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NOME: Alessandro Amoroso

SCUOLA: Liceo Classico G.Garibaldi Tesina Esami di Maturità


CLASSE: V A a.s. 2009/2010

Il male dell’allontanamento del corpo dai luoghi dell’anima: l’esilio

Fin da sempre l’ uomo ha sentito all’ interno della propria essenza quella scissione fra anima e
corpo che l’ ha reso sofferente. Anima e corpo sono anche in grado di dividersi, sciogliersi a causa
di una forza maggiore rispetto a quella che li tiene uniti. Portando l’anima a rimanere legata a un
particolare luogo e determinata società e costringendo il corpo ad allontanarsene per motivi di
sicurezza pubblica, di controllo e censura o comunque di forza maggiore.

L’ESILIO
Il vocabolario di lingua italiana definisce così: Esilio- ”Allontanamento temporaneo o permanente
dalla patria come pena inflitta a un cittadino colpevole di reati politici o comuni oppure come
decisione adottata volontariamente per ragioni politiche, religiose ecc. Per estensione – lontananza
da luoghi, persone, attività che ci sono o ci erano cari.
Tale definizione ci guida a sottolineare una scissione fondamentale. L’ esilio può essere sia
involontario, ovvero imposto dalle istituzioni o da altre forze maggiori, sia volontario, teso all’
allontanamento dalla propria città o patria per motivi personali.

∙ L’ESILIO INVOLONTARIO
Nella storia del diritto, l’ esilio, inteso come pena sull’ individuo costretto ad allontanarsi dalla
propria casa si trova già menzionata in alcuni manoscritti occidentali ed orientali risalenti ai primi
secoli avanti Cristo. Nelle legislazioni cinese, egiziana, giudaica nonché nel codice di Manu,(l’
opera più importante riguardante i diritti e doveri inerenti all’ uomo indù nella vita sociale, politica
e religiosa a seconda della casta di appartenenza), nel diritto romano e nella legislazione dell’ antica
Grecia.

In Grecia l’ esilio nacque di certo già prima del 500a.C. Sono numerose infatti le testimonianze che
riguardano l’ applicazione di una pena nota con il nome di “ostracismo”. Il termine deriva dal greco
“ostrakismos”, che indica un’ istituzione giuridica della democrazia ateniese volta a punire con un
esilio di 10 anni coloro che avrebbero potuto rappresentare un pericolo per la propria città. La
particolarità di questa prima forma di pena è quindi che essa non aveva un carattere punitivo per un
reato già commesso, ma preventivo, volto, ovvero, ad evitare reati futuri. Un concetto aberrante ai
nostri giorni, e certamente incomprensibile ai moderni codici giudiziari, ma giustificabile agli occhi
dei greci antichi che ponevano la propria attenzione più al benessere collettivo rispetto a quello dell’
individuo. L’ostracismo, applicato a partire dal V secolo a.C. ,come ci racconta Aristotele, deriva il
proprio nome dall’ “ostrakon” letteralmente “conchiglia”,”guscio”, esso infatti era un coccio di
terracotta su cui si scriveva il nome del cittadino per il quale si proponeva l’ applicazione della
pena. Per essere valido al voto dovevano partecipare almeno 6000 cittadini, ed il cittadino che
riceveva la maggioranza semplice dei voti veniva esiliato per 10 anni, pena la morte se fosse
rimasto in Attica. Ovviamente, come ci si poteva aspettare, ben presto l’ostracismo divenne un’
arma contro i nemici politici e furono numerosi i casi di votazioni truccate nei risultati. Furono
cittadini ostracizzati: Ipparco di Carmo (487a.C.), Aristide (482a.C.), Temistocle (471a.C.), Cimone
(461a.C.) e Santippo (470a.C).
Un provvedimento simile fu in vigore anche ad Argo verso la metà del V secolo a.C. e a Siracusa,
ma qui venne chiamato “petalismo” poiché i nomi venivano scritti su foglie di olivo (“petala”).

Leonida--
Ma sono tanti altri gli esempi di esili non derivanti da decisioni di istituzioni ma da forze maggiori
diverse.
E’ il caso del Filottete di Sofocle, una delle sette tragedie integre del tragediografo di Colono. L’
azione si svolge attorno a pochi personaggi, circa tre, Filottete da dieci anni, partito insieme agli
altri Greci per Troia, vive solitario nell’isola di Lemno. Un serpente, infatti, l’ aveva morso al piede
e i suoi compagni lo avevano abbandonato perché la sua piaga appestava l’ aria e i suoi lamenti
affliggevano l’ esercito in maniera insopportabile. Ma un oracolo aveva rivelato che per conquistare
Troia era necessario l’arco prodigioso donato a Filottete da Eracle. Alla sua isola giungono, quindi,
Odisseo e Neottolemo, figlio di Achille, per forzarlo a raggiungere la spedizione o per sottrargli
almeno l’ arco con l’inganno, avendo Filottete sviluppato un odio per gli Atridi e per lo stesso
Odisseo, responsabili del suo abbandono. La vicenda si svolge nella dialettica fra i tre personaggi
ma Filottete persevera nel suo rifiuto. Finché quando tutto sembra perduto una via di uscita è offerta
dall’ arrivo di Eracle che impone a Filottete di cedere al volere degli dei che lo vogliono glorificare,
convincendolo a raggiungere Troia. Nella conclusione quindi, Neottolemo e Filottete sono due
uomini cresciuti e nuovi che, insieme, volgono verso la nave per salpare.

Ma l’esilio oltre ad essere una pena inflitta a un cittadino comporta tutta una serie di conseguenze
fondamentali sull’ anima da non considerarsi secondarie. Chi viene allontanato dalla propria società
infatti pur magari entrando a farne parte di una nuova, perde ogni rapporto con quella che era la sua
vera società e diventa un corpo morto all’interno della nuova. E’ l’isolamento sociale. Chi è esiliato
infatti sì fa parte di una nuova società ma ne è estraneo agli usi, costumi e tradizioni e di fatto se ne
sente isolato. E’ il concetto della Grecia antica, già Aristotele nel V sec a.C. definiva l’uomo un
“animale sociale” per natura parte di una società da cui non può allontanarsi.
Un concetto frequente definito nella proposizione greca: “ einai apoleis” essere senza città, concetto
visibile anche in un canto del coro dell’ Antigone di Sofocle. (vv. 370 – pag 50)

Il concetto della socialità dell’uomo fu poi ripreso secondo due visioni antitetiche nei secoli XVIII-
XIX sia da Hegel che da Kirkengaard.
Per Hegel l’uomo per sua natura è portato a sentirsi parte di un gruppo. Per natura infatti è vittima
di un processo di aggregazione che lo porta prima a formare la famiglia, poi per necessità la società
e lo stato.
Di contro al primato della Ragione hegeliana dell’ universale, però, compare una visione antitetica
che afferma la supremazia del singolo individuo di Soren Kirkengaard. Dio vuole mettersi in
contatto con il Singolo, con ogni Singolo, ma la condizione inevitabile affinché questo accada è
l’isolamento, l’essere soli davanti a Dio. La folla è il male e il pericolo per l’uomo moderno, poiché
in essa il Singolo diventa nulla dato che conta solo il numero. Essere “numero” vuol dire “essere
come gli atri”, quindi non essere più se stessi e cancellare la propria individualità. Conducendo
l’uomo alla temporalità e non più all’ eternità, nascondendosi da Dio e dall’ angoscia che esso
provoca agli uomini e pertanto “è necessario combattere la Folla”.

http://docs.google.com/viewer?
a=v&q=cache:EoYnT85zYisJ:www.unibas.it/ateneo/inaugurazione0910/Prolusione.pdf+esilio+le
tteratura+latina&hl=it&gl=it&sig=AHIEtbSt8o8S6_lugHYKZvie57At7HjxOQ

Dopo la Grecia, la pena dell’ esilio assunse la sua forma moderna nel mondo occidentale a Roma,
già dal primo secolo avanti Cristo, ma diffusamente soprattutto in età imperiale. Durante l’ epoca
romana essa divenne un’ arma molto utilizzata non solo per eliminare i nemici politici ma anche
uomini “scomodi” tra i letterati e gli uomini di piazza.
Furono numerosissimi gli esiliati dalla latinità. Primo fra tutti Cicerone, esiliato tra il 58 e il 57 a.C.
per avere operato, alcuni anni prima, ai limiti della legalità contro Catilina e i suoi seguaci. Ma
soprattutto due intellettuali come Ovidio e Seneca. Tale allontanamento dall’ Urbe poteva avere
forme e direzioni diverse, trattandosi in alcuni casi di vero e proprio esilio, in altri della più blanda
relegazione, che non comportava la confisca dei beni e la perdita dei diritti civili. Come scrive
Ulpiano: “ c’è molta differenza tra la relegatio e la deportatio:infatti la deportatio toglie i diritti
civili e i beni, la relegatio conserva entrambi”.
E’ noto che la relegazione fu la pena inflitta dall’ imperatore Augusto a Ovidio, nell’ anno 8 d.C.
Due le colpe di cui il poeta si era macchiato. La prima consisteva nella pubblicazione di un’ opera,
l’ Ars Amatoria, una vera e propria techne della conquista amorosa, che inevitabilmente cozzava
con il programma di restaurazione morale perseguita da Augusto. La seconda era costituita da un
risentimento dell’ imperatore, forse suscitato da un incidente che avrebbe coinvolto Ovidio in uno
degli scandali in cui era stata coinvolta la corte imperiale qualche anno prima. Per queste due colpe
che il poeta sintetizza nei due sostantivi carmen ed error il poeta fu relegato a Tomi, sul mar Nero, e
li rimase fino alla morte. Ovidio nelle proprie opere ricorda con insistenza la propria sorte, e lo fa
con forme poetiche fluide e scorrevoli, avvalendosi non di rado di figure retoriche e metafore.
Innanzitutto essa è indicata come una ‘ferita’, e rimproverando a se stesso le conseguenze di non
aver saputo prevedere le tristi conseguenze delle proprie azioni, scrive: “troppo tardi afferro lo
scudo dopo avere ricevuto la ferita”.Più volte inoltre Ovidio sottolinea come il nemico impedisca a
tale ferita di cicatrizzare, riaprendo una ferita sanguinante. Ma la differenza tra il prima e il dopo la
relegazione, è sottolineata anche dall’ uso della metafora della “caduta”, dal passaggio dallo stato
eretto a quello che giace al suolo. Infatti dice “dum stetimus” (finchè sono rimasto in piedi) e il
sostantivo “casus” (caduta). E non si tratta di una caduta leggera bensì di una caduta rovinosa. E
ancora, duratura è invece la situazione di chi giace a terra, un’ immagine frequente nei testi del
poeta, che egli descrive attraverso 3 fasi: lotta,caduta e calpestamento del cadavere. A riguardo
notevole è l’ elegia ottava del libro quinto dei Tristia, un vero e proprio ritratto di tutta la
terminologia usata da Ovidio nella descrizione dell’ esilio. L’esilio è dunque visto come un soldato
ferito ma altrove anche come una morte. Una morte civile che porta il poeta ad essere un morto
vivente. Anche Tacito nella prefazione all’ Agricola tratta la pena dell’esilio trattandone il vasto
utilizzo fatto durante il potere di Vespasiano e Domiziano, che esiliarono numerosi filosofi e
pensatori a loro “scomodi”.

Interessante a riguardo cosa scrisse W. Shakespeare in Romeo e Giulietta sull’ esilio.


Frate Lorenzo:”Tu sei esiliato qui, da Verona; pazienza, il mondo è grande e vasto”
Romeo:”Non esiste mondo fuori delle mura di Verona: non c’è purgatorio, supplizio, l’inferno
stesso. Essere esiliato di qui, vuol dire essere esiliato dal mondo e l’esilio dal mondo è la morte: l’
esilio è dunque una morte sotto falso nome.

Ancora il binomio amore/morte fu ripreso da Seneca. Già al tempo di Caligola Seneca era stato
condannato a morte, ma con l’ avvento dell’ imperatore Claudio, fu accusato di adulterio con una
sorella di Caligola, Giulia Livilla, e relegato nel 41d.C., in Corsica, dove rimase fino al 49, allorché
la nuova moglie di Claudio, Agrippina, ottenne la revoca del provvedimento. Seneca affrontò la
tematica nelle due consolazioni, alla madre Elvia e a Polibio, nelle quali paragona più volte gli
esiliati a dei “sepolti” quasi come morti che l’ imperatore può resuscitare, e metaforicamente l’
esilio è rappresentato attraverso un fulmine. La Corsica assume sempre connotati negativi, ad essa
Seneca si rivolge più volte chiedendo misericordia e facendo attenzione,come Ovidio, alle
differenze climatiche con Roma. Mentre però Ovidio ne sottolinea il crudo gelo invernale, Seneca
lamenta piuttosto la grande calura estiva. Come Ovidio, inoltre, anche Seneca utilizza metafore
belliche per descrivere l’ esilio. Le sue parole sono in traduzione:”Chiunque tu sia, o nemico, che
scruti la mia gola trafitta, ancora non sono per te abbastanza infelice? Lascia stare le mie trafitture!
Spesso la mano di un moribondo ha inferto una ferita mortale al nemico iniquo.” Ancora un
contrasto vincitore/vinto. Frequente infine la metafora dei “dardi cruenti”, gli scritti diffamatori e
maligni contro il poeta relegato.
Abbiamo notato, quindi, quanto frequente sia l’uso di metafore trattando l’ argomento, in letteratura
latina, ciò poiché chi era vittima di un tale provvedimento dai vertici del potere aveva poche
speranze di ritorno in patria, se non avveniva un cambiamento delle circostanze politiche.
Divertente pensare alla conclusione della vicenda attraverso la visione data da Robert Graves che
immagina che Claudio si fosse annoiato delle adulazioni del poeta e avesse ritenuto che il suo esilio
non avesse fatto torto a nessuno…se non alla Corsica.

Tale provvedimento continuò ad essere attuato anche nel medioevo, nel quale consisteva nell’
espulsione del colpevole dal gruppo di appartenenza e in particolare dalla sua città (banno). Di tale
esperienza fu vittima il più grande poeta probabilmente di tutta la nostra letteratura, Dante Alighieri.
Sono numerosi i passi nella Divina Commedia in cui il destino che attende Dante viene profetizzato.
Dante infatti compie il proprio viaggio nell’ oltretomba nel 1300, mentre la notizia della sua
condanna di due anni di esilio da Firenze avvenne nel 1302. I passi che riguardano tale tema sono
riscontrabili in:
Inferno – Canti VI, X, XV e XXIV.
Purgatorio – Canti VIII, XXIV
Paradiso – Canto XVII

Caduto in disuso nel XVIII secolo, forme di esilio tornarono a diventare diffuse durante i regimi
dittatoriali del XX secolo sia in Italia che in Russia.
Durante il fascismo italiano infatti furono numerosi i letterati e gli oppositori al regime che furono
allontanati o esiliati dai propri luoghi di origine. I casi più noti furono per esempio quelli di Carlo
Levi (Cristo si è fermato ad Eboli) ed Ignazio Silone (Fontamara).
Durante la dittatura comunista in Russia invece vittime della condanna di esilio furono Sozyenitzn
(Arcipelago gulag) e Sakharov.

Altro esempio di opera riguardante l’esilio è uno dei cori più famosi della canzone lirica il “Va
pensiero” tratta dalla parte terza del Nabucco di Giuseppe Verdi, cantato dagli ebrei in esilio in
Babilonia. Il poeta Temistocle Solera scrisse i versi ispirandosi al salmo 137 Super flumina Babylonis.

∙L’ESILIO VOLONTARIO
Ma l’ esilio oltre che essere derivante da decisioni di forza maggiore può anche essere un desiderio
dell’uomo, bramoso di raggiungere un isolamento ed un allontanamento dalla società che considera
positivo per l’ anima. Epicuro, per esempio, suggeriva “vivi nascosto” (late biosas) ovvero il
distacco dalla vita politica, portatrice di affanni, non per rifiutare la società e lo Stato che,
nonostante per gli epicurei l’ uomo non sia un animale sociale, sono forme assolutamente necessarie
per l’ utile reciproco, ma per potersi dedicare maggiormente alla propria anima.

E’ un esilio volontario anche quello di Ugo Foscolo, non condannato all’esilio, ma auto-esiliatosi
per motivi politici. Partecipa ,infatti, ai moti di rivolta del di Milano dell’ Aprile 1814 e ha contatti
con gli inglesi e con alcuni congiurati per salvare l’indipendenza del regno dall’Austria. Ben presto,
però, prevalendo gli Austriaci, ha un breve periodo di tentennamento dinnanzi alle loro offerte
finché, dovendo giurare fedeltà al nuovo potere, il 30 Marzo 1815 fugge in esilio dapprima in
Svizzera e poi in Germania e in Inghilterra.
E’ significativa a tal riguardo la lettera: “Partendo per l ‘esilio”, scritta dal poeta il 31 Marzo 1815
da Milano, prima di intraprendere la via della partenza e rivolta ai familiari. Foscolo motiva la
propria scelta facendo appello al proprio onore e alla propria coscienza, nonché alla nobiltà del suo
carattere non disposto a giurar cose che non potrebbe ottenere. E così, il giorno del suo giuramento,
conferma la propria intenzione:”Io per me mi sono inteso di servire l’Italia” (unità nazionale).
Inoltre scrive: “Io professo letteratura che è arte, che è arte liberalissima e indipendente, e quando e
venale non val più nulla” Notevole il discorso alla madre e le parole:”e la presente mia risoluzione,
siccome è onesta oggi, così sarà utile e necessaria per l’avvenire” evidente richiamo alla teoria dell’
opera di un altro famosissimo esiliato: Cicerone. Quest’ ultimo nel De Officiis ripete più volte
infatti di riconoscere che in ciò che è turpitudo non può esservi utilitas, e che ciò che è onesto è
anche utile. Al termine della lettera interessante lo pseudonimo Lorenzo Aldighieri (unione del
nome del “compilatore” dell’Orthis, Lorenzo Alderani, con il cognome di Dante, il grande poeta
anch’ egli costretto all’ esilio a causa del risentimento maturato dai populares e soprattutto da
Clodio, e il freddo epilogo della lettera: “Intanto addio…”

E’ un esilio volontario anche quello di Rutilio Namaziano il cui viaggio di ritorno in patria assume i
connotati forti proprio del viaggio d’esilio.

Ancora, significativo l’esempio della sofferenza per l’allontanamento del corpo dai luoghi amati a
cui rimane legata l’ anima è l’Addio Monti uno dei passi più celebri dei Promessi Sposi.
Addio/ monti sorgenti dall'acque- ed elevati al cielo/ cime inuguali/ note a chi è cresciuto tra voi/ e impresse nella sua mente/ non meno che l’aspetto de' suoi familiari/
torrenti- de' quali si distingue lo scroscio/ come il suono delle voci domestiche/ ville sparse e biancheggianti sul pendìo/ come branchi di pecore pascenti/ addio!/ Quanto è
tristo il passo di chi/ cresciuto tra voi/ se ne allontana!//

Alla fantasia/ di quello stesso che se ne parte volontariamente/ tratto dalla speranza di fare altrove fortuna/ si disabbelliscono/ in quel momento/ i sogni della ricchezza/ egli
si maraviglia d'essersi potuto risolvere/ e tornerebbe allora indietro/ se non pensasse che, un giorno- tornerà dovizioso/ Quanto più si avanza nel piano/ il suo occhio si
ritira/ disgustato e stanco/ da quell'ampiezza uniforme/ l'aria gli par gravosa e morta/ s'inoltra mesto e disattento/ nelle città tumultuose/ le case aggiunte a case/ le strade
che sboccano nelle strade/ pare che gli levino il respiro/ e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero/ pensa/ con desiderio inquieto/ al campicello del suo paese/ alla
casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso/ da gran tempo/ e che comprerà/ tornando ricco/ a' suoi monti//

Ma chi/ non aveva mai spinto/ al di là di quelli/ neppure un desiderio fuggitivo/ chi/ aveva composti in essi/ tutti i disegni dell'avvenire/ e n'è sbalzato lontano/ da una forza
perversa!/ Chi/ staccato a un tempo/ dalle più care abitudini/ e disturbato nelle più care speranze/ lascia que' monti/ per avviarsi in traccia di sconosciuti/ che non ha
maidesiderato di conoscere/ e non può/ con l'immaginazione/ arrivare a un momento stabilito per il ritorno!/ Addio/ casa natìa/ dove/ sedendo/ con un pensiero occulto/
s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni- il rumore d'un passo aspettato/ con un misterioso timore/ Addio/ casa ancora straniera/ casa sogguardata tante volte alla
sfuggita/ nella quale la mente- si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa/ Addio/ chiesa/ dove l'animo tornò tante volte sereno/ cantando le lodi del Signore/
dov'era promesso/ preparato un rito/ dove il sospiro segreto del cuore- doveva essere solennemente benedetto/ e l'amore venir comandato/ e chiamarsi santo/ addio!// Chi
dava a voi tanta giocondità è per tutto/ e non turba mai la gioia de' suoi figli/ se non per prepararne loro- una più certa e più grande.

Storia? (emigrazioni?, arma dell’esilio?, napoleone?, pena inflitta?)

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