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https://www.linkedin.com/in/marcocaressa/
Queste note sono un banale alert sul fatto che non si diventa agili seguendo un corso
Scrum di 2 giorni o facendo prendere qualche certificazione in ambito a qualcuno
all’interno dell’organizzazione. Quella è semmai una tessera del mosaico, ma affinché
pratiche e tecniche agili possano essere applicate con profitto e generino davvero
valore, TUTTA l’organizzazione deve predisporsi a lavorare in modo diverso. Non solo i
team di progetto, che in questo caso ne rappresentano la testa di ponte.
Se questo non accade, il cambiamento non attecchisce e alla fase dell’entusiasmo segue
quella del disorientamento e infine quella del rifiuto, con la conclusione che “agile non
funziona”. In realtà, è probabile che tu non ci abbia nemmeno provato ad essere
davvero agile.
Sappi che tutto ciò costa notevole impegno in termini di tempo e risorse, ma è un
passaggio obbligato. In definitiva, la trasformazione agile non è un pranzo di gala. E’
piuttosto un atto di violenza organizzativa che cambia il modo di lavorare dei singoli e
dei gruppi.
IMPARARE DAGLI ERRORI
Come quella volta che avevi convinto il CEO a finanziare quel progetto interno di
realizzazione di una piattaforma di knowledge management per l’archiviazione e il
riutilizzo di documenti e informazioni aziendali.
L’obiettivo era chiaro e inconfutabile: non reinventare la ruota ogni volta. Ogni volta
che parte un progetto o bisogna redigere una proposta, con tutta probabilità qualcuno
in azienda avrà già fatto qualcosa di simile in passato, avrà già scritto un documento che
con pochi adattamenti potresti riutilizzare. Aumentare il riuso rende i processi interni
molto più efficienti. Non fa una grinza.
Nel kick-off di progetto avevi spiegato al CEO di aver individuato una “soluzione
innovativa basata sul prodotto XYZ” che grazie alla potenza del cloud computing
avrebbe consentito di archiviare e classificare un numero qualsiasi di documenti e
contenuti di qualsiasi formato, garantendo backup e disponibilità, eliminando il rischio
di perdita di dati dovuto ai singoli PC che svampano o agli hard disk che tirano
improvvisamente le cuoia.
Perché allora, dopo il rilascio della piattaforma sulla intranet aziendale e il lancio con
comunicazione urbi et orbi, a distanza di 6 mesi la knowledge base era ancora
desolatamente vuota? Nessuno, o pochissimi, l’avevano alimentata. Nella tua
infatuazione per la soluzione tecnologica (il prodotto XYZ strafico, basato su un mix di
intelligenza artificiale e blockchain) avevi sottovalutato l’impatto che l’utilizzo del
sistema avrebbe avuto sul modo di lavorare delle persone e sull’organizzazione.
Insomma, prima di far acquistare il prodotto XYZ, avresti dovuto come minimo:
• Prevedere una fase di studio dei documenti usati dai processi di business
dell’organizzazione, modellare degli schemi di classificazione specifici (non troppo
dettagliati né troppo laschi)…
• …parlare coi Project Manager dicendo loro di prevedere un effort specifico
all’interno di ciascun progetto per caricare sul sistema documenti rilevanti e
potenzialmente utili per usi futuri (insomma, strutturare le lesson learned)
• …suggerire la definizione di nuovi ruoli nell’organizzazione, almeno un Knowledge
Manager che avesse visibilità dei contenuti e del loro riuso per misurare il
successo dell’iniziativa…
• …e molto altro ancora.
…col caro vecchio ciclo di vita waterfall. Dove ad ogni fase di progetto corrisponde un
avanzamento di stato del prodotto/servizio da realizzare. Se fosse un’applicazione
software con 15 funzionalità da realizzare, lo schema sarebbe più o meno questo qui di
seguito.
Ora, lasciamo perdere vantaggi o svantaggi, se convenga o meno prima analizzare tutto
in anticipo, poi progettare tutto, poi realizzare tutto, poi testare tutto e infine rilasciare
tutto insieme. Fatto sta che clienti come una PA o un grande istituto di credito per anni
ti hanno chiesto, per contratto, di lavorare così.
…che, detto tra noi, è un’ottima scelta, soprattutto se sviluppi applicazioni software
come quella che abbiamo descritto nell’esempio.
Siccome leggi Wired, frequenti LinkedIn e partecipi ai forum di discussione, scopri che
esiste un framework molto diffuso e popolare che si chiama Scrum con cui potresti fare,
come disse uno dei suoi creatori, “il doppio delle cose nella metà del tempo”.
Chi non vorrebbe un simile vantaggio competitivo? Così decidi di adottarlo per i tuoi
progetti e, siccome vuoi fare le cose per bene, non ti limiti a distribuire la guida ufficiale
del framework ma investi sulla formazione e certificazione di alcune persone dei tuoi
gruppi di lavoro.
Quelli tornano dalle giornate d’aula con slide e documenti e ti dicono “da oggi i progetti
dobbiamo farli così”
Ciò renderà il cliente più felice, perché non dovrà più aspettare la fine del progetto per
avere anche solo una funzionalità disponibile per il suo business (rilascio di valore
anticipato) e darà modo a te di correggere il tiro, pianificando iterazione dopo
iterazione un pezzetto di lavoro alla volta, con minori rischi di rework su cose i cui
presupposti nel frattempo potrebbero essere cambiati.
C’è solo un piccolo particolare. Il fatto che al termine di ogni iterazione tu debba
potenzialmente rilasciare qualcosa di fatto e finito, fa si che ciascuna di esse sia una
specie di “mini progetto” con tutto il ciclo di attività necessarie.
E in tutto questo non hai fatto i conti senza l’oste. Anche se avessi chiesto al genio della
lampada di esaudire un paio di “desideri agili”, tipo trasformare i tuoi specialisti verticali
in “generalizing specialist” in grado di fare (bene) più cose e mutare i Project Manager
“ranocchi” in “principi” della Servant Leadership, dovresti farti un’ultima domanda: il
mio cliente/committente è in grado di seguirmi?
Perché, molto più che in passato, un progetto agile si fa con tutti gli stakeholder seduti
allo stesso tavolo, soprattutto quelli di business. Per cui, puoi essere l’azienda più agile
del mondo ma se il cliente ti chiede per contratto di formalizzare delle stime di dettaglio
ad inizio progetto per dare il go / no-go, dovrai rassegnarti a rititare fuori dal cassetto
WBS, analisi reticolare, Gantt, matrice di tracciabilità dei requisiti e definire un processo
di gestione della Change Request che non ti faccia fare un bagno di sangue.
…sarai in grado di affrontare con successo una casistica più vasta di progetti, perché ci
sono scenari nei quali l’approccio agile è pressoché obbligato. Questo darà a te e alla tua
organizzazione molte più possibilità (se no, rischi di fare la fine dell’analista funzionale di
cui sopra, che per un’azienda si traduce nel rischio di uscire dal mercato).
Però se vuoi farlo davvero, senza pericoli di rigetto che ogni cambiamento si porta
dietro, devi prepararti per tempo:
Nelle tre linee di intervento di questo elenco c’è anche la frequenza a corsi e
l’acquisizione di certificazioni di questo o quel metodo o framework agile ma, come puoi
capire, c’è anche molto altro di più.
Questo significa andare per gradi (del resto, iteratività e incrementalità sono capisaldi
del mindset agile). Non pensare di convertire ad agile tutti i team di progetto nel giro di
tre mesi, piuttosto individua un team che sarà stato preparato per tempo, magari
coinvolgendo le persone più curiose e motivate, e affidagli un progetto “non critico”,
dove sperimentare ed eventualmente fallire senza troppi danni. Del resto, se stai
imparando ad andare in bicicletta ci sta di cadere ogni tanto e sbucciarsi. Sarebbe
stupido però andare a fare da subito pratica su una superstrada trafficata.
Marco Caressa
P.S. Sono Agile Certified Practitioner del PMI e Scrum Master Certified, ma questo conta
davvero poco. Per me conta più l’aver partecipato a team agili di progetto da oltre 20
anni, usando Scrum e XP dalla metà degli anni ’90, ben prima che uscisse il manifesto
agile del 2001 e che sul mercato si rendessero disponibili le settordicimila certificazioni e
credenziali oggi presenti. Soprattutto, ho praticato e pratico agile cercando di
rispettarne lo spirito di adattabilità che ne è alla base, combinando pratiche e metodi in
funzione dello specifico contesto di progetto. Del resto, come fai a definirti agile se per
te l’unico modo di fare progetti è con un solo framework, con quei soli ruoli e con quei
soli eventi e cerimonie? 😉