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Sommario
maggi o/ gi ugno 2014
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Propriet
OTTOLOBI editoria e comunicazione
Via A.Caretta, 3
20131 - Milano
t/f 02.36798297
www.ottolobi.it
P.IVA 03559000983
N.REA: MI-2021527
Pubblicit
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Editoriale
Le nostre Rubriche:
Design Industriale a cura di
G.Alito
Metodi di sviluppo prodotto a
cura di N.Lippi
Metodi di produzione a cura di
A.Viola
Lintervista a cura di C.Ravaioli
Project management a cura di
A.Fischetti
LCA a cura di Collettivo NUUP,
sustainable creativity
Creativit a cura di D.Donati
Un libro in 10 minuti
(management) a cura di
P.Pirone
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editoriale
A distanza di anni dalla laurea sono ancora fermamente convinto che
le competenze pi importanti maturate durante gli studi di ingegneria
siano la capacit logica, il metodo e i legami causa effetto. In pratica
saper mettere in fla cosa bisogna fare prima per ottenere un risultato
dopo.
Luniversit ci fornisce una sorta di concentrato di pomodoro, ci
aiuta ad assimilare, in pochi anni, le nozioni necessarie per entrare
in azienda, o quanto meno comprenderne il linguaggio tecnico. Ci
mette nelle condizioni di fare del calcolo - perlopi di verifca - dopo
aver maneggiato per anni formule e coeffcienti di sicurezza. Il vero
neo dellistruzione, in generale, che nei suoi contenuti guarda al
passato. Ci mostra come problemi analoghi a quelli che affrontiamo
quotidianamente siano stati risolti in passato, il tutto riassunto in
brillanti dimostrazioni a pi pagine.
Fin dalle prime esperienze da progettista di macchinari mi risultato
chiaro che volendo competere - e quindi essere utile - con lesperienza
e la conoscenza di professionisti con 25, 30 o addirittura 50 anni di
competenza lavorativa non avevo altre armi se non il metodo.
Su questo terreno sono riuscito negli anni a giocare le mie carte e
non potendo attingere a mezzo secolo di pratica, mi sono affdato
completamente al metodo. Come se avessi nella testa un Obi-Wan
Kenobi che sussurra continuamente che il metodo sia con te.
In questo modo ho sopperito alla poca esperienza e ancora oggi, di
fronte a nuovi problemi, di nuove aziende che sviluppano prodotti
sempre diversi da quelli che ho visto il giorno prima, chiudo gli occhi
e mi impegno nel produrre idee organizzate con metodo. Alla base
c ancora lo studio, le continue letture di saggi ed esperienze, utili a
comprendere logiche nuove, invisibili fli conduttori.
Credo che oggi in pochi si sentano di criticare lapproccio metodologico
ai problemi. Peccato che il metodo, in realt, sia applicato raramente.
Molte aziende hanno dimenticato le basi dellorganizzazione
aziendale, tanti fanno di tutto e quel tutto spesso disorganizzato,
demandato alla logica del singolo e non alla visione dinsieme.
Un pericoloso effetto collaterale della mancanza di metodo
limpossibilit di correggere gli errori. Se non si adotta un percorso
chiaro e logico, diffcilmente riusciremo a scoprire eventuali difetti e
tantomeno a trarne insegnamenti preziosi per i successivi progetti.
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Attenzione, non stiamo parlando di procedure, di pura burocrazia,
ma non credo di sbagliare nel dire che uno dei principali problemi
delle aziende Italiane - dopo le tasse - sia la scarsa propensione al
metodo. Qualcuno potr dire anche che ne la fortuna, io sostengo
invece che la tanto elogiata fessibilit italiana non debba essere
frutto del caos, ma di unorganizzazione che sia capace di fare sintesi
e creare in poco tempo prodotti allaltezza dei mercati di riferimento.
METHODO nasce da queste poche prese di coscienza, dalla ferma
convinzione che le idee da sole non bastino. Parleremo di metodi,
esperienze, storie di successi di quel magico mondo delle attivit
operative, le stesse che trasformano embrioni didee in prodotti
accattivanti, funzionanti, affdabili ed economicamente competitivi,
attraversando una sempre maggiore complessit organizzativa.
Ci di cui abbiamo realmente bisogno qualcosa che ci aiuti ad
affrontare nuovi problemi, o addirittura a progettarne di nuovi, per
spostare la visuale fno a trovarne il lato debole. Questo vuole essere
METHODO, una rivista che apra le prospettive, veicolo di logica e di
futuro pi che di competenze specifche.
Il lettore potrebbe chiedersi come si vuole differenziare METHODO
dalle altre riviste di settore?. Nei contenuti la risposta, soprattutto
nella loro onest intellettuale intrinseca. Nessun contributo o articolo
sar inserito a scopo di pubblicit pi o meno occulta.
Ne approftto per ringraziare tutti coloro che con incredibile
entusiasmo, hanno voluto contribuire a questo primo numero.
Buona lettura.
Nicola Lippi
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Ogni persona in ogni momento
esegue progetti di design. Potrei
sintetizzare il termine design con
scelta.
Tutto ci che ci circonda, persino la selezione
dei vestiti che la mattina scegliamo di
indossare, tra i tanti che possediamo,
un progetto di design. Walter Gropius da
direttore della Bauhaus sosteneva che ogni
essere umano di qualunque estrazione
sociale, produce MDM (mental design
model). Si tratta di unidea di prodotto
elaborata dalla mente che nella sua
componente sostanziale statistica (cio
simile a quella di qualunque altra persona
che immagina quelloggetto), mentre nella
componente formale soggettiva (generata,
cio, dalle esperienze sedimentate del
singolo soggetto). In altre parole Gropius
ci dice che ogni persona possiede una
sua natura creativa che usa per costruire e
modifcare il proprio contesto.
Dico questo nella speranza di riuscire
mantenere una distanza considerevole
rispetto a tutto ci che siamo costretti a
leggere e sentire inerente al tema specifco.
Distanza dalle teorie dellovvio (del tipo less
is more), distanza dai salotti buoni ormai
polverosi, dove da anni non si fa altro che
parlare di un passato che ogni volta pi
lontano perch sempre lo stesso, di riviste
nelle quali sotto la parola design segue
sempre la solita trafla di nomi (Zanuso,
Castiglioni, Magistretti, Sottsass, etc.), che
certamente hanno dato un enorme contributo
se non addirittura vita a questa materia, ma
credo sia ora di guardare oltre. Distanza,
insomma, da tutto ci che inesorabilmente ci
obbliga a guardare indietro come una sorta
di specchietto retrovisore.
Trattandosi di una materia che deve avere
connotati di dinamicit e che deve generare
passato breve, capirete che tutto ci
paradossale, soprattutto in un Paese che
crede ancora di essere la patria del design.
Dopo questa doverosa premessa,
vorrei iniziare adottando un approccio
multidisciplinare cercando, per quanto
possibile, di compiere unideale percorso a
spirale dove il punto di partenza non sar il
centro di essa ma la sua periferia.
DALLA MASS PRODUCTION
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a cura di Giuseppe Alito
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Uno degli elementi fondanti dellindustrial
design la replicabilit. Walter Benjamin agli
albori della rivoluzione industriale individu
nella stampa dei quotidiani il primo processo
di produzione industriale di massa dove
loggetto del business non era pi loriginale
(come avveniva per lartigianato) ma la copia
replicabile teoricamente allinfnito.
Dietro la spinta impetuosa dellevoluzione
tecnica prima e tecnologica dopo lindustria
si confgurata esclusivamente sulla
produzione di repliche in tutti i settori
manifatturieri. Nella moda, ad esempio,
questo processo ha dato vita al pret-a-porter.
Grandissimi sono stati i benefci soprattutto
per i consumatori che potevano (e possono)
disporre di prodotti, s standardizzati in
termini formali ma qualitativamente ed
economicamente competitivi. Un esempio di
ci il modello Ikea.
Le aziende dal canto loro hanno potuto
benefciare di una forte barriera competitiva
perch solo chi disponeva di risorse
suffcienti poteva permettersi di diventare
industriale secondo la proporzione che pi
deve essere competitivo il prodotto maggiori
sono gli investimenti tecnici e tecnologici per
metterlo al mondo e produrlo.
In termini flosofci, per, ci ha allontanato
luomo dalloggetto, sia perch non ne
percepisce le logiche produttive (origine) sia,
appunto perch facilmente e velocemente
disponibile, ne sminuisce il valore (unicit)
rendendo molto diffcile la trasformazione
delloggetto in cosa, processo sofsticato
ben descritto da Remo Bodei in un suo
recente testo, di cui parleremo in seguito.
Levoluzione logica di tutto questo il ritorno
al taylor made, ma senza fare un passo
indietro sul fronte produttivo, non quindi una
rievocazione del ritorno allartigianato, ma
una sofsticazione ulteriore delle logiche di
mass production che consentano margini
di adattabilit tipici del fatto a mano. Pu
sembrare strano ma ci avviene (e da molti
anni) nel settore delle auto, direi addirittura
immediatamente dopo la Ford T.
Il vantaggio indiscutibile quello di rendere
partecipe il consumatore alla creazione
stessa del prodotto nella quale pu governare
quelle variabili che pi gli interessano come
la qualit, leco-sostenibilit, lunicit, e
persino il costo e dunque il prezzo.
Questa potrebbe essere certamente una
grande sfda per lindustria del nostro Paese
spesso votata alleccellenza e molte volte
di nicchia. Essere gli industriali del taylor
made!
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DALLA MASS PRODUCTION
al TAYLOR MADE
Dal punto di vista pratico bisogna pensare
a metodi progettuali prima e produttivi
dopo in grado di generare prodotti o
sistemi di prodotto aperti e facilmente (ed
industrialmente) customizzabili. Certamente
sempre sano avere una buona dose di
competitivit, ma nel nostro Paese la si deve
cercare prima di tutto nei costi accessori dei
quali sono gravate le imprese, costi indiretti
che non contribuiscono, cio, ad aumentare
il valore della produzione, e non certo nella
banalizzazione dei prodotti al fne di poterli
rendere pi competitivi.
Bisogna seguire la propria vocazione e
quella dellItalia deve essere la vocazione
delleccellenza quanto pi competitiva
possibile a tutti i livelli, ma eccellenza,
sfatando il mito che grande bello e sano.
Le nostre imprese non sono in grado di
competere nella parte bassa del mercato
(dove serve prima di tutto massa critica),
al contrario sono perfettamente in grado
di produrre valore aggiunto, di produrre
quella che Gianfelice Rocca defnisce
innovazione incrementale ossia la capacit,
indipendentemente dalla dimensione, di
combinare i vari fattori e ingredienti della
produzione in modo creativo e con valenze
qualitative e questa una caratteristica solo
italiana. Non puntiamo, quindi, allaumento
ma semmai alla riduzione dimensionale e
soprattutto alleccellenza che non signifca
fare solo le Ferrari. Anche un bicchiere pu
essere eccellenza.
Dal punto di vista strategico riguardo alla
dimensione e forma del mercato (stretto e
profondo quando si compete dal basso), nel
nostro caso deve avere una forma diversa.
Deve essere bidimensionale.
Se lItalia fosse unazienda sarebbe una
leader di diversifcazione, cio unimpresa
che produce business operando lo
stretching orizzontale (tante categorie di
prodotti diversi tra loro), questa condizione
tipica dei grandi marchi (vedi il caso Pirelli),
il vantaggio rispetto alle aziende leaders
di prezzo quello che non si costretti a
operare attraverso la profondit di gamma
(tante tipologie dello stesso prodotto) in
uno spazio orizzontale assolutamente
limitato, con poca visibilit di marca ed
ingenti investimenti per allestire unofferta
competitiva con le altre leaders di prezzo.
Il nostro non un paese da grande
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distribuzione, non a caso a competere in
quel settore esiste solo un player italiano e
spesso grazie a vantaggi non derivanti dalla
propria capacit di essere competitivo.
I margini di tutte le grandi catene operanti in
Italia sono bassissimi o in alcuni casi negativi
e per la prima volta dallavvento della GDO
in questo Paese lo scorso anno le vendite
(compreso il settore food) hanno registrato
una contrazione prossima al 3%.
Non parlo di un mondo utopico, le realt
competitive in Italia ci sono e rimarranno, ma
purtroppo non hanno carta didentit italiana,
alcuni esempi?
H&M e Zara valgono quanto 8 Prada messe
insieme, ma non avranno mai lappeal del
marchio italiano. Ikea da sola (in Italia) vale
quanto tutte le grandi frme del funtiture
design di questo paese, ma non sar mai un
marchio aspirazionale.
Tuttavia in questi 10 anni lItalia per Ikea
diventato il sesto Paese al mondo per cifra
daffari netta ed il primo Paese sul fronte
degli acquisti di mobili, mentre Ikea per
lItalia al primo posto per acquisto di mobili
italiani. Chi avrebbe mai immaginato solo 10
anni fa che nel nord ricco di questo Paese
l attaccato alla blasonata Brianza regno dei
mobili di design, un giorno sarebbe arrivato
uno svedese a sovvertire le regole del
mercato.
Perch, dunque, dovremmo fare prodotti low
cost?
Qualcuno si chieder cosa centra tutto
questo con il design?
Poco, se si considera il design come una
delle tante fasi dello sviluppo di un prodotto
dove spesso la fnalit creare il nuovo pi
che linnovazione, anche in considerazione
del fatto che esiste una grande confusione
attorno al termine innovazione.
Un prodotto nuovo pu non essere
innovativo, mentre un prodotto innovativo
sempre nuovo. Inoltre necessario uscire
dalla logica che innovazione signifchi
sempre qualcosa di tangibile, di fsico. Si pu
innovare semplicemente cambiando lordine
delle cose e del pensiero che ci sta dietro.
Tuttavia, data la vastit del tema andrebbe
affrontato in maniera pi dettagliata.
Centra tanto, invece, se si intende costruire
una piattaforma stabile che riduca al minimo
il rischio dimpresa grazie alla capacit di
vedere pi chiaramente lobiettivo da colpire.
La letteratura piena di bellissimi prodotti
che hanno affollato mercati sbagliati in
momenti sbagliati.
E questo il solo lusso che non ci possiamo
pi permettere.
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a cura di Nicola Lippi
DEFINIRE I REQUISITI DI PRODOTTO CON IL QFD
Figura 1 - Il modello dei 5 gap di Parasuraman
Figura 2 - Il costo delle modifche nello sviluppo prodotto
Una delle principali cause di fallimento nella
commercializzazione di un prodotto risiede
nellerrata defnizione dei requisiti o ad
argomenti a esso connessi. Non bisogna
mai dimenticarsi, infatti, che il primo e
principale strumento di marketing proprio
il prodotto.
Purtroppo non sempre questa fase
presidiata in maniera adeguata, pur essendo
cruciale per fare entrare la voce del cliente
(dei clienti) e far s che questa guidi lintero
sviluppo del nuovo prodotto.
Lerrata defnizione dei requisiti non la
sola causa di fallimento di un progetto,
come ci insegna il modello del Professor
Parasuraman (vedi fgura 1), esistono
diversi gap tra il cliente e il prodotto che gli
viene proposto. Il QFD (Quality Function
Deployment), e in generale questa fase
specifca, contribuisce a colmare i gap 1 e 2,
ovvero il gap tra la prestazione che il cliente
si attende e ci che lazienda percepisce, e
ancora il gap tra ci che abbiamo percepito
e gli obiettivi (requisiti) di dettaglio su cui
indirizziamo lo sviluppo. Di fatto, quindi,
il QFD un vero e proprio strumento di
gestione del rischio esterno. E interessante
notare come un ulteriore gap sia dato dalla
nostra capacit di veicolare limmagine del
prodotto per fare in modo che il cliente ne
percepisca il valore.
Lo sviluppo di un prodotto avr quindi
successo se R&D riuscir a integrare tutti i
requisiti e che questi siano compatibili con:
Tempi di sviluppo
E inutile trascorrere anni nel ricercare
la perfezione, la migliore strategia per
contrastare il rischio di vedersi superare
dai concorrenti quella di essere veloci,
comprendere le esigenze prioritarie,
avere una scala di valori che consenta
di concentrare gli sforzi e il poco tempo a
disposizione su ci che realmente di valore
per il mercato. Su questo - una defnizione
chiara e condivisa iniziale dei requisiti
fondamentale - si eviter il proliferare di
modifche e revisioni che sono tra i principali
sprechi e che incidono pesantemente sul
time to market. (vedi fgura 2)
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DEFINIRE I REQUISITI DI PRODOTTO CON IL QFD
Investimenti in ricerca e sviluppo
e di produzione
Commettere errori nella defnizione
dei requisiti e nella comprensione
delle esigenze del mercato potrebbe
comportare gravissime conseguenze
sulla profttabilit degli investimenti
fatti, causando ingenti perdite, oltre
che procurare un danno dimmagine e
un gap diffcilmente colmabile con la
concorrenza in tempi brevi. E un dato di
fatto, oggi le economie di velocit stanno
sostituendo le economie di scala. Nel
caso meno grave di ripensamento nella
defnizione degli obiettivi, si avrebbero
comunque delle conseguenze dovendo,
di fatto, ammettere di avere buttato tempo,
risorse o addirittura di dover modifcare o
rifare costose attrezzature. E necessario
prendere atto che le decisioni di costo
vengono prese nelle primissime fasi dello
sviluppo, quando si defnisce larchitettura
di prodotto, sostanzialmente si gi decisa
la distinta base e con essa il numero di
componenti e quindi gran parte dei costi di
materiali, attrezzature e assemblaggio. (vedi
fgura 3)
Costo del prodotto e margine di
contribuzione
I contenuti del prodotto sono, nella gran
parte dei casi, proporzionali al costo che
ne deriva. Cadere nellover engineering,
cio nellipertrofa progettuale, pu causare
costi non proporzionali alle aspettative del
mercato, o ancora, pur soddisfacendo le
aspettative a un livello adeguato, fare costare
la stessa funzione pi della concorrenza. E
quindi importante analizzare il valore del
prodotto e valutare bene il target di costo
sulla base delle reali attese del mercato e
quindi avere anche una specie di classifca
dimportanza dei requisiti. Vedremo come
sia questo uno dei risultati pi importanti del
QFD. (vedi fgura 4)
Semplicit, velocit produttiva e lead
time
Come abbiamo gi scritto, la velocit
diventata un fattore decisivo per competere
sui mercati. Essere veloci vuol dire avere
processi produttivi snelli, che possano
sfornare prodotti a ridotto lead time, cio con
Figura 3 - I Costi sono decisi nelle primissime fasi di sviluppo
Figura 4 Over Engineering
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tempi minimi tra ricevimento dellordine
e consegna al cliente. Il successo
dellapproccio lean si deve in gran parte a
questo, allavere posto lattenzione al lead
time come primo indicatore degli sprechi e
quindi dei costi di produzione. Il vero limite
oggi alla riduzione di questi tempi proprio il
prodotto che, con la sua architettura, la scelta
dei processi di trasformazione e il numero di
componenti, determina in gran parte i tempi
per lapprovvigionamento e lassemblaggio.
Sono quindi temi che devono confuire nei
requisiti di un nuovo prodotto, lead time
e takt time devono diventare obiettivi di
progetto, non solo di produzione.
Facilit di confgurazione e di
evoluzione nel tempo
Per gli stessi motivi sopra esposti, il prodotto
deve potersi adeguare velocemente a
nuove esigenze, ai cambiamenti tecnologici.
Una visione strategica da questo punto di
vista fondamentale. E importante saper
immaginare, o comunque fare in modo che,
tra i requisiti di prodotto, vi sia la capacit
di accogliere facilmente modifche a
componenti strategici senza compromettere
anni di sviluppo e investimenti. Le architetture
di prodotto devono essere lasciate aperte
al futuro e alla sua imprevedibilit.
Qualit del prodotto
La qualit non un solo obiettivo produttivo,
la qualit oggi un obiettivo in primo luogo
del progetto. Creare funzionalit robuste e
non soggette a variabilit deve diventare un
obbligo per la Ricerca & Sviluppo. Partendo
dal presupposto che la variabilit nella
natura del mondo, non si possono non
considerare i suoi effetti nelle condizioni
di utilizzo o, ancor meno, nel modo di
produrre. Tutti i requisiti, almeno i pi
importanti, devono ricevere questo ulteriore
vincolo a cui dare risposta in fatto di scelte
progettuali. Ancora una volta, un criterio che
ci consenta, oltre che di defnire gli obiettivi,
anche di quantifcarne limportanza,
fondamentale. A questo punto sottointeso
che la misurabilit degli obiettivi di progetto
deve essere garantita.
IL PUNTO DI VISTA ORGANIZZATIVO
A sostenere la necessit di rendere metodica
la fase di defnizione dei requisiti sono anche
alcuni problemi, chiamiamoli organizzativi o,
pi semplicemente, di comunicazione.
Esiste da sempre ambiguit sulla defnizione
delle specifche di prodotto tra Marketing
(o larea vendite) e Ricerca e Sviluppo.
Generalmente lequilibrio si sposta da un lato
allalto in ragione di dimensioni aziendali,
tipologia di prodotto, consuetudini e forza
manageriale di unarea rispetto allaltra.
Questa ambiguit naturale ed dovuta
alla visione che giustamente le due diverse
aree devono avere, da una parte il cliente
con il suo linguaggio da fruitore, dallaltra
la fabbrica e i tecnici con il loro linguaggio.
E giusto, si devono soddisfare esigenze
del cliente con un prodotto che svolga
delle funzioni, che per forza devono essere
misurate e defnite con criteri oggettivi.
Da una penna mi aspetto una certa
fuidit nello scrivere, chi deve progettare
e realizzare questa fuidit si dar degli
obiettivi di attrito, sceglier inchiostri con
determinate caratteristiche di densit e
individuer un metodo di prova per validare
la stessa fuidit. Questa ambiguit spesso
si traduce in incomprensioni che, dal punto
del vista del marketing, possono essere
riassunte in:
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resistenze da parte dei tecnici a venire
incontro agli input del marketing;
resistenza a sviluppare ci che piace
piuttosto che ci che richiesto (libido
tecnologica);
deformazione degli input provenienti dal
marketing.
Mentre il punto di vista del progettista si pu
riassumere in:
incompletezza delle informazioni sul
prodotto da sviluppare fornite dal
marketing alla progettazione;
continui cambiamenti nelle richieste
durante lo sviluppo;
individuazione delle esigenze prioritarie
talvolta arbitraria o emotiva.
Tutti per, spesso, lamentano la mancanza
di metodo, il QFD la risposta. Lo pu essere
perch chiarisce e incrocia la voce del cliente
con il suo linguaggio fatto di percezioni,
e il linguaggio aziendale, estremamente
formale e numerico. Completato il QFD sar
chiaro e condiviso il percorso logico che ha
portato alla defnizione dei requisiti. Saranno
inoltre evidenti le priorit, quali sono i fattori
che determinano il successo o linsuccesso
del progetto, fornendo a tutti una bussola
per poter prendere decisioni durante tutto
lo sviluppo, senza che arbitrariamente
aspetti secondari possano contrastare lo
svolgimento delle attivit o, peggio ancora,
che si perdano di vista i temi principali di
sviluppo.
CATTURARE LA VOCE DEL CLIENTE
Il primo passo da compiere per defnire i
requisiti di prodotto raccogliere la voce del
cliente, i suoi bisogni.
Il cliente, in relazione alla tipologia di
prodotto, esprime le sue aspettative con
un linguaggio spesso non tecnico e quindi
diffcilmente interpretabile. Questo vero
tanto pi il prodotto business to consumer.
Nel caso invece di business to business il
divario tra il linguaggio del cliente e quello
del fornitore si riduce considerevolmente,
mantenendo comunque una certa distanza.
In questa prima fase necessario
assicurarsi che i bisogni dei clienti siano
stati tutti individuati, sia quelli impliciti che
quelli latenti (chiariremo cosa signifca
questa distinzione), ma anche fare in modo
che tutti parlino lo stesso linguaggio e che
le informazioni siano organizzate in modo
chiaro. E una fase fondamentale perch
orienta tutte le decisioni ed elaborazioni
successive.
Identifcare i clienti, la segmentazione
La segmentazione vitale per analizzare
la Voce del Cliente. Se il cliente non
segmentato opportunamente sar
impossibile arrivare a coglierne la vera
voce . Voci multiple potrebbero portare in
direzioni opposte a quelle richieste.
Non pensabile - spesso - che, con lo
stesso prodotto, si riescano a soddisfare
mercati diversi, tipologie di clienti differenti
con diverse culture, norme e capacit di
spesa.
Questo particolarmente importante
in progettazione, in quanto sarebbero
necessari progetti diversi per soddisfare
segmenti di mercato diversi.
E quindi importante identifcare e focalizzarsi
sui pi importanti segmenti per:
dimensione;
proftto;
strategia di business.
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In particolare chiedendosi:
i bisogni di chi deve soddisfare questo
prodotto/processo per avere successo?
i clienti sono tutti ugualmente importanti?
ci sono altri clienti potenzialmente
fondamentali?
focus sui bisogni dei clienti esterni, ma
occorre considerare anche i clienti/utenti
interni e gli stakeholder.
Si introduce quindi una defnizione avanzata
di Cliente = clienti/utenti esterni e interni,
pi stakeholder.
consigliabile segmentare per focalizzare
lo studio sui clienti pi importanti:
determinare segmenti logici di clienti
(regione, tipo di business, dimensione
etc.);
scrivere una defnizione per ciascun
segmento di clienti;
segmentare o raggruppare i clienti in
base alla similitudine tra i loro bisogni
relativi a prodotti e servizi AREE
OMOGENEE DI BUSINESS;
concentrare prodotti e servizi sul/sui
segmento/i di clienti che hanno scelto
per perseguire le loro strategie di
business;
scegliere i segmenti di clienti in base alla
propria capacit di soddisfare in maniera
redditizia i bisogni dei clienti esistenti
oggi, domani e in futuro, nonch in base
alla propria capacit di sviluppare le
competenze necessarie per soddisfare i
bisogni dei nuovi/potenziali clienti.
E sempre fondamentale individuare i
decision makers e orientare la value
proposition sulle loro necessit. Chi sono
i clienti/gruppi di clienti critici per il mio
Figura 5 - Criteri per la segmentazione
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prodotto o servizio?
Non tutti i clienti/segmenti sono ugualmente
importanti, tra i clienti, si devono identifcare
i pochi fondamentali e i tanti utili. (vedi
fgura 5 e 6 - I diversi clienti per tipologia di
prodotto servizio)
Un approccio utile allidentifcazione di tutti
i possibili clienti quello di formalizzare il
ciclo di vita del prodotto, dalla progettazione
al riciclo a fne vita. Ad esempio:
Progetto In questa fase il cliente il
progettista stesso che potrebbe, ad esempio,
avere interesse nello sviluppare un prodotto
con criteri che lo rendano facilmente
confgurabile (anche se in defnitiva il
cliente fnale che richiede tempi di sviluppo
veloci).
Acquisto materiali In base a obiettivi di
procurement avere interesse a indirizzare il
progetto verso soluzioni o fornitori coerenti
con gli stessi.
Testing e laboratori di analisi - Il prodotto
deve essere validabile, la predisposizione di
connessioni elettriche, diagnostiche o per
apparati di prova spesso non interessa al
cliente fnale.
Produzione Pu esprimere richieste
riguardo dimensioni pesi dei particolari,
materiabili utilizzabili, requisiti di sicurezza
e, come si pu ben immaginare, molti altri.
Logistica Esprime requisiti sulla
trasportabilit, lo stoccaggio, la resistenza
agli urti.
Service Desidera essere effciente e
di poter sostituire, riparare con facilit i
componenti.
Catena distributiva Ha
spesso delle aspettative sulle
modalit di inserimento a
scaffale, oppure opzioni sulla
confgurabilit, pallettizzazione.
Utilizzatore E il cliente
pi importante, il destinatario
della gran parte delle funzioni,
generalmente il cliente su
cui tutti, giustamente si
concentrano.
Enti normativi Tracciabilit delle
informazioni, sicurezza, materiali,
funzionalit obbligatorie.
RACCOGLIERE I BISOGNI DEI
CLIENTI
Una volta individuato il segmento di mercato
e identifcati i clienti di riferimento possibile
capirne i gusti, le tendenze e le inclinazioni
commerciali. Le attente analisi del
comportamento del cliente contribuiscono
a sviluppare creativit e a individuare le
opportunit.
Prima di passare alla descrizione delle
pi comuni modalit di raccolta delle
informazioni inerenti i bisogni, necessario
introdurre unimportante classifcazione
degli stessi, proposta dal professor Noriaki
Kano, che nel 1979 introdusse per primo
lidea della Qualit Attrattiva .
Figura 5 - Criteri per la segmentazione
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Sostanzialmente si classifcano i bisogni
come:
1) BISOGNI IMPLICITI
Quelli che il Cliente d per scontati, che non
dichiara neppure.
Ad esempio nessuno chiederebbe mai al
barista: mi dia un caff in una tazzina
pulita.
2) BISOGNI ESPLICITI
Quelli che il Cliente dichiara espressamente.
Ad esempio specifco il tipo di caffe che
desidero: mi d un caff macchiato?.
3) BISOGNI LATENTI
Quelli che di cui il Cliente non ancora
consapevole.
Ad esempio il barista, che mi ha sentito
chiamare per nome, si rivolge a me dicendo:
Ecco il suo caff, signor Antonio.
Ragionare su questa classifcazione pu
aiutare a capire come vi siano alcuni bisogni
la cui mancata soddisfazione provoca
limmediata contrariet del cliente (i bisogni
impliciti, scontati). Permette di comprendere
che esiste una categoria di bisogni espliciti,
tipicamente degli optional o delle prestazioni
facilmente misurabili, che aumentano
il grado di soddisfazione del cliente
linearmente in base allaumentare della
prestazione stessa. Infne a intendere esiste
una categoria di bisogni, chiamati latenti
la cui soddisfazione provoca entusiasmo
e sorpresa. Questi ultimi sono delle vere
e proprie opportunit e sessioni dedicate
alla loro individuazione andrebbero sempre
condotte allinizio di ogni nuovo progetto.
(vedi fgura 7)
interessante ragionare sul fatto che un
bisogno che oggi latente non lo rimarr
a lungo. Generalmente man mano che il
mercato si adegua e soddisfa il medesimo
bisogno, questo diventa prima esplicito e
poi implicito. Le modalit di controllo degli
schermi touch ne sono un esempio,.
Qualche anno fa era un desiderio latente
(inconsapevole) la possibilit di fare a meno
di un mouse o di una tastiera fsica, oggi
lo si d per scontato ormai in moltissimi
dispositivi.
Come descrivere un bisogno
E molto importante che i bisogni siano
raccolti in modo da non avere, nella loro
stessa descrizione, la soluzione tecnica
specifca. Il bisogno deve essere espresso
nel modo pi generico possibile per
Figura 7 - Il modello di Kano
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specifca. Il bisogno deve essere espresso
nel modo pi generico possibile per
consentire alla parte tecnica di esplorare
le diverse soluzioni che possano condurre
con successo a soddisfarlo al meglio. A
una penna non viene chiesto che si possa
appendere alla camicia con una linguetta
riportata sul cappuccio, pi corretto
fermarsi al si possa appendere a una
camicia, la soluzione va trovata anche al di
fuori della scontata linguetta sul cappuccio.
Ritornando alle modalit di raccolta dei
bisogni, esistono diverse tecniche a
supporto, tra le quali:
Lintervista personale
E una delle tecniche pi utilizzate ed effcaci
per capire direttamente dal cliente quali
siano le sue esigenze. Ai clienti richiesto
di descrivere come utilizzano i prodotti
esistenti e se esistono delle esigenze non
soddisfatte, su queste ultime lintervistatore
insiste cercando di descriverle al meglio.
Successivamente gruppi di lavoro utilizzano
il materiale raccolto per elencare tutti i
bisogni, impliciti, espliciti e latenti.
Gruppi di intervista/focus group
A gruppi di 6-8 clienti chiesto di parlare
dei loro bisogn. Il vantaggio del lavorare in
gruppo consiste nella possibilit di stimolare
il dibattito tra i clienti, osservandone i
comportamenti e le dinamiche in relazione
al prodotto in esame.
Tecniche qualitative strutturate
Ai clienti viene chiesto di confrontare 3
prodotti per volta, ricercando di volta in volta
i 2 prodotti pi simili e i 2 pi differenti e di
dire perch lo sono. Tutto questo per stabilire
la rete di relazioni tra i diversi prodotti.
Tecniche di creativit
Attraverso un facilitatore, che utilizza tecniche
appropriate, si cerca di stimolare in un
gruppo di lavoro aziendale la proliferazione
di idee. Soprattutto si tende far emergere
quelli che potrebbero essere i bisogni latenti,
cio quei bisogni che possono generare un
importante ritorno sul grado di soddisfazione
del cliente e che il cliente stesso, come
ben noto, diffcilmente saprebbe indicarci.
Il QFD IN PRATICA
Abbiamo ora la possibilit di trascrivere le
prime importanti informazioni, i bisogni dei
nostri clienti, e mediante lutilizzo del QFD
trasformarle in requisiti specifci di prodotto.
Sostanzialmente il QFD dovrebbe consentire
di:
acquisire un maggior livello di confdenza
sul fatto che ci che facciamo e
veramente ci che il cliente vuole;
sviluppare una visione (anche grafca)
condivisa dei bisogni e delle vere priorit
del cliente;
parlare tutti la stessa lingua su quello che
il cliente si aspetta da noi consentendo
unintegrazione profonda tra la visione
commerciale e quella di tecnica.
Il QFD - Quality Function Deployment -
anche chiamato House of quality, casa
della qualit. Casa per la sua forma che,
nella rappresentazione classica, ha la parte
superiore somigliante a un tetto.
Nel QFD confuiscono tutta una serie di
informazioni che vanno dalle esigenze dei
clienti allimmagine aziendale e molte altre
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Il QFD nasce a met degli anni 60 in
Giappone grazie, principalmente, al lavoro
del professor Akao. Nei primi anni 80 si
diffonde in occidente e oggi viene utilizzato
da moltissime aziende dei pi svariati settori.
Ad oggi non esistono metodi alternativi tanto
strutturati ed effcaci.
Team di lavoro
Non esistono vincoli relativamente alla
composizione del team che deve condurre
lelaborazione del QFD. fondamentale
per che sia garantita linterfunzionalit,
proprio per avere la pluralit delle fonti di
esigenze e requisiti. Chiaramente le funzioni
commerciali e la funzione ricerca e sviluppo
devono sempre partecipare, in quanto i primi
sono portatori della voce del cliente mentre
i secondi sono responsabili dellesecuzione
del progetto.
I tempi per lelaborazione e le aree di
supporto
Il Quality Function Deployment si sviluppa
durante le prime fasi del processo
di sviluppo nuovo prodotto, che
vanno dallidentifcazione degli input
dal mercato fno alla defnizione
dei target di prodotto. In particolare
supporta le seguenti attivit:
strutturazione ed
evidenziazione della Voce del
Cliente, gli scenari di sviluppo del
segmento e della concorrenza,
a supporto della defnizione
della Scheda Concept (scheda
marketing);
approfondimento della
consapevolezza della Voce del
Cliente e del segmento (mediante
sessioni creative) fnalizzando lo sviluppo
delle idee e di soluzioni Stilistiche e di
Prodotto e relativa descrizione nelle
Schede Idee;
identifcazione e valutazione delle
caratteristiche critiche prioritarie e delle
possibili scelte progettuali alternative
benchmarking tecnico, valutazione dei
margini di miglioramento sia tecnico
che qualitativo;
utilizzazione coerente di tutte le
informazioni acquisite a supporto della
defnizione della Scheda Prodotto
(specifca di base).
Il principale scopo del QFD di fare entrare
la voce del cliente allinterno dellazienda,
declinandola - attraverso - deployment
successivi, in requisiti tecnici, architettura
di prodotto, processi produttivi e procedure
di dettaglio; defnendo a ogni passaggio
quali elementi, per il loro impatto sulla
soddisfazione del cliente, sono di volta in
volta pi importanti sui quali quindi investire.
Figura 8 - Contenuti del QFD
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Figura 9 - Le diverse case della qualit
COME COSTRUIRE IL QFD
IL QFD composto, nella sua versione
classica da 7 zone, chiamate anche
stanze. Nella zona 1 entra la voce del
cliente, nella zona 7 escono i requisiti
di progetto, gli obiettivi di concreto per
lo sviluppo. (vedi fgura 10)
Il primo passo da compiere defnire
lalbero dei bisogni.
ZONA 1 - ALBERO DEI BISOGNI
Scopo dellalbero dei bisogni
lindividuazione, elencazione e
strutturazione dei bisogni del cliente
fno a giungere a una piena e corretta
percezione degli stessi.
I passi principali da compiere sono:
individuazione dei bisogni specifci
di base del cliente (generazione libera
mediante Brainstorming (ad esempio
utilizzando tecniche di creativit);
costruzione del diagramma delle affnit
per tutti i bisogni (raggruppare per gruppi
omogenei);
riorganizzazione dei bisogni
mediante lutilizzo del diagramma
ad albero (collegare logicamente i
raggruppamenti);
eventuale completamento dellalbero dei
bisogni mediante ricerca presso i clienti
con interviste e focus group, come gi
anticipato nei paragraf precedenti.
Proviamo a compiere i vari passaggi
costruendo un QFD (semplifcato) per una
macchina fotografca. In questo caso lalbero
dei bisogni un semplice elenco, dove sono
raccolte in sole 3 categorie di bisogni, a loro
volta inglobati nella principale esigenza, cio
quella di fotografare. Dal fotografare fno
ad esempio a facile da trasportare non si
fa altro che rispondere alla domanda come
(deve fotografare)?. (vedi fgura 11)
Figura 10 - Le diverse zone del QFD
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Una volta elencati i bisogni, con i criteri che
abbiamo fno a qui ampiamente descritto,
possibile stabilire la loro importanza
in relazione al mercato di riferimento
opportunamente segmentato.
ZONA 2 - IMPORTANZA DEI BISOGNI
In questa fase si valutano i bisogni in base
a opportuni criteri che vengono condotti
attraverso la valutazione di importanza
e i livelli di percezione del mercato,
confrontandosi con la concorrenza.
La fnalit di questa fase porre in evidenza i
bisogni prioritari che dovranno fare da guida
nel proseguo del progetto.
Occorre procedere alle seguenti valutazioni:
importanza di ciascun bisogno per il
cliente (attraverso una valutazione
interna e/o indagini esterne);
valutazione di elementi di qualit
negativa (dati storici/difetti/lamentele sui
prodotti attuali);
immagine di marca quali bisogni sono
legati allimmagine di marca che si
vuole diffondere. Non una valutazione
obbligatoria ma, se lazienda vuole
distinguersi sul mercato o fare pesare
alcuni aspetti sul brand, opportuno
completare anche questa parte;
confronto con la concorrenza (analisi
dei competitors).
Per quanto riguarda le modalit di
valutazione, in particolare per importanza e
percezione da parte del mercato su prodotti
simili gi sul mercato, si hanno a disposizone
due possibilit:
1) Valutazioni interne
il team interfunzionale che, in base alle
informazioni disponibili, attribuisce i valori
di importanza e di soddisfazione ai bisogni
del cliente. Di solito vi si fa ricorso quando
non c abbastanza tempo per fare indagini
esterne sui clienti e ci sono comunque
abbastanza informazioni sui problemi di
qualit negativa (dati sulle garanzie, reclami,
report dellassistenza tecnica, etc.). In
questo caso il team prioritizzer limportanza
delle esigenze con una semplice valutazione
numerica, o meglio, mediante la tecnica AHP
Analytic Hierachy Process.
Questo metodo, se lobiettivo non quello di
fare una analisi del valore partendo dal QFD,
pu essere semplifcato a una semplice
valutazione binaria (il metodo AHP nella
sua forma uffciale pi formale e complesso).
Si procede con un confronto a coppie tra
i vari bisogni, una specie di campionato al
termine del quale si ottiene una classifca di
importanza da utilizzare nel QFD.
(vedi fgura 12)
Figura 11 - Albero dei bisogni semplifcato per una macchina fotografca
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2) Valutazioni esterne
Si ottengono mediante unindagine sui clienti,
basate su questionari pi o meno strutturati.
Il supporto di una societ di ricerche
importante, ma la tendenza quella di non
delegare tutto allesterno e di far partecipare
i team di progetto anche a questa fase (non
esternalizzare lapprendimento sulla Voce
del Cliente).
Nel nostro esempio, per semplicit, si
procede con valutazioni basate su valori da
1 a 5. (vedi fgura 13)
I bisogni prioritari possono essere individuati
essenzialmente attraverso due gap
(scostamenti):
1) Gap di valore
Misura la distanza che separa il mio livello
di offerta (prodotto/servizio) dalle aspettative
del cliente. Praticamente, la differenza tra
la valutazione dimportanza di un bisogno
(valore atteso) e la valutazione di
soddisfazione espressa dal cliente sul mio
prodotto/servizio attuale. La soddisfazione
del bisogno espressa dal cliente espressa
in scala 1-5.
2) Gap competitivo
Misura la distanza che separa il mio livello
di offerta (prodotto/servizio) da quello del
migliore concorrente su uno specifco
bisogno del cliente. Praticamente, la
differenza tra la valutazione di soddisfazione
espressa dal cliente sul mio prodotto/servizio
attuale e la valutazione di soddisfazione
espressa dal cliente sul prodotto/servizio del
miglior concorrente (Best Competitor).
Al termine di queste prime valutazioni sar
possibile esprimere gli obiettivi per il nuovo
model l o assegnando i l val ore target di
qual i t percepi ta per i l nuovo prodotto,
Figura 13 - Importanza dei bisogni
Figura 12 - Analisi binaria per la valutazione dei bisogni
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considerando anche la classifcazione del
bisogno secondo lanalisi di Kano (implicito,
esplicito, latente).
Il peso che si ottiene al termine di questa
fase esprime la criticit del bisogno,
ovvero lentit del miglioramento richiesto
dal cliente, rispetto al prodotto attuale.
Nel caso di mercato nuovo, non ancora
coperto da alcun prodotto, il peso dipender
prevalentemente dallimportanza dei bisogni.
Il peso il prodotto di importanza x grado di
miglioramento (rapporto tra soddisfazione
nuovo modello e modello attuale) x immagine
di marca, in pratica la colonna G = A x D x E
Nel nostro esempio, a causa della sua
importanza e del grado di miglioramento
richiesto rispetto al modello attuale sul piano
della percezione, la facilit di trasporto
risultata come lesigenza a maggior peso
per il proseguo della analisi, seguita, come
era logico attendersi dal, deve fare belle
foto. (vedi fgura 14)
ZONA 3 - ALBERO DELLE CARATTERI-
STICHE
I bisogni precedentemente elencati
vengono tradotti in caratteristiche tecniche
misurabili. In un linguaggio cio oggettivo.
Tali caratteristiche costituiscono il modello
sostitutivo per lazienda rispetto alle richieste
del cliente (in forma verbale). In pratica,
sono le risposte concrete che lazienda pu
offrire ai bisogni del cliente.
Si possono adottare due strategie tra di loro
alternative.
a) procedere alla costruzione dellalbero
indipendentemente da quanto ottenuto
dallalbero dei bisogni. Strategia non
consigliata perch impedisce dindividuare
metriche e quindi requisiti nuovi per nuovi
bisogni;
b) costruzione dellalbero delle caratteristiche
derivata direttamente da quanto ottenuto
dallalbero dei bisogni. Questo modo di
operare pi organico e consente di legare
profondamente le due grandi dimensioni del
QFD, mercato e prodotto.
I bisogni del cliente possono essere incrociati
con diverse caratteristiche. Infatti, sulla
base degli obiettivi che lazienda si propone
di raggiungere con il QFD, si possono avere
almeno due diverse possibilit:
1) caratteristiche come attributi di
prodotto.
E linterpretazione pi diffusa, ma la
meno consigliata quando occorre innovare
radicalmente il prodotto (rischio di legarsi
subito alle soluzioni tecniche disponibili). In
Figura 14 - Completamento della analisi dei bisogni
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pratica si defniscono subito i requisiti.
2) caratteristiche come funzioni.
linterpretazione alternativa, quella pi
orientata allinnovazione. Permette di
non vincolarsi alle soluzioni disponibili e
di ripensarle in funzione delle necessit
del cliente. La costruzione dellalbero
delle funzioni comunque indispensabile
per lanalisi del valore e talvolta guida
la ridefnizione della distinta base (da
logica di gruppi ingegneristici a logica di
gruppi funzionali in ottica cliente). E molto
importante, in questa fase - come abbiamo
gi ribadito precedentemente -, non indicare
le modalit con le quali si soddisferanno i
bisogni, ma solo il livello di prestazione.
Questa una fase cruciale perch, una
volta elencate tutte le caratteristiche
misurabili che descrivono i bisogni, sar
possibile confrontarsi oggettivamente con
la concorrenza.
Nella fgura 15 riportato il QFD con
lalbero delle caratteristiche della macchina
fotografca e le relative unit di misura.
ZONA 4 MATRICE CORRELAZIONE
BISOGNI/CARATTERISTICHE
In questa fase si stabiliscono le relazioni
fra ciascun bisogno elementare e ciascuna
caratteristica di prodotto, stabilendo anche
lintensit di questa relazione solitamente con
i valori 1 (scarsa correlazione), 3 (normale
correlazione) e 9 (forte correlazione).
Sostanzialmente deve emergere
limportanza di una data caratteristica in
relazione a tutti i bisogni espressi. Non
infrequente, infatti, che un bisogno sia
impattato da pi di un parametro riportato
sullalbero delle caratteristiche e che - a
sua volta - un parametro, impattando su
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diversi bisogni, potrebbe ottenere uno score
fnale inatteso. Proprio in questo passaggio
risiede una delle caratteristiche peculiari
del QFD: fare emergere anche gli impatti
multipli.
Vanno inserite sia le correlazioni volute
o progettate, sia quelle risultanti con
particolare riferimento agli impatti negativi.
Ci deve essere fatto in valore assoluto,
considerando limpatto. Eventualmente si
possono evidenziare le correlazioni negative
con un campo formato rosso.
Solitamente si procede nella compilazione
per riga, poi riverifcare per colonna ulteriori
impatti dimenticati. Ogni bisogno deve avere
almeno una caratteristica associata, cos
come ogni caratteristica deve impattare
almeno un bisogno, altrimenti si stanno
valutando parametri sbagliati.
(vedi fgura 16)
Mediante una produttoria che sommi in ogni
colonna i singoli prodotti (peso assoluto
bisogni x impatto), otterremo il ranking di
importanza delle singole caratteristiche.
ZONA 5 MATRICE CORRELAZIONE
CARATTERISTICHE/CARATTERISTICHE
In questa seconda matrice, che costituisce
il tetto della casa, le caratteristiche vengono
confrontate tra di loro ad una ad una. La
matrice in questione costituisce un ausilio
agli esperti, mettendo in evidenza come
le caratteristiche siano correlate tra loro e
come modifcandone una si comportano
(in positivo o in negativo) le altre. Questa
zona pu consentire di individuare delle
opportunit (migliorando una caratteristica
se ne possono migliorare altre correlate)
oppure evidenziare delle contraddizioni
(migliorando un parametro ne peggiora un
Figura 16 - Matrice degli impatti Bisogni/caratteristiche compilata
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altro). Questi ultimi sono i classici casi in cui
spesso si opta per un trade off, mentre la
vera opportunit innovare sul prodotto per
superare la contraddizione stessa. Il TRIZ, la
teoria per la risoluzione dei problemi inventivi
(spesso delle contraddizioni tecniche), un
ottimo strumento di lavoro su questi temi.
Un ulteriore benefcio, ottenibile da questa
matrice, la possibilit di vedere quali team
dovranno lavorare a stretto contatto perch
coinvolti nello sviluppare caratteristiche
altamente correlate tra loro. (vedi fgura 17)
ZONA 6 IMPORTANZA DELLE
CARATTERISTICHE
In questa fase vengono valutate le
caratteristiche sulla base di criteri opportuni
defniti in seguito. Vengono evidenziate
le caratteristiche pi rilevanti/critiche, che
guideranno lo sviluppo del progetto.
Le considerazioni vertono su:
giudizio di importanza dei bisogni
trasferito alle caratteristiche (risultato
dallelaborazione delle zone 2 e 4);
grado di diffcolt per ogni caratteristica
(tecnologica, di costo, di affdabilit);
analisi oggettiva delle caratteristiche
citate, relative allo stato attuale
dellazienda ed alla migliore concorrenza.
Come si determina:
attribuire un peso a ciascuna
caratteristica in base alla sua
correlazione con i bisogni del cliente
le voci con peso/criticit elevata sono i
Customer Critical Requirements CCR
(questo peso deriva dalla elaborazione
della zona 4).
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Figura 18 - Benchmarking tecnico e peso delle caratteristiche
Il peso esprime lentit del miglioramento
della performance richiesta, rispetto
allattuale):
identifcare i valori del parametro di
ciascuna caratteristica relativi al prodotto
attuale;
identifcare i valori del parametro di
ciascuna caratteristica relativi ai migliori
prodotti della concorrenza.
more is better: migliore la performance,
pi alto il livello di soddisfazione. Fare
meglio del competitor e/o comprendere
la relazione tra caratteristiche importanti
e soddisfazione del cliente sono possibili
basi per la defnizione dei target;
desiderio: essere aggressivi nello
stabilire i target in quanto possono
derivarne importanti risultati sul mercato;
ZONA 7 OBIETTIVI NUMERICI PER LE
CARATTERISTICHE
Al termine di tutta lelaborazione si hanno
tutte le informazioni per fssare i nuovi
obiettivi numerici per le caratteristiche. Ecco
alcuni suggerimenti:
usare i Customer Requirements come
base per defnire i target, laddove
sia possibile. Ricordare che i bisogni
devono essere soddisfatti, non guardati
come desideri impossibili;
non stabilire i target solo in relazione alla
performance del competitors;
non accettare supinamente i
compromessi sulle caratteristiche pi
importanti, specie in presenza di forti
trade offs;
Kano Model: stabilire i target dopo aver
considerato il tipo di bisogno a cui
riferito;
attenzione: non farsi frenare/vincolare
dalle attuali prestazioni. I livelli di
prestazione dovrebbero essere guidati
dal cliente e non da quanto stato
raggiunto fnora, svincolandosi dal
pensare alle attuali soluzioni tecniche e
ai loro limiti;
accanto a ogni target si dovrebbero
stabilire i limiti di Capability, cio il
campo di tolleranza e la probabilit con
la quale vogliamo rimanere allinterno
degli stessi.
Nel nostro esempio completo, in fgura 19,
abbiamo trovato alcune caratteristiche pi
importanti di altre, ad esempio, risoluzione,
estetica e dimensioni. Parametri questi su
cui si deciso di migliorare per il nuovo
modello.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Al termine della costruzione della prima
casa del QFD possiamo affermare di avere
ottenuto e descritto in un unico foglio:
lelenco dei bisogni valutato;
le prestazione del prodotto/servizio
valutate rispetto a benchmarks interni/
esterni;
levidenziazione dei trade offs sulle
prestazioni, con individuazione di quelli
critici rispetto a cui defnire attivit di
innovazione, sviluppo alternative etc.;
target di prodotto assegnati verifca
della coerenza con input e specifche da
marketing.
Benefci per il processo di sviluppo nuovi
prodotti:
processo condiviso di valutazione del
mercato e defnizione coerente delle
specifche;
si evitato di defnire subito vincoli sulle
scelte progettuali;
si evitato di defnire subito in modo
automatico il miglior compromesso
relativo a trade offs critici;
separazione chiara e logica delle tre
tipologie dinformazione esigenze,
prestazione macro, specifca di
dettaglio, su cui vertono i documenti
fondamentali quali specifche marketing,
specifca base, specifche di dettaglio;
criteri standard di raccolta delle
informazioni;
abitudine a defnire i target di prodotto
in modo completo, corredati di minore
rischio di modifca delle specifche
durante lo sviluppo;
abbiamo capito per ogni tipo cliente:
1. le priorit;
2. i punti di forza e di debolezza rispetto ai
concorrenti;
3. le abbiamo sintetizzate.
abbiamo capito, per ogni tipo di cliente,
le funzioni/contenuti del prodotto
coinvolti negli aspetti critici;
sono evidenti i punti di forza del prodotto,
e i punti di debolezza;
quali sono le caratteristiche/prestazioni
critiche da tenere pi sotto controllo nel
corso dello sviluppo del progetto.
Figura 19 - Impostazione dei requisiti per il nuovo modello
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A questo punto si pu procedere con lesecuzione delle case successive, oppure procedere
alla analisi del valore. Sono tanti gli sviluppi possibili a partire dal QFD, per il momento
accontentiamoci di aver fssato e condiviso i requisiti del prodotto.
Bibliografa consigliata:
Quality function deployment
F. Franceschini
Lingua: Italiano
Quality Function Deployment and Six
Sigma: A QFD Handbook
Joseph P. Ficalora , Louis Cohen
Lingua: Inglese
QFD integrating customer requiremet into
product design
Yoji Akao
Lingua: Inglese
Progettazione e sviluppo di prodotto
K.T. Ulrich, S. Eppinger, R.Filippini
Lingua: Italiano
Figura 20 QFD semplifcato di una macchina fotografca con tutte le stanze compilate
Figura 20 QFD semplifcato di una macchina fotografca con tutte le stanze compilate
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PRODURRE ED ESSERE COMPETITIVI IN ITALIA:
Dove sta andando lindustria in Italia?
Come noto la crisi degli ultimi anni ha colpito
in Italia soprattutto lindustria e in particolare
alcuni settori storici quali la siderurgia e
la produzione di beni di largo consumo. I
fattori che hanno portato a questa situazione
sono da ricercarsi, in generale, nella fase
recessiva - o di rallentamento della crescita
- che stiamo attraversando a livello globale
(sicuramente in Europa). A questa possiamo
tuttavia aggiungere fattori pi peculiari della
realt italiana, quali il costo del lavoro e
dellenergia, che ha portato ad esempio
alcune multinazionali a trasferire le proprie
attivit produttive in altri paesi europei o
extra-europei.
Ci nonostante, sono frequenti esempi
di aziende italiane piccole o medie che,
anche in questo contesto molto diffcile,
riescono non solo a sopravvivere ma anche
a crescere.
Qual il segreto di queste realt e che cosa
hanno fatto queste eccellenze italiane per
superare questi ultimi anni diffcili?
Citare il famoso made in Italy fn troppo
facile, cos come scontato dire che questo
settore ha fatto dellinnovazione del prodotto
e della valorizzazione del brand i fattori su
cui investire per garantirsi la competitivit
nel medio-lungo periodo.
Accanto a questo comparto esistono tuttavia
altri settori, meno declamati ma altrettanto
importanti, che hanno puntato anche e
soprattutto sullinnovazione dei processi e
dellorganizzazione per migliorare le proprie
performance operative (qualit, costi del
prodotto e servizio) conquistando i mercati
internazionali nellera della globalizzazione.
Il comparto della fornitura di beni industrialie
delle numerose aziende di successo che lo
compongono, fa da esempio.
Ci che accumuna queste diverse vie per
il successo e la competitivit la ricerca di
nuovi sbocchi di mercato per ampliare i volumi
daffari attraverso lo sviluppo di soluzioni
personalizzate (di prodotto e/o di servizio)
per il segmento di mercato scelto. lera e
dellesplosione della mass customization
che si va a sostituire alla mass production,
destinata inesorabilmente a essere spostata
nei paesi in via di sviluppo.
Un modello vincente: la lean
production
In questo contesto negli ultimi dieci anni
in Italia - ancor prima negli Stati Uniti e in
altri paesi in Europa - si andato sempre
pi affermando un modello di sviluppo
delle attivit produttive denominato lean
production (produzione snella): nulla
recente (il modello nasce in Toyota Motors
in Giappone negli anni 50-60 ed stato
esportato in occidente gi negli anni 80)
ma ancora scarsamente sviluppato in molti
settori industriali, soprattutto - ahim - in
Italia.
Tuttavia, se 10-15 anni fa questo modello
era considerato una novit o addirittura
inapplicabile nelle aziende italiane per
presunte diversit culturali ed ambientali
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a cura di Alberto Viola
E POSSIBILE?
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PRODURRE ED ESSERE COMPETITIVI IN ITALIA:
E POSSIBILE?
presunte diversit culturali e ambientali
rispetto a quelle in cui il modello nato, oggi
esistono differenti realt di svariati settori
che hanno applicato con successo anche in
Italia la lean production.
Il motivo di questo affermarsi del modello
anche nel nostro paese da ricercarsi
nel fatto che la lean production consente
di progettare e realizzare sistemi
produttivi fessibili, agili (snelli) in grado
di riconfgurarsi con costi contenuti per
supportare la mass customization.
Il modello lean production lunico in
grado oggi, di coniugare leffcacia del
processo produttivo, necessaria per
soddisfare esigenze diverse dei clienti in
termini di prodotto e servizio, con leffcienza
necessaria per mantenere e ridurre i costi di
produzione.
I contenuti di questa e delle prossime
pubblicazioni
Questa rubrica - e quelle che seguiranno
nei prossimi numeri -, non si vuole
sostituire o aggiungere alle gi numerose
pubblicazioni in circolo da anni sul modello
lean production, n intende fornire
trattazioni teoriche leziose e di dettaglio
sulle singole tecniche o strumenti. Lobiettivo
fornire elementi e spunti di rifessione per
stimolare la discussione e approfondire gli
elementi pratici e di applicabilit del modello
in specifci contesti aziendali.
In questo primo numero verranno
presentate le origini e le logiche di fondo
della lean production; mentre nei numeri
che seguiranno saranno presentati i principi
operativi e le tecniche di base che vengono
utilizzate per introdurre il modello in azienda.
Il percorso si concluder con una descrizione
delle specifcit di applicazione del modello
nei diversi settori industriali, classifcabili
secondo le caratteristiche di prodotto e di
processo (vedi fgura 1).
Verranno messe a confronto le situazione
pi differenti tra loro, cio:
- lato prodotto, lapplicazione del modello
nelle produzioni su commessa pura e
nelle produzioni per processo continuo
(es: farmaceutico, chimico, alimentare),
passando dalla produzione di serie ripetitiva;
- lato processo, mettendo a confronto realt
con caratteristiche diverse dellassetto
produttivo (capital intensive, fow shop o
labour intensive, job shop).
Fig 1: La matrice prodotto processo
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30
Le origini del modello lean
production
Come anticipato, il modello lean production
ha le sue origini in Giappone, presso la
Toyota Motors. Il suo inventore, Taiichi Ohno
- presidente della Toyota negli anni 50 - si
trov a dover colmare un enorme gap di
competitivit delle aziende del Giappone,
appena uscito sconftto dalla seconda guerra
mondiale, rispetto alle aziende statunitensi e
occidentali in genere.
Per far fronte a questa situazione e per
colmare il gap in tempi rapidi, evitando di
seguire semplicemente il modello fordista
in auge in quegli anni (modello nato e adatto
per la mass production. Famosa la frase
di Henry Ford: Vendete le auto di qualsiasi
colore purch siano nere), Taiichi Ohno
inizi a osservare le attivit produttive del suo
stabilimento con occhi diversi, ponendosi
sempre la stessa domanda: Quello che sto
vedendo adesso crea valore per il cliente
fnale?.
con questa semplice domanda che il
presidente della Toyota individu e classifc
7 possibili sprechi presenti nelle attivit
produttive (muda, in giapponese).(vedi
fgura 2)
E spreco tutto ci che accade in produzione
e che non aggiunge valore per il cliente
fnale. Alcuni di questi sprechi sono intuitivi,
ad esempio un prodotto difettoso, altri sono
pi diffcili da comprendere perch la cultura
dominante nelle aziende non li considera
tali, ad esempio la sovrapproduzione.
La defnizione dei singoli 7 sprechi la
seguente:
1. Sovrapproduzione: rappresentata
dal materiale (componenti/semilavorati)
immagazzinato o semplicemente fermo
nel processo produttivo in attesa della
lavorazione successiva.
2. Tempo (attese): lo spreco che si
manifesta ogni volta che una risorsa
aziendale (tipicamente macchine o operatori)
interrompono la propria attivit a valore
aggiunto in attesa di materiali/informazioni/
attrezzature necessarie per il proseguimento
delle attivit.
3. Trasporto: si verifca quando un prodotto
viene portato da un punto allaltro dello
stabilimento senza aggiungergli alcun valore
lungo il tragitto.
4. Perdite di processo: si manifestano
quando allinterno di un ciclo produttivo
(uomo o macchina) ci sono attivit che
non aggiungono valore o che
costringono le fasi successive
a eseguire attivit a non valore
aggiunto.
5. Scorte: lo spreco rappresentato
dalla quantit di prodotti fniti che
le aziende tengono nei propri
magazzini in attesa di essere
venduti ai clienti.
6. Movimenti: lo spreco simile
a quello di trasporto, ma associato
agli operatori. E rappresentato da
tutti i movimenti che gli operatori
compiono senza aggiungere
valore al prodotto in lavorazione.
Fig. 2: I 7 sprechi in produzione
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7. Prodotti difettosi: rappresentato da
tutti i semilavorati e prodotti in genere che
vengono scartati o richiedono rilavorazioni
durante il processo produttivo.
I 7 sprechi che, per defnizione, aggiungono
costi senza creare valore aggiunto per il
cliente fnale, rappresentano le aree su
cui intervenire per ottenere un processo
produttivo snello, cio effcace per
soddisfare i clienti e nel contempo effciente,
grazie alleliminazione delle attivit non
necessarie.
Gli sprechi possono essere eliminati
intervenendo sullorganizzazione del
lavoro e senza investimenti rilevanti: si pu
inoltre affermare che il miglioramento di
un processo produttivo senza modifcare
i prodotti - o senza cambiare tecnologia -
passa necessariamente dalla riduzione degli
sprechi.
Un unico nemico da combattere: la
variabilit del processo produttivo
Gli sprechi sono leffetto visibile di un
processo produttivo non snello. Esiste
tuttavia un nemico da combattere pi
subdolo, nascosto e diffcile da individuare,
che la causa stessa degli sprechi, o
almeno di parte di essi: la variabilit del
processo produttivo (pi in generale di tutti
i processi aziendali. I giapponesi chiamano
questo nemico mura.
Se prendiamo, ad esempio, lo spreco
prodotti difettosi, ci che si vede subito
lo scarto o le rilavorazioni che vengono
generate dal processo produttivo. Esistono
in realt, molti altri effetti meno visibili e pi
diffcili da quantifcare, che spesso sono pi
rilevanti in termini di costi per lazienda (vedi
fgura 3).
Fig. 3: Liceberg dei costi generati da un processo produttivo difettoso
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La variabilit del processo produttivo si
contrappone al concetto di standard, uno dei
punti fermi del modello lean.
Lo standard semplicemente il miglior
metodo conosciuto e condiviso oggi per
eseguire unattivit.
Riuscire a ridurre la variabilit di un processo
e fare in modo che funzioni il pi possibile
secondo lo standard defnito uno degli
obiettivi principali del modello lean.
Un cambiamento necessario
Trasformare il processo produttivo secondo
le logiche del modello lean richiede
necessariamente un cambiamento culturale
e di mindset delle persone deputate a
gestirlo e migliorarlo.
Tutti siamo daccordo sul fatto che gli sprechi
debbano essere eliminati, ci nonostante:
siamo certi desser tutti daccordo sul fatto
che la sovrapproduzione - o work in progress
-, in quanto spreco, debba essere ridotta - o
addirittura eliminata - perch nasconde altri
problemi?
Figura 4: Eccessive scorte
e la sovrapproduzione
consentono di produrre
ma nascondono gli
ostacoli e gli scogli del
processo produttivo (gli
sprechi).
In genere accade esattamente il contrario.
Chi si trova a gestire le attivit produttive
considera la sovrapproduzione un fattore
tranquillizzante che consente di proseguire
nelle attivit anche se qualcosa non va per
il verso giusto (ad esempio un impianto che
si guasta o degli scarti a valle di una fase
produttiva).
Analogamente, occorre cambiare mindset
se si vuole accettare uno dei principi operativi
di base del modello lean, che impone di
produrre con lotti sempre pi piccoli.
E che dire del fatto che nel sistema
tradizionale di contabilit industriale le
scorte di magazzino e la sovrapproduzione
rientrano nelle attivit dello stato patrimoniale
andando a incrementare gli utili dellazienda?
I giapponesi chiamano muri l a
predi sposi zi one a gonfi are i l processo
produtti vo con l a sovrapproduzi one
(concetto esattamente opposto a
quello di sistema produttivo snello). In
senso lato muri, in giapponese, signifca
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irragionevolezza e sta a indicare tutti
quei comportamenti radicati nel modo
tradizionale di gestire le attivit produttive
che si contrappongono alle logiche e ai
principi del modello lean.
Superare questi comportamenti tradizionali
- adottando quelli richiesti dal modello lean-
forse la missione pi diffcile da realizzare
per cambiare il processo produttivo e
renderlo pi effciente ed effcace.
Nel prossimo numero vedremo con quali
principi e modalit operative possibile
trasformare i processi produttivi secondo le
logiche del modello lean.
MUDA, MURA, MURI!!! sembra un grido di
battaglia giapponese, in realt sono i 3 mali
del processo produttivo da quantifcare e da
contrastare per ottenere un processo lean,
allo scopo di rendere pi effcaci ed effcienti
le attivit operative.
3 suggerimenti
Vuoi vedere gli sprechi? Mettiti a cavallo
del prodotto e seguilo per tutto il processo
produttivo: individuerai facilmente in quali
momenti non viene aggiunto valore al
prodotto.
Segui il fusso del prodotto e individua dove
si annida la sovrapproduzione: a monte
e a valle dellaccumulo potrai individuare
sicuramente altri sprechi.
Prova a classifcare gli sprechi che hai
individuato. Individua quello pi rilevante e
che genera pi costi per lazienda.
3 spunti di rifessione
Nella tua azienda esistono gli standard
operativi del processo produttivo (chi fa che
cosa e in quanto tempo)?
Quando sono stati rivisti gli standard lultima
volta?
Gli standard sono stati defniti solo per
le attivit cicliche o anche per le attivit
produttive indirette e acicliche (ad esempio:
tempi di setup, movimentazione dei
materiali)?
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a cura di Corrado Ravaioli
LAVORARE, CON METODO,
TRA LE ONDE DEL MERCATO
Investire competenze e professionalit in
un settore affne alle proprie passioni
possibile. Michelangelo Casadei, ingegnere
meccanico di 41 anni, vive a Forl e lavora
presso Ferretti Group come Direttore Qualit
e Miglioramento Continuo. Da sempre lo
accompagna un grande amore per il mare
e la vela in particolare. Trovare il giusto
compromesso tra metodo e pragmatismo
la sua regola per affrontare sempre nuove
sfde.
Quale bagaglio di esperienze ha raccolto
prima di approdare in Ferretti?
Dopo la laurea in ingegneria meccanica, a
Bologna, ho deciso di affrontare unavventura
professionale nel gruppo Fiat che offriva
sulla carta unesperienza completa anche
se un p rischiosa. Prevedeva un periodo
di formazione di 4-5 mesi seguito da tre
incarichi sui tre comparti CNH, Iveco e Fiat
cambiando ruolo, mansione (progettazione,
produzione e sales & marketing) e la sede di
lavoro, prima allestero, poi in Italia.
Quali diffcolt ha incontrato e quali sono
state invece le maggiori soddisfazioni?
Lesperienza stata inizialmente spiazzante
perch avevo una formazione molto tecnica
e mi hanno mandato a fare unesperienza
commerciale in Grecia. In pratica dovevo
lavorare sulla rete di concessionari,
programmare ordini e vendite, monitorando
landamento del mercato.
Per me signifcava interrompere un percorso
tradizionale di specializzazione, iniziare a
costruire la mia professionalit in una realt
di lingua e cultura diverse. Dopo la Grecia
mi sono occupato di attrezzamenti produttivi
e costi del prodotto in CNH, in alta Austria.
Unaltra esperienza di rottura rispetto a
quella precedente. Fino al ritorno in Italia,
a Torino. Lobiettivo fnale del progetto era
infatti quello di riportare le risorse nellalveo
della loro formazione professionale, dopo
aver costruito competenze manageriali (e
interculturali) pi ampie. Ha funzionato.
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LAVORARE, CON METODO,
TRA LE ONDE DEL MERCATO
Sono entrato in Iveco con un ruolo in
progettazione motori diesel industriali. Poi,
nei 4 anni successivi, il mio proflo si
evoluto fno alla responsabilit di Platform
manager su tutta la famiglia di prodotto.
La maggiore ricchezza del periodo in Iveco
stata lopportunit di vivere in prima persona
lo sviluppo di un prodotto nuovo in tutte le
sue fasi. Il giorno della prima messa in moto
del prototipo, nel 2005,
rimane una delle mie
pi grandi soddisfazioni
professionali di sempre.
Che cosa le hanno
insegnato gli anni
vissuti allinterno del
Gruppo Fiat?
E stata sicuramente
una grande esperienza
umana e professionale,
soprattutto per la
rotazione su ruoli diversi
e in Paesi differenti, e
lincontro con persone
di grande spessore e
competenza.
E stata anche una
grande scuola di
metodo, di struttura e di
organizzazione, a volte rigida e complicata,
ma capace di insegnare a individuare ruoli e
fussi corretti, e contenuti chiave delle molte
professioni che fanno vivere e possibilmente
prosperare lorganismo azienda.
A proposito di metodo, cosa signifca per
lei questo termine? Quanto importante
allinterno di un fusso di lavoro per lo
sviluppo di prodotto?
Il metodo linsieme di coerenza, rigore,
organizzazione, pianifcazione secondo
priorit e corretta comunicazione. Sia nella
gestione delle attivit che in quella delle
risorse. Dagli aspetti banali e quotidiani
(il versioning puntuale di un documento,
loggetto e i destinatari corretti di una
e-mail) a quelli piu complessi, nei processi
interfunzionali (ad esempio, la gestione
di una modifca di prodotto). Un po viene
dalla tua formazione, come modo di
pensare e lavorare organizzato, imparato
sin dagli studi. Daltra parte viene dal tuo
percorso professionale. Lesperienza in una
struttura ben costruita, complessa, gestita
e governata secondo certi fussi aggiunge
chiaramente insegnamento di metodo.
Questo per non signifca che i metodi
che conosci siano i migliori in assoluto o
sempre effcaci. Un approccio metodico
una grande ricchezza ma spesso bisogna
avere il coraggio di scardinarlo e aggirarlo, e
questa convinzione arriva pi dallesperienza
di vita che lavorativa. A volte si costretti a
risolvere un problema attraverso un percorso
alternativo. Lidea che lunica strada che
conosci quella che ti porta alla meta pu
limitarti.
Il fatto di affrontare esperienze nuove,
assumere ruoli non troppo noti, incontrare
persone diverse ti aiuta ad affnare questa
capacit.
Quando ha deciso di cambiare rotta?
La scelta, a fne 2008, stata dettata in
parte da una visione diversa sulla strategia
di prodotto, rispetto a quella aziendale del
momento, ma allo stesso tempo avevo
voglia di affrontare nuove sfde e ampliare la
mia esperienza.
Non sar un caso se ha scelto il Gruppo
Ferretti e quindi un settore molto affne
alla sua passione, quella per il mare.
Lavorare nel Gruppo Ferretti mi ha dato la
possibilit di avvicinare ulteriormente la sfera
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professionale alle mie passioni, cosa che
considero un grande privilegio nel contesto
attuale.
Linteresse per il prodotto e la grande
passione per la cultura navale e gli sport
nautici, hanno contribuito a indirizzare la
scelta verso la mia attuale azienda. Ho
cominciato ad andare in barca per caso,
verso i sette anni, poi sono passato alla
pratica agonistica partecipando, con buoni
risultati, a varie regate. Infne mi sono
dedicato allinsegnamento. Negli ultimi anni,
ho assunto la guida del Circolo Nautico
del Savio (Ravenna ndr), unassociazione
sportiva dedita alla diffusione delle attivit
nautiche e alla formazione dei giovani nello
sport della vela.
Che soddisfazioni le d questo ruolo?
Per me un modo per reinvestire nel sociale
una professionalit che ho acquisito negli
anni sul lavoro. Un Circolo sportivo equivale
oggi in tutto a una piccola azienda per i
vari aspetti organizzativi, fscali, gestionali
e burocratici, anche se tutto svolto su
base volontaria e la fnalit lo sviluppo,
non il proftto. Offre ai giovani la possibilit
di avvicinarsi a uno sport bellissimo
e rappresenta un piccolo motore per
leconomia del luogo.
Invece di cosa si occupa in Ferretti?
Inizialmente mi sono dedicato alla
riduzione dei costi del prodotto attraverso
la standardizzazione e modularizzazione
dei contenuti tecnici e industriali, attraverso
attivit di engineering ma anche di acquisto,
gestione e sviluppo delle forniture.
Dal 2011 invece mi occupo di Qualit,
collaudi e miglioramento continuo. Nella
riorganizzazione seguita ai cambiamenti
del 2009, ho sviluppato il Team di persone e
le attivit partendo da esperienze e metodi
che prima erano legati a singoli marchi e
cantieri, centralizzando e rafforzando
lorganizzazione del lavoro.
Dalle regate alle imbarcazioni di lusso,
quali sono state le sfde pi impegnative?
Sicuramente quelle sul lavoro. Ferretti, come
tutte le aziende di questo settore, una
realt molto pi dinamica e meno metodica
di altri settori industriali nei quali ho lavorato.
E fondamentale avere sempre chiaro
lobiettivo, lorganizzazione per raggiungerlo
e lattuazione di quello che avevi previsto,
ma anche la fessibilit e la capacit di
trovare soluzioni non standard: non
forse un caso che le pi grandi eccellenze
nautiche siano italiane. E questo ancora
pi importante in un settore caratterizzato
da un prodotto molto complesso, che integra
conoscenze tecniche diverse, dai compositi
agli arredi, dalla propulsione meccanica ai
sistemi elettrici, idraulici, allelettronica, che
combina saper fare artigianale con esigenze
industriali, perfezione estetica e prestazioni
funzionali. Un settore a bassi volumi dove gli
aspetti affdabilistici e di durata sono diffcili
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da testare, e non ultimo si fa prodotto
che vive in un ambiente naturale
sfdante e pieno di variabili, che a
cascata si ripercuotono su ci che devi
rendere disponibile affdabile e pronto
sul mercato. In questo settore, trovare
il compromesso tra metodologia e
pragmatismo diventa fondamentale.
Siccome ha citato di nuovo questa
parola le chiedo una defnizione
di metodo, alla luce delle sue
esperienze professionali.
Come ho gi detto lavorare con metodo
signifca avere un quadro chiaro degli
elementi da acquisire, dei passaggi da
fare, delle competenze e dei metodi da
utilizzare, degli attori da coinvolgere per
arrivare a un risultato. La defnizione
ampia. Altrettanto importante la capacit
di vedere i limiti del metodo che si sta
applicando.
Fondamentale anche la gestione delle
risorse secondo un approccio metodologico:
le persone, quelle valide, vanno messe
al centro dellattivit professionale,
responsabilizzate, parlando in modo chiaro,
facendo capire il perch di una richiesta.
Fondamentale guidare con lesempio: a
volte si ottengono migliori risultati senza
calare dallalto disposizioni ma facendo
leva sulla responsabilit e motivazione
personale, daltra parte le linee guida
devono essere chiare e non opinabili. Non
ultimo, necessario evidenziare lobiettivo
complessivo rispetto a quello intermedio,
avere e dare una visione dinsieme, riuscire
a distinguere tra importante e urgente.
Non devo rischiare di concentrare le mie
energie nel punto sbagliato di un processo
produttivo, di vendita o comunque di
business.
Parliamo di sviluppo di prodotto. Quali
possono essere alcuni suggerimenti per
raggiungere il risultato?
In questo momento storico, fondamentale
riuscire a coniugare creativit e innovazione
nei contenuti con metodologia e rigore
nellimplementazione, dal concept al
mercato. Oggi, vista la pressione fnanziaria
e le risorse limitate, non si pu sbagliare,
ma non si deve perdere il coraggio di
sperimentare e dinnovare. Una ricetta
quella di lavorare molto sullobiettivo. Devo
sapere cosa voglio, cosa vuole il mio mercato
di riferimento, il cliente e cosa fanno gli altri.
Poi nel lavoro di sviluppo bisogna essere
capaci di curare ogni dettaglio del processo,
sapere come fare, cosa fare e quando.
Il livello delloutput richiesto veramente
molto alto nei mercati e nei settori maturi,
per cui il risultato deve essere allaltezza. Un
aspetto chiave mantenere il saper fare in
azienda e sul territorio: se posso consigliare
una lettura, Make it in America di Andrew
Liveris un libro illuminante e attualissimo
sul tema, parla di nord America, ma fatte
le dovute proporzioni, i concetti valgono
ugualmente per Europa e Italia.
Unultima cosa: cosa pensa degli
incubatori aziendali?
Lidea in s stimolante. Oggi fare
azienda pi complesso e oneroso di un
tempo. Il fatto che uninfrastruttura possa
aiutare a sbrigare aspetti normativi, fscali
e burocratici pu agevolare la creazione di
una nuova impresa. Ho due amici che hanno
seguito con grande successo questa strada,
avviando dentro un incubatore una start-up
che oggi un laboratorio chimico affermato,
a Torino. Ci sono per anche molti casi di
progetti senza seguito, che rimangono in
vita solo fno a che sono assistiti. Questo
dimostra che alla base deve esserci unidea
davvero forte, poi lincubatore pu essere un
aiuto.
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Il 23 maggio 1961 il Presidente degli USA
John F. Kennedy indirizz un messaggio
al congresso che, tra le altre cose, diceva:
Credo che questo Paese debba impegnarsi
a raggiungere, prima che questo decennio
sia trascorso, lobiettivo di fare atterrare un
uomo sulla Luna e di riportarlo sano e salvo
sulla Terra.
Con questo messaggio diventato famoso
iniziava il Progetto Apollo e il primo obiettivo
indicato da Kennedy nel suo messaggio
veniva raggiunto il 20 luglio 1969 quando
la navicella spaziale Eagle della missione
Apollo 11 atterrava sulla Luna e gli astronauti
Neil Armstrong ed Edwin Aldrin potevano
passeggiare sul suolo lunare. Il secondo
obiettivo e la conclusione del Progetto
Apollo venivano raggiunti pochi giorni dopo,
il 24 luglio, quando i due astronauti e il
loro compagno di missione Michael Collins
rientravano felicemente sulla terra.
Il Progetto Apollo durato 8 anni, aveva
comportato un investimento di 24 milioni
di dollari e il coordinamento di 400.000
persone, di 20.000 aziende appaltatrici e di
moltissimi laboratori universitari di ricerca,
con lo scopo di ottenere in un periodo di
tempo ben determinato un risultato unico,
mai realizzato prima, addirittura impensabile
per molti.
Le ragioni del successo della missione Apollo
11sono state sia la soluzione di moltissimi
complessi problemi scientifci, tecnologici e
umani, sia leffcace applicazione di valide
tecniche di gestione progetti.
Quando si parla di progetti, non
necessariamente si deve pensare a imprese
ciclopiche quali il Progetto Apollo. La parola
progetto ha prevalentemente unaccezione
pi contenuta, alla nostra portata e inerente
la nostra vita quotidiana sia professionale
che privata. Basti pensare alle innumerevoli
interviste televisive (promozionali) a scrittori,
pop star, attori, presentatori: Dicci quali
sono i tuoi progetti. Noi attiviamo un
progetto quando, per esempio, dobbiamo
organizzare il matrimonio di nostra fglia
(caso questo in verit molto simile al
Progetto Apollo in termini di complessit
e impiego di risorse), quando dobbiamo
programmare le nostre vacanze e persino
quando andiamo al supermercato a fare la
spesa.
PROJECT MANAGEMENT
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introduzione del libro Project Management di Alberto Fischetti
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La gestione progetti, o project
management, implica la pianifcazione e il
controllo di un gruppo di risorse allo scopo
di raggiungere un ben defnito risultato.
Per alcuni tipi di aziende, la gestione dei
prodotti costituisce la base della loro attivit.
Pensiamo alle societ di ingegneria, alle
imprese di costruzioni, alla cantieristica
e in generale alle aziende che realizzano
prodotti su commessa. In queste aziende il
project management parte integrante ed
essenziale del proprio patrimonio culturale.
Cio, in altre parole, la loro capacit critica.
La gestione dei progetti comunque
importante anche per altri tipi di
organizzazioni, che in condizioni normali
operano in base a processi aziendali
ripetitivi. Basti pensare, per esempio, al
lancio di un nuovo prodotto, al trasferimento
di uffci in unaltra sede, allinstallazione di
una nuova linea produttiva, allampliamento
di un magazzino etc.
Questa pubblicazione si rivolge a tutti
coloro che operano in questultimo tipo
di organizzazione, nella convinzione che
proprio questi soggetti, possano migliorare i
propri ri sul tati professi onal i appl i cando
alcune tecniche di base del project
management a progetti di piccola o media
complessit. Fra i nostri lettori non vogliamo
includere tutti coloro la cui attivit basata
sul lavoro per progetti indistintamente,
bens coloro che devono affrontare le
problematiche della gestione dei progetti.
Chiediamo anticipatamente scusa agli
appassionati lettori dei romanzi di Arthur
Conan Doyle per la maniera grossolana e
approssimativa con cui abbiamo evocato
i due personaggi di Sherlock Holmes e
del suo amico, Dottor Watson. Avevamo
semplicemente bisogno di un personaggio
che facesse domande e di un altro che
desse risposte (possibilmente sensate),
cos abbiamo deciso di ricorrere a questa
celeberrima coppia della letteratura
popolare. Non ce ne vogliano i cultori di
questi personaggi per tale profanazione!
Avendo scelto di utilizzare i personaggi
di Holmes e Watson nei ruoli di mentore
e allievo, abbiamo ambientato la nostra
narrazione nellanno 1899: era lanno in
cui iniziava la guerra anglo-boera e si
preparava lEsposizione Universale di Parigi
del 1900. Il museo delle statue di cera
di Madame Tussaud era gi collocato in
Baker Street, vicino allo studio di Sherlock
Holmes e costituiva gi allora unattrattiva
universalmente nota.
(Continua sul prossimo numero...)
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LIFE CYCLE DESIGN, LA VISIONE
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a cura di collettivo NUUP, Sustainable Creativity. Illustrazioni grafche a cura di Gloria Escobar e Jared Jimnez per il collettivo NUUP, Sustainable Creativity.
Introduzione: la sostenibilit inizia
dalla comprensione dellunit
funzionale
Levoluzione dellumanit indissolubilmente
legata alluso e alla produzione di oggetti,
in un primo momento trovati in natura e
adattati allo scopo e successivamente
progettati pi accuratamente sulla base
delle risorse presenti in natura. Vista la
limitata quantit, o la lentezza rigenerativa
di alcune di queste risorse e il parallelo
incremento della popolazione, negli ultimi
anni stato necessario ripensare il progetto,
dando maggiore peso alle performances
ambientali e tenendo conto della resilienza
della terra rispetto alle attuali attivit della
nostra specie, tra le quali la produzione
e la distribuzione di beni giocano un ruolo
rilevante.
I Limiti dello sviluppo furono evidenziati
gi dagli anni 60-70 nellomonimo rapporto
del 1972 commissionato dal Club di Roma
al MIT, dove lautrice Donella Meadows,
chiar che tale linea di sviluppo non poteva
rimanere invariata senza gravi conseguenze
per la popolazione, il sistema industriale
e lambiente. Questo rapporto giunse in
un periodo storico enfatizzato dal boom
economico, in cui linnovazione e il progresso
sembravano coincidere con inesauribili fonti
a cui attingere e fu considerato un monito
verso la crisi petrolifera del 73, che mostr
la dipendenza della nostra economia dalle
risorse non rinnovabili e che potevano,
quindi, esserci negate.
Come concepire, allora, uno sviluppo che
potesse far fronte alla limitatezza delle
risorse che finora lo avevano sostenuto?
Nel 1987, la Commissione Internazionale
sull Ambiente e lo Sviluppo (WCED),
pubblic il documento, Our Common
Future, in cui si attribu a tale scenario il
termine sviluppo sostenibile, che indicava
il soddisfacimento dei bisogni dellumanit
senza la compromissione per le generazioni
future di soddisfare i propri bisogni. Ma gli
anni della globalizzazione vedono questa
possibilit messa a dura prova, anche per il
fatto di garantire ai paesi emergenti un eguale
possibilit di sviluppo e, quindi, linevitabile
incremento dello sfruttamento globale delle
risorse, a cui gi oggi attingiamo ben oltre
la capacit della terra di rigenerarle. A
questo proposito, da qualche anno, stato
istituito lEarth Overshoot Day, il giorno in
OLISTICA DEL PROGETTO
LIFE CYCLE DESIGN, LA VISIONE
a cura di collettivo NUUP, Sustainable Creativity. Illustrazioni grafche a cura di Gloria Escobar e Jared Jimnez per il collettivo NUUP, Sustainable Creativity.
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cui iniziamo a essere in debito ecologico
nei confronti del nostro pianeta (20 agosto
per il 2013). La data viene calcolata ogni
anno dal Global Footprint Network, sulla
base di due indici: limpronta ecologica e la
biocapacit della Terra.
In ambito progettuale questa consapevolezza
ha fatto s che si passasse in molti casi da
un approccio end of pipe (intervento a valle,
con rimedio a danno gi avvenuto) a un
approccio di cleaner production, il cui scopo
prevenire il danno ambientale. Per attuare
ci necessario avere chiaro il processo
sistemico che caratterizzer lintero progetto,
calcolandone gli impatti ambientali in ogni
suo aspetto. Lo strumento al momento pi
approfondito per analizzare tutti gli input
(consumo di risorse naturali) e gli output
(rifuti/scarti ed emissioni inquinanti) di un
prodotto/servizio lAnalisi del Ciclo di
Vita (o LCA da Life Cycle Assessment),
che studia il progetto nella sua interezza,
dallestrazione delle risorse al fne vita.
Questa metodologia, sviluppatasi negli
anni 90, induce il progettista ad assumere
un approccio pi sistemico e olistico,
affnch valuti tutti gli aspetti dinterazione
con lambiente del progetto, indirizzando
lattenzione del designer dalloggetto in s
alla sua unit funzionale, perch su questa
che si basano lanalisi e la comparazione tra
le scelte pi o meno sostenibili da applicare
in fase progettuale. Ci permette di allargare
il raggio dellinnovazione dalla categoria di
prodotto al suo intero sistema.
Unit funzionale, obiettivi, inventario,
analisi e interpretazione dei risultati:
verso il Life Cycle Design
Una LCA descrive in maniera oggettiva
il sistema che genera e accompagna un
prodotto o servizio durante tutto il suo Ciclo
di Vita e ne valuta, attraverso lo studio
dei fussi in entrata e in uscita, i potenziali
impatti ambientali. I fussi in entrata (defniti
come input) sono rappresentati da qualsiasi
risorsa utilizzata durante la vita del prodotto:
dalle materie prime ai combustibili, dagli
agenti chimici fno ai carburanti impiegati.
I fussi in uscita (output) sono linsieme dei
residui/rifuti generati in ogni fase, assieme
alle emissioni termiche, atmosferiche, in
acqua e nel suolo.
La struttura di una LCA, riferimento per
tutti coloro che si dedicano a elaborarla, si
basa sulle linee guida introdotte durante
il convegno SETAC nel 1990 in Vermont e
sono riconfermate nella famiglia di Norme di
odierno riferimento ISO 14040.
Sono quattro i momenti che guidano questa
analisi:
1) Goal and Scope Defnition, Defnizione
degli Scopi e degli Obiettivi;
2) Life Cycle Inventory Analysis (LCI), fase
di Inventario;
3) Life Cycle Impact Assessment (LCIA),
fase di Analisi;
4) Li f e Cycl e I nt er pr et at i on, f ase di
I nt er pr et azi one dei Ri sul t at i .
di grande importanza defnire sin dallinizio
il sistema e lunit funzionale delloggetto in
esame, oltrech individuare nella prima fase
gli obiettivi dello studio e gli scopi (Goal and
Scope Defnition). Sono proprio questi che
OLISTICA DEL PROGETTO
LAnalisi del Ciclo di Vita pu essere applicata sia a un prodotto che a un servizio o un processo. Dora in poi, per
semplicit di lettura, faremo riferimento solo al prodotto, ma si consideri questa nota laddove non vi siano precisi riferimenti
a un oggetto fsico.
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spingono unazienda ad affrontare una LCA
per conferire al proprio prodotto unetichetta
ambientale (come ad esempio lEcolabel),
sviluppare una Dichiarazione Ambientale di
Prodotto (EDP) o per pianifcare interventi
volti a migliorare le problematiche emerse
dalla stessa analisi.
La seconda fase di Inventario quella in
cui si raccolgono tutti i dati oggettivi che
compongono il sistema indagato, composto
da tutte le fasi della vita delloggetto; ovvero:
acquisizione delle materie prime, produzione,
trasporto e packaging, distribuzione, uso e
manutenzione, dismissione. I dati vengono
espressi in unit di misura (kg, km percorsi,
KWh, etc.), raccolti sul Campo di Studio e
sono defniti come Primary Data. Il vantaggio
di utilizzare tali dati quello di ottenere
un risultato quanto pi vicino alla realt e
instaurare una collaborazione profonda
con lazienda. Qualora non fosse possibile
reperire dati sul campo perch, ad esempio,
si ignorano alcuni processi di lavorazione
applicati a monte della catena, ci si avvarr
dellutilizzo di Banche Dati (Secondary
data). Secondo la Normativa ISO 14040
necessario citarne la provenienza e la data,
ai fni di una buona ricerca i dati devono
essere attendibili e attualizzati.
Tutte le informazioni che emergono dalla
fase di Inventario costituiscono la base
per la successiva fase di Valutazione degli
Impatti, regolamentata dalla Normativa ISO
14040 e 14044, in cui occorre esaminare i
potenziali effetti ambientali su
cui dirigere lo studio.
Le categorie di impatto
ambientale pi comuni
sono ad esempio leffetto
s e r r a , l a c i d i f i c a z i o n e
(l aument o del l ani dr i de
carbonica nellatmosfera che
causa un consequenziale
aumento di CO2 nellacqua
alterandone lEcosistema),
leutrofzzazione (la comparsa in
ambiente acquatico di eccessivi
organismi vegetali), lerosione
del suolo, limpoverimento
delle risorse idriche, i danni
al paesaggio e alla salute
umana, la degradazione dellarea a livello
locale. In base ai possibili scenari si procede
con lorganizzazione dei dati raccolti
nellInventario che vengono sintetizzati e
quantifcati nella forma pi opportuna.
La fase di Interpretazione, quarta e ultima,
ha lo scopo di massimizzare lEcoeffcienza
di un sistema evidenziando quali siano i
principali impatti emersi dalle precedenti
fasi in maniera chiara e consistente in
grado di offrire uno strumento completo per
poter progettare soluzioni che ne riducano
gli effetti ambientali o di poter sostenere,
con dati oggettivi, i requisiti per ottenere
lEtichettatura Ambientale.
I risultati dellLCA uniti alle competenze
dellEcodesigner danno vita a una nuova
metodologia di progettazione sostenibile: il
Life Cycle Design.
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LCA: approccio qualitativo e
strumento utile per le aziende
La diffusione di una coscienza ambientale,
la crescente domanda di prodotti sostenibili
da parte dei consumatori e la relativa
possibilit di sviluppo per le imprese, cos
come lentrata in vigore di normative europee
e la migliorata capacit di controllo degli
apparati tecnico - amministrativi preposti,
hanno impostato un nuovo scenario, defnito
Sviluppo Sostenibile, centrato sulla
compatibilit tra produzione industriale e
ambiente. Le grandi aziende, come anche la
PMI, si stanno adeguando al raggiungimento
dellobiettivo Eco-effcienza che, di fatto, si
trova sempre pi a coincidere con quello della
Qualit Totale, ci comporter un nuovo
modo di procedere allinterno delle aziende:
il progetto e la creazione di nuovi prodotti
sar accompagnato dalla valutazione del
loro Ciclo di Vita.
La SETAC (Society of Environmental
Toxicology and Chemistry) nel 1993 defn
lLCA come una metodologia in grado di
individuare e analizzare i principali impatti
ambientali legati al Ciclo di Vita di un prodotto
o di un processo e, sulla base dei risultati
ottenuti, adottare soluzioni tecniche in grado
di ridurre gli impatti ambientali come anche i
relativi costi esterni. Tale approccio promuove
la sostenibilit ambientale del prodotto e
consente alle aziende di migliorare anche
la qualit tecnico-ambientale dei processi di
lavorazione impiegati nella produzione dello
stesso.
Un Ecodesigner dovrebbe partire da
una consapevole scelta dei materiali e
analizzare il Ciclo di Vita del suo prodotto
individuandone gli impatti ambientali pi
signifcativi. La sfda di un progettista
entusiasmante: creare un prodotto
funzionale, dal contenuto emozionale e
comunicativo, senza dimenticare gli aspetti
economici e di sostenibilit ambientale. Per le
aziende i vantaggi ambientali si trasformano
spesso in possibilit di risparmio economico
sul processo di produzione, basti pensare
in termini economici a strategie come:
minimizzazione del materiale, impiego di
materiali riciclati, studio del packaging per la
riduzione dei volumi e lottimizzazione dello
spazio in fase di trasporto e stoccaggio,
la riduzione e semplifcazione dei pezzi
nella fase di assemblaggio (che costituir
una facilitazione anche nella fase di
disassemblaggio per la dismissione e il
riciclo), solo per citarne alcune.
LLCA, quindi, pu essere adottata per
innovare le caratteristiche di un prodotto
rendendolo pi performante, non solo
dal punto di vista ambientale, ma anche
per quanto concerne il suo utilizzo (minor
consumo di energia, maggiore facilit duso,
meno elementi) e, ancora, per valutare
limpatto ambientale di un nuovo processo
produttivo prima di costruire uno stabilimento,
oppure per supportare la comunicazione di
marketing con dati scientifci comprovati.
In pi, applicando questo tipo di analisi,
possibile confrontare soluzioni diverse per
soddisfare la stessa esigenza.
La ricerca Life Cycle Assessment: A Guide
for Sustainability and Strategy Executives,
realizzata da Green Research ha evidenziato
che i tre principali benefci ottenuti dalle
realt aziendali mediante una o pi analisi
LCA sono:
1) supporto nella realizzazione di prodotti
migliori;
2) possibilit di rispondere adeguatamente
alle richieste dei consumatori;
3) ottenere basi scientifche su cui fondare
lo sviluppo dei processi di sostenibilit
aziendale.
Le principali barriere alla diffusione di questo
metodo invece sono rappresentate da:
1) diffcolt da parte del management
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aziendale di comprendere pienamente i
benefci derivanti dallLCA;
2) tempi necessari per condurre le analisi e
relativi costi;
4) carenza di leggi e regolamenti che
richiedano obbligatoriamente la loro
applicazione.
Il report conclude affermando che tempi
e costi potranno diminuire inversamente
rispetto alla diffusione tra le aziende
dellutilizzo di questa metodologia e quanto
pi si moltiplicheranno database e iniziative
di collaborazione tra imprese sulla tematica.
Parallelamente si modifcheranno anche
le fnalit con cui i manager utilizzeranno i
dati provenienti dalle Analisi del Ciclo di Vita
che ora vengono usati prevalentemente
per validare decisioni gi prese o per
ampliare le conoscenze sui processi o sui
prodotti mentre, in un futuro prossimo, le
aziende se ne serviranno sempre di pi
anche per progettare e innovare, agendo
proattivamente.
LCA e comunicazione ambientale
Sulla base dei dati emersi da un LCA
le aziende hanno strumenti diversi per
comunicare la sostenibilit dei propri prodotti.
Vi sono da un lato le etichette ambientali
(ISO 14024) come, per esempio, lEcolabel,
unetichetta della Comunit Europea che
dichiara prodotti virtuosi basandosi su criteri
diversi per ogni categoria di prodotto e
incentivandone lanalisi del ciclo di vita.
Vi sono poi le dichiarazioni ambientali di
prodotto, EPD, in cui un ente certifcatore
esterno allazienda riporta informazioni
ambientali sul prodotto in base a
parametri prestabiliti basati sullLCA. Le
dichiarazioni ambientali possono anche
essere autodichiarazioni (ISO 14021),
che il produttore utilizza per comunicare
autonomamente caratteristiche ambientali
come la presenza di un materiale rinnovabile,
riciclato, riciclabile o certifcato (FSC, Cradle
to Cradle, etc.).
Questo genere di documenti risultano
essere meno comunicativi verso il grande
pubblico rispetto allimmediatezza di
unetichettatura,ma sempre a partire
da una LCA che possibile predisporre
una comunicazione pi coinvolgente per i
consumatori.
Abbiamo visto come lapproccio sistemico
dellAnalisi del Ciclo di Vita implichi la
comprensione di ciascuna fase del progetto,
sarebbe dunque sbagliato escludere da
questa visione dinsieme il consumatore,
colui che interagisce con loggetto, che ne
viene a conoscenza, ne comprende le qualit
e le possibilit, le comunica ad altri, lo usa e
lo dismette. Buona parte di questo processo
appena citato avviene proprio mediante la
comunicazione, che pu passare attraverso
la pubblicit, il packaging e il materiale
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informativo di vario genere
(brochure, foglio illustrativo,
etc.). Questa fase dovrebbe
essere vista come parte
integrante del progetto
e il designer tenuto a
progettare anche laspetto
comunicativo per accrescere
la consapevolezza del
consumatore verso uno stile
di vita pi sostenibile, perch
possiamo dire che un progetto
ecologico, i cui virtuosismi
ambientali non sono ben
comunicati, ha raggiunto il
suo scopo solo a met.
Anche se gli esempi di
comunicazione basata sui
risultati dellLCA sono ancora
pochi, le imprese pi attente
a fornire dati ambientali ai
propri clienti sono in crescita, motivo per
cui si iniziano a diffondere svariate forme
di comunicazione, pi o meno creative,
fnalizzate alla restituzione di tali informazioni
attraverso i diversi approcci di marketing.
La Arjowiggins Graphic, azienda che
produce carta riciclata per usi tecnici, riporta
nel suo sito web il Ciclo di Vita del prodotto
ponendo in evidenza, per ogni fase, le sue
migliori caratteristiche ambientali. (rif. http://
www.arjowigginsgraphic.com/life-cycle-of-
recycled-paper-438.html).
LAnalisi del Ciclo di Vita stato utilizzato
anche per comunicazioni pi dirette
e creative, si pensi ad Arene Birt, un
information designer che utilizza le
informazioni ambientali come base per
storytelling visuali molto coinvolgenti. Sono
molti i casi studio da analizzare sul suo
sito web (rif. www.backgroundstories.com):
dal tavolo interattivo che riconosce il cibo
che vi si poggia e ne racconta la storia
ambientale, alla t-shirt per Droog Design la
cui decorazione coincide con lanalisi LCA
della maglietta stessa, alle confezioni di
caff che raccontano i retroscena ambientali
e sociali del prodotto contenuto.
Il designer Kenji Huang utilizza unAnalisi
del Ciclo di Vita comparativo per evidenziare
le maggiori performances ambientali del suo
progetto e usa il caratteristico grafco ad
albero, (rif. http://dl.dropboxusercontent.
com/ u/ 4716241/ LCA%20Post er %20
Optimized.pdf), tipico dei software di analisi
LCA, per narrare il processo creativo che lo
ha portato a realizzare Ima-Jen, un kit di gioco
per bambini. Infuenzato dallAnalisi del Ciclo
di Vita di un prodotto simile, presente sul
mercato, e del quale ha individuato alcune
criticit ambientali (nonostante fosse gi un
prodotto che si dichiarava ecologico), Huang
ha cercato di ridurle migliorando ancora di
pi le prestazioni ambientali e sociali del
suo progetto. Questo tipo di comunicazione
risulta essere molto tecnica anche se resa
in forma grafca, ci nonostante riesce a
mettere in evidenza anche a un pubblico di
non addetti ai lavori, valutazioni progettuali
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riguardanti un minore impiego di materiale e
una maggiore semplicit del prodotto e del
packaging. Scelte che, anche per lopinione
comune, sono sinonimo di Sostenibilit
Ambientale.
LCA e strategie di Ecodesign
importante defnire laccezione del termine
Ecodesign, inteso come Life Cycle Design
(LCD), traducibile con progettazione del
Ciclo di Vita dei prodotti. LEcodesign o
lEcoprogettazione quindi la considerazione
dei fattori ambientali nella progettazione e
nello sviluppo di prodotti e di servizi.
Il Life Cycle Design si propone come un
approccio pi generale alla progettazione,
il suo obiettivo quello di ridurre il carico
ambientale associato a un prodotto
nellintero Ciclo di Vita e in relazione alla sua
unit funzionale.
Vediamo quali sono i vantaggi di un approccio
LCD partendo dalla considerazione che
bisogna prestare particolare attenzione alla
lettura dellanalisi, alla scelta delle strategie
da applicare nelle diverse fasi del Ciclo di
Vita e che queste vanno calibrate sul tipo
di prodotto e sul relativo uso. Si rischier
altrimenti di applicarne alcune che possano
rivelarsi pi dannose a livello ambientale.
Prendiamo come esempio gli arredi in
cartone: la scelta del materiale risulta indicata
su progetti che avranno vita molto breve ma
assolutamente inopportuna per tutti quegli
oggetti che potrebbero avere maggiore
durabilit. Un approccio LCD, considerando
tutte le fasi del prodotto, ha dunque il
vantaggio di restituire le criticit dello
stesso, rendendo pi impegnativa la fase
progettuale, ma non per questo complicata,
anzi, per molti versi pi stimolante.
Una prima motivazione di tale complessit
data dalla ricerca iniziale di quante pi
informazioni possiamo reperire per ci che
riguarda gli input e gli output dei processi
e ai loro impatti sullambiente, per questo
esistono delle banche dati, dei metodi e
degli strumenti software di calcolo.
chiaro che non suffciente per un
prodotto soddisfare i requisiti ambientali per
essere considerato un buon prodotto, ma
deve essere anche in grado di rispettare
gli standard di progettazione: prestazionali,
tecnologici, economici, legislativi, culturali
ed estetici. Come progettisti possiamo per
avvalerci di utili strumenti per una corretta
Ecoprogettazione, in primis, applicando
strategie mirate a minimizzare le risorse -
ovvero ridurre luso di materia ed energia
- selezionando risorse e processi a basso
impatto ambientale, ottimizzando la vita dei
prodotti, estendendo la vita utile dei materiali
e - infne - progettando in funzione della
valorizzazione dei materiali dismessi tramite
il riciclaggio, il compostaggio o il recupero
energetico, progettando in funzione della
separazione di parti e/o materiali per
facilitarne il recupero a fne vita attraverso il
disassemblaggio.
Particolare attenzione deve essere rivolta
alla scelta iniziale dei materiali, in questa
fase le etichette ambientali che comunicano
caratteristiche come riciclabilit o
compostabilit, origine del materiale, Cradle
to Cradle, possono aiutarci a decidere. Come
dice il professor Ashby, nel libro Materials
and Design, ogni prodotto ha un suo
materiale e ogni materiale ha attributi precisi
(meccanici, produttivi, estetici, economici
e ambientali) che il designer deve valutare
nellinsieme delle fasi del ciclo di vita.
Ogni strategia pu essere perseguita
attraverso diverse linee guida e specifche
opzioni progettuali ma, affnch le strategie
siano effcaci, opportuno che vengano
applicate solo a seguito della defnizione
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degli obiettivi di progetto, a seconda del
prodotto e della sua funzione.
Mi piace portare come esempio di Ecodesign
lo sgabello 3.1 progettato da Camilo,
designer di origini colombiane e cofondatore
del collettivo Nuup, Sustainable Creativity.
Il design dello sgabello porta con s diverse
strategie per ognuna delle fasi del suo ciclo
di vita. Partiamo dalla scelta dei materiali:
legno di betulla certifcato FSC trattato con
vernici ad acqua e quindi poco inquinanti. In
fase di produzione il taglio della seduta viene
ricavato dallo sfrido di lavorazione delle
gambe, ci permette una minimizzazione
di quelli che sarebbero altrimenti scarti
di lavorazione e una ottimizzazione della
materia prima. Durante il trasporto viaggia
smontato e il suo volume si riduce a un
parallelepipedo di 45 x 45 cm alto solamente
3 cm, il cui packaging una scatola per la
pizza. Abbattere il volume di un oggetto
fondamentale per ottimizzare la fase
di trasporto e i relativi consumi (anche
in termini di CO2), mentre il riutilizzo di
scatole gi in produzione per altri oggetti
ha permesso di evitare la realizzazione di
una nuova fustella e quindi di ridurre i costi
ambientali ed economici di imballaggio.
Montaggio e smontaggio, a uso del cliente,
sono facilitati da incastri, che evitano luso di
colle o chiodi per il fssaggio e ne facilitano
la dismissione.
Bibliografa:
- Alastair Fuad-Luke, Eco-Design, Progetti per un
futuro sostenibile, Logos 2003
- Paolo Tamborrini, Design sostenibile, oggetti,
sistemi e comportamenti, Electa, 2009
- Carlo Vezzoli, Ezio Manzini, Design per la
sostenibilit ambientale, Zanichelli, 2007
- Gian Luca Baldo, Massimo Marino, Stefano
Rossi, Analisi del ciclo di vita LCA, gli strumenti
per la progettazione sostenibile di materiali,
prodotti e processi, Edizione Ambiente, 2008
- Ashby Michael F.; Johnson Kara, Materials And
Design, The art and science of material selection
in product design, Butterworth-Heinemann , 2009.
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