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Lezione 1 25 Settembre 2017

Fondamenti e Metodi della Progettazione Industriale


Il disegno rappresenta una decisione del progettista, un’idea di progettazione ed è il
risultato finale di tutta una serie di attività decisionali. Il corso fornisce una serie di
metodi e di considerazioni, da come si passa da un’esigenza, un’idea, fino ad arrivare
al disegno. Il percorso infatti lo stiamo facendo al contrario perché abbiamo fatto
prima disegno, poi abbiamo imparato a prendere decisioni progettuali a grafica
computazionale, ma a monte di ciò c’è l’esigenza di progettare qualcosa, e nel corso
ragioneremo su questo.
 Contenuti del corso

 Marketing: dalla strategia dell’impresa … attraverso il marketing analitico … ai


bisogni del cliente.
In un processo di sviluppo prodotto non si può prescindere dal marketing, perché
devo tener presente quelli che sono i bisogni del cliente. I gestionali arriveranno
a capire quali sono i bisogni del cliente.
 Sviluppo prodotto: dai bisogni del cliente … alle specifiche di prodotto … al
concept di prodotto.
Il bisogno del cliente può essere trasformato in un concept di prodotto, quindi si
passa dai bisogni del cliente alle specifiche del prodotto, per poter soddisfare quei
bisogni, fino ad arrivare ad un concept di prodotto.
 Marketing: dal concept di prodotto … alla definizione del modello di business
e del marketing mix.
I gestionali poi devono declinare il concept in termini di 4 p (prodotto, prezzo,
promozione, distribuzione e modello di business con cui si vuole arrivare al
mercato).
 Sviluppo prodotto: dal concept di prodotto … al prototipo
I meccanici prendono questo concept e ne faranno un prototipo

Ogni gruppo dovrà seguire questo processo con un prodotto definito dal gruppo
stesso. Infatti i gruppi devono essere misti, così da un lato si definisce il modello di
business e di marketing mix, e dall’ altro si arriva al prototipo. Ovviamente siamo
responsabili tutti insieme del progetto.
Esistono molti metodi per la progettazione, ognuno a sé stante. Perché si è detto che
se procedo con un’attività di progettazione con questa logica viene fuori un buon
progetto, un altro ha detto facciamo in un altro modo e così via. Quindi non c’è una
strutturazione delle metodologie. Nel corso daremo una catalogazione dei metodi e
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si proverà a dare una logica di ragionamento per vedere ogni metodo dove può
essere utilizzato. Per ogni metodo esiste almeno un libro.
 Modalità d’esame
La maggiore parte dell’esame è relativa al gruppo, ovvero ci saranno:
 Presentazioni intermedie (gruppo)
 Elevator pitch (gruppo)
 Scritto teorico (individuale)
 Progetto finale (gruppo)

Il voto che uscirà sarà relativa a gruppo ma poi ci sarà una discriminazione rispetto
ad uno scritto teorico che è individuale e con voto individuale.

 Progetto
Per l’esame servirà un elaborato del progetto in word nel quale non bisogna riportare
assolutamente la teoria vista a lezione, ma l’applicazione, come abbiamo applicato
quella metodologia. Deve essere strutturato come un articolo scientifico con abstact
ed introduzione, quindi deve essere piuttosto breve (15 pagine). Deve essere in
inglese. La presentazione può essere fatta in power point o in altro modo a piacere,
e anche qui non dobbiamo riportare la teoria, e avremo 15 minuti per presentare. La
presentazione va fatta tutti insieme indipendentemente poi da quando uno va a fare
lo scritto o meno, che può fare anche da solo. La realizzazione del prototipo serve
per valutare gli altri 3 crediti, che può essere anche un prototipo virtuale. La
valutazione di quei 3 crediti sarà appunto rivolta a come noi riusciamo a passare da
un concept di prodotto ad un progetto di prodotto. In questo caso si parte da un
qualcosa che non esiste in commercio e lo dobbiamo definire completamente noi.
Ciò che si valuta è: l’inventiva, integrazione tra marketing e sviluppo prodotto,
intraprendenza (vedremo delle metodologie ma volendo possiamo usarne anche
altre che non abbiamo visto a lezione cerchiamo di fare qualcosa di diverso),
completezza di analisi (la parte teorica deve essere applicata, e deve essere
completo anche dal punto di vista analitico), presentabilità (la presentazione
dell’elaborato, delle slide, di come parliamo, capacità di presentare del progetto,
dobbiamo essere bravi a comunicare).
 Scritto
Ci sono domande a risposta aperta, noi avremo 1 domanda su sviluppo prodotto in
mezz’ora. Potrebbe anche essere che abbiamo un’ora come i gestionali e in più
avremo una domanda sulla parte che facciamo da soli. Dobbiamo inquadrare bene
il problema e contestualizzarlo, oltre che ad avere capacità di sintesi ed essere chiari.
Scritto teorico significa che ci sono domande teoriche, ma si può far riferimento ad
esempi pratici, per cui possiamo fare qualcosa di personale e di elaborato senza fare
gli stessi esempi del libro. Se la domanda è: in questo contesto, per questo tipo di
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prodotto quale pensiamo sia il metodo migliore da applicare tra i vari metodi di
progettazione, ci deve essere una comparazione tra i vari metodi che conosciamo, il
che vuol dire che non si deve entrare nel dettaglio di un metodo e spiegarlo, ma dire
perché un metodo è migliore, e perché un altro metodo è così così, e perché un altro
metodo è meglio non usarlo proprio. Ci devono essere considerazioni sul problema
che viene posto. Infatti lo scopo non è sapere tutto per bene dei metodi, ma si vuole
vedere la capacità, tipica dell’ingegnere, di capire caso per caso cosa fare, come
procedere e quale metodo applicare. La conoscenza della teoria si valuta proprio con
lo scritto ecco perché non dobbiamo mettere teoria nel progetto.
 Elevator Pitch
L’elevator pitch è un discorso da fare nel tempo di salita di un ascensore (2minuti).
È un tipo di presentazione che viene fatta tipicamente quando si fanno contest, gare
di idee, business plan. Si ha così poco tempo perché un potenziale investitore o un
finanziatore si convince in 2 minuti di presentazione, perché questa persona non può
ascoltare decine di progetti per molto tempo e non può entrare nei dettagli di ogni
singolo progetto. Quindi i due minuti servono a presentare il problema e come lo
risolvo, quindi quali sono i potenziali clienti a cui mi rivolgo. Il pitch si fa ad un team
di esperti esterni. Visto che il l’esame lo fa poi chi è pronto (non è detto che si faccia
insieme), questa parte del pitch la devono avere tutti pronta, poi può essere che non
si ha un prototipo o comunque può mancare la parte finale, ma comunque dobbiamo
fare tutti il pitch. Gli esperti possono farci domande e mettere in crisi il progetto, i prof
valuteranno la capacità di reagire a queste provocazioni (oltre a presentazione, …).
Se però loro ci danno l’ok sul progetto l’esame lo possiamo anche se ce lo smontano
gli esperti. Si valuterà il modo di lavorare sull’ idea di partenza e non l’idea finale; è
importante il metodo, anche se gli esperti ci dicono che l’idea non serve a niente ma
il metodo è stato corretto, va bene lo stesso. È una soddisfazione in più il fatto di
avere un’idea innovativa che funzioni. Alla fine è importante per capire se poi si può
effettivamente investire successivamente sulla nostra idea e se questa ha delle
potenzialità extra corso.
 Presentazioni intermedie
Sono fatte per andare avanti con il progetto. Si faranno sempre il venerdì:
• Venerdì 13 ottobre: ciascun gruppo dovrà presentare il problema (bisogno
insoddisfatto) che intende risolvere
• Venerdì 20 ottobre: ciascun gruppo dovrà presentare i requisiti funzionali del
problema e il questionario che intende sottoporre al mercato
• Venerdì 3 novembre: ciascun gruppo dovrà presentare almeno 4 concept
alternativi che risolvono il problema scelto
• Venerdì 17 novembre: seminario di ing. Stefano Troncone, esperto di brevetti
ciascun gruppo dovrà presentare il concept «vincitore» all’esperto
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• Venerdì 1 dicembre: seminario di dott. Valerio De Martino, dirigente aziendale
ciascun gruppo dovrà presentare il business model selezionato all’esperto
Ciò che si deve evitare di fare è di pensare “voglio fare un prodotto che faccia
questo”, prima del 17 novembre non dobbiamo proprio pensare a quale sia il
prodotto. Se lo si fa si sbagliano tutte le considerazioni precedenti, perché non si fa
un’analisi oggettiva dei problemi se abbiamo già un’idea del prodotto. Non bisogna
pensare a come risolvere il problema ma si deve pensare bene all’essenza del
problema. Per il 13 ottobre ciascun gruppo in maniera sintetica deve presentare il
problema (non necessariamente con una presentazione power point), possiamo
ancora parlare con i prof del problema, ma il 13 il problema deve essere bloccato. Il
20 ottobre si devono presentare requisiti funzionali e parametri di progetto del
problema che si vuole analizzare e costruire il questionario che i gestionali devono
porre al mercato per capire se il problema che abbiamo pensato è sentito dalle
persone, da chi, che tipo di clienti possiamo soddisfare, … ad esempio se ho il
problema di avere troppe tessere fedeltà nel portafogli da questionario si è dedotto
che le persone avevano il problema di perdere molto tempo alla cassa e che il
portafoglio era ingombrante, quindi i requisiti funzionali sono tempo e spazio. E il
problema tempo lo avevano soprattutto le donne, perché perdevano tempo a trovare
la carta alla cassa ma non avevano problemi di spazio perché hanno borse grandi,
mentre il problema degli uomini era lo spazio perché evidentemente il portafogli
maschile deve essere più compatto. Quindi requisiti e questionario vanno insieme,
perché una volta capito qual è il problema (troppe tessere), il fatto di dire che ci sono
due problemi relativi (tempo e spazio), ha ritrovato una segmentazione di mercato
con il questionario. Si può capire intuitivamente che un prodotto è un oggetto che
svolge una o più funzioni, in realtà non è mai una sola funzione, che è la più
importante, ma ci sono una serie di funzioni che sono ugualmente importanti (un
telefonino deve fare le telefonate, ma fa altre cose). Quindi ci sono sempre una serie
di cose che vanno messe insieme e vanno valutate; il problema sta proprio nel fatto
che voglio soddisfare tutte queste esigenze che stanno all’interno del prodotto senza
danneggiarne altre, e queste scelte cambiano a seconda del mercato a cui mi rivolgo.
Quindi la prima fase è capire il problema e capire cosa deve fare il prodotto che
ancora non conosco, che mercato accontentiamo soddisfacendo alcuni requisiti e
quale mercato accontentiamo se soddisfiamo altri requisiti, …
Per il 3 novembre si devono pensare almeno 4 concept alternativi che risolvano il
problema e ci avviciniamo alla soluzione. Per il 17 novembre c’è un seminario e
dovremo presentare il concept vincitore. Il 1 dicembre dovremo parlare del business
model che abbiamo scelto per arrivare sul mercato col nostro prodotto. È possibile
approfittare dei consigli che ci possono dare queste persone che lavorano sul campo,
per cui cerchiamo di rispettare le date. Il 15 dicembre, alla fine del corso, ci dovranno
essere le rifiniture in vista del pitch. In tutte le date, quando faremo le presentazioni
informali, i prof ci indicheranno se stiamo proseguendo nel modo corretto, cose
alternative, ecc. …
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Pensando al problema delle troppe chiavi da portare in giro devo capire se ci metto
troppo tempo a trovare la chiave giusta o che pesano, sono entrambi problemi e devo
capire a quale voglio dare priorità anche per capire a quale cliente dare importanza,
perché magari c’è un cliente che è disposto a spendere di più.
La riuscita di un’idea innovativa sta anche nel modo in cui si presenta (esempio dello
spinner che è stato presentato dai cinesi come un gioco e non come oggetto
terapeutico), ecco perché ci fanno fare il pitch e le presentazioni.
«Research is turning money into knowledge innovation is turning knowledge back
into money»: la ricerca è ciò che permette di trasformare denaro in conoscenza,
l’innovazione è il processo che permette di trasformare la conoscenza di nuovo in
denaro.

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Lezione 2 28/09/2017
Introduzione
Questo corso si baserà molto sullo user-centered design (progettazione centrata
sull’utente), in cui tutto ciò che si progetta è orientato a ciò che, chi utilizzerà il
prodotto vuole o comunque pensa di volere.
Il problema che non ci si è mai posti è: se metto un progetto a confronto con un altro,
chi deve pagare, quale sceglierà? E perché? In particolare quando si confronta un
progetto con un altro: qual è il migliore? Esiste un migliore?
Se si confronta una Ferrari con una Fiat 500 (sono due concetti completamente
diversi di un oggetto che ha esattamente le stesse funzioni di base) ci si accorge che:
entrambe hanno quattro ruote, un volante, un parabrezza, gli specchietti, …; di base
questi due oggetti hanno la stessa funzione, ma sono completamente diversi.
Ovviamente non tutti possono acquistare Ferrari e in ogni caso non è detto che sia
migliore. Se si abita in centro, dove non si trova parcheggio e si hanno svariati
problemi sul parcheggiare l’auto magari conviene avere una Fiat 500 piuttosto che
una Ferrari. Il valore del prodotto non dipende solo dal fatto che esso abbia
prestazioni eccezionali, ma dal fatto che le prestazioni che esso ha coincidono con
ciò che serve (al di là del discorso economico, che comunque ha un suo peso).
Molti progetti e molte scelte che si fanno non dipendono solo dal fatto che l’oggetto
funziona o meno, ma dipendono anche dal capire cos’è meglio nel caso in esame.
Quindi a partire dalle stesse specifiche vengono fuori prodotti differenti; tutto dipende
dall’equilibrio tra le varie esigenze; è possibile realizzare una vettura più bella o
magari più maneggevole: in generale quando si migliorano determinate
caratteristiche si vanno a peggiorare le altre. Pertanto i metodi di progettazione sono
“multi-criteriali” in quanto bisogna trovare l’equilibrio tra diverse esigenze. Nell’ambito
della meccanica pura si trova l’equilibrio tra: lavorabilità, efficienza energetica,
economicità, peso, …. Nell’ambito della progettazione meccanica si parla spesso di
riduzione dei pesi: il costo dei componenti di una bicicletta in relazione alla riduzione
di peso sale vertiginosamente (essi però sono in grado di fare la differenza). Con
autovetture in alluminio, si riuscirebbe ad alleggerire notevolmente la struttura
avendo minori consumi; d’altro canto se la vettura è troppo leggera ed il motore è
molto potente si rischia di non avere stabilità: per cui è necessario trovare un
compromesso tra leggerezza (per ridurre i consumi) e pesantezza (per aumentare la
stabilità). Esistono dunque molte situazioni di contrasto, ossia esigenze differenti per
le quali è necessario trovare dei compromessi.
Nell’ambito gestionale il compromesso è tra le differenti richieste del mercato. Ogni
persona ha un gusto differente magari nel vestirsi; se si sceglie di vendere solo
maglie bianche, questo accontenta solo parte del mercato; poi ci si deve porre il
problema del tessuto (cotone, lana, …): magari una persona non preferisce le maglie
bianche in cotone, ma se sono in lana sì. Quindi è necessario trovare un
compromesso tra ciò che viene dal mercato.
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Il compromesso viene trovato anche tra i parametri di progetto. Se si deve realizzare
un contenitore si può scegliere di farlo molto largo e poco profondo o magari di forma
quadrata, in funzione del fatto che esso debba essere messo in uno scaffale piuttosto
che in un armadio, …; quindi magari a parità di volume è possibile dare una diversa
forma all’oggetto; si parla dunque di compromesso sui parametri di progetto o meglio
sulle specifiche tecniche.
Magari per ottenere un compromesso nell’ambito del mercato bisognerà realizzare
un prodotto, quale ad esempio un’autovettura, che: raggiunga almeno 100 /ℎ, non
è lungo più di 3.20 , ci devono essere almeno 4 posti, è necessario un bagagliaio
in cui ci vanno almeno 2 buste della spesa, …; si stanno dunque dando delle
specifiche di compromesso che hanno poi effetto sulla configurazione della vettura.
Per cui le metodologie di progettazione servono per fare delle valutazioni di
compromesso all’interno di specifiche tecniche ben definite.
Il marketing fa sì che si riesca a capire che prodotto si deve realizzare e quali sono
le specifiche tecniche; rispetto alle specifiche tecniche poi è possibile adottare
soluzioni differenti in cui anche in questo caso è necessario trovare un
compromesso.
Si parlerà di ottimizzazione di progetto in termini di compromesso tra le prestazioni
che non incidono sulle specifiche tecniche; le specifiche tecniche vanno a misurare
le prestazioni che si devono ottenere (arrivare almeno a 100 /ℎ, avere un sistema
di sicurezza, …). Quindi bisogna ottimizzare i componenti una volta che si è avuta
un’idea del concept di prodotto: i metodi utilizzati sono gli stessi.
Esiste una mega matrice di contraddizioni tecniche: si vuole per esempio migliorare
la rigidezza senza peggiorare la leggerezza o viceversa si vuole migliorare la
leggerezza senza peggiorare la rigidezza; sembra la stessa cosa, ma in realtà non è
così in quanto l’inversione pone l’evidenza su ciò che già va bene e su ciò che si
deve migliorare; magari si è già raggiunto un livello soddisfacente di rigidezza, ma
l’oggetto non è leggero o anche viceversa; le azioni che è possibile intraprendere per
alleggerire l’oggetto sono certamente differenti da quelle che si può fare per
aumentare la rigidezza. La mega matrice delle contraddizioni suggerisce in qualche
modo come procedere (si parla di metodo triz).
Prototipazione è un termine molto ampio; il prototipo è un qualcosa che serve per
valutare una o più funzioni del progetto. Se si realizza un prototipo in scala di un
generatore eolico, magari non girerà sotto l’azione del vento o se anche gira l’albero
non regge, ma è possibile far girare le eliche in altro modo (con una mano ad
esempio) per vedere se effettivamente il sistema funziona, per capire se c’è uno
sbilanciamento, per vedere se si riesce a montare il tutto, …; per cui il prototipo si
realizza per valutare aspetti tecnici o anche di marketing. Anche il disegno è un
prototipo. A valle di questo poi, c’è una fase di ingegnerizzazione. Nell’ambito
dell’elettronica (per quanto riguarda i cellulari ad esempio) finché non si è sicuri delle
funzioni che si vogliono implementare non si passa alla fase di ingegnerizzazione
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andando a miniaturizzare tutti i componenti, ma si utilizza qualcosa (ad esempio
“Arduino”) in cui si mettono assieme dei pezzi molto grossi (non miniaturizzati) per
capire se il sistema è efficace, se funziona, se serve, …. Nella storia Apple ad
esempio l’iPad è un qualcosa che è nato molti anni fa e veniva utilizzato solo dai
responsabili dei magazzini; sulla base di tutti i commenti che sono venuti fuori il
prodotto è stato chiuso ed è stato messo in commercio (il prodotto era già stato
definito, ma non era pronto per il mercato, almeno per gli standard Apple). Molti
prodotti sono morti prima di essere stati messi in vendita perché magari già dal
prototipo si era capito che alcune cose non andavano bene. Disegnando su
solidworks per esempio si realizzano dei modelli 3-D che sono nient’altro che dei
prototipi virtuali; nel momento in cui si va a movimentare il componente, si vanno a
fare delle simulazioni (con gli elementi finiti) si è di fatto realizzato un prototipo. Quindi
il prototipo potrebbe essere sia virtuale che fisico (oggetto materiale).
La startup è un’azienda giovane che nasce da un’idea particolare; se l’idea è quella
di fare il pasticciere non si apre una startup, ma si apre semplicemente una
pasticceria; tuttavia se si decide di vendere un prodotto che ha delle particolarità che
nessun’altro oggetto ha (ad esempio si vende un nuovo tipo di dolce fatto con degli
ingredienti particolari che nessun altro ha), allora si sta realizzando una startup. Se
in particolare tale idea nuova viene fuori da una ricerca scientifica si può parlare di
startup innovativa; inoltre se questa startup innovativa, viene fuori da una ricerca o
da particolari competenze acquisite all’interno dell’università si può parlare di spin-
off. Lo spin-off deve avere il timbro dell’università: si chiede all’università
l’autorizzazione a utilizzare i risultati della ricerca ottenuti durante una tesi, un
dottorato, … (l’università entra dunque in società con la persona o le persone che
vogliono portare avanti quel progetto innovativo). È un mondo molto particolare in
quanto è quello dei progetti e dei prodotti che hanno qualcosa di nuovo rispetto a tutti
gli altri (oggetti che hanno una caratteristica di innovazione); avere un prototipo da
mostrare e da far toccare quando si realizza qualcosa di innovativo è qualcosa che
incide molto sulla possibilità di essere finanziati da un notevole numero di persone
che cercano idee nuove (se l’idea nuova è valida i finanziatori guadagnano). Questa
cosa in America è molto più diffusa, in quanto si è visto che una ogni dieci startup
sfonda sul mercato portando soldi anche all’università; il guadagno che si ricava in
tal caso è sufficiente a coprire l’investimento sulle altre nove startup che non hanno
successo e a guadagnarci addirittura.

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Lezione 3 FOMPI 29/09/17

Teorie della progettazione: approcci matematici, logici e metodologici per la


valutazione delle soluzioni sviluppate.

Cosa significa progettare?


In ingegneria e architettura, il complesso degli elaborati (disegni, calcoli e relazioni)
che determinano le forme e le dimensioni di un’opera da costruire (edificio, impianto,
macchina, strada, ecc.), ne stabiliscono i materiali, il modo di esecuzione, le
particolarità costruttive, i reciproci impegni tra committente e costruttore e ne stimano
il costo (in alcuni casi vi è compresa anche una relazione sulla ricerca preliminare
che ha determinato le scelte). La prima parte è legata più all’ingegnere meccanico la
seconda parte all’ingegnere gestionale.

Il grafico sopra riportato rappresenta la storia del prodotto, dal punto di vista del
tempo e dal punto di vista dei flussi di cassa. Cosa significa la scritta opportunità?
Significa che ad un certo momento, durante le fasi di un’azienda ecc., è giunto il
momento di creare il prodotto (il mercato chiede questo prodotto); ad esempio, la
diffusione degli smartphone e l’elevato utilizzo degli smartphone nella vita di tutti
giorni ha creato un problema, cioè la batteria si scarica presto. Infatti, c’è stato un
momento nella nostra storia, dove avevamo bisogno di caricare più volte il cellulare
in una giornata attraverso la rete elettrica. Quindi qualcuno ha capito che bisognava
creare un qualcosa che potesse risolvere questo problema, e così furono create le
power bank (è ovvio che ha dovuto studiare e progettare la capacità della power
bank, il tipo di ricarica, uniformità degli attacchi ecc.). questo è per far capire come
può nascere un’idea, e una volta che ho un’idea magari sviluppiamo quel tipo di
prodotto perché siamo convinti che quel prodotto possa avere successo, quindi
dobbiamo avviare l’attività di progettazione. L’attività di progettazione ha un costo,
che può essere anche molto consistente, ovviamente dipende dal prodotto, ma
questo perché? Perché magari dobbiamo pagare la persona che deve fare i disegni
ecc. Supponiamo che noi siamo dei bravi progettisti e affrontiamo tutto il progetto da
soli, dobbiamo comunque pensare che quel lavoro/tempo che noi impieghiamo per
fare il progetto deve essere in qualche modo pagato; ad esempio se noi facciamo i
disegni a mano, dobbiamo comprare i fogli, le matite ecc. se facciamo i disegni in
autocad dobbiamo comprare la licenza. Quindi l’attività di progettazione ha un costo
legato alle persone che fanno il progetto, alle attrezzature che servono per
progettare, creazione dei prototipi ecc.
Ritornando al discorso della power bank, in base a quello che decido, cioè voglio che
la power bank riesca a caricare interamente due telefoni oppure che ne ricarica
mezzo, in base a quello che scelgo cambia la configurazione del prodotto, i costi, il
successo del prodotto, ingombri ecc.
Se voglio che la batteria del mio telefono duri di più, magari la devo fare più grande,
quindi aumenteranno i costi, aumenterà l’ingombro (magari se è troppo grande è
scomoda e non la compreranno) e così via. (bisogna trovare il giusto compromesso)
Una volta che abbiamo deciso come fare il nostro prodotto dobbiamo industrializzare
il nostro progetto; una volta scelto con che tipo di materiali fare il nostro prodotto,
iniziamo a vedere come assemblare tutti i componenti, chi mi produce i componenti
quindi devo affrontare tutti i problemi di realizzazione.
FCA quando progetta l’automobile, progetta anche la linea di produzione e lo
stabilimento dove fare quell’automobile. Tutte queste attività richiedono un certo
tempo e dei costi. una volta che viene realizzato il primo prototipo, e la linea del
grafico inizia a salire, più la salita ha elevata pendenza più il prodotto ha successo.
Se il prodotto ha avuto successo è perché magari chi ha realizzato il prodotto ha fatto
anche una buona pubblicità oltre che un prodotto valido.
La retta diventa orizzontale quando si ha un consumo costante, questo succede ad
esempio col pane, perché ovviamente la quantità di persone è pressoché la stessa
e l’alimentazione è sempre la stessa. Può cambiare però la concorrenza, se abbiamo
qualcuno che si mette in concorrenza con noi, la curva del grafico si può abbassare.
Quindi, dal grafico si vede che quando partiamo con un nuovo prodotto, la prima fase
è sempre legata ai costi e non sapremo come sarà la curva finale, sappiamo solo
che le decisioni che prendiamo nella fase di progettazione sono decisioni che
influenzeranno pesantemente il tempo che avrà la curva di vendita e l’altezza della
curva di vendita. A volte può capitare anche di creare un prodotto, ma di questo
prodotto non si capisce l’utilità e quindi non avrà successo. Perché le aziende sono
interessate ai metodi di progettazione? Sono interessate per due motivi:
1) Si riducono i costi, perché con un metodo di progettazione si è in grado di
andare a gestire e ottimizzare le attività di progettazione, poiché chiunque si
trova a lavorare a quel progetto deve seguire quel sistema, e si avrà in meno
tempo il prodotto. (a volte è capitato che chi ha fatto per prim un prodotto, le
persone si ricorderanno più di me che di altri che hanno fatto successivamente
un prodotto simile; per arrivare prima degli altri magari faccio un prodotto
buono ma non ottimo, perché magari andare a cercare l’ottimo si impiega
troppo tempo)
2) I metodi di progettazione consentono di strutturare la conoscenza, cioè
mettere su carta tutti i concetti di tutte le spiegazioni di perché sono state fatte
delle scelte e perché sono state scartate delle altre. Se un progettista va in
pensione, e ne assumo un altro, il nuovo arrivato non partirà proprio da zero.
A volte però può capitare che quella persona che sa fare bene il suo lavoro,
non rivela tutti i suoi trucchi del mestiere in modo tale da rendersi sempre
indispensabile per quell’azienda.

Progettare non significa fare solo un disegno e delle relazioni tecniche ma significa
soprattutto prendere delle decisioni che avranno effetto sul momento dell’attività di
progettazione ma soprattutto sul futuro, sulla durata del mercato e sull’azienda che
da il lavoro. Lo sviluppo del prodotto prevede la fase di:

1) Progettazione decidere che cosa si vuole fare


2) Dimensionamentofare un disegno dettagliato
3) Ingegnerizzazione cambiare la mia idea del progetto in maniera tale che può
essere realizzabile, perché magari quel prodotto non può essere fatto nello
stesso modo di come l’ho pensato oppure perché costa troppo ecc. posso
scoprire anche di andare a cambiare le dimensioni. Per questo le tre aree sono
in parte sovrapposte

L’evoluzione delle performance tecniche del prodotto può essere rappresentato su


una curva che ha la forma di “S”. trovare una nuova tecnologia all’inizio richiede
tempo, infatti, molte volte succede che un prodotto nuovo dopo la sua prima uscita
sarà soggetto a delle modifiche fino a quando, oltre un certo punto, non si può
andare, cioè tutte le versioni successive sono solo piccole modifiche che vanno solo
ad incrementare un poco le performance. Per aumentare ancora di più le
performance bisognerebbe cambiare la tecnologia.

Come si fa a risolvere un problema dal punto di vista metodologico? se volessimo


elencare in maniera esaustiva tutte le azioni possibili? (riguarda i blocchi che si
trovano sul grafico ad S)
Bisogna rivolgersi a persone esperte in quell’ambito, fare una ricerca brevettuale,
fare delle ricerche scientifiche e fare confronti con altri prodotti. Questa attività la
possiamo fare solo se il problema è chiaro, nella realtà non è così banale.
1) Comprensione del problema
2) Decomposizione del problema
3) Focus sui sotto-problemi critici (aprire una noce, ad esempio, ha dei sotto-
problemi)
Le fasi fondamentali per lo sviluppo di un nuovo prodotto sono:
1) Identificazione del bisogno del cliente
2) Stabilire le specifiche target
3) Generare idee di prodotto
4) Selezionare uno o più idee
5) Testare le idee di prodotto
6) Impostare le specifiche finali
7) Dimensionamento e ingegnerizzazione
8) Produzione
Nella storia del prodotto si passa sotto 4 domini. Questi 4 domini possono essere
messi in collegamento l’uno con l’altro durante l’attività di progettazione. Ogni
passaggio dal domino al successivo è il processo di progettazione.
Il Dominio del cliente è costituito dagli attributi (CAs) che il cliente attende da un
prodotto. ((Ognuno di noi vuole un oggetto che faccia certe cose ed è fatto in un certo
modo))
Il Dominio funzionale è costituito dai requisiti funzionali (FRs) con cui il progettista
intende soddisfare i bisogni del cliente. sono tutte quelle cose che traducono in
numeri, che possono essere confrontabili, un’idea che un cliente ha. Nel momento in
cui il cliente ha un problema da risolvere io devo definire bene tutti gli aspetti del
problema. Una volta che ho capito come deve essere il mio prodotto, cioè quali
funzioni deve svolgere il mio prodotto, posso decidere come farlo.
Il Dominio fisico è costituito dalle forme, dimensioni e caratteristiche fisiche
(parametri di progetto DPs) che definiscono il prodotto. decidere cosa mettere
fisicamente nel mio prodotto, significa passare dai requisiti funzionali ai parametri di
progetto. Come parametro di progetto non posso decidere il peso, ma decido forma
e materiali e di conseguenza avrò un certo peso. Per definire la leggerezza (requisito
funzionale) ho bisogno di 4 parametri cioè tre dimensioni nello spazio e la densità
(che decido io). Ovviamente se l’oggetto deve andare in tasca non basta che sia
leggero ma non deve essere ingombrante. Ovviamente non sempre l’ingombro è
legato alle dimensioni, ad esempio le batterie più capienti sono più ingombranti.
Il Dominio del processo è costituito da tutto ciò che definisce il ciclo di produzione
(variabili di processo PVs) del prodotto. devo stabilire tutto ciò che serve per
realizzarlo nella maniera migliore.
Questi domini si possono sovrapporre, alla sovrapposizione è legata una iterazione
nel senso che una volta che scelgo le dimensioni ecc. posso decidere di cambiare
(ad esempio nel caso dell’ingegnerizzazione posso cambiare addirittura il progetto)
Fasi del processo e domini di progetto :
1.Pianificazione (identificare il bisogno del cliente)
2.Progettazione Concettuale
definire le funzioni ma ancora non ho idea dei
componenti che ci devo mettere dentro e delle
dimensioni
3.Progettazione di sistema
4.Progettazione di dettaglio
5.Sperimentazione e miglioramento
6.Produzione

Cosa significa fare un buon progetto o un cattivo progetto?


In questa slide viene riportato un esempio di un nuovo prodotto che permette di poter
scrivere in assenza di gravità. A sinistra troviamo una sofisticata penna creata dalla
NASA e a destra una matita. Qual è il migliore? Come facciamo a temperare la matita
in assenza di gravità? La matita probabilmente troverà delle difficoltà a valle del suo
utilizzo, perché con un temperamatite si può sporcare l’ambiente.

Cosa significa innovare?


“Innovare significa trasformare i problemi in soluzioni”. Noi facciamo qualcosa
di nuovo non quando risolviamo un problema già risolto ma quando risolviamo un
problema non risolto oppure miglioriamo la risoluzione a quel problema.
Problemi = Esigenze
Soluzioni = Prodotti
I requisiti funzionali, in realtà, li definiamo anche noi, in base alle esigenze dei clienti.
La matrice mostra come ci sono i legami tra il dominio dei requisiti funzionali e i
parametri di progetto.

Il marketing può anche creare nuove esigenze, ad esempio pubblicità ci può dire che
abbiamo bisogno delle cose ma in realtà non è vero.
Noi in qualche modo dobbiamo tradurre le esigenze in funzioni per poi passare ai
parametri di progetto. Il tutto può essere espresso attraverso questa relazione:

Qui troviamo una matrice in cui tutti i requisiti funzionali sono legati ai parametri di
progetto con delle relazioni non note. La matrice si chiama matrice di progetto. I
requisiti funzionali sono moltiplicati con dei pesi, perché non tutti i requisiti funzionali
pesano allo stesso modo. La matrice descrive la complessità del prodotto; se agisco
sul prodotto al primo membro significa che sto andando a cambiare le esigenze, nel
senso che, posso andare a togliere un requisito funzionale oppure aggiungerlo; per
quanto riguarda il vettore dei parametri di progetto io posso scegliere parametri di
progetto differenti per lo stesso problema, posso scegliere di fare le cose in un modo
piuttosto che in un altro (potrei decidere in qualche modo che piuttosto che
considerare le dimensioni e la densità prendo in considerazione altre cose). Quindi
fare l’elenco dei parametri di progetto non riguarda i valori dei parametri(numeri) ma
capire quali sono le cose che io voglio modificare e scegliere fisicamente (tutto ciò
che metto nel progetto)
Se avessimo uno strumento che ci consente di valutare il soddisfacimento dei
requisiti funzionali, io potrei avere una funzione obiettivo da massimizzare o
minimizzare. Ad esempio la media pesata della misura dei requisiti funzionali deve
essere ottimizzata. Tutti i metodi giocano sul modo con cui si misura il
soddisfacimento dei requisii funzionali, per cui una volta che ho impostato il problema
attraverso la relazione, noi possiamo misurare i requisiti funzionali per ogni ipotesi di
prodotto che noi abbiamo e confrontare i valori nella funzione obiettivo, il migliore, ad
esempio sarà quello che massimizzerà la funzione obiettivo.

{ws}{FRs} = [A]{DPs}
Ottimizzare un progetto significa massimizzare il valore della Funzione Obiettivo
(F.O.)
F.O. = ws m(FRs)
m(FRs) è il livello di soddisfacimento dei Requisiti Funzionali e dipende dalle scelte
fatte sui DPs. I vari metodi differiscono per il modo di calcolare questa misura
I requisiti funzionali si ottengono attraverso l’analisi di mercato.
1) Si fa l’indagine di mercato
2) Si traducono le richieste del cliente in requisiti funzionali
3) Capire quanto è importante quel requisito funzionale
4) Utilizzare metodi comparativi ad esempio AHP

le importanze relative {ws} si ottengono confrontando i FRs con tecniche comparative


tipo AHP.
I {DPs} vengono inizialmente scelti dal progettista sulla base delle conoscenze
tecniche, dell’esperienza con l’aiuto di sistemi di scomposizione funzionale.
Il problema può essere riformulato tramite metodologia TRIZ in modo da modificare
[A] riducendo o eliminando le Dipendenze (chiamate «Contraddizioni»)
m(FRs) può essere il contenuto di informazione (2° assioma), il grado di
appartenenza (logica Fuzzy), la probabilità, la possibilità (Dempster e Shafer), la
credenza (logica Doxastica), la comparazione (AHP), la qualità percepita (Robust
Design).

La teoria della progettazione assiomatica è stata sviluppata dal Prof. Nam P. Suh
(MIT) che nel 1990 ha pubblicato un testo che comincia con la frase “there exists a
fundamentals set of principles that determines good design practice”. In tale testo il
Suh sostiene che è possibile un approccio assiomatico alla progettazione, da
affiancare a quello algoritmico.
ASSIOMA: è una definizione che si crede essere universalmente vera, anche nelle
sue applicazioni, ma che non può essere provata.
L’axiomatic design è stato sviluppato ed è stato, negli anni, anche supportato con lo
sviluppo di un software ad hoc.
E’ un metodo di progettazione che si basa sulla costruzione di matrici di relazione
logico/funzionale tra i domini della progettazione.

1) ASSIOMA 1  mantenere l’indipendenza dei FRs: in un design accettabile,


DPs e FRs sono legati in modo tale che un DP specifico può essere regolato
per soddisfare il suo corrispondente FR senza influire sulle altre FRs. Se un
requisito funzionale dipende da 4 parametri di progetto, e quei 4 parametri di
progetto influenzano altri requisiti funzionali, quando vado a modificare un
parametro di progetto per modificare un requisito funzionale cambierà tutto.
Ma se fossi fortunato ad avere che ad un solo parametro di progetto
corrisponde un solo requisito funzionale sarebbe perfetto, perché ogni
requisito dipenderà da un solo parametro. Di seguito viene riportata la matrice
diagonale, se ho una matrice diagonale scelgo un parametro di progetto e
vado ad ottimizzare un requisito funzionale senza cambiare nient’altro.
Un progetto che rispetta il primo assioma si chiama progetto disaccoppiato.
Invece se la matrice è di tipo triangolare il progetto è di tipo disaccoppiabile
(progetto quasi accoppiato). Perché?

Se io procedo con una certa sequenza, cioè voglio massimizzare prima un


requisito funzionale, una volta massimizzato il primo posso massimizzare il
secondo senza toccare il primo e così via.
Di seguito troviamo il caso del progetto accoppiato:
Ad esempio, il rubinetto a due manopole, quando dobbiamo utilizzare
dell’acqua ad una certa temperatura ci mettiamo molto tempo per regolarla,
perché magari apro la fredda, poi apro la calda e regolo fin quando non ottengo
la temperatura giusta, questo perché il problema non è disaccoppiato. Quindi
qualcuno ha pensato di disaccoppiare i problemi, piuttosto mettere due
rubinetti in parallelo, li ha messi in serie dove il primo regola il caldo e il freddo
e il secondo la portata.
Lezione 4 2 ottobre 2017
Non è mai così semplice: penso una cosa la faccio. L’attività di progettazione non è
così: mi chiedo cosa devo fare, prendo delle decisioni, ragioni sulle mie decisioni, ed
è ciò che accade nella vita di tutti i giorni. Se vogliamo formalizzare ciò che succede
vedendolo dall’esterno è un passaggio tra le caratteristiche che il prodotto deve
possedere e una serie di decisione che il progettista prende per ottenere quelle
caratteristiche. Le informazioni sulle caratteristiche che il prodotto deve possedere
vengono dal mercato (voglio una macchina potente perché voglio correre allora
voglio una macchina sportiva se voglio correre), quindi le persone utilizzano termini
non corretti per esprimere un concetto. Nella fase di traduzione dal dominio del
cliente al dominio dei requisiti funzionali bisogna prendere delle decisioni. Siccome il
processo di progettazione cerca di trovare un equilibrio tra diverse esigenze (requisiti
funzionali) il processo è iterativo.
Una volta identificate le specifiche di progetto, ovvero ho individuato un prodotto che
abbia queste caratteristiche, avrò dei vincoli (nella progettazione i vincoli ci sono
sempre). In azienda per esempio posso dover usare componenti che già vengono
utilizzati per altri prodotti, se devo usarne dei nuovi creo complicazioni di
approvvigionamenti o di costi, e magari ci ritornerà indietro su un ciclo più largo (non
rappresentato in figura), del tipo che se sto facendo un progetto e lo sto
ingegnerizzando ci chiamano e ci dicono che abbiamo adottato lamiera da 1.2 mm e
le abbiamo da 1.25, possiamo usare quelle? Allora bisogna fare di nuovo i conti
perché magari non si è tenuto conto di quella massa e devo cambiare il motorino, un
cuscinetto. Allora magari conviene chiedersi che lamiere ci sono in magazzino
(esempio del Classe A della Mercedes che doveva essere fatta per uno studio per
auto a idrogeno e presentava dei vani sotto i sedili per alloggiare le celle a
combustibile (poi usati come portaoggetti), solo che il progetto fallì, perché il mercato
non era pronto per le auto a idrogeno perché non ci sono pompe per la ricarica
dell’idrogeno, allora la motorizzarono in maniera tradizionale. Il problema era che
mettendo un motore tradizionale invece delle celle a combustibile cambiò la
posizione del baricentro quindi i settaggi erano un po' al limite, infatti la vettura non
superò il test dell’alce, allora fecero un’operazione di marketing collegata alla
progettazione meccanica perché introdussero di serie l’ESP, altrimenti non se ne
sarebbe venduta nemmeno una). Quindi gli effetti che si hanno su ciò che succede
dopo posso determinare il cambio del progetto. In lavorazione, a valle del progetto
succede qualcosa per cui il nostro progetto cambia. Nello schema sotto si mostra
come si passa dalla definizione delle performance alla stesura e validazione del
progetto. I vincoli consentono di tener conto di tutto il mondo nella quale ci stiamo
inserendo. Ad esempio posso dover fare tutti i componenti con materiali riciclati.
Definizione del prototipo virtuale è la prima idea che facciamo del prodotto a partire
dalle performance di target e dai vincoli progettuali. Quando non c’erano i calcolatori
si procedeva verso la realizzazione di prototipi fisici e si faceva un dimensionamento
e si verificava se andava tutto bene, se no si rifaceva il prototipo con nuovi calcoli.

1
Il passaggio per il prototipo era un qualcosa di oneroso dal punto di vista del tempo
e dal punto di vista dei costi. Con l’avvento del pc faccio il disegno al calcolatore,
faccio simulazioni con analisi numerica, e faccio delle iterazioni che mi risparmiano
una serie di verifiche sul prototipo. Quindi faccio una serie di simulazioni e quando
vanno bene vado sul prototipo, e siccome è tempo computazionale, è tempo di uso
del calcolatore. Le simulazioni si fanno perché danno delle informazioni importanti,
un crash test ad esempio richiede un paio di giorni di analisi per avere i risultati, ma
una volta impostato il tutto posso fare piccole modifiche, infatti in solidworks posso
far cambiare dei dati senza dover cambiare tutto il progetto e velocemente vado al
calcolo, faccio una serie di iterazioni, dopodiché ho un’ipotesi di progetto e faccio il
prototipo fisico. Posso fare simulazioni strutturali, termiche, fluidodinamiche, posso
portarlo in realtà virtuale, verifico l’assemblaggio, … tutto ciò senza avere il prototipo
fisico.
Se sto facendo un prodotto innovativo, mi devo chiedere se sto utilizzando bene i
miei prototipi quelli virtuali e quelli fisici, quindi faccio un minimo di sperimentazione
semplice. Se faccio calcoli agli elementi finiti, inizialmente faccio calcoli con
condizioni note. Verifico che il modello sia corretto e poi metto altre condizioni di
carico. Bisogna sempre essere critici su ciò che è la valutazione di un modello. Più
riesco a passare da iterazioni che richiedono molto tempo ad iterazioni che si
possono fare al calcolatore, tenendo conto che la preparazione di una simulazione
al calcolatore richiede certe competenze ed un certo tempo, allora posso fare un
bilancio di costi tra quelli che sono i costi di prototipazione virtuale e prototipazione
fisica, e se riesco ad ottimizzare questi costi accorcio il tempo per arrivare alla
delibera del progetto. Se ho un modello 3D con il CAM posso usare un software che
mi elabora il part program per fare la lavorazione, così non mi devo mettere a scrivere
un listato di comandi.
Ogni biforcazione dello schema richiede che venga presa una decisione, vado a
destra o a sinistra, cioè delibero il progetto o faccio delle modifiche. Quindi l’attività

2
progettuale richiede di prendere delle decisioni, altrimenti si metterebbero delle
persone a fare sempre quello, invece noi siamo chiamati a prendere decisioni per
fare così piuttosto che in altro modo.

Decision making
Esistono differenti metodi che permettono di “prendere decisioni” in maniera
ottimale
L’applicazione di queste tecniche dipende da:
 Tipologia di progetto e caratteristiche richieste
 Conoscenze intuitive a disposizione del progettista (derivate da esperienza)
 Conoscenze teoriche (leggi fisiche)
 Indagini statistiche
 Disponibilità di materiali e/o componenti commerciali
 Costi
 Possibilità tecnologiche
Nelle prossime lezioni ragioneremo su come fare per prendere decisioni in maniera
ottimale, che da una parte vuol dire imparare ad identificare bene il problema (anche
se non è una cosa che si insegna si deve essere portati), ovvero chiarire quali sono
gli aspetti del problema e poi scegliere la soluzione ottima per quel problema. Su
come chiarire bene gli aspetti del problema faremo degli esercizi e di ragionamenti,
su come prendere la soluzione ottimale vedremo dei metodi. Non esiste un metodo
migliore ma esistono uno o più gruppi adatti ad alcuni tipi di problemi. Quindi in alcuni
casi possiamo basarci su conoscenze teoriche (le tensioni si distribuiscono in un
certo modo e riesco a capire se il materiale cede o non cede e se varia la sezione
cambia la distribuzione delle tensioni e così via), altre decisioni le posso prendere
perché sono esperto e so già cosa succede se prendo un tipo di decisione. Bisogna
cercare di capire bene come funzionano i nostri progetti, perché sappiamo bene
come funziona ma se poi si comporta in maniera diversa dobbiamo chiederci il
perché, e questa diventa la nostra esperienza. Alcune decisioni sono vincoli. Le
nostre decisioni quindi vengono guidate da una serie di fattori che non decidiamo
noi.

Ottimizzazione nel processo di progettazione


In tutte le fasi di progettazione ci si pone il problema dell’ottimizzazione poiché:
 Spesso è necessario trovare un equilibrio tra esigenze opposte (es.:
bilanciamento delle tolleranze in dipendenza della precisione del meccanismo
e del contenimento dei costi);

3
 Spesso si devono confrontare e ottimizzare aspetti non quantificabili
numericamente (es.: la carrozzeria di un’autovettura viene valutata
esteticamente e strutturalmente);
 Spesso le caratteristiche richieste non hanno la uguale importanza;
Il problema dell’ottimizzazione nella progettazione è che quasi mai un problema è
disaccoppiato, cioè non capita mai che devo garantire n funzioni al mio prodotto e
ognuna di queste funzioni dipende da un solo fattore che non influenza gli altri. Quindi
leggerezza e robustezza sono correlate e se miglioro una peggioro l’altra. Se erano
indipendenti potevo ottimizzarle singolarmente. Siccome ciò non avviene e i requisiti
sono in qualche modo accoppiati li devo mettere assieme e trovare un equilibrio che
me li soddisfi. In particolare leggerezza e robustezza li posso misurare (ho un modulo
di elasticità o la massima tensione di rottura e ho il peso), ma se devo fare un oggetto
bello, leggerezza, robustezza ed estetica sono difficili da combinare perché l’estetica
è difficile da misurare. Quindi ho bisogno di trovare un equilibrio tra esigenze
confrontando cose che non sempre sono confrontabili. Spesso le caratteristiche
richieste non hanno uguale importanza, questo lo abbiamo accennato nell’equazione
della progettazione. Ognuno di noi assegna allo steso prodotto importanze differenti
a seconda dell’utilizzo che ne deve fare. Se sono un pendolare e devo lasciare la
macchina vicino alla stazione che si trova in paese in cui non rubano le macchine
allora tutto apposto, ma se devo parcheggiare in un posto in cui le rubano cerco di
prendere una macchina vecchia o magari sporca così non la rubano. Stiamo
parlando dello stesso prodotto ma le esigenze sono diverse. Quindi si deve porre il
problema del contesto e lo si deve porre dando una definizione delle esigenze e
dell’importanza relativa che dipende dal contesto.

Metodi di progettazione/ottimizzazione
In tutte le fasi di progettazione, l’ingegnere può far uso di differenti metodi per
“ottimizzare” il progetto:
 Ottimizzazione, tra le caratteristiche richieste, di quelle di fondamentale
importanza (Approccio algoritmico)
 Riformulazione del problema progettuale in modo che sia scomponibile a
blocchi ottimizzabili individualmente (Approccio assiomatico, TRIZ)
 Utilizzo di sistemi di rappresentazione della conoscenza che, con appositi
algoritmi, possano individuare la soluzione ottimale globale (sistemi logici
[Fuzzy, doxastica, ..], algoritmi genetici, Reti neurali, etc.) (Approccio logico o
IA)
 Utilizzo di metodi comparativi (AHP, MADM, …)
I metodi di progettazione sulla quale lavoreremo, li abbiamo classificati anche se
bisogna considerare altre cose. Ci sono metodi che hanno un approccio algoritmico
in cui trovo una serie il più possibile esaustiva di ipotesi che valuto sotto certi criteri.
Poi ci sono approcci concettuali (assioma della progettazione) che sono suggerimenti
4
su come affrontare il problema della progettazione senza entrare nel merito, nel
senso che ci suggeriscono come impostare il progetto, non come elaborare la
soluzione ottimale, dando per scontato che se si imposta correttamente il progetto ci
stiamo comunque avvicinando alla soluzione ottimale, perché un problema chiaro e
correttamente impostato rende evidente la soluzione. Ad esempio c’è un metodo che
si chiama Design for Assembly che dice che se progetto qualcosa che sia facilmente
assemblabile in maniera robotizzata allora ho un ottimo progetto, il prodotto
funzionerà bene. Poi ci sono i metodi comparativi secondo i quali non ho una
soluzione ottima per cui ipotizzo una serie di soluzioni e le confronto per vedere qual
è la migliore (vedremo il modello AHP). Il limite grosso dei metodi comparativi, in
alcuni casi anche superabile, è che quando confronto due prodotti fra di loro potrei
dire quale dei due è il migliore ma in realtà posso dire anche quale dei due è il meno
peggio, cioè posso confrontare solo quello che ipotizzo e non posso capire come e
dove migliorarlo. Poi ci sono i metodi di rappresentazione della conoscenza, se
riesco a rappresentare la conoscenza posso mettere a sistema l’esperienza di tutti
quelli che sono venuti prima di me. Questa cosa può essere fatta con la
rappresentazione esplicita della conoscenza con delle logiche (noi vedremo la logica
Fuzzy), oppure con degli algoritmi genetici come le reti neurali. Sistemi come la logica
Fuzzy hanno una rappresentazione esplicita della conoscenza (ho la regola e la
formalizzo), poi ho delle procedure di composizione di tutte le regole per ottenere il
risultato, mentre gli algoritmi genetici come le reti neurali hanno una
rappresentazione implicita della conoscenza, cioè gli diamo il problema alla rete con
un algoritmo genetico ben configurato, otteniamo il risultato ottimale ma non
sappiamo perché è quello ottimale, cioè tutto ciò che viene elaborato dipende da
tutta una serie di esperienza pregresse senza definire una regola o un perché, che è
ciò che facciamo quando diciamo che a sensazione è meglio questo invece che
quest’altro. La Fuzzy approccia in modo simile ma visto che esistono delle leggi, non
le formalizzo ma le approssimo, le reti neurali non fanno nemmeno
quest’approssimazione. Tutti i software di modellazione CAD come Catia hanno un
modulo detto KBE (knowledge based engineering) che consente di scrivere delle
regole di progettazione ed aiutano a non commettere errori che identificano l’azienda,
così scrivo queste regole e il progetto viene fuori quasi in automatico.
Obiettivi da perseguire
L’approccio coi metodi consente da una parte di ridurre gli errori progettazione nella
fase di stesura del progetto e quindi di ottenere una riduzione dei tempi di messa in
produzione del nuovo prodotto, dall’altra di ridurre il numero di prototipi fisici e quindi
di ridurre le spese di prototipazione.
Approccio algoritmico
 Progettazione sistematica:
o Pahl and Beitz
o Hubka and Eder

5
o Oshuga
o VDI (Geman Standar Institute)
o Concurrent Engineering
 Progettazione robusta:
o Metodo Taguchi
o Metodo 6-sigma
 Design for X:
o Design for Assembly
o Design for Manufacturing
o Design for Maintenance
o Design for Environment

Pahl e Beitz hanno fatto la storia dei metodi di progettazione, hanno scritto un libro
in cui hanno cercato di schematizzare un metodo di progettazione meccanica. La
progettazione robusta è qualcosa che serve a rifinire la soluzione ottima che è stata
trovata utilizzano tecniche che sono quelle del controllo qualità. Il metodo Taguchi
serve per risolvere problemi di produzione, e 6-sigma lo stesso, cioè mi dicono come
fare il mio prodotto in maniera tale che più o meno 6 sigma della gaussiana mi dia
prodotti che siano di qualità e quindi devo scartare solo la coda della gaussiana da
un lato e dall’altro. Prima si usava il 3-sigma. Poi c’è una serie di Design for X, in cui
si sono posti il problema di voler ottimizzare l’assemblaggio, la manifattura,
l’ambiente, … adesso più che di design for Environment si parla di green design in
cui non solo si deve ottenere un prodotto verde ma lo si deve lavorare con tecnologia
verde, che non abbia emissioni. Già prima di Pahl e Beitz si usava un approccio
probabilistico per prendere decisioni in certe condizioni.

Metodi comparativi in fase Concettuale


 Triz Theory
 Kansei Engineering
 Quality Function Deployment
 AHP (Analitycal Hierarchy Process)

Il metodo Triz esce un può fuori dagli schemi perché cerca di strutturare secondo
una scelta logica la conoscenza dell’ingegnere meccanico. Le regole scritte nella
teoria Triz sono delle regole fisiche. Nell’ambito architettonico ha preso piede il
Kansei Engineering, in italiano la traduzione letterale è progettazione viscerale, che
sarebbe come dire a pelle mi sembra che va bene.
Alla fine del corso dovremo cercare di capire se vale la pena applicare un metodo di
progettazione nell’attività che stiamo portando avanti e quale metodo conviene
applicare. In ogni caso dovremo renderci conto che non c’è un metodo migliore

6
dell’altro e in alcuni casi vanno un po' mescolati. Infatti esistono delle possibilità di
utilizzo anche integrate.
La progettazione è un qualcosa di molto ampio: si progetta una vacanza, la logistica,
un romanzo. Buona parte di questi metodi possono servire come metodologie a
problemi che non sono necessariamente di natura meccanica. Progettare significa
definire le cose in maniera chiara, chi fa cosa.
Abbiamo visto la scorsa lezione il primo assioma della progettazione:
=
I termini sono i pesi, che stabiliscono quale requisito è più importante e quale è
meno importante per una certa idea di prodotto. sono i requisiti funzionali.
è la matrice che mette in relazione i requisiti funzionali con i parametri di progetto,
che sono . Questi sono tutti i termini che in qualche modo una persona che sta
lavorando ad un progetto deve identificare. I termini , sono quantità che il
progettista deve identificare ma che non dipendono dal progettista. Esistono una
serie di requisiti funzionali, perché devo fare un certo prodotto che serve a qualcuno,
infatti ci sarà qualcuno che ci commissiona un progetto (è difficile che progettiamo
qualcosa per noi stessi), che deve risolvere un’esigenza. L’esigenza non dipende da
noi, ma dobbiamo identificarla correttamente ma i requisiti funzionali e i relativi pesi
rappresentano esigenze. Quindi dobbiamo rappresentare il problema nella maniera
più chiara e corretta possibile, andando ad identificare l’elenco dei requisiti funzionali
e i valori dei pesi dei requisiti funzionali. La matrice e il vettore invece
dipendono da noi. Li dentro c’è tutta la nostra conoscenza e tutta la tecnologia
esistente, perché se ho un problema e penso a varie possibili soluzioni, dal punto di
vista concettuale vuol dire scegliere un certo tipo di parametri di progetto piuttosto
che un altro (se devo arrivare da qua a la, posso decidere di prendere la macchina o
la bici o andare a piedi, e in un caso devo progettare la macchina, in un caso la bici,
in un caso le scarpe e ciò si porta dietro una n-pla di parametri di progetto diversi sia
come lunghezza che come contenuti, ma se devo andare da qua a la i requisiti
funzionali sono gli stessi, perché magari non devo consumare troppa energia che
può essere carburante o energia che ci metto io. Ovviamente la distanza può
influenzare la soluzione perché se devo fare 50 km la soluzione delle scarpe diventa
poco interessante. Quindi ci riferiamo agli stessi requisiti (economicità, sicurezza,
autonomia, comodità, …), ma che avranno importanza differente e risultati in termini
di parametri di progetto diversi. È chiaro che poi posso fare delle scarpe che fanno
50 km con materiali speciali oppure posso mettere un motorino elettrico sulla bici).
Quindi in conclusione faccio certe ipotesi ma poi mi devo chiedere se sono
realizzabili. Più ho conoscenza della matrice A, cioè delle tecnologie e dei materiali
a disposizione, più mi posso permettere di svariare con i requisiti e i parametri di
progetto. Questo dipende dal progresso tecnologico, ma dipende anche dalla nostra
capacità di ragionare su questi aspetti. La matrice A è la matrice delle conoscenze
tecniche: più abbiamo una matrice ampia più ipotesi di progetto possiamo valutare

7
traendo delle risposte convenienti. Noi studiamo per ampliare la nostra matrice A. in
questo discorso rientra tutto ciò che riguarda i brevetti, perché brevettare significa da
una parte tutelare ciò che abbiamo inventato, dall’altra diffondere ciò che abbiamo
inventato. Quindi se brevettiamo qualcosa riempiamo la matrice A ma diamo
un’informazione anche a qualcun altro che può ampliare la sua matrice. Se mi sono
tutelato col brevetto poi chi ha ampliato la sua matrice col mio brevetto mi riconoscerà
qualcosa ogni volta che lo usa (esempio della Coca-Cola che nessuno può copiare
la sua formula e questo prodotto non è stato inserito nella matrice A). Parliamo di
queste cose in modo che impariamo a misurare il soddisfacimento dei requisiti
funzionali ogni volta che scegliamo dei parametri di progetti usando determinate
tecnologie.
Quando diciamo che A è la matrice della nostra conoscenza ci riferiamo al vettore di
tutti i possibili di progetto che rientrano nei possibili requisiti funzionali. Ho una sorta
di enciclopedia che è l’elenco di tutte le leggi che posso mettere un parametro di
progetto con uno o più requisiti funzionali. Le leggi di scienza delle costruzioni o della
fisica tecnica ci dicono che le proprietà di un materiale unite con la forma di una trave,
unite alle dimensioni di una trave, ci dà un comportamento in termini di rigidezza, e
quello è un pezzettino di quella matrice. È chiaro che se ho un problema da risolvere
e scelgo un vettore di parametri di progetto, esso è un piccolo vettore rispetto
all’intera conoscenza e poi elenco il mio problema con una serie di requisiti funzionali,
che è un piccolo elenco di tutti i requisiti che mi posso immaginare. Quindi prenderò
un piccolo pezzetto della matrice e può accadere che alcune parti della matrice non
hanno relazione con alcuna parte dei requisiti funzionali, infatti la matrice non è
completamente finita. Pertanto può capitare che quando ho un problema in teoria la
matrice è pieno, ma poi magari in realtà non so come mettere in relazione DP1 con
FR3 per cui metto zero, poiché è dimostrato che qualsiasi sia DP1, FR3 non cambia.
Per cui mi trovo che la matrice presenta degli zeri. Inoltre se riordino la matrice può
darsi pure che cambia configurazione, e magari potrei riordinare in modo da avere
tutto sulla diagonale (sarebbe perfetto) perché vuol dire che un parametro di progetto
influenza un solo requisito e così posso ottimizzare più facilmente, per ogni X c’è una
legge che ha una sua incognita e se risolvo quell’equazione ho ottenuto il massimo.

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Quando invece ho una situazione come in figura sotto, ho un’ottimizzazione parziale
perché posso fare così: decido DP1 per ottimizzare FR1, e una volta deciso questo
non cambia più, quindi FR2 dipenderà solo da DP2, lo stesso vale per FR3, perché
ho fissato DP1 e DP2 e dipenderà solo da DP3 e posso ottimizzare. È probabile che
si becca qualche ottimo locale che non è la soluzione ideale.

Nella figura sotto invece si ha la situazione peggiore in cui se cambio DP1 cambia
FR1, FR2, FR3, … questa è una contraddizione tra tutti i requisiti funzionali e per
venirne a capo di devono fare tutte le combinazioni possibili e vedere qual è la
migliore. Quindi se ho n parametri ed m requisiti funzionali, per ognuno degli n
parametri posso vedere un certo numero di soluzioni possibili e vedere cosa
succede.

Quando si guarda la matrice di solito succede che se i requisiti son quelli e i parametri
sono quelli, mi dico che se la matrice è così non posso farsi niente. Ma il primo
assioma dice che devo disaccoppiare, e come posso disaccoppiare? Vediamo come
posso disaccoppiare se ho una matrice piena. Ci sono molti approcci per fare questo
e sono tutti abbastanza logici e lo si può immaginare anche in termini matematici. In
particolare si può agire sul vettore dei requisiti funzionali o sul vettore dei parametri
di progetto o sulla matrice. Se ho un vettore di DP e un vettore di FR potrei inventarmi
dei vincoli. In particolare potrei fare la derivata, perché dei parametri di progetto
avranno un legame dai requisiti funzionali più forte, altri invece avranno una relazione
più debole, quindi se cambio un parametro di progetto un requisito funzionale cambia
del 20% mentre un altro cambierà dello 0.2%. Quel 0.2% fa sì che si può togliere la
9
dipendenza. Ci potrebbe chiedere quali sono le relazioni tra parametri di progetto e
requisiti funzionali per poter dire che quei parametri di progetto hanno una
dipendenza molto bassa su quei requisiti funzionali. Sui requisiti funzionali non
possiamo agire perché non dipendono da noi ma vengono fuori dal mercato, quindi
o chiamiamo l’esperto di marketing per sapere se è sicuro (li nascono trattazioni per
alterare i requisiti funzionali ma non è competenza nostra) o posso vedere se
nell’assegnare i pesi, se essi vengono assegnati in modo tale che la loro somma è
1, ci sono termini che valgono 0.01, 0.05, … cioè ci sono requisiti funzionali che sono
meno importanti allora inizio a vedere se posso trascurarne qualcuno e massimizzo
quelli più importanti, così mi sono semplificato il problema approssimando il
problema. Sui parametri di progetti c’è molta fantasia: non a caso abbiamo visto
l’esempio della macchina o delle scarpe. Quindi posso avere più inventiva perché mi
invento un prodotto che ha le stesse funzioni che però nessuno aveva pensato. Se
cambio i parametri di progetto o cambio la configurazione del mio prodotto (esempio
del rubinetto fatto la lezione scorsa) tutti mettono i rubinetti in parallelo, se solo li
metto in serie cambiava completamente il problema. Quindi ci sono due approcci di
approssimazione ed uno di riconfigurazione (che è più inventivo). Quello di
approssimazione è stato anche “strutturato” in termini gerarchici. Posso provare a
raggruppare alcuni parametri di progetto ed alcuni requisiti funzionali, così ho una
visione diversa del problema. In realtà dovrei fare il contrario perché se ci viene detto
un problema dovrei esploderlo in tanti sotto problemi su più livello. Quando però
faccio questo accorpamento il problema si semplifica e la matrice si diagonalizza il
più delle volte. Per FCA ad esempio si deve vendere quindi si deve fare un buon
prodotto, ma fare un buon prodotto significa fare un’auto che ha maneggevolezza,
abitabilità, capacità del bagagliaio, …. Requisiti funzionali che sono generici, che
posso tradurre in maniera approssimata in dimensione della vettura, numero di
sportelli, capacità del bagagliaio, … quindi descrivo il mio problema in maniera via
via più dettagliata dimenticandomi le interazioni che ci sono, perché sono ad un livello
talmente astratto, che queste interazioni le posso trascurare e procedo
gerarchicamente su problemi più complessi. Se sto parlando delle prestazioni del
motore vuol dire che molto in basso c’è qualcuno che dice che manicotto mettere tra
il radiatore e il motore per portare l’acqua di raffreddamento, questa è una cosa che
influenza tutto perché se metto un altro tipo di manicotto magari più lungo, cambia la
massa, cambia il baricentro, …. In teoria cambiano le prestazioni dell’intera vettura.
Ma poi devo considerare i pesi. Quindi se prima vedo il problema singolo e poi mi
esplodo in vari problemi la cosa si semplifica. Le grosse aziende che fanno prodotti
complessi lavorano in questi termini anche dal punto di vista dell’organizzazione
aziendale. Su prodotti complessi gerarchizziamo i requisiti funzionali e per ognuno di
essi ci immaginiamo una macro parametro di progetto (devo far muovere la macchina
quindi devo progettare un motore). Questo si ripercuote anche sulla struttura del
centro di progettazione.

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Quello che suggerisce l’inventore del primo assioma è un metodo a zigzagging che
è il metodo principe per la scomposizione di problemi semplici, per la
diagonalizzazione della matrice. Parto da ciò che devo fare e mi immagino il prodotto,
scompongo in sotto requisiti del primo livello, mi immagino quali componenti del
prodotto possano soddisfare quei requisiti funzionali, e procedo così. Alla fine
valuterò le interazioni, in fondo all’albero. In questo caso l’approssimazione sta nel
fatto che trascuro le interazioni più deboli tra un componente del prodotto e gli altri
requisiti funzionali.
La prossima volta vedremo esempi di requisiti funzionali perché dobbiamo capire
come applicare la gerarchizzazione e capire cos’è un requisito funzionale.

La prima cosa da fare è capire cosa deve fare il mio prodotto per risolvere il mio
problema quindi devo individuare i requisiti funzionali.

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Lezione 5 5/10/2017
Progettazione sistematica
Il concetto di requisito funzionale è l’aspetto chiave di tutti i processi di progettazione:
si riesce a progettare in maniera decente se si capisce cosa deve fare quel
determinato oggetto. È chiaro che quando si realizza qualcosa per un cliente è
diverso da quando invece ci si rivolge ad un mercato. In effetti quando ci si rivolge
ad un cliente in particolare, ciò che si propone non deve essere fatto per accontentare
differenti opinioni, ma è semplicemente la traduzione di ciò che si pensa voglia il
cliente: in tal caso il dubbio consiste solo nell’accertarsi di aver capito cosa richiede
il cliente. Quando ci si rivolge al mercato invece si devono coniugare opinioni
differenti: le persone hanno gusti differenti, sebbene magari provengano dalla stessa
estrazione sociale e abbiano la stessa età; pertanto un prodotto che va bene per
alcune persone, può non andare bene per altre persone: l’obiettivo è ampliare più
possibile il numero di persone cui il prodotto è rivolto.
Esistono diversi metodi di progettazione, che vengono di seguito riportati (approccio
algoritmo):
 Progettazione sistematica:
o Pahl and Beitz
o Hubka and Eder
o Oshuga
o VDI (German Standard Institute)
o Concurrent Engineering
 Progettazione robusta:
o Metodo Taguhci
o Metodo 6 −
 Design for X:
o Design for Assembly
o Design for Manufacturing
o Design for Maintenance
o Design for Environment
In particolare i primi quattro metodi fanno parte dell’essenza del progettista
meccanico.
Nel Concurrent Engineering si ha un approccio alla progettazione non rivolto al
mercato, ma semplicemente al concetto di progettazione. In pratica si hanno diverse
persone da mettere d’accordo nello sviluppare un progetto e bisogna capire come
metterle d’accordo.
La progettazione sistematica è stata introdotta da Pahl e Beitz, con la pubblicazione
del testo Konstruktionlhere (engineering design) nel 1977, che ha fatto la storia dei
metodi di progettazione.

1
Figura 1

Il punto cardine è quello di prendere un prodotto e chiedersi com’è nato e come si è


evoluto fino ad arrivare alla sua fine. Oggigiorno si parla di Product Lifecycle
Management (PLM), ossia della gestione del ciclo di vita di un prodotto, in cui si cerca
di tener traccia della storia del singolo prodotto, dal suo concepimento fino al suo
smaltimento. Prima si parlava invece di Product Data Management (PDM), ossia di
gestione dei dati di prodotto: si teneva traccia delle decisioni prese nella
progettazione e del motivo che aveva indotto a prendere quella strada. Spesso, in
azienda, si possono trovare delle evoluzioni del prodotto che “raccontano” la storia
del prodotto stesso dal momento in cui esso è nato e tutte le modifiche effettuate
sullo stesso; il problema è capire perché è stata introdotta quella determinata
modifica sul prodotto.
Per capire il perché di tutte le scelte bisogna pensare all’intero ciclo di vita del
prodotto: in tal modo si capisce cos’è che ha spinto ad effettuare una data modifica.
Se non si registra istante per istante ciò che si sta pensando e/o decidendo su un
particolare prodotto, tale informazione viene persa.
Il ciclo di vita del prodotto può essere schematizzato nella maniera seguente:

Figura 2

2
In particolare si parte dai bisogni del cliente (customer needs): c’è qualcuno che ha
bisogno di qualcosa; nell’approccio marketing ci si occupa di capire se c’è un
mercato, mentre nell’approccio di progettazione della meccanica pura c’è un cliente
che chiede di sviluppare un prodotto, una linea di produzione, ....
L’idea di prodotto può essere fornita sia dal cliente stesso sia dal progettista. Qui già
sorge il primo dubbio: nei documenti non c’è scritto chi è che ha deciso il prodotto
che si vuole realizzare.
Poi ovviamente c’è la progettazione vera e propria, la sintesi della soluzione, la scelta
delle tecnologie di produzione, la pianificazione del processo produttivo, la
produzione, il controllo qualità, l’immissione prodotto sul mercato, la gestione della
manutenzione, il ritiro dell’usato e il riciclo o la dismissione.
Questo è quello che c’è dietro il ciclo di vita di un prodotto che è stato per la prima
volta catalogato proprio da Pahl e Beitz. C’è quindi uno schema sequenziale: se si
avesse contezza dell’intero ciclo di vita, quando si arriva alla fine si avrà un’idea
chiara su come sviluppare un nuovo prodotto.
La freccia rossa che collega il riciclo o dismissione all’idea di prodotto prima non
esisteva; questo è il motivo per cui sono nati i software PLM: si cercano informazioni
per capire come modificare il prodotto per renderlo migliore (per tale motivo molto
spesso fanno dei sondaggi in cui richiedono il parere del cliente).
Molto spesso le case madri delle automobili richiedono di avere il pezzo rotto
dell’autovettura, per capire il motivo per cui si è rotto (magari non è mai capitato che
si è rotto quel pezzo): in questo modo riescono a migliorare il prodotto nonché a fare
delle statistiche.
Molto spesso il prodotto fallisce quando viene immesso sul mercato: si rischia quindi
di eseguire tutto il percorso fino all’immissione del prodotto sul mercato e poi non si
riesce a vendere il prodotto, nonostante si siano investiti molti soldi per portarne
avanti la produzione. Magari è necessario eseguire delle modifiche e quindi ritornare
all’inizio del ciclo di vita, per sperare poi di recuperare tutti i soldi investiti.
Se è chiaro tutto il percorso che fa il prodotto dall’inizio alla fine è possibile identificare
dove sono i problemi e dove bisogna intervenire. Quindi se c’è un problema all’inizio
e ci si accorge di tale problema al “ritiro dell’usato” non si riesce ad avere traccia di
dove realmente esso si è verificato.
La sintesi progettuale è un qualcosa che porta a stabilire effettivamente cosa fare.
Per decidere cosa fare ci si può avvalere di vari metodi: scegliere uno dei metodi
piuttosto che un altro dipende dalla sensibilità di chi fa la scelta.
L’analisi sequenziale condotta da Pahl e Beitz è stata tradotta nella
concurrent/simultaneous engineering.

3
Figura 3

In realtà da Pahl e Beitz ad oggi è cambiato molto nel mondo della progettazione
meccanica. Pahl e Beitz si sono impegnati per capire che esistevano una serie di
step che portavano alla realizzazione del prodotto, ma oggigiorno si hanno dei
software che consento di gestire milioni di bit di informazioni su ogni step di quel
processo identificato da Pahl e Beitz. All’interno di un PDM si possono inglobare le
informazioni riguardo alla release di quel componente del prodotto nonché la
relazione tecnica in cui si spiega perché il prodotto è stato modificato, nonché magari
degli schizzi: il tutto viene organizzato in un database, con un sistema centralizzato
che memorizza tutte le informazioni riguardo alla rottura dei diversi componenti, …,
cosa che prima non esisteva.
È chiaro che quando si progetta un sistema non è proponibile molto spesso realizzare
un componente come un unico pezzo, ma è necessario prevedere dei collegamenti
tra più componenti (altrimenti si rischia di complicare eccessivamente la lavorazione
e sprecare troppo materiale). Molto spesso per realizzare un prodotto sono
necessarie quindi competenze in diversi ambiti, perché oltre alla progettazione vera
e propria, è necessario fare una stima dei costi, capire la fattibilità nella realizzazione
di un componente attraverso lavorazioni meccaniche, …. Quello che si fa oggigiorno
è creare dei team di progetto che coinvolgono tutti fin dall’inizio, con persone esperte
in diversi ambiti.
Soldiworks ad esempio possiede un PDM che può essere settato; nell’ottica
aziendale si ha un database in cui si va ad inserire tutto il lavoro svolto da ogni singolo
membro del team; se però il progettista vuole la collaborazione del tecnologo per
sviluppare un componente, il progettista non vuole che il tecnologo vada a modificare
le cose in quanto è il progettista ad avere svolto dei calcoli per capire se la struttura
regge o meno; pertanto il progettista vuole che il tecnologo veda il proprio file, ma
che nel contempo non lo possa modificare. Il PDM ha un sistema di condivisione
delle autorizzazione alla visualizzazione e modifica dei file; in sostanza si ha una
piattaforma informatica, che è un server centrale, potendo decidere chi vede cosa e
chi può modificare cosa. È chiaro che per una data parte di un componente non è
4
possibile dare l’autorizzazione alla modifica solo di alcune zone di quel modello: si
può o autorizzare eventualmente solo a modificare l’intera parte.
Si può quindi immaginare di creare un team in cui tutte le persone utili allo sviluppo
di un progetto possono proporre il proprio intervento. Il tecnologo ad esempio dovrà
dare un parere sulla lavorabilità e sulla realizzabilità di alcuni componenti,
condividendo tali informazioni in modo tale che il progettista sa se si sta muovendo
su una direzione sbagliata, intervenendo prima ancora di rilasciare una nuova
versione: in sostanza si rilascia una nuova versione dell’idea dopo aver avuto il
parere del tecnologo. Avere un consiglio da parte di tutti piuttosto che scoprire i
problemi solo alla fine è un buon modo di procedere.
Fin quando ci si muove nell’ambito della progettazione non si parla propriamente di
concurrent engineering; la concurrent enigneering è legata al cercare di capire se gli
step successivi alla progettazione possano risentire in maniera negativa delle
decisioni prese. Banalmente un prodotto ideale da un punto di vista strutturale, da
un punto di vista logistico quell’oggetto, di certe dimensioni, non può essere
movimentato, per cui è necessario realizzarlo in due parti prevedendo dei sistemi di
collegamento. Pertanto la concurrent engineering si pone il problema di coinvolgere
diverse persone per capire se le decisioni prese genereranno problemi
successivamente e se quei problemi possono essere superati. Necessariamente
tenuto conto di tutte queste informazioni il progetto cambia.
Ovviamente se una persona ha le competenze per tenere conto di tutti gli aspetti può
farsi pagare di più; è chiaro che ciò è complicato in quanto un bravo progettista riesce
anche ad immaginare le tecnologie di produzione, con quali macchine il prodotto può
essere realizzato, la pianificazione del processo produttivo, la produzione…, ma già
sul controllo qualità è difficile che riesca in qualche modo ad avere un’idea; risulta
praticamente impossibile da pensare che il progettista sia in grado di arrivare agli
aspetti legati al mercato. In ogni caso più si riesce a tenere conto di diversi aspetti,
più ci si può ritenere autorevoli progettisti; esistono poi gli specialisti che si
focalizzano pesantemente su uno dei task del ciclo di vita del prodotto.
La concurrent engineering quindi si occupa della interazione tra le varie caselle dello
schema visto precedentemente.
I seguenti grafici rappresentano i costi in funzione del tempo (in alto) e il numero di
modifiche in funzione del tempo (in basso), con riferimento ai due approcci di cui si
è discusso fino a questo momento (modello sequenziale (curva in blu), modello
parallelo (curva in rosso)):

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Figura 4

I grafici sono chiaramente qualitativi. Il modello sequenziale richiede bassi costi


durante la progettazione concettuale, dopodiché i costi si incrementano nel momento
in cui è necessario fare i primi disegni nella progettazione preliminare; nella fase di
sviluppo è necessario progettare e realizzare l’impianto di produzione, scegliere le
variabili di processo e come fare le lavorazioni. Infine c’è la fase di produzione vera
e propria. Quando si va sul modello in parallelo, mettere d’accordo tutti su cosa fare
è complicato: ecco perché i costi iniziali durante la progettazione concettuale sono
maggiori; tuttavia alla fine vengono fuori idee chiare e che tengono conto di tutti i
problemi che ci potranno essere: magari l’esperto di logistica suggerisce che facendo
le cose in un certo modo si avranno difficoltà nel trasporto o nel confezionamento.
In effetti lo spessore delle bottiglie di coca-cola potrebbe essere ridotto notevolmente
riuscendo comunque a resistere alla pressione interna. In realtà lo spessore della
bottiglia viene scelto in funzione del fatto di riuscire ad impilare sei strati di confezioni
di bottiglie l’uno sull’altro senza romperle. In sostanza la bottiglia è progettata a carico
di immagazzinamento del prodotto finito: viene fuori il vero spirito della concurrent
engineering.
Dal punto di vista del numero di modifiche con il modello parallelo c’è proprio un picco
nella parte iniziale, ossia durante la progettazione concettuale. Si ha la cosiddetta
“tempesta di cervelli” (brainstorming) in cui si riuniscono le diverse persone
interessate al prodotto e propongono le diverse idee anche le più assurde; in effetti
anche nell’idea più assurda ci può essere un nocciolo di verità dal quale qualcuno
può prendere spunto per dare un’idea migliore. Questo è un fatto positivo perché
inizialmente le idee sono tante ed i costi sono bassi in quanto il percorso non è stato
ancora avviato: ciò spiega perché il costo nel modello parallelo si riduce.

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Figura 5

Ovviamente il tutto dovrebbe essere scalato in funzione della complessità del


prodotto: per un prodotto molto complesso l’altezza de picchi e la distanza tra le due
curve sarà certamente più elevata e quindi si evidenzia ancora di più la convenienza
del modello parallelo (si ricordi che i grafici sono qualitativi).
Chiaramente le cose sono radicalmente cambiate nel passaggio dall’era pre-digitale
all’era digitale.

Figura 6

Figura 7

Quando si parla di modellazione non significa semplicemente realizzare un disegno


3 − ma significa creare un’entità matematica che descrive un oggetto, sulla quale
poi si possono effettuare delle simulazioni per capire ad esempio se quell’oggetto
resiste.
7
In ogni caso in tutto ciò che si fa nell’ambito della progettazione c’è sempre una
rappresentazione grafica:

Figura 8

Spiegare un’idea con un disegno è certamente meglio che a parole. In effetti i prodotti
che si realizzano hanno dietro una fisica, sono cioè dei meccanismi, per cui non basta
spiegarlo a parole; quando si va a fare uno schizzo ci si rende conto che magari c’è
qualcosa che non va. Quindi gli schizzi e gli schemi, sebbene magari in formato
digitale, serviranno sempre. È fondamentale quindi fare lo schizzo di un’idea;
dopodiché si può ragionare su se è il caso di fare il disegno 2 − o il modello 3 − :
in un layout di impianto ad esempio si utilizzano i disegni bidimensionali. Il disegno
2 − serve per chiarire alcuni concetti, mentre il disegno 3 − ne chiarisce altri.
Se esistesse una piattaforma che consentisse di fare tutte le valutazioni sul percorso
visto, magari non si avrebbe bisogno di un team di progetto: attraverso un pulsante
il modello viene analizzato da tutti i punti di vista (assemblabilità, logistica, …). In
sostanza in questo modo, a partire dai requisiti funzionali, attraverso un pulsante,
grazie ad un computer che ha acquisito tutte le conoscenze nell’ambito della
progettazione, si tira fuori il progetto dell’impianto che deve realizzare il prodotto con
i turni di lavoro già stabiliti. Questo chiaramente ancora non lo si riesce a fare.
Esistono dei software CAM (Computer-Aided Manufacturing) che danno vita in
automatico a dei part-program; il CAM è un software che pianifica la lavorazione
riconoscendo le superfici: chiaramente è necessario ancora l’intervento manuale per
alcuni aspetti. Tale software conosce esattamente quali sono gli ingombri della
macchina potendo prevenire eventuali interferenze. Pertanto esistono strumenti
avanzati, sebbene non siano ancora in grado di fare tutto da soli. L’idea è quella di
realizzare un sistema che possa fare tutto in automatico.
Esistono sistemi di simulazione numerica, che funzionano bene, per la resistenza
strutturale, la distribuzione delle temperature, …, ma non sono in grado di fare le
cose da soli; bisogna sempre essere coscienti di come funziona il sistema e di come
si mettono le condizioni al contorno; se le condizioni al contorno sono date in maniera
corretta, allora si possono accettare i risultati della simulazione.
8
C’è una differenza sostanziale tra i requisiti funzionali e le specifiche tecniche. Il
requisito funzionale è un’entità concettuale, mentre le specifiche tecniche sono dei
valori ben precisi: se il prodotto deve avere varianti in tre colori, questo rappresenta
una specifica tecnica. Pertanto bisogna distinguere il concetto di funzioni del
prodotto, dal concetto di specifica del prodotto che è un elenco di proprietà che il
prodotto deve avere e non un elenco di funzioni. Le proprietà possono essere dai
dati tecnici o il colore, la tipologia di materiale, ….
Per passare dai requisiti funzionali, ossia da ciò che il prodotto deve fare, alle
specifiche tecniche non è semplice. Quando Pahl e Beitz hanno studiato il problema
hanno supposto di partire dalle specifiche perché magari c’è un mercato che richiede
un prodotto con determinate caratteristiche e ci si chiede come ottenere quelle
determinate caratteristiche; a partire da ciò vengono generate diverse idee a partire
dalle quali poi si va a fare un progetto concettuale, un progetto preliminare, un
progetto definitivo ed infine un progetto esecutivo.

Figura 9

La specifica è praticamente un numero: si vuole una certa funzione, per esempio un


trasferimento in tempi brevi, e sulla base di ciò si definisce la specifica, ossia ad
esempio la velocità di spostamento. Nello stabilire quindi che quell’oggetto deve
avere una velocità di almeno 100 /ℎ ad esempio, si sta considerando una
diseguaglianza; il problema è capire se una diseguaglianza è una specifica oppure è
un limite. Se un oggetto deve andare almeno a 100 /ℎ, ma arriva a 90 /ℎ non
vuol dire che quell’oggetto non funziona, ma significa che magari non lo si riesce a
vendere. La specifica è qualcosa che serve a definire la caratteristica del prodotto da
vendere e quindi influenza il risultato sul mercato; il limite è qualcosa che non incide
sul mercato direttamente e quindi non è un motivo per cui si riesce a vendere di più
o di meno: esso non viene imposto dal mercato, ma da altre motivazioni. Inoltre non
è detto che il limite venga rispettato: esistono autovetture che viaggiano a 200 /ℎ
eppure in Italia il limite in autostrada è 130 /ℎ; al di là delle autovetture che
possono essere utilizzate in pista, anche le utilitarie hanno la capacità di superare il
limite di 130 /ℎ: esso è un limite imposto dalla legge, ma è libera la scelta da parte
della persona di superarlo o meno. Magari se si realizza una vettura che arriva al

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massimo a 130 /ℎ, probabilmente le persone sono meno interessate a comprarla.
Quindi la diseguaglianza come specifica tecnica è legata al fatto che se non la si
rispetta non si riesce a vendere il prodotto.
Quindi, le specifiche tecniche dipendono dai customer needs, ossia da ciò che viene
da monte, mentre i limiti tengono sotto controllo quello che succederà a valle di tutto
il ciclo di vita a partire dalla posizione in cui ci si trova in quel momento. Entrambi
possono essere espressi da diseguaglianze e sono dei valori numerici, ma la cosa
fondamentale è che i bisogni del cliente danno le specifiche, mentre ciò che c’è dopo
la casella che si sta occupando dà il limite.

Figura 10

Pertanto se ci si colloca in “pianificazione del processo produttivo” a monte ci sarà


qualcuno che impone le specifiche tecniche, imponendo di fare una cosa in un certo
modo, e a valle ci sarà qualcun’altro che impone di non farla in un certo modo
altrimenti quella scelta darà fastidio (limite).

Figura 11

Quando si deve trovare il modo di rispettare specifiche e limiti, ci si deve chiedere


come realizzare quel prodotto in modo tale che abbia quelle specifiche nel rispetto di
determinati limiti. Volendo semplificare il processo di progettazione ci si deve

10
chiedere se è già stato fatto qualcosa per superare quel determinato problema o
comunque se è già stato fatto qualcosa per problemi similari.
Esiste un approccio molto particolare che è quello del metodo Triz che parte
dall’analisi di centinaia di migliaia di brevetti, ossia parte proprio dal presupposto di
capire se ci sono soluzioni a problemi similari. Esiste quindi questo metodo di
risoluzione inventiva dei problemi proprio partendo da problemi similari.

Figura 12

Quasi sicuramente quelli che hanno tirato fuori delle metodologie sono persone che
hanno letto Pahl e Beitz, in quanto hanno fatto la storia; tuttavia molti di loro hanno
ragionato su alcuni ambiti del problema della progettazione senza incentrarsi su una
visione complessiva: pertanto essi non sono metodi derivanti da domande poste da
Pahl e Beitz. Quindi sono tutte persone che non hanno trovato risposte adeguate in
metodi già esistenti e ne hanno inventato uno nuovo.
Quello che avveniva fino al 1977 è comunque proseguito fino ad oggi. In particolare
per arrivare al progetto preliminare bisogna seguire i seguenti step:

Figura 13

11
Volendo essere sicuri che un’idea sia buona, bisogna confrontarla con altre idee;
sulla base di questo confronto si possono quindi selezionare le migliori idee
preliminari; in effetti, non avendo sviluppato il progetto, non si conoscono quali sono
i limiti di ognuna delle idee preliminari: c’è qualcuno che a valle pone dei limiti di cui
tenere conto (non bisogna scoprire solo dopo che c’era un limite di cui non si è tenuto
conto); pertanto inizialmente si potrebbe non essere in grado di valutare quale idea
è migliore in quanto non si è in grado ancora di valutarne la lavorabilità, la logistica,
…, per tale motivo si portano avanti più idee.
C’è poi una fase di combinazione delle idee: se ci sono idee preliminari differenti, può
darsi che si possono mettere assieme i punti di forza delle varie idee per ottenere
un’idea migliore di quelle di partenza. Gli algoritmi genetici fanno proprio questo,
ossia mettono assieme gli individui di una popolazione, sperando che ne nasca uno
migliore (ovviamente non è detto che da due persone alte nasca un bambino alto).
Una volta fatto lo schizzo sulla base di un’idea, si può iniziare a fare un disegno un
po’ più preciso per vedere se effettivamente l’oggetto può funzionare. Dopodiché si
iniziano a disegnare i vari componenti partendo dalle misure preliminari riportate sugli
schizzi; a questo punto si utilizzano dei modelli sui quali si possono fare delle
simulazioni per verificare il comportamento strutturale, l’assemblabilità, la
lavorabilità, l’estetica, … ed alla fine si possono selezionare una o più idee vincenti.
Magari si possono portare avanti due idee, ugualmente valide, realizzandole
entrambe e rivolgendosi a segmenti di mercato differenti. Si arriva infine al progetto
preliminare.

Figura 14

Poi c’è la progettazione definitiva che significa definire tutto nel dettaglio per arrivare
poi alla produzione.

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Figura 15

Si arriva in questo caso alla scelta dei materiali ad esempio. Su un progetto


preliminare magari non sono stati messi i raccordi, gli smussi, l’altezza degli
spallamenti, …, per cui si va a rifinire il tutto e a verificare che funzioni tutto
correttamente.

Figura 16

Il DMU indica il Digital MockUp, ossia la prototipazione digitale; in sostanza si fa una


prototipazione del funzionamento del prodotto in digitale, con tecnologie in realtà
virtuale o in realtà aumentata. Nella realtà virtuale si ha un visore stetoscopico
multidimensionale che consente di interagire con il prototipo, potendo fare
simulazioni di assemblaggio, manutenzioni, ...; nella realtà aumentata oltre a tutto
ciò si ha una telecamera che riproduce l’ambiente in cui ci si trova, sovrapponendo il
prodotto a quell’ambiente: ciò consente di fare una serie di valutazione di dettaglio.
I meccanici delle officine autorizzate sono in grado di smontare un componente in
pochissimo tempo, per le auto della loro marca; ciò è dovuto al fatto che essi hanno
la manualistica, cosa che non ha un meccanico generico che lavora su diversi tipi di
autovetture. I manuali oggigiorno stanno iniziando a farli in realtà aumentata: grazie
ad un visore compare un’immagine sul componente da smontare con le frecce che
indicano dove bisogna agire: in tal modo si riesce a vedere ciò che si sta facendo ed
in sovrapposizione ad avere un’immagine che suggerisce come bisogna procedere.

13
Tutto ciò è possibile grazie al fatto che esistono software che permettono di riprodurre
questi contenuti digitali.
Nonostante tutte queste attenzioni, in ambito automobilistico si ritiene un successo
enorme, se il primo prototipo completo ufficiale di autovettura si riesce a mettere in
moto; in effetti si dà per scontato che esso non funzioni, perché ci sono molte cose
di cui non si riesce a tenere conto, nonostante lavorano un team di esperti; la difficoltà
maggiore è proprio quella di mettere assieme tante competenze: magari si
ottimizzano i diversi componenti a sé stanti, ma quando il tutto viene messo assieme
possono sorgere problemi di interfaccia ai quali nessuno aveva pensato fino a quel
momento.
Nella progettazione definitive si fanno diverse tipologie di analisi:

Figura 17

Nella progettazione definitiva è dove si vanno a fare realmente delle simulazioni di


dettaglio per capire se realmente va tutto bene, mentre prima si cerca di evitare. In
effetti con la sensibilità di un progettista si può già cercare di capire se le cose
funzionano, ma quando poi si scende più nel dettaglio si riesce a capire se realmente
il tutto va bene, avendo una visione più dettagliata e corretta: questo ha senso farlo
se realmente è quello il progetto che si deve sviluppare; infatti una volta scelto quel
progetto, al limite andranno fatte delle modifiche, ma non verrà mai stravolto del tutto.

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Figura 18

Quando finalmente funziona tutto, almeno nelle previsioni, si passa alla


progettazione esecutiva.

Figura 19

Se veramente si è riusciti ad inventare qualcosa di innovativo, si deve pensare anche


di brevettare quell’idea, tutelando la proprietà intellettuale.
Un disegno di produzione è chiaramente diverso da un disegno di assemblaggio:
cambia il modo di quotare. Nel disegno di produzione bisogna dare le quote sapendo
come vengono realizzati i pezzi; ad esempio, se il prodotto va imballato, si deve
tenere conto del fatto che bisogna realizzare una scatola che lo contenga. Quindi
nella progettazione esecutiva bisogna pensare anche a questo, ossia come a come
confezionare le cose, a come trasportarle, ….
Questo modo di procedere va bene per qualunque tipo di prodotto, che sia
un’autovettura, un aeroplano, un frullatore, …. Ovviamente se un prodotto è semplice
si può pensare di saltare alcuni passaggi; se il prodotto è usa e getta per esempio,
non serve il manuale di manutenzione. Quindi lo schema contempla tutto, ma non
per forza si devono eseguire tutti i passaggi.

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Se bisogna realizzare degli oggetti che richiedono lavorazioni meccaniche standard
è possibile rivolgersi ad officine che hanno già quelle macchine in grado di fare quella
lavorazione, per cui l’unica cosa che bisogna fare è pianificare la lavorazione: non è
quindi necessaria la costruzione di un impianto pilota. Ovviamente una volta fatta la
lavorazione, bisogna verificare se le tolleranze sono rispettate e successivamente
proseguire con la messa in produzione.
Le pre-serie possono avere anche un valore dal punto di vista del marketing; la pre-
serie magari viene messa in commercio ad un prezzo più basso per attirare il cliente.
Questo viene fatto spesso con i software con le cosiddette versioni , che
vengono distribuite gratuitamente per vedere dove sono i problemi; quando si vede
che la cosa funziona allora si inizia a vendere il software.
Algida ad esempio realizza delle pre-serie di magnum, che sono le “edizioni limitate”,
che servono per valutare alcuni aspetti e poi portano avanti solo una delle idee, sulla
base di quella che è piaciuta di più al cliente. Questo lo si fa perché la messa in
produzione è costosa.
Progettare un prodotto che viene realizzato con un processo di stampaggio, richiede
che ci sia qualcuno che deve progettare uno stampo il che significa rieseguire
nuovamente tutti i passaggi di cui si è discusso sinora.
Il fattore tempo è comunque un fattore importante: dai cutomer needs al riciclo o
dismissione il filo conduttore è il tempo; ovviamente non tutti i passaggi da una
casella all’altra richiedono lo stesso tempo, ma dipende da cosa c’è dentro ciascuna
casella. Nel passaggio dalla pianificazione del processo produttivo alla produzione,
c’è tutto il tempo che passa affinché qualcuno possa ripetere buona parte del
percorso su un altro ambito: se si decide di produrre un componente per stampaggio,
bisogna fare la progettazione dello stampo, che richiede del tempo. Inoltre c’è da
considerare il fatto che lo stampo non viene prodotto dalla stessa azienda che
realizza l’oggetto progettato; ovviamente chi fa lo stampo avrà bisogno dei propri
tempi per poterlo realizzare. Entrando poi nella parte burocratica della questione, si
comprende come i tempi possano essere veramente molto lunghi. Quindi le
tempistiche in gioco dipendono sia dall’azienda che realizza il prodotto, sia da fattori
esterni.
Uno strumento molto importante per gestire tutto il percorso dall’inizio alla fine è il
diagramma di Gantt che è una sorta di calendario delle attività con la schedulazione
delle risorse: per ogni attività viene stabilito chi fa cosa. In questo modo si stabilisce
chi deve intervenire su un determinato processo e quando deve intervenire.
Per quanto riguarda le automobili ad esempio, a partire dalla data di uscita di una
vettura, si procede a ritroso, stabilendo qual è il tempo necessario per fare le diverse
operazioni.

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In genere nell’ambito aziendale si parla di conceptual design che significa farsi
un’idea di cosa bisogna sviluppare. Nella figura seguente vengono riportate le quattro
attività principali che si ritrovano in ambito industriale:

Figura 20

Il progetto preliminare viene invece chiamato embodiment design e il progetto


dettagliato viene chiamato detail design.
Per chiarificazione del compito si intende la raccolta di informazioni sulle
caratteristiche e sui vincoli del progetto al fine di definire le specifiche di progetto. Per
progetto concettuale si intende la definizione delle funzioni da includere nel progetto,
l’identificazione dei principi di soluzione e lo sviluppo delle soluzioni concettuali. Per
progetto di massima si intende lo sviluppo dettagliato della soluzione concettuale, la
soluzione dei problemi e l’eliminazione dei punti deboli del progetto. Per progetto
costruttivo si intende la definizione id forma, di dimensioni, delle tolleranze e dei
materiali di ogni singolo componente con riferimento alla successiva fase produttiva.
Molto spesso a livello industriale non c’è tutto il discorso nell’immaginare più
soluzioni, ma si ragiona un po’ per dare vita ad una sola idea da portare avanti,
sperando di aver successo. Il tutto dipende anche da che tipo di azienda si sta
analizzando.
Molto spesso quando un’azienda esterna deve realizzare un qualcosa per un’altra
azienda, deve riuscire a prevedere in poco tempo quanto costerà un progetto non
ancora sviluppato. Infatti se il progetto è di tipo chiavi in mano, una volta pattuito il
prezzo, se non si riesce a rientrare nei costi, l’azienda che realizza quel progetto ci
rimetterà dei soldi. Quindi nella progettazione concettuale a seconda del problema
che si sta affrontando bisogna valutare quello che succederà successivamente e se
si è in grado di sviluppare quel tipo di prodotto rispettando tutti i vincoli.
C’è una continua interazione dei diversi step con il fatto che possano essere previsti
dei miglioramenti; ognuno, in ogni momento, può proporre dei miglioramenti che però
non devono impattare su ciò che è stato deciso fino a quel momento.

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Figura 21

Figura 22

Figura 23

Nella maggior parte dei casi non si riescono a portare avanti più idee perché le risorse
richieste sarebbero eccessive.
Oshuga, con il suo modello, riprende un po’ l’idea di Pahl e Beitz definendola però in
maniera leggermente differente; in particolare Oshuga introduce degli step intermedi;
18
una volta chiarito il processo da Pahl e Beitz, Oshuga interviene immaginando che
tutto ciò che parte dai customer needs è la sorgente di un fiume che poi prosegue
verso il basso con una serie di salti a cascata: in alcuni punti egli propone dei
momenti di riflessione.

Figura 24

Il fatto di utilizzare un certo metodo di progettazione, non assicura tuttavia che


sicuramente il tutto è stato fatto bene. Ci devono essere dei momenti specifici di
rilettura del tutto.

Figura 25

Figura 26

Oshuga vede il percorso come un’evoluzione successiva a partire da un’idea. Quindi


si ha la generazione di diversi modelli fino a quello che tiene conto di tutte le
considerazioni precedenti.

19
Le VDI (Verein Deutscher Ingenieure) rappresentano il primo tentativo di guidare ciò
che avviene nello sviluppo di un prodotto e nascono nel 1884 come linee guida per
la progettazione di una caldaia a vapore. Dare delle linee guida quando non esiste
niente vuol dire in qualche modo creare una logica, ossia stabilire di fare determinate
operazioni in sequenza.

Figura 27

Ovviamente una cosa così dettagliata per fare un prodotto così specifico vuol dire
che o si è trascurato qualcosa per prodotti più complessi o che sono state inserite
cose che su prodotti più semplici non servono. Per cui chi deve progettare una
bicicletta ad esempio deve tagliare alcuni passi, mentre chi progetta un’automobile
deve aggiungerne altri.
Il modello di Hubka-Eder è stato teorizzato molto tempo dopo rispetto a quelli visti
precedentemente (nel 1981), ma non dice niente di nuovo rispetto agli altri.

Figura 28

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Lezione 6: 06-10-17
Requisiti funzionali e parametri di progetto di uno schiaccianoci

Requisiti funzionali:
1. Resistenza  cioè deve essere un elemento robusto  capita qualche volta che la noce è
più dura e quindi il concetto di resistenza può essere un po’ ambiguo;
2. Praticità d’uso:
2.1. Deve schiacciare frutti di varie dimensioni;
2.2. Deve raccogliere il guscio;
2.3. Deve mantenere la noce;
2.4. Non deve distruggere il frutto;
2.5. Velocità di esecuzione.
3. Maneggevolezza:
3.1. Deve essere poco ingombrante;
3.1.1. Facilmente conservabile;
3.1.2. Condivisibile;
3.2. Leggerezza.
4. Economicità
5. Sicurezza  non devo farmi male quando lo uso!
6. Ergonomicità

In particolare:
 La leggerezza è molto collegata alla maneggevolezza e dopo alla praticità d’uso, perché se
non è leggero è un po’ difficile da maneggiare.
Allora è la maneggevolezza che è contenuta nella leggerezza o viceversa ? se un oggetto è
leggero, “quasi” sicuramente è maneggevole e quindi è la maneggevolezza che contiene la
leggerezza  il proff ha detto “quasi” perché poi c’è anche un problema di ingombro.
Immaginiamo ad esempio un palloncino con un diametro di 3 metri, è leggerissimo ma non
è molto maneggevole.
 Per quanto riguarda la sicurezza, con lo schiaccianoci che ho a casa io posso rischiare lo
stesso di farmi male perché se non faccio attenzione mi posso schiacciare il dito.
 La definizione di ergonomia è: “è tale da non provocare patologie nel tempo”  quindi
potrebbe rientrare anche nella sicurezza però teniamo separati i 2 concetti, perché:
- la sicurezza è intesa come: “non devo farmi male sul momento”;
- invece la patologia è legata al fatto che: “ho rotto tante di quelle noci, che poi ho
un’infiammazione al muscolo o ad un legamento alla mano o un problema allo stomaco
perché ho mangiato tante noci”.

Si nota che ogni livello dei requisiti funzionali ha dei sottolivelli, in modo tale da specificare le
caratteristiche di quel requisito funzionale.
Lo schiaccianoci serve a rompere il guscio della noce per prendere il frutto, ma poteremmo
pensare anche di usare il coltello per aprire le noci senza rompere il guscio.

1
Dal punto di vista ingegneristico dobbiamo trasformare dell’energia per rompere il guscio, però
facciamo ciò perché non abbiamo altre idee per prendere il frutto dalla noce se non usare un
coltello.
Quindi aldilà dello schiaccianoci classico che conosciamo, noi dobbiamo interrogarci su come
vogliamo prendere il frutto dalla noce e poi vedere quale oggetto devo usare per prendere il frutto
dalla noce.
Ad esempio oggi esistono altri tipi di schiaccianoci che tengono conto di altri requisiti funzionali, di
cui non tiene conto lo schiaccianoci classico.

Quindi visto che non posso aprire la noce con le mani, se no mi faccio male, cerco un sistema di
amplificazione della forza per aprire la noce. Quindi serve energia che deve essere usata per aprire
il guscio senza rompere il frutto.
Quindi ogni volta che siamo di fronte ad un problema non dobbiamo pensare alle soluzioni, perché
perdiamo di vista altre possibili soluzioni.

Dopo che abbiamo messo in ordine le voci dei requisiti funzionali dello schiaccianoci, ci rendiamo
conto che i vari schiaccianoci che ci sono in commercio propongono un mix su questi requisiti che
sono differenti  quindi uno schiaccianoci rispetterà meglio la voce “ingombro”, un altro
rispetterà meglio la voce “velocità”, un altro farà più attenzione a non rompere il frutto all’interno
….. l’abbiamo già detto all’inizio del corso: “la progettazione è il compromesso tra i requisiti
funzionali”.
Le diverse soluzioni di schiaccianoci in commercio, sono differenti compromessi allo stesso
problema in alcuni casi. In altri casi sono proposte che seguono lo stesso mercato. Poi ci può
essere un discorso di design o di simpatia per una soluzione piuttosto che per un’altra, però bene
o male lì hai lo stesso mercato a cui ti rivolgi e quindi sono scelte progettuali diverse legate ad una
visione/soluzione diversa del problema con differenti mix di livelli di soddisfacimento dei requisiti
funzionali  cioè io posso dire che voglio fare un oggetto sicuro, leggero, maneggevole, però può
succede (considerando tutti i requisiti importanti allo stesso modo) che una soluzione mi da:
- punteggio 0.8 per quanto riguarda la maneggevolezza;
- punteggio 0.6 per quanto riguarda la sicurezza;
- punteggio 0.7 per quanto riguarda l’ingombro;
un’altra soluzione invece mi da:
- punteggio 0.6 per quanto riguarda la maneggevolezza;
- punteggio 0.7 per quanto riguarda la sicurezza;
- punteggio 0.8 per quanto riguarda l’ingombro;
complessivamente (o come somma o come media) per determinare la funzione obbiettivo, il
punteggio è lo stesso.
Quindi sono 2 prodotti che vanno bene, perché hanno un mix che mi da un soddisfacimento
globale del prodotto che è elevato  Poi il mercato dirà la sua!

Alla fine quindi abbiamo gerarchizzato i requisiti funzionali in diversi livelli, esplodendo tutte le
caratteristiche che deve avere lo schiaccianoci.

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Parametri di progetto:
La forma è un parametro di progetto e non un requisito funzionato, quindi se devo fare uno
schiaccianoci devo fare attenzione alla sua forma  quindi quando parliamo di forma non stiamo
parlando del problema ma già stiamo pensando allo schiaccianoci fisico, cioè all’oggetto finale.
Quindi per definire il problema non dobbiamo avere un’idea della soluzione, dobbiamo chiarire il
problema senza pensare alla soluzione.

Definizioni
 Requisiti funzionali: descrivono cosa il prodotto deve fare e cosa non deve fare, anche se si
preferisce dire cosa deve fare
 Specifiche tecniche: sono delle valutazioni di una prestazione, cioè misure di quello che fa
il nostro prodotto. Ad esempio, nel momento in cui ho disegnato lo schiaccianoci, posso
dire che può schiacciare frutti che vanno da un diametro minimo di 5 mm ad un diametro
massimo di 50 mm  quindi non poteremmo schiacciare oggetti né troppo grandi, né
troppo piccoli. Quella è una misura di quanto è flessibile nell’utilizzo.
Quindi il requisito funzionale dello schiaccianoci è che deve schiacciare noci di diverse dimensioni,
mentre la specifica tecnica è che deve schiacciare frutti che vanno da un diametro di 5 mm ad un
diametro di 50 mm.
Dopodiché io faccio la mia soluzione che lavora con diametri da 4 mm a 55 mm, quindi abbiamo
ampliato il margine rispetto alle specifiche tecniche. Se questo non pone limiti sul mercato, questo
non è un problema.

 Parametri di progetto: sono tutto quello che io decido o posso decidere su come deve
essere fatto il mio prodotto:
1. Forma
2. Dimensioni
3. Materiali
4. Colori
5. Tolleranze
6. Saldature
Tutto ciò che va sul disegno tecnico, ad esempio ci può essere anche il disegno
dell’imballaggio.

Ad esempio se noi mettiamo un vincolo sul peso dell’oggetto, già stiamo pensando all’oggetto
perché il peso è una conseguenza delle dimensioni e del materiale. Quindi quando parliamo di
peso non è un requisito funzionale, ma dobbiamo parlare di leggerezza.
È chiaro che se noi abbiamo scritto che deve pesare poco e non abbiamo scritto leggerezza, ci
rendiamo conto che dobbiamo valutare la leggerezza. Poi vediamo che la leggerezza dipende
dall’utilizzo, mentre il peso è assoluto, è un valore.
Quindi dare un peso, vuol dire dare una misura che è indipendente dell’utilizzo del prodotto.
Siccome noi ancora non conosciamo il prodotto, più riusciamo ad essere astratti sul requisito
funzionale, più ci apriamo la mente a soluzioni innovative.

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Quindi per chiarire tutti gli aspetti del problema dobbiamo fare una lista dei requisiti funzionali e
poi, avendo le idee chiare sul problema, posso pensare al prodotto.

Quindi non dobbiamo scrivere i requisiti funzionali in base al prodotto finale che vogliamo
realizzare, ma lo dobbiamo fare in base al problema !!
Ad esempio inventando soluzioni assurde, potremmo riconoscere quali sono i problemi presenti
nel tema che sto affrontando.

In particolare non tutti requisiti funzionali poi potranno essere soddisfatti e quindi devo scegliere,
quali soddisfare e quali non soddisfare.
Alla fine possiamo fare un questionario per capire che cos’è importante e che cosa non è
importante, per capire se il mercato è pronto a tale soluzione. Così capiamo cosa è importante e
cosa non è importante in termini di requisiti funzionali.

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Lezione 7: 9-10-17 (Mecc+Gest)

Differenze tra requisiti funzionali, specifiche tecniche e parametri di progetto:


I requisiti funzionali sono tutto ciò che riteniamo debba avere in funzione un prodotto perché sia
appetibile per il mercato o per il cliente.
Nel mercato noi abbiamo un insieme di persone che hanno delle diversità tra di loro, per cui non
abbiamo un prodotto che può andare bene per tutti, perché se va bene per uno non potrebbe
andare bene per un altro.
Il cliente è una persona specifica, cioè un’azienda che ci commissiona un lavoro e noi dobbiamo
rispettare le specifiche di quell’azienda.
Quindi ci sono 2 approcci che sono completamente differenti, perché in un caso dobbiamo creare
un range più ampio di possibilità per soddisfare tutti, nell’altro caso dobbiamo essere
esclusivamente sicuri che il nostro cliente sia soddisfatto. Capire come può essere soddisfatto il
mercato o il cliente, vuol dire identificare i requisiti funzionali  cioè tutte le funzioni che deve
avere il nostro prodotto.
Come si fa a valutare se le condizioni che noi riteniamo importanti sono effettivamente presenti
nel nostro prodotto?
Dobbiamo valutarle, da una parte chi non è abituato a ragionare in termini di requisiti funzionali,
anche noi stessi tendiamo a dire che ci sono delle misure che sono senso comune e noi
consideriamo queste misure piuttosto che considerare i requisiti funzionali. Ad esempio se voglio
un auto sportiva, la 1° cosa che vado a vedere è la potenza del motore che però non è l’unica cosa
perché nell’uso comune un motore potente mi consente di avere un auto sportiva  in realtà un
motore potente può essere anche il motore del furgone del Delay che serve a portare molte cose
ma non ha la velocità necessaria. Quindi noi andiamo a vedere un’altra misura che è la velocità
massima raggiungibile.
Come notiamo ci sono numeri che vengono usati tipicamente dell’automobili, ma ad esempio per
l’aspirapolvere si va a vedere:
 la potenza di aspirazione,
 la capacità dei sacchetti di contenere la polvere,
 ecc
si rappresenta con una serie di numeri qualcosa che serve per giudicare poi l’efficacia di un
prodotto  le funzionalità di un prodotto.
I numeri che ci presentano (a listino, nelle schede tecniche) sono ciò che è possibile misurare
effettivamente, sono oggetti univoci.
Ad esempio c’è stato un putiferio per quanto riguarda le emissioni delle auto della Volkswagen. In
particolare se andiamo a vedere la tabella delle auto per quanto riguarda sulla rivista 4 ruote,
diamo per scontato che i consumi dichiarati non corrisponderanno mai a quelli reali perché c’è un
norma rispetto alla quale fare delle misure e tutte le case automobilistiche cercano di ottimizzare
rispetto a quella norma, ma non vuol dire che ottimizzano rispetto all’uso comune  è un
problema di attenzione ai parametri ambientali, ma non solo la realtà è che rispettare quelle
norme per molte di quelle aziende vuol dire fare un prodotto del quale poi il cliente non è
soddisfatto  perché è chiaro che se io voglio consumare poco e avere poche emissioni, devo
andare piano-piano, devo partire progressivamente, quindi tiro fuori dei numeri ma questi numeri

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sono un modo per darci delle indicazioni sperando poi che noi interpretiamo correttamente
queste indicazioni per avere una traduzione di un qualcosa che è completamente diverso.
Quindi in generale noi giudichiamo un prodotto in base a delle informazioni relative al prodotto.
Chi compra su internet, prende i dati di targa dell’apparecchiatura elettronica ma non è in grado di
valutare la consistenza del prodotto. Potrebbe essere una cosa che rispetta quelle specifiche, però
dura 1 mese invece che 1 anno.
L’abbigliamento  si va a vedere la percentuale di lana o di acrilico, per vedere se conviene
comprarlo  ad esempio se è solo lana è più difficile che si restringe quando viene lavato.
Quindi una cosa è quello che il prodotto deve fare, una cosa è i numeri che rappresentano quel
prodotto.

Le specifiche tecniche dovrebbero in qualche modo aiutare a valutare tutto quello che il prodotto
deve fare, non lo fanno, però sono l’elemento di accordo commerciale  nel senso che nel
momento in cui ci viene commissionata un’attività quello che troveremo a contratto è: “Si richiede
la progettazione di un oggetto che faccia queste cose e che abbia queste caratteristiche
(dimensioni, potenza, ecc)”. Se ad esempio immaginiamo una macchina che deve fare una certa
attività in un impianto industriale, allora devo lavorare “tot-pezzi” nell’unità di tempo e quindi
dimensioniamo il tutto rispetto a quello.
Molto spesso il problema è: se noi vogliamo fare un buon prodotto, dobbiamo garantire che ci
siano tutte le funzionalità che riteniamo importanti  c’è una necessità di mercato, e ci dobbiamo
concentrare in maniera tale da sviluppare il prodotto su queste funzioni, poi dobbiamo usare le
specifiche tecniche come riferimento perché è l’unico modo per confrontarlo con la concorrenza
ad esempio. Quindi come minimo dobbiamo avere dei dati di targa che sono equivalenti.
Quando si fa il confronto con la concorrenza si cerca di capire qual è il prodotto migliore
affrontando una serie di criteri, che non sono tutti requisiti funzionali, sono certi aspetti che
identificano il prodotto nel mercato soprattutto dal punto di vista delle specifiche tecniche.
Ovviamente se ho un prodotto in commercio che costa quanto il nostro e ha specifiche tecniche
migliori, possiamo essere tranquilli che la gente non comprerà il nostro prodotto anche se il nostro
prodotto è migliore perché è difficile spiegare alla gente: “Guarda c’è qualcosa che non posso
misurare e che è tutto ciò che fa il mio prodotto, però lo fa con prestazioni un po’ più basse
rispetto ad un’altra”  è impossibile dirglielo, dobbiamo avere almeno in 1 punto una specifica
tecnica che serve al cliente.

Altre volte capita che le specifiche tecniche si confondano con i parametri di progetto. Qui il
discorso è anche complicato.
Ad esempio il peso della bicicletta non è un parametro di progetto, però incide sulle prestazioni,
non incide sulla qualità. Ad esempio se ci dobbiamo portare a spasso 10 kg invece di 100 kg è
chiaro che siamo coscienti del fatto che dovremo sudare molto di più per andare in bicicletta,
quindi per quanto riguarda il peso quella è una specifica tecnica che è conseguenza dei parametri
di progetto e che ci dà un’idea della fatica che faremo e non delle prestazioni che noi otterremo da
quel prodotto che è una cosa diversa. Ad esempio a parità di prestazioni (di affidabilità, di
dimensioni della bicicletta, ecc) potremmo usare materiali diversi è avere pesi diversi.

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Quindi c’è una specifica tecnica che riguarda come l’utente sarà soddisfatto di utilizzare quel
prodotto e non le funzionalità in se della bicicletta, perché la bicicletta mi deve portare a spasso in
qualche modo.
Il passo (cioè la distanza tra le 2 ruote) è un parametro di progetto, in realtà non lo troviamo nella
scheda tecnica ma lì troviamo il diametro della ruota. Il diametro della ruota è un parametro di
progetto, però viene usato anche come specifica tecnica. 
Come ci dobbiamo porre di fronte a questa cosa ? diciamo che la condizione ideale è che se i
requisiti funzionali fossero i parametri di progetto sarebbe perfetto perché io scelgo ogni
parametro di progetto così come mi piace. Quindi in alcuni casi io scelgo delle dimensioni perché
sono le dimensioni che mi vengono richieste e questo sovrappone i requisiti funzionali, le
specifiche tecniche e i parametri di progetto. Però questo è un caso fortunato che può andare
bene qualche volta (non può andare bene sempre), quello a cui dobbiamo fare attenzione noi è
che le specifiche tecniche sono uno strumento di valutazione del nostro prodotto non che faremo
noi ma che faranno altri  noi progettiamo qualcosa e gli altri vedranno le specifiche tecniche per
capire come si comporta il prodotto, a meno che non gli diamo un prototipo e quindi
indipendentemente dalla specifiche tecniche può dire se gli piace o meno il prototipo.
Quindi quando progettiamo ricordiamoci:
 Da un lato che dobbiamo soddisfare le specifiche tecniche che noi stessi ci daremo in
funzione del confronto con la concorrenza (se c’è la concorrenza).
 Dall’altro lato non dobbiamo farci trascinare nell’inganno che noi scegliamo la specifica
tecnica e poi vediamo il resto come viene di conseguenza, perché altrimenti perdiamo
qualche funzionalità.

Di tutto questo che ce ne facciamo ?


Ricordiamo la relazione:
× = × (1)
Dove:
- : pesi dei requisiti funzionali;
- : requisiti funzionali;
- : matrice di interazione;
- : parametri di progetto
A partire dalla relazione (1) abbiamo detto che se abbiamo un modo di misurare il
soddisfacimento dei requisiti funzionali, che non è l’uso delle specifiche tecniche perché corriamo
il rischio di misurare cose diverse (corriamo il rischio non vuol dire non possiamo ma dobbiamo
ragionare sul valore della specifica tecnica)  Quindi abbiamo bisogno di una misura di
soddisfacimento del requisito funzionale i-esimo:
( )
esso dipende dal nostro progetto che è: ×  a seconda di come mettiamo e viene
fuori un certo soddisfacimento di ognuno dei requisiti funzionali.
Una volta che abbiamo la misura del soddisfacimento del requisito funzionale i-esimo dobbiamo
comporre questi requisiti funzionali dell’oggetto.

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Supponiamo di avere 3 ipotesi di progetto , e per ciascuno dei quali abbiamo 3 requisiti
funzionali ( , , ):
1 2 3
1 , 0,8 0,8
2 0,6 0,5 0,4
3 0,7 0,2 0,4

Quindi abbiamo identificato i requisiti funzionali, abbiamo fatto delle ipotesi progettuali e li
abbiamo valutati con uno strumento che può essere la logica Fuzzy  è uno strumento che mi
serve per fare punteggi  possibilmente tutti nella stessa strada, immaginiamo di avere punteggi
che vanno da 0 ad 1.
Che probabilità ci sono che il progetto soddisfi il requisito funzionale ? La probabilità . !
Abbiamo queste misure, lo abbiamo fatto per ognuno dei requisiti funzionali e per ognuno dei
progetti.

Ragioniamo a parità di peso dei requisiti funzionali, chi è il migliore tra i 3 progetti?
Uno dei problemi che si pone in questi metodi di valutazione è come mettere insieme le
informazioni. Una volta che noi per ognuno dei requisiti funzionali abbiamo dato una misura che
deve essere necessariamente nella stessa scala e dovrebbe avere lo stesso significato  quindi
diciamo che se io questo . lo determino con un processo comparativo, allora deve essere tutto
con processo comparativo per questo lo determino in maniera probabilistica e deve essere tutto in
maniera probabilistica, perché poi i vari metodi propongono delle regole di composizione.

Ad esempio proviamo a ragionare in termini binari:


- Se et et  cioè se sono soddisfatti tutti e 3 i requisiti funzionali, allora
abbiamo fatto un buon progetto !

È chiaro che nel nostro caso abbiamo un livello di insoddisfacimento.

Se ragioniamo in termini binari possiamo mettere:


 Un valore pari a , per valori di 0.5;
 Un valore pari a , per valori di ! 0.5;
cioè:
1 2 3
1 0,4 ( ) 0,8 ( ) 0,8 ( )
2 0,6 ( ) 0,5 ( ) 0,4 ( )
3 0,7 ( ) 0,2 ( ) 0,4 ( )

Quindi ad esempio il requisito funzionale di non è soddisfatto perché 0,4 0.5 !


In logica binaria la funzione end dice che per avere ci devono essere tutti quanti 1, quindi
nessuno di questi progetti soddisfa la logica binaria.

Ci sono diversi approcci, che possiamo sintetizzare in questo modo: la cosa più intuitiva (sia che
siano senza pesi i requisiti funzionali) è che noi facciamo una media dei valori:
",#$",%$",& ,&
 : =
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",'$",($", ,(
 : =
",'$",#$",# ,%
 : =
Abbiamo fatto una banale media aritmetica che mi ha consentito di creare una graduatoria, quindi
il prodotto migliore è , poi viene e infine .

Mediamente tutti i requisiti devono essere soddisfatti, questa è un’affermazione che ci può stare a
livello di mercato perché mediamente ci sarà qualcuno che è distratto dal mio prodotto, o meglio
se la media è più alta troverò nell’ambito di quel mercato più persone che si riterranno soddisfatte
perché faccio una media. Ovviamente dipende dalle caratteristiche del prodotto e dalla situazione,
perché ci sono delle condizioni in cui noi riteniamo alcuni requisiti funzionali irrinunciabili.
Ad esempio può capitare che se io faccio la media e c’è uno zero, se ho lo zero non me ne accorgo
e non va bene questa cosa. Proviamo ad immaginare lo smartphone di adesso nel quale funziona
tutto benissimo, ma non si può istallare whatsapp  per noi sarebbe un problema.
Come si può fare per evitare che la media nasconda le defaillance di una ipotesi rispetto ad
un’altra ? L’approccio più banale è quello di fare una media geometrica, perché essa peggiora il
punteggio in funzione del valore più basso  quindi il valore più basso ci porta ad avere una
media più bassa e in particolare se c’è zero in una media geometrica, viene zero perché è un
prodotto. Questo è un modo!
L’altro modo è: se pensiamo quando noi andiamo a comprare qualcosa e scegliamo un prodotto,
una cosa che avviene molto spesso è che non mi interessa che questa cosa la faccio in modo
eccezionale l’importante è che faccia decentemente tutto. Poi ci devono essere delle cose in
particolare, l’importante è che faccia decentemente tutto.

Quindi le ipotesi sono di fare:


1. Media aritmetica
2. Media geometrica
3. Massimo del minimo  per vedere qual è il progetto migliore devo andare a vedere quale
ha il massimo del minimo tra i diversi valori di .
Da questo punto di vista i 2 progetti e sono equivalenti, perché hanno lo stesso
minimo ) * = 0.4 ( = 0.4 per il progetto 1 e = = 0.4 per il progetto 3).
Quindi c’è qualche funzione all’interno dei 2 progetti che non è particolarmente efficiente
agli occhi del mercato. Allora se noi vogliamo andare verso il mercato e valutare i requisiti
funzionali ci dobbiamo ricordare che abbiamo una gerarchizzazione, ad esempio avevamo
una struttura a 3 livelli per lo schiaccianoci.
4. Massimo dei massimi  In altri casi noi compriamo un prodotto perché ha quella specifica
funzione, quindi l’importante è che ci sia un elemento ad alte prestazioni per cui io dovrò
prendere il massimo dei massimi.
Nel nostro caso il massimo dei massimi ci sta sia nel progetto 2 ( = 0.8), che nel
progetto 3 ( = 0.8)  in questo caso e sono le alternative migliori, quali dei 2
scelgo ? una volta che ho visto che sono equivalenti nella prestazione del massimo dei
massimi, mi vado a vedere il resto dei requisiti funzionali  se vado ad utilizzare di nuovo il
criterio dei massimi dei massimo vince perché:
 ( )> ( )

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 ( )> ( )
,% .(
Se uso invece il criterio della media, vince perché > .
In teoria non dovremmo fare nessuno di questi 2 ragionamenti perché se uno va in un
negozio, a meno che non c’è un bravo venditore, con l’idea che si serve un oggetto per fare
una determinata cosa e allora tutte le altre funzioni probabilmente non gli interessano e
quindi prende il prodotto che costa di meno. 

Economicità
Questo lo diciamo per introdurre un altro aspetto che è complicato, lo abbiamo già visto per
quanto riguarda lo schiaccianoci ed è l’economicità.
Come si valuta l’economicità?
Il confronto tra requisiti funzionali o specifiche, mettono da parte l’economicità. Quindi essa non è
un requisito funzionale ed è una conseguenza di tutte le scelte progettuali, però è una cosa
complicata da considerare come requisito funzionale del progetto è più da considerare come un
vincolo perché noi sappiamo che sul mercato oltre ad un certo prezzo non possiamo andare sia
per confronto con gli altri prodotti simili e sia dalla volontà del mercato di mettere in gioco risorse
economiche per avere un prodotto piuttosto che un altro.
Per cui si considera il rapporto costi-benefici o viceversa ( lo vedremo meglio quando parleremo
dell’AHP). Però diciamo che quando facciamo riferimento ai requisiti funzionali, l’economicità ci
sarà, mentre nel confronto tra i progetti ci conviene tagliarla fermo restante il fatto che in qualche
modo alla fine una valutazione la dobbiamo dare.

In genere si cerca di capire la differenza tra i punteggi che in questo caso sono:
1. Progetto 1: 1.7/3
2. Progetto 2: 1.5/3
3. Progetto 3: 1.6/3
Proviamo a mettere i costi e diciamo che:
1. Progetto 1: 300 €
2. Progetto 2: 180 €
3. Progetto 3: 250 €
Dal prodotto 1 (1.7/3) al prodotto 3 (1.6/3), scendiamo di 0.1 e ciò ci permette un risparmio di
50 € (300 − 250 = 50 €).
Mentre dal prodotto 1 al prodotto 2 c’è uno 0.2 di differenza, con 120 € di differenza  è molto o
è poco ? noi stiamo parlando del fatto che una variazione da 1.5/3 rispetto a 1.7/3, in termini di
percentuale, sarà pari a:
1.7 − 1.5
100 = 12 %
1.7
Abbiamo il 12 % di variazione del soddisfacimento mi fa una variazione sul prezzo che è:
300 − 180
100 = 40 %
300
Se abbiamo fatto bene le nostre valutazioni sui requisiti funzionali, quale che sia il tipo di prodotto,
stiamo dicendo che è un prodotto che mi da un soddisfacimento di 1.7 e costa 300 € e un prodotto
che mi da soddisfacimento 1.5 e costa 180 €  la gente sceglie il prodotto 2 !
Ci sono altri aspetti da evidenziare, dal punto di vista logico non c’è paragone perché con queste
condizioni di prezzo la gente sceglie il prodotto 2.
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È chiaro che molto spesso noi non misuriamo il 0.2, ma ad esempio se a me interessa il requisito
funzionale 3 qui non stiamo più parlando di un 0.2 (1.7 − 1.5) ma stiamo parlando di un 0.5 (0.7 −
0.2) di differenza tra il prodotto 1 e il prodotto 2.
Se invece stiamo considerando il requisito funzionale 1, allora sicuramente andremo a comprare il
prodotto 2 e non il prodotto 1:
( ) = 0.8 > ( ) = 0.4
Quindi l’economicità gioca un ruolo diverso rispetto agli altri requisiti funzionali, perché incide non
sul giudizio ma sul rapporto tra giudizio che diamo e il costo comparato agli altri prodotti e il costo
comparato alle disponibilità  perché se nessuno avesse disponibilità io sono costretto a
comprare solo quel prodotto visto che non ha concorrenza.
Il problema è che noi dobbiamo mantenere il prezzo basso a causa del mercato, per tenere il
prezzo basso dobbiamo ridurre il livello di soddisfacimento delle funzioni.
Ad esempio un cellulare che ha una batteria che dura tanto, la batteria è più costosa e quindi
aumenta il prezzo. Dobbiamo trovare un equilibrio tra quella che è una necessità di mantenere
una lunga autonomia nel confronto con gli altri e la possibilità di mantenere un prezzo basso.
Quindi non sempre poi il progetto migliore è quello che vince, dipende dal mercato al quale ci
rivolgiamo e la valutazione economica è un discorso a parte.

Come abbiamo fatto per lo schiaccianoci, abbiamo lavorato su un nuovo prodotto e abbiamo
costruito una gerarchia dei requisiti funzionali:

Abbiamo 4 livelli per i requisiti funzionali, con i relativi sottolivelli.


Il proff ci ha presentato 4 modi per mettere insieme le misure di soddisfacimento dei requisiti
funzionali.
Come ci comportiamo su una gerarchia?

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Supponiamo di utilizzare la media, ad esempio faccio la media tra # e # e poi con la media
che ottengo lo uso per fare un’altra media con # che non è la stessa cosa di fare la media di
# , # e # .
Quindi una cosa è fare la media dei 3 valori e una cosa è fare la media della media di 3 valori 
quale delle 2 medie devo fare? Qual è la più corretta ?
È chiaro che se io ho gerarchizzato, io devo confrontare giudizi allo stesso livello. Quindi se io uso
la media devo fare:
 Prima la media (o il giudizio in generale) tra # e #
 E poi devo fare la media tra # e #
 E poi proseguo fino ad arrivare fino alla mia funzione obbiettivo 0
Ma devo necessariamente usare la stessa funzione matematica a tutti i livelli? O posso fare
qualcosa di diverso? Proviamo ad immaginare di andare in un negozio perché dobbiamo comprare
qualcosa, se ha un prodotto che ha più funzioni (aldilà dei pesi dei requisiti funzionali) diciamo che
c’è una serie di requisiti che non ci aspettiamo dal nostro prodotto. Ad esempio io voglio che il mio
prodotto abbia la funzione A, B e C e poi magari se ha anche la funzione D sono contento (se non
ce l’ha non fa niente). Quindi ad esempio a me interessa che il prodotto abbia 4 requisiti e se ne ha
anche un 5° di requisito mi fa piacere.
Ad esempio io voglio che il prodotto abbia i requisiti funzionali , ed e poi magari mi fa
piacere se ha anche il requisito # (ma quest’ultimo requisito non è necessario), allora:
 , ed vanno mediate;
 E se c’è # mi fa piacere e questo corrisponde al massimo dei massimi.

Ciò vuol dire che se io ho la media dei primi 3 requisiti funzionali che è ad esempio 0.6, mentre
# = 0.4  il mio giudizio è 0 = 0.6 perché quello che voglio c’è e vale 0.6.
Se invece # = 0.7, il mio giudizio è 0 = 0.7  perché non solo fa quello che deve fare il mio
prodotto (con punteggio 0.6) ma ha anche una cosa in più.
Quindi noi possiamo comporre le leggi di composizione, fino ad ottenere una funzione obbiettivo
che può avere un livello di complessità notevole. Diciamo che le funzioni di composizione sono
quelle 4 illustrate e in genere la media geometrica la possiamo anche evitare perché serve
soltanto nel caso in cui un requisito non è soddisfatto. Per i requisiti per i quali abbiamo chiesto il
soddisfacimento, potremmo scartare a priori i progetti che non hanno pesi.
Quindi ragionando in termini di media aritmetica (magari anche pesata), allora la funzione
obbiettivo potrebbe essere composta in questo modo:

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Diciamo che il requisito funzionale # è soddisfatto se è soddisfatto uno dei requisiti tra # e
# , per cui la misura di # è uguale al massimo tra:
( # ) = max( ( # ), ( # ))
Entrambi # e # devono essere soddisfatti, quindi magari io posso chiedere che la misura
di # sia pari a:
( # ) = min( ( # ), ( # ))

Poi posso dire che:


( )= ( )
( ) = 6789( ( ), ( ), ( ))
( ) = 6789( ( ), ( ))
Naturalmente questi sono degli esempi, nella realtà la scelta tra media, massimo e minimo
dipende dal problema e dipenderà da come gerarchizziamo i requisiti funzionali e dipenderà dal
prodotto che valutiamo.
Se ricordiamo la gerarchia dei requisiti funzionali dello schiaccianoci, noi avevamo dei livelli e dei
sottolivelli di requisiti funzionali. Ad esempio alcuni tipi di schiaccianoci non potevano garantire la
sicurezza, cioè la capacità di contenere la noce  in realtà nello schiaccianoci tradizionale la
protezione non c’è. Se questa funzione non c’è vuol dire che magari anche se mi contiene la noce
va bene, ma potrebbe anche non essere necessario cosa che si noto nello schiaccianoci
tradizionale. Quindi il requisito deve contenere la noce, deve tenere ferma la noce, è un requisito
che viene accettato ma non come necessario. Allora dovrò mediare tutti i requisiti funzionali della
noce tranne quello relativo al contenimento della noce, per quest’ultimo requisito infatti
prenderemo il massimo e poi alla fine prendiamo il massimo tra la media e il massimo.
Alla fine potremmo avere uno schema del genere:

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Quindi avremo:
0 = min( #, 6789( , , ))
Dove:
- # = min( # , max( # , # ))

Quindi ho determinato alla fine la mia funzione obbiettivo ( 0).

Quindi i requisiti che noi abbiamo identificato dal nostro progetto, che possono essere combinati
in maniera alquanto complessa e con logiche di associazione dei valori.

Se uso la progettazione probabilistica (quindi calcolo delle probabilità), dobbiamo usare per
combinare le misure dei requisiti funzionali le leggi del calcolo delle probabilità.
Questa vale come risposta generale, ma la matematica reale dipende dal tipo di misura che stiamo
usando.
Diciamo che per i metodi che il proff ci presenta, queste cose dovrebbero andare bene.

Il 2° assioma della progettazione è l’assioma sull’informazione  trasforma la misura attraverso il


logaritmo e il contenuto dell’informazione si somma, piuttosto che fare la media si somma.
Dipende dalle misure che usiamo.
Il concetto è che il giudizio che esprimiamo su un progetto/prodotto non deve essere fiacco ma
deve essere gerarchizzato in funzione dei requisiti che noi abbiamo strutturato.

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Per il progetto: Dobbiamo presentare i requisiti funzionali del nostro problema che abbiamo
evidenziato.
Ricordiamo che adesso che scegliamo il tema del progetto, non stiamo parlando di prodotto ma
del problema e il problema diciamo che vogliamo risolverlo con un prodotto che ancora non
conosciamo e dobbiamo chiederci:
- “il prodotto che risolverà il problema evidenziato, come verrà giudicato dalle persone?”
- Più riusciamo ad andare in fondo a questa gerarchia meglio è e stiamo parlando dei
requisiti funzionali, per cui niente numeri, niente specifiche tecniche, niente parametri di
progetto, niente idee di progetto ma capire qual è l’essenza del problema.
- Allora il mio prodotto, sarà un buon prodotto e risolverà quel problema se avrà
determinate caratteristiche.
- Non dobbiamo scrivere la funzione obbiettivo dal punto di vista matematico, ma
dobbiamo descrivere il problema in termini di caratteristiche del prodotto finale che deve
risolvere il problema  quindi dobbiamo ragionare sul problema e non sul prodotto.
- Prima o poi un giudizio sul nostro progetto lo dobbiamo dare, quindi dobbiamo valutare la
funzione obbiettivo. Nella 1° lezione c’era scritto che nello sviluppo del progetto dobbiamo
confrontare tra loro almeno n-alternative (il proff non si ricorda il numero). Come si
confrontano? Si confrontano con il valore della funzione obbiettivo, cioè per ognuna delle
alternative dobbiamo calcolare che valore di funzione obbiettivo ha e capire qual è
l’alternativa migliore. Potrei farmi anche una valutazione dei costi per capire se
quell’alternativa che è la migliore, vale il prezzo che devo pagarla.
Quindi i passaggi da fare sono:
1. Strutturazione dei requisiti funzionali
2. Gerarchia dei requisiti funzionali
3. Capire l’importanza dei requisiti funzionali con i rispettivi pesi

Il proff nell’esempio non ha messo i pesi dei requisiti funzionali, però è ovvio che se:
- ha peso 0.5
- ha peso 0.3
- ha peso 0.2
per ottenere devo fare una media pesata:
→ 0.5 ∗ ( ) + 0.3 ∗ ( ) + 0.2 ∗ ( )
Non viene chiesto già da adesso mettere i pesi dei requisiti funzionali, quelli escono fuori dal
questionario e da altre valutazioni.
In particolare ad un certo punto del corso il proff spiega l’AHP che è un metodo comparativo. Il
metodo comparativo al proff non piace per giudicare in assoluto per giudicare un prodotto, perché
non mi dice quant’è effettivamente il livello di soddisfacimento dei requisiti funzionali, mi dice solo
che un prodotto è migliore dell’altro. Però è perfetto per fare il confronto, inoltre anche l’AHP è
strutturato gerarchicamente con requisiti e sottorequisiti.

Quindi l’evoluzione del percorso è:


1. Ipotesi dei requisiti funzionali;
2. Calcolo delle misure dei requisiti funzionali una volta che abbiamo capito tutti i pesi;
3. Presentazione della funzione obbiettivo a partire dalla gerarchia;

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4. Confronto tra i diversi prodotti.

Ad esempio acquistano un peso molto basso quelle funzioni che vengono prese per scontate. Ad
esempio i primi telefonini avevano il problema della ricezione del segnale, questa cosa ormai è
risolta  qualsiasi telefonino non ha problemi di comunicazione e quindi l’importanza della
comunicazione si è abbassata. Quindi nel fare la gerarchia ovviamente ci deve essere come
funzione principale, però se noi stiamo ragionando su un problema che ha già delle alternative
l’importanza di tale funzione principale è secondaria. Se invece stiamo ragionando su un problema
che non ha ancora proposte di mercato significative, oppure standardizzate, l’importanza della
funzione principale è relativamente più alta.

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Lezione 8: 12-10-17 (solo mecc)

Slide: Il ciclo di vita del prodotto

Lo schema mostra l’intero ciclo di vita del prodotto e abbiamo detto che i requisiti funzionali
rispetto al’idea di prodotto sono tutto ciò che viene da monte e invece tutto ciò che viene da valle
da questo percorso sono vincoli.
C’è una freccia rossa nella slide che crea problemi.
In realtà fino a pochi anni fa il percorso era quello, più o meno dettagliato a seconda del tipo di
prodotto e a seconda di quanto si era presa coscienza della storia del prodotto, però si partiva dal
“Custumer Needs” e si arrivava al “Riciclo e dismissione”.
Fino a pochi anni fa il concetto di riciclo non c’era, c’era soprattutto il concetto di rifiuto e le cose
duravano anche di più.
Il percorso in rosso confonde un po’ le cose, cioè rende più difficile quella definizione che abbiamo
dato  tutto ciò che viene da valle è piccolo. In realtà non è sempre vero, perché se tutto ciò che
arriva da monte dell’idea di prodotto è un requisito funzionale, quando io creo una connessione
tra riciclo e dismissione e idea di prodotto in qualche modo io sto mettendo da monte delle
informazioni  cioè io sto dicendo che il modo in cui io produrrò o gestirò il mio prodotto in
qualche modo mi richiede che quel prodotto venga progettato secondo certi criteri.

Esistono dei software di supporto che tengono in considerazione l’intera vita del prodotto, ad
esempio il Product Life Cycle Management (PLM) che è un software che per ognuna di queste
caselle tiene conto di quello che succede in quelle caselle. È un software, quindi esegue delle
azioni e può tenere traccia di una serie di cose che noi non gli diciamo.
Quello che devo pensare prima è che esiste un’esigenza prima ancora del software, dove
l’esigenza è: “se voglio ottimizzare completamente il mio prodotto devo tenere conto di tutto ciò
che succede al mio prodotto”. In alcuni casi questa può essere un’esigenza di legge, poi avrà
coniugazioni diverse a seconda delle situazioni.
Ad esempio se noi compriamo la lampadina, in parte noi paghiamo il contributo Raee perché c’è
una legge europea che impone alle aziende che producono componenti elettronici a preoccuparsi
anche dello smaltimento del prodotto non più funzionante. Tale legge è stata fatta in ambito
ambientale per fare in modo che le aziende facciano prodotti elettronici facilmente riciclabili, cioè
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la legge ha tenuto conto della freccia rossa presente nella slide. Allo stato attuale le aziende di
computer hanno sovvenzionato dei depositi di stoccaggio, cioè c’è una raccolta differenziata che
viene da una parte gestita dalle aziende stesse che producono.
C’è chi ha fatto soldi sul recupero di materia prima tramite il riciclo.
Quindi ci sono alcuni fenomeni che sono legati alle leggi, che sono completamente svincolati dal
prodotto ma dovrebbero influenzare il prodotto.
Ad esempio in Italia si parla molto di sicurezza sul lavoro e allora è chiaro che quando io progetto il
mio prodotto allora io devo fare in modo che venga realizzato senza che ci siano rischi per il
lavoratore. Questa cosa può essere affrontata in diversi modi, uno dei modi è quello di fare un
impianto sicuro per la realizzazione del prodotto (ad esempio robotizzato) per salvaguardare
l’operaio, oppure evitando di utilizzare sostanze tossiche.
Allo stato attuale non esiste un unico modo per tenere conto di queste cose, certo che se io avessi
coscienza nel momento in cui io prendo una decisione progettuale nell’ambito di tutte le altre
caselle la progettazione potrebbe essere ottimizzata per l’intero ciclo. Il problema è capire se sono
vincolato a fare una cosa del genere e se all’azienda interessa seguire un determinato iter, ad
esempio le ultime caselle della slide le posso anche non considerare.

Se noi pensiamo alle automobili, chi le produce ha il suo guadagno soprattutto sulla vendita dei
pezzi di ricambio originali che non fa tra l’altro neanche l’azienda madre. Ci sono alcune aziende
che sono fornitrici dell’azienda che fa automobili e che creano il prodotto per quella macchina
nuova e poi hanno tutta la linea di pezzi di ricambio.
Ad esempio supponiamo che la Renault monta come gomme le Michelin, se noi vogliamo trovare a
listino della Michelin le stesse gomme che noi troviamo sotto la Renault che abbiamo comprato
noi non le troviamo. Quindi c’è l’azienda che fornisce prodotti alla ditta produttrice di automobili e
poi si potrebbe fare la gestione come società a parte per vendere i pezzi di ricambio. Poi la
manutenzione la possono fare le officine autorizzate che non sono proprietà della casa madre, ma
sono persone che ci mettono i propri soldi e ottengono la concessione di quel marchio e vendono
quelle automobili con degli accordi.
Quindi può succedere che l’azienda che produce il prodotto ha interesse a seguire il prodotto
soltanto per una parte della vita e quindi il cortocircuito della linea di prodotto si ferma prima e
non dopo.
Detto questo c’è da dire anche che per ognuna delle caselle della slide ci sono strumenti di
ottimizzazione. Alcuni li abbiamo studiati in alcuni corsi. Quindi ogni casella presenta diversi
metodi di ottimizzazioni. Il proff si interessa delle prime 2 caselle in giallo della slide.

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Slide: Progetto per ….Design for X (DFX)

In genere si parla di “Design for X”, cioè è un design che può essere fatta per ognuna delle attività
delle caselle della slide precedente.
Se io faccio progettazione meccanica devo:
- fare il dimensionamento,
- fare la simulazione dell’ergonomia,
- calcolo agli elementi finiti,
- sistemi multi-body (cioè considerano vari pezzi tra di loro e calcolano le inerzie, le
traiettorie, lo scambio di energia durante gli urti, ecc),
- poi ci sono per stabilire i cicli di lavoro  cioè se produrli a lotti piuttosto che in serie.

Slide: Gli attori nel ciclo di vita del prodotto

Ci sono tanti attori che vengono coinvolti:


- fornitori
- sub componenti
- affiliati
- servizi
- logistica
- clienti

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Il PLM è una piattaforma che tiene traccia di tutto quello che c’è qui dentro, che nella pratica
attuale per chi non usa il PLM è diviso in 3 grosse categorie:
1. flusso della progettazione
2. flusso dei servizi
3. flusso della produzione
Il flusso della progettazione non è detto che presente unicamente all’interno dell’azienda, perché
io potrei commissionare uno studio di progettazione e sviluppo del progetto e poi mi faccio in
azienda la pianificazione della produzione.
In un’ottica della serpentina che abbiamo visto prima, la progettazione di quel lotto tiene conto di
una serie di aspetti che sono quelli del flusso dei servizi. In realtà in questo grafico mancano
ancora delle frecce che sono:
- il prodotto che va verso la pianificazione e la produzione,
- il prodotto che va verso l’esecuzione,
e viceversa.
Una quantità di dati così impressionante è difficile da tracciare ma soprattutto è difficile da
codificare. Codificare vuol dire trovare un modo di formalizzare queste informazioni in maniera
tale che sia leggibile da altri e che sia utilizzabile in maniera compatta e senza errori. Per questo
non basta il disegno tecnico. Noi sappiamo che quando realizziamo un disegno tecnico abbiamo le
varie viste dei vari sotto-assiemi, le distinte base e quindi abbiamo tante informazioni … se fosse
stato fatto in maniera completa il progetto di grafica e computazione tecnica avremmo avuto
anche le tavole di lavorazione, quindi di un pezzo avremmo fatto una tavola ulteriore per dire dove
dobbiamo fresare, rettificare  così diamo informazioni su come viene realizzato il pezzo.
Allora il disegno contiene tante cose, ma non può contenere la pianificazione e la programmazione
della produzione  la tavola da disegno di un pezzo non mi dice quante saldature posso fare al
giorno, né con che tipo di macchina lo posso fare perché io non so quante altre parti vengono
saldate con la macchina perché i carichi di lavoro possono essere differenti.

Slide: Il Product Data Management - PDM

La 1° riga di questo grafico può essere gestita in genere da un sistema che si chiama PDM, che è un
sistema informativo in grado di fornire informazioni tecniche e di gestione a supporto
dell’innovazione (leggi slide).
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In genere è più di supporto all’attività di progettazione, anche se può entrare anche nel merito
tecnico. Il PDM è legato fondamentalmente al progetto del prodotto e non al progetto degli
impianti che servono per realizzare quel prodotto (cioè la linea di produzione).
Quindi io posso:
- arrivare a memorizzare come deve essere realizzato ciascun componente,
- come li devo assemblare,
- ma non posso arrivare a dire quanti ne faccio al giorno perché il PDM non nasce per
questo, ma in alcuni casi si possono aggiungere anche queste informazioni.
In particolare la logica di un sistema PDM è: se esiste un’interazione così forte tra i vari momenti di
vita del prodotto, evidentemente quando io sviluppo il mio prodotto o quando io modifico il mio
prodotto, devo in qualche modo tenere informato chiunque è coinvolto nella vita del prodotto
stesso.
Quindi il PDM mi consente di condividere le informazioni, perché è un sistema di condivisione
delle informazioni.
Nelle versioni di Solidworks esiste il PDM, si potrebbe istallarlo e metterlo in funzione ed ha di
particolare la creazione di utenti e ruoli e la creazione di un database dove mettere tutte le parti e
gli estremi che abbiamo in Solidworks e la possibilità di collegare a questi oggetti degli elementi
aggiuntivi e inoltre di gestire la numerazione delle revisioni dei vari componenti.
Quindi all’interno dei vari software, il PDM è un gestore di database  il database è un
contenitore dove noi mettiamo una serie di file, informazioni che sono etichettabili e collegabili tra
di loro. Nello sviluppo di un progetto quello che io posso mettere insieme è com’è fatto il mio
prodotto e quali sono tutte le informazioni relative al mio prodotto, tenendo presente che il
progetto ha una sua storia. Quindi io faccio una 1° ipotesi e poi faccio diverse configurazioni, cioè
io ho un’idea di prodotto che posso coniugare in diversi modi.
Ad esempio se in Solidworks noi facciamo il disegno 3D della chiave inglese, la forma della chiave
inglese è la stessa ma cambiano le dimensioni a secondo del numero della serie  dal DN18
cambiano le dimensioni rispetto al DN16, però il modello è quello e allora all’interno di Solidworks
c’è un file e all’interno del file ci sono varie configurazioni che corrispondono a vari prodotti.
Quindi io non posso fare un collegamento diretto tra il file della chiave inglese e quanti chiavi
DN12 ho a magazzino, non posso fare questa connessione se non gestisco anche le configurazioni
all’interno.
Quindi queste cose si gestiscono con i codici prodotto. Ad esempio se si rompe un pezzo della
macchina, la 1° cosa che ci chiede l’officina è il libretto perché lì ci sono i codici dei pezzi della
macchina.
Supponiamo di avere una tavola ufficiale che io ho passato al mio fornitore, in cui c’è scritto H7F7
che è l’accoppiamento e la tolleranza, vado a montare il pezzo e questo non va bene e quindi
decido di farlo H6F6  quindi gli do la stessa tavola con lo stesso codice ma con un numero scritto
diverso, ho cambiato una misura piuttosto che una tolleranza … io come sono sicuro che il mio
fornitore mi produrrà quello sulla base della tavola nuova? Perché ad esempio il fornitore si è fatto
sub fornire da qualcun altro con il quale ha litigato, quindi io avrò un sub fornitore che si è preso
una tavola che io sostituisco con un’altra tavola che ha lo stesso codice che però ha misure
diverse, come faccio a sapere se il prodotto che mi arriva è con la tavola nuova o vecchia? Siccome
io la tavola non posso sostituirla a tutti emetto un nuovo codice, devo seguire tutto il percorso
tenendo presente che alla fine qualcuno mi chiederà un mezzo fatto in quel modo.

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Quindi il PDM mi consente di gestire per ogni singola parte le informazioni sopra le revisioni e ogni
volta che io decido che ci sarà un componente fatto in un certo modo che è differente dal
precedente io devo aggiornare il numero del file con una certa logica, che sarà:
- prodotto n
- assieme x
- sotto-assieme y
- sotto-sotto-assieme z
- componente fatto all’esterno
- codice del componente H6F6
- revisione del componente H7F7
più è complesso il prodotto, più è lunga questa lista.
Io devo gestire questa informazione, devo sapere il pezzo dove sta e devo sapere se sta soltanto lì
o da altre parti perché posso pensare di mettere lo stesso pezzo su 2 auto diverse, con opportune
modifiche.
Quindi devo tenere traccia del componente, quindi:
- dove sta ?
- quante volte l’ho utilizzato ?

Uno degli esempi che possiamo fare è la gestione del magazzino, perché io devo sapere se ho al
suo interno un determinato pezzo e in che quantità.
Il PDM si occupa anche della gestione degli utenti e delle priorità. Su un progetto io dico chi ci
lavora, gli dico se può accedere alla documentazione del progetto e a quale livello. Quindi ad
esempio se io collaboro con Magneti Marelli che si occupa di centraline, gli metto a disposizione
tutti i disegni della parte dove va montato il suo componente  non gli faccio vedere tutta
l’automobile. In genere si fa una struttura logica per sotto-assiemi e autorizzo solo i sotto-assiemi
che interessano quella determinata parte.
Quindi devo poter gestire differentemente l’accesso alle varie case e sotto-assiemi per consentire
a chi deve lavorare su quel progetto di vedere lo stato di valutazione del progetto e devo dare
autorizzazioni di tipo diverse.
Ad esempio io disegni un pezzo e faccio una serie di verifiche agli elementi finiti, il tecnologo
potrebbe dire che quel pezzo è difficile da realizzare e quindi ci suggerisce di farlo in modo diverso.
Adesso chi è che deve fare le modifiche? Chi ha disegnato il pezzo o il tecnologo? Se i do
l’autorizzazione ad entrambi di modificare il pezzo, il rischio è che il tecnologo possa modificare il
pezzo e non sapendolo non mi accorgo che è cambiata la massa, il baricentro e quindi devo
modificare qualcosa. Ci cono delle piattaforme che mi permettono di fare delle modifiche in
contemporanea, ma in genere c’è sempre il responsabile del progetto che fa le autorizzazioni.
Ad esempio quando facciamo la messa in tavola in Solidworks, modificando le quote della tavola in
Solidworks si modifica il 3D. Questa funzione su alcuni software in passato doveva essere
esplicitamente attivata, perché la messa in tavola in genere veniva fatta per i periti meccanici che
erano pagati per fare la messa in tavola e non occuparsi della progettazione  quindi non
dovevano modificare il 3D.
Ciò nonostante il tecnologo, il commerciante possono esaminare il progetto su richiesta.

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Il PDM è stato il 1° tentativo di creare un sistema che, tenendo presente tutte le necessità di
tracciamento delle singole parti/assiemi e delle revisioni, consentisse di rendere visibile la
documentazione senza permettere che qualcuno possa fare dei danni. A questo si aggiunge che
per ogni componente ho la storia del componente in termini di revisione, ma abbiamo anche la
documentazione aggiuntiva che voglio mettere  quindi posso allegare a quel componente un
foglio Excel con tutti i calcoli fatti su di esso, puoi allegare la scansione dello schizzo che hai fatto a
mano sul tovagliolo di carta, quindi puoi allegare delle note in modo tale che su quel componente
non leghi soltanto il disegno ma leghi tutti i motivi che ti hanno costretto ad arrivare a quel
disegno.
Quindi il PDM serve a favorire la comunicazione e la condivisione delle informazioni aziendali con
una minimizzazione dei tempi di esecuzione delle attività che danno valore aggiunto, tramite
ricerca e problem solving. Così sono più reperibili le informazioni relative a quel prodotto, perché
scelgo quel componente per vedere subito com’è stato fatto e come deve essere realizzato.
Quindi nel PDM sono riportati tutti i processi di realizzazione del prodotto, fino all’imballaggio del
prodotto.
Ad esempio dobbiamo lavorare un pezzo con una macchina a controllo numerico, per lavorare un
pezzo sotto una fresa noto il suo 3D bisogna prima progettare le lavorazioni che vengono fatte.
Quindi una volta che conosciamo le lavorazioni che devono essere fatte possiamo saper dove
possiamo bloccare il pezzo, quindi a noi ci arriva il 3D del pezzo ma dobbiamo anche sapere da che
pezzo partiamo. Questo perché in fonderia partono dei pezzi fatti in un certo modo, oppure io
devo chiedere che venga realizzato un pezzo con una forma specifica. Molto spesso capita che si fa
lo stampo in parte in fusione e un’altra in un altro modo.
Poi bisogna tenere fermo il pezzo e lo blocchiamo con una tavola porta pezzi.
Ma dalla tavola porta pezzi al pezzo? C’è tutto un mondo che riguarda il bloccaggio del pezzo.
Per tenere fermo un pezzo ed eseguire la saldatura io devo progettare dei componenti appositi,
devo creare dei piani di riscontro con dei sistemi di blocco e quindi ci sono delle tecniche e quindi
devo progettare degli strumenti di blocco. Così come se l’oggetto deve essere fatto in fusione io
devo progettare lo stampo e lo stampo non è semplicemente integrativo del pezzo perché devo
tenere conto di 2 fattori fondamentali che sono:
- la estraibilità del pezzo dallo stampo;
- il ritiro del materiale  perché quando faccio la colata di metallo fuso e poi lascio
raffreddare io parto da un volume e ottengo un volume minore perché passiamo da una
temperatura di fusione di 700°C e arriviamo ad una temperatura di 20°C.
quindi nel fare uno stampo di fusione io devo tener conto della forma del pezzo e delle condizioni
di lavoro per poter progettare correttamente lo stampo.
Però in genere si fanno gli angoli di sfogo affinché possa essere estraibile dallo stampo il pezzo
precedentemente fuso, quindi inclino le facce nella direzione di estrusione. Quindi quando
progetto quel pezzo devo tenere delle accortezze sugli angoli di sfogo e devo vedere se mi va
bene quell’angolo di sfogo se no devo fare una scanalatura/rettifica in quella zona.
A questo punto so com’è fatto il pezzo e so dove lo posso agganciare.
Adesso per agganciare il pezzo in realtà si progetta in qualche modo il tutto.
Quindi più è complesso il prodotto e più devo tenere conto delle varie problematiche relative al
suo posizionamento/bloccaggio. Quindi devo avere dei riferimenti, anche ad esempio quando
faccio il taglio laser.

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Quindi come si blocca il pezzo ha un impatto sulla progettazione del pezzo. È chiaro che se io devo
progettare un pezzo, ci sarà qualcun altro che progetterà gli elementi per tenerlo fermo.

Riassumendo:

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Slide:

Questo grafico ci dà già un idea di alcune cose che esistono, cioè nel PDM c’è:
- CAD  serve per la progettazione/ingegnerizzazione dove ci sono anche analisi FEM
- CAE
- CAM
- CAPP
Il CAPE Factory Design è uno strumento informatico equivalente al CAE per la pianificazione
dell’impianto di produzione, dove ci si pone il problema di come fare l’azienda affinché possa
produrre quei componenti. Oppure ad esempio come devo gestire con le mie macchine la
produzione di diversi tipi di prodotti.
C’è un mondo dietro al Factory Design, dove a parte questa funzione non c’è un’interazione con il
prodotto perché il Factory Design è svincolato dall’idea di prodotto.
Ci sono però delle aziende, come ad esempio la Fiat, che fa delle linee per uno specifico prodotto
per cui l’impianto e le parti sono strettamente collegate altrimenti è difficile tener presente
all’interno del PDM l’impianto che realizzerà quei componenti e che poi li assemblerà.
Quindi più la fabbrica è flessibile e più abbiamo possibilità di produzione e più ci svincoliamo dal
prodotto.

Slide:

Il CRM è tutto ciò che si occupa di questa linea che è il mercato, avremo:
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- la gestione della pubblicità,
- la stampa dei foglietti che vanno messi nella confezione,
- il confezionamento,
- ecc
quindi tutto ciò che si riferisce all’immissione sul mercato del prodotto e la gestione del prodotto
sul mercato è dato dal CRM.
Il CRM può avere una connessione con il PDM perché io devo sapere che cosa vendono, devo
progettare la confezione e quindi le parti mi servono. Però attualmente il CRM è qualcosa che
gestisce da quanti prodotti, come li sto distribuendo, quali sono i problemi di funzionamento, ecc
… ormai qualsiasi cosa compriamo presentano dei dati.
Quindi per un componente per cui devo garantire il suo funzionamento, ne devo conoscere anche
la sua storia di produzione e quindi se mi rendo conto che dopo 5 anni un determinato prodotto
mostra un certo difetto ho 3 cose importanti da fare:
1. La prima cosa importante è intervenire nella maniera tale che la gente non pensi che il mio
prodotto non sia buono, ma il fatto che dopo 5 anni si rompe è perché il mio cliente l’ha
usato tantissimo.
2. La seconda cosa che devo fare è preparare l’innovazione di quel prodotto, perché tra 5
anni mi si apre un mercato se so che tra 5 anni si rompe.
3. La terza cosa è non farlo sapere alla concorrenza.
Quindi io posso prendere la storia dei prodotti vecchi per sapere come devo fare le cose, cioè è
nato per gestire la manutenzione però l’impatto sui requisiti funzionali dei nuovi prodotti è
importante.

Slide:

Le tecniche CRM sono tese a gestire i due aspetti fondamentali della “vita” del prodotto:
1) La Supply chain è tutto ciò che serve per l’approvvigionamento dei materiali da produrre
2) L’After market  il dopo vendita. Se io mi sto ponendo il dopo vendita della coca-cola non
c’è il ritiro del prodotto, al massimo ci può essere il ritiro delle bottiglie di plastica per
l’inquinamento.

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Slide:

L’ERP consente la pianificazione di tutte le attività dell’azienda, quindi non lavora sul prodotto ma
sull’azienda.
I sistemi ERP sono gli unici che parlano di soldi tra i sistemi appena visti, perché sono gli unici che
tengono la contabilità perché alla fine l’azienda è una scatola nera nella quale entrano materiali,
idee, soldi, ecc.
Quindi è una scatola nera che chiede in immissione materiali, denaro, energia e tira fuori prodotti,
soldi indipendentemente da tutto quello che c’è all’interno e questo flusso deve essere positivo
nel senso che faccio entrare quel materiale e quel materiale deve uscire come prodotto finito
riducendo gli scarti.
Quindi il delta di soldi tra i soldi che entrano e che escono deve essere positivo  cioè devo avere
un utile.

Slide:

Quindi in sintesi il PLM è uguale a:


PLM = PDM+CRM+ERP

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Ci sono 3 definizioni del PLM nella slide, la “DEFINIZIONE N.2” è quella più vicina al nostro corso,
cioè è una definizione rivolta agli ingegneri.
Quindi la definizione 2 tiene conto che chi sviluppa nuovi prodotti è l’elemento cardine per poter
fare business, l’azienda guadagna se ci sono prodotti che valgono in termini di utile.
Indipendentemente da tutti i ragionamenti, si fa sempre quello che dice il capo.

Slide:

Il PLM è la digitalizzazione di tutto ciò che avviene non solo nella vita del prodotto, ma nella vita di
un prodotto inserito in un sistema di produzione e distribuzione e quindi poi all’interno del
mercato.
Pensiamo ad esempio ad un’azienda che ha 3 prodotti, è chiaro che i 3 prodotti sono collegati dal
fatto che vengono realizzati nella stessa azienda con le stesse macchine. Quindi se io ho un PLM
non considero solo la vita del prodotto, ma considero la storia dell’azienda con tutti i suoi prodotti.
Infatti le aziende per tenere traccia di tutti i prodotti gli assegnano dei codici, pensiamo ad
esempio alle aziende farmaceutiche.
Se io ho trovato uno standard di digitalizzazione delle informazioni, dal quale posso ricavare in
maniera informatica le informazioni, io posso pensare di implementare delle automatizzazioni di
processi decisionali.
Esistono logiche, ad MRP, che sono degli approcci che ci dicono cosa produrre e quando produrre
nell’ottica che l’azienda tiene sotto occhio gli ordini e le scorte a magazzino e decide di produrre
una cosa piuttosto che un’altra.
Quindi ci sono delle logiche di produzione, che sul sistema PLM sono già implementate. Quindi in
base agli ordini e alle scorte a magazzino, grazie alle logiche implementate nel PLM, il sistema in
automatico prende delle decisioni.

Ciò implica che e’ necessario lavorare su un database costituito da prototipi virtuali (Modelli CAD)
associati ad informazioni di tipo tecnico/tecnologico/etc. (Modelli CAD/Caxx) e gestiti a livello
aziendale con un sistema hardware/software appropriato (PDM).
Un esempio è Solidworks su cui posso fare delle simulazioni e stampare la documentazione per
quanto riguarda l’assemblaggio.
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Slide:

Come metodologie di implementazione nel PLM abbiamo:


1. Progettare per la Produzione (Design for Manufacturing – DFM)
2. Progettare per l’Assemblaggio (Design For Assembly – DFA)
3. Progettare per l’Affidabilità (Design For Reliability – DFR)
4. Progettare per la Verifica (Design For Test and Maintenance – DFTM)
5. Progettare per l’Ambiente (Design For the Environment – DFE)
sono tutte problematiche separate che hanno senso messe in un punto di tutto quel processo.
Progettare per l’affidabilità che vuol dire? L’affidabilità esprime la probabilità che un prodotto
possa arrivare al guasto dopo un certo periodo di tempo che viene definito come vita utile.
Quindi un oggetto è affidabile se lo posso usare per 10 anni con una probabilità bassa che si
rompa.
La progettazione per l’affidabilità è nata perché ci sono delle situazioni in cui io voglio che
quell’apparecchiatura duri per tanto tempo. Quindi l’affidabilità non è una funzione del prodotto,
ma una caratteristica del prodotto.
Progettare per l’assemblaggio è progettare un prodotto in maniera tale che sia facile da
assemblare.
Sono metodi di progettazione che servono per avere una specifica funzione.

Adesso se io devo realizzare un tele comando ad esempio, ma perché devo realizzarlo in maniera
tale che sia facile da assemblare? Il telecomando sarà buono se trovo facilmente i pulsanti.

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Slide:

Si cerca sempre di realizzare prodotti in modo green affinché si riduca l’impatto sull’ambiente,
quindi anche nel DFE esistono delle linee guida per il lavoro del progettista:
 Verificare l’impatto sull’ambiente delle materie prime utilizzate (materiali ed energia);
 Progettare in modo da rendere più semplice il disassemblaggio;
 Progettare i componenti che non possono essere riutilizzati in modo da poterli riciclare.
Quindi se voglio produrre in modo green devo usare prodotti green!

All’interno di un oggetto complesso posso avere sottocomponenti che durano più dell’oggetto
complessivo, quindi potremmo riutilizzarli. Quindi fare un oggetto che sia facilmente disasseblabile
vuol dire che è facilmente mantenibile oppure è tale che i componenti sono facilmente riutilizzati
e questo è sicuramente green perché riduce le quantità dei componenti da produrre.

14
Slide:

Se vogliamo fare un ottimo progetto dobbiamo tenere conto dell’intero ciclo di vita del prodotto.

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Lezione 9: 16-10-17 (Mecc+Gest)

Slide:

Il processo e sviluppo prodotto è un processo che richiede una serie di step, tant’è che nel
calendario datoci dal proff ci sono presenti una o più delle caselle della slide perché identificare i
bisogni del cliente è ciò che avverrà venerdì con la presentazione dei requisiti funzionali. Perché
ora noi conosciamo l’argomento del nostro progetto e stiamo cercando di capire che vuol dire, in
realtà già qui c’è un passaggio fondamentale perché il proff ci ha sollecitato a parlare di affrontare
un problema. Per andare ad identificare i bisogni del cliente, noi ci siamo resi conto che questo
problema è un problema che tormenta un certo gruppo di persone più o meno ampio e se io trovo
una soluzione, quella soluzione diventa un prodotto e se quella soluzione diventa un prodotto,
quelle persone che hanno quel problema diventano clienti. Quindi se chiudiamo questo percorso
che è sintetizzato nella direzione di innovazione, innovare vuol dire trasformare un problema in
una soluzione … io ho trovato finalmente i miei clienti. Quindi abbiamo identificato un problema,
non abbiamo identificato dei clienti, adesso dovremo fare i questionari per capire chi è il nostro
cliente e quel cliente cosa vuole? Perché se poi noi ci fermiamo al nostro modulo, che è quello
degli studenti universitari di ingegneria, che hanno una confidenza sulla tecnologia e dobbiamo
affrontare 2 problemi fondamentali per vendere un prodotto:
- Il 1° è quello dei Costi;
- Il 2° (che è anche più importante) è quello: “perché una persona anche se se lo può
permettere dovrebbe affrontare delle difficoltà di capire come funziona una nuova
tecnologia che non ha mai utilizzato?”
Sembra una banalità però non lo è, ad esempio prima non c’era un telecomando per
cambiare i canali e quindi dovevamo alzarci e andare verso la tv ogni volta per accendere e
cambiare i canali.
Quindi il senso del questionario è capire il mondo al quale ci rivolgiamo che modo è e solo così
possiamo identificare veramente un cliente, perché il cliente non è quello che si convince che
abbiamo fatto una cosa buona, ma il cliente vede solo se il prodotto risolve il suo problema.
Quindi dobbiamo buttarci nelle esigenze degli altri per capire i problemi.
La Mission Statement che è a monte è quello che hanno fatto i proff, cioè dobbiamo ragionare per
fare qualcosa per loro. Quindi i proff ci hanno dato un incarico che un domani potrà essere
assimilato all’incarico che il nostro datore di lavoro o un committente ci darà per entrare in un
determinato mercato (ad esempio quello delle valige). Quindi il committente ci assegnerà un
progetto che dovrà avere determinate specifiche tecniche e requisiti funzionali, che si rivolge ad
un determinato mercato.

1
Nel caso del nostro progetto, noi abbiamo scelto un problema e stiamo cercando il mercato. In
altri casi invece ci diranno:”questo è il mercato, che possiamo fare?” facciamo un questionario e
vediamo quali sono le cose interessanti.
Quindi la Mission Statement definisce l’incarico e i vincoli o le particolarità dell’incarico, la
descrizione di ciò che vogliamo fare  quindi la descrizione del problema che abbiamo identificato
e magari il mercato al quale ci vogliamo rivolgere. Ad esempio quando facciamo il questionario mi
devo rivolgere ad un determinato mercato, ad esempio alle casalinghe se devo risolvere un
problema rivolto alle sole casalinghe.
Indentify custumer needs  si può definire se ho un determinato tipo di clientela.
Stabilire le specifiche target trovare un modo di confrontare le nostre idee con la concorrenza,
dobbiamo darci un target in termini numerici e non concettuali. Quindi se voglio un determinato
target, cioè voglio un prodotto con questa specifica, si tratta di specifiche tecniche. Nel momento
in cui io ho deciso che la cosa ideale è l’automobile a 4 posti, che consuma 16 km al litro poco ho
messo un target in termini numerici, però in realtà ho già tradotto i miei requisiti funzionali in
qualcosa di tecnico.
Notiamo che anche nello schema proposto dal libro, la definizione delle cose che io voglio valutare
come risultato della mia attività di progetto viene messa prima della definizione di concept, cioè
cerchiamo di capire prima che cosa vogliamo fare e poi ci chiediamo come farlo. Infatti noi
dobbiamo analizzare prima il problema e non la soluzione, perché se no non riusciamo ad
analizzare per bene il problema.

Slide: Funzioni centrali nel processo di sviluppo


In questa cosa c’è una domanda che è trasversale, chi fa questo?
Il grafico rappresenta tutte le persone coinvolte nel processo di progettazione, dove c’è un nucleo
centrale e poi la cornice.
In particolare:
1. Nucleo centrale: gruppo sufficientemente ristretto per garantire la condivisione delle
informazioni e la iterazione, richiede un project leader;
2. Gruppo esterno: Nucleo base più rappresentanti e consulenti di tutti i settori coinvolti
(legale, finanziario, fornitore, distributore, venditore, ecc).
Nel nucleo centrale ci sono:
- responsabile del gruppo,
- esperto di marketing,
- designer industriale,
- progettista meccanico,
- progettista elettronico,
- specialista dell’acquisti,
- specialista di produzione,
- ecc.
Nell’anello esterno ci sono:
- finanza
- vendite
- aspetti legali

2
- ecc

Slide: Valutazione dell’efficienza


A meno che non si tratti di progetti semplici, in genere la progettazione viene portata avanti così.
Avere un team strutturato bene consente di avere un prodotto soddisfacente dal punto di vista
della qualità e dei costi, sviluppato in tempi rapidi, a basso costo di sviluppo e con un know how
che aumenta per l’azienda.
Quindi un team di progetto deve essere costituito da:
- nucleo base
- gruppo esterno

È chiaro che questo concetto è applicabile facilmente per una grossa azienda che fa dello sviluppo
prodotto un’attività fondamentale perché un’azienda che ha l’obbiettivo di mantenersi all’impiedi
per lungo tempo, deve continuare a proporre nuovi prodotti per mantenersi allineata con la
concorrenza, deve valutare le nuove tecnologie e capire se quelle nuove tecnologie possono
migliorare il prodotto.
Ci sono invece aziende che hanno necessità sviluppo prodotto in maniera singolare. Naturalmente
per fare un nuovo prodotto ho bisogno di un team di progetto e tale team non mi serve sempre, a
meno che io non faccia sempre nuove tipologie di prodotto sempre.
La composizione del nucleo base e la composizione del nucleo stretto, in generale è fatta di più
persone con alcuni interni e alcuni esterni, ma questa suddivisione di ruoli non è così netta,
dipende dall’azienda e dalla complessità dei prodotti che si sviluppano.
Quindi ci sono dei casi in cui il nucleo base è 1 sola persona esperta di una serie di cose e porta
avanti il suo progetto e non c’è bisogno di coinvolgere altre persone, magari perché non ha una
discreta conoscenza o perché non conosce la parte elettrica.
Ovviamente se il gruppo è di 1 persona, c’è un team leader che è leader di se stesso e non ci
saranno contrasti all’interno.
Dove ci sono almeno 2 persone c’è bisogno di un leader, cioè qualcuno che si prenda la
responsabilità di prendere le decisioni perché le decisioni non sempre sono condivise. Tra l’altro
essendo in 2, in genere quando sono 2 persone è un pareggio.
Per cui diciamo che i prodotti di media-grossa complessità, noi avremo:
- un responsabile di progetto;
- uno o più esperti per ognuna delle aree di interesse per quel progetto  se è
un’apparecchiatura avrà un’ingegnere meccanico, un elettronico, un tecnologo, ecc
Nel gruppo esteso vediamo altre figure, perché quando progettiamo qualcosa quel qualcosa deve
essere realizzato, distribuito, trasportato, venduto, fatto di componenti che devono essere
acquistati. Ogni volta che noi prendiamo delle decisioni sul progetto, coinvolgiamo uno degli
aspetti di tutta l’azienda e di tutta la filiera che va dall’approvvigionamento delle materie prime
fino alla vendita.
Non sappiamo tutto, per esempio nel caso dei farmaci prima che ci vengono riconosciuto un
nuovo farmaco deve passare per un iter lungo.
Il project leader è qualcuno che capisce di tecnologia, di ingegneria meccanica, di ingegneria
elettronica … magari non è detto, se il progetto è complesso non è che deve essere un esperto che

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è in grado di fare complicatissimi calcoli agli elementi finiti, ma deve essere uno che sa gestire le
persone. In genere chi fa carriera è colui che sa gestire le persone. Ovviamente se deve gestire
persone che devono affrontare problemi tecnici devi essere almeno in grado di individuare il
problema tecnico sul quale devi discutere, quindi deve prendersi anche le responsabilità della
scelta tecnica. Questa è la figura per la quale noi siamo candidati. Quindi le aziende vedono anche
chi riesce a creare più coesione in un gruppo.
Non posso far guidare il progetto da un fornitore, cioè i fornitori non possono decidere per noi,
quindi non ha senso fare un nucleo base che comprende tutti anche perché per fare mettere
d’accordo molte persone ci vuole elevato tempo e costo di sviluppo. Tutte queste persone sono
stipendiate dall’azienda e sono chiamate per risolvere un problema oppure sono consulenti
esterni. Anche sulla consulenza esterna c’è possibilità di lavoro, ad esempio l’Accenture vende
consulenza alle aziende per sviluppare un progetto e poi se ne vanno.

Slide: Gli scogli da superare


- Compromessi richiesti per garantire il successo del prodotto
- Dinamicità del mercato della concorrenza e dell’evoluzione tecnologica
- Incidenza dei dettagli sul prodotto nel suo complesso
- Tempi rapidi per lo sviluppo del prodotto
- Rapporto tra costo e prezzo del prodotto

All’interno del team di progetto dobbiamo trovare un compromesso tra tutte le possibili idee,
soluzioni, problemi, ecc  tenendo conto dell’evoluzione del mercato e dell’evoluzione
tecnologica senza perdere troppo tempo. Quindi il compromesso va trovato velocemente, se no
perdiamo troppo tempo e non realizziamo il prodotto.

La percezione di qualità del prodotto dipende dal modo con cui la persona interagisce con il
prodotto. Per cui se noi facciamo una televisione che ha un display spettacolare e poi ci mettiamo
un pulsante di accensione che si muove o che sta per rompersi, vuol dire che il prodotto non ha
buona qualità anche se la funzione principale è fatta nella maniera migliore possibile di questo
mondo.

Il tutto va fatto in tempi rapidi perché uno deve tenere il passo del mercato, cioè dobbiamo
vendere qualcosa che abbia un prezzo accettabile e il nostro margine sta nel risparmio che noi
facciamo nel sviluppare il prodotto  quindi minore è il costo di produzione del prodotto,
maggiori sono i margini e più l’azienda è contenta e ci fa lavorare.

Slide: significato di <<Nuovo prodotto>>


- Innovazione del mercato
- Innovazione del’azienda
- Riposizionamento su altri segmenti
- Estensione del segmento
- Evoluzione del prodotto
- Economizzazione del prodotto
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Proviamo ad immaginare che io sono un’azienda che faccio lavorazioni meccaniche e decido di
produrre 20 viti DM12, quindi entro in un mercato o perché ho dei soldi da buttare e riesco a
mantenere bassi i costi di produzione per ammortizzare i costi. Se uno produce cose nuove vuol
dire che quel prodotto lo posso mettere in competizione sul mercato per trovare il loro spazio. Il
sogno di chi produce nuovi prodotti è di invadere il mercato ed essere padroni del mercato.
Un’azienda può ritenere nuovo un prodotto perché è un’innovazione del mercato, cioè risolve un
problema che fino ad ora nessuno aveva risolto  come nel caso del nostro progetto, cercando di
vedere se qualcun altro ha già risolto il problema.
Il mercato cambia, quindi che vuol dire nuovo? Nuovo può essere relativo a:
- Innovazione del mercato
- Innovazione del’azienda
- Riposizionamento su altri segmenti
- Estensione del segmento
- Evoluzione del prodotto
- Economizzazione del prodotto
Quindi noi come ingegneri che lavoriamo su quel progetto, dobbiamo cercare assolutamente di
apportare un qualcosa di nuovo in una di queste voci. In alcuni casi va detto specificamente, la
cosa più semplice che uno può dire: “cambiamo il prodotto, così costa di meno”  e stiamo lì a
studiare per vedere se facciamo le cose leggermente diverse riusciamo a ridurre di tot …
cambiamo materiale, va ancora bene? Ad esempio cambiandolo posso ridurre i costi ma può
perdere dei requisiti funzionali.
Quindi noi dobbiamo cerare di ridurre i costi di produzione, che può essere fatta come modifica
del prodotto o come modifica del processo. Ovviamente se stiamo lavorando solo alla modifica del
processo dobbiamo ridurre i costi e non siamo in un team di sviluppo e quindi non rientriamo in
questa slide ma stiamo rientrando nel gruppo tecnologico dell’azienda.

Innovazione del mercato  il mercato cambia per aspetti


- sociali, strutturali,
- ci sono le mode  ad esempio un attore famoso può vestire un determinato capo di
abbigliamento e dar vita ad una nuova moda.
Le mode influenzano molto il mercato e ciò può portare a richiedere nuovi prodotti.

L’innovazione dell’azienda è legata alla necessità che una certa azienda decide di innovare ad un
certo punto:
- o perché si aspetta che il mercato cambi,
- o perché si è fatto i conti e vuole cambiare approccio e decide di proporre prodotti in
modo diverso, che è una delle cose più difficili. Ad esempio la Fiat fino a pochi anni fa era
considerata come l’auto nazionale che costava di meno perché valeva di meno … noi
sappiamo che se ad esempio facciamo gli oggetti meccanici dell’autovetture con tolleranze
più spinte questo mi può dar vita ad un maggior movimento relativo, quindi maggiori
vibrazioni  però questa cosa consente di fare prodotti ad un costo più basso e questo
tipo di approccio è stato utilizzato dalla Fiat.

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Quindi se un’azienda vuole innovarsi non deve cambiare in se il prodotto, ma deve
cambiare il modo in cui l’azienda vuole realizzare il prodotto, perché ad esempio deve
rendere il processo tecnologico più ecologico.

Riposizionamento su altri segmenti  è un prodotto che abbiamo fatto bene e ci rendiamo conto
che si può estendere quel concetto di prodotto ad un segmento di tipo diverso. Ad esempio ho
venduto il prodotto ai trentenni ora vediamo se lo riesco a vendere ai quarantenni, però per
venderlo ai quarantenni devo fare i questionari e devo indagare il mercato per vedere se lo posso
vendere ai quarantenni e se devo fare delle modifiche per venderglielo in base alle loro esigenze.
Quindi se ad esempio prima ho venduto un prodotto ai giovani, poi posso pensare di riposizionarlo
sul mercato verso le persone anziane.
Ad esempio le linee di produzione Fiat delle autovetture, oltre al mercato europeo, venivano
trasferite in Brasile o in India per continuare a produrre le autovetture Fiat su mercati
completamente diversi perché le esigenze erano completamente diverse.

L’evoluzione del prodotto  io devo cambiare il prodotto perché devo inserire nuove tecnologie,
quindi c’è il cosi detto know how del prodotto.

Slide: Elementi di rischio


- Ingerenza dall’esterno del team  Tutti noi abbiamo formato un team/gruppo e il prof
Cappetti e la prof Michelino per noi sono un elemento di rischio perché hanno una forte
capacità di ingerenza dall’esterno sui vari gruppi.
- Ingerenza di un sottogruppo interno al team  si può formare un sottogruppo nel team
che può avere una forza ingerenza, ecco perché il team leader deve cercare di stabilire un
equilibrio tra i vari membri del gruppo evitando che tutte le decisioni vengano prese
perché c’è un sottogruppo che forzano la mano perché si sono innamorati fortemente della
loro idea. Per mantenere l’oggettività del problema da risolvere tutti i membri del gruppo
si devono confrontare.
- Risorse insufficienti
- Incompletezza del team  perché può mancare qualche competenza nel gruppo, ad
esempio ci può mancare una competenza di un elettronico.

Slide: Mission statement


La Mission Statement è un documento ufficiale che ci dice che cosa dobbiamo fare e contiene la
descrizione del prodotto in questi termini: “voglio fare un prodotto che risolva questo problema”.
In particolare esso presenta:
- Segmenti di mercato, obbiettivi del prodotto  può essere è innovazione del mercato;
- Nuove tecnologie  vuol dire innovazione dell’azienda, non è innovazione del mercato;
- Obbiettivi e vincoli relativi alla produzione  è un aspetto legato ai costi. Ad esempio gli
obbiettivi finanziari mi dicono quanto ci voglio guadagnare.
- Budget e tempistica

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Slide: Pianificazione dei prodotti
La Mission Statement identifica solo uno dei passi di sviluppo dell’azienda nel tempo, che invece
deve pianificare il suo portfolio di prodotti.

Qualora non seguo l’iter stabilito dalla Mission Statement si rischia di avere:
1. Prodotti poco competitivi  perché non sono stati fatti ad hoc per il mercato;
2. Tempistica errata  è una cosa che capita spesso, cioè si vende qualcosa e non interessa a
nessuno … poi dopo 2 anni lo stesso prodotto fatto da un’altra azienda ha un successo
enorme, ciò perché il mercato non era ancora pronto.
3. Distribuzione errata delle risorse  è un problema interno. Avere risorse per sviluppare un
prodotto vuol dire fare in modo che l’esperto meccanico, elettronico del team abbiano la
possibilità di fare il loro lavoro  quindi avere i software, fare indagini di mercato, ecc.
Se io risparmio soldi sull’indagine di mercato perché devo acquistare un nuovo software,
posso rischiare di avere una visione distorta della realtà.
4. Avvio e cancellazione di prodotti mal concepiti  se distribuisco male le risorse posso
ottenere un prodotto poco competitivo, quindi lo metto in produzione e poi lo chiudo.
5. Cattiva gestione

Slide: Tipologie di sviluppo prodotto


Quando sviluppiamo un nuovo prodotto dovremo in qualche modo chiederci che tipo di approccio
vogliamo avere, perché si possono fare nuove piattaforme di prodotto.
In particolare:
- La gestione del processo di sviluppo prodotto è differente a seconda se si vogliano
sviluppare;
- Nuove piattaforme di prodotto;
- Derivazione da piattaforme esistenti;
- Miglioramento di prodotti esistenti;
- Prodotti totalmente nuovi.
Che cosa vuol dire? Proviamo ad immaginare il segmento dell’automobile, noi abbiamo un tipo di
autovettura che può essere la Fiat 500. Se noi andiamo a vedere sul listino della Fiat 500 andiamo
a scoprire che c’è:
- 500 a Diesel
- 500 a Benzina
con cilindrate diverse.
Allora il prodotto Fiat 500 non è un solo prodotto, ma è un insieme di prodotti per ottenere
diverse tipologie di Fiat 500.
Quindi se io faccio una piattaforma di prodotto, io definisco un prodotto che deve essere
riconfigurabile in differenti modi e quindi tener conto delle esigenze di tutte le varie
configurazioni. Quindi se voglio fare anche un motore a gas per la 500, non posso fare una vettura
con un bagagliaio piccolo perché devo mettere anche il serbatoio del gas oltre a quello a benzina.
Quindi se so che devo fare una nuova piattaforma di prodotto, io devo progettare non per un
prodotto ma per n-prodotti simili, quindi è come se avessi n-specifiche tecniche  n-Mission

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Statement, tutte molto simili in maniera tale che poi gli stampi per la carrozzeria, del telaio, ecc
sono gli stessi perché se fossero prodotti completamente diversi mi costerebbe molto produrli.
Ad esempio se devo fare la versione cabrio di una autovettura non è una cosa semplice, perché
un’auto non ha una torsione elevata perché ha il tettuccio  quindi nella versione cabrio
dell’autovettura noi dobbiamo irrigidirla in qualche modo e quindi se gli aggiungiamo dei
componenti sul tettuccio della cabrio questa modifica va bene. Quindi se noi pensiamo di fare per
il nostro problema una piattaforma di prodotto che deve essere un qualcosa che accontenta più
segmenti di mercato diversi, allora dobbiamo sviluppare il nuovo prodotto tenendo conto delle
diversità tra i vari segmenti di mercato e quindi le diversità dei vari componenti che ci dobbiamo
mettere e garantire la riconfigurabilità.

Derivazione da piattaforme esistenti  è simile come concetto, cioè io ho già una piattaforma
esistente e ad un certo punto si decide che per una delle autovetture si può fare la versione ibrida
o elettrica. Devo partire dalla versione esistente e devo adattare la versione esistente in maniera
tale da aggiungere delle cose e toglierne altre, se riesco a farlo posso fare una derivazione della
piattaforma esistente.

Miglioramento di prodotti esistenti  è quello che avviene in ambito automobilistico dopo il


lancio, cioè dopo la 1° serie comincio a togliere delle cose e a metterne altre per avere altre
funzioni. Quindi io ho un prodotto esistente e devo far si che si adegui a quelli che sono gli
standard, lo stile e le tecnologie che sono via via disponibili  per cui aggiungo componenti non
per fare una derivazione del prodotto esistente ma per migliorare quello che già c’è.
Ad esempio da un certo punto in poi hanno messo tutti il limitatore di velocità per il controllo,
quando abbiamo la centralina elettronica aggiungere questa funzione non ti costa niente e quindi
in questo caso ho fatto un miglioramento di un prodotto esistente aggiungendo dei pulsanti per
avere il limitatore di velocità.

Prodotti totalmente nuovi  quello che facciamo noi gruppi, perché noi non faremo piattaforme
di prodotti ma prodotti completamente nuovi. Potremmo ricadere anche in una piattaforma di
prodotti facendo ad esempio 3 schiaccianoci diversi, dove uno lo uso per le nocciole, uno per le
noci e un altro per le mandorle.

Slide: Tre tipologie di prodotto di sviluppo

Il grafico standard è:

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1. Pianificazione e sviluppo del Concept
2. Progettazione sistemica
3. Progettazione del dettaglio
4. Progettazione e miglioramento del parco prodotti
Come si nota lo schema è leggermente diverso per le 3 tipologie di prodotti con diversi cicli di
iterazione, perché io lavoro con il mio team per arrivare a definire un’idea che è quella che ritengo
sia la migliore e poi comincio a fare la progettazione del dettaglio perché nel mio team ho le
competenze per fare questo.
In alcuni casi quando il prodotto è complesso (Figura c) per ognuno dei sottogruppi avrò:
- Progettazione e test (Design-Test);
- Integrazione e test (Integrate and test).
Questo nucleo (Design-Test) con una serie di competenze, è un qualcosa che va bene in un caso
generico. Quando noi abbiamo un prodotto complesso, ognuno di questi nuclei riguarda una di
quelle linee Progettazione-Test  non possiamo pensare su un progetto complesso di mettere
insieme tutte le competenze in un'unica stanza, il team deve avere una flessibilità tale per cui non
deve essere numeroso perché se no non riusciamo a mettere d’accordo le diverse persone.
Quindi ad esempio nell’ambito delle autovetture il “Design-Test” (Figura c) saranno:
- Team sviluppo del motore
- Team sviluppo della meccanica (ad esempio le sospensioni)
- Team sviluppo telaio e carrozzeria
- Team sviluppo abitacolo
Quindi nell’azienda ci sarà bisogno di tanti team leder e poi di tanti piccoli team e poi ci sarà
bisogno di qualcuno che farà “Applicazione e Test”, cioè a partire dal progetto generato noi
dobbiamo mettere tutto insieme e ci sarà qualcuno che dovrà coordinare i vari sottogruppi. Quindi
il team è un concetto che va coniugato in maniera omogenea al prodotto che stiamo considerando
e il più delle volte il team è fatto di sottogruppi.

Slide: 1. Raccogliere le indicazioni


- Mercato
- Focus Group
- Osservazione dell’ultimo del prodotto
- Sondaggio
- Costo dell’attività
- Scelta del campione

Noi stiamo lavorando alla definizione di un questionario per capire quali sono le esigenze vere
relative al problema che abbiamo evidenziato e quindi identificare i requisiti funzionali. Quello che
faremo sarà la costruzione del questionario, però non è l’unico modo perché ci sono altri approcci
in funzione della complessità del problema.
La 1° cosa che dovremmo fare è l’osservazione dell’utilizzo del prodotto, dove si intende non il
prodotto che dobbiamo sviluppare (perché noi dobbiamo fare qualcosa di nuovo), ma come si fa
adesso  quindi chi deve occuparsi della raccolta delle briciole del pane deve guardare la
mamma, la zia, ecc che stanno affettando il pane per vedere qual è il modo di comportarsi.

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Poi dobbiamo vedere chi affetta molto spesso il pane? Ad esempio un addetto al ristorante, più
che il salumiere. Quindi coinvolgere persone che fanno questo più di frequentemente per farsi
un’idea più ampia del problema.
Infatti in un’azienda si cerca di prendere spunto anche dai suggerimenti degli operai. Ad esempio
se un’azienda produce frullatori, l’operaio può riscontrare delle problematiche nell’eseguire delle
operazioni di assemblaggio e allora può suggerire all’azienda delle proposte per risolvere tale
problema  così riduce i tempi di realizzazione del prodotto.
Dobbiamo vedere anche prodotti simili a quelli che noi vogliamo realizzare, per trovarne pregi e
difetti.

Slide: 2. Dalle indicazioni ai bisogni


- Interpretare il cliente senza influenzarlo
- Check list
- ecc
Quando facciamo i questionari dobbiamo fare le domande in modo oggettivo, perché se no
spingiamo la persona verso la risposta che noi desideriamo e quindi verso la nostra soluzione al
problema.

Slide: 2. Dalle indicazioni ai bisogni


Regole di efficacia:
- Seguire il discorso
- Usare campioni di prodotto esistenti o simili
- Eliminare le considerazioni tecniche  perché la persona a cui rivolgiamo la domanda non
capirebbe niente al riguardo;
- Chiedere una dimostrazione ai temi non preventivati  ad esempio possiamo chiedergli:
“dove vanno le briciole quando taglio il pane?” e lui ci può rispondere: “guarda il problema
non sono le briciole ma che mi taglio”
- Analizzare messaggi non verbali  cioè vediamo la persona come si muove alle nostre
domande perché così possiamo percepire altre cose.

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Lezione 12 23 ottobre 2017
Nell’ambito ingegneristico abbiamo a che fare con l’uso di concetti espressi che alle
volte non sono misurabili alle volte anche se misurabili non sono chiari. Il mercato è
fatto da persone diverse per cui ciò che è apprezzabile per uno potrebbe non essere
apprezzabile per un altro. Nell’approccio ingegneristico descriviamo la realtà così
com’è (dicendo ad esempio che ho una massa si 100 kg che si muove ad una velocità
di 10 m/s verso la tua testa), ottenendo delle informazioni ma non è ciò che vogliamo
dire in realtà, ma dovremo dire direttamente la conseguenza che sarebbe togliti da
là che ti sta cadendo una cosa in testa. Ovvero si mette in evidenza l’unica cosa
sostanziale che è “via da lì”.
Logica Fuzzy
Fuzzy significa di per sé nebbioso, sfocato, sfumato. È un sistema all’interno del
quale si rappresentano delle informazioni in un certo modo e si danno delle regole
per comporre queste informazioni per fare dei ragionamenti.
Questi approcci logici sono piuttosto recenti che hanno avuto un ampio successo non
tanto nell’ambito della progettazione quanto nell’ambito dei controlli. Per cui si
trovano degli elettrodomestici pubblicizzati che ragionano in logica fuzzy, che hanno
dei sensori che misurano certe condizioni e decidono in maniera non scientifica quali
sono i parametri di funzionamento.
Nel 1965 viene definito per la prima volta un fuzzy set. Il fuzzy set è un insieme in cui
non è chiaro se l’elemento appartiene all’insieme oppure no. In realtà per esprimere
l’appartenenza si usa un numero compreso tra 0 e 1, che si chiama grado di
appartenenza.
Il concetto di alto è un concetto che dipende dal contesto oppure dipende dalla
media, quindi dall’universo del discorso che include tutte le persone (in particolare i
ragionamenti su statura e peso vengono fatte nazione per nazione oppure per
popolazioni orientali, americane, causasiche, ispaniche, …). Si fanno quindi delle
ripartizioni e si fa una misura media, e in base a questa misura media si parla di
percentile. Il 90-esimo percentile vuole dire che il 90% delle persone è meno alta.
Fatte queste misure ad esempio sulla popolazione italiana, abbiamo stabilito il valore
medio e per ogni persona abbiamo il percentile, per cui conosciamo la curva di
distribuzione delle altezze. Assumendo che l’altezza media del popolo italiano è di
1.78 m, si ha al di sopra di questo valore le persone sono più alte della media mentre
al di sotto sono più basse.
1.78

Ma 1.79 m è quindi una persona alta? A questa domanda l’ingegnere ha difficoltà a


rispondere. In particolare 3x3 fa circa 9: nel senso che a meno che non ci sia una
legge fisica (ad esempio che oltre la velocità della luce non si può andare essendo
un numero esatto), se esprimo un concetto di quantità con un numero questo numero
rappresenta una quantità che non è ben determinata perché un po' in più o un po' in
meno lo posso ammettere. Allora se ho un picco a 1.78, il valore di 1.79 non posso
dire che non è una persona di altezza media, ma posso dire che si può considerare
nella media. Il concetto ingegneristico di circa 9 dipende dalla larghezza del triangolo
che esprime la tendenza ad accettare soluzioni che sono diverse da ciò che
pensiamo. Se faccio un dimensionamento mi può venire un diametro di 127.13 mm
e allora nessuno metterà mai sul disegno un diametro del genere ma si arrotonderà
in maniera tale da mettere un numero che sia comprensibile dal punto di vista
tecnologico. Per cui è naturale il concetto di “circa”.
Certamente non siamo così tecnici e pratici da dire ad esempio, se siamo in
macchina e vedendo il display che dice che fuori c’è una di 22.5°, di voler mettere
una velocità dell’aria di 2.5 ad una temperatura di 40.3°, ma dico semplicemente fa
freddo accendiamo il riscaldamento per non troppo forte se no si suda. Quindi
l’azione che svolgiamo è accendere un sistema che dovrà avere una certa
temperatura esatta perché devo regolare la potenza e la velocità della ventola, quindi
quel sistema alla fina dovrà avere dei parametri di funzionamento che sono parametri
fissi. Quindi alla fine dovrò mettere un parametro per la ventola e per la temperatura.
Pertanto ci troviamo nella condizione in cui ragioniamo con idee non chiare e con
numeri conseguenti che sono ben definiti. Questa cosa è conveniente dal punto di
vista della programmazione dei sistemi di controllo, ma il concetto si può trasferire
nella progettazione perché tutto ciò su cui abbiamo ragionato (avendo definito i
requisiti funzionali) è basato sul fatto che le cose che dobbiamo valutare non hanno
uno strumento chiaro di misura. Ad esempio il primo livello dei requisiti funzionali
abbiamo detto che deve essere sicuro, ergonomico, bello da vedere e come la misuro
la sicurezza, l’ergonomicità, la bellezza? Sono tutte quantità che possono avere
concetti differenti persona per persona. Ad esempio se dico che un prodotto va bene
per le persone alte non ho chiaro il concetto di persona alta e c’è da considerare che
l’altezza è misurabile. Se dico che un prodotto va bene per le persone bionde o
castane ho un bel problema perché non esiste un colore castano ma esiste un’idea
che è la via di mezzo tra il nero e il biondo. Quindi ci sono cose sul mercato da
soddisfare sulla base di una misura di un requisito funzionale che non sappiamo che
significato ha (esempio della poca chiarezza che si ha nel manuale dell’ingegnere
per scegliere le ruote dentate dove si parla di accoppiamento lento o veloce e non si
dice che vuol dire lento e che vuol dire veloce).
Il contesto matematico è questo: si ha un universo del discorso e abbiamo un insieme
che è definito da un’etichetta . L’elemento dell’universo del discorso appartiene
all’insieme A, se la caratteristica richiesta dall’insieme non è vera, ma diciamo che
qualsiasi elemento dell’universo del discorso appartiene all’insieme A con un grado
di appartenenza , che è una misura del rispetto di quella condizione ed è un
numero compreso tra 0 e 1. Quindi il primo effetto, a meno di particolari condizioni,
è che in realtà qualsiasi elemento dell’insieme appartiene all’insieme. Prima si diceva
o “è” o “non è”, in maniera binaria, ritornando all’esempio dell’altezza, tutti quelli sotto
1.78 non appartengono all’insieme mentre quelli sopra appartengono all’insieme. In
questo caso invece una persona di 1.75 appartiene all’insieme con un grado di
appartenenza piccolo. Quindi la logica fuzzy consente di esprimere quel senso di
approssimazione che è tipico dell’ingegnere.

Il termina ( ) è scritto come se fosse una funzione ma in realtà per ogni elemento
dell’insieme di deve assegnare un grado di appartenenza che è un numero non è
una funzione. Se però sono in grado di costruire una funzione che rappresenta la
mia idea di quel concetto posso utilizzare una misura dell’elemento per calcolare il
grado di appartenenza rispetto a quella funzione.

( )

Nell’esempio abbiamo ragionato sull’altezza e abbiamo preso un valore medio e un


valore della singola persona, allora possiamo ragionevolmente pensare che tra 1.75
e 1.81 si possa parlare di altezza media, poi al di sotto di 1.75 l’idea di altezza media
decresce abbastanza velocemente finché non arrivo a 1.67 in cui al di sotto non puoi
proprio essere considerato di altezza media. Stesso discorso dall’altro lato, fino a
1.81 va bene oltre ho il dubbio che quella persona possa essere alta. Dopodiché la
mia convinzione decresce fino a 1.85 e dopo la persona è alta. Così mi costruisco
una curva. Poi se voglio sapere l’altezza dei maschi nell’aula prendo uno a caso lo
misuro e vedo qual è il grado di appartenenza.
Questa curva può rappresentare la nostra conoscenza, ovvero sviluppo la mia
conoscenza sul concetto di altezza media e posso ottimizzare questa curva e
utilizzarla per scoprire una volta fatta una misura per classificare quell’elemento. Il
problema sorge nel momento in cui sono indeciso sul fatto di considerarlo o meno di
altezza media perché magari più vado avanti più mi viene il sospetto che quella
persona faccia parte delle persone alte. Ragionando in logica binaria questo è un
problema perché un elemento non può far parte di entrambi gli insiemi. Nella realtà
nel momento in cui abbiamo il sospetto che una persona non possa essere
considerata di altezza media ma possa essere una persona alta, stiamo includendo
quella persona in due insiemi, cioè fa parte un po' dell’insieme delle persone medie
e un po' dell’insieme delle persone alta. Quindi una delle caratteristiche principali di
un sistema fuzzy può far parte sia di un insieme che del suo complementare. Se
prendo un insieme, il suo complementare è tutto ciò che non sta in quell’insieme. In
questo caso tutto ciò che non sta nell’insieme non è una definizione corretta ma può
capitare che un elemento faccia parte di un insieme e del suo complementare con
differenti gradi di appartenenza.
In ambito fuzzy non devo scegliere tra due regole ma devo scegliere mediandole
tutte e due, perché essendo una logica non binaria le regole non si escludono
automaticamente ma si compongono per trovare una soluzione.
Esempio del bastone sulla mano (non scrivo niente perché dice le stesse cose del
pdf Controllo_OMRON aggiungo solo qualcosa): rispetto alle regole che ci sono
esposte ce ne sarebbero altre ma sono state escluse perché consideriamo solo la
posizione del bastone e la velocità per cui si considerano le espressioni per questi
parametri. “quasi”, “lentamente”, “moderatamente” sono concetti come “circa 9” e
posso immaginare che ogni quantità assuma un’etichetta. Se considero i valori
positivi più lo zero ho 4 condizioni per l’inclinazione e 4 per la velocità per cui le
combinazioni sono 4x4=16 situazioni che posso ottenere, e per ognuna di queste
devo decidere qualcosa, ma succede che posso eliminare certe regole per esempio
è molto inclinato e sta cadendo velocemente è passato dalla situazione dove è poco
inclinato e non sono riuscito a controllarlo.
Per costruire i triangoli devo sapere quanto sono ampi i triangoli e in che punto si
trova il vertice di ognuno dei triangoli. Ho due modi per fare queste cose: uno è fare
una campagna sperimentale in cui ho dei dati e cerco di costruirmi i vari concetti (e
l’altro? Boh!!!)
Inoltre voglio sapere quante etichette usare. La regola base è che meno etichette
uso e più è approssimato il sistema, se ne uso di più il sistema è più dettagliato e
devo scegliere più valori. Posso anche non scegliere triangoli. Se il fenomeno è
lineare posso fare triangoli tutti uguali ma se il fenomeno non è lineare posso fare
triangoli diversi, ciò dipende dal tipo di problema. I valori li prendo o dalle leggi della
fisica prendendo certi valori assoluti, nel senso che dalla fisica prendo certi valori
oltre i quali non posso controllare il sistema, quindi ho un certo intervallo di definizione
e metto le etichette in maniera distribuita. Una volta scelto i valori dei picchi e il
numero di etichette in qualche modo deciso anche l’ampiezza dei triangoli.
Un controllo basato su leggi della fisica impiega un po' di tempo a trovare la soluzione
e poi si assesta sempre di più, quindi col passare del tempo una forte precisione
perché ci allineiamo il più possibile con la condizione richiesta. Un controllo fuzzy
reagirà in un tempo molto più veloce per cui rispetto all’oscillazione teorica il controllo
fuzzy interviene prima e ha un picco più basso ma siccome è un controllo
approssimato mantengo nel tempo delle oscillazioni che sono più forti, quindi se
vogliamo un controllo con delle tolleranze molto basse non dobbiamo usare un
controllo fuzzy, mentre se vogliamo rapidità di risposta il controllo fuzzy è più veloce.
Quindi il vantaggio del fuzzy è capacità di risposta in condizioni non chiare e rapidità
di risposta.
Se non devo scrivere un software non è detto che devo fare una rappresentazione
matematica del grado di appartenenza, ma basta che assegno una regola con cui
associare ad ogni condizione un valore che è il grado di appartenenza, potrebbe
essere una tabellina o un giudizio di esperti. Noi abbiamo fatto il questionario e
abbiamo delle risposte nelle quali ci sarà la domanda del tipo “mi dici se ritieni questa
cosa importante?” e avrò una risposta molto, abbastanza, poco, per niente, quindi in
qualche modo posso tradurre in gradi di appartenenza quelle informazioni. Infatti
abbiamo dei concetti che sono di per sé sfocati e ognuno dirà poco o molto o
abbastanza o per niente, quindi abbiamo non solo concetti che non univoci ma anche
risposte diverse. Allora le funzioni di appartenenza non sono qualcosa che devono
essere scritte in forma matematica ma sono qualcosa che serve a rappresentare una
conoscenza e potremo tradurre le risposte del questionario in curve di appartenenza.
La cosa interessante della logica fuzzy è legata alla capacità di memorizzare la
conoscenza, cioè una volta costruite le curve di appartenenza è una cosa che resta
su carta e che possono utilizzare anche altri perché abbiamo creato uno standard di
valutazione di un concetto. Si dice che è un sistema di rappresentazione della
conoscenza. Quella conoscenza mi dice anche che c’è qualcuno che ritiene che e
cose siano in un certo modo mentre qualcun altro ritiene che siano in un altro modo.
le logiche sono caratterizzate da un sistema di rappresentazione della conoscenza e
da un sistema di elaborazione della conoscenza. I sistemi di elaborazione sono detti
successori inferenziali, il che vuol dire come comporre le varie conoscenze per
ottenere un risultato.
I concetti sulla funzione di appartenenza sono le stesse logiche che sono state usate
dalla funzione obiettivo dove avevamo certi requisiti funzionali che devono essere
questo o quello oppure quest’altro. Quindi si è costruita una struttura di appartenenza
in cui si diceva che alcuni concetti li voglio assolutamente mentre altri sono alternativi
l’uno con l’altro, quindi se misuro il grado di appartenenza di ogni requisito funzionale
poi devo usare queste regole di composizione per tirar fuori il grado di appartenenza
complessivo. Se faccio un’ipotesi di progetto mi chiedo quanto soddisfa quel requisito
funzionale ma se ragiono in logica fuzzy piuttosto che misurare il grado di
soddisfacimento di quel requisito, vado a vedere il grado di appartenenza di quel
progetto all’insieme che è l’unione del grado di appartenenza del mio progetto ai vari
insiemi dei requisiti funzionali. Quindi il mio progetto è un buon progetto se appartiene
all’insieme dei progetti che soddisfano il requisito funzionale 1 e appartiene
all’insieme dei progetti che soddisfano il requisito funzionale 2 e così via. Quindi uso
i requisiti funzionali come etichette per definire i requisiti base, e quindi se seguo la
gerarchia FR0 che è dato da FR1, FR2 e FR3 tra misura del soddisfacimento del
requisito funzionale i-esimo corrisponde a ( ) ( = − che è
un’ipotesi di progetto). L’alternativa j avrà una funzione di appartenenza all’insieme
degli elementi che soddisfano il requisito funzionale i-esimo, e gli posso dare un
grado di appartenenza e poi faccio la composizione di tutti i gradi di appartenenza
secondo le regole di massimo e minimo.

( )≡ ( )

Quindi se scelgo la logica fuzzy come sistema di scelta ottimale non posso dire che
è un sistema di ottimizzazione, a meno che non metto funzioni esprimibili
matematicamente, perché non posso creare un sistema matematico ottimale che
individua la soluzione ottimale, cioè la scelta di tutti i parametri di progetto ottimali.
Posso fare una serie di ipotesi progettuali e vedere qual è la soluzione migliore
misurando la sua bontà con una funzione di appartenenza fuzzy data dall’unione di
tutte le funzioni di appartenenza una per ogni requisito, che è data dall’unione di tutti
i sotto-requisiti con funzione di appartenenza fuzzy. Il vero vantaggio è che posso
misurare con le funzioni di appartenenza in maniera approssimata tutto, compresa
la sicurezza, l’estetica, riesco a definire una misura che ha la stessa unità di misura
per tutti i requisiti.
Se vediamo dal punto di vista tecnico per ogni requisito ci sarà una norma, un criterio,
che mi darà il rispetto dei requisiti rispetto all’ergonomia, rispetto alla sicurezza che
hanno scale da 1 a 10 e magari li devo confrontare con la rumorisità che viene
misurata in decibell e ho tra livelli alto, medio e basso e sono tre valori nemmeno
equidistanti e non posso confrontarli. Per cui con la logica fuzzy posso ottenere tutte
le valutazioni dei requisiti comprese tra 0 e 1, che è il grado di appartenenza e poi
devo usare le regole di composizione della logica fuzzy.
Lezione 13: 26-10-17 BREVETTI
Attualmente per entrare nell’ufficio brevetti Europeo bisogna conoscere 3 lingue:
- Inglese
- Francese
- Tedesco
Ha senso parlare di brevetto Europeo perché quello italiano dovrebbe allinearsi a quello Europeo.

C’è un po’ di storia dell’EPO, che sarebbe l’ufficio per brevetti. L’EPO è un’organizzazione privata,
non è un’organizzazione della comunità Europea che tramite una serie di accordi tra i vari Stati
cerca di tutelare la proprietà intellettuale dove per proprietà intellettuale si intende tutto ciò che
noi abbiamo pensato/inventato dal punto di vista mentale prima di altri. Non basta averlo fatto
prima di altri, ma bisogna in qualche modo fare qualcosa che non tutti sono in grado di fare.
L’ufficio Europeo Brevetti è una struttura che definita una regolamentazione si occupa di gestire il
rispetto di questa documentazione all’interno di una serie di Stati che hanno fatto questo accordo.
Nel 1973 ha avuto luogo la Conferenza diplomatica di Monaco per l'istituzione di un sistema
europeo per la concessione di brevetti e la convenzione è stata quindi firmata a Monaco (la
convenzione è talvolta denominata convenzione di Monaco). L’Italia si è unita nel 1978.

1
How IP relates to business

• How is IP relevant to our daily lives?

Every product or service that we use in our daily lives is


the result of a long chain of big or small innovations,
such as new designs or improvements that make a
product look or function better

Cominciamo a ragionare sul concetto dell’importanza del brevetto.


Partiamo da un prodotto famoso che non è brevettato.
Tutti quanti noi abbiamo bevuto almeno una volta nella vita la coca-cola, chi sa come si fa la coca-
cola? Il tipo che ha inventato la coca-cola cercava una sostanza su una medicina e ha fatto uno
strano intruglio, però piaceva. Lui non ha mai detto come si fa la coca-cola e infatti la formula è
segreta  lui non l’ha mai divulgato e brevettato perché qualcuno gliela poteva copiare.
Ci sono alcune invenzioni che però vanno brevettate in modo tale che nessuno le può usare se non
si accorda con me, infatti uno può vendere parte del suo brevetto o tutto il brevetto.
Il brevetto può essere usato anche come valore dell’azienda e può essere messo quindi come
merce di scambio per avere i soldi dalla banca, cioè io fornisco come garanzia alle banche il mio
brevetto.
Il sistema brevetto consente di diffondere la conoscenza perché nel momento in cui noi
brevettiamo, noi dichiariamo cosa abbiamo inventato e a partire da cosa abbiamo inventato
qualcun altro può pensare qualcosa di ulteriore. Quindi è un sistema che consente lo sviluppo
tecnologico.

2
In che modo l'IP è rilevante per la nostra vita quotidiana?
Ogni prodotto o servizio che utilizziamo nella nostra vita quotidiana è il risultato di una lunga
catena di innovazioni grandi o piccole, come nuovi progetti o miglioramenti che rendono un
prodotto aspetto o funzione migliore.

- Un brevetto è un diritto esclusivo concesso dallo Stato per un'invenzione, che può essere
un prodotto o un processo che fornisce un nuovo modo di fare qualcosa o offre una nuova
soluzione tecnica a un problema.
- Un brevetto conferisce al proprietario il diritto esclusivo di impedire o impedire ad altri di
produrre, utilizzare, offrire in vendita, vendere o importare l'invenzione brevettata senza il
permesso del proprietario.
- Un brevetto è concesso dall'ufficio brevetti nazionale o regionale. È valido per un periodo
di tempo limitato, generalmente per 20 anni dalla data di deposito della domanda di
brevetto (o prima data di priorità), a condizione che la tassa di rinnovo (o manutenzione)
prescritta sia pagata in tempo.
- Un brevetto è un diritto territoriale e non ha alcun effetto oltre i confini nazionali del paese
o della regione (gruppo di paesi) per il quale è stato concesso. In cambio dei diritti esclusivi,
l'inventore è tenuto a divulgare la propria invenzione al pubblico descrivendo in dettaglio
l'invenzione nella domanda di brevetto, che è pubblicata in una rivista ufficiale o in una
gazzetta ufficiale.
Per il mantenimento della tutela del brevetto dobbiamo pagare una quota fissa ogni anno.

3
Altra cosa che può essere tutelata è il modello di utilità:
1. Meno rigoroso (non è richiesto alcun passo inventivo)
2. Più veloce (passaggio di novità e inventiva non esaminato)
3. Più economico
4. Domande depositate presso l'IP Office nazionale.
Il modello di utilità è un modo per usare invenzioni esistenti, non è di per se un’invenzione ma un
modo nuovo di usare quello che già esiste.
Ad esempio un modello di utilità si ha quando si fanno oggetti con una stampante 3D.

Il copyright:
1. Tutela invenzioni originali nel dominio letterario (incluso il software), musicale e artistico,
indipendentemente dalla modalità o forma di espressione.
2. Periodo di valenza del copyright: Lungo termine (50-70 anni).
3. Gratuito (automatico dopo che il lavoro è stato presentato al pubblico).
4. Diritti economici: il diritto di fare copie, riproduzioni, traduzioni dell'opera e guadagnare un
profitto.
5. Diritti morali: protegge l'autore da modifiche non autorizzate dell'espressione artistica.
4
Si può chiedere anche la registrazione/tutela del design, come ad esempio quello delle
autovetture:

5
Sui marchi c’è anche una battaglia perché hanno un valore economico notevole.
In particolare:
- Qualsiasi parola distintiva, lettere, numeri, disegni, immagini, forme, colori, logotipi,
etichette o combinazioni utilizzate per distinguere prodotti o servizi può essere considerata
un marchio.

Come notiamo il marchio della coca-cola ci fa capire che ci stiamo riferendo a lei senza capire la
scritta, proprio perché solo la coca-cola può usare questo sfondo rosso con quest’onda.

6
Il segreto commerciale è fondamentale in un business, pensiamo ad esempio alla Formula 1 dove
molto spesso ci può essere il fenomeno dello spionaggio, soprattutto su oggetti già brevettati.

Il nostro progetto non è brevettabile perché noi la presentiamo il giorno dell’esame e quindi non è
più un’invenzione innovativa.

Un brevetto è un titolo giuridico che garantisce al suo detentore il mezzo per impedire ad altri, tra
l'altro, di fabbricare, utilizzare o vendere un'invenzione senza autorizzazione entro un'area
geografica e un periodo di tempo limitati.
Per essere brevettabili, un'invenzione deve avere un contenuto tecnico.
Ad esempio, può essere un prodotto, un prodotto, un processo o un apparecchio.
I tre criteri per la brevettabilità sono:
1. Novità
2. Passo inventivo
3. Applicabilità industriale

Chi decide se la nostra idea presenta questi 3 criteri?


7
I primi siamo noi stabilirlo e poi possiamo andare da un consulente di brevetti che farà una ricerca
di tutti i brevetti che possono rientrare nella nostra categoria di idee.
Se non si trovano idee simile alla nostra, si può fare la domanda per il brevetto. Fatta la domanda
per il brevetto, si porta all’ufficio brevetti.

La ricerca per i brevetti non è una cosa banale, infatti non basta una parola chiave per trovare i
brevetti simili alla nostra idea.

Quindi abbiamo avuto un’idea che rispetta i 3 criteri citati, dobbiamo porci il problema di
preparare la domanda e sottometterla.
Chi può sottomettere questa idea?
Qualsiasi persona fisica / giuridica indipendentemente dalla nazionalità e dal luogo di residenza o
affari  una persona legale può essere pure un’azienda/società!

Gli stati per i quali la domanda di brevetto può essere fatta sono 32(+1) e questo è importante sia
per la tutela che per i costi. In questo modo lo estendiamo a tutta l’Europa.

8
I linguaggi ufficiali per fare domanda di brevetto sono l’inglese, francese e il tedesco e quindi se
vogliamo fare domanda per il brevetto europeo dobbiamo scriverla in una delle 3 lingue citate
oppure la scriviamo in italiano ma poi dobbiamo pagare un traduttore ufficiale. La traduzione ha
costi notevoli.
Poi dobbiamo pagare anche i costi di ricerca.
Dobbiamo designare l’inventore, cioè chi fa la domanda non è necessariamente l’inventore ma
potremmo trovare uno sponsor. Nel caso del proff, potrebbe essere l’università di Salerno che fa
la domanda e dice che l’inventore è il professore Cappetti.
Oppure un’azienda può farci domanda di brevetto sponsorizzandoci, dicendo che sono l’inventore
però c’è una differenza:
- La proprietà del brevetto è di chi fa la domanda, cioè l’azienda.
- Il diritto di invenzione o meglio la patente di invenzione ci arriva a noi e per ogni
sfruttamento economico di quella invenzione ci spetta una piccola percentuale in termini
di inventore.
Quindi bisogna cercare di inventare cose o che hanno un elevato valore aggiunto o che hanno un
elevato mercato.
Ci vuole un rappresentante che sia reperibile in tutta Europa, perché una volta fatta la domanda
bisogna vedere se lui ha dubbi sul fatto che la nostra idea rispetti i 3 criteri citati.

Si può fare domanda elettronica o cartacea o per via fax. È fondamentale stabilire la data di
quando faccio la domanda di brevetto perché in base a quella posso stabilire se sono il primo a
presentare quell’idea o c’è qualcuno che il giorno presenta un’idea simile alla mia.

In particolare:
- Dobbiamo fare una richiesta con una descrizione di ciò che abbiamo pensato, una o più
rivendicazioni,
- qualsiasi disegno che può essere esplicativo della descrizione che stiamo facendo,
- l’abstract,
- dobbiamo pagare il costo di sottomissione e ricerca,
- dobbiamo soddisfare le condizioni presenti nell’ufficio legale europeo brevetti.

9
Se viene accettata la domanda di brevetto, il brevetto vale dal giorno in cui abbiamo presentato
domanda.
Se la domanda viene approvata, viene approvata con data di sottomissioni/file, dopo 18 mesi la
domanda diventa pubblica. Quindi l’ufficio brevetti si prende tempo tale per cui diventerà
pubblico il mio brevetto prima che io sappia se è stata approvata oppure no la mia domanda, per
cui troviamo scritto patent pending  vuol dire che su quell’oggetto c’è la domanda di brevetto.
Nel frattempo che viene approvata la domanda di brevetto io sfrutto l’idea, quindi posso vendere
il mio oggetto in quei 2 anni anche se non mi è stata approvata ancora la domanda di brevetto a
meno che la mia idea è molto simile ad un’altra.
Quindi c’è un tempo di tutela della mia domanda che è 18 mesi, ma c’è un tempo di concessione
del brevetto che è maggiore di 18 mesi.

Ci sono degli articoli per stabilire i 3 criteri.

10
Noi abbiamo presentato la domanda in inglese, nel momento in cui viene approvata come
domanda di brevetto europeo deve essere tradotta almeno nelle altre 2 lingue ufficiali.
Opposition procedure

Filing

Search
A notice of opposition must be filed within 9 months
Examination of the publication of the patent (Article 99 EPC)
Opposition

Appeal It can be filed by anyone else (G9/93)

Opposition is an independent procedure to


examination

It is an inter partes procedure

L’opposizione è legata al fatto che qualcuno non potrebbe essere d’accordo con la decisione
pressa dall’ufficio europeo brevetti, ciò perché potrebbe essere sfuggito qualcosa all’esaminatore.
Un atto di opposizione deve essere presentato entro 9 mesi dalla pubblicazione del brevetto
(articolo 99 EPC).

Nell’ottica della segretezza ad esempio se voglio fare una tesi alla Fiat devo togliere dalla tesi tutti i
numeri o tutte le immagini che possono essere oggetti/idee che possono essere rubate.

11
Descrizione e rivendicazioni della domanda di brevetto europeo
Art. 78 EPC

Article 78 EPC requires:

 an abstract

 description

 any drawings referred to in the description

 one or more claims

Il contenuto della domanda di brevetto è:


1. un abstract
2. una descrizione
3. eventuali disegni a cui si fa riferimento nella descrizione
4. uno o più reclami

The abstract (Rule 33 EPC)

 Title

 Concise summary of the disclosure

 Preferably <150 words

 Indicate a preferred figure

L’abstract è fatto da:


1. Titolo
2. Sintesi concisa della divulgazione (Preferibilmente <150 parole)
3. Con una figura esplicativa

12
The description (Rule 27 EPC)

 Specify the technical field

 Indicate the background art

 Disclose the invention as the solution to a


technical problem

 Describe the Figures

 Describe in detail one way of carrying out the


invention

La descrizione deve:
1. Specificare il campo tecnico
2. Indicare lo stato dell’arte
3. Spiegare perché la nostra invenzione è una soluzione al problema tecnico
4. Descrivere le figure
5. Descrivere nel dettaglio come funziona la nostra invenzione e dimostrare che c’è uno step
inventivo (cioè devo dimostrare che è una novità che mi serve un problema)
In questo modo si convince l’inventore dello step inventivo e dell’applicabilità industriale.

The claims (R. 29 EPC)

 Define the subject-matter for which protection is sought


(technical features) (Article 69 EPC)

 Two part form:

 Preamble
 Characterising portion

Tutto quello che non rivendichiamo della nostra invenzione, gli altri lo possono usare. Quindi
dobbiamo proteggere la nostra idea in tutti i modi, quindi non è facile scrivere un brevetto perché
lo dobbiamo rendere generico ma non troppo se no pendiamo l’applicabilità industriale.
13
But...
exclusions from patentability
• Discoveries, scientific theories and mathematical methods;
(Article 52(2)(a) EPC)

• Aesthetic creations; (Article 52(2)(b) EPC)


• Schemes, rules and methods for performing mental acts, playing
games or doing business, and programs for computers; (Article
52(2)(c) EPC)

• Presentations of information; (Article 52(2)(d) EPC)


...as such (Article 52(3) EPC)
• Methods for treatment of human or animal body by surgery or
therapy and diagnostic methods practised on the human or
animal body;
...but the provisions do not apply to products, substances or
compositions used in these methods (Article 52(4) EPC)
• Inventions violating “ordre publique” and certain aspects of
biotechnology
(Article 53 EPC)

Negli Stati Uniti si voleva brevettare il genoma umano perché era presente tutte le combinazioni
dei cromosomi, non è stato fatto perché concettualmente non possiamo brevettare una scoperta
scientifica ma della scoperta scientifica ne abbiamo il merito. Tutto ciò perché le leggi della
chimica, fisica esistono già dal big bang. Quindi le scoperte scientifiche non si possono brevettare
perché non c’è uno step inventivo, c’è semplicemente una nostra capacità di analisi.

Quindi non sono brevettabili:


1. Scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici;
2. Creazioni estetiche;
3. Schemi, regole e metodi per eseguire atti mentali, giocare o fare affari e programmi per
computer;
4. Presentazioni di informazioni;
5. Metodi per il trattamento del corpo umano o animale mediante chirurgia o terapia e
metodi diagnostici praticati sul corpo umano o animale 
 ma le disposizioni di non brevettabilità non si applicano ai prodotti, alle sostanze o alle
composizioni utilizzati in questi metodi;
6. Invenzioni che violano " l’ordine pubblico " e alcuni aspetti della biotecnologia.

14
Lezione 15 30/10

Le considerazioni fatte oggi si trovano ampliate nel capitolo 7 del libro “sviluppo
prodotto”. questa è la parte relativa alla generazione dei concept.

Tutti noi abbiamo scelto un problema e abbiamo creato un prodotto per


risolvere quel problema. Abbiamo un obiettivo e vogliamo trovare una
soluzione per raggiungere quell’obiettivo.
A volte capita di trovare soluzioni già adottate per il nostro problema e quindi
si cercherà di migliorarla. In generale, una delle cose che si possono fare per
scoprire quali sono le soluzioni o se ci sono suggerimenti per affrontare il nostro
problema è cercare su youtube, anche da un suggerimento può scaturire una
idea.
Supponiamo di avere una serie di requisiti funzionali e dei quali soltanto uno è
relativo alla vera funzionalità del prodotto tutto il resto governa la definizione
del prodotto, non basta vedere se risolve il problema ma bisogna farlo nel modo
giusto.
Possiamo immaginare di sfruttare una idea già esistente per trovare uno
spunto che ci porterà ad una nuova soluzione o a migliorare quella soluzione.
Come si toglie il tappo senza cavatappi? Si può aprire la bottiglia con una
scarpa: la bottiglia la si poggia all’interno della scarpa e colpendo la scarpa
vicino al muro si riesce a stapparla, però è ovvio che è una soluzione estrema
perché si perde del prodotto. A volte ci sono più soluzioni per risolvere uno
stesso problema. Ma che ce ne facciamo di queste informazioni? Magari
possiamo sfruttare tutte queste alternative per creare un dispositivo che sfrutta
lo stesso principio (è solo un esempio per far capire che possiamo sfruttare un
certo principio per risolvere quel problema).
I tappezzieri per lavorare hanno bisogno di uno spara-chiodi. Ma che vuol dire
sparare i chiodi? Come deve funzionare quest’apparecchio? Ho bisogno di un
qualcosa che lo posiziono facilmente e deve dare una certa quantità di energia.
Alla fine, questo dispositivo ha la stessa funzione di un martello solo che
l’operaio, utilizzando un martello, deve: prendere i chiodi, posizionare un
chiodo alla volta e poi colpire con un martello ed è ovvio che è un procedimento
relativamente lento. Con uno spara-chiodi tutte le azioni che sono state
riportate precedentemente vengono velocizzate. Ma come possiamo
schematizzare queste cose?
È un prodotto che deve prendere in input dell’energia, deve prendere i chiodi
e al momento giusto eseguire un’azione. In output ci da i chiodi che hanno una
certa quantità di energia. Io ho bisogno di un qualcosa che gestisce quegli
input, quindi se ho in ingresso un segnale ci vuole qualche sensore che
gestisca quel segnale. Per quanto riguarda i chiodi: devo prendere i chiodi dare
l’energia giusta per ottenere la penetrazione. L’energia deve essere gestita in
ingresso, e devo trasformare quell’energia perché magari se ho un
funzionamento ad aria compressa io devo avere un sistema di trasformazione
dell’energia perché non ho bisogno di energia di pressione ma di energia
cinetica, e questo sistema di trasformazione di energia deve interagire in
qualche modo con il chiodo. Nel momento in cui ricevo il segnale devo attivare
l’energia di traslazione.
Se riusciamo, per il nostro prodotto che ancora non conosciamo (è una scatola
nera), a fare uno schema fatto in questo modo, quindi uno schema che prenda
in ingresso degli input e all’uscita da degli output riusciamo ad analizzare bene
il problema; noi possiamo sfruttare questo schema per capire quello che ci
serve, ad esempio per quanto riguarda l’immagazzinamento di energia,
siccome noi non conosciamo ancora il prodotto finale come deve essere,
possiamo fare una lista di tutti i tipi di dispositivi e tecniche che ci consentono
di immagazzinare energia (energia chimica, elettrica, meccanica ecc..). nel
momento in cui noi dividiamo un problema principale in sotto-problemi
riusciamo a vedere meglio le cose. Suddividendo il problema principale in
sotto-problemi possiamo porci le seguenti domande che ci permettono di
creare il nostro prodotto: quali sono i sistemi che gestiscono l’energia? Quali
sono i sistemi che ci consentono di convertire l’energia in energia di
traslazione? Ad esempio, un sistema che ci consente di convertire un moto in
un altro moto è il sistema biella manovella (ci consente di legare il moto
rotatorio con quello traslatorio); la turbina trasforma energia di pressione in
energia di rotazione; ho una tramoggia fatta in maniera tale che sotto ci sia un
sistema che messo in vibrazione riesce a prendere i chiodi.
Ci sono tante soluzioni per i singoli sotto-problemi. Però è ovvio che se devo
fare uno spara-chiodi non posso pensare di utilizzare energia nucleare. Ci sono
altri problemi, ad esempio se questo prodotto deve essere utilizzato in Africa
non lo posso fare in corrente elettrica perché non tutti gli stati hanno la rete
elettrica, oppure ci sono ambienti in cui c’è una elevata escursione termica tra
notte e giorno e le batterie si possono danneggiare.
Per accumulare energia posso valutare due alternative: utilizzare una molla
oppure un sistema inerziale rotante. Inoltre, le modalità con cui conferiamo
energia può essere: un colpo secco, una sequenza di colpi (impatti multipli)
oppure possiamo anche spingere. L’energia la devo trasferire in maniera
singola, discreta (serie di colpi) o in maniera continua (spingere)? Queste sono
le alternative da valutare.
Ovviamente le alternative non si possono combinare tutte, perché può
succedere, nelle varie combinazioni che facciamo, i vari sottosistemi tra di loro
possono non essere compatibili.
Se ad esempio decido un certo sistema di trasferimento dell’energia, con
questo sistema scelta quali sono i sistemi di conversione e di
immagazzinamento ottimali? Quindi significa che dobbiamo fare delle iterazioni
tra i vari sottosistemi, se non facciamo queste procedure rischiamo di creare
un prodotto che non funziona bene. Progettare significa iterare.
Tutti quanti noi abbiamo posto dei problemi che richiedono l’intervento
dell’uomo, ma come si risolve l’intervento dell’uomo in uno schema del genere?
Ad esempio, Il sistema di gestione dell’energia è di tipo chimico cioè sistema
metabolico cioè l’operatore deve mangiare a sufficienza per affrontare il lavoro.
L’uomo potrebbe essere inteso come un sistema che acquisisce un segnale e
che gestisce energia, ed in molti dei nostri problemi proposti durante il corso
c’è questa situazione. Ad esempio, lo schiaccianoci, in generale, necessita per
forza dell’energia umana, è difficile sviluppare una macchina per rompere le
noci ma fare un concept che permette alle persone di aprire le noci; nel caso
dello schiaccianoci il sistema di energia è proprio la forza umana.
Proviamo ad immaginare un layout di uno stabilimento industriale, non può
essere visto come una scatola chiusa?
INPUT: materiali, persone, segnale di tutto ciò che si deve produrre ed energia.
OUTPUT: informazioni sui prodotti, materiali di scarto, materiali del prodotto
stesso, persone ed energia.
Lezione 17 6 novembre 2017
Vediamo la valutazione dei requisiti funzionali con tecniche diverse. Abbiamo visto
la logica Fuzzy ma ce ne sono altre. Quindi vedremo metodi per prendere decisioni
che sono metodi di confronto. Poi vedremo anche il metodo Triz che consente di
evolvere il progetto, quindi se partiamo da un concept possiamo migliorarlo usando i
suggerimenti usando il metodo Triz, quindi lo facciamo più avanti così una volta
scelto il concept possiamo migliorarlo in un secondo momento. Infine possiamo
scegliere i parametri usando la progettazione robusta o il metodo Taguchi, che è nato
per il controllo qualità e applicato nell’ambito della progettazione cerca non il
massimo delle prestazioni ma l’ottimo della configurazione del prodotto.
Il senso di questi metodi è dare delle regole di confronto prima di iniziare a fare i
confronti, perché siamo sistematicamente influenzati dalle nostre idee, quindi se
vogliamo fare un confronto oggettivo dobbiamo liberare i metodi di comparazione
dalle nostre opinioni. Quindi questi metodi hanno senso perché cercano di ripristinare
l’oggettività.
La decisione multicriterio, che è il tema portante di questo corso, è la scelta di
un’azione o alternativa tra un insieme di alternative ammissibili effettuata sulla base
di due o più criteri. Abbiamo visto che c’è una lista di 7-8 criteri da rispettare. Se ci
fosse un solo criterio allora non c’è discussione ma se iniziamo a fare una partizione
per vedere cosa pensa uno e cosa pensa un altro ci può essere una maggioranza
da un lato e la maggioranza dall’altro lato, per cui si devono iniziare a mediare le
situazioni.
Il criterio è un’indicazione su come valutare un tipo di prestazione misurata per le
diverse alternative, ovvero su come deve essere scelta l’alternativa più efficiente
rispetto a quella prestazione. Quando ho un criterio mi devo porre il problema di come
misurare il criterio e fin quando si tratta di un calcolatore meno costoso o di un’auto
con minori consumi allora posso ancora fare una comparazione tra costi o tra
consumi ufficiali, ma se si tratta di una moto maneggevole è più complicato, per cui
devo sempre valutare tutte le quantità in gioco.
Nel caso del MCDM i criteri in generale sono contrastanti. Non è una regola, anzi il
primo assioma della progettazione dice che se costruisco bene il mio problema posso
avere che ogni requisito funzionale dipende da un solo parametro di progetto per cui
li posso utilizzare in maniera indipendente, se pongo bene il problema. Se esiste un
problema, molto spesso nella dinamica della progettazione capita che se miglioro
uno dei criteri ne peggioro un altro. Questo è un problema di equilibrio tra situazioni
differenti, ovvero è un problema di compromesso nel senso che la soluzione che noi
proponiamo viaggia in maniera diversa cioè a seconda di come configuriamo la
nostra idea per migliorare una cosa se ne peggiora un’altra. Per cui i criteri non sono
contrastanti, non è che voglio una cosa esteticamente bella e esteticamente brutta.
Le alternative considerate posso essere:
 Discrete e finite (enumerabili)
 Continue ed infinite (non enumerabili)
Una cosa che non abbiamo visto è la scelta delle alternative. Per il progetto abbiamo
confrontato 4 ipotesi ma nella realtà le ipotesi sono infinite perché c’è qualche
parametro che varia con continuità. Tipicamente se facciamo un disegno la quota
che mettiamo sul disegno la posso cambiare nel campo dei numeri reali. Pertanto se
abbiamo alternative discrete e finite posso immaginare di fare un confronto ma se ho
alternative che sono non enumerabili come posso eseguire un confronto? In realtà
tutto ciò che ha a che fare con alternative continue ed infinite rientra nel campo della
ricerca operativa, che ha proposto tutta una serie di metodi per indagare uno spazio
di possibili soluzioni e trovare gli ottimi locali e gli ottimi globali. Spesso quella
soluzione richiedeva un’impostazione matematica e una continuità in maniera da
risolvere in maniera matematica questa cosa.
Quindi ci muoviamo nell’ambito di quelle situazioni in cui eventualmente è tutto
discreto e finito e se non lo è lo trasformiamo in discreto e finito.
Nell’ambito dei sistemi MCDM si definisce attributo la misura (o il valore) di una
prestazione di una alternativa (siamo sempre nel problema della misura). Quando si
parla di AHP o di altri metodi di confronto spesso non si parla di misura e
soddisfacimento dei requisiti funzionali (come abbiamo fatto noi nel progetto) ma si
parla di specifiche tecniche, quindi confronto la potenza del motore, i consumi, …
quindi sono quelle quantità misurabili che possono rappresentare un requisito
funzionale o una parte di un requisito. Ciò non toglie che posso confrontare i requisiti
funzionali se ho modo di misurarli e confrontare i risultati dei requisiti funzionali.
L’obiettivo è una funzione che misura una prestazione per un’alternativa definita
come punto nello spazio delle variabili decisionali; utilizzata nel caso di alternative di
tipo continuo. Diciamo che indipendentemente dal fatto che siamo nel campo
continuo o dell’enumerabile, l’obiettivo che abbiamo (l’abbiamo chiamato funzione
obiettivo) è capire l’insieme dei criteri a cosa mi devono portare.
Approccio generale al MCDM:
 Utilizzare le informazioni note ed i giudizi espressi dal decisore per
determinare una decisione di compromesso
 Ovvero, aiutare il decisore a selezionare l’alternativa più coerente con la sua
struttura di preferenza
 Tipi di regole decisionali:
o Optimizing rule (stabilire un ordinamento completo tra tutte le
alternative, l’ottimo)
o Satisficing rule (determinare un’alternativa soddisfacente senza
ottimizzare globalmente)
Il personaggio che rientra nei metodi comparativi è il decisore che esprime il giudizio.
Le tecniche che stiamo vedendo cercano di rendere il più indipendente possibile dai
progettisti, dal team di progetto o dal mercato quelle che sono le scelte progettuali e
la valutazione dei requisiti funzionali. Quindi posso cercare di rappresentare la
conoscenza con la logica Fuzzy e una volta rappresentata la conoscenza vedo il
progetto come si colloca oppure faccio delle valutazioni probabilistiche, misura
dell’informazione, … cercando di tirar fuori un numero che abbia delle regole
matematiche. Non sempre questo è possibile e molto spesso nei metodi comparativi
c’è qualcuno che si prende la responsabilità di esprimere un giudizio di confronto tra
le alternative. Quando è possibile si basa sulle informazioni note ad esempio valuto
la potenza e sulla base del fatto che hanno potenza simile dico che sono equivalenti,
o sul base del fatto che hanno consumi simili dico che sono equivalenti, o dico che
uno consuma più di un altro. Posso così esprimere un giudizio valutando dei numeri
o usando la mia esperienza.
I sistemi di confronto multicriterio consentono di aiutare il decisore a selezionare
l’alternativa più coerente con la sua struttura di preferenza o in funzione di regole di
ottimizzazione, nel senso che posso realizzare sistemi di confronto per vedere qual
è la soluzione migliore, oppure posso usare i sistemi di confronto per cercare tutte le
soluzioni che rispettano un minimo (questa soluzione si usa perché posso soddisfare
i criteri minimi con un prezzo più basso).

In linea di principio se dobbiamo mettere in piedi un sistema multicriterio di decisione


avremo una serie finita di alternative, e per ogni alternativa avremo un punteggio di
valutazione rispetto ad ognuno dei criteri scelti. Quindi ho un problema e mi serve un
qualcosa che rispetti questi criteri, allora trovo una serie di alternative e mi chiedo
qual è la migliore, per ognuna delle alternative devo misurare il soddisfacimento del
criterio per ognuno dei criteri. Pertanto avrò una matrice , dove sono le
alternative e sono i criteri. E è il punteggio dell’alternativa per il
soddisfacimento del criterio .
Allora devo fare una scelta. Come abbiamo visto nella logica Fuzzy c’è l’approccio
pessimista o quello più conservativo, in cui mi devo garantire che quale che sia
l’alternativa almeno nel peggiore dei casi almeno uno dei criteri sia soddisfatto con
un certo valore o meglio scelgo come alternativa ideale quella che ha tra tutti i minimi
tra le varie alternative il migliore dei minimi. Quindi identifico l’attributo peggiore in
assoluto della soluzione migliore.

Gli attributi devono essere commensurabili e li troviamo espressi in una scala


comune. Se sto parlando di costo posso mettere direttamente il prezzo in euro se
parlo di consumi posso mettere il valore che esprime i chilometri con un litro, ma poi
per confrontare questi numeri devo trovare un modo per rendere confrontabili queste
cose. In genere si fanno normalizzazioni a 1, normalizzazioni a 5, normalizzazioni a
10, … a seconda di come decido di sviluppare il mio metodo, uno degli elementi base
del metodo è come trasformare una misura numerica in un qualcosa di confrontabile
con altre quantità. Quindi il metodo di normalizzazione è qualcosa che caratterizza
fortemente un metodo.
I principali modi sono fondamentalmente la valutazione del beneficio e la valutazione
del costo che sono uno l’opposto dell’altro rispetto all’insieme delle alternative. Vuol
dire che uno dei modi potrebbe essere che ho un punteggio rispetto ad una
determinata caratteristica per ognuna delle alternative quindi ad esempio ho il
consumo misurato in / , per una vettura ho 22, per un’altra ho 21.5 e per un’altra
ho 18. Quello che posso fare è valutare rispetto al massimo delle alternative, quindi
il punteggio sarà un punteggio compreso tra zero e uno e sarà:
18 21.5 22
; ;
22 22 22
Quindi prendo tutti i punteggi per quella caratteristica vedo qual è il massimo divido
tutti i punteggi per la minima prestazione ovvero il massimo. Oppure faccio il
complemento a 1 dipende da quello che devo valutare, ovvero se devo valutare un
beneficio oppure un costo. Posso prendere anche il minimo quindi invece di fare tutti
i valori diviso 22 faccio tutto diviso 18. In un caso esalto un aspetto nell’altro caso
esalto l’aspetto opposto. Se voglio la macchina che consuma di più è un conto, se
voglio la macchina che consuma di meno è un altro conto. In questo caso abbiamo
fatto una normalizzazione a 1 quindi ho tutti valori compresi tra 0 e 1.

Nell’esempio l’alternativa 1 ha come minimo il requisito 2, l’alternativa 2 ha come


minimo il requisito 5, l’alternativa 3 ha come minimo il requisito 1 e l’alternativa 4
ha come minimo il requisito 6. Per cui la scelta cade sull’alternativa 3 che è quella
che ha la migliore performance in termini di requisito minimo.

L’approccio ottimista invece prevede che scelgo il massimo dei massimi e non mi
interessa come va su tutto il complesso dei requisiti ma deve fare almeno una cosa
per bene. Questo approccio è un po' strano perché sembra inutile valutare più
requisiti quando poi ne basta uno solo, quindi definisco una struttura complessa
quando poi sono contento se fa una sola cosa.

In questo caso ho gli stessi numeri e ho la presenza di molti 1, ad eccezione


dell’alternativa 4 che non è al massimo per nessun requisito, quindi vanno bene tutte
tranne la 4, con la differenza che la prima ha un solo requisito pari 1, mentre la
seconda alternativa ne ha 2, e la terza ne ha 3. Quindi si va sulla molteplicità dei
massimi per valutare qual è quella migliore. Se sono contento che almeno un
requisito è soddisfatto bene allora posso andare sulla terza alternativa che ha 3
requisiti al massimo.

In linea di principio le nostre scelte non sono mai su massimo dei massimi o massimo
dei minimi, ma sono una via di mezzo. Questa via di mezzo può essere formalizzata
trovando un compromesso tra le due relazioni che si ottiene moltiplicando il massimo
dei minimi per e il massimo dei massimi per 1 , per cui si tratta di scegliere
quanto vale .
Tutti i metodi multicriterio soffrono per un aspetto fondamentale: supponiamo di fare
la normalizzazione a 1, la normalizzazione avviene tra le alternative identificate per
quel problema, quindi ad esempio prendo i consumi della vettura e li confronto con
tutte le alternative che hanno come consumi 10 / , 11 / e 12 / , dove
12 / è un consumo importante. Ma se valuto l’alternativa che 12 / rispetto ai
consumi avrà punteggio 1 perché sarà quella migliore e prenderà il massimo dei voti.
Ma nella realtà in valore assoluto non è un valore soddisfacente. Il problema vero
delle comparazioni fatte in questo modo è che non scelgono la soluzione ottimale ma
scelgono la soluzione ottima tra quelle identificate, ovvero scelgo la meno peggio.
Se poi nel frattempo qualcuno tira fuori una nuova soluzione i calcoli vanno fatti da
capo perché non abbiamo fatto una classificazione sulla base delle conoscenze
assolute ma sulla base dei prodotti che abbiamo identificato. Quindi il fatto che quella
sia la soluzione migliore tra quelle proposte non vuol dire che va bene, ma si deve
valutare un livello minimo di soddisfacimento assoluto, ovvero se la soluzione
proposta è la 3 non so dire se va bene. Quindi un sistema di comparazione ha
necessità di verifiche ulteriori dopo, perché non posso dire che quella migliore va
bene e investo tutto su quell’ idea. Se uso il metodo AHP poi devo sempre chiedermi
se la soluzione migliore risolve effettivamente il problema perché potrebbe non
essere così.
Ci sarebbe un modo per limitare i danni. Ci sono due approcci: posso fare una
normalizzazione non all’interno della valutazione delle soluzioni ma la faccio rispetto
ad un valore assoluto, ad esempio un valore di mercato (per una vettura sportiva
sono disposto a fare 10 / , chi compra la vettura sportiva è contento se faccio
10 / quindi non normalizzo rispetto al massimo che per esempio è 8 / ma
normalizzo rispetto al valore di mercato), quindi se metto come elemento di
normalizzazione la situazione del mercato piuttosto che la soluzione migliore tra le
alternative le cose migliorano; posso mettere valori teorici, ad esempio in base a
valori della fisica o in base alle leggi per valutare la rumorosità e il limite di tollerabilità
in condizioni normali è 60 quindi faccio la normalizzazione rispetto a questo valore
per valutare la prestazione rispetto alla rumorosità.
Vediamo in particolare il metodo AHP. Si presenta come una struttura gerarchica
(che è quella dei requisiti funzionali che conosciamo), e questo metodo è stato una
novità dal punto di vista dei metodi di confronto perché i metodi che c’erano non
erano mai arrivati nel dettaglio di fare dei sotto-criteri. Lo schema è sempre lo stesso
perché per ogni criterio valuto tutte le possibili alternative.

Altro aspetto particolare dell’AHP è la logica con cui assegnare i punteggi che è un
po' più elaborata, ma cerca di mettere assieme le necessità di esprimere dei giudizi
che sono complessivi con la necessità di tirar fuori dei numeri che sono oggettivi tra
di loro. Lo studioso che ha inventato questo metodo ha fatto studi psicologici e ha
visto che la nostra capacità media di esprimere dei giudizi è su 5 livelli, ovvero come
essere umani non riusciamo a percepire differenze maggiori di 5 livelli:
Queste cinque etichette sono associate ad un punteggio pari ad un numero intero
dispari compreso tra 1 e 9. Se per caso su un certo argomento abbiamo un po' di
sensibilità in più possiamo anche essere indecisi tra due etichette, e in questo caso
è consentito l’utilizzo dei numeri pari. Posso vedere anche il problema al contrario,
cioè posso mettere, al posto di molto importante, poco importante e arrivare ad
assolutamente poco importante. In questo caso si propone di utilizzare i reciproci dei
numeri quindi non 3 ma 1/3, e così via, lo stesso vale per i numeri pari.
In alcuni casi si trovano i numeri razionali per 2 motivi: si forza la consistenza (poi lo
vediamo) o utilizziamo valori disponibili, ovvero si fa quello che abbiamo detto prima
sui metodi comparativi, cioè se ho i consumi posso fare una scala da 1 a 9 con il
rapporto delle misure dei consumi.
Esempio di un acquisto di un’automobile: confrontiamo estetica, affidabilità (non ci
deve lasciare a piedi) e i consumi.
Supponiamo di voler valutare l’estetica per alcune soluzioni di auto. Visto che ogni
auto ha la sua particolarità diventa complicato assegnare un giudizio su quale mi
piace di più. Quindi posso pensare di confrontarle a 2 a 2 così è più facile dare un
giudizio. Allora posso confrontare la Civic rispetto alla Civic ed è chiaro che sono
equivalenti, ma se confronto la Civic con la Saturn vedo che c’è ¼. Questo giudizio
non deve essere secco ma posso dire che la Saturn mi piaci un poco in più della
Civic, cioè do un giudizio molto approssimato che mi consente di dare un punteggio
da 1 a 9. Se confronto la Civic con le altre ottengo i punteggi che stanno sulla prima
riga, ad esempio la Clio è 6 volte più bella della Civic ed ero indeciso tra 5 e 7. Posso
fare lo stesso discorso con tutte le altre cioè posso confrontare anche Saturn, Escort
e Clio con tutte le altre. Si ottiene così una matrice 4 4, in cui devo avere
necessariamente che se la Clio è 5 volte più bella della Escort allora la Escort è 5
volte più brutta della Clio. In questo caso confronto macchine simili perché ho
identificato queste alternative che risolvono il mio problema, ma posso confrontare
anche vetture molto differenti anche se poi se non risolvono il mio problema non ha
senso. È ovvio che posso confrontare tutte le alternative che ritengo valide per quel
problema ma se non sono valide è inutile che le confronto.
La prima cosa da fare se vogliamo usare il metodo AHP è riempire questo schema
definendo obiettivo, criteri e alternative infatti finora abbiamo riempito questa tabella.

Poi vedremo anche come lavorare sui sotto criteri.


Dalla tabella precedente posso dire che:
1
4 ∙ " # $ % 1 ∙ & '() → " # $ % ∙ & '()
4
Inoltre:
1 ∙ " # $ % 4 ∙ + $ )'
Quindi si ottiene che:
1
∙ & '() % 4 ∙ + $ )' → & '() % 16 ∙ + $ )'
4
Ma non c’è un 16 nella matrice: questa si chiama inconsistenza della matrice.
Quando esprimo un giudizio che è quello della prima riga, giocando con i rapporti
matematici dovrei poter ottenere il resto della matrice, se così avviene la matrice è
consistente ma in questo caso non lo è. Allora se serve una matrice perché non
prendo la prima riga e creo una matrice consistente, visto che la inconsistenza mi
costringe a fare delle elaborazioni (matrice al quadrato, matrice al cubo, autovalori)?
Perché la inconsistenza ha un valore. Ci sono due motivi che portano a non
trascurare la inconsistenza della matrice. Il primo è che se confronto la Civic con tutte
le altre esprimo dei giudizi che evidentemente sono diversi da quelli che esprimo se
confronto tutte le altre, cioè la nostra percezione rispetto ai requisiti funzionali viene
alterata dall’elemento di riferimento, e se ho un riferimento assoluto riesco a dare un
giudizio che è coerente, se non ce l’ho invece il problema si complica, perché a
seconda dell’elemento che prendo come riferimento il giudizio sarà diverso. Per cui
se non ho un riferimento assoluto nella realtà prendo tutti come riferimento,
costruisco la matrice e poi vedo come mediare le cose. Se do un giudizio prendendo
come riferimento una volta la Civic, poi la Saturn, poi la Escort e poi la Clio
evidentemente il giudizio vero sarà una media dei giudizi che ho espresso in qualche
modo. Il secondo è che si devono mettere dei voti nella tabellina e nel confronto tra
i membri del gruppo uno dice una cosa e un altro ne dice un’altra. Alla fine ci
accordiamo su un valore che è tipo 2/9 e poi visto che il metodo prevede numeri tra
1 e 9 spingiamo verso una soluzione. Da questo punto di vista la cosa importante è
usare comunque numeri che vanno da 1 a 9 perché altrimenti sballa il metodo.
Questo può essere un modo oggettivo per mettere a confronto tutti i giudizi dei
componenti del gruppo oppure posso chiedere ad un esperto per ogni requisito
funzionale o ad una giuria di esperti. Quindi avere una matrice inconsistente è un
valore perché mi consente di mediare e di usare una regola di mediazione dei giudizi
che hanno delle interazioni oggettive e quindi rendo più oggettivo il giudizio,
ovviamente se ho selezionato bene gli esperti.
Questa matrice la moltiplico per un vettore di tutti 1 e ottengo un vettore che viene
normalizzato a 1 andando a dividere ogni termine per la somma di tutti i termini
Quindi una volta ottenuto il vettore moltiplicando la matrice per il vettore di tutti uno,
faccio la normalizzazione. Se la matrice è consistente significa che se faccio la
normalizzazione della prima colonna è pari alla normalizzazione della seconda e
della terza colonna, quindi quando le sommo si ottiene sempre la stessa cosa. Una
matrice consistente significa che hanno espresso tutti un giudizio oggettivo e hanno
definito bene il problema quindi se prendo una sola colonna piuttosto che fare una
media di tutte le colonne non ho problemi.
La prima cosa interessante è che sto usando una regola matematica per mediare
tutti i giudizi sommando tutte le colonne e facendo la normalizzazione, la seconda è
che se normalizzo una colonna e la normalizzo a 1 sempre dividendo ogni termine
per la somma di tutti i termini della colonna e la confronto con i risultati della
normalizzazione succede che in alcuni casi la normalizzazione della colonna
confrontata con la normalizzazione globale posso ottenere valori simili, per esempio
0.6, 0.22, 0.133 (la somma deve fare 1 in ogni caso), per la seconda colonna pure
verrà una cosa simile per la terza colonna vengono valori diversi, allora analizzando
il punteggio medio e confrontandolo col punteggio delle singole colonne posso
evidenziare dove ci sono le incongruenze e cercare di capire cos’è che mi porta alle
incongruenze, e quindi capire se c’è una svista del giudice, se ho un punto in cui
forzo la mano, se ho problemi di funzionalità delle alternative che non ho valutato
correttamente, quindi l’analisi dei numeri può essere interessante per il
miglioramento delle mia alternative.
Facciamo riferimento all’esempio dell’acquisto dell’auto adatta alle mie esigenze e ci
tengo a vedere estetica, affidabilità e consumi. Identifico quattro possibili alternative
e le confronto, per cui costruisco una matrice dello stile quindi confronto le vetture
rispetto allo stile, rispetto all’affidabilità e rispetto ai consumi.

Nell’esempio sono riportati i consumi in miglia su galloni, il concetto non cambia, ma


piuttosto che esprimere un giudizio viene fatta una normalizzazione rispetto al
giudizio complessivo. Quindi vedo quali sono i consumi di tutte le auto, li sommo e li
divido per la somma così attribuisco quei punteggi.
Si ottiene un vettore di numeri compresi tra 0 e 1 la cui somma è 1 per l’estetica, un
vettore per l’affidabilità e un vettore per i consumi. Quando metto insieme tutte queste
cose se i requisiti fossero tutti della stessa importanza peso posso fare la somma di
punteggi e scelgo quello che ha preso il punteggio maggiore. Ma se i requisiti non
sono tutti della stessa importanza (infatti nei questionari sto cercando di capire
quanto un requisito è importante rispetto ad un altro nell’ambito del problema che
abbiamo scelto) mi devo chiedere quanto lo stile sia più importante dell’affidabilità e
quanto sia più importante dei consumi, questo significa dire qual è l’importanza
relativa dei requisiti funzionali. Quindi la prima cosa che posso fare è fare una matrice
AHP in cui confronto i requisiti funzionali, e mi chiedo quanto lo stile sia più
importante dell’affidabilità per il nostro problema. Nell’ esempio vedo che lo stile è
ugualmente importante dello stile, l’affidabilità è importante il doppio dello stile e la
bellezza è più importante di tre volte rispetto ai consumi. Vedo se la matrice è
consistente e ci mettiamo tutti d’accordo sui valori chiedendo ad esperti o a chi
compra, infatti noi stiamo chiedendo al mercato. Una volta calcolata la matrice
normalizzo a 1, calcolo i pesi e li elaboriamo per tirare fuori un risultato ragionevole.
Per cui avremo che lo stile è importante 0.3196, l’affidabilità è importante 0.5584 e i
consumi 0.1220, la somma deve fare 1. Idealmente è come se mettessi 10000€ e ne
mettessi 3196€ per la bellezza, 5584€ per l’affidabilità e 1220€ per i consumi. Poi a
livello dello stile che ha questi 3196€ e li distribuisco tra Civic, Clio, Escort e Saturn.
Alla fine mi chiedo la Clio quanto ha guadagnato di quei 10000€. Quindi immagino
di mettere questo punteggio iniziale e di dividerlo secondo l’importanza e lo sotto-
dividiamo per importanza e alla fine vedo chi ha guadagnato di più di quel punteggio
iniziale. Visto che per esempio un criterio ha guadagnato 3196€ questi poi vanno
suddivisi per i sotto-criteri e si distribuiscono tra le alternative.

Nella realtà non vince la Clio ma la Civic perché rispondiamo alla domanda perché
l’economicità è un requisito funzionale ma poi non lo valutiamo come requisito
funzionale? Perché è un discorso talmente trasversale che non si riesce a tenerne
conto in maniera seria nei requisiti funzionali. Una delle possibili soluzioni è
considerare il rapporto $ ' // 0 $ , dove i benefici sono misurati in termini di
punteggio ottenuto nel confronto. Quindi praticamente faccio la normalizzazione dei
costi e divido i risultati ottenuti prima con questi pesi. Pertanto inserendo un’ipotesi
di costo può cambiare la situazione. I consumi sono un aspetto di economicità ma
non economicità di prodotto ma economicità di gestione del prodotto che è una cosa
a valle dell’acquisto ed ha senso tenerlo come requisito funzionale, mentre il costo
del prodotto è troppo complicato.
Lezione 18 9/11/2017
Le reti neurali
Le reti neurali e gli algoritmi genetici sono tecniche di intelligenza artificiale. Ormai le
tecniche di intelligenza artificiale nell’ambito elettronico ed informatico nonché nella
meccanica e nella progettazione sono molto presenti.
La scienza cognitiva è quella scienza che in qualche modo cerca di capire quali sono
le regole sulla base delle quali funziona l’acquisizione della conoscenza da parte
dell’uomo. La logica Fuzzy è un esempio di approssimazione di queste regole, ma
nella realtà nessun uomo ha un controllore Fuzzy nel proprio cervello, ma è dotato
di un sistema fatto di impulsi e di connessioni più o meno sviluppate. Le connessioni
dipendono da quello che hanno acquisito i genitori, o più in generale gli avi, in
funzione del contesto e delle esperienze che hanno vissuto (e della società in cui
erano immersi). Le scienze cognitive cercano quindi di tener conto di tutto ciò per
arrivare a capire perché ad esempio quando molte persone parlano gesticolano in
un certo modo (che è un modo di fare tipicamente italiano).

Figura 1

Il cervello umano è fatto di neuroni che hanno delle connessioni ed un asse portante
del segnale. I neuroni raccolgono il segnale elettrico e tale segnale viene distribuito,
dopo averlo elaborato, alle le varie connessioni, in maniera differente: non viene
inviato lo stesso segnale a tutti, ma a seconda della connessione il segnale cambia.

Figura 2

Se il cervello umano funziona in questo modo ed è capace di fare cose incredibili, si


è pensato di trovare qualcosa che somigli ad un neurone, provando a riprodurre il
1
meccanismo di ragionamento e quindi di emissione del segnale umano. In effetti se
si è capaci di muovere una mano è perché il cervello invia un segnale elettrico di
attivazione di alcuni muscoli del corpo.

Figura 3

Il carico sui muscoli di un essere umano dipende da un aspetto volontario: a parità


di posizione assunta il muscolo potrebbe essere rilassato o più o meno contratto. In
effetti i muscoli sono diretti e antagonisti: è possibile trovare un equilibrio sia ad un
basso livello dei muscoli diretti e antagonisti, sia aumentando il carico per entrambi
in proporzione. Esistono inoltre organi degli esseri umani che funzionano
indipendentemente dal cervello tipo il cuore o per esempio il respiro: esso avviene in
maniera involontaria, sebbene in maniera volontaria è possibile sospenderlo.
È possibile pensare di trovare un sistema che possa simulare il funzionamento di un
cervello umano. Lo schema è costituito da elementi che si connettono fra di loro e
che svolgono una certa funzione:

Figura 4

Gli elementi sono connessi variamente tra loro e al loro interno accadono
determinate cose. Nello schema precedente ogni cella ha una connessione con altre
celle (ci sono un certo numero di connessioni) e ciascun elemento viene detto
neurone artificiale. Ciascun neurone può attivarsi oppure no: essi entrano in funzione
solo se il segnale che arriva è superiore ad una certa soglia, pertanto la prima cosa
da fare è proprio definire un valore soglia. Bisogna poi capire qualora un neurone si
attivi qual è la sua funzione. Il calcolo dell’input non è una proprietà propria del
2
neurone, nel senso che l’attività del neurone è connessa al fatto che gli arrivano degli
input che vengono letti dal neurone.
I neuroni centrali nello schema precedente hanno tre connessioni in ingresso e due
in uscita; è chiaro che non si è in grado di riprodurre esattamente le connessioni del
cervello umano, in quanto si dovrebbe essere a conoscenza di quante diramazioni
hanno i diversi neuroni e quante connessioni hanno, cosa che varia da cervello a
cervello. Bisognerebbe capire quindi se ad esempio ciascun neurone si connette a
tutti i neuroni vicini entro una certa distanza, se c’è una connessione di ritorno con
dei loop chiusi oppure no, ….
Il primo modello funzionante fu quello proposto da McCullock e Pitts:

Figura 5

In particolare, in questo caso, il segnale di input deve essere moltiplicato per il peso
della connessione attraverso cui arriva al neurone; il risultato delle moltiplicazioni
viene sommato e se la somma supera una certa soglia il neurone si attiva, attivando
la sua uscita.

Figura 6

Quindi in sostanza si vanno ad elaborare tutti i segnali in ingresso ed in funzione di


essi si decide se bisogna agire oppure no; l’informazione viene poi passata agli
elementi centrali che elaborano il segnale dando un output.
Pertanto per ogni connessione c’è un peso e per ogni neurone c’è un valore di soglia:
bisogna decidere per ogni neurone che peso ha una determinata connessione, se la
somma di tutti i segnali che arrivano dalle varie connessioni con i rispettivi pesi è
significativa oppure no ed il tipo di alterazione, ossia come viene elaborato il segnale.
Ciò che caratterizza le reti neurali è legato all’addestramento: c’è una particolare
funzione detta funzione di addestramento.

3
Bisogna quindi conoscere ciascun neurone con quanti altri neuroni è collegato e se
ci sono dei loop oppure no. Nella rappresentazione informatica di una rete neurale
artificiale si procede per layer, ossia per livelli; in sostanza esistono dei neuroni di
input (per cui ci sono dei segnali in ingresso), dei neuroni di output (per cui ci sono
dei segnali in uscita) e vari strati di neuroni interni (hidden units):

Figura 7

Per cui da un punto di vista del software si deve decidere quanti strati di neuroni
intermedi bisogna mettere: in linea di principio, a meno di casi particolari, ogni strato
è connesso a quello precedente e a quello successivo; per cui, ogni neurone di uno
strato, si connette a tutti i neuroni dello strato precedente e a tutti quelli dello strato
successivo. Se il problema da risolvere è complesso è necessario avere a
disposizione molti neuroni: volendo creare una rete in cui ciascun neurone è
connesso a tutti gli altri, il tempo computazionale esploderebbe all’infinito, in quanto
ogni neurone aggiunto comporta l’aggiunta di un numero di connessioni pari al
numero di neuroni già presenti (ogni volta che si aggiunge un neurone il tempo
computazione aumenta in maniera esponenziale). Per questo motivo, per filtrare i
segnali, si preferisce ragionare su più strati.
Lo strato di input e quello di output sono visibili, mentre la parte interna, che è
nascosta, può essere fatta di uno o più strati; in particolare, la parte interna è quella
che fa l’elaborazione vera e propria. Esistono delle teorie grazie alle quali è possibile
scegliere il numero di strati intermedi in funzione del numero di neuroni di input e
output.
In ogni caso queste reti possono essere anche molto complesse e coinvolgere
migliaia di neuroni e decine di migliaia di connessioni: si parla perciò di architetture
neuronali.
Di seguito vengono riportati due esempi di neuroni artificiali:

4
Figura 8

I neuroni del primo tipo (a sinistra) si eccitano per punti che sono situati sopra il piano
di separazione, dove si annulla l’attivazione, e si inibiscono per punti situati al di sotto.
Le unità del secondo tipo (a destra) si eccitano per punti contigui al centro (wia, wib,
wic) e si inibiscono quando ci si allontana, con una velocità commisurata al parametro
radiale . L’architettura di una rete è definita dalle funzioni di trasferimento e
apprendimento, dai pattern di connessioni e dal numero di unità.
Se la somma di tutti i segnali che arrivano si trova su valori bassi il neurone non si
attiva, mentre se si trova su valori alti si attiva. È possibile però definire delle funzioni
di soglia che non sono per forza del tipo maggiore o minore (come nel caso a
sinistra), ma è possibile anche definire un intervallo (come nel caso a destra).
Il problema fondamentale di una rete neurale è legato al fatto che per ognuna delle
connessioni va stabilito il peso e per ognuno di neuroni va stabilito il tipo di funzione
di soglia nonché qual è la regola di elaborazione del segnale. In sostanza si va a
creare una sorta di database in cui, stabilito il numero di neuroni, per ognuno di essi
si elencano i neuroni a cui è collegato e per ogni connessione si associa un certo
valore di peso: queste sono tutte variabili che bisogna riempire.
Per quanto riguarda i pesi ad esempio si potrebbe associare inizialmente a tutte le
connessioni un valore unitario e decidere ad esempio un valore soglia che può
essere di 0.5 (ossia 50 %); le tipologie di funzioni di taglio e di elaborazione del
segnale devono essere decise a priori. Una volta stabiliti i valori di prova, la rete
neurale va addestrata per tarare correttamente tutti i parametri. L’addestramento è il
processo mediante il quale la rete impara a riconoscere la relazione incognita che
lega le variabili di ingresso a quelle di uscita. Esistono diverse regole di
apprendimento tra cui:
 Regola di Hebb
 Regola generalizzata
 Back propagation
Le regole di apprendimento sono sostanzialmente le regole in base alle quali si
decide, sulla base di un esempio dato, di cambiare valori ai pesi per ottenere un certo
risultato: fornito un certo input e un certo output, la rete deve tarare tutti i coefficienti
in maniera tale che a partire dall’input viene fuori esattamente quel determinato
5
output. I modi per decidere quali sono i parametri sono differenti in quanto il problema
non è univocamente determinato (non è un problema chiuso): è possibile aumentare
il peso da una parte e diminuirlo da un’altra ottenendo lo stesso risultato; per tale
motivo esistono varie regole per tirar fuori dei coefficienti a partire dall’input e
dall’output.
Ovviamente non basta dare un dato input e un dato output per un solo caso, perché
se il sistema ha tanti gradi di libertà, per ottenere un risultato soddisfacente è
necessario sottoporre alla rete neurale più casi (e quindi diversi dati). Ogni volta che
si applica ad esempio l’algoritmo di back propagation su uno dei risultati viene fuori
una distribuzione dei pesi e dei livelli di soglia differente: il problema è capire se
andare a mediare i risultati o utilizzare magari un algoritmo in base al quale a
seconda del caso si vanno a modificare i diversi valori senza però alterarli troppo
(con delle regole che tengono conto del caso precedente).
Si individuano tre diverse modalità di apprendimento (metodi per garantire
l’apprendimento) a seconda del ruolo esercitato dal supervisore del concetto:
 L’apprendimento con supervisione
 L’apprendimento con rinforzo
 L’apprendimento senza supervisione
In particolare, nell’algoritmo di back propagation si va ad effettuare una
minimizzazione dell’errore; in effetti, non è detto che con la rete scelta si ottengono
esattamente quegli output da determinati input; per cui può darsi che la rete costruita
se fornisce un risultato esatto per il caso 1, non può dare un risultato esatto per il
caso 2 (non si trova un equilibrio tra i pesi per le diverse condizioni): in quest’ottica
ha senso fare una minimizzazione dell’errore; pertanto se si sottopongono alla rete
10 casi ad esempio, si va a scegliere l’insieme dei pesi delle connessioni e dei valori
soglia, in modo tale che la differenza tra quello che elabora la rete neurale e quello
che invece si dovrebbe ottenere sia bassa (ovviamente questo deve essere
sommato su tutti i casi).

Figura 9

I pregi delle reti neurali sono:


 Trattano molti dati in quanto lavorano in modo parallelo.
6
 Buona immunità al rumore: quando si dà il segnale in ingresso, non è detto
che esso sia corretto, ma ci possono essere delle alterazioni o comunque delle
imprecisioni; la rete neurale è comunque in grado di valutare e di
approssimare.
 Riduzioni delle prestazioni in caso di malfunzionamento di alcune attività (e
non blocco del sistema).
 Alto grado di utilizzabilità in presenza di dati storici.
I difetti delle reti neurali sono:
 Black Box: i dati ricavati non possono essere spiegati attraverso il linguaggio
simbolico umano.
 Efficienti se le variabili predittive sono scelte con cura.
 Impossibilità di trattare variabili di tipo categorico (ad esempio nomi di città).
 Richiesta di una fase di apprendimento.
 Impossibilità di definizione della rete ottima: dipendenza dall’esperienza del
creatore.
Pertanto se si hanno a disposizione tutta una serie di informazioni e si riesce a
rappresentare correttamente il problema, si potrebbe costruire una rete neurale
efficiente, ossia che è in grado di capire quali sono i dati input e fornire la soluzione
ottimale.
In un team di lavoro generalmente quello che si fa è proprio lavorare in parallelo
(come per le reti neurali). Inoltre, buona immunità al rumore vuol dire che si riescono
a percepire le richieste e a riadattarle alle nozioni che si hanno; in effetti quando si
passa dai customer needs (bisogni del cliente) alla decisione di come realizzare un
prodotto si vanno sostanzialmente proprio a reinterpretare i bisogni del cliente. Se
una persona richiede una macchina potente si capisce ad esempio che in realtà
quella persona ha bisogno di un’autovettura sportiva; quindi, il fatto che qualcuno
possa chiedere delle cose in maniera sbagliata può essere definito rumore, ossia
un’alterazione del segnale principale. Inoltre se in un team non lavorano tutti quanti
quelli coinvolti, generalmente il progetto che viene fuori è scadente: riduzione delle
prestazioni in caso di malfunzionamento di alcune unità. Infine, i dati storici sono
proprio tutte le conoscenze che si hanno a disposizione.
Molto spesso l’esperienza che si possiede e che è stata acquisita perché magari si
è svolto un certo lavoro per diversi anni, non è facile formularla in forma scritta; in
effetti si potrebbero dare facilmente dei suggerimenti, ma formalizzare il tutto nella
forma di equazioni è praticamente impossibile; molto spesso anche i libri
formalizzano la conoscenza attraverso degli esempi; quando si prendono delle
informazioni dai libri praticamente si è nella fase di addestramento: si comprende
come procedere in diversi casi che vengono presentati come esempio sul testo;
avendo a disposizione quindi input e output è possibile andare ad elaborare le
informazioni e quindi addestrarsi. Inoltre, scegliendo con cura i requisiti funzionali si
ottengono in maniera ideale i parametri di progetto (efficienti se le variabili predittive
7
sono scelte con cura: c’è un collegamento diretto con il primo assioma della
progettazione). In effetti è come se si avesse una rete neurale in cui al primo livello
ci sono i requisiti funzionali e all’ultimo livello ci sono i parametri di progetto: quindi
all’interno del team si elaborano delle relazioni che derivano dalla fisica per poter
effettuare questo passaggio. Se si avessero a disposizione una serie di esempi per
cui ad una serie di requisiti funzionali corrispondono determinati parametri di
progetto, si saprebbe ugualmente come fare le cose per farle funzionare nella
maniera corretta.
Nel caso di un automobile ad esempio, per un particolare segmento di mercato, si
immagini di avere stabilito i requisiti funzionali per una city car (sicurezza,
maneggevolezza, bassi consumi, …); si immagini inoltre di avere a disposizione lo
storico di tutte le city car costruite sinora: si conoscono quindi, dimensioni, numero
di posti, numero di sportelli, capacità del bagagliaio, …; si potrebbe a questo punto
costruire una rete neurale, da addestrare, in modo da ottenere in output informazioni
su che tipo di motore deve avere, che cilindrata deve avere, …; in sostanza si ottiene
una generazione automatica del concept basata su dati storici.
Il limite di un ragionamento di questo tipo è che manca di capacità inventiva: una rete
neurale è in grado di elaborare risultati che tirano fuori delle risposte che sono
assolutamente molto simili ad altre; pertanto le reti neurali rappresentano un sistema
di ottimizzazione splendido, ma non innovativo. Tuttavia magari si potrebbero andare
a confrontare i risultati di tutte le city car che sono state fatte (o magari delle 10 più
vendute) per cercare di ottimizzare il tutto; questo potrebbe essere anche
interessante per cercare di capire perché determinate vetture magari non hanno
avuto successo sul mercato: questo lo si fa addestrando la rete solo sulle autovetture
che hanno avuto successo, piuttosto che su tutte le autovetture.
Sebbene non siano molto utilizzate nell’ambito della progettazione, ci sono
comunque degli esempi di costruzioni di reti neurali per la definizione di concept di
macchine.
Un esempio di applicazione delle reti neurali è quello della lettura delle targhe:

Figura 10
8
In particolare in questo caso l’immagine viene elaborata per riconoscere le lettere
della targa; sulla base delle diverse foto, non si ha una regola geometrica su come
sono costruite le diverse lettere, ma con un serie di bit, del tipo acceso/spento
(bianco/nero), in maniera ordinata secondo l’immagine, si riesce a capire di che
lettera si tratta. La rete chiaramente va addestrata fornendo alla stessa diverse
tipologie di targhe.
Gli algoritmi genetici
Un altro approccio è quello legato agli algoritmi genetici: esso è sempre un approccio
di tipo informatico e cerca comunque di riprodurre quello che accade in natura in
maniera non ben chiara. In questo caso si parla di evoluzione della specie. Gli
algoritmi genetici lavorano con una popolazione di individui ciascuno dei quali
rappresenta una possibile soluzione al problema posto.
Si supponga di avere a disposizione un certo numero di alternative dalle quali
bisogna scegliere la migliore; potrebbe però capitare che la migliore alternativa non
è tra queste; magari esistono due alternative che sono diverse tra di loro, ma che
messe assieme tirano fuori qualcosa di buono: si dice in questo caso che la specie
si evolve; in effetti le diverse generazioni, nel tempo, sono diventate più alte, più
intelligenti, …. L’evoluzione dipende dal fatto che le conoscenze acquisite in passato
fanno sì che, nel presente, è possibile andare più a fondo: la genetica funziona
proprio in questo modo.

Figura 11

Dal punto di vista biologico ogni volta che avviene la riproduzione ci sono i cromosomi
dei due genitori che si mescolano in qualche modo e l’individuo che ne viene fuori ha
metà delle caratteristiche dell’uomo e metà delle caratteristiche della donna. Il DNA,
ossia i cromosomi, sono quelli che poi caratterizzano la persona: una persona risulta
più alta di un’altra perché ha un insieme di cromosomi che hanno permesso di
svilupparsi di più in altezza, …; lo stesso discorso può essere fatto sulle capacità che
ciascuna persona possiede: le capacità di una persona sono legate in parte
all’apprendimento e in parte a delle attitudini naturali, dovute alle cellule di cui è
composto.

9
Quindi l’individuo deve essere rappresentato da una serie di cose: riuscendo a
riprodurre questa cosa artificialmente, unendo una serie di informazioni con un certo
codice, si può immaginare di accoppiare delle alternative per vedere cosa ne viene
fuori. In effetti una delle soluzioni suggerite per migliorare dei concept è proprio
cercare di capire se gli aspetti positivi di un determinato concept possono essere
combinati con quelli positivi di un altro concept. Una volta risolte le contraddizioni
tecniche derivanti dal fatto che i due concept sono stati messi assieme, si ottiene
verosimilmente un concept migliorato.
La combinazione non garantisce il fatto che l’individuo che è stato generato sia
migliore dei due di partenza: non c’è garanzia cioè che il figlio sia migliore dei genitori.
Ci sono quindi delle attitudini che vengono fuori in maniera casuale e che dipendono
dalla combinazione che si ottiene dai due individui di partenza. Pertanto piuttosto che
generare un solo figlio si va a generare una popolazione, sperando che nella
combinazione che c’è stata uno dei figli abbia delle caratteristiche migliori dell’intero
gruppo di individui della generazione precedente; per capire questo, c’è bisogno di
una funzione di fitness, ossia di una funzione che consente di valutare l’individuo per
capire se è migliore o peggiore di quelli che l’hanno generato.
Siccome la generazione veramente non è controllabile, in quanto non c’è una regola,
non è detto che dopo 10 − 20 − 50 − ⋯ generazioni si ottenga la soluzione ottimale:
il tutto dipende anche dalla popolazione di partenza. Certamente c’è un numero tale
di campioni di individui per cui è possibile trovare un individuo che ha delle buone
caratteristiche in tempi abbastanza rapidi una volta costruito l’algoritmo. Quindi lo
schema da seguire è più o meno il seguente:

Figura 12

Quindi una volta valutato il fitness della nuova generazione che è stata ottenuta,
eventualmente si provvede all’ottenimento di una nuova generazione, per cui è un
processo iterativo.
Poiché gli algoritmi genetici sono una procedura informatica si ragiona in termini di
bit: si avranno un certo numero di geni che possono assumere valori che sono 0 o 1
(in modo da garantire se un individuo ha una determinata caratteristica oppure no).
Si tenga presente che il fatto di avere tutti i geni attivi (valore 1) non vuol dire che
10
quell’individuo sia migliore: magari uno è bravissimo a fare i palleggi, ma non è detto
che sia bravo a giocare a calcio; alcuni geni possono dipendere da com’è fatta la
funzione di fitness.

Figura 13

Di seguito viene riportata una rappresentazione dove 2 individui composti da 10 geni


ciascuno, in cui a seguito della combinazione, si va a prendere un pezzetto di un
individuo e un altro pezzetto complementare sull’altro individuo, in modo tale che
viene fuori una combinazione diversa di 0 e di 1:

Figura 14

Quindi a partire da due individui se ne ottengono altri due facendo diverse


combinazioni: per fare una combinazione bisogna decidere soltanto il punto di taglio.
Eventualmente è possibile inserire una mutazione, ossia in maniera random si va a
cambiare il valore di uno dei geni, passandolo da 0 a 1 o viceversa: questo è quello
che avviene in natura e potrebbe dare qualcosa in più o magari fare un danno (uno
dei motivi delle malattie genetiche è da ricercarsi proprio in questo). Un errore nella
genetica può portare ad una caratteristica che viene esasperata in maniera
incredibile, ma che però porta ad altri problemi (è il caso delle persone autistiche).

11
Se l’algoritmo genetico è correttamente implementato, la popolazione evolverà in
molte generazioni in modo che il fitness del miglior individuo e la media in ogni
generazione cresca verso l’ottimo globale. La convergenza è la progressione verso
la crescente uniformità.

Figura 15

L’esempio visto precedentemente dei due individui che si accoppiavano era


nient’altro che una tecnica di crossover in cui c’era un punto fisso di taglio e lo
scambio dei geni tra i due individui; in genere si tende a mantenere la popolazione
sempre nello stesso numero, ossia a crescita zero: muoiono tanti individui quanti
quelli che nascono. Nell’ambito della popolazione si accoppiano gli individui in
maniera tale che essi generino altri due individui. In realtà l’accoppiamento viene
fatto cercando di selezionare gli individui migliori: magari l’individuo migliore viene
fatto accoppiare più volte che con diversi altri individui.
In alcuni casi si possono implementare degli algoritmi in cui piuttosto che avere un
solo punto di taglio ce ne sono due, per cui si può avere variabilità nel punto di cross,
ma ciò genera una piccola complessità nel sistema ed ha effetti sulla velocità di
convergenza.

Figura 16

12
Esiste poi un’altra tecnica di crossover in cui ciascun gene nei figli è creato tramite
una copia del corrispondente gene da uno dei due genitori, scelto in accordo a una
“maschera di crossover” creata in maniera casuale.

Figura 17

In effetti prendere un gene piuttosto che l’altro da uno dei due genitori è soltanto un
problema algoritmico.
In realtà facendo un crossover tradizionale l’inconveniente è che la prima parte e
l’ultima parte dell’individuo che nasce non saranno mai cambiate se non per effetti di
mutazioni genetiche e quindi saranno sempre fortemente dipendenti dalle soluzioni
iniziali proposte (sono quindi meno innovative); utilizzando invece la seconda tecnica
di crossover vengono fuori degli individui che sono veramente molto diversi l’uno
dall’altro.
Gli algoritmi genetici possono essere utilizzati per massimizzare una funzione del
tipo = , con che può variare tra 0 e 31. I valori tra 0 e 31 non sono stati scelti
a caso, in quanto con 5 bit si hanno 32 possibili combinazioni tra gli 0 e gli 1 di ciascun
bit (00000 = 0 e 11111 = 31). Quindi ogni individuo è identificato da 5 bit.

Figura 18

13
A questo punto viene generata una piccola popolazione composta di sole quattro
stringhe genetiche prese a caso, per esempio: 01101 = 13, 11000 = 24, 01000 = 8
e 10011 = 19.

Volendo massimizzare la funzione di fitness = si va ad elevare al quadrato


ciascun valore:

13 = 169, 24 = 576, 8 = 64, 19 = 361

A ciò si abbina la probabilità di riproduzione: ciascuna probabilità viene distribuita in


funzione del valore di fitness in maniera diversa tra i vari individui (basta fare la
normalizzazione ad 1 della funzione di fitness). In particolare si ha:

! " # = 169 + 576 + 64 + 361 = 1170

Per cui:

169
%# & & " à # %# ( )* ) ! 1= = 0.14
1170
576
%# & & " à # %# ( )* ) ! 2= = 0.49
1170
64
%# & & " à # %# ( )* ) ! 3= = 0.06
1170
361
%# & & " à # %# ( )* ) ! 4= = 0.31
1170
Per cui il numero di figli di ciascun individuo sarà:

) *# +" ) ! 1 = 0.58

) *# +" ) ! 2 = 1.97

) *# +" ) ! 3 = 0.22

) *# +" ) ! 4 = 1.23

Quindi il numero di figli effettivo di ciascun individuo sarà:

) *# +" * * ! ) ! 1 = 0.58 → 1

) *# +" * * ! ) ! 2 = 1.97 → 2

) *# +" * * ! ) ! 3 = 0.22 → 0

) *# +" * * ! ) ! 4 = 1.23 → 1

14
Per cui l’individuo 2 si accoppierà una volta con l’individuo 1 e una volta con
l’individuo 4 e con ognuno di essi genererà dei figli.

Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti sintetizzati in una tabella:

Figura 19

Dopodiché viene applicato il crossover e come è possibile notare ci sono dei punti
esclamativi in ciascuna coppia con crossover. In particolare l’individuo 2 si accoppia
con l’individuo 1 con un crossover all’ultima cifra e si accoppia con l’individuo 4 con
un crossover alla terza cifra. Si inserisce inoltre anche una mutazione con probabilità
di un millesimo e la nuova popolazione ottenuta non risulta mutata. Andando a
decodificare i valori ottenuti si ottengono: 12, 25, 27 e 16; tali valori vengono elevati
nuovamente al quadrato ottenendo: 144, 625, 729 e 256. Com’è possibile si è passati
da 576 come valore massimo a 729. Se l’algoritmo genetico è scritto bene, quando
la variazione del fitness tra una generazione e la precedente è molto piccola è
possibile fermarsi: è quindi necessario decidere soltanto il Δ oltre il quale non ci si
vuole spingere.

Si immagini di avere una struttura incastrata con due forze applicate all’estremità:

Figura 20

15
È possibile fare ottimizzazione strutturale alleggerendo la struttura precedente,
proprio grazie ad un algoritmo genetico. I punti di applicazione delle forze non
possono variare per cui bisogna chiedersi dove togliere il materiale per poter
alleggerire la struttura.

Si potrebbe quindi provare a suddividere la struttura in tanti pezzetti:

Figura 21

Se si vuole alleggerire la struttura bisogna togliere del materiale, il problema è capire


dove toglierlo. Per com’è stata divisa, la struttura risulta formata da 14 7 quadratini:
per ognuna delle 98 caselle è possibile decidere se essa è piena o è vuota e quindi
se c’è materiale oppure no.

Quindi l’individuo di partenza è rappresentato da una serie di 1 sulle 98 caselle


(struttura piena):

1111 … 1

È possibile prendere una stringa di 98 valori binari, generando casualmente un certo


numero di individui: per cui è possibile ottenere un individuo di tutti 0 e/o individui con
0 e 1 disposti variamente.

Quello che interessa è capire quanto vale la funzione di fitness. In tal caso il discorso
è più complesso in quanto si hanno due esigenze: bisogna verificare che la struttura
regga nonché verificare quant’è il carico sulla struttura. Pertanto da una parte la
funzione di fitness sarà legata necessariamente alla /01 , mentre dall’altra parte sarà
legata al peso 2: bisogna quindi capire quale delle due scegliere. Il problema è
capire se la struttura funziona oppure no e se è efficiente, nel senso che arrivati alla
soluzione, effettivamente non è più possibile togliere ulteriore materiale. Si supponga
inoltre di aver fissato il materiale e quindi di conoscere la tensione di rottura 3 . Si
supponga inoltre che la trave sia cilindrica e soggetta a trazione e che, per tale trave:

1
/01 = ∙ 3
10

16
Ciò vuol dire che la trave è praticamente sovradimensionata, con un coefficiente di
sicurezza pari a 10. È possibile alleggerire la struttura cosicché costa di meno, fino
a portare il coefficiente di sicurezza al valore 2 ad esempio.

C’è quindi un legame tra la /01 calcolata e la 3 alla quale si può arrivare; questo
legame, nel caso di una trave cilindrica soggetta a trazione, dipende dal fatto che le
tensioni punto per punto sono le stesse: la struttura è uniformemente caricata. Quindi
supposto che la struttura sia uniformemente caricata, si può parlare proprio di
minimizzazione del coefficiente di sicurezza come funzione di fitness. Nella realtà
però questo non accade, poiché, quando si inizia a togliere del materiale, viene fuori
una distribuzione di carico che non è possibile prevedere; in realtà ciò che interessa
è che il carico sia il più possibile uniforme e il più vicino possibile alla 3 , in modo da
avere un basso coefficiente di sicurezza (se il coefficiente di sicurezza deve essere
pari a 2 la /01 deve essere la metà della 3 ). Infatti se si ha un materiale che può
reggere fino a metà della 3 e invece la tensione massima /01 nell’elemento è 1/4
della tensione di rottura 3 si sta praticamente sprecando del materiale. Quindi,
tenuto conto della 3 e del coefficiente di sicurezza 6, ciò che serve massimizzare è
il seguente rapporto:

/;
max : <
6∙ 3

Se la / ; aumenta, facendo però attenzione al fatto che essa deve essere minore
di 3 , si sta praticamente sfruttando meglio il materiale. Banalmente si potrebbe
anche puntare a massimizzare semplicemente la / ; , andando comunque a tagliare
tutti gli individui la cui / ; supera la 3 . Sfruttare bene il materiale significa quindi
portarlo al limite della sua capacità di resistenza; generando i diversi individui si
possono ottenere soluzioni differenti, come ad esempio la seguente (con la è
contrassegnata la casella in cui c’è il materiale):

Figura 22

È evidente che, data quella distribuzione di carico, il materiale deve essere presente
comunque in determinati punti, affinché la struttura resista.

17
Ovviamente si deve andare a costruire una distribuzione di probabilità di
accoppiamento.

In effetti in una struttura del genere quello che si fa spesso sono dei fori di scarico,
ossia la struttura viene svuotata in certe parti proprio per alleggerirla.

Verosimilmente verrà fuori una struttura di questo tipo (una struttura in diagonale,
con qualche nervatura):

Figura 23

L’algoritmo genetico consente quindi di fare tutto ciò: alla fine ci si ritroverà con una
sequenza di 0 e 1 che rappresentano in qualche modo lo schema della struttura
alleggerita. Ovviamente ci saranno delle approssimazioni, per cui magari dovrà
essere fatto qualche calcolo in più di verifica: il tutto dipende anche dalle dimensioni
della casella scelta. Se anziché avere 98 caselle, si costruisce una struttura a più
caselle la precisione aumenta: il tutto dipende dalle esigenze. Se si sta costruendo
un telaio della Formula 1 esso deve essere alleggerito il più possibile per garantire
performance elevate: pertanto è necessario avere molte caselle per ottenere una
precisione maggiore.

Anche la rete neurale può essere utilizzata per fare questo; essa darà in output 98
valori che rappresentano la struttura ottenuta. La rete neurale andrà addestrata in
funzione di diverse situazioni: si danno magari le forze alla struttura singolarmente
nonché la struttura che viene fuori in quei casi e la rete neurale capisce che allo
spostarsi della forza la distribuzione della struttura cambia. Quindi si potrebbe
prendere tutta una serie di strutture già realizzate, per far capire alla rete come
rispondere seguendo una certa logica.

Nel caso dell’algoritmo genetico se cambia il punto di applicazione della forza


l’iterazione va rifatta, mentre nel momento in cui si addestra la rete neurale su diversi
casi (dando diverse strutture con forze variamente distribuite nonché i risultati che
conseguono a quel tipo di distribuzione), sebbene magari il sistema non sia
ottimizzato, appena cambia la forza cambierà automaticamente la struttura: in input
si dà la posizione, l’intensità e il valore della forza e in output si otterrà la struttura.
Chiaramente su una rete neurale avere 98 output è comunque un po’ complicato.

18
Una delle applicazioni di algoritmi di questo tipo può essere quella in cui si ha una
lastra sulla quale bisogna ritagliare una serie di sagome; in questo caso l’obiettivo è
stabilire qual è il modo migliore di ritagliare per ridurre lo sfrido (ossia lo scarto di
materiale).

Figura 24

Esistono molti esempi in letteratura che fanno riferimento proprio all’utilizzo di reti
neurali e di algoritmi genetici, in diversi ambiti.

19
Lezione 19 10 novembre 2017
Chiarimenti metodo AHP
L’ AHP è un sistema di confronto tra soluzioni alternative e rientra nell’ambito degli
approcci multi criterio alla decisione. Richiede che ci sia come punto di base una
struttura in cui abbiamo un obiettivo che è quello di trovare la soluzione ottimale in
base ad una serie di criteri che dobbiamo valutare, quindi l’idea è quella di giungere
all’obiettivo attraverso la valutazione di una serie di criteri e confrontando tra loro le
varie alternative. Quindi in base alle alternative devo scegliere quale alternativa è
migliore rispetto ad ognuno dei criteri per poi comporre tutti i giudizi che sono stati
dati. Ovviamente visto che abbiamo una struttura gerarchica più complessa per
quanto riguarda i nostri requisiti funzionali (i criteri che ci sono nell’immagine sotto
possono essere considerati i nostri requisiti funzionali), non abbiamo semplicemente
le caselle con i criteri ma abbiamo anche i sotto-criteri e si pone il problema di come
gestire questa cosa. In realtà il problema è annidato nel senso che se devo stabilire
rispetto al criterio 1 qual è l’alternativa più conveniente avrò una gerarchia di sotto
criteri rispetto ai quali dovrò confrontare le altre alternative e così via. Questa
considerazione si può replicare in ognuna di queste caselle.

Quindi abbiamo dei criteri e delle alternative da confrontare. Il punto di partenza è


che il confronto non viene fatto in maniera assoluta ma è una comparazione tra varie
alternative per decidere qual è la migliore. Questa comparazione si fa sulla base di
una tabella di attributi linguistici che si possono dare, quindi piuttosto che un sistema
di punteggi si cerca di stabilire se un’alternativa rispetto ad un’altra, riguardo a quel
solo criterio, resta ugualmente preferita, moderatamente preferita, preferita,
veramente preferita, estremamente preferita.
Si assegna a seconda che A rispetto a B è veramente preferita si mette 5, mentre B
è preferita rispetto ad A si mette 1/5. In genere queste etichette vengono tradotte in
un punteggio intere dispari da 1 a 9. Questa cosa si fa perché da una parte dal punto
di vista degli studi di psicologia si è visto che mediamente si riescono a distinguere
5 fasce di valore e quindi ci sono 5 attributi, se ho una maggiore sensibilità posso
essere indeciso sui 5 attributi e quindi posso usare i valori intermedi. Questo è il
motivo per cui si scelgono i numeri dispari. Dall’altro lato perché è una cosa naturale
assegnare una valutazione da 0 a 10, ma se ho cinque etichette è normale prendere
i cinque dispari. Quindi l’approccio è fatto dal punto di vista delle variabili linguistiche
e i numeri servono per tradurre in punteggi (si può usare anche 10, 30, 50, 70, 90
non cambierebbe nulla perché alla fine si fa una normalizzazione).

Quindi la base è un confronto tra alternative rispetto ad un criterio. Si esprime un


giudizio e si rappresenta questo giudizio in una matrice. Dal punto di vista
matematico sarebbe sufficiente solo una riga della matrice, perché nel momento in
cui esprimo un’alternativa rispetto alle altre automaticamente posso ricavare tutti gli
altri confronti. Si pone un problema di coerenza tra i giudizi perché se faccio il
confronto rispetto all’alternativa 1, può darsi che do dei giudizi che non sono coerenti
con i giudizi che darei se facessi il confronto rispetto all’alternativa 2. Questo è un
problema di approccio psicologico: se tra le alternative ho un prodotto che va di moda
o che è migliore tendo a dare punteggi bassi a tutti gli altri, se poi confronto con il
peggiore tendo a dare punteggi che esasperano gli aspetti buoni delle altre
alternative e quindi non siamo imparziali. Infatti se già solo facciamo questa cosa
vediamo che non siamo coerenti con noi stessi. Quindi si fa una matrice perché se
confronto 5 alternative ho 5 scale di giudizio diverse che dobbiamo in qualche modo
mediare, questa cosa si fa sommando tutti i termini della riga per ogni riga e il vettore
che si ottiene viene normalizzato a 1, cioè una volta ottenuto il vettore faccio la
somma degli elementi di questo vettore e divido ogni elemento per la somma, ci verrà
un numero compreso tra 0 e 1. Inoltre se facciamo la somma di tutte queste quantità
si ottiene 1 ovviamente, avendo normalizzato a 1. Proviamo ad immaginare che sia
normalizzato a 10000, cioè in modo che la somma sia 10000: la Civic avrebbe avuto
1160/10000, la Saturn 2470/10000, … concettualmente vuol dire che abbiamo 10000
persone stanno esprimendo un giudizio e di queste 10000 ho 1160 persone che
votano l’alternativa 1, 2470 persone votano per l’alternativa 2, ecc., quindi è come se
partissimo da un valore a disposizione nella funzione obiettivo, ovvero mettiamo una
somma a disposizione, e la dividiamo tra i vari rami per cui diciamo che il criterio 1
prenderà parte di una certa somma, il criterio 2 prenderà un’altra parte, il criterio 3
ne prenderà ancora un’altra, in modo tale che la somma di tutte le risorse messe a
disposizione sarà pari alla somma iniziale, dopodiché il responsabile del criterio 1
darà una parte della sua somma all’alternativa 1, una parte all’alternativa 2, ecc.
quindi in un’alternativa possono confluire le risorse della somma iniziale lungo vari
percorsi.
Quindi a seconda dell’importanza che ha uno dei criteri le varie alternative
riceveranno una certa quantità. Chi riceve la quantità maggiore sarà l’alternativa
migliore. Questo modo di fare il confronto è qualcosa che può essere applicato in
molti ambiti. Nell’ambito dell’AHP lo utilizziamo non solo per valutare le alternative
rispetto ad un criterio ma per valutare un criterio rispetto al goal. Quindi posso
praticamente fare la stessa matrice in cui per il mio problema mi chiedo se è più
importante il requisito 1 o il requisito 2, quanto è più importante il requisito 4 rispetto
al 2, ecc. ottenendo una matrice che posso comporre e normalizzare.
Bisogna aggiungere però sulla questione della consistenza della matrice. Abbiamo
una matrice in cui abbiamo espresso un giudizio di comparazione e abbiamo detto
che è molto facile che non riusciamo ad essere coerenti con noi stessi, nel senso
che se confrontiamo un criterio 1 rispetto agli altri otteniamo un risultato, mentre se
confrontiamo il criterio 2 rispetto agli otteniamo un altro risultato. La matrice si dice
consistente se tutti i giudizi sono coerenti, quindi se parto dalla riga 1 ho il criterio 1
rispetto al criterio 1, il criterio 2 rispetto al criterio 1 e il criterio 3 rispetto al criterio 1;
se voglio conoscere il criterio 2 rispetto al criterio 3 devo fare un rapporto che è
criterio 1 su criterio 2, criterio 1 su criterio 3, metterli insieme e ottenere il rapporto
tra criterio 2 e criterio 3. Se viene fuori lo stesso valore che avrei alla prima riga allora
la matrice è consistente e la normalizzazione di una singola colonna è uguale alla
normalizzazione dell’intera matrice. Andando a curiosare all’interno dei valori delle
matrici si può evidenziare dov’è il problema di coerenza, cioè posso capire se c’è un
particolare aspetto o un particolare giudice che ha espresso un giudizio che ha fatto
un errore di valutazione, oppure nel confronto tra due alternative non si capisce
effettivamente qual è la situazione perché non riesco a confrontare le due alternative
o criteri per capire qual è la soluzione migliore. In alcuni casi la consistenza ha una
sua ragione in altri casi c’è un errore. Molto spesso la consistenza ha una sua ragione
che dipende dalla diversità delle persone che esprimono il giudizio, dipende dalla
non chiarezza del problema (parlando di logica Fuzzy banalmente potrebbe essere
un oggetto talmente fumoso che esprimere un giudizio diventa difficile), poi ci sono
anche le inconsistenze nate da una forzatura (se vado a fare la proporzione tra
affidabilità e consumi verrà fuori 3/2, ma se qualcuno mi chiede quanto è più
importante l’affidabilità rispetto ai consumi non posso mettere 3/2 ma in base alle
regole di giudizio dirò che sono equivalenti o moderatamente più importante o sono
indeciso tra le due per cui metto 1 o 2 o 3, ma certamente non metto 3/2 e in questo
caso sto forzando l’inconsistenza ma è lo stesso metodo che mi forza l’inconsistenza,
quindi posso avere inconsistenza per il rispetto puntiglioso del metodo).
Per risolvere l’inconsistenza, l’algoritmo che di solito viene proposto è un metodo
semplice. In realtà l’inconsistenza non si risolve perché se è legata alla capacità di
giudizio non si risolve, ma se è legata solo a fatti numerici la cosa è molto semplice
perché posso scrivere la prima riga e tirar fuori tutto il resto della matrice rendendola
automaticamente consistente. È una furbata che ha senso solo se l’inconsistenza è
legata agli aspetti numerici, dei numeri razionali.
Altrimenti si usa il metodo delle potenze. Se ho una matrice inconsistente e calcolo i
pesi posso immaginare di elevare a potenza la matrice e calcolare i pesi in quel caso.
Prendo la matrice, la elevo al quadrato, moltiplico per il vettore di tutti 1 in modo da
fare la somma di tutte le righe e ottengo un vettore di cui faccio la normalizzazione.
Si ottiene qualcosa di diverso. Poi prendo la stessa matrice e, invece che moltiplicarla
per sé stessa una volta, la moltiplico per sé stessa due volte, cioè faccio la matrice
al cubo. Moltiplico anche questa per il vettore di tutti 1, faccio la normalizzazione di
questo vettore e ottengo ancora qualcosa di diverso. Il valore che ottengo cambia
perché la matrice è inconsistente. Elevando alla decima potenza quello che vedo è
che i pesi cambiano alla terza cifra decimale.

In particolare col metodo delle potenze accade che rimescoliamo un po' tutto, perché
è come se facessimo una sorta di media della media della media della media della
media … che un po' assesta ed equilibra tutti i giudizi. Il metodo AHP è un modo utile
per non litigare perché ognuno dice la sua e poi c’è una regola asettica che dice
come mescolare le cose accontentando tutti. Ciò non toglie che bisogna essere più
corretti possibili nell’assegnare i giudizi perché ogni volta che mettiamo un numero
non coerente alteriamo il peso. È vero che così si sminuisce un eventuale errore, si
lima l’influenza di quell’ errore ma comunque c’è e si ha l’influenza di quell’errore.
Questo vuol dire che quando confrontiamo alternative che hanno un punteggio molto
simile non dobbiamo dire questa è meglio di quella ma devo dire che sono equivalenti
lasciando un margine per equilibrare.

Esiste una formula che consente di calcolare direttamente l’inconsistenza della


matrice, perché su una matrice 3x3 vedere se i numeri sono coerenti tra loro è facile
ma su matrici 8x8 se vogliamo un’idea di quanto siamo stati consistenti posso
scrivere una routine per calcolare la matrice consistente e fare il confronto tra matrice
consistente e matrice non consistente, oppure posso calcolare questo indice in modo
da capire quanto vale l’inconsistenza (nella formula n è la dimensione della matrice).
Il punteggio può essere assegnato non necessariamente tenendo conto dei giudizi
ma tenendo conto di specifiche tecniche. Ad esempio nel caso di economicità e
consumi i punteggi sono stati assegnati prendendo i consumi dichiarati da ogni
vettura e si è fatto il rapporto tra i consumi dichiarati e la somma dei consumi.

Cambia molto se per caso introduco una nuova alternativa o un nuovo criterio nel
confronto perché devo rifare la distribuzione di tutte le risorse, non cambia niente
solo se aggiungo un’alternative che ha un valore medio rispetto ai valori delle altre.
Inoltre se ho quattro macchine tutte uguali tra loro ho un punteggio di 0.25 se ne
aggiungo una quinta il punteggio sarà 0.2 quindi il punteggio cambia. Il problema dei
metodi comparativi è che una volta che lo utilizzato per una struttura va bene, ma se
aggiungo un’alternativa o un criterio devo ricalcolare tutto perché è un sistema di
confronto. Un altro limite se i criteri sono effettivamente soddisfatti oppure no, nel
senso che diciamo quale tra quelle alternative è la migliore ma potrebbero essere
tutte poco efficienti.
L’economicità è un qualcosa talmente trasversale che viene elaborato in un altro
momento. Questo è un discorso che possiamo fare indipendentemente dal metodo
AHP. I prof. ci hanno sempre detto che l’economicità è un requisito ma nel confronto
non riusciamo a considerarla quindi tutte le valutazioni con qualsiasi metodo vengono
fatte (AHP, Fuzzy, …) conviene valutare il rapporto costi benefici, dove il costo
rappresenta una misura dell’economicità del nostro prodotto e i benefici sono i giudizi
della funzione obiettivo. I benefici sono tutti i requisiti funzionali che abbiamo
soddisfatto. Quindi se acquisto un prodotto ad un certo prezzo perché ha determinati
requisiti funzionali, soddisfatti con una certa misura, la misura del soddisfacimento
dei requisiti funzionali sono tutti i benefici per i quali sono disposto a spendere un
certo prezzo e la misura tra i requisiti funzionali e il prezzo speso mi dà un valore che
può cambiare le cose. Nell’esempio si vede che si era ottenuto un punteggio per le
tre vetture in cui la Clio era vincente, però questa ha un costo più elevato rispetto alla
seconda soluzione migliore per cui per ottenere quel poco di soddisfacimento in più
dei requisiti funzionali devo sostenere una spesa decisamente maggiore.

Per valutare l’economicità sul prodotto che vince in qualche modo dobbiamo stabilire
un prezzo di vendita per quanto riguarda la parte di marketing (su questo chiedere
alla Michelino), con la stessa logica potremo ragionare in termini di tutte le altre
alternative valutando in maniera grossolana il fatto che ho una soluzione più costosa
di un’altra, se dovessi fare una valutazione nel dettaglio dovrei valutare i costi di ogni
alternativa. Avendo un’idea di come è fatto il prodotto possiamo dire quali sono i costi
di produzione.
Un altro aspetto che complica le cose è che il prezzo di vendita non è collegato al
costo, l’utilità di chi produce questa cosa è legata al margine tra prezzo di vendita e
costo, quindi posso decidere di avere un prezzo di vendita che è lo stesso con un
costo più elevato confidando su un maggior numero di persone che posso acquistano
il prodotto, quindi riduco i margini cercando di ampliare il mercato. Pertanto il rapporto
potrebbe essere fatto non sul prezzo di vendita ma sul costo facendo attenzione al
fatto che il mercato poi potrebbe cambiare.
Esempio Applicazione Metodo AHP (file excel: “Copia_di_esempio_ahp”)
Abbiamo più volte fatto l’esempio del cellulare in cui la funzione principale vale 4%
perché ci sono altre funzioni che deve comunque avere. Il livello zero è quello del
telefonino migliore e ha risorsa pari a 1. Il primo livello dei requisiti funzionali è quello
che abbiamo visto anche noi, forse c’è giusto qualcosa di diverso come la
multifunzionalità ma quando è stato fatto l’esempio si intendevano le cose in più che
doveva fare il telefono ma ora non sono cose in più, quindi vanno messe in
funzionalità.
Andando a fare il confronto dei requisiti vedo che la multifunzionalità guadagna 0.255
di quell’ 1 iniziale e deve essere suddiviso tra svago, capacità di comunicare,
georeferenziazione, gestione informazioni personali per cui c’è una sotto matrice che
misura, dato 1 alla multifunzionalità, la proporzione. Se poi moltiplico ognuno di
questi pesi per il peso che la funzionalità so quanto vale l’1 iniziale per la singola
voce ad esempio georeferenziazione, stessa cosa per maneggevolezza ed
ergonomia. Per cui scompare la multi funzionalità e ci sono tutti i nodi terminali dei
requisiti e dei sotto requisiti ognuno col suo peso perché ogni alternativa va
confrontata rispetto ad ognuno di questi criteri, cioè se voglio valutare la capacità di
comunicare devo chiedermi quanto un’alternativa è migliore di un’altra rispetto alla
comunicazione voce, comunicazione testo, … mettere tutto assieme e risalire a
monte del grafico. Ovviamente più è complicato il grafico maggiore è il numero di
matrici da fare. Ma una volta fatta la lista di tutte lo voci terminali e abbiamo calcolato
i pesi per ognuno è fatta perché abbiamo tutti i punteggi datti all’alternativa 1 per i
pesi dei requisiti ci danno il valore complessivo. Per ognuna delle voci dei requisiti
funzionali ho una matrice. Le celle di colore diverso sono le uniche celle dove inserire
i valori perché l’esempio è stato forzato per semplicità.
Vediamo come si collega questa struttura con il questionario che abbiamo fatto.
Abbiamo una struttura gerarchica con standard di primo livello che valgono per tutti
e a seconda dell’ambito ogni requisito avrà un peso diverso ma non è una cosa che
si riesce a tirar fuori da questionario per due motivi: il primo è che le persone alle
quali rivolgiamo il questionario non sono abituate a ragionare in termini di requisiti
funzionali ed è difficile pesare una cosa rispetto ad un’altra, il secondo è che se
rivolgiamo il questionario al mercato abbiamo solo il punto di vista del mercato ma
questi requisiti sono qualcosa che vale in maniera diversa se ragioniamo come
produttori o come acquirenti o come utilizzatori o come venditori. La distribuzione dei
pesi cambia un poco perché ci può essere qualcosa legato alla facilità di
realizzazione del prodotto che qui non abbiamo considerato (trasporto, imballaggio,
…) fino ad arrivare al punto in cui esiste una differenza tra chi compra e chi utilizza
(usiamo le sedie che sono state acquistate da altri). Per cui è evidente che ci sono
logiche diverse tra acquirente, produttore e consumatore. Dovremo cercare noi di
mediare tra tutte queste esigenze per dare il giusto peso ai requisiti funzionali di
primo livello ed è la responsabilità che ci prendiamo come persone che stiamo
approcciando al problema. Ove mai ci fosse un giudizio che viene fuori dal
questionario possiamo utilizzarlo: abbiamo un grafo con voci terminali che sono
riportate al primo livello, per cui ad esempio dal questionario se facciamo una
domanda sull’accessibilità ai comandi viene fuori un punteggio che possiamo usare
e magari confrontarlo con la visibilità. Se nell’ambito dei requisiti funzionali abbiamo
messo a confronto visibilità e accessibilità, che sono figli di ergonomia, quello che
non so è quanto l’ergonomia conta nella sua generazione per cui devo prendermi la
responsabilità di pesare i nodi che non vengono fuori dal questionario. Quindi
partiamo a monte, distribuiamo le risorse sulla prima generazione, sulla seconda e
sulla terza e se c’è un’informazione che viene dal questionario possiamo utilizzarla
per distribuire le risorse, altrimenti ci prendiamo noi la responsabilità altrimenti
cerchiamo di perdere di oggettività. I risultati del questionario li usiamo per trovare i
pesi dei requisiti funzionali poi andiamo nella valutazione delle alternative rispetto ai
vari requisiti funzionali e lì diamo noi dei giudizi o ci rivolgiamo da un esperto,
chiedendo un confronto delle alternative (ad esempio rispetto alla gestione delle
informazioni), per ogni requisito terminale potremo rivolgerci ad un esperto per
chiedere un confronto tra le varia alternative.
Lezione 20: 13-11-17 (mecc+gest)
Metodo TRIZ

A questo punto della fase dell’attività progettuale stiamo valutando i nostri Concept e stiamo
evidenziando degli aspetti dei nostri Concept che devono essere migliorati oppure che per poter
funzionare devono essere funzionanti.
Se siamo stati oggettivi con l’analisi questo capiterà anche con il nostro concept preferito, quello
che dall’inizio avevamo pensato fosse il migliore e invece ha dei problemi.
Come si può evolvere, o meglio come si fa a farsi venire altre idee? Il processo creativo in genere
non è sistematizzato, però in certi ambiti può essere migliorato.
In Italia ha preso piede questo metodo TRIZ che è una teoria per risolvere i problemi in maniera
inventiva.
Intanto non è uno strumento he ci da delle risposte esatte, ma ci organizza il ragionamento e ci
fornisce dei suggerimenti. Quindi è una teoria quantitativa, però quantitativa fino ad un certo
punto.

1
La teoria TRIZ è stata sviluppata in Russia a partire dal 1946 dallo studioso Genrich Altshuller.

I concetto base è che:


- Il 98% delle invenzioni si basa su principi solutivi noti  che sembra un’affermazione
strana, perché come può essere inventiva una cosa che si basa su un qualcosa che è già
stato fatto? Non è che si copiano le soluzioni, ma si copiano i principi soluti cioè il
funzionamento che ha alla base una certa soluzione.
- Solo il restante 2% è costituto da invenzioni pioneristiche  quindi il 98% delle cose che si
fanno, già qualcuno l’ha immaginato per una determinata problematica.
- Quindi gli inventori usano spesso gli stessi modelli di soluzione, il fatto che li riusano è
evidente.
Gli aspetti di base legati al metodo TRIZ sono legati ai primi 3 punti, gli ultimi 2 punti sono delle
considerazioni aggiuntive che sono molto interessanti perché il metodo TRIZ fornisce nell’ambito
che è strettamente dell’ingegneri meccanica dei suggerimenti per risolvere delle contraddizioni e
quindi per trovare dei compromessi tra un requisito funzionale ed un altro. Però alcuni aspetti
sono di natura geniale per quanto riguarda tutta la gestione dell’invenzione e tutte le valutazioni
che si fanno.
2
In particolare l’evoluzione tecnologica è un processo sistematico, nel senso che esiste un’analogia
di evoluzione tra i vari sistemi.

Facciamo un esempio:
qual è la similitudine tra questi 3 oggetti? Non c’è niente che accomuna la nocciolina al peperone
o al diamante però dal nostro punto di vista li dobbiamo trattare.
Ad esempio:
- Nel 1945 si ha un brevetto per denocciolare i peperoni attraverso una brusca riduzione di
pressione.
- Dopo 5 anni, nel 1950 si ha un brevetto per sbucciare arachidi che si basa sullo stesso
principio del brevetto del 1945.
- Nel 1972, fu presentato un brevetto per dividere in parti pure i diamanti con difetti con lo
stesso principio del brevetto del 1945.
Quindi esiste tutta una categoria di invenzioni brevettate che si basano su un principio fisico, che è
la brusca riduzione di pressione.

Che cos’è che limita l’innovazione?

3
- Formazione ingegneristica tradizionale  esiste un manuale dell’ingegnere, che è quel
libro dove c’è scritto tutto quello che deve fare l’ingegnere. Quindi l’ingegneria di base
funziona grazie a manuali, questo fa si che molto spesso se uno deve innovare non riesce a
vedere le soluzioni perché non ci sono soluzioni ma metodi standard e riusciamo ad andare
aldilà dei metodi standard solo quando ci pongono problemi non contemplati nei manuali.
- Inerzia Psicologica  questa è indipendente dalla formazione ingegneristica, il concetto di
inerzia è fare qualcosa di diverso rispetto alle soluzioni tradizionali.
- Creatività VS età  l’età è un fattore che combatte l’inventiva. I bambini non avendo
conoscenza delle leggi della fisica, immaginano le soluzioni più incredibili che si possano
fare. Su questo ci sono anche degli studi scientifici e si sono ipotizzati degli andamenti
grafici:

Si nota che secondo Altshuller la creatività raggiunge un picco a 14 anni e poi decresce.
È interessante la curva tratteggiata di Zlatin (1980) che dice che nel momento di maggiore
formazione noi abbiamo il minimo della creatività (circa 21 anni) perché siamo nell’età in
cui la gente ci dice che quella cosa si deve fare in un certo modo, quindi ci tappano la
creatività.

Lo schema logico del metodo Triz è questo in slide:

4
- Abbiamo un problema, che è quello che ci siamo scelti da soli e dobbiamo trovare una
soluzione innovativa. C’è una barriera relativo alla creatività dovuta anche alla nostra
formazione ingegneristica, che fanno si che arrivati alla soluzione specifica può essere
difficile trovare la soluzione perché il problema è troppo chiuso, poco analizzato e c’è
questa barriera.
- Allora quello che dice Altshuller è che si può prendere il problema specifico, analizzarlo e
astrarlo  più siamo in grado di fare questa operazione di astrazione e più ci allontaniamo
dalla barriera che ferma l’innovazione.
- Quando riusciamo ad astrarre al massimo livello il nostro problema siamo in grado di
trovare una soluzione generica e la vera difficoltà è solo tradurre la soluzione generica in
una soluzione specifica per quel problema.

Astrarre il problema  cioè non guardiamo il prodotto ma prima il problema. Infatti nel 1°
assioma della progettazione abbiamo detto che dobbiamo prima definire per bene il problema.
L’essenza del problema può essere che devo separare l’oggetto in tante sottoparti, quindi se
immaginiamo all’estrazione del problema la 1° cosa che pensiamo è la separazione delle parti.
Come si fa a separare le parti?
Per definire meglio il metodo Triz ci saranno una serie di voci che ci permetteranno di non andare
in contraddizione, questi sono tutti una serie di aspetti che analizzeremo che aiutano in qualche
modo a tirare fuori il modello generale del problema.
Qui stiamo parlando non tanto di come trovare le soluzioni ma come realizzare il problema e
quindi è qualcosa che è indipendente dal fatto che noi utilizziamo il metodo Triz nel senso che è
una parte di considerazione che valgono in generale quale che sia il metodo che andiamo ad
utilizzare.
In particolare si parla di interfaccia spazio tempo:

5
In pratica se io devo astrarre il problema per definire bene qual è l’essenza del problema che io sto
affrontando, devo analizzarlo da più punti di vista possibili e la rappresentazione viene fatta con
uno schema logico che è quello di:
- Sottosistema, Sistema, Sovrasistema
- Passato, Presente, Futuro
Che è una serie di blocchi in cui al centro c’è il nostro problema o il nostro prodotto da
schematizzare per capire come può operare.

Esempio:

Al centro ho una penna, che cosa vuol dire usare una penna?
Molti di noi abbiamo scoperto che la penna scrive sui banchi, però è ovvio che è scomodo portarsi
da casa ogni volta un banco nuovo. Quindi il prodotto penna esiste se esiste il fondo o se esiste il
quaderno  la penna funziona se esiste la carta. Io la penna la posso vendere perché ci sono le
cartolerie, la posso vendere perché c’è qualcuno che mi vende gli stampi per realizzarla.
6
Il proff sta pensando alla penna bic ma ci sono anche le penne ricaricabili.
Allora per capire l’essenza del problema: “devo progettare una penna che sia innovativa oppure
no”  io devo pensare che:
- Deve essere prodotta e per essere prodotta devono essere prodotti tutti i suoi componenti
- Deve essere venduta insieme a tutti gli accessori
- Ecc
Come notiamo questo schema mi permette di capire quali sono gli attori coinvolti per un
determinato prodotto. Quindi intorno al prodotto c’è tutto quello che serve per realizzarlo.
È uno schema che può essere ripetuto, ad esempio per la gomma da cancellare che uso per la
penna cancellabile posso avere altri sottogruppi.

Risorsa è qualsiasi cosa all’interno del sistema che non sia impiegata al massimo delle sue
potenzialità  questo lo possiamo vedere sia per gli oggetti già realizzati che per i nostri concept.
Cioè noi possiamo migliorare il nostro concept, come?  La ricerca di tali risorse rivela nuove
opportunità attraverso le quali migliorare il sistema esaminato.
Dunque, sfruttare le risorse significa aumentare le UF e quindi aumentare l’idealità del sistema.

ESEMPIO
Le bottiglie dell’acqua minerale frizzante usano la pressione della CO2 come risorsa per aumentare
la rigidezza del sistema (infatti rispetto a quelle dell’acqua naturale hanno uno spessore inferiore
ed una geometria più semplice).

7
Se vogliamo avere un’idea di quanto spingere oltre il nostro concept, dobbiamo chiederci quante
funzioni utili ci sono rispetto ai costi che dobbiamo sostenere e ai danni che vengono prodotti.
Tutti noi abbiamo valutato sempre i danni economici, anche se alcuni ad esempio non si
preoccupano dello smaltimento della plastica. Oggi giorno fortunatamente ci sono i materiali
biodegradabili per tener conto di ciò, cioè io posso riutilizzare lo stesso oggetto di plastica che
butto recuperando il materiale biodegradabile per realizzare un altro oggetto.
Un prodotto ideale è quello che ha tutte le funzioni che deve avere, a meno dei costi e senza
danni. Finché non raggiungiamo l’idealità abbiamo delle risorse che non sono utilizzate e quindi
facendoci un po’ di conti possiamo vedere come usare queste risorse inutilizzate. Il solo fatto di
evidenziare che c’è una risorsa non sfruttata ci spinge all’innovazione.
Esempi non molto lontani dalle nostre conoscenze sono tutti i sistemi di cogenerazione e
rigenerazione.

8
L’idealità non viene fuori dall’inizio o meglio possiamo essere certi che nel momento in cui noi
pensiamo al nostro concept, è al minimo dell’idealità ed evolverà secondo un certo schema.
La curva rossa è una curva che mostra come variano concettualmente i sistemi nel tempo:
- Concepimento
- Nascita
- Infanzia/crescita  il valore di crescita varia poco rispetto al tempo perché stiamo
cercando di capire tutti i problemi per formare un’idea;
- Maturità  è una fase di apprendimento notevole
- Obsolescenza  oltre ad un certo è punto il prodotto non può evolvere, ci sono giusto
delle rifiniture e quindi l’idealità cresce molto-molto piano cioè è asintotica  anche per i
nostri prodotti sarà così.
Tale curva vale sia per le macchine che per le persone.
Quello che è simpatico è che la “S” ha una sistematicità per lo meno per quanto riguarda i
prodotti, che può essere rappresentata da questo schema:

si può vedere dall’immagine qual è stato il concetto di evoluzione nel tempo della porta, cioè si è
cercato nel tempo di migliorarla.
Anche per i freni sterzi come possiamo notare c’è stata una evoluzione, quindi nel tempo sono
state fatte delle innovazioni sul prodotto. Quindi si parte dall’idea del blocco unico, fino a
segmentare il problema utilizzando o sistemi elettrici o sistemi idraulici per la realizzazione di
freni.

9
I nostri concept sono tutti alla 1° colonna perché noi dobbiamo capire l’essenza del problema per
poi trovare ulteriori idealità.

Fino ad ora abbiamo ragionato sul problema e sul prodotto che possa risolvere quel problema, ma
come faccio a passare dal problema specifico alla soluzione specifica? Qual è l’essenza del
metodo?
L’essenza del metodo sta nel concetto di contraddizione.
- Una contraddizione è letteralmente una proposizione che asserisce qualcosa di opposto o
incompatibile con un’altra  noi l’abbiamo raccontato in termini di contrapposizione tra i
requisiti funzionali, cioè se io miglioro un requisito funzionale ne peggioro un altro. Questa
è una contraddizione nell’ambito del mio progetto.
Allora il punto di partenza è che problemi di natura diversi, a livello astratto potrebbero avere lo
stesso tipo di contraddizione.
Proviamo a ragionare dal punto di vista strutturale. Una cosa evidente, indipendentemente dal
fatto che stiamo parlando di una trave, di un pilastro, ecc è che se io aumento la resistenza in
genere aumento la massa quindi non posso aumentate contemporaneamente la resistenza e la
massa  questa è una contraddizione e devo trovare un compromesso per risolverla. Però
sappiamo che a seconda delle tipologie di sollecitazioni io posso usare sezioni di tipo diverse, ad
esempio le travi a T o a I servono per massimizzare il momento flettente riducendo la sezione e
questo fa si che possa mettere dei carichi di taglio tanto c’è poca trazione o compressione 
posso ragionare su questo per migliorare la massa se no devo fare un pezzo pieno e così avrei un
problema di sostentamento della struttura.

Esistono diversi tipi di contraddizioni.

10
La 1° contraddizione che definiamo è la contraddizione tecnica.
La contraddizione tecnica si ha quando un’azione è simultaneamente utile e dannosa e in genere
rappresenta un conflitto tra 2 sottosistemi.
Infatti tra i rapporti dei vari riquadri del seguente schema si gestisce l’arte delle contraddizioni:

Come si fanno a risolvere le contraddizioni?


Si usa la matrice delle contraddizioni:

11
Qual è la logica?
La matrice delle contraddizioni è fatta di:
- 9 parametri ingegneristici;
- 40 principi inventivi.
Abbiamo 39 righe e 39 colonne.
Ogni casella di questa matrice ha da 0 a 4 numeri, dove questi numeri vanno da 1 a 40.

39 parametri ingegneristici che cosa sono?


Sono numerati da 1 a 39.
Ad esempio abbiamo parametri fisici e geometrici comuni:
- Peso
- Lunghezza
- Volume
- Velocità
- ecc

12
questa suddivisione per commi (1. , 2. , 3.) può essere anche messa in discussione … in realtà noi
abbiamo un elenco di 39 voci.
Allora astrarre un problema, soprattutto se noi vogliamo avere dei suggerimenti, può essere una
cosa da una parte difficile da fare, dall’altra parte può generare confusione perché ognuno di noi
potrebbe astrarre usando termini diversi e concetti diversi. Se noi facciamo riferimento ad un
unico elenco diventa più semplice, perché ci leggiamo i 39 parametri ingegneristici e vedo quali
parametri ha il mio concept.
In particolare alcuni di questi parametri ingegneristici andranno in contraddizione.
Se io ho un problema derivante dal mio concept potrei vedere come posso astrarre il problema.
Ad esempio il mio problema è legato al fatto che l’affidabilità va in contraddizione con semplicità,
cioè ho pensato ad un oggetto che deve essere affidabile ma anche semplice da realizzare.
La matrice che abbiamo visto ci dice che:

- se ho una contraddizione tra il parametro ingegneristico 5 e il parametro ingegneristico 3,


io ti suggerisco 15, 17 e 4 che andiamo a vedere chi sono.
Notiamo che la matrice non è simmetrica, perché:
- io ho preso la riga 3 e la colonna 5 e ho trovato 15,17 e 4;
- se invece prendo la riga 5 e la colonna 3 io trovo 14, 15, 18, 4.
Quindi 2 numeri sono comuni ma poi mi trovo 4 numeri invece di 3. Ciò dipende da qual è il
parametro ingegneristico fondamentale, vuol dire che:
- se io voglio migliorare la resistenza evitando l’aumento di peso è un problema,
- se io voglio mantenere quella resistenza alleggerendo la struttura è un altro problema,
ciò vuol dire che in un caso voglio mantenere la resistenza e in un altro caso tengo fermo il peso e
quindi le soluzioni sono diverse.

13
I PRINCIPI INVENTIVI (fonte 1)

Ci sono 40 principi inventivi che sono i suggerimenti astratti per risolvere delle contraddizioni.
Quindi se nella matrice delle contraddizioni viene suggerito il principio inventivo 1, devo trovare il
modo di segmentare cioè devo dividere il problema in più sezioni da separa.

14
Se per caso ci viene suggerito il principio 2, quando il sistema svolge più funzioni tra cui alcune che
in certe condizioni non sono richieste, il sistema assegna le funzioni solo a ciò che ci serve.
Queste sono frasi che possono essere applicate a qualsiasi tipo di prodotto.
Da dove nascono queste frasi e da dove nasce la matrice?
Altshuller si è letto, prima di formulare la sua teoria, qualcosa come 100 mila brevetti dopodiché si
è fatto un’dea dei parametri ingegneristici che fossero coinvolti in questi 100 mila brevetti e a
livello astratto ne ha identificato 32 che sono quelli che per qualsiasi brevetto che ha letto in realtà
risolve 1 contraddizioni tra 2 di questi parametri ingegneristici, non ce ne sono altri. Come li
risolve? Utilizzando un principio inventivo. Ne ha identificati 40, quindi sono 40 principi inventivi
che mi servono a risolvere le contraddizioni tra 39 parametri ingegneristici all’interno di più di 100
mila brevetti.
Questo giustifica quell’affermazione iniziale, cioè che il 98% delle invenzioni si basano sugli stessi
principi inventivi. Questo brevetto funziona perché nella contraddizione tra questi 2 parametri
ingegneristici, con cui io ho astratto il problema, ha applicato un certo principio inventivo.

In particolare se ritorniamo alla contraddizione di prima del requisito 5 e il requisito 3, tutte le


volte che un brevetto presentava una innovazione che poteva essere astratta come contraddizione
tra il parametro 5 e il parametro 3  la soluzione era principalmente del tipo 15, oppure del tipo
17 oppure del tipo 4.
Quindi tutti i brevetti che avevano contraddizione tra 5 e 3, si basavano su 3 principi inventivi.
Se noi abbiamo una contraddizione tra 5 e 3, è ragionevole pensare che riusciamo a risolverla
bene utilizzando uno dei 3 principi inventi: 15 , 17 e 4
Quindi se riusciamo ad astrarre il problema e vediamo quali sono le contraddizioni che servono
rimuovere per migliorare il nostro prodotto, dobbiamo usare uno dei principi inventivi.
Stiamo guidando la creatività verso alcune soluzioni astratte, perché la nostra creatività si riduce a
trasformare la soluzione astratta in un meccanismo cioè in un oggetto fisico.
Ecco perché la Triz è un sistema più fatto per la progettazione meccanica pura, perché non ci sono
parametri ingegneristici se non legati in modo molto fantasioso.

15
Altshuller ha lavorato soprattutto sui parametri ingegneristici meccanici e sulla risoluzione dei
problemi meccanici:
- leggerezza VS resistenza
- spreco di energia
- problemi di lavorazione
- ecc
Qualcuno parlava di costruire tabelle analoghe a queste, cioè generare una matrice delle
contraddizioni anche in ambito gestionale.

Di tutti i principi inventivi, alcuni spingono verso un procedimento che sono legati alle
contraddizioni fisiche, che sono:
1. separazione spazio
2. separazione tempo
3. separazione sotto condizione
perché c’è un altro tipo di approccio  cioè i principi inventivi servono a risolvere contraddizioni
tra sottosistemi del nostro prodotto.
Quando non sono contraddizioni di quel tipo bisogna operare in un altro modo.

16
In questo esempio viene riportata il problema che i piedi dei bambini crescono molto
rapidamente, per cui bisogna tenere conto del problema dell’acquisto delle scarpe.
Se ci fosse una scarpa che in qualche modo si potesse adattare ai piedi del bambino noi non
avremmo il problema di acquistare sempre nuove scarpe.
Quindi abbiamo un prodotto che viene usato poco nel tempo, quindi bisogna migliorare
l’adattabilità però devo vedere se poi diventa brutta la scarpa e così avrò una contraddizione
tecnica.
Vediamo che cosa ci suggerisce la TRIZ, ho che:
- l’adattabilità è il parametro ingegneristico 35
- la forma è il parametro ingegneristico 12
- la facilità operazioni è il parametro ingegneristico 33

La contraddizione tra 35 e 12 ci da:


- dinamizzazione (15)
- espansione termica (37)
- segmentazione (1)
- contrappeso (8)
La contraddizione tra 35 e 33 ci da:
- dinamizzazione (15)
- rigenerazione o sparizione (34)
- segmentazione (1)
- azione parziale o eccessiva (16)

Adesso la 1° cosa ch viene da pensare subito è che ovviamente se io ho 2 tipi di contraddizioni e


per entrambe queste contraddizioni ci viene suggerita la dinamizzazione e la segmentazione, devo
vedere che cosa vuol dire dinamizzare e segmentare e sfruttare questi 2 principi inventivi per
vedere come li posso applicare ad una scarpa.

La dinamizzazione in base alla matrice delle contraddizioni TRIZ è:


17
La segmentazione in base alla matrice delle contraddizioni TRIZ è:

Alla fine la soluzione al problema è:

18
19
Quindi se noi riusciamo ad astrarre il problema e identifichiamo le contraddizioni a livello astratto
avremo dei suggerimenti su dove cercare le soluzioni, non ci da la soluzione ma ci da la legge delle
fisica cioè il modello ingegneristico per trovare le soluzioni.

20
Lezione 21: 20-11-17 Triz (continuo)
Se noi abbiamo un problema e vogliamo trovare una soluzione specifica a quel problema, abbiamo
una enorme difficoltà (che viene descritta come una barriera) a vedere delle soluzioni innovative.
Altshuller ha immaginato che per poter arrivare ad una soluzione specifica per un problema
specifico ed essere innovativi, bisogna cercare di dimenticare lo specifico della soluzione e andare
in una condizione di astrazione  quindi cercare di andare all’essenza del problema per vedere
che in realtà è molto simile ad altri problemi e trovare delle soluzioni simili a quelle già trovate per
altri problemi.

Le difficoltà sono:
- La 1° di astrazione  l’analisi di astrazione richiede allenamento
- Il passaggio dal modello generale alla soluzione generica dipende da tutta la storia delle
invenzioni pregresse fatte in tutto il mondo;
- Il 3° passaggio è quello dalla soluzione generica alla soluzione specifica.
Il metodo Triz ci propone una guida all’analisi dell’astrazione e una guida per passare dal modello
generico del problema alla soluzione generica.

Come si fa ad astrarre?
Altshuller ha proposto nell’ambito della meccanica pura 39 parametri ingegneristici e 40 inventivi.

1
I 39 parametri ingegneristici servono per astrarre il problema perché mi dicono quale che sia il mio
problema specifico, alla fine si tratta di agire su un elenco di parametri che è noto.
Quindi quale che sia il nostro problema specifico si tratta di fare delle scelte per definire i
parametri fisici comuni come lunghezza, superficie, volume, ecc.
Se noi abbiamo un problema specifico, nella progettazione il problema specifico è legato al fatto
che quando noi abbiamo una serie di parametri ingegneristici spesso vanno in contrapposizione
cioè il fatto di voler migliorare un parametro specifico porta al peggioramento di un altro
parametro.
La cosa non è perfettamente simmetrica, perché se io vi dico che voglio migliorare il parametro A
senza peggiorare il parametro B sto ponendo l’evidenza sul fatto che per me è importante il
parametro A. Se io dico il contrario sto ponendo l’evidenza che è importante il parametro B, quindi
quando vado a prendere la matrice simmetrica ho le soluzioni proposte in maniera diverse perché
non noto la stessa importanza.
Cmq ho una serie di parametri  chiedersi il mio problema quali parametri coinvolge e quali sono
le contraddizioni tra i parametri, vuol dire astrarre il problema perché nel momento in cui io dico
che ho un problema di contraddizione tra luminosità e potenza io non so più di cosa sto parlando.
Ho fatto la mia astrazione e quindi ho completamente dimenticato quella che è l’applicazione
specifica evidenziando i problemi che ci sono nell’applicazione specifica.
Quindi avere un elenco dei parametri ingegneristici astratti fa si che io riesco a muovermi dalla
casella problema specifico alla casella problema astratto.
Una volta che ho fatto questo, devo avere in salvo le contraddizioni del problema astratto e quello
che posso fare è usare un principio inventivo.
Sono principi inventivi che fanno in modo di risolvere le contraddizioni tra parametri ingegneristici,
sono una guida ad una risoluzione astratta del problema.
In realtà più che una guida è proprio la soluzione perché Altshuller ha fornito una mega matrice
39x39 per cui ogni riga e ogni colonna rappresentano i parametri ingegneristici  per cui non solo
ci dice che le contraddizioni tra i 39 parametri ingegneristici sono stati risolti con i 40 principi
inventivi, ma mi dice anche quali sono le soluzioni più ricorrenti.
Quindi la contraddizione tra il parametro ingegneristico 6 e il parametro ingegneristico 10, i
principi inventivi che possiamo applicare sono: 1, 18, 35, 36

2
Ora quello che ci manca è passare da una soluzione astratta ad una concreta.
Quindi se siamo progettisti che siamo in grado di risolvere problemi particolari, la cosa più
ragionevole è quella di riuscire ad arrivare questo punto  cioè dobbiamo identificare la casella.

In particolare la matrice serve a risolvere le contraddizioni tecniche che rappresentano il conflitto


tra 2 sottosistemi.

Le contraddizioni tecniche sono conflitti tra sottosistemi, oppure conflitti tra presente passato e
futuro.
Se il conflitto è all’interno dello stesso sottosistema nel tempo, le contraddizioni tecniche non le
possiamo risolvere con questa matrice.

3
Per affrontare le contraddizioni fisiche Altshuller propone come strumento il Principio di
separazione che sono dei consigli di ragionamento o delle logiche di ragionamento, sono molto
generali non vanno così nel dettaglio come la matrice delle contraddizioni.

La separazione può essere:


 Separazione nel tempo: Un’esigenza esiste in un periodo di tempo ma non in un altro (es.
affondamento pali in Siberia)
 Separazione tra parti e assieme: Un’esigenza esiste a livello di sub-system ma non al livello
superiore o inferiore (es. catena trasmissione della bici)
 Separazione sotto condizione: Un’esigenza esiste sotto certe condizioni ma non altre (es.
setaccio che serve a filtrare solo polveri di una certa granulometria a seconda delle
esigenze)
 Separazione nello spazio: Un’esigenza esiste in un luogo ma non in un altro

Per la separazione nello spazio c’è il seguente esempio 4:

4
5
Lezione 22 24/11/2017
Robust Design (metodo Taguchi)
Dal punto di vista di tutto il percorso di sviluppo di un progetto ottimizzato, manca
solo il concetto di robust design. È sempre opportuno chiedersi quanto un progetto
sia robusto. Il robust design può essere tradotto in italiano con la parola “stabile”,
ossia qualcosa che funzioni indipendentemente dal contorno (non proprio in tutte le
condizioni ovviamente). In effetti il prodotto viene tarato su un particolare campione,
ma quando esso viene venduto al mercato nella realtà le condizioni che si presentano
sono diverse: esistono delle condizioni tali per cui la persona a cui ci si riferisce in
quel periodo può essere nervosa ad esempio e quindi non recepisce esattamente
ciò che si vuole trasmettere con la vendita del prodotto; è importante capire quindi
se in queste circostanze il prodotto funziona.
Quando si fa una graduatoria tra progetti, poiché si utilizzano strumenti di valutazione
di per sé non precisi, è sempre necessario capire che punteggio hanno avuto le altre
alternative, per capire se c’è un’idea che è assolutamente migliore delle altre o ne
esistono altre che potrebbero comunque essere interessanti anche non avendo
raggiunto il massimo punteggio; se per esempio due progetti hanno un punteggio
molto vicino, per capire quale dei due è effettivamente migliore è possibile seguire
un approccio differente da quelli visti finora.
Una volta che si è selezionata l’idea migliore è necessario andarne a verificare la
stabilità; la stabilità può cambiare totalmente il successo del prodotto sul mercato.
Si immagini di rappresentare l’andamento del grado di soddisfacimento di un
prodotto in funzione di un particolare parametro di progetto (o in funzione di una
particolare condizione di equilibrio):

Figura 1

Il massimo delle performance del prodotto si ha in corrispondenza del valore di picco.


Andando a ricercare il massimo ci si mette in una condizione che è assolutamente
critica, in quanto se per effetto delle tolleranze o di situazioni ambientali, quella
condizione cambia leggermente, ci si potrebbe spostare un po’ più a destra e il
prodotto non funziona più (il grado di soddisfacimento cade vertiginosamente a zero).
Il punto di ottimo della configurazione del prodotto è quindi un po’ prima del massimo;
per capire di quanto ci si deve spostare dal massimo è necessario comprendere di
quanto possono variare le condizioni al contorno; idealmente, se rispetto al valore
stimato si ha una varianza di un 5 %, ci si deve mettere un 5 % prima del massimo,
in maniera tale che se anche varia di 5 % la condizione di utilizzo, la performance
1
può addirittura migliorare portandosi al valore massimo se ci si sposta verso destra,
e peggiorare, ma leggermente, se ci si sposta verso sinistra. Se invece ci si mette
sul massimo e c’è una variazione dell’1 % verso destra il giudizio crolla
vertiginosamente.
Quindi, la situazione di ottimo di un progetto non è il massimo della funzione di
appartenenza, ma è quella condizione in cui la funzione di appartenenza, tenuto
conto di tutti i fattori esterni ambientali, di tutti i fattori di utilizzo e del mercato,
mantiene sempre un buon valore.
Qualunque informazione tirata fuori dal mercato ha una distribuzione di tipo
gaussiano, per cui pur mettendosi sul valore medio c’è sempre una varianza rispetto
a tale valore: mettendosi sul massimo si prende solamente metà del mercato, ma c’è
un sostanziale numero di persone a destra e a sinistra del massimo che invece non
viene soddisfatta. Bisogna quindi trovare una condizione di ottimo che garantisca,
nella variabilità del sistema, che ci sia sempre un buon soddisfacimento relativo al
prodotto: questo è quello di cui si occupa la progettazione robusta.
Il concetto di tolleranza è uno degli esempi base. Quando si fa un dimensionamento
si decide ad esempio che il prodotto per funzionare al meglio debba avere una
determinata misura. Pur accettando tale valore come dimensione, esistono delle
tolleranze di lavorazione, per cui quell’oggetto non avrà mai precisamente quella
dimensione. In particolare la distribuzione è tale per cui mediamente si ha quel valore
in termini di dimensioni e le tolleranze suggeriscono qual è l’ampiezza dell’intervallo
che bisogna scegliere. La scelta dell’ampiezza dell’intervallo ha un effetto che può
essere notevole sui costi di produzione e sugli scarti: infatti se non si è molto precisi,
ma l’intervallo scelto è stretto, molti dei pezzi vengono praticamente scartati.

Figura 2

In particolare la curva gaussiana indica proprio la capacità di essere precisi.


In realtà la progettazione robusta è una sorta di applicazione al processo di
progettazione del metodo Taguchi. Il metodo Taguchi è nato per gestire con più
attenzione i costi di produzione e gli scarti, tenendo conto non solo degli effetti di
questi ultimi, ma anche di quanto l’imprecisione ha effetti sull’utilizzo futuro. Il metodo
2
Taguchi è dedicato soprattutto alla produzione, ma ciò non toglie che anche
nell’ambito della progettazione è possibile utilizzarlo per rendere il progetto più
robusto.
La qualità dipende da quella che è la perdita totale nella società dovuta a problemi
funzionali ed ambientali. I problemi in realtà non sono delle anomalie, ma
semplicemente delle differenze rispetto al normale utilizzo di un qualunque sistema.
Per valutare la perdita, si utilizzano due indici che sono:
 Il rapporto segnale/rumore ( / ratio) che è un valore che in qualche modo
quantifica la perdita di qualità.
 Gli array ortogonali (orthogonal arrays), che aiutano a valutare la perdita di
qualità in maniera semplificata.

Figura 3

Nelle istruzioni delle batterie (pile stilo) viene riportato che esse non devono essere
utilizzare al di sotto di una certa temperatura. Quello che avviene all’interno della
batteria è una reazione chimica che produce energia; questa reazione chimica
avviene in certe condizioni, ma non avviene al di sotto dei 4 ° ; in realtà, al di sotto
dei 4 ° non è che non avviene, ma avviene molto meno. A 5 ° ad esempio, la
reazione avviene in maniera sufficiente da garantire una certa tensione, ma non è
particolarmente performante, per cui la pila magari si scarica subito, dovendo
compensare prima di tutto la temperatura per poi erogare la corrente. Quindi la
stessa pila in certe condizioni funziona e in altre condizioni no.
Pertanto se si utilizza una pila Duracell, che è un’ottima batteria, in inverno, quando
fa particolarmente freddo, può essere che questa pila si scarichi subito, facendo
credere che non sia buona. Al contrario acquistando una pila scadente durante la
stagione estiva, magari essa presenterà una durata maggiore rispetto a quella
Duracell utilizzata in inverno. Il giudizio può quindi essere alterato da condizioni che
non possono essere controllate. È evidente che è impossibile stabilire che la pila può
funzionare solo a 23 ° , altrimenti no. In ogni caso, tutto quello che viene acquisito,
presenta un foglietto di accompagnamento, che spiega le modalità di utilizzo, i rischi,
…. Il problema è che molto spesso questi foglietti non vengono letti dagli utenti finali.

3
Per cui le istruzioni garantiscono che il prodotto esibisca le performance migliori in
quelle date condizioni che però molto spesso, per necessità, per disattenzione o per
trascuratezza, non sono rispettate. In ogni caso questo incide sul concetto di qualità
del prodotto.
A parità di autovettura ad esempio, ci può essere una persona che si è trovata bene
e un’altra che si è trovata male: ognuno di loro avrà un concetto diverso di quel
prodotto, che dipende però da fattori esterni; in effetti ciascun prodotto può essere
utilizzato in diverso modo a seconda della persona, ma anche una sola persona può
usarlo in maniera diversa a seconda delle circostanze.
Il principio fondamentale della metodologia del Robust Design è quello di migliorare
la qualità di un prodotto minimizzando gli effetti negativi senza eliminarne le cause.
Pertanto tenuto conto che ci possono essere degli inconvenienti durante l’utilizzo di
un prodotto è necessario non alterare l’idea di prodotto, ma di limitarne gli effetti.
In realtà il metodo Triz fa un qualcosa di simile, ossia anch’esso cerca di limitare gli
inconvenienti individuando delle contraddizioni: si vanno ad eliminare gli effetti
negativi, senza modificare, ossia senza perdere, gli effetti positivi.

Figura 4

Se al variare della misura ottenuta, ossia del prodotto ottenuto, si rappresenta qual
è il costo che l’azienda sostiene come scarto, esso avrà un certo valore al di fuori
delle tolleranze e ha valore nullo all’interno delle tolleranze:

Figura 5

4
La prima ipotesi invece alla base del metodo Taguchi è legata al fatto che, in
condizioni ideali ( ) il costo è zero, avendo fatto un prodotto perfetto; tuttavia
allontanandosi anche di poco dalla condizione ideale c’è un costo da sostenere
(essendo non rispettata la condizione ideale). Taguchi ipotizza che la relazione tra la
variazione del prodotto e il costo che l’azienda deve sostenere (costo di qualità) è di
tipo quadratico (andamento parabolico):

Figura 6

In tal modo, in corrispondenza degli estremi dell’intervallo di tolleranza, il valore del


costo è proprio lo stesso che si ha considerando una funzione a gradino (step
function): in sostanza i punti di passaggio della curva restano gli stessi del caso della
step function ( −Δ , , ,0 , +Δ , ). La parabola è quindi comunque
univocamente determinata.
C’è quindi un costo da sostenere anche all’interno delle tolleranze; per minimizzare
il costo all’interno delle tolleranze, poiché non è possibile azzerarlo, è necessario
cambiare le tolleranze in maniera tale che la parabola sia più piatta possibile.
Il prodotto è tanto più robusto quanto più riesce a mantenere la prestazione nominale
al variare di fattori non controllabili (fattori di disturbo). Il costo sostenuto al di fuori
della condizione ideale è legato al fatto che ci sono fattori di disturbo che alterano il
funzionamento.
L’altra cosa che si potrebbe fare è abbassare il costo dello scarto. Nella realtà
abbassare tale costo, siccome è un fatto interno, è una cosa che non modifica il costo
legato al mercato; se il prodotto non funziona bene, pur abbassando il costo dello
scarto, il prodotto continuerà a non funzionare bene (in maniera non perfettamente
soddisfacente) anche all’interno dell’intervallo di tolleranza. In tale situazione è
necessario sostenere costi di marketing più alti, per far credere che il prodotto è
buono, bisogna sostenere costi maggiori per gestire un servizio post-vendita (gestire
la garanzia), si avranno più prodotti per i quali le persone segnaleranno difetti e
dunque si devono avere a disposizione maggiori parti di ricambio: tutti questi aspetti
sono indipendenti dal fatto che il costo dello scarto risulta abbassato, grazie al fatto
che magari si recupera del materiale (i problemi si presenteranno comunque).
Pertanto bisogna fare in modo che al di fuori della condizione ideale il prodotto
funzioni comunque. Questo non è un problema tecnologico legato alla riduzione degli
5
scarti e dunque all’ottimizzazione della produzione, ma si risolve solo progettando il
prodotto in maniera ottimale. Bisogna quindi fare attenzione a tutti gli aspetti e tenere
conto di tutte le situazioni.
Esistono dei software in commercio in cui, quando si fanno simulazioni strutturali agli
elementi finiti, è possibile introdurre il concetto di variazione statistica: in questo
modo non solo si va a stabilire che quell’oggetto di quelle dimensioni è soggetto a
delle forze, ma si possono alterare le forze secondo una gaussiana, le dimensioni
secondo una gaussiana, le proprietà del materiale secondo una gaussiana e così
via, per vedere la gaussiana uscente quanto è ampia, in modo da capire se ci sono
condizioni critiche per il sistema. Quindi già a livello di progettazione si può
intervenire sul concetto di alterazione: tuttavia in tal caso sono alterazioni note, in
quanto si sa che ci sono delle tolleranze di lavorazione, che le prestazioni del
materiale potrebbero non essere esattamente le stesse, ….
Se un operaio deve fare una determinata lavorazione, ma magari è stanco, ci sarà
una perturbazione del sistema e l’apparecchiatura che egli utilizza deve tenere conto
delle difficoltà di utilizzo da parte della persona che magari ha dormito poco.
La progettazione parametrica consente di alterare i parametri e fare tante prove per
vedere qual è la condizione migliore: questo a condizione che si ha un modo di
valutare il prodotto.
Nella scelta delle tolleranze per garantire un certo tipo di accoppiamento è possibile
agire sui valori di interferenza minima e massima per cambiare le tolleranze e
garantire il fatto che se anche un certo componente è venuto male, quando montato,
non ha gioco e non dà una sensazione di bassa qualità. Si possono magari anche
inserire delle guarnizioni che servono a compensare la differenza di tolleranza: è
quindi possibile agire in vari modi (bisogna però capire in che direzione agire).

Figura 7

Si vuole a questo punto definire la funzione di perdita (Quality Loss Function). Si


supponga di avere un insieme di valori indice della qualità di un progetto e
rappresentativi delle caratteristiche della vita dei componenti. Siano =
, ,…, gli valori caratteristici dei componenti ed sia la media assunta come
obiettivo del progetto. I valori , rappresentano l’indice della perdita di qualità. Se
si assume come modello della qualità persa una funzione di secondo grado, è
possibile scrivere che la media dei valori della qualità persa è data da:
6
! =" , =#∙ −
In particolare:

! = ∙ −
Δ
Dove:
= %&'(& )*+,- '%./(-
Δ = (&,,*/. 0.

Figura 8

La gaussiana seguente rappresenta quello che si riesce a fare, ossia detto il valore
ideale, non si riuscirà ma ad ottenere esattamente tale valore, ma si otterranno valori
intorno ad esso, secondo una distribuzione statistica:

Figura 9

In realtà non è neanche detto che si riesce ad ottenere esattamente , ma può


essere che si ottiene una media della gaussiana che è diversa da e vale 1.
A titolo di esempio, si supponga che una volta svolti dei calcoli il valore del diametro
di un albero è pari a 132.57 ; ovviamente sul progetto si inserirà un valore di
135 ad esempio, perché in commercio queste sono le barre a disposizione, o
magari perché il tornio non ha una precisione che scende al centesimo di millimetro.
In questo caso la media di quello che si produce nel progetto è diversa dal valore
ideale, perché c’è una forzatura ad un valore diverso.

7
Il costo dipende chiaramente dalla parabola in funzione di quanti prodotti si
producono sotto la parabola stessa. Quindi un 5 % costerà un certo valore, un 7 %
costerà un altro valore, …, bisogna quindi eseguire una sorta di integrale, andando
a sommare il tutto, tenendo conto che ognuno dei valori che dà un costo diverso
ricorre con maggiore o minore frequenza.
Dal punto di vista concettuale ci si trova nella seguente situazione:

Figura 10

Si ha quindi un bersaglio: esso ha fatto in maniera tale che al centro si ha un


punteggio maggiore e man mano che si va sui lati il punteggio diminuisce (si
supponga che ci sia un andamento quadratico). In qualche modo il bersaglio è come
se rappresentasse il guadagno: al centro il guadagno è massimo, mentre verso
l’esterno si riduce perché si deve pagare qualcosa in termini di costo. L’ideale
sarebbe quello di centrare sempre il bersaglio (caso 4). Quello che si riesce a fare è
portarsi mediamente in una determinata zona, con maggiore o minore dispersione;
se si va a vedere il baricentro di tutti i colpi, esso rappresenta 1, mentre il centro del
bersaglio rappresenta la ; l’obiettivo è allineare la con la 1 il più possibile e ridurre
la varianza della gaussiana: in tal modo si ha il minimo dei costi. Nella condizione 4,
la gaussiana è talmente stretta e centrata, che anche gli elementi fuori media sono
tutti molto vicini alla stessa che i costi sostenuti sono molto bassi.
Di seguito viene riportato la regolazione di un transistor che ha un andamento non
lineare:

Figura 11
8
Su valori bassi, una piccola rotazione della manopola (input, ) dà una grande
variazione del segnale in uscita (output); su valori alti, al contrario, una grande
variazione della manopola ( ) dà una minore variazione in uscita. Volendo rendere
il sistema più preciso è necessario spostarsi sulla parte alta della curva: in tal modo,
indipendentemente dalla sensibilità del sistema e dal tremore della mano, si riesce a
stabilire bene il valore in uscita; se invece si lavora sulla parte bassa della curva, pur
essendo molto precisi nella rotazione, non si conosce esattamente qual è il segnale
in uscita. La sensazione che si ha quando si va a regolare un sistema di questo tipo
è quella della bassa qualità se si lavora nella parte bassa del diagramma, poiché non
si riesce ad ottenere ciò che si vuole. Quindi a parità di componente e di progetto, le
condizioni di funzionamento possono alterare la qualità percepita.
La media della funzione di perdita di qualità si calcola con l’espressione seguente:
! =#∙ −
La media 5 (perdita di qualità) è data da:
#
5= ∙6 − + − + ⋯+ − 8

Con semplici passaggi si ottiene:


−1
5 = #∙9 1− − ∙: ;

Per valori di molto grandi, si ha:


−1
lim =1
→@

Per cui:
5A.,-( − ,&'' = 5 = # ∙ 6 1 − −: 8
# = %&*BB-%-* (* )*,,. C./.D&,.
1= *)-. &((* A(.
= E.,&/* -)*.,*
: = E./-. 0.
L’obiettivo è avvicinare 1 ad e ridurre la varianza : .

9
Figura 12

Si va verso il prodotto personalizzato in modo da stringere la gaussiana su una sola


persona: questa potrebbe essere una soluzione; se si è in grado di fare un prodotto
personalizzabile su una singola persona la gaussiana si stringe perché ognuno si
configura il prodotto come vuole. Se questo non è possibile si va a realizzare un
singolo prodotto che deve accontentare tutto il mercato e lo accontenterà di più o di
meno a seconda di come esso è fatto, in termini di soddisfacimento dei requisiti
funzionali. A seconda della varianza del mercato la gaussiana si allarga di più o di
meno: se la varianza aumenta i costi per dire che il prodotto è buono aumentano.
Dal punto di vista pratico, ci sono delle situazioni che vanno trattate in maniera
diversa. Infatti, in alcuni casi, la variabile non può scendere al di sotto di un certo
valore: non si ha una tolleranza del tipo più o meno, ma si ha una tolleranza soltanto
sul più o soltanto sul meno. In tal caso la curva non sarà più una parabola, ma sarà
una mezza parabola:

Figura 13

Quando c’è la parabola si ha il tipo normali s better: la condizione media è quella


migliore. In altri casi si ha il tipo lower is better (valore più basso) o higher is better
(valore più alto). Le tre curve da un punto di vista matematico vanno trattate in
maniera differente, ma concettualmente il ragionamento è identico.

10
Ci può anche essere un concetto di asimmetria in cui, rispetto al valore ideale, le
tolleranze hanno a destra un valore e a sinistra un altro.

Figura 14

In effetti se si sta producendo qualcosa, andare fuori tolleranza in eccesso (oggetto


più grande di quanto doveva essere) può essere gestito rilavorandolo: in tal modo si
sostengono dei costi, ma si riesce a recuperare il pezzo; se, al contrario, si va in
difetto (l’oggetto è più piccolo di quanto doveva essere), non è possibile aggiungere
del materiale e quindi quel pezzo va buttato (o riciclato in qualche modo). Pertanto il
costo non è più indipendentemente dal fatto che si va verso destra o verso sinistra,
ma avrà un valore differente a seconda dei casi.
Come in tutti i metodi, esiste anche in questo caso uno schema a blocchi, per capire
come ragionare:

Figura 15

Si sta andando verso una procedura che consente di capire qual è la condizione
ideale, ossia come è possibile configurare il prodotto in maniera tale che sia stabile
nei confronti delle alterazioni.
In linea di principio, un prodotto, un processo o un sistema, funzionano perché al loro
interno entra un segnale, c’è eventualmente un qualcosa da configurare tra i fattori
11
di controllo, e si ha un’uscita. Questo è lo schema che si è sempre immaginato, ossia
uno schema di tipo black-box per poter generare dei concept. Nella realtà in tutto ciò
c’è un altro ingresso che altera la risposta: questi fattori sono denominati noise
factors, ossia fattori di disturbo.
Nel caso del termostato per il riscaldamento, esso è tarato in maniera tale che in
funzione di un certo ambiente si va a regolare la temperatura; il termostato,
misurando la temperatura, decide di aumentare la potenza dell’impianto o di ridurla
a seconda dei casi. Il sensore che misura la temperatura si trova in una posizione
ben determinata. Avere una risposta efficiente da un sistema di questo tipo significa
considerare anche fattori che non si possono controllare; ad esempio, all’ingresso
dell’ambiente andrebbe messo un conta persone, per sapere quanta gente c’è
all’interno della stanza: in effetti lo stesso riscaldamento prevede magari che quando
c’è molta gente fa troppo caldo e quando ce n’è poca fa troppo freddo. Quindi il
risultato del sistema dipende da fattori che non sono controllabili.
È necessario quindi trovare un qualcosa che in qualche modo misura l’efficacia del
fatto che si sta riducendo la varianza : o che ci si sta avvicinando di più alla media.

Figura 16

Il metodo Taguchi propone di valutare proprio il rapporto segnale/rumore:


1
F = 10 ∙ log I J
:

Figura 17

12
Migliorando il valore della media 1 e riducendo la varianza : si massimizza il valore
di F (rapporto segnale/rumore). Ovviamente 1 e : sono valori statistici, per cui è
necessario fare degli esperimenti. Nel fare degli esperimenti tuttavia ci possono
essere delle interazioni: variando una variabile per volta magari si ha una bassa
alterazione, ma variandone due per volta ad esempio, l’alterazione, ossia la varianza,
potrebbe amplificarsi in maniera non lineare. Pertanto la composizione di ciò che
accade diventa molto complessa.
Volendo capire quanto il progetto sia robusto è necessario avviare una fase
sperimentale per stabilire quali sono, rispetto alle condizioni ideali, le condizioni che
garantiscono un giudizio sempre soddisfacente, alterando tutti i parametri. Avendo
due parametri, la sperimentazione è abbastanza semplice; se si è riusciti a scrivere
delle funzioni matematiche è possibile fare un’elaborazione analitica; in tutti gli altri
casi è necessario fare una sperimentazione: l’entità di tale sperimentazione cresce
in maniera vertiginosa all’aumentare del numero di parametri che si vogliono
valutare.
Se, rispetto al valore ideale del parametro, ci si vuole mettere anche un po’ prima e
un po’ dopo, per ognuno di essi è necessario considerare tre valori; pertanto
ragionando su due parametri si hanno nove possibili combinazioni (3K3), mentre con
tre parametri si arriva a ventisette (3K3K3) e così via. Un aiuto viene fornito dagli
array ortogonali.
Fisher si pose il problema di fare degli esperimenti per valutare il comportamento in
differenti condizioni di tre tipi di frumento, al variare della tipologia del terreno. In
particolare, bisognava evitare che ci fossero influenze tra un tipo di frumento e l’altro
ed evitare che le valutazioni dipendessero dalle condizioni climatiche relative ai vari
tipi di terreno sperimentati. Per cui bisognava giustificare che il comportamento di
quel frumento su quel terreno era dato proprio dal fatto che quel frumento era stato
coltivato sul quel terreno e non dal fatto che in quel periodo c’era stata molta pioggia.
Per dimostrare questo era talmente complicata la sperimentazione che non era
proponibile (le combinazioni possibili sono 3L = 19683. Egli doveva ragionare in
maniera tale da evitare le interferenze disponendo le combinazioni terreno-frumento
in maniera ragionata. Fisher sviluppò la tecnica dei quadrati latini e greco-latini.

Figura 18
13
In particolare, per ridurre l’influenza fra particelle contigue Fisher propose di eliminare
la semina della stessa varietà in modo contiguo dalle righe e dalle colonne. Così
facendo gli esperimenti si ridussero a 12 senza che gli essi perdessero di validità. In
tal modo nella stessa riga non è possibile mettere più volte lo stesso elemento, così
come nella stessa colonna:

Figura 19

Dovendo fare un certo numero di esperimenti, volendo valutare un certo numero di


fattori di controllo, è necessario decidere per ogni fattore di controllo quanti valori ci
sono (essi vengono chiamati livelli). Nella seguente tabella si mostra che, ad
esempio, tutti i fattori di controllo ( , 4, , P) vengo considerati a tre livelli (1,2,3):

Figura 20

Il livello ideale è il livello 2; per esempio un serbatoio deve avere la capacità di 500 ,
(livello 2): si vuole capire cosa accade ad esempio se il serbatoio ha una capienza di
450 , (livello 1) o di 550 , (livello 3). Quindi i livelli rappresentano i tre valori identificati
per ciascun fattore di controllo; ovviamente si potrebbero avere anche meno livelli (2
ad esempio) o più livelli (5 livelli ad esempio).
Nella tabella precedente il metodo seguito è quello di cambiare un fattore alla volta
(one factor at a time); in particolare, a partire dal valore medio (livello 2) per i quattro
fattori di controllo ( , 4, , P) che vengono scelti nel primo esperimento, si va ad
alterare un fattore per volta: prima si altera al valore 1 nel secondo esperimento e
14
al valore 3 nel terzo esperimento, mantenendo fissi gli altri fattori di controllo (ossia
4, , P) e poi si procede in questo modo anche per i restanti tre fattori di controllo. Si
va quindi a fare una sorta di analisi di sensibilità in cui si vanno a variare tutti i
parametri uno per volta. Se le variabili sono 4 sono necessari 9 esperimenti, in quanto
si deve verificare la condizione ideale più due alterazioni per ognuno dei fattori di
controllo. In tal modo però non si riesce mai a valutare che succede ad esempio,
alterando al livello 3 il fattore di controllo P, quando è alterato al livello 1 il fattore di
controllo : su tale combinazione si perdono quindi delle informazioni.
Impostando gli array ortogonali invece, la situazione cambia:

Figura 21

In questo caso gli stessi nove esperimenti sono gestiti in maniera differente. Ciascun
fattore di controllo ( , 4, , P) viene sperimentato comunque su tre livelli (1, 2, 3).
Inoltre, con riferimento ai fattori di controllo e 4 ad esempio, essi sono stati
sperimentati anche quando entrambi hanno il valore 1, il valore 2 e il valore 3; inoltre
si hanno anche condizioni tali per cui vale 1 e 4 vale 2 e viceversa, vale 2 e 4
vale 3 e viceversa, vale 2 e 4 vale 3 e viceversa. Lo stesso vale per il confronto tra
e , tra e P, tra 4 e , tra 4 e P e tra e P. Quindi confrontando i fattori di
controllo a due a due si hanno tutte le possibili combinazioni: con 9 esperimenti si
riescono a sperimentare tutte le possibili combinazioni tra le coppie di valori. Questa
sperimentazione è certamente più interessante di quella precedente. Ovviamente in
nessun esperimento tutti quanti i fattori di controllo avranno il valore 2 o il valore 3.
In effetti con 4 variabili a 3 livelli, per contemplare tutti i casi, sarebbero necessari 3Q
esperimenti. Chiaramente se si vuole essere molto dettagliati è necessario
contemplare tutti i casi, ma se si accetta un po’ di approssimazione è possibile anche
ritenere soddisfacente una sperimentazione del genere.

15
Figura 22

Si utilizza la notazione a livelli, piuttosto che andare a mettere direttamente il valore


del parametro, poiché indipendentemente dal fatto che il parametro sia la capacità,
piuttosto che il tono di colore o altro, si sceglieranno sempre magari 3 livelli per
ciascuno di essi, quindi è comodo ragionare in questo modo. Per cui piuttosto che
costruire ogni volta la matrice degli esperimenti, si va a cercare la tabella
corrispondente in letteratura; in particolare in letteratura, dove si parla del metodo
Taguchi, si trovano tutta una serie di tabelle già sviluppate.
Di seguito si riporta un esempio di tabella standard per gli array ortogonali:

Figura 23

In particolare per !L ci sono 9 esperimenti per 4 fattori di controllo a 3 livelli.


È necessario specificare il numero di esperimenti perché per 4 parametri a 3 livelli si
hanno 3Q = 81 esperimenti; tuttavia è possibile scegliere la matrice a 9 esperimenti,
16
a 18 esperimenti o anche ad 81 esperimenti, a seconda del livello di dettaglio che
voglio ottenere.
Da quelle tabelle è possibile estrarne altre ridotte, semplicemente eliminando tutti gli
esperimenti che prevedono livelli non previsti oppure parametri non previsti (ecco
perché si riporta il massimo numero). Se si hanno 9 fattori ad esempio, non esiste
una tabella standard, ma è possibile prendere quella a 10 fattori, andando ad
eliminare una colonna.
Un esempio, che riguarda la selezione delle variabili di processo, potrebbe essere
rappresentato dalla problematica di regolare un impianto per la produzione di wafer
di silicio: esse sono delle piastre su cui viene deposto del silicio, sulle quali si vanno
a disegnare i processori o circuiti elettrici di vario tipo. Il processo è fatto avendo un
elemento di base sul quale avviene la deposizione grazie ad un processo chimico: si
mantiene l’elemento in certe condizioni di temperatura e pressione per un certo
tempo per fare in modo che avvenga la deposizione di silicio a seguito di una
reazione chimica. La bontà del processo è legata al fatto che la deposizione sia più
uniforme possibile: lo scarto dipende dal fatto che ci sono dei difetti sulla patina che
si è deposta, quali bolle, zone in cui non è avvenuta a deposizione, …. Un processo
di questo tipo funziona bene a condizione che la superficie sia uniforme e che sia
disposta nello spazio esattamente in certe condizioni: il fatto che le piastre
potrebbero non avere lo stesso spessore o la stessa forma, a causa di eventuali
tolleranze di lavorazione, può dare dei problemi. Inoltre poiché si utilizza un gas, le
condizioni di temperatura e pressione non sono costanti: il controllo ha comunque un
Δ, per cui c’è comunque un’oscillazione di temperatura che può portare a delle
criticità; inoltre non è garantito che vi sia uniformità di distribuzione del gas all’interno
della camera: magari ci sono dei vortici, zone a pressione minore, …. Tutte queste
condizioni non possono essere controllate, ma l’obiettivo resta comunque quello di
ridurre gli scarti.
Le variabili di processo più importanti che devono essere settate in questo caso per
garantire la produzione dell’elemento sono: temperatura, pressione di esercizio,
tempo di deposizione e metodo di pulizia della base su cui si va a fare la deposizione
(si può anche decidere di non fare pulizia perché magari la piastra arriva già pulita).
I metodi di pulizia possono essere meccanici o chimici: in quest’ultimo caso è
possibile che parte del prodotto chimico rimanga deposto sul pezzo alterando il
risultato.

17
Figura 24

In particolare la temperatura R , la pressione C , il tempo di deposizione ( e la non


pulizia, rappresentano i valori ideali. Rispetto a R ad esempio, si considerano delle
variazioni di ±25 ° (R − 25 e R + 25): in tal modo si riesce a capire in che direzione
si muove il processo alterando il valore ideale. Lo stesso discorso vale per la
pressione (C − 200 e C + 200), per il tempo di deposizione (( + 8 e ( + 16) e per
i metodi di pulizia. Quindi ci sono quattro fattori di controllo ( , 4, , P) e per ognuno
di essi sono stati scelti tre livelli (1, 2, 3). Si vuole capire se alcune delle combinazioni
tra i diversi fattori di controllo diano meno difetti di altri.
Quando i processi di produzione sono molto complicati per fare ciò si crea un
impianto pilota per poter sperimentare prima di avviare effettivamente la produzione.
Quindi, in questo caso, si immagina di avere un impianto a disposizione per poter
fare la sperimentazione.
La tabella a destra nella figura precedente indica che sono stati condotti nove
esperimenti, grazie ai quali si riesce a fare una valutazione riguardante la perdita di
qualità; per ciascun esperimento è stato calcolato il rapporto segnale/rumore F che
deve essere il più alto possibile (più è alto il rapporto segnale/rumore più è bassa
l’influenza del rumore sul segnale).
L’esperimento 4 ad esempio sancisce:
= 2, 4 = 1, = 2, P = 3
E cioè:
= R , 4 = T − 200, = ( + 8, P = UV
Per cui nell’esperimento 4 l’impianto sarà tarato coi parametri di processo sopra
riportati.
Ciascun esperimento sarà quindi fatto in maniera diversa.

18
Figura 25

Per misurare il rapporto segnale/rumore è necessario avere a disposizione 1 e :;


dopo aver settato le condizioni sopra riportate si vanno a produrre i wafer di silicio:
se si producesse un solo elemento non si riuscirebbe a capire se esso è influenzato
o meno dai fattori di disturbo; è quindi necessario effettuare un lotto di produzione in
modo tale che sull’intero lotto si avranno piastre un po’ più alte e piastre un po’ più
basse ad esempio. Se si producesse una sola piastra non si riuscirebbe a capire se
il gas è stato distribuito in maniera uniforme all’interno della camera, se il termostato
era più vicino al minimo o al massimo, …. Per cui lo stesso esperimento deve essere
ripetuto più volte. Dopodiché è necessario decidere il controllo di qualità.
Chiaramente su ogni tipologia di difetto che è possibile ritrovare sul pezzo c’è un
certo limite di accettabilità: non ci devono essere più di un tot di bolle per unità di
superficie, …. Quindi sul lotto di produzione si va ad effettuare il conteggio dei difetti
trovati. È chiaro che se i difetti sono di diverse tipologie si fanno conti separati: in tal
modo si riesce a capire quanto le condizioni di processo alterano il pezzo dal punto
di vista dei diversi difetti. Per ogni tipologia di esperimento (1, 2, 3, …) si deve avere
un consistente numero di pezzi a disposizione per poterli analizzare ed avere la
distribuzione dei difetti in quelle determinate condizioni di lavoro: in questo modo è
possibile costruire la gaussiana per ricavare la media 1 e la varianza : per ciascun
esperimento; in questo modo per ogni esperimento è possibile ricavare il rapporto
segnale/rumore F:
1
F = 10 ∙ log I J
:
Il problema a questo punto è capire quanto un parametro ad un certo livello influenza
il processo. Infatti tutti gli esperimenti fatti non sono al variare di un solo parametro,
ma sono al variare anche degli altri parametri: di fatto sono stati effettuati pochi
esperimenti al fine di semplificare, ma a questo punto si vuole ricavare la dipendenza
dei difetti da ciascun parametro.

19
Il modo di procedere è molto semplice; Sostanzialmente, il valore del rapporto
segnale/rumore relativo ad al livello 1 è dato dalla media dei rapporti
segnale/rumore F , F ed FV , ossia è dato dalla media dei rapporti segnale/rumore
per tutti gli esperimenti con al livello 1:
F + F + FV
FWX =
3
Lo stesso discorso vale ad esempio per il rapporto segnale/rumore con al livello 2:
in tal caso si fa la media tra FQ , FY ed FZ . Lo stesso discorso vale per al livello 3 e
per tutte le altre variabili di processo (4, , P).

Figura 26

Mediamente, se non si potesse tenere sotto controllo nessuna delle variabili, il


rapporto segnale/rumore sarebbe:
L
1
= ∙ [ F = −41.67
9
\

Quindi, volendo configurare il sistema in maniera tale che funzioni meglio, è


necessario salire al di sopra del valore sopra calcolato. Se il rapporto segnale/rumore
scende al di sotto di quel valore il sistema risulta peggiorato (per cui è un valore
indicativo a cui ci si può riferire).
Se per una certa condizione invece si trova un valore più elevato del rapporto
segnale/rumore essa sarà una condizione interessante.
Di seguito vengono riportati i risultati di tutti gli esperimenti condotti:

20
Figura 27

In particolare sono rappresentate quattro spezzate a tre punti: la prima è relativa alla
temperatura, la seconda alla pressione, la terza al tempo di deposizione e la quarta
al metodo di pulizia (i tre punti indicano i tre livelli di ciascuna variabile).
Con riferimento al metodo di pulizia, si comprende che usare un metodo piuttosto
che un altro non cambia assolutamente niente in quanto mediamente si ha lo stesso
rapporto segnale/rumore, che però migliora leggermente qualora si proceda con una
pulizia piuttosto di non farla affatto (P e PV sono uguali e sono maggiori di P ). Quindi
utilizzare un metodo di pulizia piuttosto che un altro non influenza la qualità finale del
prodotto.
Un elemento molto delicato è il tempo di deposizione, in quanto da ( a ( + 8 minuti
si ha un grosso aumento del rapporto segnale/rumore; passando però a ( + 16
minuti il rapporto segnale/rumore peggiora. Se si ipotizza una dipendenza
quadratica, magari un tempo di ( + 6 minuti fornisce proprio il massimo della curva.
L’aumento della temperatura è invece catastrofico: più aumenta la temperatura
peggio vanno le cose in maniera molto considerevole. Quindi indipendentemente da
tutto il resto, abbassando di poco la temperatura si riducono di molto i difetti.
Ovviamente, come condizione ideale si era prevista una temperatura pari a R e
quindi non verrà esattamente quell’elemento che si era immaginato, ma si produce
con molti meno scarti.
Discorso simile vale per quanto riguarda la pressione: passando da una pressione
più bassa ad una più elevata si ha un radicale peggioramento.
ANOVA indica l’analisi della varianza (Analysis of Variance); attraverso l’analisi della
varianza è possibile valutare il trend e dunque fare considerazioni più dettagliate.

21
Figura 28

In realtà ciascun valore delle spezzate viste precedentemente è mediato rispetto a


tutte le altre possibili condizioni.
In teoria, mettendosi nelle condizioni , 4 , e P sembrerebbe che mediamente
il tutto funziona meglio: tuttavia ciò non è detto. Infatti il valore mediato potrebbe
dipendere dal fatto che sono stati compensati i difetti in più legati alla pressione in
condizione 4 con il fatto che tutte le altre condizioni sono a valori diversi. Pertanto è
necessario fare un minimo di verifica passando attraverso l’analisi della varianza.

Figura 29

Il discorso dell’analisi della varianza ha senso a livello della produzione; nella


progettazione non è possibile fare analisi della varianza perché è già difficile capire
come calcolare la media 1 e la varianza :. In effetti una volta fatto il disegno al
calcolatore nonché la simulazione per conteggiare le forze, è possibile ripetere
l’esperimento anche migliaia di volte, i valori che verranno fuori saranno sempre gli
stessi. Addirittura la funzione random che genera numeri casuali, genera sempre lo
stesso numero ogni volta che viene lanciata, a meno che non sia alterata la
generazione legandola a parametri esterni, quali ad esempio l’orario.
In realtà, nel caso in esame, i difetti sono di diversa natura, per cui per ognuno di
essi si traccia un grafico simile a quello visto precedentemente:
22
Figura 30

Configurando il processo in non si ha lo stesso effetto su tutte le tipologie di difetto.


Aumentando la pressione per esempio migliora il risultato in termini di spessore, ma
peggiora notevolmente il risultato in termini di numero di difetti per unità di superficie.
Quindi il problema da risolvere in questo caso è più complesso perché bisogna
mettere assieme tutta una serie di aspetti.
Con il metodo Taguchi chiaramente si cerca di minimizzare i difetti e non di eliminarli.
Per migliorare il progetto, con riferimento all’esempio fatto, si può provare a fare delle
modifiche nel progetto dei wafer di silicio, o aggiungere degli additivi al processo, che
magari consentono di distribuire meglio la temperatura. Quindi non necessariamente
si possono ridurre i difetti agendo direttamente sul processo, ma si può agire anche
indirettamente.
Il fatto di avere tante funzioni in più in un prodotto molto spesso è legato al fatto che
quelle funzioni nascondono dei difetti che eventualmente si possono presentare. Su
uno smartphone ad esempio ci si è dimenticati della funzione principale, per cui
anche se non telefona bene, fa tutto il resto bene e questo nasconde in qualche modo
l’utilità della funzione principale.
23
LEZIONE 27/11

Metodo Taguchi seconda parte.


È un metodo in base al quale è possibile analizzare una serie di parametri ipotizzando che ci
siano dei fattori di disturbo tali per cui il fatto di scegliere un valore di un parametro
piuttosto che un altro può rendere il sistema più stabile. Noi abbiamo visto uno schema che
è una scatola dentro alla quale c’è un sistema ed in input al sistema c’erano dei segnali
(fattori di disturbo) e dei fattori di controllo.
La descrizione logica di questo tipo sta bene per qualsiasi cosa, può valere anche nei rapporti
familiari, nel funzionamento del frigorifero ecc..
Questo metodo analizza come i fattori di disturbo influenzano i segnali di uscita, in maniera
tale che si può scegliere una configurazione all’interno della scatola chiusa che ci garantisce
che il segnale in uscita sia sempre lo stesso (segnale di uscita deve essere ovviamente
soddisfacente).
abbiamo visto come valutare l’influenza dei fattori di disturbo, fondamentalmente si tratta
di una sperimentazione n cui piuttosto che fare tutte le possibili combinazioni dei parametri
che dobbiamo verificare, facciamo un numero ridotto di esperimenti che comunque mi
consentono di ipotizzare tutti gli effetti.
Abbiamo detto che dobbiamo massimizzare un fattore di disturbo che è il logaritmo di un
rapporto della media attesa dei risultati e la varianza dei risultati.

La prima suddivisione in tre categorie è:


- fattori esterni sono i fattori che non possono essere controllati, ad esempio stiamo
facendo qualcosa ed in quel momento c’è una scossa di terremoto e se stiamo
facendo un pezzo su una macchina può uscire deformato; un operaio che ha dormito
male e la sua performance si riduce molto e se lavora ad un macchinario significa
che può produrre molti più scarti.
Il metodo dovrebbe andare proprio contro a questo cioè se anche capitassero situazioni
simili noi possiamo fare in modo da limitare quanto più possibile il danno. Magari
apparecchiature più sofisticate che aiutano l’operaio ecc…
Un controllo molto importante è il controllo ambientale, in ambito del controllo qualità ci
sono sistemi sofisticati che sono in grado di attuare dei controlli dimensionali che possono
misurare anche le deformazioni termiche. E quindi il controllo ambientale incide sulle
tolleranze dell’elemento.
- Deterioramento ci possono essere dei prodotti che inizialmente funzionano
perfettamente e dopo un po’, in seguito all’usura, non funzionano più bene. Ad
esempio, il freno dell’automobile, il freno della bicicletta ecc. l’usura può ridurre
l’efficacia dl prodotto, quindi dovremmo inventarci un sistema che riesce comunque
a mantenere le sue performance anche in seguito all’usura. Un esempio può essere
un maglione. Un maglione puramente in cotone dopo un po’ di tempo si usura e
perde le sue qualità tecniche (isolamento ecc.) quindi una soluzione potrebbe
essere di aggiungere un altro tipo di materiale che permette di far mantenere le
stesse performance nonostante il trascorrere del tempo.
- unit to unit variation ciò che è legato all’utilizzo degli standard: quando facciamo
un calcolo a resistenza decidiamo un certo coefficiente di sicurezza, se voglio fare
un prodotto dove la leggerezza è la priorità ed in seguito al calcolo a resistenza esce
fuori che le viti hanno un diametro pari a 9.47 mm. Le viti standard la M9.47 non la
trovo ma trovo la M10 e quindi questo significa che vado ad aumentare la massa di
tutta la struttura di una piccola percentuale e questo perché devo per forza
rispettare certi standard. Se noi volessimo fare delle viti ad hoc potrebbero costare
troppo e non ne vale la pena.
Se riesco a prevedere tutto quello che può capitare posso migliorare la progettazione.

I frigoriferi che troviamo nei supermercati raramente sono a sportello ma con la porta
scorrevole. Qual è il vantaggio? È che il calore tende a salire quindi se i prodotti stanno in
basso si risparmia di più. Il cambio di configurazione ha permesso di risolvere un problema
legato a dei fattori esterni.
Per i frigoriferi in generale non solo devo refrigerare ma devo anche isolare bene. Devo
trovare un equilibrio tra i consumi. Nel tempo ci sono usure delle guarnizioni, perdita di
potenza del compressore, perdita del liquido refrigerante ec… e quindi il sistema perde
performance.
Nel caso dell’automobile:
i fattori esterni possono essere: asfalto bagnato/asciutto, tipo di strada, numero di
passeggeri (se guidiamo da soli il comportamento dell’auto cambia rispetto a quando la
macchina è piena cambia la frenata, cambia la spinta ecc.)
Per quanto riguarda i freni c’è un mix tra deterioramento e fattori esterni (fattore esterno
capacità di fare manutenzione alla macchina). Motivo per cui le auto vengono dotate di
sensori, esistono pasticche con dei sensori che avvertono il conducente quando la pasticca
si è consumata. Questa cosa che costa un po’ in più, in realtà rientra nell’ottica di ridurre il
costo di qualità percepita dalle persone, che non è un costo sostenuto dall’azienda per
colpa dell’azienda ma è un costo sostenuta dall’azienda per colpa della incuria del
proprietario dell’auto il quale prima porta al consumo le pasticche poi le deve cambiare e
portare a fare la rettifica dei dischi e poi dice: l’auto non mi piace perché da problemi.
Quindi alcune funzioni servono proprio per aumentare la qualità percepita. Quindi per
quanto riguarda il consumo delle pasticche non si può dire se effettivamente dipende da
deterioramento o dai fattori esterni ma si combinano le cose.
Ci sono fattori esterni al processo (non parliamo più di fattori esterni in generale).

Noi abbiamo creato dei concept, abbiamo studiato il problema, abbiamo indicato i requisiti
funzionali, tramite l’analisi di mercato sappiamo cosa la gente si aspetta da noi, abbiamo
confrontato le varie alternative e abbiamo scelto poi il concept migliore. È robusta la
nostra soluzione? Nell’ambito della sua produzione e nello scorrere del tempo il nostro
prodotto manterrà le caratteristiche per risolvere quel problema? Quali sono i fattori
esterni nell’utilizzo del nostro problema? Quali sono i fattori unit to unit variation?
Io ho deciso di fare un oggetto che ha certe dimensioni ma con quelle dimensioni non riesco
a farlo; magari la tecnologia non mi consente di produrlo e questo fa si che in realtà il costo
raddoppio e quindi non posso garantire quel prezzo di mercato.
Quali sono gli utilizzi anomali che le persone possono fare del nostro prodotto? cioè le
persone possono utilizzare il nostro prodotto nelle condizioni che non abbiamo previsto,
oppure le persone possono utilizzare il nostro prodotto per altro.
È ovvio che se facciamo un prodotto con alcuni componenti non standard il costo aumenta.
Se facciamo un prodotto usa e getta siamo coscienti del deterioramento durante l’utilizzo.
Magari il concept che è arrivato secondo potrebbe essere più robusto di quello che abbiamo
scelto.
Come poter utilizzare la progettazione robusta nell’ambito del concept sviluppato?
Il metodo Taguchi può essere utilizzato anche come configuratore:
noi ci siamo fatti un’idea del fatto che il nostro prodotto deve avere determinate
dimensioni e determinate caratteristiche, ad esempio i ragazzi che stanno sviluppando il
concept per risolvere il problema del cibo da strada, hanno delle dimensioni che sono da
una parte legate al cibo che devono portare e da una parte legata al fatto che l’oggetto
deve essere impugnato (la maniglia deve avere determinate dimensioni e ovviamente se
faccio un oggetto con elevate dimensioni della maniglia porterò meno cibo); bisogna fare
delle valutazioni e decidere che la parte per reggere tutto l’oggetto è un cilindro o cono
che ha un diametro caratteristico pari a 50mm, un’altezza pari a 90mm e una capacità di
contenere il cibo di 0.5 l e capacità di contenere bevande di 0.5l. potrebbe avere un senso
dire che se faccio un diametro del 5% in meno o del 5% in più che cosa cambia?
Rispondere a questa domanda non è banale perché le persone che utilizzeranno questo
prodotto saranno tutte persone diverse e quindi di altezza e corporatura diversa: ci sarà il
bambino, una persona anziana un adulto ecc. quindi avranno forza nelle braccia diversa e
dimensioni della mano diversa. Noi dobbiamo fare un prodotto universale e trovare un
giusto compromesso tra le dimensioni in modo tale da consentire a tutti il facile utilizzo.
Se noi per sviluppare un concept ci siamo basati su una certa misura (parametro di
progetto), se uso un certo parametro di progetto ho questa soluzione (in termini di
funzione obiettivo) e se ne uso un altro ho un altro risultato:
È chiaro che quando vado a fare la valutazione sceglierò quel parametro identificato in
figura (funzione obiettivo più alta).
Semmai esistesse una curva numerica che unisce tutto (valutazione punto per punto) io
non sarò in grado di dire se la curva è fatta in un certo modo piuttosto che un altro. Per cui
se mi metto su x e mi chiedo cosa succede se mi sposto un poco verso destra oppure un
poco verso sinistra: per quanto riguarda la curva blu se mi sposto verso destra si abbassa la
funzione obiettivo mentre se mi sposto verso sinistra aumenta il valore della funzione
obiettivo. Rispetto a quello che mi sono immaginato posso andare a raffinare le cose. Noi
possiamo fare degli esperimenti cioè possiamo fare tutte le possibili combinazioni dei
parametri di progetto per vedere come cambiano le cose. Possiamo fare 3 prodotti con
certe dimensioni e li facciamo provare a più persone in tal modo avremo una media ed una
varianza, ma a livello di progetto non ho la varianza e la deviazione standard sarà uguale
alla funzione obiettivo e quindi dobbiamo confrontare direttamente le funzioni obiettivo.

La progettazione robusta la si fa facendo vari esperimenti, come esempio applicativo,


alcuni nostri colleghi di Napoli hanno ottimizzato le dimensioni per gli aerei di carta: hanno
fatto varie ipotesi su come piegare la carta e poi hanno fatto la sperimentazione su più
lanci e hanno fatto la media delle performance.
Ma una volta che ho scelto i parametri ottimali io posso raffinare le cose e se riesco a fare
una sperimentazione statistica posso trovare una soluzione più stabile.
Lezione 24: 30-11-17 (solo mecc)
Dempster e Shafer
Parliamo di probabilità, ma in che termini?
Nell’ambito del corso noi abbiamo portato una serie di ragionamenti per capire qual è la scelta più
adatta, ovviamente si tratta di prevedere il futuro, quindi tutto questo è rappresentato anche in
termini probabilistici.
Che probabilità c’è che questa sia la cosa migliore da fare?
La logica probabilistica ci serve per fare una scelta, ma non per avere una certezza che quella
scelta sia la migliore.
La probabilità può essere vista quando ad esempio noi lanciamo un dado e vediamo qual è la
probabilità che esca un numero pari  ci sono 3 numeri pari su 6 facce e quindi la probabilità è
del 50%, cioè facciamo il rapporto tra gli eventi che ci interessano e i possibili.
È chiaro che se vado sul mercato, la probabilità che questa scelta che sto facendo sia la migliore
non lo posso stabilire  perché gli eventi che mi interessano e gli eventi possibili non li posso
misurare per cui faccio le indagini di mercato, che sono delle misure statistiche e da tali misure
estrapolo qualcosa come informazione. Per cui noi ad esempio abbiamo interrogato 100 persone e
di queste 30 sono molto interessate al nostro prodotto, per cui noi possiamo pensare di vendere il
nostro prodotto a quel 30% di tipologia di persona che abbiamo intervistato.
Quindi ragionare in termini probabilistici è qualcosa che si fa partendo dalle informazioni che noi
abbiamo e facendo i conti.
Quindi la probabilità può essere vista come una proiezione sul futuro di informazioni che abbiamo
sotto esame. Per cui alcuni invece di parlare di probabilità parlano di credenza, cioè: “Io credo che
accade questo”.
Poi ci sono le cose che sicuramente non avverano, per cui c’è un limite alla plausibilità ovvero se
io credo che sia possibile una cosa vuol dire che io credo anche che sia possibile il suo opposto.

BELIEF
Università degli studi di Salerno
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

1
Università degli studi di Salerno
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

Belief
Università degli studi di Salerno
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

Dove:
- è la Belief (= convinzione) di “A”;
- ~ è la Belief (= convinzione) di “non A”.

Supponiamo che “A” sia un evento, ad esempio noi siamo 40 studenti e il proff ha ragione di
pensare che:
- Almeno 5-6 sarebbero stati presenti alla sua lezione perché hanno incontrato il proff e gli
hanno detto che sarebbero stati a lezione;
- Almeno 3 non verranno perché di solito non vengono a lezione;
quindi l’incertezza che vengono o meno gli alunni è la zona “Uncerta int y”.
Quindi su 40 persone che dovevano essere in aula, l’incertezza del proff va da 5 a 37, cioè:
2
- 5 sono quelli di cui il proff è certo che vengono;
- a 40 3 37 che sono gli alunni che non sono certi.
Tutto quello che c’è in mezzo io non posso capirlo.

ESEMPIO 1:

Supponiamo di avere una fotografia fatta da un satellite, dove c’è:


- del suolo dove ci sono delle case e delle strade;
- il mare;
- le nuvole;
il nuvoloso rappresenta l’incertezza.
Sotto le nuvole ci sarà un tot di suolo e mare e voglio stabilire il confine tra terra e mare.
Per stabilirlo conto la superficie visibile, conto il mare visibile  faccio il rapporto e dico che la
parte che non conosco è esattamente uguale a questo rapporto ad esempio “0.41”
Oppure noi sappiamo che il rapporto tra acqua e terre emerse è pari non a 0.41, ma il rapporto tra
terre emerse e acqua è 0.54  quindi il confine tra mare è terra è più ampio, cioè è 0.54.
Siccome siamo nell’ambito dell’incertezza, nessuna delle 2 soluzioni è errata ma abbiamo detto
qualcosa di ragionevole.
Quindi abbiamo preso 3 esperienze:
1. approccio analitico, cioè facciamo un’estrapolazione a partire da quello che c’è;
2. un altro ha preso una legge generale
3. un altro ha usato la sua conoscenza delle terre emerse
Questo esempio vale anche per i nostri concept, perché possiamo avere visioni diverse tra
meccanici e gestionali oppure l’esperto ha ancora un’altra opinione.
Per cui sotto certi aspetti il nostro progetto parte da un’idea ed evolve per step successivi
aggiungendo sempre informazioni e convenzioni da parte di quelli che stanno affrontando il
problema.
Infatti abbiamo visto che il concept si evolve in vari step.

Come si mettono a confronto 2 opinioni per capire qual è la migliore?


Se voglio sviluppare un’idea non posso fermarmi al 30% di convenzioni ma devo arrivare almeno al
50%, dipende anche dal rischio che c’è.

ESEMPIO 2:
Supponiamo di avere 3 possibili soluzioni alternative:
- A
3
- B
- C
e devo sceglierne una tra queste 3. Quale scelgo?
Diciamo che, non più in termini di probabilità, ma semplicemente di convinzioni, a me potrebbe
capitare di dire che:
- credo vada bene la soluzione “A”
- credo vada bene la soluzione “B”
- credo vada bene la soluzione “C”
se devo scegliere io dico: ”o A, o B oppure C”.
In realtà quando noi chiediamo un parere ad un esperto, potrebbe dire che:
- A e B sono equivalenti (AB)  uno dei 2 tra A e B va bene;
- Oppure uno tra A e C può essere equivalente (AC);
- Oppure uno tra B e C può essere equivalente (BC);
- O addirittura uno tra A, B e C può essere equivalente (ABC);
non è detto che la risposta sia univoca, soprattutto se noi non ci avvaliamo di numeri o meglio
anche se ci avvaliamo di numeri alla fine … è un po’ quando il proff ci dice che il progetto che vince
non è detto mai che sia poi effettivamente il vincitore, deve considerare che le cose potrebbero
andare bene anche per gli altri concept … può darsi che chi ci esprime un giudizio, non esprime un
giudizio sulle singole alternative, ma possa esprimere anche un giudizio di equivalenza o di
similitudine tra alternative perché potrebbe prendere:
- La coppia AB
- La coppia BC
- La coppia AC
- La coppia ABC
Quando abbiamo fatto l’esame di grafica computazionale abbiamo scelto un motore elettrico o un
cuscinetto nel dimensionamento, ci sono cuscinetti che hanno le stesse caratteristiche ma che
sono di marche differenti. Ci sono motori che hanno caratteristiche simili ma di marche differenti,
oppure dello stesso produttore ma fatte in modo diverso  allora posso scegliere in base al costo
oppure in base all’accoppiamento motore riduttore. Quindi ci sono tante situazioni che possono
essere equivalenti, allora perché dovrei scegliere la 1° soluzione se ha solo un 1% maggiore della
2° soluzione? Non posso accettare l’idea che vadano bene entrambe … ci saranno altri fattori che
renderanno la cosa più conveniente.

Quindi io potrei chiedere ad un esperto (E1) di esprimere il suo giudizio e il suo giudizio potrebbe
essere tale per cui assume dei punteggi che saranno:
O(vuoto) A B C (AB) (AC) (BC) (ABC)
E1 0.05 0.1 0.1 0.1 0.2 0.25 0.15 0.05

Dove “O” il distruttore delle nostre intenzioni, che dice che nessuna delle soluzioni va bene e ha un
punteggio pari a 0.05.
Si nota che la somma dei punteggi deve sempre essere uguale a 1:
. . . . . . . .

4
Già così è un po’ difficile capire cosa ve bene e cosa non va bene, a meno che non pensiamo che
questo non altera minimamente il giudizio tra A, B e C (perché alla fine devo scegliere qualcosa).
Se ragioniamo su questi numeri ci verrebbe da dire che:
- in AB l’elemento forte è A;
- in AC l’elemento forte è A
Quindi se io trovassi una regola per mettere insieme queste cose, per separare tra A, B e C 
probabilmente A crescerebbe, B crescerebbe meno di A, C crescerebbe meno di B.
Questo già è un ragionamento interessante, soprattutto è interesante il fatto che io introduco le
coppie che sembra partire come un confronto tra alternative nell’AHP ma in realtà siccome mi
lascio delle indecisioni rendo il sistema più flessibile nei confronti di tutte le alternative.
Questo è il punteggio dato dall’esperto 1 (E1), che ha valutato le funzionalità che deve avere quel
prodotto.
Poi ci rivolgiamo ad un 2° esperto (E2), ad all’ingegnere meccanico che affronta tutti gli aspetti
tecnologici, e lui ci dà degli altri punteggi:

O (vuoto) A B C (AB) (AC) (BC) (ABC)


E2 0 0.15 0.1 0.05 0.3 0.2 0.15 0.05

. . . . . . .

Come metto insieme il giudizio dei 2 esperti?


Vediamo l’esempio delle slide dove i 2 esperti danno i seguenti punteggi:
ABC AB AC BC A B C
E1 0.20 0.20 0.20 0.05 0.10 0.10 0.15
E2 0.30 0.10 0.05 0.20 0.10 0.10 0.15

Quindi se facciamo la matrice abbiamo che:

Dempster-Shafer
Università degli studi di Salerno

1 2 3 4 5 6 7
ABC AB AC BC A B C
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

a ABC ABC AB AC BC A B C

b AB AB AB A B A B 0

c AC AC A C C A 0 C

d BC BC B C BC 0 B C

e A A A A 0 A 0 0

f B B B 0 B 0 B 0

g C C 0 C C 0 0 C

c 2  AC AB  A

5
Quindi riporto nella matrice i punteggi, mettendo lo zero nella matrice li dove non c’è intersezione
tra le coppie di valori, cioè:

Dempster-Shafer

Università degli studi di Salerno


ABC AB AC BC A B C
0,20 0,20 0,20 0,05 0,10 0,10 0,15
ABC 0,06 0,06 0,06 0,02 0,03 0,03 0,05
0,30
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

AB 0,02 0,02 0,02 0,01 0,01 0,01 0


0,10
AC 0,01 0,01 0,01 0 0,01 0 0,01
0,05
BC 0,04 0,04 0,04 0,01 0 0,02 0,03
0,20
A 0,02 0,02 0,02 0 0,01 0 0
0,10
B 0,02 0,02 0 0,01 0 0,01 0
0,10
C 0,03 0 0,03 0,01 0 0 0,02
0,15

In rosso ci sono i giudizi/punteggi dell’esperto 1 (E1)


In giallo ci sono i giudizi/punteggi dell’esperto 2 (E2)

Ad esempio tra C(0.15) e B(0.10) non c’è intersezione e quindi metto 0 nella matrice.
Invece tra ABC(0.30) e AB(0.20) c’è intersezione ( ∩ ) e quindi metto:
0.30 ∙ 0.20 0.06
all’interno della matrice, precisamente nella 1° riga, 2° colonna.

Se faccio la somma di tutti gli elementi della matrice non verrà più pari a 1, ma mi verrà un
numero diverso da 1 e quindi il tutto va normalizzato:

m(B)
ABC AB AC BC A B C
0,20 0,20 0,20 0,05 0,10 0,10 0,15
Università degli studi di Salerno

ABC 0,06 0,06 0,06 0,02 0,03 0,03 0,05


0,30 ABC x ABC =
AB 0,02 0,02 0,02 0,01 0,01 0,01 0 = 0,3 x 0,2 = 0,06
0,10
Corso di Fondamenti e Metodi Della Progettazione

AC 0,01 0,01 0,01 0 0,01 0 0,01


0,05 AB x AC =
BC 0,04 0,04 0,04 0,01 0 0,02 0,03 = 0,1 x 0,2 = 0,02
m(A) 0,20
A 0,02 0,02 0,02 0 0,01 0 0
0,10 AB x C = 0
B 0,02 0,02 0 0,01 0 0,01 0
0,10
C 0,03 0 0,03 0,01 0 0 0,02
0,15

ABC AB BC AC A B C
m A  mB  
0,07 0,12 0,10 0,08 0,18 0,19 0,26

6
Un a volta che l’ho normalizzata ottengo una nuova serie di valori, questo processo può essere
iterato all’infinito.
Ognuno degli esperti mi darà un valore di giudizio, che io posso combinare con tutti quelli
precedenti.
Questa cosa funziona meglio dell’AHP perché ha senso fare una matrice perché così ogni esperto
di quel particolare aspetto può dire la sua. Nella realtà il processo di progettazione ha una
progressività che è differente, cioè io affronto man mano degli aspetti. Però nella realtà io devo
mettere insieme il giudizio di 10 persone non solo se ho 10 requisiti funzionali, ma nella realtà
ognuno dovrebbe avere la possibilità di dire la sua per progredire nella valutazione.
Nella realtà succede che tutto ciò che io ho nei termini combinati (AB. BC, ecc) in qualche modo si
riversa nei termini singoli (A, B, C) un po’ alla volta  cioè è come se avessi messo un sacchetto di
monete e queste monete vanno in cacata verso A, B oppure C.
Quando ho completato i miei step posso scegliere la soluzione che ha il punteggio maggiore.

Ci sono delle esasperazioni concettuali per cui se i 2 esperti sono in perfetta contraddizione
vengono fuori delle cose strane, ad esempio 2 medici che non concordano sulla stessa diagnosi e
intanto il malato muore.

Potrebbe vincere anche AC, cioè non si capisce tra A e C qual è il migliore, cioè non si riesce a
distribuire la risorsa di AC su A e C.

ESEMPIO 3:

. . ∪ .
. . . ∙ . . . ∙ .
.! . .! ∙ . . .! ∙ .
∪ ∙ . ∙ . ∙ .

Dove:
" # ≠ ∶ . . . . .!
questo è un esempio di combinazione, dove:
- &' è la misura di A secondo l’esperto 1
- &( è la misura di A secondo l’esperto 2
- &' è la misura di B secondo l’esperto 1
- &( è la misura di B secondo l’esperto 2
- &' ∪ è la misura dell’unione di A e B secondo l’esperto 1
- &( ∪ è la misura dell’unione di A e B secondo l’esperto 2

Si nota che:
- nella 1° riga, 2° colonna c’è lo perché non c’è intersezione tra A e B
- nella 2° riga, 1° colonna c’è lo perché non c’è intersezione tra A e B
Mentre invece nella 2° riga, 2° colonna c’è un valore:
. .! ∙ .
perché c’è intersezione tra B misurato dall’esperto 1 e B misurato dall’esperto 2.
7
Alla fine avremo che la misura di A e B sono pari a:
. . .
. )
. . . . .!
. . .
.*
. . . . .!

In questo esempio poiché abbiamo solo 2 alternative e abbiamo che ∪ , non c’è
niente ∪ nell’ultima riga.

Quindi la composizione del’esperto 1 e dell’esperto 2 è dato da:


- 0.29 per A;
- 0.71 per B;
cioè:
. ), .*

Se c’è un esperto 3 avremo un’altra linea di giudizio, altra composizione ed evoluzione di questa
cosa.

Quand’è che ci rendiamo conto che non ne stiamo venendo a capo?


Se noi facciamo un grafico dell’ andamento di A, B, ecc e se vediamo che non c’è convergenza ma
comincia ad oscillare tutto evidentemente non ci stiamo chiarendo le idee.
Quindi non sappiamo dove stiamo andando.

Potremmo usare questa tecnica di “Dempster e Shafer” per il nostro progetto, che ci da anche la
possibilità di gestire il vuoto “O”.
Combinando però il giudizio dei vari esperti posso gestire il vuoto e cercare la soluzione migliore.

In particolare:
- Se faccio 3 esperimenti devo fare 2 matrici;
- Se faccio 4 esperimenti devo fare 3 matrici;
- ecc;
però in realtà è sempre la stessa operazione e quindi se lo facciamo dal punto di vista di algoritmo,
quindi scrivo un software, avrò una funzione e ogni volta i risultati di quella funzione sono un input
di un nuovo ciclo  quindi è una cosa molto semplice, non è come l’AHP che ci vuole una matrice
per ogni confronto.

8
LEZIONE 25 04/12/17
AXIOMATIC DESIGN
Nella progettazione assiomatica esiste il cosiddetto “dominio del cliente”, e noi
attraverso l’indagine di mercato abbiamo valutato il dominio del cliente per vedere
cosa dovevamo proporre al mercato; in base all’analisi fatta abbiamo capito cosa
proporre al mercato attraverso anche i requisiti funzionali. Come devo fare il prodotto
affinché abbia i requisiti richiesti? Scrivere il problema significa scegliere bene i
requisiti, scrivere bene i requisiti significa che possiamo anche trovare più facilmente
il problema. Dopo fatto questo abbiamo trovato molte soluzioni che si avvicinano alla
soluzione del problema e tra queste soluzioni abbiamo scelto la migliore attraverso
dei metodi, ad esempio come il metodo AHP (ed abbiamo visto anche come far
diventare il prodotto più robusto attraverso la teoria robust design).
Tra i metodi di misurare abbiamo visto anche alcuni strumenti logici come la logica
fuzzy; ci possono essere anche alcuni approcci probabilistici (quindi che si basano
sulla statistica).
Ora facciamo alcune considerazioni sul secondo assioma della progettazione che è
uno strumento molto vicino al metodo basato sulla probabilità e sulla logica fuzzy.
Cosa dicono questi assiomi?

Il primo assioma è basato sull’indipendenza: se abbiamo descritto bene il problema


attraverso dei requisiti funzionali indipendenti tra di loro, quindi riusciamo a risolvere
ogni aspetto dei requisiti funzionali separatamente, l’unico vincolo è che ogni sotto
soluzione deve essere indipendente da tutte le altre. Se io trovo una soluzione ad
uno dei requisiti funzionali che influenza un altro requisito funzionale non riesco ad
ottimizzare. L’esempio più semplice è quello del rubinetto, prima c’erano rubinetti in
parallelo invece oggi c’è un miscelatore e questa cosa ha fatto migliorare l’efficienza
del rubinetto stesso.
Tra le arie alternative che noi possiamo proporre, quella migliore è quella che ha il
minore contenuto di informazioni. Che cosa significa?
SECONDO ASSIOMA
L’informazione è una misura di conoscenza richiesta per soddisfare per soddisfare
un dato requisito funzionale ad un dato livello della gerarchia dei requisiti funzionali.
La nozione di informazione è strettamente legata alla probabilità di soddisfare i
requisiti funzionali.
Più è complicato ottenere il soddisfacimento del requisito funzionale e peggiore è la
soluzione (in altre parole significa “SIATE SEMPLICI”). Facciamo un esempio, se io
devo convincere che questo prodotto soddisfi i requisiti funzionali facendo molta
pubblicità e dare molte spiegazioni significa che c’è qualcosa che non va. Se io ti do
il prodotto e subito lo usi e ti accorgi che va bene senza avere nessuna informazione
allora significa che va bene.
La misura dell’informazione è definita come il logaritmo dell’inverso della probabilità
di ottenere un determinato requisito funzionale. Se io conosco la probabilità del
requisito funzionale facendo l’inverso e facendo il logaritmo ho la misura
dell’informazione. È ovvio che se la probabilità è 1(sono certo di ottenere quel
requisito funzionale cioè ho la certezza del risultato) non ho nessuna informazione
(tra l’altro matematicamente è uguale al logaritmo di 1 che è pari a zero). Se per caso
io non ho nessuna possibilità di soddisfare quel requisito funzionale il contenuto di
informazioni misurato è 1/0=infinito e il logaritmo di infinito è infinito.

Noi avevamo rappresentato un problema con una matrice per un vettore di parametri
di progetto, e abbiamo detto che i requisiti funzionali sono espressi dagli elementi
all’interno della matrice.
Ogni parametro di progetto concorre a soddisfare un requisito o più requisiti
funzionali. Se io misuro il soddisfacimento dei requisiti funzionali io posso avere la
misura del soddisfacimento dell’intero prodotto; faccio varie ipotesi variando i
parametri di progetto, avrò più soluzioni e la migliore sarà la mia scelta. Misurare
l’informazione significa che per ogni casella io posso dire qual è il contenuto di
informazioni che il parametro DP1 dà al requisito FR1, quindi ho per ogni casella
l’informazione (se faccio la matrice della misura). La comodità, rispetto alla
probabilità, è che le informazioni si sommano; se avessi avuto le probabilità devo
tener conto di tutte le regole della probabilità.
Quando si ha il logaritmo in base 2 significa che si stanno trattando informazioni
informatiche

È in base due perché tutto ciò che viaggia a livello informatico sono BIT. Osservando
l’esempio in figura, in questo caso, vediamo che la probabilità è legata al concetto di
tolleranza, e più alta è la tolleranza e più alta è la probabilità di ottenere quel valore.
Cos’è il system range e cos’è il design range?
Se osserviamo il grafico notiamo che sulle scisse abbiamo il valore del parametro di
progetto.
Il design range è la variabilità del parametro di progetto che possiamo accettare
perché non è detto che il parametro assuma uno specifico valore. Facciamo
l’esempio della lavatrice. Tra le varie funzioni della lavatrice c’è la centrifuga, ci sono
lavatrici che hanno la centrifuga fissa a 600giri/min e ci sono lavatrici che hanno
centrifughe variabili da 600 a 1000. Cosa cambia? Perché ci sono offerte diverse?
Alcuni tessuti a 1000 giri si rovinano ed altri tessuti a 1000 giri non si asciugano.
Partiamo dal presupposto che tecnicamente una cosa è fare una lavatrice a
600giri/min ed un’altra cosa è fare una lavatrice che arriva anche a 1200 giri/min,
quindi ci sono delle complicazioni dal punto di vista progettuale ed un aumento dei
costi; la forza centrifuga e l’eccentricità (l’eccentricità è presente perché durante la
rotazione i tessuti si dispongono in maniera diversa lungo la circonferenza ed inoltre
hanno anche massa diversa) hanno un effetto legato al quadrato della velocità e
passare da 600 a 1000 giri/min le cose si complicano. Quindi posso proporre
soluzioni diverse a seconda di quello che io ritengo sia utile. Ci saranno un 30% di
persone che gli basta che la centrifuga sia 600 giri/min ed altre persone che vogliono
un range variabile. Ci sarà una richiesta di mercato non costante (anche se in figura
è rappresentato come costante) che è rappresentato dal system range (system
range è quello che richiede il mercato).
Ma se il mercato mi chiede che il parametro di progetto può variare in un certo range
allora perché in figura c’è un design range che va anche fuori dal system range? Non
bastava che mi fermassi all’interno del system range? In altre parole, perché fornisco
una caratteristica che al mercato non interessa?
Supponiamo di avere un progetto accoppiato, dove ci sono 3 requisiti funzionali legati
al parametro DP2:

In figura vengono riportati 3 grafici, dove sulle ordinate ci sono i requisiti funzionali e
sulle ascisse il parametro di progetto. Il grafico ci fa capire qual è il range del
parametro di progetto che soddisfa quel requisito funzionale.
Nella realtà se voglio soddisfare contemporaneamente tutti e tre i requisiti funzionali
io devo prendere l’intervallo comune a tutti e tre (linea rossa) identificando un piccolo
intervallo in cui saranno soddisfatti tutti e 3 requisiti funzionali.
FR1 (ma vale anche per gli altri requisiti funzionali) è soddisfatto con una percentuale
che è pari al tratto rosso diviso il tratto blu:
quindi il contenuto di informazioni aumenta perché riusciamo a soddisfare solo in
parte queste esigenze (blocco il progetto su valori fortemente limitati).
Il problema sorge quando abbiamo questo tipo di situazione:

per ottenere FR2 devo avere un intervallo che non coincide con quello di FR1. In
questo caso cosa facciamo? Io posso anche allungare l’intervallo di FR2 se
ovviamente non si altera tutto il resto. Idealmente prendo l’unione di tutti e tre gli
intervalli. Questo però vale solo se i requisiti funzionali sono alternativi, nel senso
che se io voglio “QUESTO O QUELLO” va bene perché a seconda di come l’utente
sceglie il valore di DP2 nel regolare la sua apparecchiatura ottiene un requisito
piuttosto che un altro. Ma se io voglio contemporaneamente le 3 funzioni non posso
farlo ed il progetto non sta in piedi.
Ritornando a monte, il fatto di avere un intervallo di scelta di variabilità del parametro
di progetto più amplio di quella della richiesta (system range), dipende dal fatto che
noi stiamo analizzando un solo requisito funzionale; quando mettiamo più requisiti
funzionali insieme e c’è una dipendenza di più requisiti funzionali da 1 parametro di
progetto devo chiedermi ce cosa succede se vario un intervallo (perché magari
l’utente mette la macchina in una condizione in cui non riesce a fare quello che
vorrebbe e dovrebbe fare, se io creo un frullatore con un range di velocità che arriva
anche ad 1giro/min quella persona che lo utilizza potrà pensare “ma perché ha
l’opzione di 1giro/min e poi non frulla? E ha un’idea del prodotto che non è valido
perché in determinate condizioni il prodotto non fa quello deve fare). Se è richiesto
un “and &” io mi devo mettere a testare sul minimo dell’intervallo e magari tutto il
resto potrebbe non servire.
Ci sono altri motivi per estendere il design range rispetto al system range, magari
posso giocare sul fatto che questo prodotto, a differenza degli altri, fa un qualcosa in
più. Al mercato non interessa che quel prodotto faccia anche altro, ma il consumatore
è più spinto a comprare qualcosa con più funzionalità (a parità prezzo). In altre
parole, l’estensione al di fuori del system range, se non preclude alcuni requisiti
funzionali, è legato anche al fatto che quella funzionalità in più, anche se non
richiesta, ma mi farà vendere di più e quindi l’estensione del design range è un fatto
di mercato (in prospettiva nel momento in cui dico che il mio prodotto ha un design
range più ampio potrà generare altro mercato).
In realtà la questione è un po’ più complicata, ma concettualmente non cambia molto;
infatti il system range non è uniforme (non è piatto).

Nel caso delle scarpe ad esempio il system range consiste nel fare un prodotto che
è configurabile magari dal numero 38 fino al 46, sapendo che le misure più diffuse
sono 40 − 42 − 44; perciò non è detto che si debba partire per forza dal numero 36
ed arrivare al numero 48; magari è possibile anche non arrivare al 46 perché fare
una scarpa di questo numero comporta delle complicazioni in quanto bisogna fare le
cuciture in maniera diversa, utilizzare colla differente, …, per cui si può scegliere di
fermarsi al 44, pur perdendo magari un 4 % di potenziali clienti.
Di seguito si riporta un grafico in cui sull’asse delle ascisse ci sono i parametri di
progetto e sull’asse delle ordinate c’è la probabilità di soddisfacimento del requisito
funzionale corrispondente.
Il contenuto di informazione si ottiene facendo l’integrale della curva delle probabilità
e sovrapponendo il design range al system range. Il design range può essere sia un
intervallo fisso, sia una distribuzione; infatti, sempre nel caso delle scarpe, si
potrebbe decidere di produrre maggiori quantità di scarpe di un certo numero e minori
quantità di altri numeri; ovviamente ci sarà magari una parte del mercato che non
avendo alternative decide di scendere a compromessi su altri requisiti funzionali.
Anche in questo caso si fa un’intersezione d’area sebbene la misura per il system
range non sia uniforme (potrebbe accadere anche per il design range). La probabilità
è data comunque dall’area di intersezione.
Si immagini di dover selezionare un’automobile da un dato set di opzioni. I requisiti
funzionali richiesti sono i seguenti:
 Consumo: 17.0 / − 24.6 /
 Livello di rumore: inferiore ai 55
 Accelerazione: 4.7 / − 14.4 /
Si hanno tre autovetture tra le quali scegliere, le cui caratteristiche vengono riassunte
nella tabella seguente:

Il valore sul design range non è un valore fisso, ma è un intervallo: sulle vetture, a
seconda delle condizioni di marcia, i consumi variano. Anche il livello di rumore varia
in un range in dipendenza dalle condizioni di guida, ossia da se l’autovettura procede
lentamente o magari sta accelerando: il rumore aerodinamico cresce col quadrato
della velocità. L’accelerazione su vettura è espressa in termini di tempo per passare
da 0 /ℎ a 100 /ℎ o si danno informazioni sulla ripresa (quando cioè si accelera
senza cambiare marcia e si valuta il tempo impiegato per arrivare a 100 /ℎ: si
hanno prestazioni ancora una volta differenti a seconda di come si sta guidando).
Per capire qual è la vettura più efficiente, ossia quella migliore, bisogna confrontare
le caratteristiche di ciascuna autovettura con i requisiti funzionali. In sostanza si deve
applicare un ragionamento simile a quello fatto nel metodo AHP, tenendo conto però
dell’obiettivo da perseguire (requisiti funzionali): si deve cioè scegliere la vettura più
adatta a quel percorso che si deve compiere.
Si richiede ad esempio una vettura che ha dei consumi che vanno da 17.0 / a
24.6 / : la vettura ha consumi che vanno da 11.0 / a 21.8 / , per cui la
parte in comune è tra 17.9 / e 21.8 /.
" ( )*!+ 24.6 − 17.0
! "# = ln ' - = ln ' - = 0.46
, ,! )*!+ 21.8 − 17.0
Lo stesso discorso lo si fa sul livello di rumore (da 0 a 55 ):
" ( )*!+ 55 − 0
!, . # = ln ' - = ln ' - = 1.70
, ,! )*!+ 55 − 45
La stessa cosa si può fare sull’accelerazione (4.7 / − 14.4 / ):
" ( )*!+ 14.4 − 4.7
* )*( ,!# = ln ' - = ln ' - = 0.01
, ,! )*!+ 14.4 − 4.8
Alla fine basta sommare per ottenere il livello di informazione totale:
= 0.46 + 1.70 + 0.01 = 2.17
Ragionamento simile si può fare sull’autovettura e sull’autovettura 0.
Svolgendo i calcoli si vede che la vettura 0 ha un contenuto d’informazione totale
infinito, avendo un valore infinito sulla fuel efficiency, sebbene sull’accelerazione sia
praticamente quella più adatta in quanto presenta il valore più basso in assoluto.
Alla fine la vettura più adatta rispetto a quanto richiesto è la , in quanto vince quella
con il livello di informazione totale più basso.
Ci sono una serie di corollari agli assiomi studiati (primo e secondo assioma della
progettazione).

Anzitutto è suggerito l’uso della standardizzazione, legata all’utilizzo di componenti


standardizzati; in effetti il componente standard sicuramente funziona, per cui ha un
contenuto di informazione nullo. Chi progetta qualcosa non si mette a ridisegnare la
filettatura, in quanto quelle esistenti già funzionano. In tal modo si riduce il numero di
parti che effettivamente deve essere progettato: in tal modo si minimizza il rischio
che le cose non funzionino.
Inoltre è suggerito di rendere le tolleranze più larghe possibili, la qual cosa va un po’
contro il metodo Taguchi; in realtà questo va bene se l’effetto sul costo in tolleranza
è basso; infatti il metodo Taguchi stabilisce che anche all’interno dell’intervallo di
tolleranza c’è un costo, per cui se la quadratica che fornisce il costo è molto piatta va
bene, ma se tende a salire subito no.
Infine è suggerito l’uso della simmetria: costruendo oggetti il più possibile simmetrici,
assicura che se una metà funziona, funzionerà sicuramente anche l’altra metà. Ciò
semplifica molto le cose durante la progettazione e non crea rischi di andare al di
fuori del system range.

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