Abstract. Nell’articolo si presenterà uno strumento inedito per comunicare qualunque progetto
di business attraverso le immagini: la Start-up Model Board, di cui si illustreranno la genesi, la
struttura e le finalità.
La board, il cui modello è stato realizzato utilizzando l’editor online gratuito Canva1, si
compone di otto immagini, che rappresentano altrettanti elementi focali di un progetto di
business: la storia (che include la mission di un’impresa), l’unicità, la team vision, il mercato di
riferimento, il pubblico, la formula e infine due indici economico/finanziari. Se ne richiede la
riproduzione sostituendo le icone con una selezione ragionata di fotografie.
È il risultato di un progetto nato in un’ottica di Design Thinking: al rilevamento di un disagio
(la difficoltà da parte degli studenti di esporre con chiarezza la loro idea di impresa) e alla
constatazione di una carenza (l’assenza di un dispositivo pedagogico e didattico risolutivo
rispetto al problema) sono seguite l’ideazione e la prototipazione di uno strumento innovativo ed
efficace. Il test ne ha rivelato le potenzialità e i possibili ambiti di utilizzo e di sviluppo anche al
di fuori della scuola, disvelandone l’adattabilità a contesti aziendali.
1 Introduzione
Il progetto nasce dall’intenzione, da parte di due docenti di ambiti disciplinari
diversi (Economia e Lettere), di integrare capacità analitiche e attitudini creative in
un’ottica di Design Thinking e di progettazione human-centred2 per realizzare uno
strumento didattico trasversale e multidisciplinare che conciliasse i principi
dell’economia aziendale con l’approccio creativo del visual storytelling.
Ne è nata la Start-up Model Board, una tavola innovativa che traduce un business
in immagini, agevolandone l’esposizione e la narrazione.
Nato negli anni ‘90 nell’azienda di consulenza IDEO e formalizzato nel 2008 dalla
Standford University (California, USA) e dall'Hasso Plattner Institut (Potsdam,
Germania), il Design Thinking è una metodologia di progettazione caratterizzata da un
approccio logico-creativo per la realizzazione di modelli innovativi.
1 http://www.canva.com.
2 Woolery E.: Design Thinking Handbook, www.designbetter.co/design-thinking.
2
Nelle classi quarte degli istituti sia tecnici sia professionali nei quali insegnano o hanno
insegnato le autrici, durante la somministrazione di unità didattiche relative
all’ideazione e alla promozione di start-up simulate, gli studenti hanno spesso
manifestato disagio di fronte alla richiesta di esporre con chiarezza e rapidità i contenuti
del loro progetto di business, nonostante l’utilizzo di strumenti di facilitazione come il
Business Model Canvas4.
Le nuove strategie di presentazione (si pensi agli elevator pitch5) richiedono infatti
un’esposizione rapida, chiara ed efficace: un modello di business tradizionale, per
quanto utile nella fase progettuale e di individuazione delle risorse, manca di
immediatezza e fa uso di un vocabolario e una grammatica dell’impresa che non
tengono conto di variabili ormai imprescindibili, come la mutevolezza dei contesti in
cui i business sono immersi, la molteplicità dei pubblici di riferimento, la necessità, per
una start-up, di essere fortemente proiettata nel futuro.
Agli studenti è stato chiesto di esplicitare le difficoltà riscontrate e le due autrici
hanno partecipato con interesse ed entusiasmo alla raccolta delle osservazioni.
3 IDEO ha sviluppato una piattaforma per supportare insegnanti impegnati in diversi contesti
formativi nell’adozione di tale paradigma. La piattaforma è consultabile all’indirizzo:
https://designthinkingforeducators.com/.
4 Osterwalder, A.: The Business Model Ontology - A Proposition In A Design Science Approach.
1.3 L’ideazione
Le due autrici, motivate dalle suggestioni e dalle necessità emerse nelle rispettive classi,
hanno quindi proceduto a numerose sessioni di brainstorming e di esplorazione di strade
perseguibili, tendendo come punto fermo un obiettivo: l’ideazione di uno strumento
didattico fortemente inclusivo.
Una didattica può dirsi davvero inclusiva quando non ricorre a formule semplificate
o differenziate ma usa linguaggi e grammatiche universali. E l’immagine, più della
parola, è linguaggio condiviso, accessibile a tutti, immediatamente decodificabile.
Si è pertanto progettato uno strumento visuale che consente agli studenti di
rappresentare il loro modello di business in modo veloce e facile: non un canvas,
quindi, ma una board, un vero e proprio percorso narrativo per immagini, che traduce
in fotografie gli elementi focali del progetto d’impresa.
La costruzione della board ha seguito due direzioni parallele: da un lato
l’identificazione e la denominazione degli elementi chiave del business model,
dall’altro la ricerca di un’iconografia coerente, accattivante e stimolante.
Nella fase di ideazione si sono inoltre immaginati i possibili utilizzi da parte di
imprenditori e startupper che avvertissero la necessità di comunicarsi con velocità,
immediatezza e creatività. Si è quindi prefigurata la possibilità di testare lo strumento
anche con gli enterpreneur per verificarne l’efficace e le potenzialità.
La nuova board, denominata Start-up Model Board (da qui in avanti SMB), in quanto
modello adattabile a qualunque realtà imprenditoriale, sviluppa un percorso narrativo
per immagini finalizzato a raccontare l’impresa.
Risponde a esigenze diverse: è strumento di ispirazione per l’impresa, che si vede
stimolata a riflettere su di sé e a tradurre idee e concetti in immagini; è strumento di
comprensione e di fidelizzazione per l’utenza reale e potenziale; coadiuva nella
presentazione di un progetto di business perché suffraga l’esposizione con il valore
emotivo ed evocativo del linguaggio visivo.
La SMB (a p. 4 la versione stampata) è una griglia digitale di otto celle, ognuna
delle quali ha vita indipendente ma può essere letta all’interno di un percorso (da
sinistra a destra e dall’alto al basso) che, di fatto, esaurisce il racconto d’impresa. In
ogni cella si sceglierà di collocare una (e una sola) fotografia, che rappresenti la summa
o l’optimum di quanto richiesto. Di seguito si illustra il contenuto delle singole celle.
3.1 Story
Raccontare una start-up significa esplorare l'entusiasmo degli esordi, disegnare la
genesi di un'idea, inquadrare la mission in un percorso fatto di biografie, di comunione
di idee e di visioni, di progetti nati e abortiti, fino ad arrivare a un hic et nunc carico di
emotività.
4
5
Andrea Fontana, che del corporate storytelling è massimo esperto in Italia, definisce
il racconto d’impresa come la core-story da cui si diramano tutte le narrazioni 7. Gli
obiettivi ultimi sono la generazione di senso, la creazione di un’identità, la costruzione
di cultura e la diffusione di consapevolezza.
Una storia diventa narrabile quando suscita interesse, produce identificazione,
ripropone la vulnerabilità dei suoi protagonisti. Insomma, quando è finzione credibile.
Perché un racconto è sempre finzione ma esige verità 8.
Se siamo immersi in mercati conversazionali allora un’impresa non può limitarsi a
descriversi ma deve necessariamente raccontarsi. E se le parole descrivono, le immagini
narrano. Dato che fare storytelling significa comunicare attraverso racconti 9, allora fare
visual storytelling significa comunicare attraverso immagini narrative.
Nella SMB si chiede di sfogliare gli album della memoria alla ricerca della
fotografia che più di tutte è capace di raccontare la storia dell’impresa.
3.2 Oneness
Secondo Micheal Porter “un’impresa si differenzia dai suoi concorrenti quando
fornisce qualcosa di unico che abbia valore per i suoi acquirenti”10.
Ogni sistema aziendale è unico, l’intreccio dei suoi elementi costitutivi è sempre
qualcosa di inedito perché governato dallo spirito imprenditoriale proprio del pioniere.
L’idea, il progetto di business posseggono un potenziale che va valorizzato. L’unicità
è correlabile sempre a quel qualcosa che risulta naturale per l’imprenditore. È quella
competenza che l’imprenditore sa di possedere e che lo differenzia nel contenuto, nello
stile, nella comunicazione o nella loro combinazione.
Sempre secondo Porter “le imprese sono spesso differenti ma non differenziate,
perché perseguono forme di unicità che gli acquirenti non apprezzano”11. Affinché
dunque un prodotto sia differenziato occorre che sia in qualche modo unico, abbia cioè
caratteristiche reali o percepite come non riscontrabili negli altri prodotti presenti sul
mercato, e che tali caratteri abbiano un qualche valore per gli acquirenti, rappresentino
qualcosa per cui gli acquirenti siano disposti a pagare.
Per “oneness” si intende pertanto quella specifica competenza che non solo
differenzia una start-up ma che soprattutto possa essere di valore per user e follower.
Nella SMB l’icona dell’unicità vuole ispirarsi alla ‘mucca viola’ di Seth Godin 12,
metafora della straordinarietà, di ciò che emerge dal consueto: nella board, però, la
valenza di straordinarietà deve nascere dall’autoanalisi e non dal plauso dei consumer,
deve derivare dalla consapevolezza di sé e delle proprie attitudini imprenditoriali.
7 Fontana, A.: Storytelling d’impresa. La guida definitiva. Milano, Ulrico Hoepli Editore (2017)
8 Sullo sviluppo del pensiero narrativo e sulla ricerca di verità nella finzione si legga Smorti A.:
Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della coscienza sociale, Giunti, Firenze
(1994).
9 Fontana, A., Ibidem, p. 2.
10 Porter, M.: Competitive advantage: creating and sustaining superior performance. Free Press,
13 Stata, R.: Organisational learning. The key to management innovation. In: The Training and
Development Sourcebook, HRD Press (1994).
14 Tony Hsieh, CEO di Zappos e sostenitore dell’olacrazia d’impresa, nel suo Delivering
Happiness: A Path to Profits, Passion, and Purpose (Business Plus, 2010) scrive: “for
individuals, character is destiny. For organizations, culture is destiny”. Al di là delle coloriture
stilistiche il dibattito sulla ridefinizione e sulla co-costruzione della cultura aziendale è di
oggettiva attualità.
15 https://www.zappos.com/about/press-kit.
16 https://www.bcg.com/
17 Question mark, situazione in cui è presente un alto tasso di crescita del mercato e una bassa
quota di mercato.
7
si posiziona la tua idea ti vede già protagonista, con una posizione relativa
significativa18.
18 Star, situazione in cui è presente un alto tasso di crescita del mercato e un’alta quota di mercato.
19 Toffler, A.: The Third Wave. William Morrow, New York (1980).
20 http://www.cluetrain.com
21 L’articolo 1 del Cluetrain Manifesto è adamantino: “I mercati sono conversazioni” (Ibidem).
22 Cardile, D., Mayer, G., Moder, P.: Trasformazione digitale. Strategie e strumenti per le PMI
Hootsuite (http://bit.ly/2EoeP9f).
24 Kramer, B.: Human to Human: H2H. Waldorf Pub (2017).
25 Cardile, D., Mayer, G., Moder, P., ibidem, pp. 19-27.
26 Bauman, Z.: Intervista sull’identità. Editori Laterza, Roma-Bari (2003).
8
3.6 FORMULA: D + S + P + i
Per emergere l’impresa deve saper offrire una formula innovativa che si traduce in un
Digital Social Product (D + S + P) fortemente orientato all’innovazione e al
cambiamento (+ i).
Digital perché è inevitabile il confronto costante con la trasformazione culturale,
economica e sociale di cui il digitale è motore principe.
Social perché l'impresa è chiamata a seguire due linee di azione: una rivolta ai suoi
pubblici, l'altra ai suoi potenziali partner. Nel primo caso un prodotto è ‘social’ quando
risponde alla logica della cocostruzione e quando sa modificarsi in base all'analisi dei
dati che gli utenti forniscono online e offline 27. Nel secondo caso la creazione di
partnership stimolanti, magari insolite, può produrre nuove culture d'impresa e aprire a
scenari ancora inesplorati.
Stiamo assistendo infatti al passaggio da un'economia dei prodotti e dei servizi a
un'economia delle esperienze28, dalla standardizzazione alla personalizzazione, dal
possesso all'accesso29: l'offerta dev'essere continuamente riqualificata e l'attenzione va
concentrata su scenari e best practice anche lontani dal mercato di riferimento.
Oggi una start-up deve testare, prevedere possibili sviluppi futuri, ipotizzare
strategie paracadute, prevedere un acceleratore interno, pensare e agire in modo
creativo. Deve immaginare, intraprendere nuove strade, intuire buone soluzioni, ideare
esperienze di valore: il fattore "i", che chiude la formula, è la variabile che rende
imprenditore in atto chi lo era in potenza. È l'esperienza dell'innovazione intesa come
cambiamento, apertura al nuovo, ricerca.
Non esistono formule magiche: l'icona sulla SMB è una borsa con la domanda
"what's in the bag?", a sottolineare la specificità di ogni azienda e di ogni idea di
business, che deve trovare in sé, nella sua “borsa”, la chiave per continuare a crescere
in un futuro sempre più mutevole e veloce. E allora la fotografia da cercare per la SMB
è quella non ancora scattata: raffigurerà lo sguardo al futuro dell'impresa.
27 Interessante, pionieristico e lungimirante il progetto "Nel mulino che vorrei", una community
nata nel 2009 e ancora attiva. Un esempio di Social Product che da un lato consente la
fidelizzazione e dall'altro la raccolta di dati e insight per il marketing.
28 Nel libro L’economia delle esperienze (Rizzoli Etas, 2000), gli autori Pine e Gilmore
sostengono che la semplice produzione di beni e servizi non è più sufficiente: sono invece le
esperienze offerte al cliente a costituire il fondamento della creazione di valore.
Nel libro Marketing esperienziale (Franco Angeli, 2015) l’esperienza del cliente, intesa come
evento memorabile che lo impegni sul piano personale nell'atto stesso del consumo, è descritta
negli aspetti sensoriali, affettivi, cognitivi, comportamentali e relazionali.
29 Sull’economia dell’accesso si legga Rifkin, J.: L'era dell'accesso. La rivoluzione della new
IAF (Indice di Autonomia Finanziaria). È l’indice che ci dice quale parte del capitale
investito necessario è finanziato da capitale dell’imprenditore o autoprodotto
dall’attività stessa (patrimonio netto/capitale investito).
La rappresentazione a piramide permette di evidenziare, come se fosse un iceberg,
quanta parte del capitale necessario rimane scoperta (la punta) e quindi l’intensità
dell’impegno finanziario che va chiesto ai terzi.
4 Il test
30 Prensky, M.: La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale. Erickson (2013)
10
5 Conclusioni
Il risultati ottenuti non solo sono incoraggianti ma aprono all’utilizzo della SMB in due
ambiti collimanti: quello della formazione e quello dell’impresa.
L’intento è duplice e sfidante. Si desidera esplorare nuove possibilità d’uso dello
strumento, per amplificarne la diffusione e per consentirne la fruizione da parte di
pubblici diversi. Si vuole inoltre diffondere e disseminare la SMB nei contesti scolastici
e aziendali perché diventi strumento condiviso nella costruzione e nell’interpretazione.
Si spera che la SMB disveli le sue potenzialità come modalità di supporto alla
narrazione d’impresa.
6 Bibliografia e sitografia