’esposizione in tv di una medium, simbolo della cultura di massa.
Poi
Forest aveva acquistato un terreno in Svizzera (20mq vicino alla frontiera) che voleva
rivendere in unità catastali come un investimento di prestigio, con un certificato di
autenticità del metro quadro, firmato da Restany, critico d’arte.
C- Ai confini con il museo: opere esterne al museo, land art, oppure in prossimità di
esso. L’utilizzo dei muri della città non era solo per i graffitisti, Buren, nel ’69 pone dei
fogli di carta a righe sui manifesti pubblicitari (cosa notata da pochi).
Le serigrafie di
Pignon-Ernst attirano l’attenzione.

La tradizione dell’affissione è arrivata fino ad oggi:


Pierre Huyghe con i suoi manifesti derivati da foto di spazi urbani, installato nello stesso
luogo della foto.

Sculture che hanno preso vita nelle strade, Simonds fa Little People,
folletti della città per cui preparava rifugi provvisori in miniatura (200 a NY, anni ’70).
Matta-Clark utilizza tecniche violente a NY, fa a pezzi i pavimenti degli alloggi non più
abitabili. Wodicko a Cracovia nel ’96 invita la gente davanti al Municipio sul quale proietta
immagini di mani che giocano con oggetti banali e ci sono voci che raccontano di vite
mancate.
Proiezioni che fa dagli ’80, rivendica la possibilità di una comunicazione
democratico all’interno di spazi pubblici. Altre azioni sono svolte sulla strada, con la
nozione di soglia tra spazio pubblico e privato (Gina Pane a Bruges, costituisce una sorta
di doppio pubblico, invitati e addetti ai lavori e i curiosi presenti per caso).

Buren, nel ’77,


issa dei vessilli fatti da stoffe colorate sui tetti delle case, visibili attraverso telescopi del
Centre Pompidou, la gente guarda anche se non ha i mezzi per comprendere; essi
traggono significato dal loro centro attorno a cui sono disposti, il Beabourg.

Asher
interpreta alla rovescia il luogo comune secondo il quale le sculture urbane sono radicate
nel luogo in cui si trovano.

Gaudibert sottolinea l’antagonismo tra gli artisti e le istituzioni,


per l’idea di un possibile recupero: processo sociale nel quale l’aggressività viene
addomesticata, metabolizzata dall’ideologia e dalla cultura dominante.
Guerriglia contro le istituzioni diventa anche complicità, nella logica demolitrice entrano anche i
curatori, Hoet
è consapevole del potere anestetizzante del museo.

D- Finzioni e musei personali: gli artisti hanno spesso provveduto in prima persona
all’organizzazione delle loro mostre.

Nel ’68 Buren affittava uomini-sandwich che


portavano in città le sue opere.

Dimitrijevic installa un dipinto di suo padre sulla gabbia dei


leoni dello zoo. Installazioni, environment e video necessitano di nuove strutture espositive
nei musei.

Kounellis propone di attaccare 12 cavalli vivi appesi ai muri. Oppure Anselmo


che appende una stele di pietra a una pianta di lattuga che marcisce e ogni volta va
sostituita. Organizzazione dei musei è sempre stata oggetto di dibattito: storia cronologica
o sulle affinità elettive delle opere.

Smithson critica i musei come delle prigioni per le opere


che smarriscono la loro funzione: critica museo-asilo-cimitero; la sorte delle arti plastiche
rientra in una tradizione secolare.

Broodthaers, nel ’68, analizza il rapporto che non


andava nel mondo artistico belga, tra arte e società, trasformando la propria abitazione in
un “museo fittizio”; scrive sulle finestre “museo”, proseguendo il gesto duchampiano di
“questo è un oggetto artistico”, lui dice “questo è un museo”, qui l’opera non sono più gli
“object trouvé”, ma la mostra stessa.
Confronto tra museo immaginario e reale provoca un
impasto divertente. Ci sono vari atti che testimoniano questo atteggiamento, Dimitrijevic fa
dei trittici a cui abbina un manufatto comune o un prodotto naturale.

O Derain, il suo quadro è posto su quattro noci di cocco;

Malevic, accosta il suo quadro a una bicicletta e a


un melone.
E’ l’associazione tra il banale, il deperibile, e un’opera giudicata senza tempo,
ha l’effetto di un cortocircuito percettivo dei quadri manipolati. Dove la modernità faceva
dell’originalità una virtù, certi artisti cercavano di stabilire rapporti più diretti tra l’opera e il
suo pubblico.

Per Boltanski i musei d’oggi vogliono avere un Mondrian, che è simile alle
reliquie che si volevano nel medioevo. Vari artisti si sono espressi a favore della
scomparsa dell’autore e delle sue prerogative: Duchamp firma oggetti che non ha
realizzato, Moholy-Nagy delega la sue opere alla fabbrica.

Morellet rimane l’unico dei GRAV a voler abbandonare ogni segno distintivo. Buren, Mosset e
Toroni si scambiano il segno pittorico, ognuno realizzo a proprio nome la pittura degli altri.
Broodthaers, Yoon Ja e Devautour (diventano operatori artistici, considerano l’arte un gioco in cui
il fine
sarebbe solo quello di modificarne le regole, è inutile proporre il proprio piccolo oggetto
brevettato su un terreno che ne è già pieno, la formidabile elasticità dell’arte non ha più
bisogno di dimostrazioni) hanno sostituito una figura nuova, quella dell’artistacollezionista-
presentatore. Menard abbandona l’attività artistica per quella di
collezionista.

L’elasticià del concetto d’arte è stata ininterrottamente messa alla prova da moderno e
postmoderno; e nulla ci fa ritenere che questa avventura sia finita.

Potrebbero piacerti anche