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NINO ROTA

Nato a Milano nel 1911 e morto a Roma nel 79. Proveniva da una famiglia benestante e
con una sua precisa vocazione artistica e musicale. Rota è una specie di bambino prodigio
che comincia la sua carriera di pianista e di compositore all’età di 11 anni. Nel 1922
presenta in pubblico una composizione intitolata “l’infanzia di San giovanni Battista” e
alcuni anni dopo scrive la sua prima opera teatrale intitolata “il principe porcaro”, tratta da
una fiaba di Andersen. Comincia questa sua carriera con lo pseudonimo di Ninetto.
Nonostante tutto, egli segue degli studi rigorosi, frequenta il conservatorio di Milano e poi
studia privatamente con il Ildebrando Pizzetti e successivamente a Roma con Alfredo
Casella. Nino si diploma con Alfredo al conservatorio di Roma e poi prosegue gli studi in
America, dove vince una borsa di studio in un prestigioso Istituto musicale privato a
Philadelphia. Era un’epoca in cui non era facile viaggiare, tanto più per un ragazzo che
viaggia da solo. Questo periodo americano di Nino dura due anni ed è fondamentale per la
sua formazione, sia perché l’istituto è di primissimo livello, sia perché Philadelphia era una
città con vita musicale intensissima e contribuisce ad ampliare gli orizzonti di questo
giovane compositore che quando torna in Italia decise di prendersi una laurea in lettere
all’università di Milano, poi debutta nel mondo del cinema con un film intitolato treno
popolare che però fu un insuccesso assoluto. Dopo ciò Nino rota si dedicò
all’insegnamento e insegna prima teoria e solfeggio e poi composizione al conservatorio di
Bari. Continuerà ad insegnare in questo conservatorio anche dopo il suo successo. L’evento
cruciale della sua carriera come autore di colonne sonore si ha all’inizio degli anni 50 con
l’incontro con un giovane sconosciuto che si chiama Federico fellini. Rota è più grande di
circa 10 anni, è un incontro fondamentale per entrambi perché fra i due si instaura un
rapporto di collaborazione abbastanza stretto. Solo dopo la morte di Nino Rota, Fellini si
convinse a lavorare con qualcun altro. Nino Rota era un compositore colto con una
formazione accademica di primordine che però amava moltissimo la musica leggera, gli
piacevano da morire i ballabili, dal tango al rock and roll affiorano molto nelle sue musiche.
Egli non avverte dentro di sé una distinzione gerarchica fra musica alta e musica bassa,
colta o popolare. Mostra una capacità sia nel campo della musica sinfonica, sia nel campo
del teatro musicale, del balletto, del cinema e della musica leggera. Oltre la collaborazione
con Fellini, Rota non si limita solo a lui ma anche collabora con altri registi. Per Luchino
Visconti scrive le musiche di Rocco e i suoi fratelli e il gattopardo, per Eduardo de Filippo
scrive le musiche di Napoli milionaria, per Franco Zeffirelli le musiche di Giulietta e Romeo
e di fratello sole sorella luna e le sue collaborazioni sono innumerevoli. Tra queste c’è
quella particolare che segna il debutto di Nino nel campo della televisione. Siamo nella
seconda metà degli anni 60, esistono solo due programmi prodotti dalla Rai, le trasmissioni
cominciano nel pomeriggio con una cosa che si chiama la tv dei ragazzi. Uno dei grandi
classici della tv dei ragazzi era uno sceneggiato televisivo intitolato il giornalino di Gian
burrasca. Il ruolo del bambino terribile Giovannino stoppani, detto Gian burrasca, era
interpretato da una giovanissima Rita pavone e la colonna sonora è scritta da Nino Rota. È
un autore che ha un catalogo delle opere abbastanza articolato che prevede molta musica
da camera, musica sinfonica, opere liriche, balletti e alcune centinaia di colonne sonore. In
realtà il nome di nino rota si collega immediatamente al mondo della musica dei film, del
cinema poiché ha collaborato costantemente con registi molto importanti. Egli ha
composto per Francis Ford Coppola il famoso tema del padrino. Il linguaggio compositivo di
questo autore non cambia in maniera particolare quando scrive per i palcoscenici teatrali o
per il cinema, cioè appare caratterizzata da una grande coerenza e da una sostanziale
continuità stilistica ed espressiva. Nino Rota a volte utilizza dei temi che sono nati nel
mondo della sinfonia trasferendoli nel mondo del cinema e viceversa. Uno dei temi chiave
della colonna sonora del gattopardo di Luchino Visconti, tema impetuoso che si sente nei
titoli del film e quello più romantico, furono scritti molti anni prima dell’uscita del film e
derivano dalla prima sinfonia di Nino Rota detta sinfonia sopra una canzone d’amore,
dunque è il caso di una musica che nasce per l’ambito sinfonico e che poi viene trasferita
nell’ambito della colonna sonora cinematografica. Invece il contrario è successo con le
musiche del film di Federico Fellini, la strada, dalle quali lo stesso Nino rota anni dopo
trasse le musiche per uno spettacolo di danza che andò in scena alla scala di Milano con
l’interpretazione di Carla Fracci nel ruolo della protagonista.

Un’opera per ragazzi che va in scena per la prima volta al teatro la fenice di Venezia nel
1959 che si intitola lo scoiattolo in gamba e di cui scrive il testo Eduardo de Filippo e la
musica naturalmente Nino Rota. Forse un po’ alla volta Eduardo de Filippo ha perduto una
parte della sua popolarità, ma diciamo che nel secolo scorso era considerato uno degli
attori, drammaturghi, registi teatrali e cinematografici più importanti in Italia. E dunque lo
scoiattolo in gamba è un caso un po’ come il fanciullo e i sortilegi. Nato dalla
collaborazione tra due artisti famosi in quel caso Ravel e collette. Questo caso invece Nino
Rota e Eduardo De Filippi ed è proprio quest’ultimo a raccontarci in un testo
autobiografico qual è la genesi veramente particolare di questo lavoro. Eduardo aveva una
figlia che si chiamava Luisa, in casa Luisella, alla quale era molto affezionato e viceversa.
Quando lui era a casa a Napoli sua figlia tornando da scuola gli portava sempre un regalino.
uno specchietto, un oggetto comprato su una bancarella, insomma aveva il piacere di
tornare a casa e regalare a suo padre un pensierino. Un giorno esce tardi da scuola e
arrivando a casa raccontò che la maestra aveva assegnato come compito di inventare una
storia e lei aveva inventato la storia di uno scoiattolo senza denti, quindi non può
mangiare, che si imbatte in un re, detto re pappone, che gli offre in regalo una dentiera
tutta d’oro ma in cambio, quindi non è alla fine un vero regalo, chiede allo scoiattolo di
cucinare un pranzo regale. Eduardo fu molto colpito da questo tema scolastico della figlia
che gli ritornò in mente quando gli proposero di scrivere il testo per uno spettacolo di
teatro musicale per ragazzi. Allora pensò di trarre dal compito scolastico della figlia un vero
e proprio libretto d’opera e propose di scrivere la musica a Nino rota con il quale aveva già
collaborato sia in teatro che al cinema. Scrive Nino Rota che questo atto unico
originariamente ideato per la radio italiana con cantanti adulti si presta bene ad essere
rappresentato anche in forma scenica dei bambini delle scuole medie e delle elementari. In
origine lo spettacolo nasce per una serata radiofonica organizzata dalla Rai al teatro la
fenice di Venezia in cui vari compositori scrivono ciascuno una breve opera per ragazzi.
Originariamente pensano ad un organico vocale costituito da adulti dunque il ruolo dello
scoiattolo, che è uno scoiattolo cucciolo, dovrebbe essere interpretato da una giovane
cantante donna come accade per esempio nel caso della piccola volpe astuta. L’Opera va in
scena nel 1959. In seguito Rota si accorge del fatto che in realtà può essere anche portato
sulle scene dai ragazzi delle scuole elementari e medie e in effetti è un’opera che sotto
tanti punti di vista sviluppa proprio il tema del confronto tra il mondo dell’infanzia e il
mondo degli adulti. Dopo due anni dalla rappresentazione, Luisa de Filippo morì
improvvisamente per una emorragia celebrale. E dunque quest’opera che era stata
realizzata un anno prima assunse agli occhi di Eduardo un significato particolare perché gli
ricordava i momenti trascorsi con la figlia e quel giorno in particolare in cui lei era tornata
da scuola portando con sé questo racconto. E’ una favola musicale in un atto e una durata
assolutamente a portata di bambino, 35-40 minuti e questo atto unico si suddivide in
quattro scene che vengono eseguite di seguito senza intervallo e sono precedute da un
breve brillante preludio nel quale ascoltiamo un tema musicale che nel corso dell’opera
sarà associato proprio al personaggio dello scoiattolo. Si tratta di un’opera in miniatura con
piccole arie, piccoli duetti, piccole scene d’insieme, la musica molto brillante in cui Nino
Rota guarda un po’ forse a Rossini ma anche a Stravinskij e naturalmente lascio entrare
anche un piccolo ballabile un bughi-bughi tarantella molto piacevole e molto divertente.
Della partitura musicale esistono due versioni: una versione con orchestra e poi una
versione più piccola in cui prevale il timbro degli strumenti a fiato e l’organico orchestrale è
appunto più circoscritto. La parte del protagonista cioè dello scoiattolo nata per una
giovane cantante adulta può essere anche interpretato da una bambina però occorre avere
la fortuna di imbattersi in una bambina molto spigliata, molto musicale, che riesce a
studiare e memorizzare questa parte solistica non proprio facilissima e poi insomma lo
scoiattolo è continuamente in scena e deve essere spiritoso, vivace, monello, in gamba. Il
re pappone è un cantante adulto dalla voce grave, il gran ciambellano lo stesso, gli invitati
del re pappone sono un coro che può essere costituito da adulti e ragazzi. La storia è
semplicissima, all’inizio dell’opera vediamo questo scoiattolo disperato perché il papà non
ce l’ha, la mamma non la trova e non può neanche rosicchiare perché purtroppo non ha i
denti. Nel bosco si imbatte nel re pappone che gli propone uno scambio: regalerà allo
scoiattolo una dentiera tutta d’oro che lo scoiattolo cucini per lui e i propri ospiti un pranzo
regale. Lo scoiattolo Non capisce niente di cucina e di cucinare però accetta pur sapendo
che si tratta di una sfida un po’ pericolosa poiché il re pappone gli comunica che il cuoco
precedente non andava bene e lo ha fatto decapitare. L’Azione si sposta nelle cucine del
palazzo dove lo scoiattolo inventa un menù surreale con rinoceronte al forno, proboscide
d’elefante al sugo. Arrivano gli ospiti si siedono nella lussuosa sala da pranzo del palazzo
ma il pranzo non è pronto. Nel frattempo il re pappone intrattiene i suoi ospiti spiegandogli
la sua riforma del calendario per cui sostanzialmente non si lavora mai per le diverse
ragioni, però intanto passano le ore, i giorni e questo pranzo non arriva. Ad un certo punto
il re manda il ciambellano in cucina per dare allo scoiattolo un ultimatum: o prepara questo
pranzo regale o verrà decapitato. Allora lo scoiattolo si mette all’opera, ma poi
rispecchiandosi nel coperchio di una pentola si accorge che gli sono cresciuti i denti quindi
che gli importa di rispettare i patti con il re pappone, ormai è grande, è diventato
autonomo e dunque mangia tutto il pranzo regale che aveva preparato, con due salti
raggiunge la sala da pranzo, fa una smorfia al re e ai suoi invitati e salta via contento di
essere più in gamba che mai. Al re e i suoi invitati rimasti digiuni non resta altro da fare che
svenire. la storia è comunque inventata da una bambina però in effetti se ci riflettiamo un
attimo e anche una storia che ha un senso e potrebbe essere questo: all’inizio dello
spettacolo lo scoiattolo è solo, dunque deve necessariamente fare affidamento sull’aiuto di
un adulto che pone una sfida che è anche una sfida un po’ pericolosa. Lo scoiattolo lo sa
bene di non essere capace di cucinare un pranzo regale, ma accetta lo stesso. In questo
modo mostra di avere coraggio e anche in qualche modo supera la sfida. Quindi superando
la sfida si ritrova più maturo, più in gamba di prima, gli sono cresciuti i denti, non ha più
bisogno del re pappone dunque fugge nel bosco che è il suo vero regno. in questa storia
ricorrono inconsapevolmente anche degli elementi che abbiamo incontrato varie volte, per
esempio il rapporto tra esseri umani e animali, il rapporto tra adulti e bambini, ma anche
quest’idea dell’animale del bosco che accetta di trasferirsi in un palazzo regale ma poi alla
fine fugge perché il suo vero mondo è costituito dalla libertà del grande bosco. Lo
scoiattolo fugge dal palazzo di re pappone esattamente come la piccola volpe astuta fugge
dalla casa del guardiacaccia alla fine del primo atto. Quindi questo tema è molto
ricorrente. Lo scoiattolo in gamba fu eseguito per la prima volta a Venezia nel 1959, fu
preso molto bene dalla critica però in realtà non ha mai avuto una diffusione particolare.
Nino Rota ne ha organizzato una ripresa con bambini al conservatorio di Bari dove
insegnava di cui poi direttore. A Palermo è stata rappresentata per la prima volta alcuni
anni fa, ancora una volta al Politeama Garibaldi e in quell’occasione il ruolo dello scoiattolo
fu interpretato da una bambina.

POLLICINO DI HANS WERNER HENZE


Spettacolo teatrale realizzato tra il 1979/80 dal compositore Hans Werner Henze e un
drammaturgo italiano Giuseppe di leva. È nato in Germania nel 1926 ed è morto nel 2012.
Essendo nato nel 1926 Hans fa parte di una generazione di tedeschi cui il nazismo e la
guerra hanno rubato una parte della giovinezza e dell’adolescenza. Nascere In Germania
nel 1926 significa andare a scuola durante il regime Hitleriano, significa essere bambini,
ragazzi in un regime totalitario, significa vivere in Germania durante la seconda guerra
mondiale. Il padre di Hans era un maestro elementare di simpatie socialdemocratiche che
per motivi politici fu mandato ad insegnare nell’estrema e più povera provincia tedesca
possibile e dunque Hans trascorre con la sua famiglia gli anni dell’infanzia in un contesto di
Campagna, dominato da una sostanziale povertà sia economica sia di stimoli musicali e
culturali. Il padre è richiamato in guerra e viene dichiarato disperso fronte orientale.
Disperso vuol dire che è morto ma non si è mai ritrovato. anche Hans ai tempi della
seconda guerra mondiale, nelle ultime fasi del conflitto, viene richiamato ancora
giovanissimo nell’esercito e dunque vive delle esperienze drammatiche in prima persona.
Ha la fortuna di essere fatto prigioniero dall’esercito inglese e trascorre un certo periodo in
un “campo di concentramento inglese”, lavora un po’ anche come interprete poi viene
liberato e tornato a casa la situazione economica è molto difficile, deve fare tanti mestieri
diversi per aiutare sua madre e i fratelli minori, ma in qualche modo riesce anche a
proseguire gli studi musicali che aveva interrotto bruscamente quando era stato
richiamato nell’esercito. Quindi è un avvio in momenti difficili, un avvio graduale che un
po’ alla volta consente all’artista valere i propri talenti. Ma Hans non si trova a proprio agio
nel clima musicale, culturale della Germania del secondo dopo guerra che per quanto
riguarda la musica è dominato da uno stile fortemente caratterizzato in senso radicale e
sperimentale, Hans è un compositore moderno ma non è un compositore radicale. Crede
cioè che il compositore debba, pur senza rinunciare alla propria modernità, sforzarsi di
sviluppare un costante dialogo anche se difficile con il pubblico. La sua posizione comincia
a diventare una posizione difficile in Germania perché sia i suoi colleghi più radicali, sia la
critica musicale più impegnata gli rimproverano di essere un compositore troppo all’antica,
troppo comunicativo, troppo “facile” in un’epoca in cui andava di moda la difficoltà più
estrema. Poi c’è un altro elemento di dissonanza tra Hans e la Germania del secondo dopo
guerra legato a un tratto personale, cioè al fatto che è omosessuale e questo gli crea delle
difficoltà. Così come gli crea delle difficoltà il fatto di essere dichiaratamente di sinistra e di
opinioni politiche appunto legate al marxismo ecc… tutto questo nella Germania del
secondo dopo guerra non è accettato molto bene o comunque è un terreno di dibattiti
molto accesi. Per queste e per altre ragioni, all’inizio degli anni 50 decide di lasciare la
Germania e di trasferirsi in Italia che appare una nazione più libera e che gli offre un
contesto in cui potrà meglio esprimere non soltanto sè stesso come persona, ma anche la
sua personale concezione della musica. Naturalmente dal punto di vista dei popoli nordici
l’Italia è il Mediterraneo, sole, luce, una vegetazione perennemente rigogliosa, è la storia, è
l’arte. Parliamo tra l’altro di un’Italia, certo ferita dalla guerra, ma per certi aspetti ancora
riservata da un punto di vista paesaggistico, nel senso che l’epoca della cementificazione
del nostro paese non è ancora cominciata. In particolare Hans ama il meridione d’Italia,
trascorre un certo periodo in Sicilia, poi si trasferisce sull’isola d’Ischia, adora la Campania,
le isole davanti a Napoli, Napoli stessa e la costiera amalfitana, il paesaggio, le persone e
dunque diventa un artista tedesco in esilio dalla Germania e italiano d’adozione. Ad un
certo momento della sua vita Hans si trasferirà in un bellissimo paese della Toscana che si
chiama Montepulciano in cui fonda un importante festival di arti contemporanee che
decide di chiamare cantiere internazionale di arti contemporanee. Due parole meritano
una certa attenzione: cantiere e arti. Cantiere perché l’idea di Hans non è quella del
festival che pone degli spettacoli, bensì proprio l’idea del cantiere cioè l’idea di invitare a
Montepulciano giovani artisti e costruire con loro dei progetti, degli spettacoli proprio
specifici per quel luogo, per quel contesto. Quindi cantiere significa lavorare insieme alla
realizzazione di progetti comuni coinvolgendo non soltanto musicisti, compositori o
strumentisti bensì artisti di tutti i generi e infatti il cantiere non è un cantiere
internazionale di musica contemporanea bensì è un cantiere internazionale di arti
contemporanee, quindi musica, teatro di prosa, teatro d’azione, arti figurative, cinema,
fotografia ecc… anche la genesi del progetto Pollicino avviene nel contesto del cantiere di
Montepulciano e non a caso l’opera è dedicata ai ragazzi di Montepulciano. anche quando
Hans comincia a diventare un compositore decisamente internazionale e comincia a
viaggiare per il mondo, la sua patria d’adozione rimane l’Italia, si trasferirà
successivamente in campagna nei pressi di Roma e tornerà soltanto alla fine della sua vita
in Germania dove muore nel 2012. Giuseppe di leva nonché il librettista di pollicino, anche
se non più giovanissimo, è ancora vivo. L’ultima opera teatrale di Hans è ghisela, cioè la
versione tedesca di Gisella, ed è quasi autobiograficamente la storia di una turista tedesca
che visita Napoli e se ne innamora. Poi tornerà in Germania portando con sè un giovane
aitante colto pulcinella. Hans ha scelto di chiudere la sua carriera con un’opera forse un po’
ingenua sotto certi aspetti, ma con una connotazione autobiografica che costituisce un
ultimo gesto di affetto nei riguardi di un paese in cui si è sentito a casa.
Egli ha un catalogo abbastanza articolato, sembra il catalogo di un compositore classico in
cui c’è musica da camera, opere teatrali, sinfonie, altra musica sinfonica per solisti o
orchestre, musiche per film ecc…
Guardando un po’ le opere teatrali vediamo che non sono poche, sono per lo più opere
“per adulti” e poi vediamo in un punto cronologicamente centrale Pollicino, indicata come
opera per bambini. Tra le opere più importanti abbiamo: Boulevard solitude, de junge lord,
die bassariden ecc…
Pollicino è un’opera scritta nel contesto del festival di Montepulciano e che viene realizzata
tra il 1979/80. Va in scena nell’agosto del 1980, è la data della strage di Bologna, giorno in
cui esplode una bomba nella sala d’attesa di seconda classe della stazione a Bologna.
Questa pone Hans alla scelta drammatica se realizzare lo spettacolo o no. Alla fine si va in
scena, per non spegnere questa luce di civiltà, di cultura e musica.
In pollicino ritroviamo una casa, un bosco, in cui vive una famiglia disperata in cui i genitori
si pongono lo stesso e angosciante dilemma di Hansel e Gretel e assumono la stessa
decisione. Dunque soprattutto la parte iniziale dei due racconti è molto simile: da un lato ci
sono i due fratellini e dall’altro ci sono Pollicino e i suoi fratelli. La casa in cui vivono è ai
limiti del mondo conosciuto, ai margini di un bosco labirintico e la famiglia è
oggettivamente povera e dunque decidono di abbandonare i bambini nel bosco. Pollicino è
il più piccolo dei fratelli e in realtà anche il più astuto, inventa alcuni stratagemmi per
riuscire a tornare a casa però poi questi stratagemmi falliscono e pollicino e i suoi fratelli si
ritrovano soli di notte nel bosco. Fino a questo punto la trama segue in maniera
abbastanza letterale il testo della fiaba originale, ma dopo questo momento le cose
cambiano, poiché Hans e Di Leva modificano il percorso narrativo in maniera significativa
fino a cambiare totalmente il finale e ad imprimere all’intera vicenda un senso e un
significato diverso. Quando i bambini si trovano definitivamente sperduti nel bosco,
pollicino e i suoi fratelli si imbattono in un gruppo di animali capeggiati da un lupo. Questi
animali sono un po’ minacciosi e un po’ amichevoli e ancora una volta viene posto in primo
piano il tema dei rapporti tra animali e bambini. Gli animali confabulano fra di loro con un
linguaggio immaginario e propongono a pollicino di accompagnarli verso un’altra casa e
dopo esserci consultati fra di loro, accettano il consiglio degli animali e si ritrovano dunque
in questa casa nel bosco in cui sperano di trovare salvezza e invece trovano un orco cattivo
che mangia bambini e sua moglie che però cerca di aiutare pollicino e i suoi fratelli. L’orco
e sua moglie hanno delle figlie, una di loro si chiama Clotilde, le altre sono le orchessine e
si creano due gruppi speculari di ragazzi e ragazze. Da un lato pollicino e i suoi fratelli e
dall’altro Clotilde e le sue sorelle. Nella fiaba popolare tramite un astuto stratagemma,
pollicino riesce a far si che l’orco divori le sue stesse figlie. Nell’opera di Hans invece questo
episodio viene omesso e al suo posto c’è una sorta di riconoscimento emotivo tra i due
gruppi che in qualche modo si accorgono di condividere un destino analogo. Allora si crea
nella notte una sorta di alleanza, riaffiora il tema dell’Unione che fa la forza e insieme
decidono di fuggire. Ad un certo punto la loro fuga si arresta davanti ad un fiume in piena e
quindi devono superarlo. Allora decidono di creare una catena umana e insieme riescono a
superare l’ostacolo. Quindi a differenza della fiaba popolare qui pollicino non torna a casa
bensì insieme con Clotilde e le sue sorelle si avvia verso un futuro che non si sa se sarà
felice o no. Il finale di pollicino è un finale aperto, nel senso che la storia non si conclude in
maniera definitiva ma si conclude su una prospettiva, si conclude su una strada aperta che
i ragazzi e le ragazze trovano difronte a sè che li porterà verso i successivi momenti della
loro vita. Alla fine risuona una bella canzone nello stile dello stornello toscano che inneggia
al ritorno della primavera.
Da un punto di vista produttivo dello spettacolo Hans immagina un cast vocale di tutti i
cantanti non professionisti, adulti e bambini naturalmente, sono adulti i genitori di
Pollicino, l’orco, l’orchessa; sono invece ragazzi pollicino e i suoi fratelli, Clotilde e le sue
sorelle e anche gli altri animali del bosco. L’Idea di Hans era che gli interpreti dello
spettacolo fossero gli abitanti di Montepulciano, perché gli piaceva questa idea di
coinvolgere nel cantiere tutti i non professionisti. in realtà le parti vocali che la compone
sono un po’ troppo difficili per dei cantanti non professionisti a meno di non disporre di un
tempo di prove molto molto lungo quindi nella realtà dei fatti i ruoli del padre, della madre
di Pollicino, dell’orco ecc sono interpretati da giovani cantanti professionisti, studenti di
una classe di canto, studenti appena diplomati. Mentre il gruppo Pollicino più i suoi fratelli
e il gruppo Clotilde più le sue sorelle può essere interpretato da ragazzi, anche se
obiettivamente le parti vocali sono abbastanza difficili quindi ancora una volta tutto ciò
richiede un tempo di prove abbastanza lungo. L’orchestra prevede sostanzialmente archi,
strumenti a fiato, percussioni, con la possibilità di utilizzare per esempio nella scena degli
animali nel bosco lo strumentario Orff e dunque coinvolgere anche dei piccolissimi
musicisti o comunque dei musicisti molto giovani che suonano gli strumenti dello
strumentario Orff. In realtà a questa compagnia orchestrale si aggiungono tre musicisti
adulti che suonano rispettivamente il violino, la chitarra e il pianoforte. dunque l’idea
complessiva è quella di costruire uno spettacolo coinvolgendo cantanti adulti e bambini,
orchestra scolastica, piccolissimi che suonano gli strumenti dello strumentario Orff e anche
tre musicisti professionisti e ai quali Hans ha riservato delle parti solistiche di un certo
rilievo. La durata di Pollicino è più di un’ora e questo rende difficile la produzione
dell’opera nell’arco di un anno scolastico all’interno di una scuola per esempio ad indirizzo
musicale. Allora la soluzione che è stata adottata a Palermo è stata quella di individuare
determinate scene chiave e produrre soltanto quelle scene collegate da una narrazione
parlata. La storia viene narrata da un narratore, a Palermo fu lo stesso Giuseppe di leva,
poi in determinati momenti della storia è come se si aprisse un libro pop-up, quei libri in
cui appena uno apre si alzano e si compongono delle figure e quindi si illumina il
palcoscenico e si realizzano musicalmente, vocalmente e scenicamente alcune parti
dell’opera. Lo spettacolo è stato infatti rappresentato a Palermo con il titolo concordato
scene da Pollicino quindi non pollicino per intero. Naturalmente queste scene sono scelte
anche in relazione alle possibilità, alle risorse e al tempo di studio e di prove
effettivamente disponibili. Questo tipo di soluzione in linea di principio consentirebbe che
magari l’anno scolastico successivo vengano studiate e realizzate delle altre scene e che
quindi alla fine del percorso l’opera possa essere rappresentata per intero.

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