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CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO»,

IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»


Fabrizio Franceschini

1.Capaneo
Me, mi conoscete. Può essere che allora e laggiù, in quegli strac-
ci da zebra, colla barba ancora peggio rasa che d’abitudine, ed i
capelli tosati, avessi un aspetto molto diverso da oggi; ma la cosa
non ha importanza, il fondo non è cambiato.

Così comincia un testo pubblicato nella seconda metà


del 1959 da Primo Levi (figura 1), poco dopo l’edizione einau-
diana di Se questo è un uomo (1958 [9 maggio]). Il pur ricco
plurilinguismo di questo libro, che già inizia con un verbo in
prima persona («Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13
dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni […]»), non prevede-
va un simile ingresso colloquiale per il personaggio che dice io;
tale inizio, che forse riecheggia anche il famoso «Call me Ish-
mael» («chiamatemi Ismaele») in apertura del Moby Dick di
Melville1, segna dunque un’innovazione linguistica, che trova
confronto ne La Tregua e specie in certi capitoli de La chiave

1
Cfr. D. Scarpa, Notes on the texts, in The complete works of Primo Levi, a
cura di A. Goldstein, New York, Liveright, 2015, III, p. 2855, e vedi M.
Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Milano, Guanda, 2015, p. 346,
per altri possibili modelli.

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Fig. 1  Primo Levi, in piedi sulla destra con le braccia conserte, il 4 o 5


dicembre 1959, a un’iniziativa coi giovani visitatori della Mostra sulla De-
portazione, tenutasi a Torino, Palazzo Carignano, sotto la presidenza di
Alessandro Galante Garrone (al centro, seduto al tavolo).

a stella (1978)2. Ma questo incipit, come si vedrà nel prosieguo,


ha ragioni più profonde3 ed esprime una forza tale da essere di-
2
Vedi «Eh no: tutto non le posso dire. O che le dico il paese, o che le rac-
conto il fatto», proprio all’inizio del libro (Meditato con malizia), oppure
«Sì, sono giovane, ma anch’io le ho viste grigie» (Off-shore): cfr. P. Levi,
La chiave a stella, Torino, Einaudi, 1978, ora in Id., Opere complete, a cura
di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 2016-2018, I, pp. 1033-1173, a pp. 1037
e 1076. D’ora in poi cito questa edizione con la sigla OC.
3
Cfr. M. Mengoni, Primo Levi. Autoritratti periodici, «Allegoria», XXVII,
2015, 71-72, pp. 141-164, a pp. 149-152.

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CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

venuto, nel centenario della nascita di Levi, l’insegna di un’im-


portante iniziativa teatrale4.
Il racconto in questione esce dunque nel 1959, col titolo
Capaneo, sulla rivista fiorentina «Il Ponte»5. Con varie modifi-
che, compresa l’eliminazione dell’incipit citato, il testo sarebbe
comparso in terza pagina de «La Stampa» il 28 maggio 1978 e
quindi in apertura del volume Lilít e altri racconti del 19816, ma
era già stato integrato, con cambiamenti, nella versione teatrale di
Se questo è un uomo del 19667. D’altra parte, già la copia dell’edizio-
ne 1947 di Se questo è un uomo predisposta da Levi, con aggiunte
e nuovi inserti, per la nuova edizione da Einaudi, reca nell’ultima
pagina, con altri Addenda scritti a penna, il titolo Capaneo, «se-
gno di un progetto di racconto scaturito dopo la pubblicazione del
libro negli anni uaranta o al massimo all’inizio dei Cinquanta»8.

4
Me mi conoscete. Primo Levi a teatro, Progetto teatrale ideato da Valter
Malosti con Teatro Piemonte Europa, in collaborazione con Domenico
Scarpa. Per il programma, che ha compreso anche la «condensazione sce-
nica» di Se questo è un uomo e del Sistema periodico, vedi https://www.
polodel900.it/me-mi-conoscete-primo-levi-a-teatro/.
5
P. Levi, Capaneo, «Il Ponte. Rivista mensile di politica e letteratura», XV,
11 (novembre), 1959, pp. 1440-1445. Il periodico, vivo ancora il suo fon-
datore Piero Calamandrei, aveva già ospitato, nell’agosto-settembre 1947
(III, 8-9, pp. 758-763), il racconto Ottobre 1944, comparso poi come capi-
tolo di Se questo è un uomo, Torino, Da Silva, 1947 [11 ottobre]. Due anni
dopo «Il Ponte», V, 8-9 (agosto-settembre) 1949, pp. 1170-1173, acco-
glieva l’altro racconto leviano Fine del Marinese, di argomento partigiano.
6
P. Levi, Lilít e altri racconti, Torino, Einaudi, 1981, ora in OC, II, pp.
237-412, a pp. 241-245.
7
Se questo è un uomo, versione drammatica di P. Marché, P. Levi, Torino,
Einaudi, 1966, ora in OC, I, pp. 1195-1260, a pp. 1229-1231.
8
Cfr. M. Belpoliti, Note ai testi di Lilít e altri racconti, in OC, II, p. 1792,
e vedi ivi, I, pp. 1475-1476.

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2.L’«ebreo pisano» compagno di Levi


A prescindere da un discorso organico sulle varianti tra le
diverse redazioni9, qui rivolgo l’attenzione soprattutto alla
prima, citata indicando direttamente la pagina della rivista,
e considero in particolare le varianti pertinenti al tema degli
ebrei «pisani» (figura 2). I protagonisti del racconto sono in-
fatti due ebrei strettamente legati a Pisa e prigionieri, come il
narratore, nel Lager di Auschwitz-Monowitz. Il primo, deno-
minato nella redazione originaria Vidal, viene così presentato,
subito dopo l’apertura del racconto in prima persona:

Vidal era stato un ometto piccolo e grasso; piccolo era rimasto,


e della sua pinguedine di un tempo, testimoniavano melanco-
nicamente le flaccide pieghe sul viso e sul corpo. Era un ebreo
pisano; deportato con il mio trasporto […]. Avevamo lavorato
per molte settimane insieme, nel fango. A tutti noi capitava di
cadervi, nel fango viscido e profondo di quel tristo luogo: ma,
per quel tanto di nobiltà animale che sopravvive in ogni uomo,
cercavamo con ogni mezzo di evitare le cadute, o di ridurne al
minimo gli effetti […]. Ora Vidal cadeva continuamente nel
fango […]. Il fango era il suo rifugio, la sua difesa. Era l’omino
di fango: il colore del fango era il suo colore. Lui lo sapeva, col
poco di luce che le sofferenze gli avevano lasciata, sapeva di esse-
re grottesco. E ne parlava, perché era loquace. Raccontava senza
fine delle sue sventure, delle cadute, degli schiaffi ricevuti, delle
derisioni, come un Pulcinella; senza la minima velleità di salva-
re in qualche modo una particella di sé stesso, di lasciare velate
le note più abiette; anzi, accentuando gli aspetti buffoneschi e

9
Vedi V.A. Santiloni, Lo scrittoio «plurale» di Primo Levi. Lingua e te-
stualità delle versioni di «Se questo è un uomo» per la radio e per il teatro,
Tesi di laurea magistrale, rel. F. Franceschini, correl. M. Tavoni, Univer-
sità di Pisa, a.a. 2017-2018, e, della stessa, il saggio seguente.

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Fig. 2  La Comunità Ebraica di Pisa per il Seder di Pesach del 1928.

vili delle sue avventure, con un’ombra di gusto scenico in cui si


indovinavano vestigia ormai remote di bonomia conviviale (pp.
1440-1441).

uindi l’autore, ponendosi sul piano dell’enunciazio-


ne e rivolgendosi ai lettori, come spesso in Se questo è un uomo,
aggiunge

Conoscete uomini come lui? Non è probabile, ma se sì, saprete


che sono adulatori, naturalmente e senza secondi fini. Se ci fossi-
mo incontrati nella vita, non so per cosa mi avrebbe adulato: lag-
giù, ricordo che ogni mattino lodava l’aspetto sano del mio viso.
Pietà? Sì, probabilmente provavo anche pietà per lui, benché non
gli fossi superiore di molto. Ma la pietà di quel tempo, essendo
inoperante, si disperdeva appena concepita, come pioggia sulla
sabbia, e lasciava in bocca un vano sapore di fame. Tale era dun-
que Vidal nell’anno 1944, che fu l’ultimo della sua vita (p. 1441).

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Ci si chiede chi possa essere questo «ebreo pisano, de-


portato con il […] trasporto» dello stesso Primo Levi. Il nome
Vidal, impiegato nella prima redazione, diviene Sonnino nell’a-
dattamento teatrale del 1966 e Valerio nella definitiva versione
in Lilít. Nessuno di questi nomi o cognomi trova però corrispon-
denza nell’elenco dei compagni di Levi sul convoglio RSHA10
numero 8, partito da Fossoli il 22 febbraio 1944 e giunto ad
Auschwitz il 26 successivo, elenco ricostruito da Italo Tibaldi in
base al repertorio generale degli ebrei italiani deportati11.
Nella versione pubblicata su «La Stampa» del 28 mag-
gio 1978 l’«ebreo pisano» è invece indicato come Lonzana,
denominazione che rinvia a Cesare Lonzana Formiggini, effet-
tivamente portato ad Auschwitz col traporto di Levi, marchia-
to col numero 174 521 (mentre Primo aveva ricevuto il 174
517) e deceduto «in luogo ignoto dopo il 21.4.1944»12. Levi
ambienta il suo racconto «in un caldo giorno di settembre»
del 1944 e questo sposterebbe in avanti il termine post quem

10
L’acrostico sta per Reichssicherheitshauptamt ‘Ufficio Centrale per la
Sicurezza del Reich’.
11
Cfr. I. Tibaldi, Primo Levi e i suoi «compagni di viaggio»: ricostruzione
del trasporto da Fossoli ad Auschwitz, in Primo Levi testimone e scrittore di
storia, a cura di P. Momigliano Levi, R. Gorris, Firenze, Giuntina, 1999,
pp. 149-232, basato su L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli
ebrei deportati dall’Italia (1943-1945). Ricerca del Centro di Documen-
tazione Ebraica Contemporanea, Milano, Mursia, 1991² (da cui cito, ri-
controllando sulle edizioni successive); la Transportliste originaria non è
conservata (ivi, pp. 46-47). Di Sonnino, cognome ebraico diffuso a Roma
ma anche a Livorno, Napoli ecc., tra i deportati ve ne sono molti, ma tra-
sportati con altri treni (ivi, pp. 554-560).
12
Vedi ivi, p. 396, e Tibaldi, Primo Levi e i suoi «compagni di viaggio»,
cit., p. 183.

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della morte del compagno. Inoltre lo stesso Primo ha inserito il


nominativo di Lonzana, come n. 42, nella lista di «75 nomi che
ho potuto ricostruire dopo il mio ritorno in Italia […], sui 95 o
96 uomini adatti al lavoro che entrarono con me nel campo di
Monowitz» (figura 3)13; la s accanto al nominativo indica che,
come suggerisce il testo di Capaneo, Lonzana fu mandato al
gas dopo una selezione, che potrebbe essere quella dell’ottobre
1944 cui Levi dedica un capitolo di Se questo è un uomo.
Cesare Lonzana Formiggini era nato a Modena il 21
aprile 1897, da Davide Dario e Gilda Ambron, l’ultima residen-
za nota prima dell’arresto è Milano e la sua cattura avvenne il I
dicembre 1943 alla frontiera italo-svizzera, mentre evidentemen-
te cercava di espatriare14. Nessuno di questi dati rinvia a Pisa, se
non forse il nome della madre, dato che gli Ambron vi sono ben
presenti; a tale famiglia ebraica pisana apparteneva Luisa, la ma-
dre di Vittorio Gassman, e non a caso nel Sorpasso il personaggio
di Bruno Cortona, da lui interpretato, ha un cognome di tipo
ebraico e cita «un proverbio ebbreo che diceva sempre mia non-
na»15. Non essendo questo Cesare – come del resto nessuno dei
compagni di Levi sul treno da Fossoli – nato a Pisa, si dovrebbe
ipotizzare che questo Lonzana fosse venuto a studiare o ad abita-
re nella città toscana, appoggiandosi a qualche parente.

13
Tale documento fu consegnato da Levi, il 3 maggio 1971, al pubblico
ministero tedesco Dietrich Hölzner per l’istruttoria del processo contro
Friedrich Bosshammer, accusato della deportazione di 3500 ebrei italiani:
cfr. P. Levi, L. De Benedetti, Così fu Auschwitz: testimonianze 1945-1986,
a cura di F. Levi, D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2015, pp. 139-143.
14
Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 396.
15
Cfr. Il sorpasso, regia di D. Risi, 1962, h.1.20.45-57; il proverbio suona
«L’amore per la donna è mobile come la luna, l’affetto per il fratello è
fermo come le stelle».

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Fig. 3  «Lista di 75 nomi che ho potuto ricostruire dopo il mio ritorno in Ita-
lia […], sui 95 o 96 uomini adatti al lavoro che entrarono con me nel campo di
Monowitz», compilata da Primo Levi, consegnata il 3 maggio 1971 al pubbli-
co ministero Dietrich Hölzner, per il processo contro Friedrich Bosshammer.

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In alternativa, e più probabilmente, si può pensare a


una sovrapposizione tra il Lonzana modenese, compagno di
Levi già sul treno da Fossoli, e qualche detenuto di Monowitz
effettivamente pisano, con cui Levi era in rapporto. In pro-
posito viene subito da pensare a Ettore Abenaim, nato a Pisa
il 5 agosto 1909, da Umberto e Linda Cassuto; infatti la lista
dattiloscritta stilata da Primo, probabilmente a fine dicembre
1945, con trenta nominativi di detenuti costretti nella notte
tra il 17 e il 18 gennaio 1945 alla ‘marcia della morte’ da Au-
schwitz a Buchenwald, presenta al primo posto «Abenaim
toscano sapeva fare l’orologiaio» (figura 4)16. Con questa te-
stimonianza di Levi ne va confrontata un’altra, coeva o di poco
precedente, che qui si presenta per la prima volta nella sua for-
ma e veste originaria (figura 5)17. Si tratta di una cartolina in-
viata il 18 settembre 1945 da Angiolo Cassuto, da Torino, al
nipote e sorore Carlo Abenaim a Piacenza, che così si apre

Carissimo Carlo, ieri parlando con un ex-internato di ritorno


dalla Germania, mi accennò che Ettore si trovava in buona sa-
lute nel campo di Austcwitz (Slesia) nel febbraio 1945, anzi era
molto ben voluto e, a suo dire, fa un sacco di soldi ad accomo-
dare gli orologi.

16
La lista è compresa nella Relazione del dott. Primo Levi n. di matrico-
la 174 517 reduce da Monowitz-Buna, conservata presso l’Archivio delle
tradizioni e del costume ebraico «Benvenuto e Alessandro Terracini»
di Torino e riprodotta in Levi, De Benedetti, Così fu Auschwitz: testimo-
nianze 1945-1986, cit., pp. 31-35, e quindi in Album Primo Levi, a cura di
R. Mori, D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2017, pp. 103-104.
17
Debbo la riproduzione e la disponibilità di questo testo alla cortesia di
Umberto Abenaim, che ne parla implicitamente nel suo libro Abenaim.
Una famiglia ebrea e le leggi razziali, Piacenza, Scritture, 20162, p. 71, ri-
preso anche in Album Primo Levi, cit., p. 104.

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Fig. 4  Relazione del dott. Primo Levi n. di matricola 174 517 reduce da
Monowitz-Buna, lista dattiloscritta stilata probabilmente a fine dicembre
1945, con trenta nominativi di detenuti costretti, nella notte tra il 17 e
il 18 gennaio 1945, alla ‘marcia della morte’ da Auschwitz, con al primo
posto «Abenaim toscano sapeva fare l’orologiaio».

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Fig. 5  Cartolina di Angiolo Cassuto, inviata il 18 settembre 1945 da To-


rino, al nipote e sorore Carlo Abenaim a Piacenza, con una testimonianza
relativa all’altro nipote Ettore Abenaim, deportato ad Auschwitz, che «fa
un sacco di soldi ad accomodare gli orologi».

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Il cognome Abenaim e l’identico e così particolare


riferimento alla riparazione degli orologi, in Lager, tolgono
ogni dubbio sull’identificazione del compagno di Levi con
Ettore Abenaim, fratello di Carlo e nipote pure lui dello
scrivente. Certo l’ex-internato incontrato da Cassuto indi-
ca Ettore come vivo «nel febbraio 1945», e anzi intento a
«fare un sacco di soldi ad accomodare gli orologi», mentre
secondo Levi sarebbe morto durante (o poco dopo) la ‘mar-
cia della morte’ del gennaio precedente. Si potrebbe pensare
a un lapsus di memoria dell’«ex-internato» (febbraio per
gennaio), ma è più probabile che in questo come in altri casi,
nel fornire notizie sugli internati ad Auschwitz, si potessero
intrecciare elementi di verità e pie manipolazioni dell’acca-
duto, per non colpire con la cruda realtà le famiglie già dura-
mente provate18.
Non sarà inutile, però, offrire una più ampia notizia su
Ettore Abenaim e i suoi. La famiglia, di ceppo sefardita livornese,
apparteneva alla borghesia pisana, abitava in piazza Mazzini 1 e

18
Di sostituzione della «verità dolorosa» con una «“verità” consolato-
ria» parla P. Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, quindi in
OC, II, pp. 1143-1276, a p. 1162-1163, in riferimento al caso di Alber-
to Dalla Volta, amico carissimo dell’autore a Monowitz, pure coinvolto
nella marcia della morte e incluso come Abenaim nella suddetta lista; i
membri superstiti della famiglia rimasero attaccati, nonostante la testi-
monianza di Levi stesso, all’idea che fosse sfuggito alle SS, si fosse salvato
con l’aiuto dei russi e stesse per ritornare. Il tema è stato trattato da Uri
Cohen, dell’Università di Tel Aviv, nella lectio magistralis False notizie
consolatorie. Primo Levi tra il mondo e il lager, tenutasi venerdì 20 set-
tembre 2019 nell’Aula Magna Storica della Sapienza (Università di Pisa),
in occasione della presentazione del volume San Rossore 1938. Contro gli
ebrei, a cura di M. Battini, G. Schwarz, Pisa, Pisa University Press, 2019.

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Fig. 6  Umberto Abenaim padre di Ettore, detto l’avvoato, circondato da


un gruppo di ragazzi davanti alla propria casa di Rezzano di Calci, 1937.

possedeva anche una casa a Rezzano di Calci (figura 6)19. Il padre


Umberto, laureatosi in legge il 13 gennaio 1897, esercitò la profes-
sione di avvocato, fu membro nel 1900 nel Consiglio comunale di
Pisa e rivestì sino alla sua morte, avvenuta il 30 novembre 1940,
incarichi nella Comunità ebraica pisana, «sia come consigliere,
sia come segretario, sia come consulente legale» (figura 7)20.
19
Vedi Abenaim, Abenaim. Una famiglia ebrea e le leggi razziali, cit., pp. 27-30.
20
Ivi, p. 23, e vedi, per la citazione, Archivio della Comunità Ebraica di
Pisa, Inserto 324, C IX 10.3, Messaggio di condoglianze del Presidente
della Comunità Giuseppe Pardo Roques a Linda Cassuto vedova Abe-
naim, 2 dicembre 1940, in seguito alla morte di Umberto.

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FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 7  Messaggio di condoglianze del Presidente della Comunità ebraica di


Pisa Giuseppe Pardo Roques a Linda Cassuto vedova Abenaim, 2 dicembre
1940, in seguito alla morte di Umberto intervenuta il 30 novembre 1940.

Il figlio maggiore Carlo, nato il 7 giugno 1905, si laurea


in ingegneria civile nel 1928, è chiamato alle armi nel 1929 e
intraprende la carriera militare, partecipa alla guerra d’Etiopia
guadagnandosi la Croce al merito di guerra e prosegue una bril-
lante carriera, sino ad acquisire nel 1938 il comando del reparto

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proiettificio dell’Arsenale di Napoli21. Il figlio minore Ettore


diviene Tenente di Fanteria e Capo Manipolo della Milizia a
Roma (figura 8), dove viveva lo zio Augusto Cassuto, cattedrati-
co di Urologia22. Con le leggi razziali Carlo è espulso dall’eserci-
to ed Ettore dalla Milizia fascista. Carlo, parzialmente esentato
dalla legislazione razziale per meriti di guerra, ottiene un posto
di ingegnere presso l’impresa di costruzioni Bonini di Torino,
senza nemmeno l’indicazione di «razza ebraica» sul libretto di
lavoro23. Dopo l’8 settembre 1943 lascia Torino e torna a Pisa,
nascondendosi a Rezzano, spostandosi variamente per mante-
nere i contatti coi familiari e riparando infine ad Arena Metato,
ove era sfollata la madre Linda24. Secondo testimonianze raccol-
te presso la Comunità ebraica di Pisa, sarebbe stato catturato
dai tedeschi nell’agosto 1944, a Limiti presso Pontasserchio,
non venendo comunque riconosciuto come ebreo25; è più pro-
babile però che, grazie a documenti falsi ove figura come Car-
lo Abenaini, si sia fatto passare per italiano e sia entrato nella
Todt Organisation, andando a lavorare nella zona di Piacenza
e tornando poi in clandestinità26. Dopo la liberazione sarebbe
stato reintegrato nell’Esercito, sino a raggiungere la Direzione
dell’Arsenale di Piacenza e il grado di generale.

21
Abenaim, Abenaim, Una famiglia ebrea e le leggi razziali, cit., pp. 29-37.
22
Ivi, p. 37.
23
Ivi, p. 44.
24
Ivi, pp. 55-58.
25
Cfr. C. Forti, Il caso Pardo Roques. Un eccidio del 1944 tra memoria e
oblio, Torino, Einaudi, 1998, pp. 119, 133n, 241-242 n., con rinvio ad
Archivio della Comunità Ebraica di Pisa, filza La Comunità di Pisa sotto
il fascismo, corrispondenza tra Clara Ventura e il colonnello M.A. Vitale,
aprile 1948 e 11 gennaio 1950.
26
Abenaim, Abenaim, Una famiglia ebrea e le leggi razziali, cit., pp. 58-61.

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Fig. 8  Ettore Abenaim, primo a destra in prima fila, in divisa di Capo


Manipolo della Milizia a Roma.

Ettore a sua volta, espulso dalla Milizia, diviene segretario


della Comunità ebraica di Roma, sino al 194227, e si sposta poi
a Torino ove, come a Roma, vivevano dei suoi parenti Cassuto,
tra i quali il citato zio Angiolo o Angelo. Nella città della Mole
assume l’incarico di direttore o, secondo altre fonti, Segretario
dell’Ospizio israelitico28 ove, grazie all’opera del vice-rabbino
27
Ivi, p. 45, e vedi G. Piperno Beer, Le scuole dei giovani ebrei di Roma
durante le leggi razziali (1938-1944), «La Rassegna Mensile di Israel»,
77, 1-2, 2011, pp. 227-249, a p. 237 n. 38, per una lettera del 10 gennaio
1940 da lui firmata in tale veste.
28
Ivi, p. 45, si parla di «segretario del ricovero israelitico di Torino». No-
tizie su Abenaim come direttore dell’Ospizio israelitico si trovano nell’Ar-
chivio delle tradizioni e del costume ebraico «Benvenuto e Alessandro
Terracini», come indica l’inventario a cura di C. Pilocane, L. Sacerdote,

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CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Giacomo De Benedetti, sino allo scorcio del 1943 si organizza-


rono funerali ebraici29. Colle prime retate dei nazisti contro gli
ebrei, la sorella di Ettore Vanda, moglie del rabbino di Genova
Riccardo Pacifici (figura 9), che aveva potuto rifugiarsi a Firenze
nel convento delle Suore Francescane Missionarie di piazza del
Carmine, vi è catturata dalle SS il 26 novembre 1943, per essere
inviata al carcere di Verona e quindi ad Auschwitz, ove troverà
la morte; il convoglio RSHA n. 5, formatosi a Milano e Verona,
trasporta anche il marito Riccardo, già arrestato a Genova il 3
novembre e quindi inviato a Milano, che giunto ad Auschwitz,
l’11 dicembre 1943, sarà subito ucciso30. Col moltiplicarsi degli
arresti di ebrei in seguito all’ordinanza di polizia n. 5 del Mini-
stro degli Interni Guido Buffarini Guidi (30/11/1943), viene
colpito anche il gruppo dell’Ospizio israelitico di Torino. Etto-
re Abenaim è arrestato il 15 dicembre 1943, presso la famiglia
Varesio di viale Bligny ove stava a pensione31, mentre Giacomo
De Benedetti lo sarà il 20; entrambi sono trasferiti da Torino
al carcere milanese di San Vittore e deportati da Milano ad Au-

http://siusa.archivi.beniculturali.it/inventari-pdf/pie-vda/ComTorino.
pdf, pp. 110-115, Ospizio israelitico ora Casa di riposo (1935-1977), in
particolare nn. 521, 554 Corrispondenza (1943-1971). Vedi inoltre ad
indicem http://www.archivioterracini.it/archivio/sgprod.php?subj=p.
29
Vedi la scheda 1938/2018. A 80 anni dalle leggi razziali, nel sito http://www.
museotorino.it e Torino 1938-1945: una guida per la memoria, Torino, Istitu-
to Piemontese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea Giorgio
Agosti, 2003, p. 19, ovi si ricordano «gli ebrei dell’ospizio di piazza Santa Giu-
lia […] la Direttrice Lidia [Livia?] Passigli e il segretario Ettore Abenaim».
30
Per le vicende di questa coppia vedi E. Pacifici, «Non ti voltare». Au-
tobiografia di un ebreo, Firenze, Giuntina, 1993; cfr. inoltre Picciotto, Il
libro della memoria, cit., pp. 95, 458 e 819-820.
31
Debbo questa precisazione a una comunicazione di Umberto Abenaim.

199
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schwitz il 30 gennaio 1944, col convoglio RSHA n. 6 sul quale


viaggiava anche Liliana Segre32. Ettore, marchiato col numero
173 398, fu inviato a Monowitz ove, come abbiamo visto, fu in
rapporto con Levi. Ci si chiede però se questi avesse potuto in-
contrare Abenaim già a Torino, evenienza che in Capaneo da un
lato è negata («se ci fossimo incontrati nella vita») e dall’altro
pare suggerita dal riferimento al suo aspetto fisico prima della
deportazione: «era stato un ometto piccolo e grasso; piccolo era
rimasto, e della sua pinguedine di un tempo […]».

3. Il «polacco […] laureato in medicina […] a Pisa»


Dopo l’inizio in prima persona e la descrizione dell’«ebreo pi-
sano», comincia la parte propriamente narrativa di Capaneo:
«in un caldo giorno di settembre suonarono sul fango le sire-
ne dell’allarme aereo» e quindi il personaggio che dice io, ossia
Levi, scende in un «nascondiglio segreto […], un budello sot-
terraneo», ma vi trova l’ebreo pisano che l’accoglie «con ver-
bosa cordialità mal ricambiata», cominciando a raccontargli
«non so quali sue lamentose avventure» (p. 1441). Intanto

Fuori, dopo il canto tragico delle sirene, era il silenzio neutro del
cielo: scialbo e lontano, pieno di minaccia. Ma a un tratto si udì
un fracasso sopra le nostre teste, e vedemmo, in cima alle scale, di-
segnarsi il contorno nero e vasto di Rappoport con un secchio in
mano. Come ci scorse, «Italiani!» gridò, e lasciò rotolare il sec-
chio con grande strepito giù per gli scalini. […] Rappoport poteva
avere allora trentacinque anni. Polacco di origine, si era laureato
in medicina in Italia, e precisamente a Pisa: donde la sua simpatia

32
Ivi, pp. 44-45 e 94, e vedi Abenaim, Abenaim, Una famiglia ebrea e le
leggi razziali, cit., p. 71.

200
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 9  Ettore Abenaim a sinistra, la sorella Vanda a destra e, al centro,


suo marito rav Riccardo Pacifici; immagini precedenti la deportazione e
morte ad Auschwitz.

per gli italiani, e la sua strana amicizia per Vidal, il piccolo pisano
[nell’ed. definitiva, OC, II, p. 242, «con Valerio, che a Pisa era
nato»]. […] Viveva in Lager come una tigre nella giungla: abbat-
tendo e taglieggiando i più deboli e girando alla larga dei più forti,
pronto a corrompere, a fare a pugni, a tirar cinghia, a mentire o
a sottomettersi, a seconda delle circostanze. Della sua vita libera
aveva conservato, oltre al vigore corporale, una robusta, gioiosa
volontà di godimento e di conoscenza: ed ecco, era questa la sua
chiave, questa la ragione per cui, pur sentendo in lui un nemico,
la sua vicinanza mi è sempre riuscita gradevole (pp. 1141-1142).

Come per l’«ebreo pisano», tentiamo un confronto


coi dati reali anche per questo ebreo «polacco […] laureato in
medicina […] a Pisa», nato attorno al 1909, se nel settembre
1944 «poteva avere […] trentacinque anni», e chiamato Leon
Rappoport in tutte le redazioni del racconto (ma invece Leon
Goldner nella versione teatrale)33.
33
Nella tavola dei Personaggi (OC, I, p. 1198), nello scherzoso titolo del-
la sua opera in latino (ivi, p. 1230) e nel complesso della scena troviamo

201
FABRIZIO FRANCESCHINI

La macchina della discriminazione e della persecuzione


sfociata nelle prime leggi razziali – ossia i Decreti 5 settembre
1938 Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista
e 7 settembre 1938 Provvedimenti nei confronti degli ebrei stra-
nieri –34 si attiva con la redazione di liste, da un lato, dei docenti
universitari ebrei e, dall’altro, degli studenti ebrei di nazionalità
straniera, come da circolare riservata urgentissima del 19 gennaio
1938, diramata dal Ministro dell’Educazione nazionale Giusep-
pe Bottai35. Il Rettore dell’Università di Pisa sen. prof. Giovanni
D’Achiardi, pur nella difficoltà di sceverare gli ebrei tra gli stu-
denti stranieri, dato che la dichiarazione di appartenenza ebraica
non era contemplata al momento dell’iscrizione, con nota riser-
vata del 25 gennaio 1938 risponde che «attualmente trovansi
iscritti presso questa Università n. 290 studenti ebrei di nazio-

semplicemente Goldner, ma la battuta finale (ivi, p. 1231) contiene anche


il nome proprio: «Leon Goldner ha avuto quanto gli spettava, non ha
lasciato debiti né crediti, non ha pianto e non ha chiesto pietà. Se incon-
trerò Hitler nell’altro mondo» ecc.
34
Il Regio Decreto 5 settembre 1938 n. 1390 inerente Provvedimenti per
la difesa della razza nella scuola fascista fu pubblicato sulla Gazzetta Uffi-
ciale del 13 settembre 1938 n. 209, mentre il Regio Decreto 7 settembre
1938 n. 1381 inerente Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri
reca un numero d’ordine antecedente ed era già uscito sulla Gazzetta Uf-
ficiale del 12 settembre 1938 n. 208.
35
Riproduzione della circolare, come protocollata dall’Università di Pisa con ap-
punti manoscritti, in Fuori da Scuola. 1938 - studenti e docenti ebrei espulsi dalle
aule pisane, a cura di S. Sodi, A. Peretti, Pisa, Pisa University Press, 2018, p. 73.
Vedi già Shoah e cultura della pace. Pagine di storia del Novecento all’Università
di Pisa, a cura di T. Fanfani, Catalogo della mostra del 27 gennaio-16 febbraio
2002, curata da M. Luzzati, F. Pelini, G. Tanti, R.L. Romano (Documenti, pp.
21-113), Pisa, PLUS, 2001, e F. Pelini, I. Pavan, La doppia epurazione. L’Uni-
versità di Pisa e le leggi razziali tra guerra e dopoguerra, Bologna, il Mulino, 2009.

202
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

nalità straniera»36; un documento successivo, di cui si conserva


il dattiloscritto con correzioni a mano, specifica che si tratta di
250 maschi e 40 femmine (figura 10)37. Secondo i dati dell’An-
nuario della R. Università di Pisa per l’anno accademico 1937-
1938, il complesso degli studenti stranieri iscritti a Pisa risulte-
rebbe di poco superiore, ossia 291 su un totale di 1977 studenti
in corso, ma secondo altri computi il loro numero sale a 30838 se
non di più39. In ogni caso l’Ateneo pisano risulta secondo solo a
Bologna per questo tipo di attrattività; ben 236 di tali studenti
sono di nazionalità polacca e 175 di essi sono iscritti alla sola

36
La nota è conservata, col documento sopraindicato, in Archivio gene-
rale di Ateneo dell’Università di Pisa (d’ora in poi Aupi), anno 1938, po-
sizione 7, fascicolo Studenti ebrei di nazionalità straniera (già in Archivio
di Stato di Pisa, Upi, b. 83).
37
Aupi, Minuta della lettera del Rettore dell’Università di Pisa Giovanni
D’Achiardi al Ministero dell’Educazione Nazionale in data Pisa 19 feb-
braio 1938, riprodotta in Fuori da Scuola. 1938 - studenti e docenti ebrei
espulsi dalle aule pisane, cit., pp. 74-75.
38
Pelini, Pavan, La doppia epurazione, cit., p. 44.
39
P.M. Mancarella, Sentiamo il dovere senza averne il diritto, in San Rossore
1938. Contro gli ebrei, a cura di M. Battini, G. Schwarz, cit., pp. 29-35, a p. 30.
Il dato del 1937-38 costituisce comunque un forte incremento rispetto agli
anni accademici precedenti, nei quali si oscillava attorno alle 200 unità: cfr.
Annuario della R[egia] Università di Pisa per l’anno accademico 1938-1939,
Pisa, Lischi, 1939, p. 322, Tavola 2, secondo cui gli stranieri erano 176 nel
1933-34, 209 nel 1934-35, 176 nel 1935-36, 195 nel 1936-37, con un balzo
sino a 291 nel 1937-38. Vedi anche E. Signori, Una peregrinatio academica
in età contemporanea. Gli studenti ebrei stranieri nelle Università italiane tra le
due guerre, «Annali di storia delle Università italiane», 4, 2000, pp. 139-162,
e Ead., Contro gli studenti ebrei di Pisa. Un ostracismo in anticipo, in Vite so-
spese. 1938: Università ed ebrei a Pisa, a cura di M. Emdin, B. Henry, I. Pavan,
Pisa, Pisa University Press, 2019, pp. 87-103, specie pp. 92-97.

203
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 10  Minuta della lettera del rettore dell’Università di Pisa Giovanni
D’Achiardi al Ministero dell’Educazione Nazionale, datata Pisa 19 febbra-
io 1938 e relativa al numero degli studenti stranieri ebrei, indicato in 290.

204
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Facoltà di Medicina e Chirurgia; seguono per numero, molto


distanziati, gli studenti tedeschi, lituani, rumeni ecc.40. L’afflusso
era stato favorito, sul piano internazionale, dal numerus clausus
per gli studenti ebrei a Medicina e Giurisprudenza in Germania,
Romania, ecc. e, sul piano locale, dalla politica dell’Ateneo che
dimezzava le tasse agli studenti esteri e talora li ammetteva anche
con documentazione imperfetta. Il fortissimo afflusso verso Pisa
dalla Polonia si deve anche alla specifica attività di intermediari
quali il Dr. Leopold Weintraumb di Leopoli o il Dr. Wolf Faj-
geles di Lublino, che orientavano i giovani polacchi, specie ebrei,
verso l’Ateneo pisano, favorendo il buon esito delle pratiche di
iscrizione e la sistemazione degli studenti tramite un rapporto
diretto con la segreteria dell’Università41.
In questo quadro possiamo considerare l’elenco nomi-
nativo degli Studenti stranieri iscritti nel 1937-38 presso la R.
Università di Pisa, steso dagli uffici dell’Università di Pisa in
rapporto «alla nota ministeriale n. 5680 del 9 agosto 1938»42,
e le liste di tutti gli iscritti a varie Facoltà con indicazione del-
la provenienza geografica43. Nell’elenco della Facoltà non di
Medicina e Chirurgia ma di Medicina Veterinaria, nel quale i
nominativi stranieri sono contrassegnati da crocette o trattini,

40
Cfr. Pelini, Pavan, La doppia epurazione, cit., p. 45.
41
Pelini, Pavan, La doppia epurazione, cit., pp. 45-46 e n. 13; Signori, Con-
tro gli studenti ebrei di Pisa, pp. 93, 96.
42
Aupi, fascicolo Studenti ebrei di nazionalità straniera, cit.; si tratta di 9
pagine dattiloscritte numerate a matita rossa: le prime otto contengono
l’Elenco A con 230 nominativi suddivisi per nazionalità, mentre la nona
presenta un Elenco B con altri 12 nominativi; in questi due elenchi gli
studenti polacchi assommano a 213.
43
Ivi; sulle varie redazioni di tale documentazione vedi Pelini, Pavan, La
doppia epurazione, cit., pp. 48-49.

205
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 11  Elenco degli studenti iscritti alla Facoltà di Medicina e Veterina-
ria con indicazione della provenienza geografica, 1938.

troviamo al n° 9 un Rapaport ma di nome Shemuel, senza indi-


cazione di nazionalità, iscritto solo al I anno e destinato quindi
all’espulsione (figura 11)44. Se invece che al cognome guardiamo
al nome fornito da Levi, nell’elenco generale degli Studenti stra-
44
Aupi, fasc. Studenti ebrei di nazionalità straniera, cit., Medicina e Ve-
terinaria, elenco degli iscritti. Una circolare del ministro Bottai, datata 6
agosto 1938, precludeva agli studenti stranieri ebrei la possibilità di iscri-
versi ai corsi non solo se matricole ma anche se «iscritti negli anni prece-
denti» (vedi Fuori da Scuola. 1938 - studenti e docenti ebrei espulsi dalle
aule pisane, cit., p. 76). Nel 1939-40, di conseguenza, all’Università di Pisa
risultano iscritti solo quattro studenti ebrei stranieri, nessuno dei quali
polacco: cfr. R. Università di Pisa, Annuario anno accademico 1939-1940,
Pisa, Lischi, 1940, pp. 235, 236, 239, 240.

206
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

nieri (A: figura 12a) troviamo, tra i polacchi iscritti a Medicina e


Chirurgia, un Leo Singer (n° 70, Med. I), un Leon Fast (n° 208,
Med. II) e altri.; il candidato più plausibile è comunque l’ebreo
polacco Leone Abraham Zucker (n° 226: figura 12b)45, unico
tra questi giunto alla laurea secondo l’Elenco nominativi degli
stranieri laureati durante l’anno 1937-38, che ne indica anche la
nascita a Debica, nel voivodato della Precarpazia (figura 13b)46.
Un’ulteriore conferma viene dagli Annuari dell’Università di
Pisa che per ogni anno accademico, dal 1935 al 1940, indicano
tutti i laureati, Facoltà per Facoltà, col titolo della tesi e le vota-
zioni. Mentre per Medicina e Chirurgia o per Medicina Veteri-
naria mancano laureati di cognome Rapaport e sim. (o Goldner)
e non ce n’è altri di nome Leon, l’Annuario della R. Università
di Pisa per l’anno accademico 1938-1939, cit., p. 285, mostra tra
i laureati in Medicina e Chirurgia il nostro Zucker Abraham di
Debica, la cui tesi, di carattere applicativo, verteva su Moderni
sistemi di conservazione del latte.
Tirando le somme, tra i compagni di Levi nel viaggio da
Fossoli ad Auschwitz non troviamo nessun Vidal o Valerio o Son-
nino, mentre c’è un Lonzana, morto presumibilmente nell’otto-
bre 1944 ma non nato a Pisa; nato a Pisa, ma giunto ad Auschwitz
con altro trasporto e sopravvissuto sino alla ‘marcia della morte’
del gennaio 1945, è invece Ettore Abenaim. Tra gli studenti po-
lacchi a Pisa, nello scorcio degli anni Trenta, non c’è alcun Leon

45
Aupi, fasc. Studenti ebrei di nazionalità straniera, Studenti stranieri
iscritti nel 1937-38 presso la R. Università di Pisa, p. 8.
46
Aupi, fascicolo Studenti ebrei di nazionalità straniera, Elenco nominativi
degli stranieri laureati durante l’anno 1937-38; l’elenco, datato 27 dicembre
1938, risulta predisposto, come da lettera di accompagnamento del Retto-
re (figura 13a), «in relazione alle disposizioni impartite dall’on. Ministero
[sic] dell’Educazione Nazionale con sua circolare in data 2 aprile 1938».

207
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 12a  Studenti stranieri iscritti nel 1937-1938 presso la R. Università


di Pisa, polacchi e di altra nazionalità, Elenco A, pagina iniziale.

208
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 12b  Studenti stranieri iscritti nel 1937-1938 presso la R. Università


di Pisa, polacchi e di altra nazionalità, Elenco A, pagina finale.

209
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 13a  Lettera del Rettore Giovanni D’Achiardi, datata 29 dicembre 1938, re-
lativa all’elenco degli studenti stranieri laureati a Pisa durante l’anno 1937-1938.

210
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 13b  Elenco nominativi degli studenti stranieri laureati a Pisa duran-
te l’anno 1937-1938, datato 27 dicembre 1938.

211
FABRIZIO FRANCESCHINI

Rappoport47: un Rapaport, ma di nome Shemuel, si trova a Ve-


terinaria e solo al I anno, dunque lontano dalla laurea; però, tra i
polacchi di nome Leon e sim., un Leone Abraham Zucker di De-
bica si è effettivamente laureato in Medicina, nel 1938, quando il
Leon di Levi avrebbe avuto una trentina di anni.
In questo quadro, dobbiamo credere a Primo Levi e alla
veridicità del suo racconto?48 La risposta viene dallo stesso autore,
che chiude così la prefazione a Moments of Reprieve, edizione ame-
ricana di vari racconti di Lilít, a partire appunto dal nostro (Rap-
poport’s Testament): «gli episodi su cui ho costruito queste storie
sono realmente avvenuti, e ne sono esistiti i personaggi, anche se,
per evidenti motivi, spesso ne ho alterato il nome»49. Manipola-
zioni onomastiche del genere sono frequenti nelle opere di Levi:
tra i suoi compagni di prigionia c’era uno Steinlauf, perito dopo
una selezione (come mostra l’elenco comprendente anche Lonza-
na), ma il personaggio chiamato Steinlauf in Se questo è un uomo è
in realtà il «Gluksmann Eugenio» ricordato nell’elenco degli eva-
cuati da Auschwitz, che si apre con Abenaim. Il personaggio che in
Se questo è un uomo compare come Sonnino (pseudonimo usato
invece per il nostro «ebreo pisano» nella versione teatrale di Se

47
Beninteso tra le vittime della Shoah ve ne sono molte con tale o simile
nome e cognome, come mostra il Central Data Base dello Yad Vashem con
oltre venti indicazioni (ma più indicazioni possono riferirsi a uno stesso in-
dividuo), nessuna delle quali tuttavia pare ricollegabile a Pisa: vedi https://
yvng.yadvashem.org/index.html?language=en&s_lastName=Rappopor-
t&s_firstName=Leon&s_place=&s_dateOfBirth.
48
Sulla questione vedi in generale M. Barenghi, Perché crediamo a Primo
Levi?/ Why do we believe Primo Levi?, Torino, Einaudi, 2013 («Lezioni
Primo Levi», 4).
49
P. Levi, Preface, in Moments of Reprieve, New York, Summit Books, 1986,
pp. 9-11; si cita dall’originale in italiano, edito in OC, II, pp. 1654-1655.

212
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

questo è un uomo) è lo stesso che nella Tregua e in uno dei racconti


di Lilít è chiamato Cesare e in realtà corrisponde alla persona di
Lello Perugia50. Allo scambio di nomi può unirsi l’integrazione in
un unico personaggio di tratti appartenenti a persone reali diverse,
ma in qualche modo associate nella memoria di Levi; questo av-
verrà in particolare per il Libertino Faussone della Chiave a stella
e proprio la citazione da Tifone di Joseph Conrad, in chiusura di
quel libro, assicura che un personaggio simile, benché non vero
anagraficamente, «è perfettamente autentico» (OC, I, p. 1173).

4. Vita goliardica a Pisa


Alla parola dell’autore si aggiunge lo stesso testo, coi suoi rife-
rimenti concreti e realistici alla vita goliardica pisana:

Rappoport scese dunque lentamente le scale […]. «Salute, ita-


liani» disse; «ciao, pisano» […]. Poco dopo Vidal ed io, come
allora accadeva, eravamo scivolati in un dormiveglia brulicante
di visioni […]; non così Rappoport, che […] poco dopo apostrofò
Vidal, che già russava. «Sveglia, Vidal! che cosa hai sognato? Ra-
violi, vero? Ravioli e vino di Chianti. Alla mensa di via dei Mille,
per lire 6,50. E le bistecche, psza-crew cholera [‘sangue di cane,
colera!’ in polacco]: bistecche di borsa nera che coprivano il piat-
to» (Rappoport parlava italiano piuttosto bene, ma bestemmia-
va in polacco; non c’è da stupirsene, le bestemmie polacche sono
fra le più succulente). «E poi la Margherita…» e qui fece una
smorfia gioviale, e si batté fragorosamente una mano sulla coscia.
[…] «Come, non conoscevi la Margherita? Non ci sei mai stato
insieme? Ma allora cosa sei pisano a fare? Ha! (proprio così dice-
va Rappoport: “Ha!” come gli eroi di Rabelais, saturi d’amore e di
vino, eppure ancora saldi in gambe e lucidi d’intelletto). uella

50
Cfr. OC, III, pp. 101 e 1101.

213
FABRIZIO FRANCESCHINI

era una donna da svegliare i morti: tranquilla, pulita e gentile di


giorno, e di notte una vera artista» (pp. 1442-1443).

uesta pagina trova immediato confronto nel Pisaner


Tagebuch o Diario Pisano steso, proprio nel 1937-38, dal te-
desco Karl-Eugen Gass, borsista presso la Scuola Normale Su-
periore51, allora ventiseienne e non ebreo, come certificano gli
uffici dell’Ateneo pisano52. Pur intento ai suoi studi umanistici,
Gass prende «soavemente sul serio Pisa e i pisani» e nel suo
diario «nulla manca di Pisa […], nemmeno […] il trammino fra
i prati e le pinete verso il mare, qualche defunto cinema-varietà,
qualche casa chiusa»53. Anzi ci dice chiaramente che il bordello
«quasi tutti i normalisti lo frequentano abitualmente; ci van-
no in gruppo, e a tavola è il loro principale argomento di con-
versazione»54; non meraviglia dunque che, tra le poche parole
italiane nel testo tedesco, ci sia casino55. Un’altra parola citata in
italiano da Gass e legata all’altro argomento caro a Rappoport,
ossia l’alimentazione, è fritella, con una sola t, ossia una «focac-
cia lievemente brunita dello spessore di un dito. Con un coltello
venne aperta e nell’interno fumante fu spalmato del pecorino
bianco. Cosparsa di sale era deliziosa. Il tutto per 50 centesimi»;
questa focaccia e «altre gioie del palato» come «focaccia con
pomodori e pesce e torte sottili di farina di castagne», Gass e i
suoi colleghi le mangiavano recandosi presso la Normale, «in

51
K.-E. Gass, Pisaner Tagebuch. Aufzeichnungen, Briefe, Heidelberg,
Lambert Scheineder, 1961, trad. it. Diario Pisano 1937-1938, con Intro-
duzione di M. Marianelli, Pisa, Nistri Lischi, 1989.
52
Pelini, Pavan, La doppia epurazione, cit., p. 49.
53
Marianelli, Introduzione a Gass, Diario Pisano, cit., p. XI.
54
Ivi, p. 91.
55
Ivi, p. 77.

214
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

una viuzza laterale […] in uno stambugio»56, facilmente identi-


ficabile con l’ancora attivo Montino.
Non è invece facile identificare la «mensa di via dei
Mille» dove lo studente polacco e l’ebreo pisano facevano lauti
pasti da «lire 6,50». Ammettendo che fosse davvero una men-
sa, come dicono le varie versioni del racconto (ma la versione
teatrale parla invece di «osteria di via dei Mille»)57, certo non
era una mensa universitaria. Un opuscolo promozionale pub-
blicato probabilmente a fine 1939, quando Annibale Evaristo
Breccia aveva sostituito come Rettore Giovanni D’Achiardi,
descrive il palazzo dell’Opera Universitaria dietro la Norma-
le (figura 14) con i suoi servizi, la palestra, il salone per le as-
semblee e la «sede veramente ampia e decorosa» del Gruppo
Universitario Fascista, ma rivela che non erano ancora iniziati
«i lavori per la […] Mensa dello Studente»58, comunque pre-
vista e poi realizzata in via Martiri. Nemmeno poteva essere
una mensa dell’Ente Comunale di Assistenza appena istitui-
to (1937), che sarebbe stata realizzata nel dopoguerra, essen-
do sindaco Italo Bargagna, in Via Tavoleria, e trasformata nel
1953-55 in ristorante popolare, che serviva al prezzo di 150
lire una minestra, una pietanza con contorno e 100 grammi di
pane59. Non ho sinora reperito notizie di un simile «ristoran-
te popolare» in Via dei Mille. ui però c’era, ai numeri 5-7
di allora presso la Chiesa di Sant’Eufrasia, nel palazzo detto

56
Ivi, pp. 58-59.
57
Cfr. Marché, Levi, Se questo è un uomo, cit., OC, I, p. 1230.
58
R. Università di Pisa, Pisa, V. Lischi & Figli, s.d. [dopo il 29 ottobre
1939, data di insediamento del rettore Breccia che vi è citato], p. 62.
59
Cfr. F. Cimini, La «Trincea della miseria». L’Ente Comunale di Assi-
stenza di Pisa (1937-1978), tesi di laurea magistrale, rel. I. Pavan, correl.
V. Forino, Università di Pisa, aa. 2013-2014, pp. 64 e 109.

215
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 14  Casa dello Studente-Opera Universitaria, in R. Università di


Pisa, Pisa, V. Lischi & Figli, s.d. [poco dopo il 29 ottobre 1939], p. 33.

216
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 15  Via dei Mille numeri 5-7, palazzo dei Salesiani oltre la Chiesa di
Sant’Eufrasia, prima metà del Novecento (post 1912).

217
FABRIZIO FRANCESCHINI

ancora dei Salesiani (figura 15) oggi sede del Centro Interdi-
partimentale di Studi Ebraici e di altre strutture universitarie,
il pensionato e convitto maschile Don Bosco per studenti uni-
versitari, progettato nel 1919, attivo nel 1927 e rilanciato negli
anni Trenta60. I Salesiani, a costo di aspre polemiche con i be-
nefattori e altre autorità ecclesiastiche, miravano a potenziare
al massimo il convitto e pensionato, in modo da «accogliere
i tanti giovani che hanno bisogno di questo servizio», come
scrivevano già nel 1919, e non avevano pregiudizi né contro gli
ebrei né contro gli stranieri61. Nel 1937 infatti, sotto la guida
di don Giovanni Montaldo, ospitarono non solo «una tren-
tina di giovani per il convegno dei Fucini», cioè gli aderenti
alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana, e «una quin-
dicina di giovani venuti a Pisa per sostenere esami presso la
Università», ma anche «una trentina di giovani inglesi» rac-
comandati da un ispettore salesiano62. Non è dunque escluso
che coi buoni uffici di un intermediario potesse accedervi an-
che qualche polacco, tanto più se con disponibilità finanziarie
come quelle di cui doveva disporre il leviano Rappoport grazie
alle sue molte abilità.

60
Vedi l’inserzione promozionale in «Bollettino Salesiano», LI, 10, ot-
tobre 1927, p. 320, e A. Miscio, Pisa e i Salesiani. Don Bosco – Toniolo
– Maffi, Pisa, Vigo Cursi, s.d. [Introduzione datata 8 maggio 1994], pp.
141-142, 207-210 e passim.
61
Per la citazione vedi ivi, p. 141. Carlo Abenaim ricordava spesso «gli
amichetti cattolici che giocavano con lui [nel 1918, e probabilmente poco
più tardi anche col fratello Ettore] a calcio nell’oratorio dei Salesiani»,
i quali «non furono mai antisemiti» e anzi ascoltavano con interesse le
spiegazioni del ragazzo ebreo circa il suo Bar Mitzvà (Abenaim, Abenaim,
Una famiglia ebrea e le leggi razziali, cit., p. 29).
62
Cfr. Miscio, Pisa e i Salesiani, cit., p. 204.

218
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

uanto alla Margherita, bella e brava nel suo mestiere, la


versione teatrale di Se questo è un uomo (OC, I, p. 1230) aggiun-
ge l’ulteriore dettaglio che era «quella di Lungarno Galileo» e
dunque doveva lavorare individualmente, dato che le case chiu-
se erano invece concentrate in prossimità del Lungarno Gamba-
corti, tra via dell’Occhio, piazza dei Grilletti e la Nunziatina63.
Un tocco finale di goliardia è dato dal titolo dell’opera
che il nostro ebreo polacco si riprometteva di scrivere, ossia
Rappoportii, Doctoris Crassi, De malis et bonis more geometrico
summandis (p. 1444), che nella versione teatrale di Levi-Mar-
ché diviene Goldnerii, doctoris crassi Polonensis, De malis et bo-
nis more geometrico summandis64.

5. La memoria letteraria
Le due figure centrali di Capaneo sono dunque, anche per esi-
genze di riservatezza, un impasto di elementi reali e fittizi, ar-
ricchito poi dalla memoria letteraria65.
A prescindere per ora dal riferimento dantesco eviden-
ziato dal titolo, la coppia formata, nel «budello sotterraneo»
ove si trova il narratore, da uno che «cadeva continuamente»

63
Cfr. L. Gremigni, Goliardia a Pisa. Breve storia dalle origini al 1960, in
G. Gianguidi, L. Gremigni, M. Salvestroni, Goliardia a Pisa, Pisa, GLD
Libri, 2007, pp. 33-105, a pp. 95-96; R. Castelli, Pisa, il romanzo della
città, La storia, i personaggi, gli aneddoti, le emozioni, Pisa, ETS, 20192, pp.
93-95, col tariffario del casino alla Colonna di via dell’Occhio, nel 1937.
64
Marché-Levi Se questo è un uomo, cit., OC, I, p. 1230.
65
Sul «rapporto tra storia e invenzione, […] e in ultima analisi […] tra
vero e falso» in questo e negli altri racconti di Lilít vedi A. Rondini, La
scrittura e la sfida. Una lettura di «Lilít» di Primo Levi, «Studi Novecen-
teschi», XXIX, 63-64, 2002, pp. 239-276, specie pp. 239-251.

219
FABRIZIO FRANCESCHINI

e un altro che in quel terribile scenario si erge impassibile richia-


ma quella formata nel «cieco carcere» infernale da Cavalcante,
che «s’era in ginocchie levat[o]» e poi «supin ricadde» (Inf.,
X, 54, 72)66, e da Farinata che «s’ergea col petto e con la fronte /
com’avesse l’inferno a gran dispitto» e nel prosieguo «non mutò
aspetto, / né mosse collo né piegò sua costa» (ivi, 35-36, 74-75)67.
uanto al primo membro della coppia, i lettori del
«Ponte», se non tutti quelli delle successive redazioni di Ca-
paneo, non potevano non riconoscere nella raffigurazione di
Vidal (poi Sonnino, Lonzana, Valerio) come «omino di fan-
go», un tempo «piccolo e grasso», untuoso e adulatore, l’«o-
mino […] di burro» di Pinocchio (figura 16) che, alla guida del
suo carro, raccoglie «tutto complimentoso» i ragazzi e li por-
ta nel Paese dei Balocchi, ove si trasformeranno in ciuchini:

66
Nella versione teatrale di Se questo è un uomo si legge «Sonnino si butta
bocconi a terra» (OC, I, p. 1230).
67
Il confronto tra la scena di Farinata e Cavalcante e quella di Capaneo è sta-
to sviluppato dalla critica dantesca; vedi a es. D. Alighieri, Commedia, con il
commento di A.M. Chiavacci Leonardi, Bologna, Zanichelli, 2001, p. 252,
a Inf., XIV, 70. Alla coppia di Capaneo si sarebbe tentati di accostare anche
quella della Grande Guerra di Mario Monicelli, formata da Oreste Giacovazzi
(Alberto Sordi), che si crogiola nel fango della sua ruffianeria e viltà, e da Gio-
vanni Busacca (Vittorio Gassman), che con mossa paragonabile a quella finale
del Capaneo di Levi sfida l’ufficiale austriaco, a costo di subire la fucilazione,
con le parole «mi te disi proprio un bel nient, faccia de merda!». Ma qui si
tratta di parallelismo piuttosto che di derivazione, dato che il film, presentato
a Venezia il 5 settembre 1959, esce nelle sale, con una prima proprio al Cine-
ma Ambrosio di Torino, solo il 28 ottobre seguente, in coincidenza con l’usci-
ta di Capaneo nel «Ponte» del novembre 1959. Cfr. F. Franceschini, Moni-
celli e il genio delle lingue. Varietà dell’italiano, dialetti e invenzione linguistica,
Pisa, Felici, 2014, p. 61 e vedi ivi, p. 144, per la trascrizione delle battute finali
di Oreste e Giovanni dal parlato filmico e dalle precedenti sceneggiature.

220
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 16  L’«omino di burro» disegnato da E. Mazzanti, in C. Collodi, Le av-


venture di Pinocchio. Storia di un burattino, Firenze, Felice Paggi, 1883, p. 188.

221
FABRIZIO FRANCESCHINI

Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come


una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che
rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un
gatto, che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa68.

La stessa forma toscaneggiante omino, che punteggia le


pagine di Collodi, rende evidente la derivazione, si attaglia al
personaggio pisano e crea una complicità linguistica con i let-
tori della rivista fiorentina.
Il personaggio di Leon Rappoport è costruito con un
gioco più complesso di fonti, a partire da quella dantesca in-
dicata nel titolo: il Capaneo del canto XIV dell’Inferno, che
Dante ripete sostanzialmente dalla Tebaide di Stazio, è «l’un
de’ sette Regi / ch’assiser Tebe» il quale, ergendosi sulle mura
della città, sfida lo stesso Giove, incurante del fulmine che l’a-
vrebbe poi colpito. Dunque, si legge nella Commedia, «ebbe
[…] Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi», non solo sulla
terra ma anche nell’Inferno, ove persevera in tale atteggiamen-
to (vv. 68-70). Infatti, mentre gli altri dannati (bestemmiatori,
usurai e sodomiti), posti in un sabbione infuocato sotto una
pioggia di falde di fuoco, cercano di schermirsi e proteggersi69,
egli se ne distingue come un «grande che non par che curi /
lo ’ncendio» (vv. 46-47) e anzi rinnova dall’Inferno la sua sfi-

68
Cfr. C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illu-
strata da E. Mazzanti, Firenze, Felice Paggi, 1883, p. 171 e passim, con le
illustrazioni a pp. 173 e 188 (figura 16 e cfr. figura 8).
69
In particolare la «gente» che sconta lo stesso peccato di Capaneo, ossia
i bestemmiatori, «supin giacea» (v. 22 e cfr. Inf., X, 72), cercando di ripa-
rarsi in vario modo come mostrano le illustrazioni antiche e moderne del
canto, mentre Capaneo sembra immune dalla pena inflittagli («la pioggia
non par che ’l marturi», v. 48).

222
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Fig. 17  Dante Alighieri, Commedia, Inf. XIV, Capaneo e i bestemmiato-


ri nella raffigurazione di Gustave Doré, 1861.

da a Dio esclamando «ual io fui vivo, tal son morto» (v.


51: figura 17). Allo stesso modo, sotto la pioggia di bombe e
mentre «Vidal si era trascinato in un angolo, stava col viso na-
scosto nel cavo del gomito come a proteggersi», Rappoport,
impavido e sprezzante, «si sganasciava dalle risa. “Te la sei fat-
ta addosso, eh, pisano? o non ancora? Aspetta, aspetta, il bello
ha ancora da venire”», per quanto in quel «bello», egli ag-
giunge, potesse esserci la «bomba […] già in viaggio» per lui
(pp. 1443-1444). Egli non ha paura né delle bombe né dei loro
«sibili […] demoniaci» di cui certi «tristi fabbri» le hanno
dotate (p. 1443), così come il Capaneo dantesco sfida tutte le
folgori commissionate da Giove al «suo fabbro» Vulcano e a

223
FABRIZIO FRANCESCHINI

tutti «li altri [fabbri]» (vv. 52-60). Infine, al pari del Capaneo
di Dante, quello di Levi sarà lo stesso da vivo come da morto:
la sfida lanciata nell’inferno del Lager, da cui si sente immune
(«io sono tabù, sono invulnerabile: per guastare il mio bilan-
cio, ci vorrebbero molti anni ancora di Lager, o molti giorni di
tortura»: p. 1444), si proietta nell’Inferno oltremondano per
colpire il più alto ispiratore della barbarie e dello sterminio:
«Se all’altro mondo incontrerò Hitler, gli sputerò in faccia
con pieno diritto, perché non mi ha avuto» (pp. 1444-1445)70.
Le parole ma anche l’attitudine e i movimenti dei perso-
naggi rendono chiara la corrispondenza col canto XIV dell’In-
ferno. Eppure, forse temendo che non tutti i destinatari della
versione definitiva di Capaneo la cogliessero, Levi inserisce,
dopo la battuta rivolta dal narratore in prima persona a Rap-
poport «hai dei buoni nervi», una nota chiarificatrice: «dalla
memoria liceale mi affiorava, sbiadita come da una reincarna-
zione interiore, l’immagine spavalda di Capaneo, che dal fondo
dell’inferno sfida Giove e ne irride le folgori» (OC, II, p. 244).
Accanto al fondamentale riferimento a Dante, la pri-
ma redazione di Capaneo ne presenta esplicitamente altri due.
Il primo è a François Rabelais e al Gargantua & Pantagruel
(1532-1534), che Levi aveva letto attorno al 1940 «nell’edi-
zione paterna del “Génie de France»71 e che, secondo un ricor-

70
Per quanto detto non è sostenibile l’idea che il «nome illustre» di
Capaneo possa riferirsi al (o anche al) «malcapitato Valerio» in quan-
to «nome di amara ironia per quest’uomo che cade continuamente nel
fango» (mentre Capaneo si erge nel sabbione), come proposto nel pur
notevole lavoro di G. Baldissone, L’opera al carbonio. Il sistema dei nomi
nella scrittura di Primo Levi, Milano, Franco Angeli, 2016, pp. 159-160.
71
Cfr. I. Thomson, Primo Levi. A life, London, Hutchinson, 2002, trad.
it. Primo Levi. Una vita, Torino, UTET, 2017, p. 612. Il riferimento è a

224
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

do riferito al giugno 1942, figura tra le sue letture imprescin-


dibili, accanto alle folenghiane Macaronee e a Moby Dick (cui
rinvia l’inizio di Capaneo)72. Al nostro polacco la corpulenza
e la passione per donne e cibo dànno un’inconfondibile aria
rabelesiana, che la prima redazione esplicita: «Ha! […] diceva
Rappoport: “Ha!” come gli eroi di Rabelais, saturi d’amore e
di vino, eppure ancora saldi in gambe e lucidi d’intelletto» (p.
1443).
Col riferimento a Rabelais si intreccia quello a François
Villon, le cui composizioni proprio nel 1959 avevano avuto
una diffusione anche sonora, grazie al vinile Liriche di François
Villon dette da Giancarlo Sbragia73. La versione in rivista ci
dice dunque

Ma ecco: ‘au temps de ma jeunesse folle’, ho bevuto, ho man-


giato, ho fatto all’amore, ho avuto amici di tutte le razze, ho
lasciato la Polonia piatta e grigia per quella vostra Italia, e in
Italia ho studiato, ho viaggiato, ho visto (p. 1444);

il Testament di Villon, risalente al 1461, alle stanze


XXII-XXVI mostra appunto un bilancio della vita del poeta
paragonabile a quello stilato da Rappoport e include, a XXVI

F. Rabelais, Gargantua & Pantagruel, Paris, «Génie de la France», 1932.


72
Cfr. P. Levi, Fosforo, in Id., Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1975, quin-
di in OC, I, p. 941, ove si annoverano tra «le poche cose che sentivo indispen-
sabili […] Rabelais, le Macaroneae, Moby Dick tradotto da Pavese».
73
Istituto Internazionale del Disco, SIL, 4002, traduzione e presentazio-
ne di L. de Nardis, Cfr. F. Villon, Poesie, Introduzione, traduzione e note
di L. de Nardis, Milano, Feltrinelli, 1975³, p. XXXVII, e vedi ivi, pp. 6-21
e specie p. 14, per il Testament. Cfr. ora, tra le edizioni recenti, Il testa-
mento e altre poesie, a cura di A. Principato, trad. di A. Garibaldi, Torino,
Einaudi, 2015.

225
FABRIZIO FRANCESCHINI

v. 2, l’espressione citata da Levi (con una lieve variante grafica)


«ou temps de ma jeunesse folle». Nella versione teatrale questa
espressione si scolorisce in «ai tempi della mia gioventù ho be-
vuto, ho mangiato, ho fatto all’amore» (OC, I, p. 1231), mentre
nell’edizione definitiva troviamo solo «finché ho potuto, io ho
bevuto, ho mangiato, ho fatto l’amore» ecc. (OC, II, p. 244).
Analogamente, la versione definitiva elimina l’esplicito rife-
rimento a Rabelais, che stava tra «Ma allora cosa sei pisano a
fare?» e «uella era una donna da svegliare i morti».

6. Capaneo e le storie «allegre» nel percorso di Primo Levi


Il racconto comparso sul «Ponte» del 1959 intrattiene rappor-
ti con varie altre pagine di Levi, distribuite attraverso gli anni.
Il capitolo I sognatori de La tregua, datato in un qua-
derno manoscritto 31 marzo 1962, ma la cui prima stesura po-
trebbe avvicinarsi all’epoca del nostro racconto74, presenta la
figura del «Moro di Verona», la cui forte costituzione fisica
(«era un gran vecchio […] alto e ben dritto sulle reni, forte
ancora come un cavallo») e il cui atteggiamento indomito e
bestemmiatore suggeriscono un confronto col personaggio di
Capaneo, esplicitato dallo stesso Levi:

Nel petto del Moro, scheletrico eppure poderoso, ribolliva sen-


za tregua una collera gigantesca ma indeterminata: una collera
insensata contro tutti e tutto, contro i russi e i tedeschi, contro
l’Italia e gli italiani, contro Dio e gli uomini […]. Bestemmiava
in continuazione […] con metodo e con studio […]. Che fosse

74
Cfr., per la data, Belpoliti, Note ai testi de La Tregua, OC, I, p. 1488, e
Id., Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 325: «Capaneo […] la cui pri-
ma stesura è contemporanea a La Tregua».

226
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

cinto da una disperata demenza senile, non v’era dubbio, ma


c’era grandezza in questa sua demenza, e anche forza, e una
barbarica dignità, la dignità calpestata delle belve in gabbia, la
stessa che redime Capaneo e Calibano (OC, I, p. 378, e cfr. ivi,
II, p. 1655, per la «vitalità ferina» di Rappoport).

Su «Il Mondo» del 17 maggio 1960, quindi poco


dopo il nostro racconto, esce Il Versificatore, in cui si accenna
al tema eschileo de I sette a Tebe (tra i quali primeggiava Capa-
neo); la composizione poetica prodotta dal versificatore elet-
tronico si rivela però, a causa dell’ignoranza della macchina,
priva dei nomi dei sette eroi; in una rielaborazione successiva
del racconto, inclusa nelle Storie Naturali (1966), è il poeta in
carne e ossa che riempie la lacuna: «vuol vedere che due nomi
ce li facciamo entrare? Guardi: “Ippomedonte e Capaneo per
primi”» (OC, I, p. 507).
Ma Capaneo del 1959 intrattiene un rapporto molto for-
te specialmente col capitolo Cerio del Sistema periodico. Lo stesso
attacco di quest’ultimo racconto, «Che io chimico, intento a scri-
vere qui le mie cose di chimico, abbia vissuto una stagione diversa,
è stato raccontato altrove» (OC, I, p. 962), richiama per stile e
contenuto quello di Capaneo, «Me, mi conoscete. Può essere che
allora e laggiù, […] avessi un aspetto molto diverso da oggi»75. La
descrizione dell’allarme aereo leggibile in Cerio rinvia ancor più
chiaramente a quella della prima redazione di Capaneo:

Cerio, OC, I, p. 965: Verso le dieci di mattina proruppero le si-


rene del Fliegeralarm, dell’allarme aereo […]. Non sembrava un
suono terreno, non era una sirena come quelle delle fabbriche,
era un suono di enorme volume che, simultaneamente in tutta

75
Cfr. Mengoni, Primo Levi. Autoritratti periodici, cit., p. 161.

227
FABRIZIO FRANCESCHINI

la zona e ritmicamente, saliva fino ad un acuto spasmodico e


ridiscendeva ad un brontolio di tuono. Non doveva essere stato
un ritrovato casuale, perché nulla in Germania era casuale, e del
resto era troppo conforme allo scopo ed allo sfondo: ho spesso
pensato che fosse stato elaborato da un musico malefico, che
vi aveva racchiuso furore e pianto, l’urlo del lupo alla luna e il
respiro del tifone: così doveva suonare il corno di Astolfo. Pro-
vocava il panico, non solo perché preannunciava le bombe, ma
anche per il suo intrinseco orrore, quasi il lamento di una bestia
ferita grande fino all’orizzonte.

Capaneo, «Il Ponte», 1959, p. 1441: Suonarono sul fango le


sirene dell’allarme aereo. Non suonavano come in Italia, con
riprese distinte su un’unica nota; bensì ululavano (era questo,
e mi stupì, il loro nome ufficiale: «Heulton»), salendo e scen-
dendo di tono come in un lungo urlo ferino. L’effetto era nibe-
lungico, e singolarmente consono alla retorica del mito germa-
nico, delle belve divine dell’Hedda, delle teste di morto. Non
so se a caso, o per disegno, o per partecipazione inconscia, quel
suono era più che un segnale: era un urlo di guerra, una sfida,
una esalazione di rabbia ed un lamento.

Cambia il riferimento letterario, dalla mitologia germa-


nica e norrena all’ariostesco «corno di Astolfo», ma entrambi i
testi sottolineano la differenza tra questo suono e quello delle co-
muni sirene, il suo andamento che sale e ridiscende, i suoi aspetti
animaleschi («urlo ferino», «urlo del lupo») e il fatto che tali
caratteri terrificanti potessero esser non casuali ma studiati.
Il rapporto tra i due testi però è ancor più profondo,
in termini genetici e stilistici. Come detto, il titolo Capaneo
figura nella copia di Se questo è un uomo corretta e integrata
dall’autore per la nuova edizione del 1958, senza che l’episodio
vi entri. Allo stesso modo, dice Levi a Torino il 4 giugno 1975,

228
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

quella storia del Cerio non l’ho scritta in Se questo è un uomo


[…] perché è una storia allegra […] una storia di vittoria […] e
quindi stonava, avrebbe stonato in quell’altro tessuto, che in-
vece è un tessuto di sconfitte, un tessuto di tragedie, un tessuto
tragico76.

Mentre la stesura finale di Cerio risale comunque al di-


cembre 197277, è Capaneo che, nell’anno successivo all’edizio-
ne einaudiana di Se questo è un uomo, inaugura questa diversa
modalità di raccontare Auschwitz. Ancora lo stesso Levi, pre-
sentando in Moments of Reprieve (figura 18) i racconti di Lilít
al pubblico internazionale, dice che qui «gli scenari […] non
sono quasi mai tragici. Sono bizzarri, marginali» e al centro
delle storie non sta più «la massa anonima di naufraghi senza
voce e senza volto», ma stanno

i pochi, i diversi, quelli in cui […] avevo ravvisato […] la vo-


lontà e capacità di reagire, e cioè un rudimento di virtù, […]
anche se la loro virtù, quella che concede loro di sopravvivere
e li rende singolari, non è sempre una di quelle che la morale

76
Cfr. C. Mussa Ivaldi, Incontro con Primo Levi (sul recentemente edito
Sistema periodico), trascrizione dattiloscritta del dibattito tenuto presso
l’Unione Culturale Torinese il 4 giugno 1975, ora in P. Levi, Conversa-
zioni, interviste, dichiarazioni, OC, III, pp. 59-63, a p. 60. Belpoliti, Note
ai testi del Sistema periodico, OC, I, p. 1518, cita l’ipotesi che Levi potesse
«averlo già scritto [Cerio] nel 1947»; il rapporto con la rielaborazione
del libro è comunque sicuro per il fatto, ivi ricordato, che «quando aveva
aggiornato per Einaudi il capitolo L’ultimo, aveva aggiunto la storia del
commercio di Alberto», tralasciando però «quella del cerio trafficato».
77
Belpoliti, Note ai testi, cit., OC, I, p. 1522; nel dattiloscritto del Sistema
periodico predisposto per l’editore «Cerio reca […] due date, 17 dicembre
1972 e 31 dicembre 1972».

229
FABRIZIO FRANCESCHINI

Fig. 18  Copertina di Primo Levi, Moments of Reprieve, New York, Summit
Books, 1986.

230
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

comune approva. […] Cesare [trae forza] dall’astuzia spregiu-


dicata, Rumkowski dalla fame di potere, Rappoport da una
vitalità ferina (OC, II, pp. 1654-1655).

In Se questo è un uomo tale «volontà e capacità di rea-


gire» al Lager e certi caratteri di Rappoport-Capaneo erano
associati ad Alberto78. In questa nuova dimensione è lo stesso
Levi personaggio – svincolato dall’intreccio col Levi testimo-
ne e col Levi osservatore tipico di Se questo è un uomo – che
si caratterizza per quel «rudimento di virtù», pur discutibi-
le, «che concede […] di sopravvivere»; anzi di quest’arte di
arrangiarsi, con sotterfugi e furti, diviene lui stesso maestro,
come mostra il racconto Un discepolo, pubblicato poco dopo
Capaneo e incluso come quarto testo in Lilít79.

78
Come si legge nel capitolo Le nostre notti (ed. 1958, quindi OC, I, p. 180), il
«miglior amico» di Primo «è entrato in Lager a testa alta, […] ha capito pri-
ma di tutti che questa vita è guerra […]. Lo sostengono intelligenza e istinto
[…]. “Sa” chi bisogna corrompere, chi bisogna evitare, chi si può impietosire,
a chi si deve resistere» e dunque «vive in Lager illeso», al pari di Rappoport,
«pronto a corrompere, a fare a pugni, a tirar cinghia, a mentire o a sotto-
mettersi, a seconda delle circostanze», p. 1442, e dunque «invulnerabile»,
p. 1444. Differentemente da lui, però, Alberto «vive in Lager illeso e incor-
rotto» (corsivo mio) ed è «amico di tutti», mentre nel laureato polacco,
che «abbatt[e] e taglieggi[a] i più deboli», Primo e presumibilmente gli altri
detenuti «sent[ono] un nemico», pur a suo modo «gradevole» (p. 1442).
79
Cfr. P. Levi, Un discepolo, in Secondo Rinascimento. Piemonte artistico e
culturale, Torino, s.n.t. («Edito in occasione della Mostra di Arti plastiche
e figurative dedicata alla Resistenza nell’anno centenario dell’Unità d’Ita-
lia»), 1961, pp. 123-128, quindi in «La Stampa», I giugno 1975, p. 3, e
infine in Lilít, cit., OC, II, pp. 255-258. Il personaggio che dice io insegna a
Bandi, ungherese di fede comunista che esegue i compiti assegnatigli dagli
oppressori con grande impegno e scrupolo, che «lavorare così era un inutile

231
FABRIZIO FRANCESCHINI

In Cerio, dunque, certi comportamenti di Primo fi-


niscono per combaciare con quelli di Rappoport. Tra le spe-
cialità del polacco laureatosi a Pisa c’è quella di approfittare,
sin «dal primo latrato della sirena», dell’allarme aereo e del
«subbuglio generale» per «precipitarsi alla cucina e scap-
pare col bottino» di cibo rubato (p. 1442). Analogamente il
chimico torinese, ormai entrato nel laboratorio della Buna,
appena prorompono «le sirene del Fliegeralarm» approfitta
della confusione e della «paura [degli stessi tedeschi] davanti
agli attacchi aerei» per sottrarre dal laboratorio, «nel giro di
secondi», quei cilindretti di cerio che, trasformati in pietrine
per accendini e scambiati con razioni supplementari di pane,
avrebbero permesso di sopravvivere sino all’arrivo dei liberato-
ri russi (OC, I, pp. 965-966).
Ma l’onda lunga di Capaneo giunge a lambire persino
l’ultimo volume di Levi, I sommersi e i salvati pubblicato nel
1986 (15 maggio). ui però la riflessione dovrebbe, riprenden-
do il discorso dall’inizio, spingersi verso livelli più profondi ai
quali posso solo accennare. Come è stato notato, il «1958-5
[è un] vero anno-frontiera per Levi»; riprendendo le fini ar-
gomentazioni proposte in proposito da Mengoni80, direi che la
svolta è doppia, anche se i due movimenti sono strettamente
connessi. La grande svolta è quella della pubblicazione di Se
questo è un uomo presso Einaudi che, dopo il lungo «silenzio»

spreco di energia, e non era neppure politicamente corretto», in quanto


funzionale alla logica nazista; conveniva invece arrangiarsi, limitando in
ogni modo gli sforzi e procurandosi in modo illegale il necessario. Il raccon-
to si conclude con Bandi che offre a Levi un ravanello, dicendo «con timido
orgoglio: – Ho imparato. È per te: è la prima cosa che ho rubato –».
80
Cfr. Mengoni, Primo Levi. Autoritratti periodici, cit., p. 150-152, anche
per il prosieguo del discorso.

232
CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

leviano dal 1950 al 195881, pone l’autore in una posizione di


rilievo nella scena letteraria e culturale italiana, spingendo
lo scienziato, il testimone e l’analista del Lager nei termini di
«uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano»82 «a
pensarsi scrittore»83. Subito dopo, però, egli sente il bisogno, e
non solo per fini letterari, di ‘smarcarsi’ da tale posizione, anche
perché, se «il fondo non è cambiato», il suo aspetto di allora,
non solo sul piano fisico, era «molto diverso da oggi», come
dice l’incipit del racconto su «Il Ponte». Capaneo, coi suoi due
ebrei «pisani» e i fitti riferimenti a Pisa84, apre così una nuova
fase del discorso sul Lager, incentrata piuttosto sui «salvati»
che sui «sommersi», e modulata in quella chiave ‘comica’ che
si riscontra in certi passi de La tregua, nei racconti di Lilít rin-
vianti al tempo Passato prossimo e in Cerio.
Ora, alla chiave dantescamente comica di Capaneo Levi
sembra ricollegarsi nel capitolo Comunicare de I sommersi e i
salvati:

Il Lagerjargon, come è naturale, era fortemente influenzato da


altre lingue [diverse dal tedesco] che venivano parlate nel Lager
e nei dintorni: dal polacco, dal jiddish, dal dialetto slesiano, più

81
Ivi, p. 150 e vedi ora il quadro completo delle pubblicazioni leviane di
questi otto anni nella Bibliografia di Primo Levi, a cura di D. Scarpa, OC,
III, pp. 1192-1194.
82
Prefazione a Se questo è un uomo, OC, I, p. 5 (ed, 1947) e 137 (ed. 1958).
83
Mengoni, Primo Levi. Autoritratti periodici, cit., p. 151 (corsivo mio).
84
Nell’opera di Levi altri riferimenti a questa città si trovano solo, in rap-
porto con l’episodio dantesco di Ugolino, in Breve sogno che, con sim-
metria non saprei se solo casuale, chiude Lilít e altri racconti (OC, II, pp.
408-412, a pp. 410-411): vedi l’Indice dei luoghi, a cura di R. Mori, in OC,
III, p. 1320 s.v. Pisa (non conta il cenno a una riproduzione della torre di
Pisa nel Sistema periodico, Uranio, OC, I, p. 1004).

233
FABRIZIO FRANCESCHINI

tardi dall’ungherese. Dal frastuono di fondo dei miei primi gior-


ni di prigionia emersero subito, con insistenza, quattro o cinque
espressioni che tedesche non erano: dovevano indicare, pensai,
qualche oggetto od azione basilare, come lavoro, acqua, pane […].
Solo molto più tardi un amico polacco mi ha spiegato, malvo-
lentieri, che volevano dire semplicemente «colera», «sangue di
cane», «tuono», «figlio di puttana» e «fottuto»85.

In effetti, due delle citate espressioni polacche – cho-


lera!, usato col senso di ‘maledizione!’ e simili significati della
lingua bassa, e il quasi sinonimo psiakrew, che letteralmente
vale ‘sangue di cane’ – le troviamo, con la variazione grafica
psza-crew, in bocca a Rappoport nel racconto del 1959:

Alla mensa di via dei Mille, per lire 6,50. E le bistecche, ps-
za-crew cholera: bistecche di borsa nera che coprivano il piatto
(p. 1442).

La ripresa dell’episodio nella versione teatrale di Se


questo è un uomo del 1966, oltre a ripetere queste esclamazioni
volgari, ne aggiunge una terza, ossia skurwysynu! ‘figlio di put-
tana!’ (vocativo), anche qui graficamente variata da Levi in S
kurvy sinu!:

All’osteria di via dei Mille, per lire 6,50. E le bistecche, pszacrew


cholèra! Bistecche di borsa nera che coprivano il piatto. […] E
poi, la Margherita! (battendosi la mano su una coscia) S kurvy
sinu! […] Come, non conoscevi la Margherita? uella di Lun-
garno Galileo? Non ci sei mai stato insieme? Ma allora, cosa sei
pisano a fare? (OC, I, p. 1230).

85
P. Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi 1986, ora in OC, II, pp.
1206-1207.

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CAPANEO DI PRIMO LEVI: L’«EBREO PISANO», IL POLACCO E LE STORIE «ALLEGRE»

Si direbbe dunque che quell’«amico polacco» abbia


fornito a Levi le sue spiegazioni prima della stesura di Capa-
neo e che una parte della caratterizzazione linguistica di Leon
Rappoport da tali spiegazioni dipenda; questo però ripropone
gli interrogativi sul rapporto tra la scena reale di quell’«allora
e laggiù» e la scena testuale del qui e oggi, in cui Levi scrive, ed
evidenzia quanto meno un ulteriore aspetto di ‘montaggio’ ex
post della figura e della lingua del polacco laureato a Pisa.
C’è però un altro brano de I sommersi e i salvati, questa
volta nel capitolo iniziale La memoria dell’offesa86, che sembra
mettere in discussione tutto il filone comico inaugurato nel
1959 da Capaneo, riproposto da Lilít e più ampiamente divul-
gato dalla relativa edizione in inglese. In un contesto in cui si
parla di giustificazioni delle colpe, di manipolazione della veri-
tà, di censura memoriale e persino di «trapasso dalla menzogna
all’autoinganno» (p. 1158) da parte degli oppressori, ma anche
di rimozioni, autocensure e «“verità” consolatori[e]» sostituite
a verità dolorose (p. 1163), da parte delle vittime, leggiamo che

molti reduci da guerre o da altre esperienze complesse e trau-


matiche tendono a filtrare inconsapevolmente i loro ricordi:
rievocandoli fra loro, o raccontandoli a terzi, preferiscono sof-
fermarsi sulle tregue, sui momenti di respiro, sugli intermezzi
grotteschi o strani o distesi, e sorvolare sugli episodi più dolo-
rosi (p. 1161).

Par di cogliere qui una vera e propria palinodia della


Tregua, dei Moments of reprieve e degli «scenari […] quasi mai
tragici [ma] bizzarri, marginali» che il volume pubblicato a
New York da Summit Books riproponeva al pubblico interna-

86
Ivi, pp. 1155-1163, che cito direttamente indicando nel testo la pagina.

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FABRIZIO FRANCESCHINI

zionale, nello stesso anno in cui usciva da noi l’ultimo volume


di Primo Levi. La «svolta» inaugurata nel 1959 dall’ormai
noto autore di Se questo è un uomo («me mi conoscete») e
caratterizzata «da un diverso tono narrativo, da un piacere del
racconto, da una minor “durezza”», quasi a lasciarsi alle spalle
«in quel momento della sua vita di uomo e di scrittore, la cru-
da verità del Lager»87, veniva ora, quando la «massa anonima
di naufraghi senza voce e senza volto» si rifaceva prepotente-
mente avanti, equiparata alle strategie più o meno consapevoli
con le quali «molti reduci da guerre o da altre esperienze com-
plesse e traumatiche» tendono a filtrare ed edulcorare quelle
crude verità.

87
M. Belpoliti, Note ai testi di Lilít e altri racconti, in OC, II, p. 1792. Si
noti che nella coeva o di poco precedente prefazione a Moments of Re-
prieve il medesimo riferimento ai «sopravvissuti ad eventi traumatici» è
seguito da un’argomentazione differente (OC, II, p. 1655).

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