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Fasce

Storia
Abbiamo testimonianze di interventi chirurgici alla testa nell’antichità e quindi della presa di coscienza
dell’esistenza di involucri che avvolgevano il cervello e che andavano ricuciti.
Le fasce sono formate da t. connettivo, una rete che avvolge l’epimisio, i muscoli, l’endomisio e connette tutti
gli elementi ossei, muscolari e viscerali.
Leonardo aveva evidenziato nei suoi disegni il tessuto fasciale.
Nel 1500 Baglivi riportava che il t. connettivo aveva un ruolo importante nel dare informazioni meccaniche.
Andrew Still (1870 circa), medico americano, fondatore dell’osteopatia. Era il responsabile delle riserve indi-
ane in America ed era capitano della cavalleria nordista e quindi aveva la possibilità di fare molte dissezioni
di cadaveri. Perse tre figli a causa della difterite e perciò perse fiducia nella medicina ufficiale e nei farmaci.
Cominciò a studiare il corpo umano del cadavere e fu colpito dalla presenta della rete fibrosa del t. connettivo,
di colore madreperlaceo, che connetteva tutti gli organi del corpo.
Negli anni ‘30 una fisioterapista di nome Dicke era afflitta da arteriopatia obliterante e fu ricoverata per l’ am-
putazione di un arto inf. Durante il ricovero cominciò a toccare le zone dolenti: colonna, glutei e arto inf col-
pito. Col passare dei giorni notava un miglioramento della sintomatologia dolorosa, del trofismo e dell’afflusso
sanguigno all’arto colpito. Così col passare dei mesi rifiutò l’intervento e organizzò meglio il trattamento del
t. connettivale e dopo un anno guarì.
Nel frattempo in Germania i coniugi Teirich-Leube cercarono di spiegare in modo fisiologico i fenomeni rif-
lessi che si ripercuotevano sul derma (cute) e viceversa. Avevano sentito parlare dell’esperienza della Dicke e
delle ricerche svolte da Head in Inghilterra e da McKenzie e misero a punto, insieme alla Dicke, un protocollo
di trattamento di massaggio connettivale.

Head, in Inghilterra, aveva evidenziato delle zone di retrazione sul tronco che corrispondevano, secondo lui,
a organi viscerali. Più le retrazioni era dense più indicavano una anzianità della patolgia.
McKenzie invece aveva evidenziato zone di tumefazione (gonfiore) in corrispondenza di zone di infiammazi-
one acuta e subacuta.
Il massaggio connettivale è molto efficace ai fini diagnostici e del trattamento, ma è molto faticoso.

Sistema connettivale
Si parla di sistema dall’avvento della chirurgia moderna. Prima di allora le fasce erano solo un impedimento
per raggiungere gli organi o il tessuto che interessava e quindi veniva ricucito tutto insieme senza rispettare i
4 piani differenti. Tanto per fare un esempio a livello ortopedico anche oggi il perone è visto dai medici come
un osso poco importante, mentre per l’osteopatia è un osso fondamentale per la dinamica del piede.

A livello midollare (corna posteriori-mielomero) c’è un sistema di informazioni che permette di connettere
varie zone e di metterle in relazione nervosa. Su uno stesso livello midollare si hanno informazioni proveni-
enti dalla periferia, vale a dire dalla pelle (dermatomero), dai muscoli (miotoma) e dai visceri (viscerotoma),
che poi vengono trasmesse alle corna anteriori e inviate nuovamente in periferia: muscoli e visceri. Per i
visceri esiste un corno laterale che si trova su tutta la parte dorsale midollare.
Mielomero è la fetta di midollo dove arrivano le informazioni dalla periferia e dove vengono smistate le
risposte verso la pelle, i muscoli e i visceri. All’interno del mielomerro ci sono: dermotoma, miotoma, viscero-
toma. Il mielomero però non è solo un segmento midollare ma ha rapporti anche con i mielomeri superiori e
inferiori.
La colonna ossea e il midollo spinale sono, in fase embrionale, di uguale lunghezza, mentre a crescita ulti-
mata la colonna ossea ha uno sviluppo maggiore del segmento midollare.
E’ interessante conoscere la corrispondenza tra livello midollare e quello vertebrale.
Legge di Chippault
zona cervicale, si conta l’apofisi spinosa + 1 (es. a livello di C3 devo sommare + 1, quindi ho la IV radice cervi-
cale)
zona dorsale (fino a D6), numero della spinosa + 2
da D6 a D10, n° della spinosa + 3
da D11, l’uscita della III-IV-V radice lombare (radice significa che siamo all’interno della colonna vertebrale)
1
D12-L1, le radici sacrali e coccigee

Epoca moderna
Gabarel e Roques, due belgi, considerano 3 livelli di fasce (a seconda della profondità), paragonabili a cilin-
dri, ognuno all’interno dell’altro, che si muovono in sensi contrari uno rispetto all’altro.
Sergio Paoletti mise a punto l’anatomia (3 piani antomici) e fece una suddivisione in sistemi funzionali (di
cui avevano parlato anche Gabarel e Roques)
Poi abbiamo Busquet, Ida Rolf, Tricot, Souchard, Mezieres, Bianfait...la ginnastica posturale
Luigi Stecco
Thomas Mayers, americano, paragona il s. fasciale al sistema ferroviario, con stazioni e treni veloci, regiona-
li....
Pierre Tricot, .....è un libro da leggere al IV anno.
Caiazzo (?)

E’ bene distinguere tra fasce intese come miofasciale (vale a dire il lavoro di Busquet, le catene muscolari, i
contenitori muscolari) e il t. connettivale profondo, che troviamo anche nella cellula

Tutti questi auturi non hanno niente in comune sul trattamento

Embriologia
Il t. connettivale ha una matrice embrionale ed è questo che spiega perché è presente in tutti i tessuti e la
globalità, vale a dire relazioni tra organo/strutture anche lontane l’una dall’altra
Dalla fecondazione dell’ovulo si formano due dischi embrionali: ectoderma/ectoblasta e endoderma/endo-
blasta.
Circa al 15° gg dalla fecondazione si forma un terzo disco, il mesoderma/mesoblasta, che si pone tra i due.
Da questi 3 dischi derivano tutti i tessuti del nostro corpo, che formeranno gli organi.

Ectoderma, originano i tessuti nobili, vale a dire che non si riproducono (per es. sistema nervoso)
Mesoderma, t. connettivale
Endoderma, i t. viscerali

dall’Ectoderma originano
SNC e periferico, epitelio sensoriale degli organi di senso, epiderma e suoi annessi (peli, unghie e ghiandole
cutanee, es. sudoripare, ghiandole mammarie), ipofisi, smalto dei denti.

dal Mesoderma originano


t. connettivo, cartilagineo, osseo, legamenti, muscolatura striata e liscia, pericardio, pleure e peritoneo,
cellule e pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici, le strutture renali e i loro apparati escretori (ureteri e
uretra), le corticali delle surrenali, la milza, le tuniche muscolari e connettive del s. digerente, della vescica e
dell’uretra, strutture della cassa del timpano e della tromba di Eustachio. Il parenchima delle tonsille, della
tiroide, della paratiroide e del timo.

dal Endoderma originano


epitelio di rivestimento del tubo digerente, della vescica e dell’uretra, dell’apparato respiratorio, della cassa
del timpano e della tromba di Eustachio
parenchima dell’amigdala, della tiroide e delle paratiroidi
il timo, l’esofago, lo stomaco, il fegato, la cistifellea, le vie biliari
il pancreas, il tratto intestinale, l’apparato tracheo-bronchiale
l‘allantoide ed il foglietto interno delle membrane cloacale e a faringea

Per Still l’individuo è l’insieme di tre elementi: materia, movimento, spirito


Legge dell’arteria suprema> dove c’è un buon apporto di sangue e un buon drenaggio dello stesso
sangue, ci sarà una buona nutrizione del nervo e quindi lì la malattia non potrà sussistere.
materia-movimento-spirito> es. scena di caccia nelle grotte paleolitiche (la linea di terra indica la terra/ma-
2
teria, la linea del cielo indica lo spirito e la scena di caccia il movimento

Nell’uomo abbiamo struttura corporea (materia) -s. viscerale (movimento) -s. nervoso (spirito)
3 cerchi che si intersecano delimitando delle aree comuni

area comune tra MATERIA


Materia e Spirito mesoderma area comune tra
Meningi o Membrane diafram. pelvico Materia e Movimento
di tensione reciproca disfunz. strutturali Meso e epiploon (leg. viscerali)
tecniche dirette

SPIRITO
ectoderma
SF* MOVIMENTO
S.N.C. endoderma
traumi viscerali
diafram. craniale o tentorio
traumi psichici (anima) diafram. toraco-addominale
tecniche funzionali disfunz. emozionali
tecniche a energie
muscolare (TEM)

area comune tra


Spirito e Movimento
S. Nervoso Neurovegetativo

*SF= Sistema Fasciale

Tre PIANI ANATOMICI delle fasce


1. superficiale> pelle
2. intermedio> fascia superficialis, piano delle aponeurosi > sono 4 (superficiale, media, profonda e asse
aponeurotico centrale)
3. profondo>membrane di tensione reciproca o meningi (falce del cervello e del cervelletto, tentorio del
cervelletto e tenda dell’ipofisi) e lamine basali.

Per abitudine e convenienza i piani anatomici si possono dividere in 3 sistemi funzionali.


Tre GRANDI SISTEMI FUNZIONALI delle fasce (dall’esterno verso l’esterno)
1. superficiale> pelle, fascia superficialis, aponeurosi superficiale, aponeurosi media (ha 2 foglietti, uno su-
perficiale e uno profondo) ad indirizzo muscolare
2. profondo> aponeurosi media ad indirizzo viscerale, aponeurosi profonda, asse aponeurotico centrale
3. della dura madre>membrane di tensione reciproca (=meningi) e core link (= manicotto fibroso della dura
madre che collega occipite e coccige)

Ruoli delle fasce


sostegno
supporto> alle arterie, vene, vasi linfatici, nervi
protezione> da choc e aggressioni esterne, come ad es. la fascia superficialis (subito sotto la pelle - anche
la pelle è un organo di protezione, per es. di protezione termica) che ci protegge dalle iperglicemie rapide.
3
La prima risposta immediata è della fascia superficialis che risponde con gli anticorpi e i macrofagi. In un
secondo momento intrverranno centri superiori
> ammortizzazione delle forze
> emodinamico
> difesa
> ruolo di dissipazione di energia, as es. uno choc assorbito (fisico o psichico) e poi dissipato sul corpo e
fatto uscire dal corpo. Se la dissipazione non avviene si ha un accumulo di energia, che fa da freno alla mo-
bilità. Upplegger parla di cisti di energia.
> ruolo di comunicazione> tra un organo e l’altro, tra zone lontane. Gli ormoni p.es. non viaggiano attraver-
so il s. arterioso ma è il s. fasciale che, con la matrice extracellulare, mette in moto dei meccanismi meccanici
(es. messaggi tensivi) che si traducono in messaggi chimici, anche tramite la piezoelettricità....etc...distribuiti
subito alle sedi periferiche. Ecco allora che il s. connettivale non è più solo un contenitore ma è attivo nelle
funzioni vitali
> ruolo di scambi chimici, nervosi, elettrici

TEST delle fasce degli arti inferiori


Comprende 6 fasi successive:
1) pressione. Va fatto sulle 2 anche, 2 ginocchia, 2 tibie, 2 caviglie. Per ogni coppia di articolazioni scelgo
quella più densa, resistente. Vale a dire delle 2 anche scelgo quella che è più tesa e così via per le altre artico-
lazioni, così da avere alla fine 4 articolazioni. Su queste 4 faccio il
2) test di bilanciamento. Vale a dire sceglierò quella più tesa, cominciando dalle articolazioni più distanti, per
finire alle due più vicine.
3) test di mobilità, per denominare la disfunzione
4) manovra di correzione/riduzione della disfunzione
5) test di mobilità (per controllare che tutto sia andato bene)
6) test di pressione, perché è possibile che si sia smascherata la vera lesione, mentre quella trovata per prima
era magari secondaria

TEST di pressione AAII


1.Anche. Osteopata con le braccia distese, sul
proseguimento dell’asse del femore, mani appoggiate
davanti alle rotule. Si lascio andare, senza spingere.
Sente la resistenza che offre contemporaneamente
a dx e sin la zona fasciale dell’anca, vale a dire arti-
colaz dell’anca + zona viscerale all’interno dell’ileo e
90°
quella post.

Piedi del Pz non troppo divaricati né vicini per evitare


RI o RE di anca. Bisogna pensare di andare a colpire la
zona dell’anca.
Test rapido, non bisogna metterci troppo tempo. Se
l’anca sin mi dà più resistenza, elimino l’anca dx e
rimane l’anca sin.

4
2.Ginocchia. Spinta perpendicolare ai piatti
tibiali. Non è una contrazione del gran dorsale
ma è il corpo che si lascia andare, piegando un
p�����������������������������������������������
ò le ginocchia���������������������������������
. L������������������������������
’�����������������������������
Osteopata sente quale artico-
lazione gli dà più resistenza. Elimina quella che
gliene dà meno.

3. Tibie. Mani davanti alle tibie, tra il 3�����


°����
me-
dio e il 3° superiore, braccia tese, perpendicolari
all’asse della tibia

4. Caviglie. Presa davanti all’astragalo. Il resto


del palmo della mano appoggiato sul dorso del
piede. Perpendicolari al piano dell’articolazione
tibio-peroneo-astragalica. Spinta verso dietro-
basso.
Attenzione a lettini troppo morbidi, nel senso di
far attenzione a non testare il lettino!

TEST di bilanciamento
Metto in bilanciamento le zone più lontane (anca e caviglia), sia che siano omo che controlaterali. Rimarrò
con 1 articolazione, su cui farò il test di mobilità. Se alla fine del test di bilanciamento le articolazioni da
testare sono dallo stesso lato e vicine devo cercare una posizione comoda delle mani. Oppure fare la tec-
nica di sommazione. Se per esempio sono rimaste anca e ginocchio omolaterali, comincio a fare pressione
sull’anca finchè sento che il tessuto non cede più, mantengo la tensione sull’anca e passo al ginocchio. Mi
fermo allo stop dei tessuti, tengo anca e ginocchio e torno sull’anca per sentire se cede ancora un po’ . Tengo
il nuovo grado di pressione e torno sul ginocchio...così fino ad avere l’articolazione più rigida.

Negli arti non ci sono le aponeurosi medie ma solo quelle superficiali e profonde. L’aponeurosi media si con-
fonde subito con quella profonda.

5
PIEDE
Parte plantare
L’aponeurosi si suddivide in
superficiale e profonda
aponeurosi
plantare Aponeurosi Plantare SUPERFICIALE
aponeurosi media Esistono 3 porzioni:
plantare
interna mediana o centrale, interna e esterna.
aponeurosi Tutte e tre partono dalla tuberosità cal-
plantare caneare formando una lamina spessa
esterna madreperlacea a forma triangolare,
con apice posteriore.

1. APS mediana> è spessa sul calcagno e sottile in aponeurosi


avanti, dove si divide in 5 bendellette pre-tendinee. plantare
interna
Presenta anche delle fibre trasversali che la rinforzano
e che a livello delle teste metatarsali prende il nome di leg
trasverso superficiale. Più avanti di questo legamento, ma aponeurosi
prima delle commissure interdigitali altre fibre trasversali plantare
formano il leg interdigitale. esterna
Le aponeurosi plantari superficiali interna ed esterna si col-
legano con quella mediana, senza soluzione di continuità. bendellette
2. L’APS interna è più spessa davanti che dietro pretendinee
3. l’APS esterna è più spessa dietro, perchè nella fase di
appoggio del piede è la parte post-esterna che tocca per leg trasverso
prima terra e quindi sopporta il carico, che poi passa nella superficiale
zona ant-interna con la contrazione del m. flessore lungo
dell’alluce. Le aponeurosi plantari int e est si connettono leg interdigitale
sui bordi esterni con l’aponeurosi dorsale. Si inseriscono
inoltre sulle guaine dei tendini dei mm. flessori del I e V
dito.

L’aponeurosi plantare PROFONDA (APP) ha delle fibre piuttosto trasversali e si inserisce sui bordi inferiori
del I e V meta> avvolge la parte inf dei metatarsi e i muscoli interossei plantari formando il leg. intermeta-
tarsale trasverso profondo. Mantiene l’arco plantare trasversale tra I e V dito.

Parte plantare
SUPERFICIALE
mediana | leg trasverso superficiale e leg interdigitale
interna
esterna
PROFONDA | leg. intermetatarsale trasverso profondo

Parte dorsale
SUPERFICIALE
PEDIDIA
PROFONDA

6
Parte dorsale
Ci sono 3 aponeurosi dorsali:
1. AD Superficiale
2. AD Pedidia (perché avvolge il m. pedidio o m. estensore breve delle dita> ori-
gina dal seno del tarso e si inserisce sulle prime falangi delle ultime quattro dita)
3. AD Profonda o interossea
L’aponeurosi dorsale ricopre i tendini dei mm. estensori e continua indietro e in
alto con i 3 legamenti anulari del tarso, che fanno da tramite verso al membrana
interossea della gamba.
1. Aponeurosi Superficiale> ricopre le guaine dei tendini dei mm. estensori
(retinaculum degli estensori) e continua indietro-alto con i 3 legamenti anulari del
tarso, che fanno da tramite verso la parte più profonda delle fasce a livello della
gamba, vale a dire l’aponeurosi tibiale e la membrana interossea della gamba.
L’aponeurosi superficiale dorsale va a collegarsi senza soluzione di continuo con
l’aponeurosi plantare superficiale interna ed esterna.
2. Sotto abbiamo l’aponeurosi Pedidia, che avvolge il m. pedidio, passa sotto i
tendini, ricopre i vasi pedidi e il nervo tibiale ant (quindi può dare disfunzioni dei
vasi e dei nervi) e si inserisce esternam. sul bordo del V meta e internam si ricongi-
unge all’aponeurosi superficiale a livello della guaina del tendine del m. estensore
lungo dell’alluce.
3. L’aponeurosi dorsale Profonda o interossea ingloba i metatarsi e ricopre i mm. interossei dorsali.
Bisogna pensare che tra piano profondo e superficiale ci sono sempre dei collegamenti.

veduta frontale del piede APS interna APS esterna

AP profonda
APS mediana

ADorsale superficiale ADorsale pedidia e profonda collegam tra tutte le aponeurosi


Domanda�������������������������������������
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se c’è un problema di fascite plan-
tare lo stretching fa bene? Maschietti sug-
gerisce di controllare se sul piede c’è una
cicatrice e quindi una zona di tensione, che
tira verso di sé i tessuti vicini. In questo caso
fare uno stretching peggiora dei tessuti che
sono già in allungamento.
Nel disegno accanto Maschietti spiega che un
problema di fascite potrebbe per es dipendere
da un punto di trazione sulla fascia dorsale.
Pensare alla globalità anche in questo caso.

Se invece un atleta si fa male e si pensa ad una contrattura, si tratta di una contrattura da allungamento
brusco (stiramento) o da troppo accorciamento? Bisogna fare una diagnosi differenziale con un test di
palpazione. Si mettono le mani sulla fascia muscolare e si chiudono gli occhi. Se le mani tendono ad allon-
tanarsi non faremo stretching o massaggio trasverso profondo, perché le fasce hanno subito un trauma da
stiramento.

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PRATICA
Fascia plantare superficiale
Pz supino, Osteopata seduto ai piedi del Pz
Test con il pollice
Con il pollice a martello si fanno alcuni
passaggi sulla pianta del piede per
sentire se ci sono delle granulazioni.
Partendo dalla posteriorità verso
l’avampiede. Se ci trova un granulo
come un chicco di caffé e dolente bi-
sogna fare attenzione perché potrebbe
essere un tumore. Se si trovano delle
granulazioni morbide si possono trattare facendo dei passaggi più profondi e più lenti. Si può anche far
mettere il Pz prono con il ginocchio flesso a 90°.

Test di allungamento e
accorciamento
Punto fisso con il pollice e teste metatarsali
punto mobile all’altezza delle
teste metatarsali. Bisogna es-
sere al punto giusto.
Sotto la pelle, sotto la fascia superficialis, ma a livello dell’aponeurosi superficiale. Se non dovesse andare in
allungamento, sarebbe una disfunzione osteopatica in accorciamento.
Posso fare una tecnica diretta, vale a dire faccio un’azione contro la barriera motrice e sfruttando la respi-
razione (l’Esp del Pz, fase di rilassamento) cerco di allungare l’aponeurosi. Oppure faccio una tecnica di
aggravamento, vale a dire accompagno la fascia in accorciamento e quando sento che la fascia è arrivata
al suo limite l’accompagno in allungamento. Poi ci sono delle tecniche funzionali in cui ci si mette in relazi-
one con l’impulso ritmico craniale (IRC) e in una fase di espansione faccio l’allungamento.

Fascia plantare profonda


Si mettono le teste metatarsali dei pollici sotto il I e V meta.
Test di allungamento e accorciamento come prima. Se
sento che per es. non si allunga posso fare:
tecnica diretta
tecnica di aggravamento
tecnica funzionale

Fascia dorsale superficiale


Punto fisso prossimale e stessa
pinza a livello delle teste
metatarsali.

Test di allungamento
e accorciamento

8
Nel caso di
una fascia
pedidia re-
tratta ci sarà
Est Abd e RI
dell’alluce.

Per fare la
riduzione
bisogna
mettere un
punto fisso
prossimale. alluce in E-Abd-RI la “X” indica il punto fisso per
(in RI la faccia plant dell’alluce guarda verso l’int) allungare l’apon. pedidia

F
La correzione consiste
nel mettere l’alluce
in decoattazione e
invertire i parametri,
quindi F Add RE....

Add RE
e fare una sid- riduzione di una fascia
erazione (tec- pedidia retratta
nica energetica
vibratoria e
vibrazionale
che rilascia i
corpuscoli di siderazione
Pacini)
Variante:
siderazione
con l’altra
mano

9
Legamenti anulari del tarso o retinaculum degli estensori
C’è un fascio sup, trasversale (al di sopra dei malleoli), 2 inferiori, dal malleolo int al
cuboide e l’altro dal cuboide allo scafoide. Sotto di essi scorrono i tendini dei mm.
estensori.

estensore comune delle dita estensore proprio


peroniero ant dell’alluce
tibiale ant
Possiamo sentire se ci sono delle aderenze. Non si riesce a fare
un test di allungamento di questi legamenti.
fascio trasversale
Quali sono i tendini degli estensori? fascio inferiore
Partendo dall’interno trovo i seguenti muscoli: malleolo-cuboide
Tibiale ant
Estensore proprio dell’alluce fascio inferiore
Estensore comune delle dita cuboide-scafoide
Terzo peroniero (o peroniero ant), che passa al davanti del
malleolo (però spesso è assente o si accomuna all’Abd del V).

In inversione i tendini
degli estensori vanno
all’esterno e quindi si può
testare la loro mobilità
verso l’esterno.

Porto il piede in inversione


e testo.

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In eversione il contrario,
vanno verso l’interno.

Porto il piede in eversione


e testo.

Riduzione della disfunzione con siderazione


Mettiamo che l’estensore comune delle dita non vada verso l’esterno
Metto il piede in inversione (la posizione favorente, perché in inversione i tendini vanno verso l’esterno)
Aggancio i tendini che non si muovono e sidero.
Siderazione da dentro verso
fuori se al test ho percepito una
difficoltà dei tendini ad andare
verso l’esterno.
Il piede è in inversione per facili-
tare il movimento dei tendini degli
estensori vanno verso l’esterno.

Mettiamo che l’estensore comune delle dita non vada verso l’interno
Metto il piede in eversione (la posizione favorente, perché in eversione i tendini vanno verso l’interno)
Aggancio i tendini che non si muovono e sidero.
siderazione in eversione

Sulle dispense delle fasce corrisponde alle pagg. 1-22

sem 3

Membrana interossea
È molto profonda. Machietti mostra con le mani il piano su cui si trova la membrana. L’80% delle fibre
che la compongono vanno dalla tibia al perone e sono disposte verso basso-dietro-fuori. Poi c’è il rin-
forzo nel 3° sup e inf con delle fibre, dal perone alla tibia, direzionate in senso opposto. Questo incrocio di
fibre lascia dei fori per il passaggio di elementi vascolo/nervosi.
Nella membrana interossea abbiamo due fori principali (ce ne sono anche altri ma solo 2 sono considerati
inportanti in osteopatia):
foro sup (nel 3° sup della gamba), per il passaggio dell��������������������������������������������������������
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arteria tibiale e del nervo tibiale anteriore o n. per-
oniero profondo
11
foro inf (nel 3° inf della gamba), per il passaggio dei vasi peronieri e del nervo pedidio
Se c’è per es. una restrizione del foro sup potremmo avere una irritazione nervosa del tibiale ant (di un
ramuncolo dello SPE) e ripercussioni vascolari, quindi un minor apporto arterioso, con presenza di crampi,
spasmi, parestesie nella loggia antero-lat della gamba e del piede.
Se c’è per es. una restrizione del foro inf avremo delle ripercussioni soprattutto vascolari di ritorno venoso,
quindi edemi e gonfiori a livello del piede.
Oltre a un interesse nervoso e vascolare la membrana interossea è importante dal punto di vista meccanico
perché s’inseriscono tutti i muscoli della gamba che arrivano fino al piede.
La membrana mischia le proprie fibre con quelle del periostio tibiale e peroniero. La membrana può dis-
tribuire o no le tensioni muscolari. Se non le ridistribuisce potremmo avere delle restrizioni di mobilità.
La membrana ha inoltre una funzione di tenuta tra tibia e perone. La tibia ��������������������������������
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un pilone mentre il perone orga-
nizza i movimenti soprattutto della caviglia (del retropiede).
Un trattamento della membrana interossea può essere fatto prima di una manovra di correzione di una
disfunzione sulla gamba, sul ginocchio o la caviglia oppure, preferibilmente, dopo un trattamento di dis-
torsione di caviglia (ved. protocollo di un trattamento ideale dato da Di Branco), per ristabilire gli equilibri
tensionali tra piede e ginocchio e le fasce di tutto l’arto inferiore.
La membrana interossea è la massima rappresentazione dell’aponeurosi profonda a livello dell’arto inferiore.
Bisogna ricordare che negli arti abbiamo solo 2 aponeurosi: superficiale e profonda, manca quella media.
E’ molto interna, abbastanza dura, madreperlacea, si trova su un piano parafrontale, divide la gamba in 2
logge:
1. ant-est (mm. estensori del piede, compresi i peronieri)
2. post-int (mm. flessori del piede)
La tensione di uno qualsiasi di questi muscoli può portare alla tensione della membrana interossea. La
tensione o va sul periostio o addirittura sulle trabecole o va in superficie. Noi non toccheremo mai la mem-
brana, a causa della presenza dei muscoli, ma sempre altri tessuti. Trattamento diretto con un contatto
indiretto.
A parte gli aspetti meccanici la membrana interossea ci interessa anche per altri aspetti. Ha infatti, insieme
alla membrana dell’avambraccio (di cui parleremo quando faremo l’arto sup), un’origine embriologica in
comune con i legamenti sospensori dei visceri e con gli involucri dei visceri. Siccome i tessuti hanno
memoria, chimicamente ci sarà sempre uno scambio tra membrana interossea e sistema viscerale, perché le
cellule da cui originano hanno la stessa matrice embriologica. Questo fa sì che ci siano degli scambi chimici
e piezoelettrici che si mettono in moto solo per via meccanica. Anche le informazioni ormonali viaggiano su
questo sistema reticolare-fasciale. La relazione con i visceri ci deve far pensare al sistemo nervoso neuroveg-
etativo-endocrino.
Chi ha spesso una distorsione di caviglia può avere una predisposizione a disturbi viscerali (app. digerente,
intestino). Oppure viceversa.
Per fare un altro esempio possiamo pensare al tunnel carpale, una patologia che spesso si presenta nelle
donne con una situazione ormonale particolare, per es. donne in menopausa oppure donne in allattamento.
In queste donne il tunnel carpale non è giustificato. In questi quadri bisogna curare prendendo tempo.
Bisogna valutare il quadro osseo, fare dei test di mobilità, perché per es. una disfunzione del semilunare o
del legamento anulare del carpo possono comprimere il n. mediano. La patologia del tunnel carpale (quindi
un’usura dei polsi) si giustifica in persone che lavorano nell’industria dei pneumatici, perché usano le mani
per tagliare, oppure persone che lavorano nelle cave con gli scalpellini o i martelli pneumatici (in questi casi
si formano delle calcificazioni a livello epitrocleare), oppure i potatori.
Un altro caso ������������������������������������������������������������������������������������������
rappresentato dalle persone che����������������������������������������������������������
soffrono di mal d’auto o mal di mare. Posono avere un mi-
gloramento da un trattamento della membrana interossea. Da provare!
Consigliato nei seguenti casi:
postumi di distorsione di caviglia, sindromi del tibiale ant. , deficit di apporto e ritorno sanguigno.
Controindicazioni
Pz con varici grosse e profonde. Si potrebbe provocare il distacco di un trombo.

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PRATICA

piano della direzione dell’80% direzione dell’80% delle fibre dal perone fibre dal perone
membrana delle fibre dalla tibia fibre dalla tibia al alla tibia alla tibia
al perone (sopra) perone (sotto) (sopra) (sotto)
Si può procedere in due modi:
1) secondo i canoni del test di pressione, quindi in 6 fasi. Passo il pollice su tutta la lunghezza della mem-
brana, partendo dall’alto o dal basso. Proietto la pressione dalla superficie in profondità, cercando delle ten-
sioni. Faccio il test di pressione sia davanti sia dietro la membrana. Quando lo faccio dietro devo usare otto
dita e le posiziono nel setto intermuscolare che divide i due gemelli. Se trovo 2 o 3 zone di tensione devo
poi fare il test di bilanciamento, ossia scegliere la zona più resistente delle 3. Di solito le tensioni anteriori e
posteriori corrispondono.

test di pressione test di pressione posizione delle dita test di pressione test di pressione bilanciamento
con il pollice con il pollice dietro la gamba dietro la gamba dietro la gamba
dall’alto in basso dal basso in alto (alto) (basso)
Poi devo fare il test di mobilità della membrana interossea e quindi
devo spingere dietro-medialmente e avanti-esternamente.
A seguire devo fare il trattamento (o manovra di correzione), rifare il
test di mobilità e quello di pressione. In questo primo modo di trat-
tare la membrana lavoriamo a livello meccanico, vale a dire togliamo la
tensione meccanica.

spinta spinta
dietro avanti
mediale esterna

13
2) Trattamento di tutta la
membrana interossea (con-
sigliato da Maschietti). In
questo secondo modo lavo-
riamo a livello energetico-
informativo. Ci sono diverse
tecniche. È un trattamento
faticoso, perché ci sono delle
persone con i polpacci grossi e
robusti. In questo caso biso-
gna calcolare almeno 15 min.
a) contatto tibia e perone po-
steriormente. L’Osteopata è in
piedi perché in questo modo
può fare più forza.
b) pollici in direzione delle
fibre

a a. Osteopata in piedi b
c) otto dita sul polpaccio, perpendicolari
ai due gemelli, vanno in profondità e li
separano.

Attenzione alle varici e ai muscoli


(p. es. contratture). Non bisogna
forzare, ma cercare di arrivare at-
traverso i tessuti alla membrana
interossea, che è profonda e non
si può toccare in modo diretto.
d) con la I falange dell’indice o
del medio flessa posso fare delle
manovre circolari
e) la siderazione sia in direzione
mediale che esterna (solo davan-
ti perché dietro non posso)

d. manovra circolare fossetta lasciata dalla e. siderazione mediale


manovra circolare
f ) un punto fisso sulla gamba e l’arto inferiore come punto mobile. Nelle foto (sotto) il punto fisso è sul
polpaccio mentre l’arto inferiore viene mosso alla ricerca di una posizione in cui la tensione sul punto fisso
aumenti ulteriormente. In tal caso bisogna fermarsi, mantenere la pressione sul punto fisso e aspettare che i
tessuti si rilassino. Dopodiché si muove di nuovo l’arto inf alla ricerca di una nuova posizione di tensione.

14
punto fisso dietro muovo stop muovo

muovo stop muovo


g) recoil (una metodica di Paul Chauffour). Nella tibia trovo 3 tipi di concavità: esterna, interna, anteriore
(esiste anche una concavità posteriore, ma a causa della presenza dei muscoli per ora la ignoriamo).

concavità esterna concavità interna concavità anteriore

Esistono dei test per i tre tipi di concavità. Con i pollici devo fare punto fisso e con le dita il punto mobile.

pollici fissi dita mobili

15
test concavità esterna test concavità interna test concavità anteriore
Se c’è plasticità vado oltre. Se non c’è plasticità, cerco di definire meglio la zona di tensione, quindi ripeto il
test su porzioni più ristrette della tibia

test concavità esterna test concavità esterna test concavità esterna


(terzo prossimale) (terzo distale) (terzo medio)
Sulla zona di tensione posso fare:
1. una siderazione con i pollici

2. una siderazione con il dito medio

3. un recoil, ossia una manovra energetica contro la barriera motrice, che come un’onda va a dissipare le
tensioni. Come si esegue? Si appoggiano i due pollici uno sull’altro sulla zona in tensione e si accumula
tensione, si mantiene, poi si va alla ricerca, su un altro piano, di una seconda tensione, si mantengono tutte e
due, si cambia ancora piano e se ne cerca una terza. Poi si fa il recoil. Si spinge per creare una concavità. Op-
pure si mette tensione per creare un rimbalzo: tecnica del rebound (= rimbalzo).
16
recoil: tensione 1 recoil: + tensione 2 recoil: + tensione 3

direzione della spinta del recoil direzione della spinta direzione della spinta
del rebound (rimbalzo) del recoil (verso il lettino)
per una concavità anteriore
Es: faccio un test di concavità interna e mi accorgo che la tibia non va in questa direzione. Allora devo fare
una manovra di correzione per portare la tibia in concavità interna. Per fare il recoil dovrei mettermi dal lato
controlaterale alla tibia da trattare, invece con il rebound rimango dallo stesso lato della tibia da trattare.

test per la concavità int posizione sconsigliata per il recoil rebound

rilascio rebound effetto rebound


sem 4
La membrana interossea s’inserisce sul periostio tibiale e quindi se ci sono delle tensioni non dissipate sulla
membrana interossea ci saranno anche sulla tibia. Tali tensioni, se non sono vaste, causeranno delle distor-
sioni intraossee (al V anno studierete le lesioni intraossee: ad es. le lesioni che sono avvenute in utero nella
17
fase di sviluppo embriologico).
Le tensioni non dissipate si presentano alla palpazione come zone dure, dense. Si possono trovare a qualsia-
si livello del corpo. Il nostro intervento è mirato a ridare loro la mobilità, il metabolismo.

1
2 3
1 2 3
Test sulla tibia
Essendo un osso lungo, devo sentire se si fa per es.
concavizzare esternamente (Fig. 1). Devo sentire la
qualità e non la quantità. Se sento che non riesco a
creare una concavità, vado a cercare le zone di densità,
prossimali e distali, e dove siano presenti faccio una
tecnica diretta contro la barriera motrice. E’ una tec-
nica di siderazione: 3 punti di appoggio (2 estremi e 1
centrale, Fig. 2), messa in tensione (Fig. 3), siderazione
(Fig. 4).
4
Di solito è il III inferiore della tibia la zona più soggetta a tensioni, perché ci sono meno muscoli, c’è l’articola-
zione della caviglia da sostenere, c’è meno spazio. Dopo aver fatto la siderazione rifaccio il test di concavità.
A seguire faccio un test per concavizzare internamente. Se sento che non riesco a creare una concavità inter-
na, vado a cercare le zone di densità.....ved. sopra.

Tratteremo la clavicola allo stesso modo, perché i legamenti


della clavicola possono causare tensioni, densità. Siccome la
clavicola è un osso adattativo deve essere libero di muoversi.
Per ammorbidire il periostio si possono fare anche delle tecni-
che periostali, per es. quelle del dr. Knapp (Figg. 5-6). Si tratta
di una pressione + movimento circolare.
Attenzione perché rimane come una fossetta.
Maschietti dice che insegnava queste tecniche tanti anni fa,
ma ora non più.

5 6
Ginocchio PRATICA
Il Pz è supino con un cuscinetto sotto il ginocchio (Fig. 7), che consente le rotazioni. L’Osteopata deve poter
appoggiare i gomiti sul lettino. In questa posizione si fanno i test e, se si evidenziano delle restrizioni di mo-
bilità, bisogna trattarle e liberarle.
Test
RI e RE (Fig. 8)
Scivolamento int e Scivolamento est (Fig. 9, 10)
Scivolamento ant e Scivolamento post (Fig. 11, 12)
Decompressione e Compressione (Fig. 13, 14). Servono a ristabilire un equilibrio idrico e di posizionamento
dei menischi

18
7 8 9 10
Il Test di Compressione-Decompressione si può fare a due mani (Fig. 13, 14).

11 12 13 14
Test di Rotazione
La mano craniale fa una presa ben fissa sul femore, la rima articolare è libera, la mano caudale è sulla tibia
(Fig. 15). Immagino un piano orizzontale su cui far scorrere la tibia (Fig. 16). Si possono chiudere gli occhi
per concentrarsi. Il movimento non è visibile, ma si sente. Nel caso di una Rot int libera, si ha la sensazione di
un movimento che non finisce mai.
Non è un movimento quantitativo, quindi il piede non deve ruotare (Fig. 17), ma qualitativo.
16

15 17

19
Test di Scivolamento Ant
È l’unico caso in cui cambio il
punto fisso, che diventa per-
ciò la mano caudale (Fig. 18,

X
la mano sulla tibia con la x),
mentre la mano craniale spinge
verso la posteriorità.

18
Trattamento
Tecnica di aggravamento
Se per es. la tibia non va in RE si può optare per una tecnica di aggravamento: 1) si spinge verso la maggiore
ampiezza 2) si mantiene quando si arriva al massimo e si cerca di andare ancora un pò in quella direzione
3) quando si è al massimo e si sente che la struttura vuole tornare indietro, la si riaccompagna in correzione
(come caricare una molla).

Tecniche funzionali
Bisogna mettersi in ascolto dell’ IRC (impulso ritmico craniale), perché non si induce più niente. Nella fase di
F di solito il femore va in RI e la tibia in RE. Globalmente l’arto inf fa una RE, ossia tutto l’arto ruota esterna-
mente, però per la questione embriologica e per la direzione delle fasce, c’è subito un fine corsa per il femo-
re e quindi la tibia mi dà la sensazione di andare in RE. Sono le fasce superficiali che fanno sì che l’arto inf
vada tutto in RE, mentre le fasce profonde frenano il femore e lo portano in RI rispetto alla tibia che procede
in RE. Quindi devo valutare la RE della tibia in F e la RI nella fase di E, di ritorno.
Se la RE è minore della RI, la fase di F è meno importante dell’E.
La correzione avviene in questo modo:
nella fase di E aiuto la RI, l’accompagno
nella fase di F fermo le mani, blocco la tibia in RI
nella seconda fase di E l’accompagno ancora un po’ in RI
nella seconda fase di F blocco ancora
per 3-4 volte
finché non sento che si è caricata bene e allora nella fase di F la riaccompagno in correzione. Oppure può
succedere che non sento più niente. Questo vuol dire che le fasce si stanno organizzando a livello centrale
(le membrane di tensione reciproca) e poi ricomincerà l’IRC.
Siderazione sul m. popliteo (Fig.
19, 20, 21). È un intrarotatore.
Ha delle connessioni con il leg
popliteo e il leg menisco-femo-
rale (connesso al corno post del
menisco est). Non dobbiamo
sbagliarci con i mm. semimem-
branoso, semitendinoso e
gastrocnemi. Si può fare un test
per vedere se va meglio in alto-
19 20 21 dentro o basso-in fuori. Ma per
Fasce della coscia esperienza basta farlo vibrare e
Distinguiamo due setti intermuscolari, che dividono due logge: una si hanno buoni risultati a livello
antero-esterna e l’altra postero-interna (Fig. 22). Nel disegno si vede dell’equilibrio tensionale del gin.
una sezione orizzontale della coscia, al centro il femore, i 2 setti e le 2 logge. I due setti s’inseriscono sul
periostio. A livello dell’inserzione troviamo un canale che contiene vasi e nervi (non sono quelli importanti,
come per es, la safena o il n. femorale; infatti i nervi importanti hanno percorsi preferenziali, come per es. il n.
sciatico). Il setto è un accollamento della fascia che delimita delle logge. Ogni volta che troviamo un accol-
lamento (evidenziato dalla freccia), troveremo anche uno sdoppiamento, vale a dire un’altra loggia (Fig. 23,
20
24, 25). Dentro ciascuna loggia ci sono dei gruppi muscolari e delle logge più piccole (Fig. 26). Poi avremo
dei singoli muscoli, dei gruppi di fibre, le singole cellule, fino ad arrivare a strutture molto fini, il citoscheletro
(Fig. 27). Da qui parte la teoria della tensegrità, di cui parleremo nei prossimi anni. Le tensioni che si trovano
all’interno si possono trovare anche all’esterno.

22 23 24

25 26 27
Quindi la rete fasciale da molto fine, mi-
croscopica, diventa poi più macroscopica,
quindi le tensioni che si trovano all’interno,
si possono ritrovare all’esterno, a livello del
setto intermuscolare interno e esterno, che
sono le zone da trattare (Fig. 28).

28

21
Setto intermuscolare interno (SII)
A questo livello troviamo il canale degli ad-
duttori, che nel III inferiore prende il nome di
canale di Hunter (Fig. 29).

Il trattamento ha lo scopo di liberare le ten-


sioni in questo canale affinché vasi e nervi
non abbiano problemi e quindi l’apporto
d’informazioni liquide ed elettriche sia libero.

29
Questo canale ha una direzione dall’esterno
verso l’interno, è arrotolato (Fig. 30).

30
Questo canale si raddrizza se facciamo una F e RE d’anca
(Fig. 31).

31
Il SII rappresenta il limite tra la loggia po-
m. vasto steriore e quella antero-esterna (Fig. 32).
mediale

32 33
Esso si trova tra il m. vasto mediale (Fig.
33, 34) e il m. grande adduttore (Fig. 35).

m. grande
adduttore

34 35
22
Test sul decorso del SII per
sentire se ci sono tensioni
(Fig. 36, 37, 38).

36 37 38
Trattamento del SII (Fig.
36. 37, 38). Nella Fig. 41
Maschietti fa vedere la
direzione in cui devono
trazionare le dita.
Bisogna sempre fare
attenzione perché si passa
vicino a vasi e nervi.

39 40 41
Setto intermuscolare esterno (SIE)
Si trova tra il retto femorale e il tensore
della fascia lata (Fig. 42).

42
Il test cerca le tensioni a livello del m. tensore o
della bendelletta ileo-tibiale. Si può muovere in
avanti (Fig. 43).

43
E indietro (Fig. 44).

44
23
Se si sente per es. una tensione verso dietro, si può fare una siderazione. L’osteopata è dallo stesso lato
dell’arto da trattare. Siderazione: aggancio (Fig. 45) e siderazione (Fig. 46, 47).

45 46 47

sem 5 Maschietti

Triangolo di Scarpa
È difficile che si faccia un trattamento di questa zona. Si fa solo nelle patologie vascolari e linfatiche (quindi
con problematiche di irrorazione o drenaggio).
Il triangolo di Scarpa è delimitato dai seguenti muscoli e legamenti:
sartorio (bordo int del m. sartorio)
pettineo (bordo est del m. pettineo)
leg inguinale (base sup)
Questo triangolo è il proseguimento del canale inguinale. Ricopre la parte vascolare della radice della coscia.
Una tensione dell’aponeurosi che ricopre questo triangolo può dare delle costrizioni al pacchetto vascolo-
nervoso che passa al di sotto. Dovremo cercare di tenere libera da tensioni questa zona. Ricordate che sotto
il leg inguinale passano importanti nervi e vasi nei due sensi, sia verso l’arto inf che verso il torace.
Per ogni triangolo (o quadrilatero) da trattare si trattano i lati facendo dei punti fissi e dei punti mobili.

Test
Per testare l’elasticità del triangolo di Scarpa, si fa per es. punto fisso sul leg inguinale, che va dalla SIAS al
tubercolo pubico (x gialla della Fig. 1) e si tira il bordo esterno del m. pettineo (freccia bianca della Fig. 1) op-
pure si fa punto fisso sul leg inguinale e si tira il bordo interno del m. sartorio (Fig. 2) oppure il leg inguinale
fa da punto fisso e si tira sui due punti mobili, bordo int e est insieme (Fig. 3), per rendersi conto se c’è una
tensione.

1 2 3

24
Poi si fa una palpazione per sentire
se la zona è dura o morbida, se ci
sono delle tensioni o delle granula-
zioni (Fig. 4). Ci possono essere dei
linfonodi e si può sentire anche il
battito dell’arteria.

4
La correzione si farà in uno dei modi seguenti:
1. un punto fisso e un punto mobile oppure un punto fisso e due punti mobili (Fig. 5, 6, 7)
2. aggravamento: si accorcia la fascia ancora di più, come per caricare una molla e poi si allunga (Fig. 8, 9)

5 6 7

8 9
Legamento inguinale
Reperimento (Fig. 10). Test di tensione (Fig. 11).

10 11
Trattamento con tecnica di siderazione secondo Moneyron
1) faccio scorrere un po’ di pelle sul legamento o tendine che sto trattando (Fig. 12, 14, 15) e poi ritorno
facendo la siderazione (Fig. 16), in senso trasversale-perpendicolare (Fig. 13) alla direzione delle fibre del
legamento e invece parallelo al pacchetto vascolo-nervoso.

25
12 13

14 15 16
Moneyron
E’ un osteopata che ha ideato prima un test e poi un trattamento con questo tipo di siderazioni trattando il
Paz in piedi. E’ un argomento che si affronta in corsi post-graduate.

Membrana otturatoria
Va ad otturare il foro otturatorio. Si trova tra la branca ileo-pubica,
la branca montante ischio-pubica e l’ischio. S’inseriscono sopra i
mm. otturatori, interno ed esterno, in alto c’è un foro dove passa
il n. otturatore. E’ un elemento che organizza le pressioni interne
del bacino, ristabilisce gli equilibri pressori-tensionali tra l’arto inf e
la pelvi. A volte in presenza di una congestione della pelvi o delle
fasce profonde a livello della pelvi, può essere risolutivo o comun-
que ottimo trattare la membrana otturatoria. E’ come una pelle di
tamburo tesa sul foro otturatorio. Se aumenta la pressione dentro
il bacino la membrana cede. Per questo motivo si fa un test respira-
torio per valutare se la membrana è tesa o rilassata.
Si divide artificialmente la membrana in una zona sup-esterna e un’altra inf-interna. L’elemento divisore è
l’inserzione del m. Grande Add.
Test respiratorio sulla parte
sup-esterna del foro
Per trovare la porzione sup del
foro si segue con il dito medio
(Maschietti sconsiglia di usare il
pollice, Fig. 17, 18) il bordo sup
del m. Grande Add. In questo
modo si arriva sulla parte inf
della branca pubica. Da qui,
scendendo in basso, si trova
17 18 19 si trova la parte sup-esterna
del foro. Invece facendo un po’ di add d’anca si può arrivare a toccare la parte interna dell’artic. coxo-femora-
le (Fig. 19).
In inspirazione il diaframma si abbassa, i visceri vengono spostati in basso, aumenta la pressione nel bacino
e la membrana cede verso il basso.
26
Attenzione: se il Paz fa una respirazione toracica non ingaggia i visceri, quindi c’è il rischio di non sentire il
movimento della membrana.

Riduzioni
1) Se la membrana è tesa, si fa una leggera pressione per vincere la barriera visco-elastica. Oppure una
vibrazione che va sempre più in profondità, guadagnando durante l’espirazione (Fig. 20). Oppure dei movi-
menti circolatori con il pollice (secondo Bonetti) guadagnando in profondità ma senza forzare e rispettando
l’elasticità della membrana (Fig. 21). Oppure con il pollice sulla membrana si mobilizza l’anca con l’intento di
detendere la membrana (Fig. 22, 23).
2)Se la membrana è detesa si fa, in INsp, una vibrazione e si rilascia in modo brusco, per stimolarne il tono

20 21

22 23
Test respiratorio sulla parte inf-interna del foro
Per trovare la porzione inf del foro si segue il bordo inf del m. grande add e si arriva sulla porzione inf del
foro. Da qui salendo si trova la parte inf-interna del foro.

27
Srotolamento dell’arto inf
Ha lo scopo di riarmonizzare le fasce dell’arto inf
dopo aver ridotto le eventuali disfunzioni e quindi
alla fine del lavoro sull’arto inf o bacino. Bisogna dare
una costante compressione verso la radice dell’ar-
to (perché in compressione le fasce si rilassano) e
cercare in tutte le direzioni le tensioni. Quando si
trova una tensione il movimento si arresta (perché
c’è un blocco visco-elastico), allora si deve aspettare
che le tensioni si riorganizzino e si detendano e poi
si riparte.

Una mano sul


ginocchio flesso
aiuta a mantenere
la tensione verso la
radice dell’arto.

Bonetti
Leg inguinale e prossimità anatomica
Dietro il leg inguinale passano, medialmente, l’ arteria e la vena femorale, e lateralmente, il m. ileo-psoas e il
n. femorale.

arteria e vena femorale m. ileo-psoas e n. femorale

28
Inoltre passano dei piccoli rami. Esternamente il n. cutaneo lat. della coscia, che innerva la zona lat della
cocoscia e internamente il n. genitocrurale, che innerva la parte interna dei genitali esterni.

n. cutaneo lat. della coscia n. genitocrurale


Il leg inguinale rappresenta un arrivo di fasciale molto importante, perché tutta la fascia crurale e tutte le
fasce esterne dell’addome (dall’esterno verso l’interno troviamo: pelle, fascia superficialis, aponeurosi me-
die superficiali che avvolgono le porzioni più esterne della muscolatura - vale a dire il m. obliquo esterno,
l’obliquo int, il trasverso - e la fascia trasversalis) arrivano a questo livello. In questo punto le fasce si adden-
sano, si ha come un relé fasciale tra le fasce dell’arto inf e quelle del tronco (lo si vede bene nelle persone
obese, dove a questo livello c’è come un infossamento dei tessuti; lo stesso discorso si potrebbe fare per la
clavicola, solo che la clavicola è andata incontro ad una densificazione ossea) ed è un passaggio di strutture
importanti. Esistono delle cruralgie dovute ad una tensione del legamento e non tanto ad una disfunzione
somatica. Oppure si può avere un problema di ristagno venoso e arterioso sempre dovuto ad una tensione
di questo legamento.

Test di pressione Test per valutare


È utile per individuare la direzione della
il lato in tensione. tensione
Si porta il leg verso
l’alto o il basso e si
sente dove c’è più
tensione

Tecniche di riduzione
1) Stiramento. Si comincia progressivamen-
te e lentamente ad allungare la struttura
fasciale fino a metterla in leggera tensione.
A quel punto si aspetta e quando si sente
che il tessuto si detende si procede oltre
fino a un’altra barriera visco-elastica e così
via. Bisogna fare attenzione a non forzare
perché così facendo si aumenta la tensione
fasciale anziché diminuirla.

29
2) Recoil (o togle).
Si appoggiano i pisiformi sulle
inserzioni del leg inguinale e si
mette in tensione.

Al massimo della tensione si dà un impul-


so che rompe la barriera motrice verso la
direzione delle fibre.
Si può ripetere la tecnica alcune volte.
Attenzione a posizionare i pisiformi sui
fasci del legamento e non solo sull’osso,
quindi bisogna andare un po’ all’interno.

3) tecnica di Moneyron. È una sorta di pseudosiderazione.


Non si fa la siderazione in questa zona perché è una tecni-
ca troppo forte e potrebbe disturbare le strutture vascolari
e i vasi linfatici.
Nel caso in cui il leg ha difficoltà ad andare verso il basso si
procede in questo modo:
a) si prende un credito di pelle con l’indice e il medio so-
vrapposto e si scavalca la struttura
b) si fa scivolare il tessuto preso al di sopra della struttura e
si torna indietro. Si fa su tutto il decorso del leg più volte.
a b
Al termine di ogni tecnica si rifà il test per vedere se è cambiato qualcosa.
Srotolamento dell’arto inferiore
Un esempio.
1) comprimo l’arto inf e sento per es. che va in
Rot int

Può essere utile immaginare di dover spingere


una fila di carrelli del supermercato.
Poiché a causa della nostra spinta la fila di car-
relli si muove a serpentone, bisogna adattarsi a
questi spostamenti con l’intento di muoverli su
una linea dritta.

2) accentuo la Rot int e sento


che l’arto è facilitato ad addurre
e a flettersi

30
3) fletto l’arto e continuo a comprimere

4) durante la flessione
il ginocchio si flette
e cade. Continuo a
comprimere verso la
tibia

5) uso la seconda
mano sul ginocchio,
per assecondare il
movimento e man-
tenere la compres-
sione sull’anca (una
mano spinge in
direzione della tibia
e l’altra in direzione
del femore)

31
Anno 2 sem 2 Maschietti

L’anno scorso abbiamo visto che le fasce possono essere classificate in 3 piani anatomici oppure in 3 sistemi
funzionali.

I 3 piani anatomici sono:


1. piano superficiale > comprende la pelle
2. piano medio > comprende la fascia supericialis, l’aponeurosi superficiale, l’aponeurosi media, l’aponeurosi
profonda e l’asse aponeurotico centrale
3. piano profondo > comprende la dura madre e le lamine basali.

I 3 sistemi funzionali sono:


1. s. superficiale (strutturale) > comprende la pelle, la fascia supericialis, l’aponeurosi superficiale, l’aponeu-
rosi media a indirizzo muscolare
2. s. profondo (ossia i visceri) > comprende l’aponeurosi media a indirizzo viscerale, l’aponeurosi profonda e
l’asse aponeurotico centrale
3. s. della dura madre (ossia cranio, sacro e core link) > comprende le membrane di tensione recicpoca e il
core link.

Ogni piano anatomico è rappresentato da un diaframma, quindi avremo 3 diaframmi principali:


1. piano superficiale/strutturale > la Materia > diaframma pelvico
2. piano medio > il Movimento > diaframma toracico
3. piano profondo > lo Spirito > il tentorio del cervelletto

Ciascun sistema funzionale è soggetto a determinati traumi e viene trattato con tecniche adatte:
1. s. superficiale/strutturale > traumi contusivi, fratture, distorsioni... > tecniche dirette
2. s. profondo (ossia i visceri) > traumi emotivi > tecniche TEM
3. s. della dura madre > traumi psichici > tecniche di aggravamento o funzionali

Secondo Stil l’uomo si compone di Materia, Movimento e Spirito. Dall’intersezione di questi elementi origin-
nano delle strutture anatomiche:
da Materia e Spirito > Meningi o Membrane di Tensione Reciproca
da Spirito e Movimento > S. Nervoso Neurovegetativo
da Movimento e Materia > Meso o Epiploon

Ci sono diversi tipi di test, che ci permettono di capire se la disfunzione viene da uno dei suddetti sistemi
funzionali. Per es. ci sono diversi tipi di test sulla clavicola:
- test di mobilità, è un test meccanico-strutturale a carico del s. superficiale/strutturale; se qualcosa non va,
la causa è a livello di cartilagine, muscoli, ossa
- test respiratorio, è un test sul s. profondo (perché il diaframma influisce sul s. viscerale/profondo), per
vedere se c’è qualche viscere che impedisce il movimento
- test sull’IRC, per valutare il movimento delle clavicole sotto l’influenza dell’IRC; in questo caso si è in sinto-
nia con il s. della dura madre
Al termine si fa un test di bilanciamento, in cui si valuta, sulla base di ciò che si è sentito, qual è il sistema in
disfunzione.
Se il “vincitore” del test di bilanciamento è il s. superficiale, si andranno a valutare muscoli, ossa e cartilagini.
Se a vincere è il s. profondo si valuteranno i visceri. Se invece vince il s. della dura madre si valuterà il cranio,
le membrane....
Questo è il motivo per cui le fasce sono state divise in 3 sistemi funzionali e non solo in 3 piani anatomici.

1. PIANO SUPERFICIALE
Comprende solo la pelle
Pelle
È una struttura di percezione tattile munita di propriocettori ed esterocettori, che ha il ruolo di protezione
32
meccanica, termica e chimica. È un organo di difesa immunitaria con ruolo sull’equilibrio idrominerale del
corpo e nella funzione respiratoria ed escretoria.
Ci sono 3 strati di pelle:
1. epidermide, costituita da un epitelio stratificato, separato dal derma (che è sottostante), per mezzo di
una lamina basale
2. derma, costituito da fibre collagene, fibre di elastina e fibre reticolate. L’insieme delle fibre crea l’elasticità
e tutte sono bagnate da una matrice che contiene cellule connettivali.
Il derma si suddivide ancora in 3 strati:
- un circuito di fibre lasse in tutte le direzioni
- fibre felpate ad orientamento orizzontale e obliquo
- uno spesso strato di fibre collagene che entrano nell’ipoderma
3.ipoderma, composto da fasce lasse che continuano con il derma e che contengono dei pannicoli adiposi,
i quali permettono gli scivolamenti. Contiene arterie, vene, vasi linfatici e nervi (sarebbe il corion, dove c’è
l’escorazione)

2. PIANO INTERMEDIO o MEDIO


Comprende la fascia superficialis, l’aponeurosi media, l’aponeurosi profonda, l’asse aponeurotico centrale.
Fascia superficialis
È appesa all’aponeurosi craniale, è un sacco che avvolge tutto il corpo a partire dalla testa ed è una dife-
sa, un’armatura, grazie ai numerosi linfociti e macrofagi contenuti nelle sue fibre. Tampona le iperglicemie
rapide, senza l’intervento dei centri superiori ed ha un ruolo importante nella libera circolazione dei fluidi. La
fascia superficialis ricopre tutto il corpo al di sotto della pelle come uno strato di cipolla. Si trova in tutta la
regione cervicale eccetto che nella nuca, dove troviamo un piano più profondo, ossia l’aponeurosi cervica-
le superficiale (quindi sulla nuca non c’è il piano della fascia superficialis, perché si passa subito ad un piano
pù profondo).
Nel torace la f. superficialis inizia (o ricomincia) dai mm. pellicciai del collo.
Nell’addome s’inserisce nell’arcata crurale rinforzando il leg. inguinale.
Negli AAII è assente nella regione glutea, nei 2/3 sup-post della coscia, nel cavo popliteo e nel malleolo
est.
È presente su ginocchio, piede, sopra il leg anulare del tarso.
Negli AASS è ovunque e si ferma a livello del polso (quindi non c’è nella mano).
Si trova dappertutto tranne che nelle zone dove le tensioni sono importanti (nuca, 2/3 sup-post della coscia,
cavo popliteo...), perché non ha un ruolo meccanico, ma di protezione e di libera circolazione dei fluidi.

Aponeurosi EPICRANICA o epicraniale


È come la f. superficialis ma più spessa. È separata dal periostio per mezzo di un tessuto di cellule lasse, che
crea un piano di scivolamento. Unisce i mm. occipitali, temporali, frontali e masseteri ricoprendo le loro apo-
neurosi*. S’inserisce sulla cresta sovramastoidea attorno al condotto uditivo est e sopra il tessuto cellulare
sottocutaneo della regione masseterica.
L’inserzione post è a livello della protuberanza occipitale est e sul III interno della linea curva occipitale sup.
Da lì le fa seguito, senza soluzione di continuità, l’aponeurosi cervicale superficiale (non la fascia superficia-
lis, che nella nuca è assente, mentre è presente a livello cervicale).
Anteriormente s’inserisce sulla sutura metopica del frontale, sul periostio orbitale, sul leg largo orbitale.
L’unione tra aponeurosi epicranica e fascia superficialis si attua a livello dell’arcata zigomatica.

33
Aponeurosi epicranica
o galea capitis
m. auricolare ant-sup

m. frontale

m. auricolare ant-sup
m. orbitale
dell’occhio
m. auricolare ant-sup
m. nasale
m. elevatore
del labbro sup
e dell’ala del naso
m. elevatore
del labbro sup
m. piccolo zigomatico m. occipitale
m. orbicolare della bocca m. auricolare post
m. grande zigomatico
m. risorio
m. quadrato del labbro inf
m. mentale
m. triangolare
platisma

* Per es. la sut. sfeno-squamosa è ricoperta dal m. temporale e quindi dall’aponeurosi del temporale e poi
dall’aponeurosi epicranica, che la mette in collegamento con i mm. occipitali, masseteri, etc. Quindi una
tensione che viene da ATM (per es. una maleocclusione) si ripercuote sui mm. temporali e magari su quelli
occipitali, oppure capita il contrario, una tensione dell’a. superficiale (a livello nucale) tira la calotta - dove si
trova l’a. epicranica -, trasmette le tensioni sui mm. frontali, temporali o masseteri, causando così una com-
pressione delle suture oppure una disfunzione di un osso craniale, per es. frontale o temporali oppure prob
lemi di vista, masticazione o occlusione.

Aponeurosi superficiale
Ricopre tutti i mm. superficiali del corpo senza avere rapporti con i visceri. Visti i suoi punti d’inserzione pos-
siamo dire che si presenza come una puleggia di riflessione che rinvia le tensioni a distanza.
Ha un ruolo meccanico.
Inizia dall’alto con l’Aponeurosi Cervicale Sup che è un manicotto che avvolge parte della nuca e del collo.
Presenta due rinforzi/incroci di fibre:
- rafe mediano ant o linea alba cervicale
- rafe mediano post
L’A. superficiale parte dall’osso ioide, ricopre i mm. superficiali del collo come lo SCOM, trapezio, mm. sovra-
e sottoioidei, si confonde con l’aponeurosi del gran dorsale e continua con l’aponeurosi lombare.
A livello del torace ricopre le spalle, il deltoide, il sovra- e sottospinoso, il gran pettorale, forma l’ a. clavi- pec-
toro ascellare, continuando con l’apo. brachiale e antibrachiale per terminare con l’ apo. palmare e dorsale
della mano. In basso, dopo aver ricoperto l’addome, arriva all’AI formando prima l’apo. glutea, l’apo. femora-
le o crurale, l’a. tibiale, per arrivare poi all’apo. plantare e dorsale del piede.

Punti d’inserzione (IMPORTANTE perché ci lavoreremo spesso dato il ruolo meccanico di questa Apo)
Davanti: osso ioide, clavicola (sul DAVANTI della clavicola, quindi una sua tensione porta la clavicola in R
post), sterno, appendice xifoidea, le branche pubiche, i leg inguinali (un rinforzo).
Lateralmente: acromion e creste iliache
Dietro: apofisi spinose da C1 a L5, le scapole (particolarmente le spine delle scapole), il sacro e il coccige
AS: ulna, radio, membrana interossea, leg. anulare del carpo
AI: faccia lat della rotula, tuberosità int e est della tibia, perone, membrana interossea, leg. anulare del tarso
Mancano le inserzioni su femore e omero, perché sono delle leve (come nelle marionette). Ogni F ed E cra-
34
niale, come pure ogni inspirazione ed espirazione, corrisponde in periferia ad una RE e RI degli arti.
Domanda: nella fase di F craniale l’apofisi basilare sale, lo stesso succede all’asse aponeurotico centrale, al
core link e al sacro, mentre in fase inspiratoria il diaframma scende e così pure tutto ciò che vi è attaccato.
Come mai in periferia non troviamo traccia del salire o dello scendere ma solo una RE o RI?
La risposta potrebbe essere cercata da un lavoro di tesi.

Aponeurosi MEDIA
Ricopre i mm. del piano medio e in profondità ha contatti anche con i visceri. Fa da tramite tra ossa, muscoli
e visceri.
Punti d’inserzione
Osso ioide, clavicola (DIETRO-POST alla clavicola, quindi in caso di accorciam provoca una R ant), I costa,
inguaina i mm. sottoioidei e si divide in due foglietti:
- Foglietto superficiale> avvolge i mm. omoioidei, gli scaleni e il piano profondo dello SCOM (quindi ha un
indirizzo muscolare)
- Foglietto profondo> forma la parete ant della loggia tiroidea e timica, ricongiungendosi in basso con il
foglietto superficiale dell’a. profonda formando la lamina tiro-pericardica.

Aponeurosi PROFONDA (ha origine dall’apofisi basilare dell’occipite), ha due foglietti:


- Foglietto superficiale: forma la parte post della loggia tiroidea e timica; dopo aver superato la tiroide e il
timo si unisce al foglietto profondo dell’a. media formando la lamina tiro-pericardica, che s’inserisce sulla
parte sup del pericardio (o sacco pericardico): è il I mezzo di sospensione del pericardio.
Dall’alto verso il basso abbiamo: osso ioide, loggia tiroidea, lamina tiro-pericardica, ossia: osso muscoli
(tramite il foglietto superficiale) la loggia per la ghiandola il viscere (il livello profondo dell’asse apo-
neurotico centrale)**.
- Foglietto profondo: forma le aponeurosi laringea, faringea, periesofagea, peritracheale, una lamina che
va al davanti della colonna vertebrale e poi subito dietro i visceri, creando uno spazio di scivolamento tra
visceri e colonna; protegge i plessi nervosi cervicali e il pacchetto vascolare.
L’a. profonda rinforza inoltre i leg sospensori della pleura, del pericardio (vertebro-pericardici, sterno-peri-
cardici)

A livello degli arti manca l’aponeurosi media.

**Fino a 10 anni fa si pensava che le aponeurosi più profonde, ossia la fascia endotoracica - che si trova
dentro il torace al di fuori della pleura - e la fascia propria - che si trova al di fuori del peritoneo - erano for-
mati dall’a. profonda, mentre studi anatomici successivi hanno dimostrato che partecipa anche il foglietto
profondo dell’a. media. A livello perineale, ossia del piccolo bacino, i tre foglietti (superficiale, medio e pro-
fondo) sono ben distinti e si ricongiungono successivamente nel centro tendineo del perineo - che si trova
tra ano e vagina nella donna e tra ano e scroto nell’uomo -.

3. PIANO PROFONDO
Comprende la dura madre e le lamine basali, che vedremo al III anno

Il Test di TENSIONE degli arti superiori (AASS) è il corrispondente del test di pressione per gli AAII e
si compone di 6 fasi. Si parla di tensione per gli AASS anziché di pressione, perché gli AASS non lavorano sot-
to carico ma in sospensione. Inoltre gli AAII sono per lo più soggetti a patologie che finiscono in -osi (artro-
si....) mentre gli AASS a patologie che finiscono in -ite (periartrite, tendinite....).

35
Test di TENSIONE degli AASS
Il Pz è seduto sul lettino o una sedia con i piedi a terra. I suoi AASS non
devono toccare il bordo del lettino o della sedia.
L’Osteopata è dietro al Pz in piedi o seduto.
Secondo Maschietti il test si potrebbe fare anche con il Pz in piedi, anche
se bisognerebbe fare attenzione ai compensi.
Questo test va fatto su 3 zone fasciali-articolari (spalla, gomito, polso) e una
fasciale (membrana interossea tra ulna e radio). Per zona fasciale-articolare
s’intende non solo l’articolazione o le articolazioni (come nel caso della
spalla) ma tutte le strutture che fanno parte della zona della spalla.

Gli AASS del Pz sono in RI.


1a. Spalle: l’Osteopata mette le
mani a placca sui mm. deltoidi e
rilascia le proprie tensioni.
Dalla palpazione dei mm. deltoidi
si possono già avere delle infor-
mazioni sul tonotrofismo musco-
lare, perché questi muscoli sono
un pò il corrispettivo dei mm.
quadricipiti per il ginocchio.
AASS del Pz in RI mani a placca sui presa ERRATA: troppa trazione
mm. deltoidi
Si sente quale delle due spalle è
più in tensione.

Evitare di stringere o tirare.

1b. Gomiti: presa sotto i gomiti


(a), si fa una trazione ma esagera-
re perché altrimenti si arriva alle
spalle (b)

a si può fare una F per b


accertarsi di essere
sotto i gomiti

36
1c. Membrana interossea:
si mettono gli AASS in RE-
supinati, l’Osteopata testa
la plasticità ossea dell’ulna
mettendo la colonna del
suo pollice posteriorm alla
cresta ulnare.

direzione di spinta del pollice sull’ulna


Evitare di provocare
un’iperstensione del
gomito.

ERRATO: gomito in
iperestensione
1d. Polsi: gli AASS del Pz sono di
nuovo in RI e l’Osteopata mette
pollice e indice di entrambe le mani
ad anello e arriva fino alle basi del I e
V metacarpo.

2.Test di bilanciamento
Si bilanciano le zone più distanti.
Se le zone rimaste sono vicine, come per es. gomito e ulna omolaterali,
si può fare una tecnica di sommazione, che consiste nel partire da una
zona, per es. il gomito, arrivando alla massima tensione, poi si aggiunge
l’ulna, arrivando anche qui alla tensione massima. Delle due zone una
cederà prima dell’altra e quindi quella che resta è la zona più rigida.

3.Test di mobilità
Per denominare la disfunzione.

4. Riduzione della disfunzione

5.Test di mobilità
Per sentire se la disfunzione non c’è più

6. Test di tensione degli AASS


37
3 sem

Test dei legamenti della clavicola


Essi valutano se i legam. sono retratti, in accorciamento o fibrotici. La clavicola è un osso adattativo rispetto
alle tensioni che provengono dall’alto e dal basso. Se non può adattarsi perché è retratto crea dei problemi.
Se qualche legam è fibrotico impedisce il fisiologico adattamento della clavicola

Sono test qualitativi e non quantitativi, ossia si valuta la qualità del movimento. Se un test è positivo, si pro-
cede poi con la riduzione, volta a ripristinare l’elasticità fisiologica del leg.

Leg sterno-clavicolari, sono quattro:


anteriore
posteriore
superiore (+ un secondo fascio, il leg. interclavicolare)
inferiore, non ci interessa perché la I costa impedisce la discesa.

A clavicola
B I costa
C sterno

1 disco interarticolare 3 leg sternoclavicolare ant 6 leg costoclavicolare - piano ant


2 capsula articolare 4 leg sternoclavicolare post 6’ leg costoclavicolare - piano post
5 leg sternoclavicolare sup - fibre brevi 7 leg condrosternale ant
5’ leg sternoclavicolare sup - fibre lunghe
o leg interclavicolare
Test leg sterno-claveare ANT
L’Osteopata, con il Pz vicino a sé,
cerca la rima articolare tra sterno e
clavicola.

rima articol. sterno-claveare

38
Mano int: davanti allo
sterno, dito medio subito
all’int dell’art. sterno-cla-
veare, dito indice davanti
alla testa della clavicola
(quindi II e III dito sono a
cavallo della rima artico-
lare)

dito medio dito indice


Mano est: davanti al III esterno della clavicola
1. la mano est spinge verso la post per portare la porzione int della clavicola
verso l’ant
2. la mano int sente che cosa succede:
a) se l’indice sente che la clavicola viene leggerm in avanti senza essere se-
guita dallo sterno, c’è un movimento fisiologico, tutto nella norma
b) se l’indice sente che la clavicola non si muove o che lo sterno segue subi-
to, c’è una fibrosi, ossia il leg sterno-claveare ant tiene

Test leg sterno-claveare POST


Mano int: come prima
Mano est: è dietro l’acromion
1. la mano est traziona in avanti la parte est della clavicola
2. la mano int sente che cosa succede, l’indice aiuta a spingere leggerm verso la
post:
a) se l’indice sente che la clavicola va leggerm indietro senza essere seguita
dallo sterno, c’è un movimento fisiologico, tutto nella norma
b) se l’indice sente che la clavicola non si muove c’è una fibrosi.

Test leg sterno-claveare SUP


Mano int: indice sopra la clavicola
Mano est: sopra l’acromion
1. la mano est spinge verso il basso
2. la mano int sente che cosa succede:
a) se l’indice sente che la clavicola va leg-
germ in alto senza essere seguita dallo ster-
no, c’è un movimento fisiologico
b) se l’indice sente che la clavicola non si
muove c’è una fibrosi.
indice sopra la clavicola

Mano est: spinta in basso

39
Riduzioni di un leg sterno-claveare ANT fibrotico
Il test ha evidenziato che è fibrotico e accorciato. Bisogna allungarlo.
Tecnica1
Mano int: il dito medio
aggancia internam la
testa della clavicola
Mano est: come nel test,
spinta verso la post
Si procede così:
1. L’Osteopata chiede al
Pz una INspir (perché in
inspir la clavicola viene
già in avanti) dito medio aggancia internam la testa della clavicola
2. Mano int: mette in tensione e dà con la mano int. un impulso verso l’anteriorità, un’informazione energe-
tica* alla distensione/rilasciamento (sembra una siderazione, ma non lo è; nella siderazione il movimento
avviene trasversalmente alle fibre in disfunzione).
* Si dà un’informazione al leg di rilasciarsi attraverso la vibrazione dei corpuscoli di Pacini e Ruffini

Tecnica2_pisiforme
L’Osteopata reperisce la
testa della clavicola
Mano int: il pisiforme ag-
gancia internam la testa
della clavicola
Mano est: come sopra

Si procede come sopra

Riduzioni di un leg sterno-claveare POST fibrotico

Mano int: il pisiforme è appoggiato anteriormente sulla testa della clavicola


Mano est: è dietro l’acromion
Si procede così:
1. Nella fase inspiratoria l’Osteopata non fa nulla
2. In ESPirazione mette in tensione e dà un impulso/informazione usando entrambe le mani (quella int va
dietro-un po’ fuori; quella est va avanti).

40
Riduzioni di un leg sterno-claveare SUP fibrotico
L’Osteopata è seduto alla testa
del Pz. Ipotizziamo che siano
interessati entrambi i legam.
L’Osteopata lavora con en-
trambe le mani e appoggia il V
meta della mano dx e sin sulla
parte sup della porzione est
della clavicola.

Si procede così:
1. Spinge verso il basso
2. Con il III e IV dito di en-
trambe le mani aggancia
il bordo inf della clavicola
medialmente

direzione della spinta III e IV dito agganciano infer. la clavicola


3. Mette in tensione e
in INspirazione dà un
impulso/informazio-
ne verso la superiorità
con un movimento di
Abd+supinazione di
polso in velocità.

movimento di Abd+supinazione di polso in velocità


Test m. succlavio e leg costo-claveare int
(che mischia le sue fibre con il muscolo).
L’Osteopata reperisce il muscolo succlavio.
Mano int: sull’origine del muscolo (bordo sup
della I costa, situata nel III interno sotto la clavi-
cola)
Mano est: sull’inserzione del muscolo (bordo inf
della clavicola).

I costa I costa e clavicola

41
Test: si allontanano le due mani tra loro
nella direzione delle fibre del m. suc-
clavio: dietro-alto-fuori

direzione delle fibre


Se il m. succlavio è accorciato, avvicina tra loro clavicola e I costa, con conse-
guente compressione sulle strutture che vi passano in mezzo: arteria e vena
succlavia, plesso brachiale (possibili sindromi di apporto arterioso, di ritorno
venoso e sindromi nervose).
Ha una funzione inspiratoria nella inspirazione forzata (alza la I costa).

Riduzioni del m. succlavio


fibrotico
Tecnica1
Posizione delle mani come per il test. Si
tiene l’allungamento per un certo tempo
Tecnica2_MIOTENSIVA
Posizione delle mani come per il test.
In inspirazione si mantiene
In ESpirazione si guadagna

Tecnica3_VIBRAZIONI
Mano est: si fanno delle vibrazioni
con il pollice oppure a 4 dita

Tecnica4
Pz in decubito lat e Osteopata dietro di lui: passa sotto oppure sopra la clavicola, cercando di contattare il m.
succlavio in profondità. Muove il braccio del Pz, che agisce come una leva e muove quindi anche la clavicola.

42
passaggio SOTTO la clavicola

passaggio SOPRA la clavicola


Test leg. conoide e tra-
pezoide
L’Osteopata reperisce
l’apofisi coracoide, se-
guendo il bordo inf della
clavicola fino al III ester-
no. Per essere sicuro di
non essere sul trochine
può ruotare l’omero e ve-
rificare che la coracoide
non si muova. coracoide leg. conoide
Leg. conoide: dalla coracoide diretto verso l’orecchio del Pz (alto-dietro-dentro), su un piano parafrontale.
Leg. trapezoide: dalla coracoide diretto in alto-dietro-fuori, su un piano parasagittale.

leg. trapezoide

43
L’Osteopata mette le unghie
dei suoi pollici a contatto tra
loro e nella direzione delle
fibre del legamento che vuole
testare.
Test: flette le ultime falangi
dei pollici

test conoide test trapezoide


Riduzione del leg. conoide
fibrotico
L’Osteopata mette i pollici nella
direzione delle fibre del leg.
Mette in tensione (con la flessione
delle falangi del pollice), libera le
mani, chiede al Pz di INspirare e dà
un impulso nella direzione delle
fibre del legamento.

Riduzione del leg. trapezoide


fibrotico
L’Osteopata mette i pollici nella dire-
zione delle fibre del leg.
Poi procede come sopra.

Test leg. acromion-claveare


Quando si rompe crea il segno
del tasto di pianoforte, un quadro
clinico che non è di competenza
dell’osteopatia, ma della chirur-
gia e fisioterapia.

Riduzione del leg. acromion-claveare


Se il test evidenzia una fibrosi si può fare una siderazione:

44
1.Tecnica
Moneyron,
in senso tra-
sversale alle fi-
bre del leg. (tec-
nica Moneyron,
che abbiamo
visto per il leg.
inguinale)

2. Tecnica con il dito indice,


sempre in senso trasversale
alle fibre del leg.

Test leg. coraco-acromiale


Invece in presenza di una tendinite periarticolare (che coinvolge il m. sopraspinato, il c.l. del bicipite e tal-
volta anche il m. sottoscapolare) l’osteopatia può intervenire. Il tetto (ossia il leg. coraco-acromiale) sotto cui
passa il tendine del m. sopraspinoso s’ispessisce, quindi il canale si restringe e il tendine s’infiamma.
Che cosa si può fare?
1. trattare la scapola
2. liberare l’articolaz. acromion-claveare con la mobilizzazione
3. liberare il leg. coraco-acromiale
4. liberare i leg. conoide e trapezoide
5. trattare la clavicola
6. trattare la cervicale
7. trattare i visceri (fegato in relazione alla spalla dx e stomaco alla spalla sin)
8. diaframma
Per fare il test si prende un cre-
dito di pelle e si valuta la rispo-
sta delle fibre all’allungamento
in senso longitudinale.

Riduzione del leg. coraco-acromiale


Il trattamento del leg. è indiretto come nel caso della membrana interossea o dei visceri in cui per es. si tocca
lo stomaco e, in proiezione, si vuol raggiungere il m. psoas.
Tecnica 1: stiramento del leg. Si ripete 2-3 volte (la presa è come nel test).

45
Tecnica 2: sidera-
zione con tecnica
Moneyron sotto
la clavicola o (se si
riesce a trovare il
passaggio) dietro
ad essa.

sider. Moneyron con 3 dita sider. SOTTO la clavicola sider. DIETRO la clavicola

Test sulla clavicola


In caso di fibrosi dei legamenti visti in precedenza, si può avere una distorsione ossea di clavicola (ossia le
trabecole ossee si addensano, perdono la loro plasticità e la clavicola risulta meno malleabile/plastica).
Questo può avvenire anche nello sviluppo embrionario o nel neonato, nel qual caso si parla di lesioni o
distorsioni INTRAossee (che vedremo al V o VI anno).
Con il test si valuta se l’osso spugnoso della clavicola si fa comprimere e decomprimere, ossia se ha una
plasticità fisiologica oppure no (per es. nella tibia abbiamo testato la concavità e convessità).
Già con la palpazione della clavicola si può sentire se ci sono delle zone più dense di altre. In tal caso si può
chiedere al Pz se c’è stato un trauma o se ha avuto una frattura di clavicola da neonato, perché in questo
caso c’è stata una lesione intraossea.
Clavicola_Test di compressione
Mi permette di discriminare dove si trova la densità (dove l’osso non si lascia comprimere):
- centro
- su tutto l’osso
- estremità distale
- estremità prossimale.
L’Osteopata appoggia i pisiformi di entrambe le mani sulle estremità di una clavicola e cerca di comprimerla.

Riduzione in compressione
In INspirazione: si mantiene
In Espirazione: si comprime e si
guadagna
Si ripete per 2-3 volte e poi nell’ul-
tima espiraz. si dà un impulso/
informazione.

46
girare la testa del Pz ATTENZIONE al viso del Pz errato incrociare le dita errato incrociare i pollici
Clavicola_Test di DEcompressione
Mi permette di discriminare dove si
trova la densità (dove l’osso non si lascia
DEcomprimere): centro, su tutto l’osso,
estremità distale o estremità prossimale.
L’Osteopata appoggia i pisiformi con
i polsi incrociati sulle estremità di una
clavicola e cerca di DEcomprimerla.

Riduzione in DEcompressione
In espirazione: si mantiene
In INspirazione: si DEcomprime e si gua-
dagna
Si ripete per 2-3 volte e poi nell’ultima
inspiraz. si dà un impulso/informazione.

Clavicola_Test sui 3 SISTEMI


La clavicola è un osso che si presta
molto bene a valutare i 3 sistemi:
superficiale (la struttura), profondo
(viscerale) e della dura madre. Al III
anno vedremo dei test che ci diranno
quale sistema è in disfunzione e se la
disfunzione per es. è dal diaframma
in su o in giù, oppure se sono coinvol-
ti i visceri addominali o toracici.
L’Osteopata si siede alla testa del Pz e contatta le clavicole per testare le rotazioni: posteriori interne e ante-
riori esterne.
Test MECCANICO (sistema superficiale): l’Osteopata porta la clavicola in RE (ant) e RI (post) e valuta.
Test FUNZIONALE (sistema profondo/viscerale): l’Osteopata è fermo e sente come si muove la clavicola in
INsp e Esp. In INsp la clavicola dovrebbe fare una RI.
Test sull’IRC (sistema della dura madre): l’Osteopata è fermo, è in relazione con l’IRC (ossia con il ritmo e
l’ampiezza dell’impulso ritmico craniale trasmesso alle fasce in periferia), bypassa la respirazione e valuta. Si
dovrebbe sentire un movimento elicoidale, a 8, più lento della respirazione.
Durante l’esecuzione dei 3 test l’Osteopata fa anche un test di bilanciamento e decide quale sistema è più
resistente degli altri. Se è per es. lo strutturale, avrò un’indicazione a lavorare sul sistema strutturale per otte-
nere un rilasciamento delle clavicole.
Questo tipo di test si può fare anche sulla scapola. È un modo di discriminare.

47
sem 4 scapola
La spalla è formata da 5 articolazioni:
3 normali > 1. sterno-costo-clavicolare, 2. acromion-clavicolare, 3. gleno-omerale
2 false > 1. sottodeltoidea, 2. scapolo-toracica (quest’ultima è il tema di oggi).

Art. scapolo-toracica
Sul piano orizzontale/trasversale:
- tra scapola e p. frontale si forma un ang. di 30°
- tra scapola e clavicola si forma un ang. di 60°
- 2 spazi:
1 1. spazio omo-serratico (omo da omoplata),
2
60° fra m. sottoscapolare e m. grande dentato
(o dentato ant.)
2. spazio serro-toracico o toraco-serratico,
30° fra m. grande dentato e griglia costale (più pro-
fondo e anteriore)

2
1

La scapola nello spazio:


II - l’ang. sup della scapola corrisponde alla 2° costa
(k2)
- la radice della spina della scapola corrisponde
all’apofisi spinosa di D3
VII - il bordo interno della scapola dista 5-6 cm dalla
linea interspinosa
- l’ang. inf corrisponde a k7 (VII costa) e alle apofi-
si spinose di D7-D8

48
Movimenti fisiologici della spalla e muscoli che vi partecipano
ABD ADD ELEVAZIONE ABBASSAMENTO
grande dentato e Sinergia delle fibre fibre sup del trapezio, Fibre inf del trapezio
piccolo pettorale medie del trapezio e angolare della scapo- e piccolo pettorale
romboidei la, romboidei

ABD ADD ELEV ABB

RE RI
Grande dentato e piccolo pettorale
fibre sup del trapezio RE RI e romboidei

Fra una abd massima e una add Fra una elevazione massima e Fra massima RE e massima RI
massima c’è una distanza di 15 cm un abbassamento massimo ci avremo 60° di escursione
sono 10-12 cm
PRATICA
Palpazione del contorno/bordi della scapola, Pz seduto.
Si può partire dall’angolo inf (Fig. 1, 2) e risalire sul bordo mediale (Fig. 3) fino a sentire un rilievo, ossia la
radice della spina della scapola (Fig. 4). Seguendo la spina si giunge all’acromion (Fig. 5) e poi, scendendo
verso il basso, si segue il contorno della glena omerale (Fig. 6, 7, 8) e si scende verso l’angolo inf.

1 2 3 4 5 6
49
7 8
Si possono inoltre palpare:
- l’angolo sup, che si trova davanti alla spina della scapola (Fig. 9, 10),
- l’angolo sup-mediale (si trova superando la radice della spina della scapola, Fig. 11, 12)

9 10 11 12
Si può anche partire dall’angolo inf
(Fig. 13), e risalire sul bordo est (Fig.
14,15), e arrivare a livello della glena
omerale (Fig. 16).
L’apofisi coracoidea è sotto la clavicola e
abbiamo già visto come si fa a reperirla
al seminario sulla clavicola.

13 14 15 16
Test sulla scapola
Si possono fare sia con il Pz seduto che in decubito laterale,
ma quest’ultima posizione è più comoda.
È importante controllare l’altezza del lettino (nel video il
lettino è troppo alto!!) e la posizione del Pz (la gamba sul
lettino flessa e quella sup distesa)

50
L’Osteopata procede in questo modo:
- abduce il braccio del Pz
- con la colonna del pollice e del I
meta contatta il bordo ant della
scapola

mano craniale dell’O. mano caudale dell’Osteopata


- appoggia il braccio del Pz sul
fianco del medesimo
- contatta facendo presa con le
altre 4 dita l’ang inf e il bordo
mediale della scapola

mano craniale, pollice sull’apofisi


coracoide (tutta la colonna del
pollice è in appoggio, quindi non
fa male) e presa su tutta la scapo-
la con il resto delle dita.
L’Osteopata fa punto fisso con i
suoi gomiti sulla testa e sul fianco
del Pz

Posizione scorretta del braccio


del Pz! In questo modo l’Oste-
opata non può fare punto fisso
sul fianco del Pz

Avere un punto fisso con i gomiti


permette all’Osteopata di scollare
la scapola dal torace e di eseguire
nel modo migliore i test

direzione dello scollamento

51
TEST

add abd

elevazione abbassamento

RE RI
Le manovre del test possono diventare un trattamento se sono esguite in maniera continua.

Trattamento
Può avere due obiettivi:
1. liberare la scapola > in questo caso l’Osteopata esegue i movimenti dei test in modo continuo e ripetuto
(quello che si diceva prima)
2. decontrarre alcuni muscoli che durante i test sono apparsi tesi. Sono i muscoli che abbiamo visto prima e
che sono responsabili dei movimenti di abd-add, RI-RE, elevaz-abbass.

Trattamento del m. grande dentato_1


Il Pz è nella stessa posizione dei test.
L’Osteopata procede così:
- si appoggia con il suo torace sul braccio del Pz e con le
sue dita sul bordo mediale della scapola
- cerca di scollare la scapola dalla griglia costale e di guada-
gnare con le dita in profondità
- esegue dei movimenti di sfregamento/circolari della sca-
pola sul torace, in senso orario e antiorario

52
Trattamento del m. grande
dentato_2
Il Pz come sopra
L’Osteopata procede così:
- mette il braccio del Pz in RI
......e poi come sopra

Trattamento del m.
sottoscapolare_1
L’Osteopata:
mano caudale, la colonna del polli-
ce si posiziona sulla faccia ant della
la scapola (attenzione al tendine
del m. gran dorsale!)

- abbandona il braccio del Pz in


direzione del pavimento
oppure lo tiene tra le sue gambe.
Le gambe trazionano il braccio ver-
so il basso e questo ha come effetto
di far uscire la scapola.

Mano caudale, come nei test


Tecnica:
l’Osteopata esegue dei movimenti circolari della
scapola in senso orario e antiorario

53
Trattamento del
m. sottoscapolare_2
Attenzione: la posizione dell’Osteopata
è dietro il Pz!
L’Osteopata:
mano anteriore, le quattro dita lunghe
sono sulla faccia ant della scapola

mano posteriore, presa su tutta la scapola

Tecnica:
movimenti circolari della scapola in senso
orario e antiorario

Trattamento del m. sottoscapolare_3_Pz seduto


L’Osteopata:
mano anteriore, le quattro dita lunghe sono sulla faccia ant
della scapola
mano posteriore, presa su tutta la scapola

Tecnica:
la mano ant cerca di andare sempre più in profondità

I trattamenti visti finora sulla scapola vanno bene in tutte le patologie che comportano tendinite, capsulite
adesiva o nevrite scapolo-omerale, dove la causa è stata una ipofunzionalità della scapola con conseguente
meccanica sfavorevole dei movimenti della scapola e instaurarsi, nel tempo, di un conflitto acromion-clavea-
re (+ conflitto del tendine del m. sovraspinoso).
Vanno anche bene nelle mastectomie.
Da sapere che la spalla è un’articolazione che subisce traumi emotivi, quindi esplorate anche la componente
emozionale.

Riflessioni
La scapola collega:
- il braccio al tronco
- il braccio alla colonna
- la sfera ant e post del cranio
- i due cingoli
- l’arto sup con i visceri

Domanda: come si mette in evidenza un problema viscerale sulla scapola?


Risposta: con i test sui 3 livelli.
I livelli corrispondono a 3 sistemi:
1. sistema strutturale superficiale (test meccanico)
2. sistema viscerale o profondo (test respiratorio)
3. sistema della dura madre (test sull’IRC)
Faccio i tre test e poi il bilanciamento, ossia valuto quale dei tre è il sistema in disfunzione. Se alla fine risulta
che il sistema viscerale è in disfunzione, proseguo facendo dei test specifici sui visceri e in questo modo a
54
partire dalla scapola arrivo a trattare un viscere.

A livello dell’arto inf. avevamo visto che la membrana interossea può essere in relazione con i visceri.

Il trattamento sulla spalla prevede anche un lavoro attivo sui muscoli*. Si dice che la scapola è annegata
nei muscoli e fa da relè con le fasce dei muscoli che la circondano. Si è visto da un lavoro di tesi che trattare
attivamente i muscoli della scapola abbassa l’ipertensione arteriosa. Far lavorare dei muscoli in una zona
significa sottrarre del sangue ad altre zone (lo vedremo anche in ginecologia). Per fare un esempio è come
se in un sistema idraulico chiuso si aumentasse il diametro dei tubi o si aprisse un rubinetto: di conseguenza
diminuisce la pressione.

* È quello che si fa normalmente in palestra.

Trattamento del m. piccolo pettorale


L’Osteopata:
mano anteriore, accesso ant con il pollice in direzione
dell’apofisi coracoide
mano posteriore, presa su tutta la scapola
Tecnica:
la mano ant cerca di fare dei movimenti trasversali al
tendine per rilasciare le tensioni
Se il Pz lamenta formicolii, parestesie bisogna fermarsi

Il seguente trattamento dei mm. adduttori è rivolto alle trigger bands (come i trigger point) attraverso l’uso
di manovre neuroconnettivali.
Trattamento del mm. adduttori_Trigger
Band
L’Osteopata:
mano posteriore, posiziona il dito medio, rinforzato
dal IV, o il pollice a metà dello spazio tra l’ang. inf
della scapola e le apofisi spinose.
mano anteriore, sostiene la testa del Pz
Tecnica:
- il Pz deve avere la sensazione di taglio (se non ha
questa sensazione bisogna ricominciare da capo)
III e IV dito pollice ...fino all’occipite
- aggancia il tessuto connettivale, sale parallela-
mente alla linea interspinosa e arriva all’occipite,
- ruota la mano e procede in avanti verso l’apofisi
mastoidea
- conclude con una siderazione

dall’occipite all’apofisi siderazione


mastoidea

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Trattamento del mm. elevatori_Trigger
Band
L’Osteopata posiziona il pollice al vertice dell’ang.
scapolo-clavicolare

Tecnica:
- il pollice va verso l’interno fino a sorpassare il
m. angolare della scapola, poi sale verso l’occipite
e procede come sopra

Test sui 3 sistemi


Il lettino deve essere basso.
L’Osteopata è seduto, il Pz è prono con il viso nel foro del
lettino e le braccia lungo il corpo.

Sono errate tutte le posizioni del Pz che non lasciano le sca-


pole in posizione neutra o provocano tensione sul collo (per
es. tenere le braccia fuori dal lettino o appoggiare la fronte su
un cuscino!)

Tecnica:
- mani a placca sulle scapole
- test meccanico: l’Osteopata fa dei movimenti meccanici di abd, add, elevaz.....
- test respiratorio: l’Osteopata chiede al Pz di respirare profond. e sente i movimenti ellittici della scapola
- test sull’IRC: l’Osteopata bypassa la respirazione e si mette in ascolto dell’IRC
- test di bilanciamento: vince quello che cattura maggiormente l’attenzione dell’Osteopata; il risultato del
test di bilanciamento mi dice quale sistema influenza la scapola.
Può succedere che i test evidenzino prima una scapola e poi l’altra. Non importa. Devo valutare quale test è
più significativo e quello mi dirà quale spalla è da indagare con i test di mobilità.

56
M. omoioideo
Ha due ventri muscolari con una zona tendinea al centro,
che fa da puleggia di riflessione; in questa zona infatti è
agganciato da una fascia - l’aponeurosi media* -, che lo
tira verso il basso (freccia bianca sulla foto) e gli fa cam-
biare direzione, per orientarlo verso dentro-alto in corri-
spondenza dell’osso ioide.
Origine: parte ant, alta della scapola (omo = omoplata,
scapola).
Inserzione: osso ioide

* Da ricordare che l’aponeurosi media ha due foglietti:


1. foglietto superficiale> fa parte del sistema superficiale, perché è a livello dei muscoli
2. foglietto profondo> fa parte del sistema profondo, perché è a livello di arterie e vene, ossia viscerale

Tra i due mm. omoioidei (tratteggiati nella foto) è tesa


una sorta di tenda (nella foto è stata tolta), che gradual-
mente si sdoppia per avviluppare i grossi vasi, ossia i vasi
brachiocefalici e troncocefalici,
L’aponeurosi media grazie alla sua tensione, data dai mm.
omoioidei, fa sì che ci sia la giusta pervietà di questi vasi,
ossia favorisce il circolo (in partic. quello venoso, per il
ritorno del sangue).

vena giugulare est vena giugulare ant


Cupola pleurica
Emitorace dx visto dal basso verso l’alto
collo È stato tolto il polmone dx
Freccia gialla: domo pleurico visto da sotto
Freccia bianca: fascia endotoracica (indica una struttura
di colore madreperlaceo)
Linea bianca trattegg: le costole che sono state tagliate
Linea bianca continua: il perimetro del sacco pericardico
Linea gialla tratteggiata: diaframma

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Emitorace dx visto dal davanti
Freccia bianca: domo pleurico
Linea bianca continua: il perimetro del pericardio
Linea gialla continua: sterno
Linea bianca trattegg: il perimetro della parete toracica
post ricoperta dalla fascia endotoracica

Veduta dall’alto
Freccia bianca: la zona dove il polmone è molto
superficiale
Puntino bianco: trachea
Puntino giallo: esofago (dietro)

Veduta lat
Freccia bianca: la zona dove il polmone è molto
superficiale
Puntino bianco: trachea

La mano sposta il polmone (linea gialla trattegg)


Linea bianca: pericardio
Mediastino: lo spazio tra polmone e pericardio

58
Freccia bianca: m. scaleno ant
Triangolo giallo: zona in cui si trova il domo pleurico,
ossia l’apice dei polmoni (è palpabile)
Il domo pleurico è ricoperto (andando dall’est verso
l’int) dai seguenti tessuti:
- pelle
- aponeurosi superficiale
- aponeurosi media
- fascia endotoracica
- i due foglietti pleurici

Freccia gialla: m. scaleno medio (inserzione sulla I


costola, è dietro il m. scaleno ant)

Freccia: m. scaleno post (inserzione sulla II costola)

59
platisma

60
Freccia bianca: legamenti sospensori del domo pleurico.
Ne parlano alcuni Autori (come per es. Paoletti) dicendo
che sono dei legamenti, che - come delle ”articolazioni”
fasciali-, collegano tra loro due zone fasciali interessanti
(nel nostro caso la loggia viscerale del collo con il torace).
I legamenti sospensori del domo pleurico
o leg vertebro-trasverso-costo-pleurici sono 3:
- il I fascio più int parte dal corpo vertebrale di D1 e va sul
domo pleurico, davanti al tubercolo di Lisfranc
- il II fascio parte dalla trasversa di C7 e va poco più dietro
del I fascio
- il III fascio, costo-pleurico, parte dalla porzione post del-
la I costola e arriva sulla zona del domo pleurico

61
Freccia gialla: m. omoioideo
Freccia magenta: plesso brachiale

62
C8 è un nervo che
si trova tra C7 e D1
apofisi trasversa di C7
le linee rosse sono le arterie
ganglio stellato*

3
2 vena succlavia
m. SCOM

clavicola

m. succlavio

K1 = prima costola

linea verde = fascia endotoracica


catena latero-vertebrale polmone foglietto parietale
foglietto viscerale

LEGENDA 1
1. Da qui parte l’aponeurosi clavi-pectoro-ascellare. È un’aponeurosi che ritroviamo nel cavo ascellare e che
fa da tramite tra quella superficiale e profonda
2. C1 C2 C3...sono le costole non le vertebre
3. m. scaleno Ant (si trova tra la vena e l’arteria); non è disegnato ma si trova in quella zona
* Il ganglio stellato è posteriore e fa parte della catena latero-vertebrale. È la riunione tra ganglio cervicale
inf e I ganglio toracico

63
vena succlavia*

inserzione del
m. scaleno Ant

ganglio stellato arteria succlavia*


C8, il nervo che dicevamo prima
inserzione del
testa della I costola** m. scaleno Med

LEGENDA 2
* Arteria e vena succlavia passano tra la I costola e la clavicola. Possono essere schiacciate da una tensione
persistente del m. succlavio
** Una disfunzione della I costola può dare complicanze nervose sul ganglio stellato (vertigini - se è coinvolto
il n. vestibolare -, vasocostrizioni di vene e arterie, problemi all’orecchio interno come acufeni e ronzii - se è coin-
volto il n. cocleare -). Il meccanismo che si crea è il seguente: spasmo del ganglio> compressione delle arterie>
non arriva più sangue necessario> vertigini, acufeni e ronzii.

64
ganglio stellato

C7

I costola

D1

cupola pleurica

3 fasci dei leg vertebro-trasverso-costo-pleurici

Palpazione del TRIANGOLO SUP della CLAVICOLA


Il pacchetto vascolo-nervoso ha il seguente percorso:

triangolo SUP sotto la clavicola in corri- sotto l’ascella


spondenza del Triang. INF

65
Il lavoro sul Triangolo Sup ha lo scopo di liberare il decorso del pacchetto vascolo-nervoso.
I sintomi possono riguardare, a seconda del Pz, più i nervi o le arterie o le vene (con edemi per es.).
In presenza di una sintomatologia del plesso brachiale devo discriminare tra cause che interessano la radice
e cause piuttosto periferiche.
In caso di un percorso preciso del dolore, si può pensare ad una causa che ha colpito la radice.
Invece se ci sono dolori misti territorialmente, si è autorizzati a pensare che si tratti di una compressione a
livello periferico. Sull’arto inf avevamo visto la stessa cosa a livello del bacino.

Test del Triangolo Sup della clavicola


Il Triang Sup è formato da: clavicola, SCOM, fibre sup del m. trapezio
Si può scegliere quale lato del triangolo fa da punto fisso e quale da punto mobile.
1. Punto fisso sulla clavicola e punto mobile sulla parte ant delle fibre sup del m. trapezio (Fig. 1).
2. Punto fisso sulla clavicola e punto mobile sul m. SCOM (Fig. 2, 3)
3. Punto fisso sul m. SCOM e punto mobile sulla parte ant delle fibre sup del m. trapezio (Fig. 4).
4. Oppure tutti e tre insieme (Fig. 5)
mano esterna, indice sulla clavicola e pollice sulla parte ant delle fibre sup del m. trapezio
mano interna, sullo SCOM

1 2 3

4 5
Trattamento del Triang Sup_Pz seduto
1. Si possono usare le stesse tecniche del test in modo più profondo
2. Oppure si usa la respirazione. In INsp i tessuti si tendono e l’Osteopata guadagna, in ESP i tessuti si rilasciano
e l’Osteopata tiene per poi guadagnare con l’insp successiva.

66
Trattamento globale_Pz seduto
Con la mano est l’Osteopata blocca clavicola, costola e scapola mentre con la mano int
posiziona la testa del Pz per allungare:
- la zona ant-lat
- la zona lat
- la zona post-lat
- la zona post

la zona ant-lat

la zona lat la zona lat la zona post-lat

la zona post

Poi cambiando la posizione delle


mani si prosegue il giro dall’altro
lato.

la zona post-lat la zona lat la zona ant-lat la zona ant

67
M. omoioideo
Si può percepire il ventre muscolare prima
che si nasconda dietro lo SCOM, ossia nella
zona davanti al m. trapezio e con la clavicola
esternamente. Si sente una corda diretta in
avanti-dentro.

direzione in avanti-dentro
del m. omoioideo

Ci sono diverse possibilità per farlo contrarre:


1. si blocca l’osso ioide e si chiede al Pz di portare la
scapola in avanti
2. oppure si fissa la scapola con la mano est mettendo
l’indice sul ventre muscolare; l’altra mano allunga il mu-
scolo e quando il Pz deglutisce, il movimento dell’osso
ioide fa sì che si percepisca il ventre muscolare.
3. si chiede al Pz di tirar fuori la lingua, perché il musco-
lo che compie questo movimento s’inserisce sull’osso
ioide e permette quindi di percepisce la tensione qua-
litativa che si crea sul m. omoioideo.

Trattamento del
m. omoioideo
Ci sono 2 possibilità:
1. si può allungarlo meccani-
camente, nel senso che si al-
lontanano tra loro l’origine e
l’inserzione muscolare

2. tecnica a energia muscolare> si chiede al Pz di portare


avanti la scapola per 3 sec, l’Osteopata impedisce il mo-
vimento, poi 3 sec di pausa in cui si guadagna e a seguire
una nuova contrazione....
Se il Pz avverte una sensazione di bruciore durante l’esecu-
zione della tecnica significa che siamo troppo superficiali,
sulla pelle; se ha una sensazione di strappo significa che
siamo troppo profondi.
Attenzione a rimanere sul piano del tessuto fasciale!

Trattamento delle cartilagini


Anticipazione su nozioni del III anno. Gran parte della tensione nella zona del collo viene dalle 2 cartilagini:
tiroidea, cricoidea e dall’osso ioide.
Per migliorare la circolazione e nei casi di mal di gola si fa una mobilizzazione:
- lateralmente, spostandole con le dita a dx e sin
Se durante la manovra si sente un rumore di scroscio, bisogna rassicurare il Pz e dirgli che non è niente.

68
Si può anche insegnare al Pz a fare
l’automobilizzazione.

Più in basso delle cartilagini si trova la


tiroide, che si può stimolare con queste
tecniche SOLO in caso di IPOtiroidismo

Le tecniche che abbiamo visto sopra sono indicate in due casi:


1. nella preparazione dei tessuti per tecniche di riduzione sulle strutture articolari, ossee
2. dopo una riduzione sulle strutture articolari, ossee

Trattamento sul Triang Sup_Pz supino


L’Osteopata usa una mano come punto fisso e l’altra come punto mobile. Ci sono varie possibilità:

1. Mano est, fissa sulla clavicola


Mano int, mobile con le 4 dita appoggiate sulla
parete post del m. SCOM

2. Mano int, fissa sulla clavicola


Mano est, mobile sul bordo ant delle
fibre sup del m. trapezio

69
3. Mano est, sul bordo ant
delle fibre sup del m. trapezio
Mano int, mobile sulla parete
post del m. SCOM

Se non si riesce ad entrare nei tessuti che com-


pongono il triangolo sup, si accorciano le fibre
facendo inclinare lateralmente il collo del Pz, si
posizionano le dita, poi si riallinea la testa del Pz
e si procede con le tecniche descritte sopra.

Trattamento del
m. scaleno ant
Bisogna cercare il tuber-
colo di Lisfranc, perché
su di esso s’inserisce il m.
scaleno ant. Siccome dietro
al tubercolo c’è l’arteria
succlavia e davanti la vena
succlavia bisogna essere
molto delicati.
tubercolo di Lisfranc
Attenzione a rimanere a livello fasciale e non muscolare né della pelle!

L’Osteopata procede così:


mano esterna, il pollice fa punto
fisso sulla I costola (tubercolo di
Lisfranc)
mano interna, inclina la testa
del Pz dallo stesso lato del
muscolo per deprimere i tessu-
ti e, in un secondo tempo, dal
lato opposto, per allungare il m.
scaleno
Trattamento globale_Pz supino_testa fuori dal lettino
Le direzioni di allungamento sono le stesse viste sopra.

70
Trattamento globale_Pz
supino_testa fuori dal
lettino
Le direzioni di allungamento
sono le stesse viste sopra.

L’Osteopata può sorreggere


con il suo torace la testa del Pz
per dargli maggior sicurezza.

Con la testa fuori dal lettino si riesce ad allungare meglio la zona ant
portando la testa del Pz in estensione e la zona ant-lat combinando
estensione+rotazione.
Attenzione a non passare bruscamente dall’estensione alla rotazione!
Dopo aver allungato la zona ant è consigliabile riportare la testa in posizio-
ne neutra e in seguito ruotarla ed estenderla gradualemente.

Trattamento dei mm. scaleni_Pz seduto (secondo Pagliaro)


Ci sono diverse possibilità:
1. L’Osteopata posiziona i pollici di entrambe le mani sul ventre muscolare e allunga (Fig.1)
2. Fa una siderazione (per es. nei bambini) (Fig. 2, 3)
3. La mano esterna fa punto fisso sul m. scaleno e l’altra inclina la testa del Pz in senso controlaterale (Fig. 4)
4. Come al punto 3 dopodiché l’Osteopata prende contatto direttamente con ilventre muscolare (Fig. 5)

1 2 3

4 5

71
Sem 5
TRIANGOLO INF della CLAVICOLA
Il Triang Inf è delimitato dai seguenti bordi:
superiormente > bordo inf della clavicola
lateralmente > bordo int della porzione
ant del m. deltoide
inferiormente > bordo sup del m. gran
pettorale.

Test del Triangolo Inf della clavicola


Il test e trattamento sono come per il triangolo sup,
si sceglie un punto fisso e un punto mobile oppure
un punto fisso e due mobili. È un piccolo punto fa-
sciale di passaggio del pacchetto vascolo-nervoso
che s’incammina verso il braccio.

Lo scorso sem abbiamo visto il triangolo sup, dove ci possono essere degli impingment,
alterazioni, costrizioni del segnale arterioso/venoso/nervoso. A livello del triangolo sup
oppure tra clavicola e I costa (dove passano - come se fossero i manici di due ombrelli -
arteria e vena succlavia) si può avere una restrizione (per es. per una contrazione del m.
succlavio, che s’inserisce appunto su clavicola e I costa) e di conseguenza delle pareste-
sie vascolari/nervose dell’arto sup.
Quando ci sono problematiche nervose va fatta una diagnosi precisa per differenziare
tra:
- problemi radicolari
- problemi tronculari
Bisogna quindi sia delimitare il territorio di distribuzione dell’irradiazione/parestesia/dolore sia conoscere l’in-
nervazione dei nervi del plesso brachiale.
Trattamento del Triangolo Inf della clavicola
1. Come per il test: si sceglie un punto fisso e un punto mobile oppure un punto fisso e due mobili
2. si usa la respirazione
3. si fa una leggera siderazione
APONEUROSI DELTOIDEA
È l’aponeurosi che avvolge il m. deltoide e permette
lo scivolamento sulla parte ossea, omerale.
I movimenti di questa aponeurosi si classificano in:
rotazione int (RI) e est (RE).
Palpazione
La presa sul m. deltoide (che è come il m. quadri-
cipite per il ginocchio) permette di avere delle in-
formazioni sul tonotrofismo del muscolo. Se c’è un
problema alla spalla il tonotrofismo del m. deltoide
si riduce.

72
Test dell’aponeurosi deltoidea
È bilaterale. Pz seduto e Osteopata alle
sue spalle.
Si procede così:
fascia - RI dell’ aponeurosi deltoidea> corrispon-
omero RE omerale de a una relativa RE dell’omero
RI fasciale - RE dell’ aponeurosi deltoidea> corri-
sponde a una relativa RI dell’omero
Si denomina la disfunzione.

RE
RI
RE
RI

Trattamento dell’aponeurosi deltoidea in RI


Si possono usare due tecniche (una diretta, con le sue due varianti, e una di aggravamento):
1a) diretta1 > si porta la fascia in RE, si cerca di guadagnare, si lascia e poi si rifà il test.

1b) diretta2 _con


l’omero/deltoide >
RE fasciale
1. si porta la fascia in
RE, si cerca di quada-
gnare fino a dove è
possibile
2. si porta l’omero in RI
fino a quando si sente
che trascina la fascia e a
quel punto ci si ferma
3. si chiede al Pz di fare RI omero
una contrazione in RE contraz in RE
contro resistenza per
3-4 sec (la contrazione
non è esagerata), poi 3-4 sec di pausa, poi si riparte da 1 (nel senso che si guadagna sia con la fascia che con
l’omero e poi si chiede una nuova contrazione)

2) di aggravamento >
1. si porta la fascia in RI, si aspetta,
si aggrava fino a quando si sente che la
fascia vuole ritornare
2. si accompagna in RE e si guadagna
3. si lascia e si rifà il test.

aggrav. in RI guadagno in RE

73
fascia superf. clavicola aponeurosi superf.
cervicale
sezione verticale aponeurosi aponeurosi superficiale
antero-posteriore media
della zona ascellare succlavio
aponeurosi claveo (o “clavi”)
pectoro ascellare
pacchetto vascolo nervoso
deltoide circondato dalla sua
fascia profonda
sotto-spinoso aponeurosi del
sotto-scapolare picc. pettorale:
foglietto superficiale
piccolo rotondo e profondo
gran pettorale
grande rotondo
legam. sospensore della
aponeurosi cavità ascellare
del gran dorsale o leg di GERDY

aponeurosi profonda della aponeurosi


cavità
superf. della
ascellare
cavità ascellare

Disegno di Maschietti che riproduce quello sopra delle dispense


Cerdo

Dall’alto arriva la fascia superf. cervicale, che si sdoppia per


inglobare la clavicola (davanti: aponeurosi superf. e dietro:
aponeurosi media), poi c’è un accollamento e un setto, ossia
l’aponeurosi clavi-pectoro-ascellare. Accanto c’è una loggia
per il passaggio di elementi vascolo-nervosi rivestita dalla
fascia profonda.
Dorsalmente la fascia riveste i vari muscoli (dall’esterno verso
l’interno diventa sempre più profonda).
Gli elementi fasciali anteriori e posteriori vanno a convogliare
in un punto preciso: il leg sospensore del cavo ascellare o leg
di Gerdy.

Da ricordare l’aponeurosi clavi-pectoro-ascellare, un piccolo


setto sotto la clavicola, che va verso il m. succlavio.
Bisogna immaginare il cavo ascellare come una piramide tronca con 4 facce, che sono:
- anteriormente > la fascia del gran pettorale
- posteriormente > la fascia del gran dorsale
- interiormente > la fascia del gran dentato
- esteriormente > l’aponeurosi tesa tra (anteriormente) i tendini dei mm. coraco-brachiale e c.c. del bicipite e
(posteriormente) c.l. del tricipite

Test
Come per gli altri test (per es. il triangolo sup e quello inf ) si tratta di valutare le tensioni della struttura in esa-
me. Bisogna posizionare/gestire correttamente le mani.
Pz supino, Osteopata sul lato da testare con la mano del Pz sotto la sua ascella (è preferibile l’ascella del brac-
cio caudale, perché così si evita un’abd eccessiva).
L’Osteopata valuta con le colonne dei pollici:
- bordo ant e bordo post
- bordo int e bordo est.
Se il Pz è donna evitare di mettere la mano sul seno per contattare il bordo int.

74
presa consigliata troppa ABD posizione
dell’Osteopata

bordi ant e post

bordi int ed est posizione scorretta

Se ci sono delle tensioni il test può diventare un trattamento.


Trattamento dell’aponeurosi ascellare:
1. si posizionano i pollici (sui bordi ant/post oppure int/ est)
2. decoaptazione e abd del braccio del Pz
3. in INSP, non si fa niente (è il movimento stesso del torace a
far guadagnare)
4. in ESP, si guadagna e si chiede al Pz di immaginare di far
uscire l’aria dall’ascella.
Si ripete alcune volte.

Attenzione a non essere né superficiali (a livello della pelle),


perché il Pz sente bruciare, né troppo profondi (a livello mu-
scolare), perché il Pz sente tirare e può avere dei formicolii.
posizione dell’Osteopata
Indicazioni
1.Tutte le manifestazioni cervico-brachiali sia vascolari sia nervose: in questo caso si segue l’andamento del
pacchetto vascolo-nervoso su tutte le strutture fasciali, in particolare nel cavo ascellare.
2. Esiti di mastectomie: il lavoro fasciale su edemi e cicatrici è elettivo. Accertarsi che il chirurgo/medico abbia
prescritto il trattamento. Bisogna avere la sicurezza che non ci siano metastasi.
3. Pseudo-sindromi del tunnel carpale. Si tratta di sindromi che compaiono in un quadro generale, che richie-
75
de il trattamento di tutta la catena fasciale cervico-brachiale. Se poi il Pz è una donna con indicazioni terapeu-
tiche per il sistema ormonale, bisogna integrare con alre tecniche di cui parleremo domani.
4. Capsuliti adesive. Si possono considerare tra le patologie traumatiche. Si è visto che spesso i Pz con questa
patologia hanno subito dei traumi psichici/emotivi. Il trauma è entrato e non si è dissipato (ne abbiamo par-
lato il I anno*).

*Uno shock può essere fisico o psichico. In entrambi i casi si tratta di energia che entra e deve essere dissipata
dal sistema fasciale. Se il s. fasciale non riesce a farla uscire, l’energia si condensa in un punto rallentando la
mobilità (alcuni la chiamano cisti di energia o blocchi energetici. Si crea una disfunzione osteopatica dei tessuti.
Bisogna poi eliminare questa cisti con le tecniche più adeguate: thrust, siderazione, recoil, manipolazione
vertebrale, induzione fasciale.........(una carezza, uno sguardo). Non sono cazz....Certe volte guarisce la carezza
e non il thrust.
Alcuni anni fa è stato fatto un esperimento sul cibo che noi mangiamo. Un essere umano in buona salute emet-
te delle radiazioni e vibrazioni che sono state misurate nell’ordine di 6500 Angstrom (si legge Engstrom).
La frutta fresca e tutti i prodotti della natura stanno intorno ai 8000/9000/10.000 Angstrom, se vengono man-
giati subito. Si scende a 6000 A dopo 10 ore, a 4000 dopo 2 gg, a valori sotto zero per tempi più lunghi. Sotto
lo zero gli alimenti assorbono energia, la richiedono, sono parassiti.
Ci sono poi degli alimenti che stanno sui 6000 A e altri che stanno a zero (per es. la carne, i prodotti elaborati,
le farine).
Domanda: è possibile trasmettere con il nostro trattamento una vibrazione a 6500/8000 A? Dobbiamo pensa-
re a questo tipo di osteopatia, che va fatta con onestà, coscienza e amore. Secondo Maschietti non esiste un
protocollo di trattamento fasciale, perché è soggettivo quanto l’Osteopata decide di dare.

Controindicazioni
Tutte le formazioni nodulari infiammate: tumori, etc... (ved. sopra: esiti di mastectomie).

Trattam. delle apon. cervicale, sternale, clavicolare, coracoidea, deltoidea, ascellare.


È unna tecnica globale che riguarda tutte le aponeurosi viste prima.
Pz supino con le dita della mano nella cintura o sul fianco dell’Osteopata. Osteopata alla testa del Pz.
Poi procede così:
mano/avambraccio int> pisiforme sull’apofisi coracoidea, mentre l’avambraccio controlla la tensione, inclina-
zione e rotazione della testa del Pz
mano est> sullo sterno (sotto la clavicola)

pisiforme
coracoide

Tecnica:
1. Pz INsp, non si fa nulla
2. Pz Esp, si mettono in tensione tutte le apon. contempor.
3. Pz INsp, non si fa nulla
4. Pz Esp, si guadagna
5. a inizio INsp, si reinforma la zona con un impulso/siderazio-
ne

in Esp messa in tensione


76
posizione dell’Osteopata

siderazione
Setti intermuscolari del braccio
Ci sono 2 setti: interno ed esterno. Quello int è più delicato
perché ci passano i vasi (per es. le vene basilica e cefalica).
All’esterno si possono anche fare delle siderazioni tipo
Moneyron (mancano le immagini del setto est).
Il testo e il trattamento si fanno o con i pollici oppure
a quattro dita.

Gomito
Si fanno soprattutto delle normalizzazioni strutturali che già conosciamo (ved. Loss).
77
Avambraccio_ membrana interossea
La membrana interossea dell’avambraccio è interessante dal punto di vista vascolare e nervoso. Come per la
gamba è l’espressione più profonda delle aponeurosi, ha relazioni con i sistemi neurovegetativo e neuroen-
docrino (se una persona soffre di mal d’aria, mal di mare, mal d’auto oppure ha una situazione vegetativa non
bene equilibrata, il trattamento delle membrane interossee ristabilisce l’equilibrio del s. vegetativo).
Ogni sindrome dell’arto sup deve passare per il trattam della membrana interossea, perché è un mezzo im-
portante. In teoria si dovrebbero fare i test e il trattam, in pratica i test si fanno difficilmente, per es. nelle pseu-
do sindromi del tunnel carpale e si passa subito al protocollo di trattamento.

Indicazioni
- esiti di fratture
- distorsioni di gomito, spalla, polso, dita

La membrana interossea è sempre sottoposta a tensioni perché ha relazioni con i muscoli. Accidenti anche
superficiali si trasmettono in profondità e la membrana cerca di regolare queste tensioni rimanendovi alle
volte vittima (quando le tensioni non si dissipano e rimangono in questa sede).

Test e trattamento sono come quelli dell’arto inf. Si comincia con:


1. test di pressione
2. test di bilanciamento
3. test di mobilità
.......è lo stesso dell’arto inf (Maschietti non si dilunga).

Test
L’avambraccio del Pz non deve essere in ten-
sione, quindi si sceglie la posizione neutra
(né pronazione né supinazione)
1. test davanti e dietro la membrana
2. mobilizzazione delle due ossa
3. si va in profondità: anteriormente con
le dita della mano e posteriorm con i pollici
(a 90°)

4. trattam di un singolo punto


(se si trova) muovendo
il braccio

5. percezione dell’IRC

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IRC_schema

Tempo di Flessione> Arti SUP/ INF in RE globale Tempo di Estensione> Arti SUP/ INF in RI globale

Arto inf> relativa RI del femore, perché le fasce Arto inf> relativa RE del femore
della coscia confluiscono verso l’int (per questo
si sente un movimento ellittico)

Arto sup> relativa RI dell’avambraccio (quindi Arto sup> relativa RE dell’avambraccio


pronazione), perché le fasce hanno un anda-
mento opposto a quelle dell’AI

Spesso nella pratica quotidiana sull’AS si testa brevemente e si fa il trattamento. Se c’è un punto preciso ci si
sofferma di più utilizzando per es. delle tecniche di aggravamento.....etc

Quasi sempre nel trattamento dell’AS si tratta ad un certo punto la membrana interossea e si finisce con lo
srotolamento delle fasce dell’AS per riequilibrare le tensioni rimaste.

Epicondilite
Spesso dipende da tensioni dei muscoli estensori (per es. nel tennista) ma in una grande percentuale di casi
si tratta di donne (che soffrono maggiormente anche di altre sindromi quali l’epitrocleiti, le tendiniti...). In tal
caso bisogna indagare se la Pz si trova in una fase particolare dove il s. ormonale sta cambiando (per es. inizio
menopausa, dopo di essa, durante e subito dopo l’allattamento, in gravidanza, tiroidite).

Nelle epicondiliti non ormonali si procede così:


- si testano eventuali disfunzioni articolari (in genere c’è una abd di gomito + testa radiale post + RI o RE)
- si valutano i piccoli movimenti di centramento della testa radiale
- prima o dopo le manovre strutturali si possono fare delle tecniche di rilasciamento fasciale per:
leg anulare di Denucé
membrana interossea a livello prossimale (davanti e dietro)
setti intermuscolari del braccio

Nelle epicondiliti ormonali lo vedremo successivamente.

Sindromi del tunnel carpale


Le sindromi vere con schiacciamento del n. mediano sotto il leg anulare del carpo sono poche. Maschietti
dice di averne visto meno di 10 casi, per es. tra gli operai della Pirelli che usano le cesoie, tra i potatori e gli
scalpellini (nelle cave).
Una Pz per es. può soffrire di tunnel carpale per un problema chimico a livello del sangue. La microcitemia
rientra in questo caso: i globuli rossi si gonfiano e creano un edema a livello del tunnel carpale. Terapia: vita-
mina B e ferro.
Consigli
1. Non farsi influenzare troppo dalla prescrizione con cui il Pz arriva a studio e dall’esame elettromiografico,
ma fare una propria valutazione.
2. Non essere presuntuosi e pensare di risolvere tutto.
3. Tranquillizzare il Pz; se dice che deve fare l’intervento il giorno dopo, si può convincerlo a fare 2-3 trattamen-
ti e poi vedere i risultati

Protocollo di trattamento
Linee generali
- AS zona cervicale asse ormonale neurovegetativo> visceri

79
In particolare
1. test e valutazione del carpo ossia la zona di dolore (motivo per cui il Pz viene a studio), per escludere delle
disfunzioni strutturali
2. controllo dell’asse cervico-brachiale
3. cranio/occipite: per il talamo, ipotalamo, ipofisi
4. loggia viscerale del collo: per la tiroide
5. diaframma
6. fegato: è una sorta di laboratorio chimico
7. surreni, psoas
8. piccolo bacino: ovaia
9. sacro
10. arti inf (perché una disfunzione può essersi trasmessa al bacino)

Se la causa è un problema ormonale e si fa il trattamento appropriato il cambiamento è immediato.

Trattamento del tunnel carpale o esiti di tunnel carpale


A. Se dopo il trattamento strutturale/articolare del polso (I e
II filiera) è rimasto un ispessimento del leg anulare del carpo
si procede con delle tecniche che si usano nel massaggio
connettivale, come per le cicatrici per es.
1. aggancio del tessuto connettivale sul contorno del leg
anulare senza lasciare mai il contatto (il Pz sente una sen-
sazione di taglio, come se si usassero le unghie; se non la
sente bisogna ricominciare)

seguire il perimetro della zona


2. manovre a telefono, come per rimpicciolire il
perimetro della zona
3. passaggi trasversali da dx verso sin e poi da sin
verso dx
4. ripetere il punto1 come se il perimetro fosse un
pò più piccolo
5. ripetere per 2-3 volte

manovra tipo telefono linee trasversali


B. Trattamento delle aponeurosi palmari
1. aprire le ossa del carpo e i metacarpi
2. tracciare delle linee parallele con il polli-
ce a 90° da dx verso sin e viceversa
3. tracciare delle linee parallele con il pol-
lice a 90° in senso longitudinale tra i me-
tacarpi
Se s’incontrano delle cisti tendinee (o dito
a scatto o Dupuytren) si possono trattare
ma gli esiti sono incerti
aprire linee trasversali

80
linee trasversali linee longitudinali
C. Trattamento del dorso della mano
1. tracciare delle linee trasversali con il pollice a 90° da dx verso sin e viceversa (si sentono scrosciare sotto le
dita i tendini dei mm. estensori) procedendo dal polso verso i metacarpi*

2. tra i metacarpi tracciare delle linee longitudinali.

* da ricordare la sindrome del carpo bombato (presente in chi ha fatto


pugilato senza i guanti di protezione)

Tra le cause di disfunzione ci possono essere anche traumi emotivi.


Si tratta di energia che non si è dissipata (racconto sul guaritore
Del Fante, un pranoterapeuta).

Srotolamento dell’arto sup


Tecnica da utilizzare a fine trattamento.
Pz seduto. Osteopata in piedi, una mano sulla mano del Pz per dare una certa compressione verso la radice
dell’arto e l’altra a sostegno del gomito e del braccio
Si procede così:
1. si muove il braccio nei vari piani dello spazio fermandosi per alcuni secondi quando si sente una tensione
2. la mano del Pz può essere estesa o flessa, in ogni caso l’Osteopata applica una compressione.

81
82
Anno 3 sem 1

Quest’anno studieremo
- l’aponeurosi media ad indirizzo muscolare
- l’aponeurosi profonda (torace, addome, pelvi > le vedremo in modo generico)
- faringe e laringe
- test fasciali sul diaframma
- test fasciali sull’asse aponeurotico centrale
- test e trattam delle membrane di tensione reciproca (falce del cervello e tentorio del cervelletto)

Aponeurosi MEDIA ad indirizzo VISCERALE. Loggia viscerale del collo


S’interessa della parte muscolare profonda e poi di arterie e vene (i grossi vasi del collo).
Va a braccetto con il foglietto superf dell’a. profonda.

Inserzione più alta


Osso ioide

Interessi
- Il fogl profondo dell’apo media si interessa della pervietà dei vasi venosi dello stretto toracico sup con un fo-
glietto teso tra i due mm. omoioidei. In questo modo protegge ed aiuta il drenaggio dei grossi tronchi venosi
che vanno dal cranio e dall’arto sup verso il torace.
La giusta tensione dell’aponeurosi fa sì che ci sia la giusta pervietà dei vasi; una tensione abnorme comporta
una difficoltà del grosso ritorno venoso.
- Dà protezione e sostegno, attraverso la creazione di una loggia, a tiroide e timo (il timo è una ghiandola che
in seguito si riassorbe)
- Sospende il pericardio.

Richiamo a cose già dette> Memo


L’a. media non è presente negli arti sup e inf, perché si accolla subito all’a. profonda. Si trova invece nella log-
gia viscerale del collo e partecipa, insieme all’a. profonda, alla formazione dell’asse aponevrotico centrale.

Qualche anno fa si pensava che solo l’a. profonda facesse parte dell’asse aponevrotico centrale; in seguito a
dissezioni anatomiche si è visto invece che anche il foglietto profondo dell’ a. media vi prende parte.
Quindi quando si parla di fasce per es. del torace (es. fascia endotoracica) bisogna pensare che una certa per-
centuale è data dal fogl profondo dell’a. media.

Il fogl superf dell’a. media (ad indirizzo muscolare) ricopre i mm. scaleni e s’inserisce post sulla clavicola. Inve-
ce SCOM e m. trapezio sono ricoperti dall’a. superfic, che s’inserisce ant sulla clavicola.
Una tensione maggiore dell’a. superfic comporta una Rot POST della clavicola.
Una tensione maggiore dell’a. media (ad indirizzo muscolare) comporta una Rot ANT della clavicola.

83
Il fogl PROFONDO dell’a. media forma la
parete ant della loggia tiro-timica o loggia
foglietto tiroidea.
profondo Il fogl SUPERF dell’a. profonda forma la pa-
tiroid
e rete post della loggia tiro-timica.
foglietto Dopo aver formato la loggia tiroidea i due
superficiale foglietti si uniscono formando una lamina,
foglietto che s’inserisce sulla parte SUP del pericardio
aponeurosi media e quindi si chiama lamina tiro-pericardica,
superficiale
che è un mezzo di sospens. del pericardio.
lamina tiro- Una tensione dell’a. media a questo livello
foglietto pericardica
profondo può creare problemi a timo, tiroide, pericar-
dio.
aponeurosi profonda

Ci sono degli autori, per es. Sergio Paoletti, che fanno una classificaz diversa da quella che si fa al Cerdo in 3
piani (superficiale, medio, profondo). Ci sono infatti classificaz su 2 piani (superficiale e profondo), e altre su
5-6-7 piani (superficiale, aponeurosi esterne, aponeurosi interne, dura madre....). Maschietti ribadisce che la
classificazione in sistemi funzionali è molto valida perché permette di capire con pochi test qual è la zona
fasciale in disfunzione e quindi di trattare la lesione primaria o forse la secondaria/terziaria (sicuramente si rie-
sce a trovare la zona che al momento del test è in disfunzione di mobilità). La classificaz in 3 sistemi ci riporta
alle leggi di Stil (materia, movimento, spirito, ved. I anno). Sergio Paoletti parla di zone fasciali di relé, che lui
chiama “articolazioni fasciali”, le quali collegano due zone fasciali importanti. Nel caso della zona viscerale del
collo e del torace sono i legamenti vertebro/trasverso/costo/pleurici, ossia un rinforzo dell’a. media ad indiriz-
zo viscerale e dell’a. profonda.

Aponeurosi PROFONDA

Inserzione più alta


Tubercolo faringeo sull’apofisi basilare dell’occipite

Interessi
- Post-lat protegge i plessi nervosi cervicale e brachiale. In questa zona subito al di sopra dell’a. profonda tro-
viamo l’a. superfic, ossia una tenda con inserzioni ossee (perché ha un ruolo di trasmissione di forze)*.

I vari sdoppiamenti e accollamenti dell’a. profonda sono all’origine delle seguenti aponeurosi:
- a. pterigoidee
- a. faringee (che inglobano i mm costrittori della faringe)
- a. periesofagea
- a. peritracheale

* Inserzioni ossee dell’a. superficiale:


- apofisi spinose di tutta la colonna (dalla cervicale al sacro)
- acromion
- spine della scapola
- clavicole

- Ant scende e si sdoppia in 2 foglietti: uno davanti ai corpi vertebrali che si chiama foglietto prevertebrale
e uno dietro ai visceri che si chiama foglietto retroviscerale.

84
Tra fogl prevertebrale e retroviscerale c’è
uno spazio che si chiama spazio retrovi-
scerale di Henke, che serve a far scivo-
lare la parte viscerale su quella ossea e/o
viceversa. Nello spazio di Henke ci sono
delle lamine sagittali ant-post, le lamine
di Charpy, che hanno la funzione di te- tubercolo
nuta dei visceri (che altrimenti sarebbero faringeo
solo appesi al tubercolo faringeo e po-
trebbero tirare la testa verso il basso per trachea lamine di Charpy
azione della forza di gravità). esofago
Le suddette lamine, per avere una buona spazio retroviscerale
tenuta, dovrebbero avere una direzione di Henke C6
dall’alto verso il basso-dentro o basso-
fuori. Se avessero però una direzione
obliqua non sarebbe possibile alcun scor-
rimento e per questo motivo sono oriz- D4
zontali ant-post.

In questo modo la colonna cervicale si può muovere senza


trascinare i visceri e viceversa. Se non ci fossero le lamine di
Charpy ogni estensione della testa potrebbe causare un’ernia
iatale. Oppure viceversa. Poiché ad ogni deglutizione l’osso
ioide risale, la colonna cervicale dovrebbe fare un movimento
del collo simile a quello di un gallinaceo (che in effetti alcune
persone fanno).

direzione obliqua
delle lamine
ERRATA

In questi casi si deve fare un trattamento fasciale delle aponeurosi


superficiali, che sono collegate direttamente con quelle profonde
(dato che in questa zona non c’è soluzione di continuità).

Indicazioni
Blocchi cervicali, in Pz artrosici anziani o giovani. Infatti le tensioni in questo distretto a lungo andare usurano
la cartilagine delle faccette articolari post e quindi causano un’artrosi precoce. Se manca lo scorrimento fa-
sciale il Pz ogni volta che deglutisce deve ingaggiare le articolazioni cervicali.
Oppure ci possono essere tensioni viscerali del collo che si possono ripercuotere a livello ormonale, si pensi
ad es. alla tiroide.

85
Ad ogni approccio nella zona del collo, in presenza di
artrosi, bisogna pensare a questa possibilità. Di con-
seguenza anziché mobilizzare le vertebre si devono
trattare le fasce del collo.
 Anche piccole disfunzioni di laringe e faringe,
come ad es. un timbro ed un tono di voce particolari,
nel senso che sono cambiati nel corso della vita del
Pz, possono essere indicativi di una disfunzione fa-
sciale. Oppure problemi di deglutizione di carattere
lamina tiro- neurologico.
pericardica
C6
leg vertebro- Sappiamo che la lamina tiro-pericardica è un primo
pericardici elemento di sospensione del pericardio. Dall’a. pro-
pericardio D4 fonda, tra C6 e D4, partono delle lamine che costi-
tuiscono il secondo elemento di sospensione del
pericardio. Queste lamine si chiamano leg vertebro-
pericardici

Dallo sterno partono altre lamine verso il pericardio, ossia i


leg sterno-pericardici SUP
leg sterno-pericardici INF

Tra diaframma e pericardio ci sono i leg freno-pericardici.


Per la medicina ufficiale il cuore non subisce variazioni, costrizioni o insulti dal pericardio. Quest’ultimo centra
il cuore evitando, per es. nella corsa, movimenti bruschi o sballottamenti.
 In osteopatia c’è un’ottica diversa. La fascia è il sostegno/supporto del s. venoso, arterioso, linfatico,
nervoso. All’interno del pericardio troviamo queste strutture e quindi una tensione del pericardio può causa-
re disfunzioni aritmiche del cuore, come per es. tachicardie o extrasistoli.

sterno
C6

leg sterno-
pericardici SUP D4

leg sterno-
pericardici INF
diaframma leg freno-pericardici

Quindi in presenza di tachicardie o altro bisogna pensare a questa zona.


Inoltre una tensione fasciale del pericardio potrebbe creare un’eccitazione dei gangli cervicali, della loggia
viscerale del collo e della colonna cervicale.
È vero che il pericardio è abituato ai ritmi di sistole e diastole tuttavia può trattenere tensioni fasciali. Per
86
questo in osteopatia lo si testa, lo si tratta e poi lo si testa nuovamente per valutare se la tensione cambia.

Le fasce (a. profonda e fogl profondo dell’a. media o a. media a indirizzo viscerale) che dalla loggia viscerale
del collo entrano, senza soluzione di continuo, all’interno del torace si uniscono in uno strato unico che si
chiama fascia endotoracica.

La fascia endotoracica riveste internam la gabbia toracica (e deve sospendere polmoni, pericardio, me-
diastino...)

Inserzioni della fascia endotoracica dall’int verso l’est


- sui bordi INF delle coste
- sulle fasce delle pareti int dei mm intercostali INT
- sulla faccia post dello sterno
- sul foglietto parietale o est della pleura (la pleura ha anche un fogl viscerale e tra i due foglietti c’è uno spa-
zio di scorrimento, che, in caso di pleurite, può riempirsi di liquido. Ricapitolando: partendo dal polmone e
andando verso l’esterno trovo: il fogl viscerale, il fogl parietale e la fascia endotoracica).
La fascia endotoracica avvolge la pleura, il pericardio e va nelle anse di quello spazio virtuale che si chiama
mediastino

In basso la f. endotoracica arriva sopra il diaframma, lo avvolge e continua sotto di esso, dove cambia nome
e si chiama fascia propria. Alcuni la chiamano fascia trasversalis. In realtà la fascia trasversalis è una parte,
sia pur grande, della fascia propria. La f. trasversalis avvolge per gran parte i mm. trasversi dell’addome e da
qui deriva il suo nome.

La f. propria avvolge la “pleura” dei visceri addominali, ossia il peritoneo.


Nell’addome, andando dall’esterno verso l’interno, troviamo le seguenti strutture:
- fascia propria
- fogl parietale del peritoneo
- fogl viscerale peritoneale (tra i due foglietti c’è uno spazio di scorrimento con del liquido)
- i singoli visceri

Da ricordare che anche il peritoneo è una fascia.


La f. propria crea inoltre gli epiploon, i meso e i legamenti che sospendono i visceri.
La peculiarità della zona addominale è la presenza, nella zona post, di visceri extraperitoneali, per es. i reni.
Reni e surreni sono avvolti da un’altra fascia, che prende i nomi di
- fascia perirenale
- fascia perisurrenale

Queste ultime due, poiché sappiamo che non c’è soluzione di continuo, provengono dalla fascia superficiale
dorsale, che poi diventa f. superficiale lombare o del quadrato dei lombi e, a un livello più profondo e ant,
fascia dello psoas.

Le fasce perirenale, perisurrenale e dello psoas sono adiacenti e un po’ si confondono tra loro.
Le arcate del diaframma, si pensi all’arcata di Sennac o dello psoas, sono formate da queste fasce.

La fascia delo psoas, procedendo verso l’avanti, andrà ad alloggiare gli ureteri e i tronchi nervosi del plesso
lombare.

Indicazioni
Ci possono essere dei Pz che lamentano dei dolori profondi agli arti inf senza un tragitto preciso, che possa
essere ricondotto per es. alla radice di L5 o S1. In questi casi bisogna pensare ad un’origine tronculare dei
disturbi e non radicolare. I tronchi infatti potrebbero avere dei problemi nella zona di sdoppiamento e di
passaggio attraverso lo psoas.

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In tutto ciò non c’è soluzione di continuo. La globalità è nel nostro s. fasciale. La conoscenza anatomica della
topografia delle fasce ci permette di non barare e di essere razionali, logici, economici. Devo sapere l’origine e
il punto d’arrivo delle fasce e le loro relazioni con i tessuti vicini per saper impostare un trattamento, che abbia
alla base una logica, una causalità.

Il peritoneo si trova al di sopra dei visceri genito-urinari del piccolo bacino. Il limite osseo tra i s. genito-urinario
e il s. viscerale è a livello dello stretto sup del bacino (formato da: le due linee curve o linee innominate, il pro-
montorio del sacro e la sinfisi pubica). Questa è la delimitazione anatomica e nei casi di ptosi (= scivolamento)
viscerale, il piccolo bacino subirà dei carichi impropri a cui si dovrà adeguare. L’adattamento consiste nel tro-
vare un alloggiamento per i visceri che scivolano nel suo territorio. L’alloggiamento si realizza con un’apertura
delle ali iliache, ossia del grande bacino a cui corrisponde una chiusura del piccolo bacino.
Come conseguenza si ha il prolasso degli organi uro-genitali, poiché il pavimento pelvico perde la sua tensio-
ne fisiologica (Maschietti fa l’esempio di una tenda da camping che non è in tensione).

Il limite tra s. digerente e s. uro-genitale non è uguale per tutti.

Le anse del peritoneo, che sono allog-


giate tra i visceri peritoneali, possono
incunearsi tra un viscere e l’altro. Si
pensi ad es. allo scavo di Douglas,
ossia lo spazio tra l’utero e il retto.
Qui possono stagnare, in caso di in-
fiammazioni, infiltrazioni di liquido
sieroso. I ginecologi conoscono bene
questa problematica e la evidenzia- retto
no con un’ecografia. Oppure si pensi utero
ai seni costali e polmonari in presen- vescica
PIANO SAGITTALE
za di una pleurite.

A livello del piccolo bacino, da dietro verso pube


l’avanti, troviamo delle lamine sagittali, che
delimitano delle logge ed in particolare una
loggia centrale.
vescica
Nella loggia centrale troviamo, dal sacro verso
l’avanti, le seguenti strutture:
- retto utero/prostata
- utero
- vescica retto
Per questo motivo le lamine si chiamano
lamine sacro-retto-genito-vescico-pubiche. sacro
PIANO ORIZZONTALE
Esistono anche delle lamine orizzontali, che creano degli alloggiamenti per i visceri, come per es. i legamenti
larghi dell’utero.

Le lamine sacro-retto-genito-vescico-pubiche derivano dalla fascia profonda che a questo livello si chiama
fascia iliaca.

I tre foglietti delle fasce perineali si saldano insieme in un punto preciso, che si chiama centro tendineo del
perineo e che si trova tra la vagina/scroto e il retto (è un nodulo piuttosto duro che si può sentire alla palpa-
zione). Trattando il centro tendineo* del perineo si trattano le fasce perineali e quindi il pavimento pelvico e
le fasce profonde.

*Con una tecnica a 4 dita (2 indici e 2 medi posti lateralmente al centro del perineo, il Pz è nella posizione
88
ginecologica)

Proiezione VIDEO

sem 2 _ Faringe

È composta di 2 zone:
- OROfaringe  la deglutizione è la sua funzione principale
- RINOfaringe o NASOfaringe
L’orofaringe è un tubo sospeso alla base del cranio di 12 cm circa.
A livello della cartilagine cricoidea continua nell’esofago senza soluzione di continuo, per costituire il tubo
digerente.
La parete post della faringe è costituita da un setto o lamina connettivale, su un piano frontale, appiattito e
continuo.
Si apre in tre direzioni:
- alto-avanti nelle fosse nasali
- centro-avanti, nella cavità orale
- in basso sull’orifizio della laringe, che sfocia poi nella trachea (dove il bolo alimentare non deve transitare)

Rinofaringe
È la parte nasale della faringe e presenta l’orifizio della tromba di Eustachio.
 Zona d’Interesse osteopatico in caso di:
- otiti sierose e purulente
- per ristabilire l’equilibrio tra orecchio-medio e rinofaringe
Si lavorano i mm. salpingo-faringei.

Orofaringe
La porzione orale inizia con il velo palatino ai cui lati si fissano le tonsille palatine.
 Zona d’Interesse osteopatico, perché qui si può fare un drenaggio.
A livello laringeo, ma sempre facente parte della faringe, troviamo il seno piriforme, formazione a imbuto
che convoglia il cibo verso l’esofago.

Le 3 tuniche della parete della faringe sono:


- mucosa
- muscolare
- connettivale
Nella porzione sup non è presente mucosa bensì una membrana connettivale (siamo in una parte molto alta)
che prende il nome di fascia faringo-basilare perché fissa la faringe alla base del cranio (sul tubercolo
faringeo > apofisi basilare dell’occipite). Essa avvolge i mm. costrittori della faringe.

La tunica mucosa aderisce poco a quella muscolare contribuendo all’elasticità della faringe stessa.
89
La tunica muscolare ha delle fibre orizzontali e verticali.
Distingueremo mm. costrittori e elevatori.

I 3 muscoli COSTRITTORI sono:


- superiore (s’inserisce sulle apofisi pterigoidee dello sfenoide e sulla lingua)
- medio (s’ inserisce sulle corna dell’osso ioide e sulla lingua)
- inferiore (s’ inserisce sulle cartilagini tiroidea e cricoidea)
Hanno una direzione globalm verso alto-dietro e terminano in una sutura connettiva chiamata rafe media-
no o rafe faringeo (che s’ inserisce sul tubercolo faringeo).
Il m. costrittore sup è ricoperto dalla porzione superiore del medio e analogamente il costrittore medio è
ricoperto dalla porzione sup del costrittore inferiore ossia il sup è dentro il medio e il medio è dentro l’inf.
Questo serve a dare possibilità di movimento evitando problemi alla cervicale (come lo spazio retroviscerale
o prevertebrale di Henke e le lamine di Chardy). I mm. costrittori possono restringere lo spazio faringeo ed
elevare l’osso ioide e la laringe.

I mm. ELEVATORI sono poco sviluppati


- mm. palato-faringei - collegano palato molle, faringe, mm. costrittori
- mm. stilo-faringei - collegano apofisi stilodea del temporale con la faringe
- mm. salpingo-faringei collegano le tube uditive (ossia cartilagine tubaria) e faringe (tramite questi mm. si
aprono le trombe di Eustachio e si dà la giusta pressione tra orecchio medio e nasofaringe).
Curiosità: il m. crico-faringeo è innervato dal n. vago (visceri) e concorre alla messa in tensione delle corde
vocali. Questo fa pensare a disturbi della voce nelle emozioni: per es. voce tremula in caso d’imbarazzo, paura
> modulazione della voce.
papilla fogliata
proc. stiloideo
mucosa del cavo orale m. stiloglosso
m. longitudinale INF m. palatoglosso
tonsilla m. stiloioideo
apice della lingua palatina

leg stiloioideo
m. stilofaringeo
m. costrittore SUP della faringe (porz. glossofaringea)
m. genioglosso
m. costrittore MED della faringe (porz. condrofaringea)
mandibola m. costrittore MED della faringe (porz. ceratofaringea)
grande corno dello ioide
m. genioioideo a. n. e v. laringei SUP
m. ioglosso
m. stiloioideo
membrana tiroioidea
m. costrittore INF della faringe (porz. tirofaringea)
m. tiroioideo
lamina (sin) della cartil. tiroidea tubercolo tiroideo INF
m. costrittore INF della faringe (porz. cricofaringea)
m. cricotiroideo (retto e obliquo) leg cricotracheale
I cartil. tracheale esofago
II cartil. tracheale
Il tessuto muscolare è ricoperto da una sottile aponevrosi che può scivolare sulla colonna cervicale grazie ad
uno spazio retrofaringeo (come lo spazio retroviscerale di Henke ma più alto, è il suo prolungamento),
che si completa con 2 spazi laterali parafaringei, che in basso sono in contatto con il mediastino e il
pericardio tramite i legamenti vertebro-pericardici (C6-D4), questi sono uno dei mezzi di sospensione del
pericardio.

Deglutizione
È l’atto che permette il transito degli alimenti liquidi e/o solidi dalla parte ant alla parte post-inf del tubo di-
90
gerente (della faringe). Per deglutire bene è necessaria una condizione essenziale: 1. chiudere la bocca (e poi
avere una buona dentizione). Neonati, bambini, anziani e coloro hanno problemi neurolgici non riescono a
chiudere bene la bocca e così sbavano o perdono il cibo dalla bocca.
A livello dell’istmo della gola il bolo può andare anatomicamente verso l’alto (naso) o il basso. La direzione
esatta è verso il basso. Il velo pendulo del palato, stimolato dallo sfregamento, fa contrarre il palato molle,
l’orifizio sup si chiude e così il cibo prende la giusta direzione post. Una forte pressione può far sì che il bolo
prenda la direzione sbagliata. Infatti possiamo deglutire anche a testa in giù ma se capita uno starnuto tutto
va di traverso.

Procedendo verso il basso ci sono di nuovo due direzioni possibili: epiglottide o trachea. La laringe (per feno-
meno riflesso) sale verso l’epiglottide con l’aiuto di diversi nn. cranici (non è l’epiglottide a scendere).
Il centro della deglutizione si trova a livello bulbare.
Le turbe della deglutizione DEVONO essere indagate in primo luogo dal neurologo e solo se sono funzionali
possono essere successivamente trattate dall’osteopata (ci possono essere dei tumori bulbari, che si manife-
stano principal a livello temporale con turbe della deglutizione).

91
cellule mastoidee
forame stilomastoideo
leg. sfenomandibolare dorso della sella
ghiandole faringee fascia faringobasilare
sincondrosi petroccip.
clivo m. elevatore palato

m. pterigoideo lat 1 rafe faringeo


m. stiloioideo
ventre post del m. digastrico
processo stiloideo 2 porz. pterigofaringea
porz. buccofaringea
leg stiloioideo m. stilofaringeo
m. stiloioideo m. stiloglosso
3 leg sfenomandibolare
m. pterigoideo med porz. milofaringea
4 m. pterigoideo mediale
ghiandola parotide
5 m. stiloioideo
ventre post del m. digastrico
leg sfenomandibolare porz. glossofaringea
m. pterigoideo med ventre post del m. digastrico
base della mandibola 6 aponeurosi
ghiandola sottomandibolare porz. condrofaringea
m. stiloglosso porz. ceratofaringea
m. stiloioideo
grande corno dello ioide
7
porz. tirofaringea
1-4 = m. costritt. SUP della faringe
5+6 = m. costritt. MEDIO della faringe
7+8 = m. costritt. INF della faringe
porz. cricofaringea

tonaca muscolare dell’esofago


(triangolo di Laimer)
ghiandola tiroide (lobo dx)
ghiandola tiroide (lobo sin)
ghiandole paratiroidi ghiandole paratiroidi

trachea
tonaca muscolare dell’esofago

La deglutizione atipica o infantile funzionale può essere di competenza


osteopatica. Ne esistono di diversi tipi (I, II, III grado), a noi interessa quella più
semplice di I grado. Test della deglutizione atipica:
- si prende il labbro inf del Pz con una presa a pinza fra pollice e indice e,
senza tirare, si chiede al Pz di deglutire. Se il Pz NON riesce a farlo, ossia tira il
labbro indietro, come nel riflesso di suzione, il test è positivo. Per compensare
il Pz può anche portare la testa e il collo in avanti. La causa può dipendere da
possibili problemi di frenulo corto (labiale o linguale) oppure da disfunzioni di
male occlusione. Spesso sono Pz che presentano uno stato del cranio in strain
verticale o in estensione. In passato la logopedia trattava questa disfunzione
per circa 3 mesi, mentre in osteopatia, se non ci sono cause a monte, si risolve con un trattamento. Si parla di
deglutizione infantile quando questa funzione non segue le tappe ontogenetiche (ossia dell’individuo) e filo-
genetiche (ossia della specie) dello sviluppo ma si ferma ad uno stadio precoce. Lo sviluppo non procede o
perché è rimasto qualcosa in memoria oppure per una disfunzione craniale....Noi umani ci differenziamo delle
altre specie e dai primati per il linguaggio, ma soprattutto per la laringe bassa (nei primati resta alta). Negli
umani la laringe in una certa fase dello sviluppo si abbassa.

Tappe della deglutizione


1. Quando il neonato succhia il latte materno deve chiudere bene le labbra intorno al capezzolo senza far
92
passare aria (altrimenti ha le coliche gassose), avvolgere dal basso con la lingua il capezzolo, far ventosa e
mungere. La laringe alta permette la chiusura della cartil epiglottica e fa sì che il cibo non vada in trachea.
2. Poi crescono i denti (6-8 mesi), c’è lo svezzamento, discesa della laringe (differenza con gli altri mammiferi)
fase di lallazione e inizio del linguaggio.
Nell’adulto la laringe fa un’escur-
sione molto più ampia. Alla RM si
vede che la laringe di un adulto ha
molto spazio, mentre quella di un
lattante è quasi attaccata.
3. Sviluppo di questi meccanismi
per arrivare fino all’articolazione
evoluta del linguaggio.
Vedremo come le corde vocali ven-
gono tese o rilasciate secondo ne-
cessità (toni gravi o acuti o modu-
lazioni).

laringe di un neonato
Laringe
La laringe si trova nella loggia viscerale del collo.
Nell’adulto con la testa in posizione eretta lo ioide si trova a livello di C3-C4.
Il bordo SUP della cartil. tiroidea si trova un livello vertebrale al di sotto quindi C4-C5.
Il bordo INF della cartil. cricoidea (sotto la tiroidea) si trova a livello della cerniera cervico dorsale C7-D1.

93
a livello di
C3-C4
a livello di
C4-C5

a livello di
C7-D1
Cartilagini e ossa dall’alto:
- cart. Epiglottica detta epiglottide
- Osso ioide
- cart. Tiroidea
- cart. Cricoidea

Cartilagini accessorie
- cart. Aritenoidi o Processi aritenoidei (sono accessorie ma importanti)
- 2 cart. Corniculate
Il pomo d’Adamo è la cartilagine tiroidea (sotto l’osso ioide). La cartilagine tiroidea non ha niente a che vedere
con la tiroide e si articola con la cartilagine cricoidea (articolazione tiro-cricoidea).

94
articolazione tiro-cricoidea
L’artic. tiro-cricoidea mette in tensione le corde vocali in senso ant-post (dà la gravità o acutezza della voce).

La cartilagine tiroidea presenta due lamine quadrilatere unite ant da una sorta di prua (il pomo d’Adamo).
Posteriormente le lamine terminano con 4 corna: 2 sup e 2 inf.

95
La parte interna delle corna inf si articola con le pareti lat della cartil cricoidea.
Il bordo sup della cartil. cricoidea (pallino azzurro nell’immagine) presenta 2 superfici articolari, che si artico-
lano con le cartil aritenoidi (pallino rosso nell’immagine).
Queste ultime hanno la forma di piramidi triangolari con un’apofisi ant detta processo vocale o processo ant,
dove s’inseriscono le corde vocali o legamenti vocali (si chiamano legamenti perché collegano due cartilagini
diverse: cartil aritenoide e cartil tiroidea).
Le cartilagini corniculate (pallino giallo nell’immagine) sono al di sopra delle cartilag aritenoidi. L’articolaz
crico-aritenoide determina la maggiore o minore apertura della fessura tra le 2 corde vocali dando così la
modulazione della voce.

I movimenti della laringe


Si alza di 2-3 cm ad ogni deglutizione, nella fonazione e nella respirazione forzata o nel respiro accentuato.
Nell’estensione del collo si alza di circa 1 vertebra. Nella F si abbassa fino all’orifizio sup del torace. L’ampiezza
massima tra F ed E del collo può essere in totale di 4 cm (grazie allo spazio di Henke e allo spazio retrofarin-
geo).

96
Dal Kapandji
cartilagine CRICOIDEA
ha la forma di un anello il cui castone, posto
dietro, ha da ogni lato due faccette artico- cartilagine CORNICULATA
lari: m. aritenoideo trasverso
- faccetta tiroidea o faccetta inferiore, si ar-
ticola con il piccolo corno della cartil. tiroi- cartil. ARITENOIDEA
apofisi esterna castone della cartil. cricoidea
dea o muscolare
- faccetta aritenoidea o faccetta superiore, faccetta aritenoidea
accoglie la cartil. aritenoidea apofisi interna o vocale
m. crico-
cartilagini ARITENOIDEE aritenoideo lat faccetta tiroidea
sono poste ai due lati del castone cricoideo, cartilagine CRICOIDEA
hanno una forma grossolanamente pirami-
dale con delle apofisi: corde vocali
- apofisi superiore o cartil. corniculata
- apofisi interna o vocale, dove s’inseriscono le corde vocali inferiori
- apofisi esterna o muscolare, dove s’inserisce il m. crico-aritenoideo post

Cartilagine EPIGLOTTICA
cartilagine EPIGLOTTICA Ha la forma di un petalo di iris a concavità posteriore, i
suoi bordi esterni sono in rapporto con le cartil. corni
grande corno della grande corno della culate mediante i due leg.
cartil tiroidea cartil tiroidea ariteno-epiglottici.
Cartilagine TIROIDEA
leg. ariteno-epiglottici
è costituita da due lamine formanti un angolo
faccia interna diedro a sommità anteriore. Nella parte inf della
della cartil tiroidea sua faccia post è localizzato il punto d’inserzione
leg. crico-corniculare
sup (a Y) ant delle corde vocali inferiori.
cartil. INTERARITENOIDEA cresta obliqua
cartil. ARITENOIDEA
leg. crico-corniculare corde vocali inf
inf (a Y)
castone della cartil. cricoidea m. crico-aritenoideo laterale (dx)
mm. crico- m. crico-tiroideo
aritenoidei post piccolo corno della
cartil tiroidea
cartilagine CRICOIDEA

FONAZIONE
Le cartil. aritenoidee sono in equilibrio sul castone della cartil cricoidea sulla quale si articolano mediante la
faccetta aritenoidea. L’asse di questa articol. crico-aritenoidea (un’artrodia) è obliquo. Quando i mm. intera-
ritenoidei e il m. crico-aritenoideo post si contraggono, l’aritenoide ruota all’infuori e la sua apofisi vocale si
allontana dalla linea mediale. La corda vocale forma allora con la sua opposta un orifizio triangolare a vertice
anteriore.
Al contrario la contrazione del m. crico-aritenoideo lat fa ruotare l’aritenoide all’interno e ciò avvicina l’apofisi
vocale alla lnea mediana come pure la corda vocale.

97
Per la contrazione del m. crico-tiroideo la car-
tilagine tiroidea ruota attorno all’articolaz del
piccolo corno con la cricoide e la sua parte ant
si abbassa. Questo determina una messa in
tensione della corda vocale. Il m. crico-tiroideo
è innervato dal n. laringeo inf o ricorrente, è il
muscolo più importante della fonazione perché
regola la tensione delle corde vocali e l’altezza
del suono. allungamento della
corda vocale da
parte del m. crico-
tiroideo contratto
piccolo corno della
cartil tiroidea m. crico-tiroideo
(fonte: Kapandji, Fisiologia articolare)

m. aritenoideo trasverso
o interaritenoideo

m. crico-
mm. inter- aritenoideo lat
aritenoidei

mm. crico- corde vocali


aritenoidei lat
mm. crico-
aritenoidei post

PRATICA
Osteopata in piedi a dx del Pz (nell’immagine è a sin perché il pubblico possa vedere).
I test che vedremo sono indicati nei casi di Pz i cui motivi di consulto sono:
problemi cervicali
difficoltà alla deglutizione (non perché sia atipica ma per la presenza di tensioni)
torcicolli frequenti
Il trattamento che vedremo è inoltre utile per i seguenti motivi:
-a scopo preventivo per la colonna cervicale, la cui cartilagine può andare incontro ad usura in caso di tensio-
ni profonde delle strutture fasciali anteriori
-per favorire la vascolarizzazione e il drenaggio dell’arto superiore e delle strutture nervose che vi passano

1. Test del tampone


L’Osteopata con 2 dita a tampone (indice e medio)
cerca di capire:
-se e dove ci sono delle tensioni sul pavimento buc-
cale, perché è il piano che mi dà in superficie lo sta-
to tensionale della profondità, ossia della faringe.
Si può chiedere l’aiuto del Pz con la richiesta di bloc-
care la deglutizione nel momento culminante (o di
deglutire meno frequentemente). Oppure, al con-
trario, si può cogliere l’attimo in cui il Pz deglutisce
e sentire lo stato dei tessuti. Se ci sono tensioni l’Osteopata le mette in memoria e passa a un altro test.
98
2. Test a 3 dita (ioide, tiroidea, cricoidea)
Indice sull’osso ioide, medio sulla cartil. tiroidea e
anulare sulla cart. cricoidea.
Si fa il test di pressione e poi, eventualmente, quel-
lo di bilanciamento allo scopo di trovare la struttu-
ra più in tensione.
Sulla struttura in disfunzione (in questo caso l’osso
ioide) faccio poi un test di mobilità.

3. Test di mobilità
Con una presa pollice-indice sull’osso ioide (ossia la struttura che in questo caso è risultata più in tensione)
muovo verso dx e sin, per sentire il lato più mobile e quello più rigido.
Avrò evidenziato a questo punto due zone (una con il test a tampone e l’altra con il test a tre dita). Se le zone
trovate sono una a dx e l’altra a sin posso fare il test seguente.

4. Test per sentire le tensioni crociate/bilanciamento


Dato che nella zona ant del collo ci sono delle strutture ad incrocio, se trovo per es. una zona dura in alto a dx
e un’altra in basso a sin, posso fare un test “punto fisso punto mobile” per scegliere la struttura più dura.
In ogni caso, dopo il test del tampone e quello a 3 dita, faccio un test di bilanciamento.

Scrosci
Facendo il test di mobilità su tutto il pacchetto cartilagineo posso sentire degli scrosci (Maschietti consiglia di
mobilizzare questa zona in caso di mal di gola per migliorare la circolazione arteriosa e il drenaggio).

Trattamento
In questa fase del trattamento si procede gradualmente verso le fasce profonde partendo da quelle superfi-
ciali.
1.Trattamento del
pavimento buccale
Si utilizza una presa pun-
to fisso/punto mobile.
Una mano fissa
e l’altra muove i tessuti.

punto mobile, x punto fisso punto mobile, x punto fisso


Da ricordare che sotto la mandibola arrivano i mm. pterigoidei int, mentre i mm. pterigoidei esterni li testo e tratto
con tecniche intrabuccali.
1a. Oppure inclino la testa del Pz dal
lato della disfunzione, per permettere
alle dita di entrare in profondità, e poi
inclino dal lato apposto allungando le
fasce

La zona del pavimento buccale è importante perché è in relazione con i mm. costrittori della faringe e la co-
lonna cervicale.

99
2. Posso trattare il triangolo
superiore, come abbiamo vi-
sto nel II anno.
Tuttavia in questo caso, poi-
ché con i test visti sopra ho
trovato delle zone precise, mi
focalizzo su quelle.

Diagnosi differenziale
Se trovo una zona fasciale disfunzionale a livello cervicale, devo fare una diagnosi differenziale al fine di trova-
re la causa principale. Per fare una diagnosi differenziale sulla zona viscerale del collo devo testare:
- colonna cervicale
- clavicole
- visceri

a. Test differenziali per la colonna cervicale


Faccio i test di mobilità sulla colonna cervicale. Se trovo una disfunzione, per es. una ERS o una FRS, proseguo
poi con:
- un test d’inibizione o
- un test d’aggravamento

Test d’inibizione sulla fascia


Presa: una mano sulla vertebra e l’altra sulla zona fasciale
Mobilizzo la zona fasciale disfunzionale al fine di ridurne le tensioni.
Se la disfunzione vertebrale si corregge, significa che la causa è la fascia.

Test d’aggravamento sulla fascia


Mobilizzo la zona fasciale disfunzionale al fine di aumentarne le tensioni.
Se la disfunzione vertebrale si aggrava, significa che la causa è la fascia.

Se con i test d’inibizione o aggravamento sulle fasce non succede nulla


sulla zona cervicale, posso fare gli stessi test sulla zona cervicale.

Test d’inibizione sulla colonna cervicale


Correggendo la disfunzione di ERS o FRS, si riduce la tensione fasciale.
Conclusione: la disfunzione cervicale è la causa di quella fasciale

Procedo con una tecnica di riduzione della FRS/ERS

Test d’aggravamento sulla colonna cervicale


Aumentando/peggiorando la disfunzione di ERS o FRS, aumenta la tensione fasciale.
Conclusione: la disfunzione cervicale è la causa di quella fasciale

b. Test differenziali per la clavicola


Testo la clavicola con i test sui 3 sistemi (Stil parlava di materia, movimento, spirito, mentre oggi, da un punto
di vista fasciale, parliamo piuttosto di sistema superficiale, sistema profondo e sistema della dura madre).
- Test meccanico della clavicola (l’Osteopata, con le mani sulle clavicole, è attivo e porta la clavicola in Rotaz Ant
e Rotaz Post)
- Test respiratorio (l’Osteopata, con le mani sulle clavicole, sente se i movimenti della clavicola durante l’INsp
100
e l’ Esp)
- Test sull’IRC (l’Osteopata con le mani sulle clavicole oppure una mano sull’occipite e l’altra sulla clavicola,
sincronizza il movimento della clavicola sull’IRC. Una volta che riesce a percepirlo, può lasciare l’occipite e
mettere la mano sull’altra clavicola)

1
sentire l’IRC sull’occipite
2
una mano sull’occipite, l’altra sulla clavicola due mani sulle clavicole
3
Alla fine si fa il Test di bilanciamento per scegliere il sistema più in disfunzione

c. Test differenziali per i visceri


Maschietti fa l’esempio di un Test di aggravamento o d’inibizione tra colonna cervicale e viscere. Prendo
con una mano la vertebra in disfunzione e con l’altra aggravo o inibisco (ossia accorcio) le tensioni, ossia la
zona fasciale in disfunzione.
Se, quando inibisco/accorcio le fasce, la vertebra si muove, deduco che la causa è nelle fasce o nei visceri.

Test sulla lingua. L’Osteopata


mette i guanti sterili e usa una
garza per far presa sulla lingua e
mobilizzarla in: alto (per testare la
parte bassa), basso (per testare la
parte alta), ......

dx (per testare il lato sin), sin


(per testare il lato dx).

Attenzione a non tirare


troppo. Se si tira troppo il Pz
potrebbe avere, dopo una
mezz’ora dal trattam, difficoltà
a deglutire e dolore.
I muscoli che arrivano sulla
lingua sono17!
101
Tecniche di correzione su disfunzioni della lingua
Nel caso si sia trovata una tensione in una certa direzione si procede con le tecniche seguenti.
1.Tecniche dirette ossia stiramenti diretti nella direzione in cui si sente la tensione, quando si sente che il
tessuto si rilascia, si guadagna un pò.
2.Tecniche a Energia Muscolare
Si tratta di contrazioni isometriche seguite da un allungamento in questo modo:
a) si blocca la lingua nella posizione in cui si sente la tensione
b) si chiede al Pz di tirare indietro e intanto l’Osteopata impedisce il movimento
c) si allunga e si ricomincia da a).
La presa e le direzioni di movimento sono le stesse del test sulla lingua.
Le Tecniche di aggravamento no, perché non si riesce a eseguirle.
2. Esercizi da dare al Pz, per es. davanti allo specchio.
Esercizi all’esterno della bocca. Il Pz deve cercare di toccare con la lingua il mento, il naso, l’orecchio dx e sin
Esercizi all’interno della bocca. Il Pz deve far passare la lingua nello spazio tra i denti e le guance (superficie
mesiale o vestibolare) e all’interno delle arcate dentarie. L’obiettivo è di mobilizzare la lingua per liberare le
tensioni fasciali e muscolari.

3. Tecnica diretta sulle fasce profonde della faringe


Sono necessari 3 punti fissi:
a) un punto fisso post-inf (c’è già perché il Pz è sdraiato sul lettino e
quindi le vertebre dorsali sono fissate con il peso del Pz),
b) un punto fisso sup, ossia l’occipite (il collo deve essere in posizio-
ne neutra, né in flessione né in estensione), che l’Osteopata traziona
verso l’alto (non troppo altrimenti l’esercizio diventa troppo difficile
per il Pz),
c) di un punto fisso ant (ossia la lingua pizzicata tra gli incisivi che
sporge un pò dalle labbra).
Il thrust è la deglutizione. Se il Pz riesce a deglutire facilmente posso aumentare la trazione sull’occipite e chie-
dergli di far sporgere un pò di più la lingua, per 3-4 volte.

Dopo la tecnica si fa di nuovo il test (in questo caso è il test per la disfunzione atipica) per verificare il buon
esito del trattamento.

Si può consigliare al Pz di fare un esercizio a casa: in posizione seduta, con il mento retratto, la colonna cervi-
cale allungata e la lingua tra i denti, deve deglutire senza retrarre la lingua. Se ci riesce bene, deve sporgere
via via la lingua più in fuori.

Per riassumere: questo lavoro sulle fasce del collo serve a migliorare il drenaggio e a prevenire artrosi precoci
cervicali.

102
sem 3_Asse aponevrotico centrale (AAC)

Premessa
area comune tra Materia area comune tra
L’AAC è il collegamento tra 3
Materia e Spirito mesoderma Materia e Movimento
sistemi (ved immagine dei 3
cerchi, anno 1). Una volta si
meningi o membrane diafram. pelvico meso e epiploon
di tensione reciproca disfunz. strutturali (leg. viscerali)
chiamava Tendine centrale,
un asse cranio-cervico-toraco- tecniche dirette
addomino-pelvico. È formato
da strutture profonde: l’apon.
profonda, l’apon. media ad
indirizzo viscerale, che costitu-
Spirito
ectoderma
S.N.C.
AAC Movimento
endoderma
traumi viscerali
iscono una struttura mediana diafr. craniale diafr. toraco-addominale
profonda senza una delimita- traumi psichici (anima) disfunz. emozionali
zione netta e che viene attra- tecniche funzionali tecniche a energie
versata da strutture trasversali, muscolare
che sono i diaframmi (cranico,
buccale, pterigoideo, toracico area comune tra
sup, toraco-addom, uro-genita- Spirito e Movimento
le, pelvico). s. nervoso neurovegetativo
Fino a 15 aa fa si faceva il trattamento dell’AAC o Tendine centrale, che consisteva nel riequilibrare i diaframmi
e funzionava. Oggi non si fa più, perché si è scoperto che si può rischiare di normalizzare degli elementi che
fanno parte di un sistema o due, per poi mettere in difficoltà il terzo. L’AAC è il relais tra i tre sistemi, per cui se
ne normalizzo solo uno o due, posso dal fastidio al terzo. Oggi si sfrutta solo il test sull’AAC per capire in breve
tempo qual è il sistema in disfunzione, per poi testarlo in modo specifico. In quest’ottica esiste anche il test
del diaframma.
Si è pensato allora di sfruttare il test dell’AAC. Quando? Con i Pz che non ci permettono di fare una sintesi ef-
ficace nel momento dell’anamnesi, oppure che non hanno un motivo di consulto definito. Possono essere Pz
che riferiscono per es. di non digerire bene, di sentirsi stanchi, di aver fatto degli esami diagnostici da cui non
è risultato niente di particolare, di avere dolori articolari, anzi più fastidi che dolori. Durante l’anamnesi riferi-
scono di non aver avuto problemi alla nascita, alla visita il sistema superficiale risulta nella norma, così pure il
sistema viscerale, non hanno avuto traumi. A questo punto non si sa da che parte cominciare. Il test dell’AAC
è una porta d’ingresso, così come abbiamo visto per la clavicola.
Testeremo l’AAC in tre modalità diverse sui 3 sistemi: strutturale, viscerale e della dura madre. E’ un test utile
per due motivi:
- ci fa trovare il sistema responsabile dei disagi del Pz,
- ci dà anche una localizzazione della zona in cui cercare la/le disfunzione.

Test sull’ AAC


Arbitrariamente divido l’AAC in due porzioni:
-una Superiore (AACS) > va dal cranio al centro frenico
-una Inferiore (AACI) > va dal centro frenico al sacro
Il Sistema Superficiale è la struttura, quindi il test è strutturale, il Pz è passivo e lOsteopata attivo.
Prese: una mano sull’occipite (punto fisso) e l’altra sul centro frenico (punto mobile).
Devo avere dei canoni precisi, ossia “attenzione” a quello che si sta facendo, “concentrazione”, “una certa ten-
sione e pressione nelle dita” (devo superare i seguenti strati: pelle, fascia superficialis, fascia superficiale).
Durante l’IRC, nel tempo di F l’apofisi basilare dell’occipite va in alto-avanti, di conseguenza tutte le aponevro-
si attaccate al tubercolo faringeo dell’occipite vanno in alto, salgono. Se durante il test dell’AAC rimango con la
mano a livello dell’apon superficiale sentirò i tessuti scendere, perché in periferia le fasce si srotolano e vanno
in RE. Devo quindi concentrarmi per sentire il livello dell’apon media ad indirizzo viscerale e profonda, perché
esse seguono l’ICR, quindi salgono.

Test sull’ AACS del Sistema Superficiale (metà superiore)


Presa per il test di allungamento: una mano sull’occipite lungo l’asse tra CSM dx e CSM sin (punto fisso) e l’altra
103
sul centro frenico (punto mobile).

1. Test di allungamento
La mano sull’occipite è ferma, mentre l’altra allun-
ga l’AACS.

punto mobile, x punto fisso


2. Test di accorciamento
Ci sono due prese possibili per il cranio.

2a. La mano craniale cambia presa perché


deve impedire la Flessione craniale

2b. Oppure l’Osteopata avvicina il suo petto


alla testa del Pz

2a 2b
L’altra mano è sul centro frenico (punto mobile).

punto mobile (centro frenico), x punto fisso (occip)


Segno/memorizzo il risultato (nel nostro caso: si allunga poco + ma si accorcia+++)

Test sull’ AACI del Sistema Superficiale


(metà inferiore)
Presa per il test di allungamento: una mano sul sacro*
(punto fisso) e l’altra sul centro frenico** (punto mo-
bile).

*II e IV dito sulle emibasi sacrali, II dito al centro, eminenze tenar e ipotenar sugli AIL (Angoli Infero Laterali)
**bisogna posizionarsi al di sopra dell’apofisi xifoidea, perché il diaframma arriva sul V spazio intercostale

104
1.Test di allungamento 2.Test di accorciamento
Segno/memorizzo il
risultato (nel nostro
caso: AACS e AACI
non si allungano - ma
si accorciano +++)

Test sull’ AACS del Sistema Profondo (SOLO metà superiore)


Si utilizza la respirazione. In questo caso il Pz è attivo e l’Osteopata passivo, è in ascolto.
Stessa presa del test sul sistema superficiale.
Si chiede al Pz di INsp ed ESp e si ascolta cosa fa il diaframma, ossia se scende in INsp e sale in Esp.
Per il Sistema Profondo non ha senso fare un test sull’AACI, quindi lo salto.
Segno/memorizzo il risultato (nel nostro caso: INsp + ESp ++)

Test sull’ AACS del Sistema della Dura Madre (metà superiore)
Si utilizza l’IRC. L’Osteopata si mette in ascolto.
Stessa presa del test sul sistema superficiale.
Durante un tempo di F si percepisce che il centro frenico sale, mentre in E scende
Segno/memorizzo il risultato

F E

Nel tempo di F l’ AAC sale Nel tempo di E l’ AAC scende


Test sull’ AACI del Sistema della Dura Madre (metà inferiore)
Stessa presa del test sul sistema superficiale.
Durante un tempo di F si percepisce che il centro frenico sale, mentre in E scende
Segno/memorizzo il risultato

105
Interpretazione dei risultati del Test
Sistema Superficiale
Dopo aver fatto i test si possono ottenere i seguenti due risultati:
1
nella porzione Sup > si allunga e non si accorcia
nella porzione Inf > si accorcia e non si allunga
si deduce che c’è qualcosa che tira in basso nella porzione INF, ossia dal diaframma in giù.
Di conseguenza si devono testare gli AAII, il bacino, sacro, coccige, pavimento pelvico e la colonna lombare
(tutto quello che è struttura).

sacro centro frenico occipite

1 si accorcia e
non si allunga
si allunga e non si accorcia

sacro centro frenico occipite


2
nella porzione Sup > si accorcia e non si allunga
nella porzione Inf > si allunga e non si accorcia
si deduce che c’è qualcosa che tira verso l’alto nella porzione SUP, ossia dal diaframma in su
Di conseguenza si devono testare gli AASS, colonna dorsale e cervicale, sterno, coste, clavicole, scapole, osso
ioide, cranio osseo (tutto quello che è struttura).

2 si allunga e non si accorcia si accorcia e


non si allunga

sacro centro frenico occipite


Sistema Profondo
Dopo aver fatto i test si possono ottenere i seguenti due risultati:
1
Inspira ma non Espira, quindi scende ma non sale
si deduce che c’è qualche viscere che tira in basso dal diaframma in giù.
Di conseguenza si devono testare i visceri uro-genitali e addominali, ossia tutti gli organi viscerali al di sotto
del diaframma

1 inspira e non espira

sacro centro frenico occipite


2
Espira ma non Inspira, quindi sale ma non scende
si deduce che c’è qualche viscere che tira in alto dal diaframma in sù.
106
Di conseguenza si devono testare i visceri sopra-diaframmatici: polmone, cuore, loggia viscerale del collo..

2 espira e
non inspira

sacro centro frenico occipite

Sistema della Dura Madre


Dopo aver fatto i test si possono ottenere i seguenti due risultati:
1
nella porzione Sup > in F sale ma non scende
nella porzione Inf > in F sale ma non scende
si deduce che c’è qualcosa che tira in alto: problemi di cranio

1 sale e non scende sale e


non scende

sacro centro frenico occipite


2
nella porzione Sup > in E scende sale ma non sale
nella porzione Inf > in E scende sale ma non sale
si deduce che c’è qualcosa che tira in basso: problemi di sacro
Dopo aver fatto i 3 test, faccio un bilanciamento e scelgo il sistema che è più in disfunzione.

2 scende e
non sale
scende e non sale

sacro centro frenico occipite


PARADOSSI
Riguardano solo due sistemi.
Sistema Superficiale
1
Porzione SUP > si allunga ma non si accorcia
Porzione INF > si allunga ma non si accorcia
si deduce che tutto converge verso il centro, di conseguenza si deve testare il diaframma.

si allunga e non si accorcia

1 si allunga e non si accorcia


sacro centro frenico occipite
2
Porzione SUP > si accorcia ma non si allunga
Porzione INF > si accorcia ma non si allunga
si deduce che tutto diverge anteriormente ma converge nel Sistema Tonico Posturale posteriore, di conse-
107
guenza si deve testare la cerniera dorso-lombare, i pilastri, le bendellette.
si accorcia e non si allunga

2 si accorcia e non si allunga


sacro centro frenico occipite
Sistema della Dura Madre
Si ha un paradosso quando manca la giusta relazione tra occipite e sacro, per es. si trova che prevale la F a
livello craniale e l’E a livello del sacro, o viceversa, quindi non c’è collegamento, non c’è il link.
Di conseguenza si devono testare tutte le inserzioni della Dura Madre a livello vertebrale: C0 C1 C2 C3 e S2,
poi sacro, coccige, i fori di uscita dei nn. spinali e verificare se ci sono delle disfunzioni dei corpi vertebrali, per
es. a tripode (sono abbastanza importanti e possono distorcere le informazioni della Dura Madre) oppure
somatiche. Dopo aver ridotto le disfunzioni vertebrali rifaccio il test e controllo.

sem 4

Test DEL DIAFRAMMA


È un test qualitativo che testa il diaframma su tre movimenti diversi, che rispecchiano tre parti antomiche
diverse del diaframma: 1. Cupole 2. Centro frenico 3. Pilastri
Alcuni Autori basano questo test e la sua spiegazione sull’embriologia, affermando (ma secondo Maschietti
è una forzatura) che il centro frenico origina dall’ectoblasto, come il sistema nervoso, e quindi fa parte del si-
stema della dura madre. Le cupole originano dall’endoblasto, come i visceri, e quindi fanno parte del sistema
profondo. I pilastri originano dal mesoblasto, come le ossa, e quindi fanno parte del sistema strutturale.
Per Maschietti è più logica una spiegazione funzionale.
Le cupole sono appoggiate sui visceri e quindi le mettiamo in relazione con il sistema profondo/viscerale.
Il centro frenico interagisce con l’AAC e con il core link (collegamento cranio-sacrale) e quindi lo mettiamo in
relazione con il sistema della dura madre.
I pilastri sono attaccati alla colonna, fanno parte della struttura e quindi li mettiamo in relazione con il siste-
ma superficiale.

Dobbiamo cercare dei movimenti passivi nei tre piani dello spazio, di cui il diaframma è vittima:

Latero-laterali
(di espansione
oppure.....

...unilaterali) >
in relazione con
le cupole (siste-
ma profondo)

108
Antero-posteriori >
in relazione con i pilastri
(sistema superficiale)

Supero-inferiori >
in relazione con il centro frenico
(sistema della dura madre)

TEST
Delimitiamo una linea superiore passan-
te per l’apofisi xifoidea

....e una linea infe-


riore passante per
la parte inferiore
della griglia costale.

Su questa zona l’Osteopata appoggia delicatamente le mani (non è ne-


cessario andare in profondità), bypassa la respirazione e cerca di sentire
quali sono i movimenti passivi più importanti tra quelli che abbiamo de-
scritto sopra. Ce ne possono essere più di uno. Se sono più di uno deve
fare un test di bilanciamento. Nel nostro caso c’è una risalita e una late-
ro-lateralità sin, ma quest’ultimo predomina. Questo significa che devo
indagare il sistema profondo, ossia i visceri. Si possono fare anche delle
domande al Pz per aver conferma al test. A differenza dell’AAC, con que-
sto test non ho un’indicazione sulla zona da testare ma solo sul sistema
in disfunzione.

109
Trattamento dei pilastri
e delle bendellette del
diaframma
Si comincia da un Test dei pila-
stri > il Pz è supino, l’Osteopa-
ta posiziona i polpastrelli delle
dita tra le spinose e i mm. para-
vertebrali, poi traziona in avan-
ti, in fuori e in basso (nelle
immagini il Pz è seduto per
far vedere le direzioni della
trazione). Questo test insie-
me alla respirazione (nella
fase INspiratoria l’Osteopata
mantiene, mentre in quella
Esp guadagna) può diven-
tare un trattamento. Spesso
si sentono dei gorgoglii che
sono indice di rilassamento.

Trattamento dei pilastri


1.Pz seduto. L’Osteopata cerca, con il pollice,
un passaggio, lateralmente alle masse dei mm.
paravertebrali, a livello dell’angolo costo-ver-
tebrale, inclinando il tronco del Pz dallo stesso
lato della zona in trattamento. Gradualmente
cerca di andare in profondità.

2.Dopo aver raggiunto dei tessuti più pro-


fondi l’Osteopata cambia dito e con il medio,
inclinando il tronco del Pz dal lato opposto a
quello in trattamento, mette in tensione e fa
una siderazione sui pilastri.

3.Test sui mm. paravertebrali


in direzione mediale o laterale,
messa in tensione e
successiva .......

110
.....siderazione.

4.Lavoro globale sulle catene toraciche e pel-


viche. Si mette il Pz come nella foto.
Nella fase Espiratoria si allunga/guadagna e
nella fase INspiratoria si mantiene.

Se le fasce degli arti danno


fastidio si possono scegliere
delle prese più brevi.
Da entrambi i lati.

Bonetti

Bendellette
Una è arciforme, posta sul piano
trasverso. L’Osteopata si mette
nella posizione del test dei pilastri
del diaframma, leggermente più
in alto. Direzione della trazione: in
avanti e soprattutto in FUORI/la-
teralmente. Nella fase Espiratoria
si allunga/guadagna e nella fase
INspiratoria si mantiene.

111
L’altra è obliqua, in alto a sin, inter-
namente a K7. L’Osteopata si mette
seduto a dx del Pz. La direzione del-
la trazione è obliqua, in avanti. Nella
fase Espiratoria si allunga/guadagna
e nella fase INspiratoria si mantiene.

Con questo lavoro si apre il foro dove


passa la vena cava inferiore insieme
al n. frenico. Così si assicura il drenag-
gio degli arti inf e dei visceri. Durata?
Quanto basta.

errata direzione
della trazione

sem 5

Catene fasciali
Maschietti ha adottato quelle di Paoletti con delle modifiche, che riguardano le zone/strutture d’incrocio del-
le catene e la possibilità che ne deriva di cambiare direzione. La zona dove maggiormente succede questo, a
livello del bacino, è il leg grande sacro ischiatico. Esso permette l’incrocio delle catene superficiali (o esterne)
con le catene profonde (o interne). Ci sono poi altre catene: anteriori, esterne, laterali e posteriori. Al IV anno
farete con la prof. Cattaneo le catene, in un’ottica ancora diversa.

Membrane a tensione reciproca (MTR)


Ci interessano soprattutto falce del cervello e tentorio del cervelletto, anche se nelle MTR sono presenti anche
la falce del cervelletto, la tenda dell’ipofisi e il core-link (manicotto intravertebrale).
Faremo dei test sulla falce e tentorio del cervelletto (in ottica meccanica e non in ascolto dell’IRC o impulso
ritmico fasciale, dato che lo percepiamo sulle fasce).
La dura madre è la più esterna delle meningi con spessore variabile da pochi micron fino a 1 cm (per es. all’in-
crocio tra falce del cervello e tentorio a livello del torchio di Erofilo) a seconda delle zone. E’ in relazione con
la struttura, quindi è più superficiale, attraverso dei legamenti sia nella zona cervicale che a livello sacrale,
coccigeo con il filum terminale.
Nelle catene fasciali l’ultima che viene descritta è quella meningea che riguarda appunto le MTR.
I test sulla falce e sul tentorio ci permetteranno di apprezzare se le tensioni arrivano:
da dentro il cranio oppure
dall’esterno, ossia da altri sistemi
In primo luogo si fa un test che possiamo chiamare di “ascolto” dove le mani sono passive, appoggiate sul
cranio in maniera analoga alla presa della volta ma senza parametri precisi. Si cerca di apprezzare se le mani
vengono attratte da:
trazioni esocraniche (lunghe o corte, che originano dal sistema fasciale superficiale)
trazioni dall’interno del cranio.
Non spaventatevi! È più difficile a dirlo che a farlo.
Se le mani vengono attratte verso l’interno del cranio (bisogna essere neutri anche come pensiero e ascoltare
soltanto senza indurre niente) iniziano a “ruotare” l’una contro l’altra (Maschietti dice che è una sensazione
che ha verificato con altri colleghi e quindi è ripetibile, non è qualcosa di soggettivo). Vedremo che in determi-
112
nati trattamenti, facendo una compressione con le mani, per es. su un arto (ossia su una gamba o un braccio),
si avrà come risposta una rotazione contraria delle mani, che corrisponde alla riorganizzazione delle fasce.
Con il test sulle MTR si cerca di capire se le tensioni/retrazioni provengono dall’interno del cranio (quindi ri-
guardano proprio le MTR) oppure se sono esocraniche (e riguardano pertanto gli altri due sistemi).

Test delle MTR_Parte 1


Si compone di due parti:
1. Ascolto del cranio
2. Ascolto dai piedi

1.Ascolto del cranio>


Posizione dell’Osteopata: seduto alla testa del
Pz presa simile a quella della volta (non impor-
tano i punti di repere precisi).
Intenzione: cerca di sentire quello che succede
e si chiede:
se sente una trazione
se è a dx o a sin
se è una trazione lunga o corta

Caso 1_Trazione CORTA


Nel caso di Raffaella Maschietti sente una trazione CORTA esocranica a dx e quindi pensa che la zona da inda-
gare sia una zona alta a dx, per es. la spalla dx.
Se invece avesse sentito una trazione LUNGA avrebbe pensato all’ipocondrio dx (è difficile che con questo
test si arrivi a sentire zone più lontane dell’ipocondrio, come per es. la zona del bacino, perché tra il bacino e
le mani appoggiate sul cranio ci sono vari elementi che hanno il compito di dissipare le tensioni, e questi ele-
menti sono le strutture trasversali, ossia i diaframmi: tentorio del cervelletto, pavimento buccale, osso ioide,
diaframma toracico sup, clavicola, apofisi xifoidea, diaframma, diaframma pelvico).

2.Ascolto dai piedi > è una prova del 9, perché L’Osteopata sente se viene confermata oppure no la zona che
si è evidenziata con l’ascolto del cranio.
Con questa seconda parte del test l’Osteopata arriva a sentire al massimo fino alla zona lombare.
Nel caso di Raffaella non si fa la seconda parte del test (ascolto dai piedi), perché non si potrebbe arrivare a
sentire la spalla!

Caso 2_Trazione LUNGA


Immaginiamo di aver percepito con l’ascolto dal cranio una trazione LUNGA a dx che fa pensare ad una possi-
bile origine a livello dell’ipocondrio dx. A questo punto devo fare la seconda parte del test, ossia l’ascolto dai
piedi, per verificare se risulta effettivamente l’ipocondrio dx oppure
Se viene evidenziata una zona contro laterale, per es. il gin sin o l’anca sin o una zona a sin della pelvi o addo-
minale. A questo punto subentrano le conoscenze delle catene fasciali, che mi giustificano le direzioni in cui
si sono organizzate le tensioni.
NB: a Maschietti non piace pensare che ci siano delle catene fasciali standard, che permettono di risalire, a
partire da un dolore per es. di spalla, ad un percorso standard che ci conduce per es al piede sin. Su ogni Pz
bisogna fare i test per scoprire l’organizzazione fasciale di QUEL Pz, senza darla per scontata. Però conoscere le
catene fasciali mi permette di giustificare meglio certe direzioni e di sapere che per es. a livello del pavimento
pelvico e specialmente del leg sacro tuberoso ci possono essere tante soluzioni di smistamento.

113
Posizione dell’Osteopata: seduto ai piedi del Pz con
la colonna del pollice sulla zona plantare anteriore
del calcagno, in modo da prendere d’infilata le linee
di forza che partono dalla pianta del piede e vanno
verso l’alto.
Intenzione: comprime i tessuti e cerca di capire dove
incontra una resistenza/muro, dove i tessuti non fan-
no proseguire.

Se avverte una tensione subito a livello della caviglia (come nel


caso di Raffaella: caviglia dx) e il Pz non ha avuto traumi particolari
(quindi non ci sono lesioni primarie), fa delle semplici mobilizzazio-
ni per liberarla e permettere così il passaggio. Ritesta. Avvertirà un
allentamento delle tensioni a quel livello. Riprova il test.

Se sente una tensione a livello del ginocchio (nel caso


di Raffaella: gin sin)  allenta le tensioni sul ginocchio
con i movimenti fisiologici dei test. Riprova.

Se sente una tensione a livello dell’anca (nel caso di Raffaella: anca dx)  mobilizza l’anca. Si rimette in posi-
zione e riprova con la pressione.
Alla fine su Raffaella la zona finale positiva al test è in fossa iliaca dx. A questo punto si faranno dei test di
pressione e test più specifici nella zona d’interesse. Con questo test al massimo si può arrivare in zona pelvica
e addominale avendo cura di eliminare le interferenze lungo il percorso.
Il grado di pressione che l’Osteopata deve esercitare con i pollici è soggettivo. Egli deve immaginare una linea,
una sorta di colonnina di mercurio, che sale con l’aumentare della pressione e si dirige secondo un percorso
che bisogna sentire. Con il test dai piedi si potrebbe sentire anche la colonna vertebrale.
A questo proposito Maschietti ricorda di aver fatto un corso in cui il docente tramite l’ascolto sul cranio riu-
sciva a sentire una disfunzione di astragalo dx in anteriorità e sempre con la stessa presa a liberarla. Possono
sembrare cose assurde, però anche Maschietti dopo 3-4 mesi di allenamento era riuscito a fare lo stesso. Mo-
rale della favola: non mettere limiti alla sensibilità.

Test delle MTR_Parte 2


Se con il test di ascolto ho sentito che le tensioni provengono dal cranio e non da strutture esterne, procedo
poi con il seguente test sulle MTR, ossia falce del cervello e il tentorio del cervelletto.

114
La falce
La consideriamo come se fosse un unico elemento, un nastro, che ha come due bordi, uno superiore e l’altro
inferiore. Alcuni Autori fanno notare che se stiriamo il bordo sup si accorcia il bordo inf e viceversa, quindi il
discorso si complica parecchio. Noi invece non consideriamo questi bordi. Siamo sempre nelle meccanica e,
almeno per i test, non usiamo l’IRC.
Con l’asse mediano della
mano mi metto in corrispon-
denza della sutura sagittale
in modo da trasmettere la
forza proprio a livello della
falce. Posteriormente arrivo
alla protuberanza occipitale
esterna e ant sulla glabella.

Poi testo facendo un accor-


ciamento (è facile perché
comprimo) e un allungamen-
to (un po’ più difficile perché
devo immaginare di avere in
mano una ventosa). Valuto i
due parametri. In Matteo si
allunga meglio e si accorcia
poco.

accorciamento allungamento
A cosa corrispondono accorciamento e allungamento della falce? Accorciamento = FLESSIONE e quindi au-
menta il diametro trasversale. Allungamento = ESTENSIONE e quindi aumento del diametro antero-post. In
Matteo possiamo pensare che ci sia una facilitazione all’estensione e non alla flessione, perché la falce si fa
allungare più facilmente di quanto si faccia comprimere.

Il tentorio
Per ACCORCIARE il tentorio
comprimo (semplice compres-
sione meccanica) al di SOPRA
dell’asse e quindi a livello delle
rocche petrose, sopra l’orecchio.

115
accorciamento del tentorio
Per STIRARE il tentorio
mi metto SOTTO l’asse,
a livello delle apofisi ma-
stoidee. Metto le emi-
nenze tenar delle mie
mani davanti alle apofisi
mastoidee e le spingo
dietro-dentro, facendo
quindi anche una prona-
zione dell’avambraccio,
ossia porto i temporali
in RE.

le mani dell’Osteopata imprimono una spinta verso dietro-dentro

RE dei temporali
Riduzioni
a) se sento che la falce non si accorcia e si allunga bene, possiamo usare:
- Tecnica meccanica diretta o indiretta
116
In genere funzionano meglio le tecniche indirette in aggravamento per cui andrò ad allungare finché la strut-
tura mi dice che è pronta a tornare indietro; dopodiché la accompagno in accorciamento.
b) se sento che il tentorio non si accorcia e si allunga bene:
- prima lo allungo, poi cambio la presa e lo riaccompagno in accorciamento.
Analogamente quando non si allunga.

Altre prese e tecniche possibili


1. L’Osteopata è seduto lateral-
mente al Pz> con la mano sul let-
tino contatta le mastoidi (bisogna
avere la mano un pò grande) e
porta i temporali in RE, mentre con
l’altra mano contatta lo sfenoide
o il frontale, portandoli in avanti-
basso così da coadiuvare la RE dei
temporali. Si procede sempre con
una tecnica meccanica indiretta.

2. Stessa presa del test sul tentorio,


inoltre le altre dita della mano induco-
no la F o l’E dell’occipite.

occipite in F

temporale in RE

occipite in E

temporale in RI
117
3. Recoil> su un
punto particolar-
mente duro sulla
falce.

In Pz con l’ernia del disco e con Laségue positivo è possibile allentare le tensioni della dura madre (è lei infatti
che dà dolore nel test di Lasegue). Maschietti fa così: chiede al Pz di sollevare l’arto inferiore con il piede a
martello fino a quando il Pz sente la trazione, il dolore. A quel punto fa un recoil sulla falce e fa riabbassare
la gamba. Ripetendo il test di Laségue nel 95% dei casi il dolore diminuisce e l’arto inf sale di più. È un tratta-
mento sintomatico.

Test di pressione generali


Esistono dei punti sulla zona ant del corpo che al test di pressione ci indicano probabili disfunzioni:
3 sul cranio, sono punti che rispecchiano i 3 sistemi
Sinfisi mentoniera  struttura (superficiale)
Sutura interincisiva  viscerale (masticazione)
Glabella  sistema della dura madre (falce)

Sinfisi mentoniera  struttura Sutura interincisiva  viscerale Glabella  sistema della dura
(superficiale) (masticazione) madre (falce)
A seguire:
Test di pressione del pavimento buccale
Ioide, Cartilagine tiroidea e cricoidea (eventuale bilanciamento)
Zona tiroidea e timica
Sterno

118
Test a tampone del pavimento buccale

Ioide, Cartilagine tiroidea e cricoidea Zona tiroidea e timica Sterno


(eventuale bilanciamento)
Apofisi xifoidea
Cartilagini condro-sternali
Cartilagini condro-costali

Apofisi xifoidea Cartilagini condro-sternali Cartilagini condro-costali


Coste superiori e inferiori
Clavicole

119
coste sup clavicola coste inf
Test di pressione degli arti superiori da supino

test pressione: spalle test pressione: gomiti

test pressione: ulne test pressione: polsi


Pilastri del diaframma e centro frenico
Cupole diaframmatiche

pilatstri centro frenico


120
cupola sin cupola dx
Ricorda la diversa inclinazione del braccio nei test per le rispettive cupole e per lo stomaco e il fegato.

stomaco fegato
Test di trazione sull’addome (la mano è appoggiata sull’ombelico in uno dei due modi riportati nelle foto) e si
ascolta dove viene trazionata. Sulla zona evidenziata si fanno i test di pressione.

test di trazione con la mano sull’ombelico


Duodeno (4 segmenti intorno all’ombelico cambiando direzione)
Pancreas

121
duodeno primo duodeno II duodeno III duodeno IV duodeno

pancreas
Palpazione dei 9 quadranti (senza entrare nello specifico, che vedremo con Viscerale)
Iliaci
Sinfisi pubica

quadranti iliaci sinfisi pubica


Test di pressione arti inferiori
Poi si possono mettere in bilanciamento le zone più strutturali (tra di loro) e quelle viscerali (tra di loro), per
identificare le zone “critiche”.

Srotolamento fasciale del tronco


2 modalità:
Entrambe le prese vanno fatte al vertice della testa con Pz seduto e una mano sopra vertex.

1. Fasciale (quello che fa vedere Maschietti)


Mantenere la compressione dal vertice verso il basso.
Comincio a ricercare la libertà in tutte le direzioni; dove sento tensione/impedimento aspetto che si liberi e
ricomincio.
122
L’altra mano o il tronco o le gambe mi potrebbero servire per accompagnare il tronco del Pz in E ma il tutto
mantenendo la compressione. Il Pz si deve rilasciare e non deve scivolare.

2. Craniale (ideata da Viola Frymann)


Ci si concentra sulla dura madre (core-link) con meno escursioni.

123
124
125
Anno 4 sem 1_Bonetti

Organizzazione delle Fasce (Slide ppt con commento di Bonetti)


I libri di testo sulle fasce sono un casino, perché la terminologia è diversa in tutti gli Autori, in quanto anato-
micamente la classificazione delle Fasce è diversa in ciascuno. In questa prima parte della lezione faremo un
quadro generale delle Fasce nei diversi Autori.
Materiale: file PPT > Organizzazione delle Fasce

A. Cominciamo con la classificazione del CERDO, quindi francese (slide 2)


ANATOMICA (su 3 piani) FUNZIONALE (su 3 sistemi)
1. Piano superficiale 1. Sistema superficiale (Materia)
-Cute -epidermide -Cute
-derma -Fascia superficialis
-ipoderma -Ap. Superficiale
2. Piano intermedio -Ap. Media (indirizzo muscolare)
-Fascia superficialis 2. Sistema profondo (Movimento)
Piano delle aponeurosi* -Ap. Media (indirizzo viscerale)
-Ap. Superficiale -Ap. Profonda **
-Ap. Media -AACS/AACI
-Ap. Profonda -Lamine basali, M.E.C.
-AACS/AACI (asse aponeurotico 3. Sistema della dura madre (Spirito)
centrale superiore e inferiore) -MTR e Core Link
3. Piano profondo
-MTR (membrane a tensione reciproca) e Core Link
-Lamine basali, MEC (Matrice Extra Cellulare)

*Ricorda che
1) l’Ap. Media è a indirizzo
- muscolare o
- viscerale

2) alcune delle Ap. Superficiali, Medie e Profonde compongono l’AACS e AACI


** Attenzione! Spesso si creano delle confusioni sull’Ap. Profonda.

B. Classificazione per gli Autori anglosassoni (slide 3)


Si procede dalla superficie del corpo verso l’interno/profondità
1. Cute. ANATOMICA (su 3 piani)
2. Fascia superficialis (superficiale)* 1. Piano superficiale
3. Fascia profonda (profunda)** - Cute
4. Fascia dei muscoli 2. Piano intermedio
(epimisio – perimisio – endomisio) - Fascia superficialis
5. Fascia dei visceri (fascia endotoracica - Piano delle aponeurosi
fascia trasversalis), pachimeninge (duramadre) - Ap. Superficiale
6. Pleura – pericardio – peritoneo (parietale e viscerale), - Ap. Media indirizzo muscolare
leptomeninge (aracnoide e piamadre) - Ap. Media indirizzo viscerale
- Ap. Profonda
- AACS/AACI (asse aponeurotico centrale
*In inglese: Superficial fascia superiore e inferiore)
** In inglese: Deep fascia 3. Piano profondo
-MTR (membrane a tensione reciproca)
e Core Link
-Lamine basali, MEC

126
Gli Inglesi quindi chiamano
Fascia Profonda ciò che i Francesi chiamano
Ap. Superficiale. Per intenderci la Fascia Superficialis
è quella che contiene il grasso, che sta subito sotto la cute, che finisce più o meno a livello di polsi e caviglie. Al
di sotto c’è la Fascia Profonda, che per i Francesi è l’Ap. Superficiale, le cui caratteristiche sono di avere delle
inserzioni ossee, tappezzare tutto il corpo e trasmettere delle forze meccaniche.
Poi gli Anglosassoni al di sotto della F. Profonda parlano di Fascia dei muscoli con le sue componenti: epimi-
sio (intorno al muscolo), perimisio (dentro il muscolo nei vari fascetti) e l’endomisio, che si colloca tra le fibre/
cellule muscolari e corrisponde nel muscolo alla Matrice Extra Cellulare (MEC). Vedremo poi il perché.
La Fascia dei muscoli degli Inglesi potrebbe corrispondere alla Ap. Media indirizzo muscolare dei Francesi,
però qui le classificazioni cominciano a divergere.
Poi segue la Fascia dei Visceri, che avvolge l’interno degli organi cavi, in particolare nel torace la Fascia
endotoracica e nell’addome la Fascia trasversalis. Questi Autori hanno poi paragonato lo strato esterno
delle meningi, ossia la Dura madre o Pachimeninge, a questa Fascia dei Visceri, perché la dura madre riveste
l’interno della cavità cranica e quindi a loro è sembrata come una fascia endotoracica del cranio o una fascia
trasversalis del cranio. Inoltre il paragone è possibile anche perché a livello istologico sono molto simili: fibro-
se entrambe, dense, stessa consistenza.
Da ultimo gli Inglesi mettono: Pleura, pericardio e peritoneo. Ognuna composta da 2 foglietti, uno parietale e
uno viscerale. E hanno paragonato a questo strato la Leptomeninge, perché anch’essa è formata da 2 foglietti:
aracnoide e piamadre. L’aracnoide sarebbe il foglietto parietale, mentre la piamadre sarebbe il foglietto visce-
rale in quanto è a contatto con il tessuto.
Nella classificazione francese sorge però un problema a livello degli arti. Vediamo perché (slide 5)
1.Esternamente c’è la cute, 2.a seguire una fascia giallastra che è la Fascia Superficialis, che contiene lo strato di
grasso. 3.Più in profondità abbiamo: la Fascia profonda o Deep Fascia o Ap. Superficiale. 4. A seguire: epimisio,
perimisio, endomisio o Fascia dei muscoli. Poi però se nell’arto è presente lo strato medio della muscolatura
con gli avvolgimenti interni della fascia che lo rivestono, i Francesi parlano di Ap. Media. Non sappiamo però
se intendono l’Ap. Media ad indirizzo muscolare o altro.
La confusione aumenta quando nell’arto parlano di Ap. Profonda. Strano, perché negli arti l’Ap. Profonda non
ci dovrebbe essere, siccome fa parte del sistema profondo. Negli arti dovrebbe esserci solo il sistema super-
ficiale, che termina con l’Ap. Media ad indirizzo muscolare. E invece nei libri francesi sulle fasce si parla di Ap.
Profonda degli arti, intendendo con questo: periostio e le membrane.
Mentre l’Ap. Profonda del tronco fa parte del Sistema Profondo, viscerale.

C. Classificazione di Paoletti (slide 6)


E’ assente la cute. 1. Fascia superficialis
Fascia superficialis = come per gli altri AA. 2. Fasce esterne
Fasce esterne = tutte le fasce esterne alle cavità (quindi esterne 3. Fasce interne
all’addome, al torace e al cranio). Avvolgono gli arti e la muscola- 4. Asse aponeurotico centrale superiore
tura esterna. 5. Asse aponeurotico centrale inferiore
Fasce interne = tutte le fasce che tappezzano le cavità (per es. 6. Asse meningeo
fascia trasversalis, fascia toracica)
AACS/AACI = sono piani più profondi costituiti da alcuni sistemi
Asse meningeo = il più profondo
Il problema di Paoletti è che denomina tutto “Fascia”, salvo però chiamarle aponeurosi quando si riferisce ad
una certa regione.
Le Fasce esterne comprendono le Ap. della Testa: emicranica,temporale, masseterina e della faccia.
Nel tronco non distingue tra epimisio, perimisio… o fasce profonde, ma mette tutto insieme: un casino! In-
vece dovrebbero esserci più strati, per es.l’ Ap. Superficiale e la Fascia dei Muscoli più profonda, che anatomi-
camente sono distinte, mentre Paoletti le descrive come se fossero una fascia unica.
Negli arti invece descrive tutto: ok!
Le fasce interne sono più profonde: ok
Poi Paoletti descrive l’AAC, che ingloba tutte le fasce che partono dalla base del cranio. E’ errato infatti dire che
l’AAC origina solo dal tubercolo faringeo, perché in realtà l’inserzione è abbastanza larga e comprende parte
dei temporali e dello sfenoide, e proprio per questo nell’AAC sono inglobate le seguenti aponeurosi:
127
interpterigoidea, pterigomascellare, palatina,faringea e perifaringea.
Questo tipo d’inserzioni spiegano l’esistenza di certi schemi posturali. Una persona che tende ad essere proi-
ettata in avanti ha probabilmente una tensione, perché l’inserzione di queste aponeurosi alla base del cranio
sta davanti alla linea di gravità, e se le aponeurosi tirano, la persona tende a cadere/andare in avanti.
Mentre se c’è un problema posteriore…altro discorso.

D. Osservazione del cadavere


Il primo strato è la cute (slide 14).
Sotto di essa c’è la Fascia Superficialis o Fascia Superficiale o Superficial Fascia. Ingloba gran parte del grasso,
quindi è più o meno spessa da soggetto a soggetto ed è poco o per niente rappresentata su mani e piedi
(slide 16).
Sotto di essa c’è la Fascia Profunda o Deep Fascia (per gli Inglesi) o Ap. Superficiale (per i Francesi).
Slide 17 > si vede ancora la Fascia Superficialis che è stata aperta e sotto di essa la Fascia Profunda più bian-
castra.
Slide 18 > in giallo e spessa la Fascia Superficialis e sotto, indicato dallo strumento, la Fascia Profunda più
bianca.
Slide 19 > dalla Fascia Profunda partono dei collegamenti per vasi e nervi con la Fascia Superficialis e la cute. E’
interessante che i punti d’emergenza di vasi e nervi che collegano in verticale attraverso la fascia i diversi strati
corrispondono per l’80% ai punti dell’agopuntura (esistono delle teorie sulla stimolazione di questi punti).
Slide 21 > confronto tra Fascia Superficialis e Fascia Profunda in un soggetto magro. Si vede che, anche senza
grasso, si tratta di due strati diversi tra loro.
Slide 22 > al di sotto della Fascia Profunda c’è la Fascia dei Muscoli (epimisio, perimisio, endomisio). Ricordate
che l’endomisio arriva fino alle fibre muscolari e le avvolge. La Fascia dei Muscoli delinea e definisce bene i
muscoli. Di solito nei libri di anatomia è presente questa fascia.
Slide 23 > nell’addome, al di sotto della Fascia dei Muscoli, quindi dopo averli tolti, c’è la Fascia Trasversalis.
Essa con le sue fibre è un tutt’uno col diaframma e la Fascia Endotoracica, quindi è come se ci fosse un sacco
unico aperto sopra e sotto inframezzato dal diaframma. Questo spiega come per es. una tensione sulla gabbia
toracica possa trasmettersi verso il basso attraverso il sistema fasciale.
Slide 24 > sotto la Fascia Trasversalis c’è il Peritoneo parietale. Si vede sopra il peritoneo che il diaframma è
stato sezionato e ribaltato.
Slide 25 > sotto il Peritoneo parietale c’è il Peritoneo viscerale che avvolge tutte le varie anse.
Slide 26 > nel torace si vede la Fascia Endotoracica che si attacca alla faccia interna dei mm. intercostali e delle
coste. Nella slide sono stati tolti i mm. intercostali per evidenziare appunto la Fascia Endotoracica. Al di sotto
si vede la Pleura Parietale (nel cadavere è scollata, ma nel vivo no).
Slide 27 > Al di sotto si vede la Pleura parietale c’è la Pleura Viscerale, che è attaccata al parenchima e scende
nelle scissure, negli anfratti degli organi.
Slide 28 > Pericardio Parietale tra le dita dell’operatore e Pleura Viscerale subito sotto.
Slide 29-35 > vari Autori e rispettive classificazioni. Da vedere e studiare con la guida di un libro di anatomia
accanto.

Significato della Fascia (Slide ppt con commento di Bonetti)


Presentazione di alcuni concetti e del perché è importante lavorare il sistema fasciale. E’ un sistema che fa co-
municare le varie parti del corpo sia a livello macroscopico che microscopico e per questo ha delle influenze
su vari sistemi. Inoltre lo studio della fascia è utile per affrontare le cliniche.
Slide 2 > nel cerchio grande rosa c’è l’Osteopatia e al suo interno ci sono 3 ambiti:
cranio sacrale
muscolo scheletrico
viscerale
Spesso i Pz vengono inquadrati sulla base di questa schematizzazione. Avete visto che ci sono degli elementi
che fanno comunicare questi ambiti uno con l’altro:
1. il sistema della dura madre tra s. cranio sacrale e s. viscerale
2. il sistema neurovegetativo tra s. cranio sacrale e s. muscolo scheletrico
3. il sistema dei meso e degli epiploon tra s. viscerale e s. muscolo scheletrico
Quello che collega tutto è il sistema fasciale.
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Slide 3 > Per fascia, in Osteopatia s’intendono:
tutti i tessuti connettivi (osso, cartilagine, tessuto connettivo propriamente detto, aponeurosi, legamenti, cap-
sule articolari, la cute, il sangue, la linfa …).
Domanda: il muscolo può essere considerato una fascia? Sì, può essere considerato come un tessuto facente
parte della fascia perché, anche se istologicamente viene studiato in modo differente, come l’ osso si è den-
sificato per espletare certe funzioni, vale a dire supportare le forze di trazione e compressione, allo stesso
modo il muscolo è una fascia che ha le capacità di aumentare lo stato di tensione, nel caso del muscolo con
la contrazione.
Slide 4 > Questo perché il corpo umano è stato paragonato, a livello meccanico, a strutture tensègrili o tenseg-
ràli, in cui ci sono alcune parti, per es. i cilindri, che lavorano in compressione o in trazione – secondo la situ-
azione – e degli elementi che sviluppano forze di tensione (come i muscoli nel corpo umano). Le strutture
tensègrili sono state studiate perché hanno delle particolari proprietà meccaniche che sono state riprod-
otte e paragonate a proprietà sia del corpo umano (livello macroscopico) che del citoscheletro (livello micro-
scopico), quindi sono proprietà che si ritrovano, nel corpo, a più livelli. Forzando la cosa si può considerare il
muscolo come facente parte del sistema fasciale. Se ci fate caso molto spesso si parte dall’idea che il muscolo
sia la fibra muscolare che contiene all’interno le proteine contrattili e che all’esterno di esso ci sia un tessuto
connettivo che arriva dal tendine. Si potrebbe però anche fare il ragionamento contrario e dire che il muscolo
è un tessuto connettivo con fibre contrattili al suo interno, che tendono appunto a contrarlo. E’ quello che ac-
cade nel tessuto connettivo lasso dove ci sono fibre muscolari sparse lisce, non striate, che hanno la capacità
di aumentare lo stato di tensione del connettivo stesso. La funzione è di sostenere tutta la struttura e per
questo motivo c’è un tono muscolare di base (nelle strutture tensegrili è necessario che ci sia sempre uno
stato di tensione, sia pur minimo).
Nel sistema fasciale bisogna includere, oltre agli elementi macroscopici, anche degli elementi del mondo mi-
croscopico e in particolar modo la MEC (Matrice Extra Cellulare) e le Lamine Basali.

La MEC è una quella porzione di tessuto che sta fuori dalla cellula (Extra cellulare), quando le cellule hanno un
certo spazio tra loro, o tra una cellula e l’altra (in tal caso si chiama Matrice Inter Cellulare), quando c’è poco
spazio e le cellule sono praticamente attaccate tra loro. La Matrice è anche detta Sostanza Fondamentale ed
è piena di Protoglicani, Glicosaminoglicani, fibre collagene, elastina, quindi proteine strutturali. Nella Matrice
ci sono anche delle cellule caratteristiche della Matrice, ossia i Fibroblasti, poi ci sono delle cellule del Sistema
Immunitario, il capillare, le terminazioni nervose e il vaso linfatico. Questo sistema rappresenta/ricorda il tes-
suto connettivo, quindi la MEC rappresenta a livello microscopico il t. connettivo. Se noi prendiamo la Fascia
per es. del Muscolo che si avvolge sempre di più fino ad arrivare all’Endomisio, ora sappiamo che l’endomisio
rappresenta la MEC del tessuto muscolare, della fibra muscolare. Oppure se prendiamo la capsula esterna di
un fegato ora sappiamo che continua all’interno fino ad arrivare tra un epatocita e l’altro, fino a tutto lo spazio
di Matrice che sta all’interno del fegato tra una cellula e l’altra. Anche quello è fascia. All’interno della MEC si
deve inoltre distinguere una porzione, che si chiama Membrana Basale o Lamina Basale, che fa da sostegno a
cellule che devono essere aggregate tra loro.
Slide 7 > Qui abbiamo uno schema: delle cellule di un tessuto X (n° 10 nell’immagine), sotto di esso la Mem-
brana Basale molto sottile (n° 9) e sotto ancora la MEC con i Protoglicani, i Glicosaminoglicani, il Collagene, ter-
minazioni nervose ossia assoni, il capillare, il Fibrocita, cellule del sistema immunitario. La cosa che c’interessa
è che tutte queste strutture non sono mai a contatto diretto tra loro ma sempre attraverso l’interposizione di
MEC, perché essa ha funzioni di modulazione e di filtraggio, anche a livello biochimico, di tutte le sostanze
che viaggiano lì dentro.
Vediamo nel dettaglio. L’assone che si trova nella MEC a quale sistema appartiene? Al sistema nervoso veg-
etativo ortosimpatico (principalmente). Il sistema ortosimpatico è quello più rappresentato a livello del corpo
e ne innerva ogni cm2, mentre il sistema parasimpatico è presente solo in alcune zone, in alcune sezioni. Il
sistema ortosimpatico viaggia attraverso le arterie, dentro i nn. spinali e si dirama a livello microscopico fino al
capillare (fibre efferenti), dove rilascia mediatori chimici/neurotrasmettitori, per le cellule di quel determinato
parenchima (per es. i neuropeptidi) oppure per le cellule del s. immunitario (per es. la citochina) oppure i fattori
trofici (per il trofismo dei tessuti). Oltre a questo ci sono anche le fibre sensitive (afferenti) che tornano. Dove
viaggiano? Dove vanno? Cosa fanno? Sono fibre mieliniche, viscero-sensitive che viaggiano nuovamente con
il sistema ortosimpatico. Su queste vie afferenti viaggiano informazioni dolorifiche, termiche, meccaniche,
chemiocettive. Tutte queste informazioni sono utili al SNC per conoscere di volta in volta la situazione mec-
129
canica, biochimica, termica, dolorifica della MEC quindi fasciale e regolare alcuni parametri omeostatici. Ecco
perché nella MEC ci sono terminazioni nervose. Poi c’è una componente vascolare che porta nutrienti in gen-
erale (per es. ossigeno), ormoni e cellule del sistema immunitario (i globuli bianchi), che dovranno migrare
fuori dal torrente vascolare. Le tre grandi categorie sono: sistema trofico, sistema immunitario e sistema en-
docrino. Nella MEC avvengono ovviamente degli scambi sulla base di differenze di pressione e poi ci sono
i vasi linfatici che si portano via i cataboliti e eventualmente detriti o cellule varie, ossia o detriti o sostanze
in eccesso, tutto viene drenato. Quindi il drenaggio avviene o nel sangue o nel sistema linfatico. Pertanto
lo spazio della MEC ci dice che è un punto d’incontro di 3 grossi sistemi: nervoso, endocrino e immunitario.
Inoltre tutto ciò che esce dal capillare per andare alla cellula o quello che esce dal nervo passa per lo spazio
della MEC. Molte delle funzioni di scambio/passaggio sono modulate a livello meccanico e se nella MEC sono
presenti tensioni meccaniche a causa di un motivo X tutto questo sistema di scambi può essere alterato con
conseguenti scompensi sulla fisiologia cellulare, sull’irrorazione, sulla circolazione, tutto viene scompensato.
Perché il s. fasciale collega tutti gli ambiti dell’osteopatia (nervoso, endocrino e immunitario) sia da un punto
di vista macro che microscopico?
Slide 8 > Perché i 3 ambiti convivono nel Pz e sono tenuti insieme dal sistema fasciale. Molti studenti nelle
cliniche dicono: “Questo Pz è viscerale” e poi trattano solo il viscere. Non è così. Dovete avere in mente che un
problema viscerale può essere predominante in un certo momento, ma porta sicuramente ad un problema
muscolo-scheletrico e ad un problema sulla meccanica cranio-sacrale. Per cui bisogna sempre valutare ed
eventualmente trattare i 3 sistemi, dando magari maggiore importanza ad uno di esso in quel Pz. Non cadete
nell’errore di dire: questo Pz è per es. strutturale e poi trattate solo quel sistema.
Ora facciamo degli esempi di come si collegano tutti gli ambiti.
Slide 9 > Un problema viscerale può dare un problema cranio-sacrale? Certo perché le fasce che avvolgono i
visceri, attraverso l’Asse Aponeurotico Centrale, possono influenzare il sistema cranio-sacrale.
Oppure una lamina sacro-retto-vescico…del piccolo bacino può causare un problema sulla meccanica cran-
io-sacrale
Altra domanda: un problema del viscere può causare un problema muscolo-scheletrico? Certo perché dal
viscere, attraverso tensioni e retrazioni fasciali, si può mettere in torsione il sacro o una vertebra. A questo
discorso meccanico va aggiunta poi la componente di innervazione. Per cui se si lavora un viscere per forza
bisogna controllare gli altri due sistemi.
Partiamo da un altro punto: un problema muscolo-scheletrico può dare un problema viscerale? Sì, perché se
ho un bacino storto anche i visceri di quella zona lavorano male.
Un problema cranio-sacrale può dare un problema viscerale? Sì, per diversi collegamenti, per es. neuroveg-
etativi.
Slide 10 > Vediamo le fnzioni del sistema fasciale a livello macroscopico:
bisogna cambiare uno schema mentale e pensare che aponeurosi, strati, logge, setti …non dividono delle
zone ma le UNISCONO. Anche quando si lavora bisogna pensare che tutto è collegato. Di solito il muscolo
viene pensato come fibre muscolari che si contraggono, avvolte in un sistema connettivale che termina nel
tendine. Fate il discorso opposto: considerate muscolo, fascia e tendini come UN sistema connettivale con
al suo interno delle cellule che servono a farlo contrarre. Lo stesso vale per il fegato: pensatelo come una
spugna di connettivo riempita di cellule (gli epatociti). In questo modo è chiaro che tirando un elemento della
“spugna”, tutti gli elementi si organizzano secondo dei vettori di forza, delle tensioni, che agiscono a livello
cellulare (vedremo come).
Slide 11 > Il sistema fasciale è un enorme recettore per l’esterocezione (dovuta alla cute), la propriocezione
(dovuta ai recettori meccanici presenti nelle fasce, nei tendini, nei legamenti, nelle capsule), le sostanze chi-
miche e la temperatura. Tutte queste informazioni arrivano al SNC, che a sua volta reagisce regolando da una
parte la risposta del sistema muscolare. Per es. se ho un astragalo fuori posto, ho una tensione sulla capsula,
la tensione attiva certi recettori della capsula, i recettori mandano un’informazione prima midollare poi sovra
midollare, però poi ci sarà una risposta muscolare alterata. La stessa cosa avviene a livello di un viscere o
della MEC in generale. Se ho un PH alterato in acidosi, che cosa succede? Mettiamo che ho un’infiammazione
muscolare o una situazione di infiammazione cronica, per es al ginocchio per tanto tempo, questo significa
che si crea un terreno biochimico nella MEC che mi può variare le condizioni di PH. Quindi che cosa succede
a livello sistemico? Il corpo cercherà di riequilibrare il PH attraverso gli organi preposti, ossia i reni e i polmoni.
Per fare un es. si potrebbe avere un Pz che viene a studio per un problema infiammatorio al ginocchio, nel
quale risultano positivi i test sui reni e sul polmone. Come li mettiamo in relazione? Che cosa c’entra un pol-
130
mone con l’infiammazione da un’altra parte? C’entra per quanto abbiamo detto prima sul ruolo dei reni e dei
polmoni nel regolare l’acidosi.
Per quanto riguarda la vascolarizzazione e il drenaggio vedremo che delle tensioni meccaniche che avven-
gono nella MEC possono influire sulla capacità delle cellule endoteliali dei capillari a produrre nuove reti
capillari. Quindi anche la vascolarizzazione capillare, non quella macroscopica, può essere alterata, in bene o
in male, da una tensione fasciale che si trasmette fino alla MEC.
Stessa cosa per il drenaggio linfatico. Se il dotto linfatico a fondo cieco sta in un ambiente meccanico con delle
costrizioni, si chiude, non funzionare più come dovrebbe e manda a pallino tutta la fisiologia e l’equilibrio
pressorio, che permette il passaggio delle sostanze dal capillare all’interstizio e dall’interstizio al capillare
venoso.
Slide 12 > Stessa cosa per l’innervazione. Anche l’innervazione e la capacità di produrre e rilasciare neurotras-
mettitori dipendono dalle condizioni meccaniche della MEC, ossia della fascia.
Il sistema fasciale trasferisce delle forze, che sono:
traumatiche, per es. se si prende un colpo > vedremo come la forza del colpo si trasferisce grazie al s. fasciale
terapeutiche, ossia quelle che noi diamo al corpo
frequenze e ritmi, per es. la mobiltà, che è il ritmo determinato dal diaframma, oppure la motilità, ossia il ritmo
determinato dal sistema cranio-sacrale, che si può sentire sia sulla coscia che sul fegato. Poi vedremo altri
ritmi, che ci saranno utili per lavorare sul sistema fasciale.
Perché nel corpo esistono, sono importanti i ritmi (per es. respiratorio, circolatorio, cranio-sacrale)? Che sig-
nificato hanno? Agiscono sull’omeostasi e sulla fisiologia cellulare. Sono come un metronomo naturale. La
cellula risponde ai ritmi, sente i ritmi del corpo e in base ai ritmi del corpo gestisce le sue attività interne. I ritmi
è come se fossero i minuti, i secondi, le ore delle cellule. La cellula sa che cosa fare in base ai ritmi. Se il ritmo
viene scompensato per troppo tempo, si scombina questo sincronismo e quindi la cellula può andare incon-
tro ad una fisiologia alterata. Ecco perché in Osteopatia si cerca di ristabilire le corrette frequenze. Le cellule
sanno persino anticipare la sintesi delle proteine. I ritmi sono sia intrinseci che esterni, come per es. luce/buio
(per la secrezione ormonale) o i ritmi stagionali.
Slide 13 > A livello microscopico possiamo arrivare alle stesse conclusioni. Nella MEC le lamine basali integra-
no i diversi sistemi. Abbiamo detto che nella MEC c’è un’innervazione neurovegetativa. Dove va a finire? Prima
nel midollo e poi sale e va alla Sostanza Reticolare, Tratto Solitario e anello con il Nucleo dorsale del vago
(questo nucleo dà una risposta viscerale, ossia il riflesso viscero-viscerale > ripassare il percorso delle fibre del
n.vago e i riflessi viscero-viscerali controllati dal vago), Ipotalamo (che controlla, oltre al vegetativo, in parte il
sistema endocrino – ipofisi - e in parte il s. immunitario). Quindi anche in questo caso troviamo un centro che
controlla i 3 sistemi: nervoso, endocrino e immunitario. La stessa cosa che accadeva in periferia.
L’ipotalamo è poi connesso con il sistema limbico (emozioni, memoria) e con la corteccia (a più livelli: aree
associative etc, etc).
Domanda: un problema nel sistema limbico o nella corteccia mi può dare un problema nella MEC e nel sistema
fasciale a livello microscopico? Sì, perché c’è un collegamento nervoso diretto. Poi vedremo come. Nel sistema
fasciale ci sono delle strutture che hanno la capacità di aumentare lo stato di tono proprio della fascia,delle
aponeurosi > questo spiega perché un problema psichico, come per es. un lutto o un’incazz…(emozioni) pos-
sono bloccare il sistema fasciale, e quindi, attraverso il sistema fasciale, un viscere, una vertebra o la meccanica
cranio-sacrale. I Pz psichiatrici molto spesso hanno il ritmo e l’ampiezza cranio-sacrali squilibrati perché le
membrane di tensione reciproca aumentano lo stato di tensione.
Questo può accadere su un viscere o su una struttura qualsiasi. Se per es. mi rubano la macchina, mi licen-
ziano, mi muore il gatto e mi casca un mattone sull’alluce, non mi devo stupire se mi viene un colpo della
strega. Il soggetto, di fronte a certe condizioni di vita esterna, ha reagito in un certo modo emotivamente e,
per via delle connessioni nervose, c’è stata anche una risposta sul soma.
Oppure posso trovare in un Pz un diaframma duro come un mattone. Se dopo un po’ che lavoro il diaframma
il Pz si mette a piangere, non mi sorprendo o penso che il Pz è matto? E’ successo che ho allentato tensioni in
periferia, c’è stata un’afferenza, l’afferenza ha beccato il suo circuito neuronale (che nel tempo si è connesso
sinapticamente, per cui è facilitato) e che mi ha stimolato un’emozione sul sistema limbico e la corteccia.
Quindi i trattamenti somato-emozionali non sono niente di esoterico, ma molto reali. La cisti energetica è un
punto di tensione fasciale, che, una volta liberato, può stimolare delle emozioni. Infatti più i circuiti neuronali
vengono attivati più le connessioni diventano permanenti, per cui se una persona vive in uno stato depressivo
per tanto tempo, per es. per un lutto, ha formato certi collegamenti neuronali, che magari vanno a produrre
131
un blocco meccanico periferico. Se si libera in periferia la parte interessata, si attiva lo stesso circuito e alla
persona può venire in mente il lutto e tutte le emozioni connesse. Quindi è solo un discorso neurofisiologico,
niente di più.
Poi abbiamo il sistema vascolare, che arriva nella MEC e veicola ormoni (sistema endocrino) e cellule immu-
nitarie (sistema immunitario). Anche qui ritroviamo questi 3 sistemi, che tra l’altro comunicano tra di loro non
solo per una questione nervosa (SNVegetativo, ipotalamo, ipofisi) ma anche per una questione chimica, per
es. attraverso il sistema delle citochine, che agiscono in gran parte nella MEC e mettono in comunicazione il
sistema immunitario con quello che succede all’interno della MEC. Studieremo come la capacità di migrazi-
one dei neutrofili o la capacità con cui le cellule immunitarie escono dal sangue ed entrano negli spazi inter-
stiziali sono veicolate da cause chimiche ma anche meccaniche. Di conseguenza se la MEC sta in condizioni
meccaniche ottimali anche l’immunità diventa ottimale oppure può essere alterata.
Poi abbiamo il liquido cefalo-rachidiano. A che cosa serve? Ha una funzione meccanica e poi veicola molte
sostanze biochimiche: neurotrasmettitori, neuropeptidi…..
Nella moderna neurobiologia pare che solo una piccolissima percentuale dell’informazione sia veicolata at-
traverso i collegamenti sinaptici, mentre la maggior parte delle molecole informazionali, che hanno un’attività
sul neurone e sulle cellule gliali (che a loro volta intervengono in modo considerevole sull’attività neuronale)
viaggino attraverso il liquido cefalo-rachidiano. Quest’ultimo non è solo quello che sta nella Grande circolazi-
one: ventricoli e spazio subaracnoideo, bensì anche quello che entra, attraverso gli spazi di Wilschon Robin
situati intorno ai vasi, nello spazio intercellulare del tessuto nervoso, dove c’è la glia. Infatti il tessuto nervoso
sta a bagno nel liquido interstiziale cefalo-rachidiano, ricco di sostanze chimiche. Inoltre il liquido cefalo-
rachidiano comunica e viene drenato sia dal sangue, sia dalla mucosa della lamina cribrosa, attraverso i filetti
nervosi del 1° n. cranico (n. olfattivo). Nella mucosa viene preso in carico dal sistema linfatico. Un’altra parte
dove il liquido cefalo-rachidiano va a finire in periferia, attraverso gli spazi periconnettivali (attorno ai neu-
roni) dei nervi spinali, è rappresentata dagli spazi interstiziali, dalla MEC.
La terminazione nervosa che abbiamo visto nella slide 7 precedentemente è inguainata dal connettivo del
nervo: perinervio, epinervio, endonervio. All’interno di peri-, epi-, endo- c’è una parte del liquido cefalo-ra-
chidiano, che a monte è partito dallo spazio subaracnoideo e in periferia raggiunge gli spazi interstiziali. Quin-
di il liquido cefalo-rachidiano si connette con il sangue, la linfa e gli spazi interstiziali. Nello spazio interstiziale
arriva il capillare, attraverso cui filtra il liquido cefalo-rachidiano per raggiungere lo spazio interstiziale.
La MEC è composta da fibre, protoglicani, etc etc. Essi sono attaccati meccanicamente a delle proteine di
membrana che stanno sulla membrana cellulare. Le proteine di membrana comunicano all’interno, oltrepas-
sando la membrana, con il citoscheletro (impalcatura di microtubuli, microfilamenti..che stanno dentro la
cellula). Il citoscheletro a sua volta continua dentro con il nucleo, dove si trova il DNA. Quindi c’è una comuni-
cazione diretta, meccanica tra MEC e nucleo cellulare. Pertanto le forze meccaniche che agiscono nella MEC
influenzano direttamente il nucleo e quindi la fisiologia della cellula.
Il citoscheletro ancora però non solo il nucleo ma i vari organelli. Per es.tutta l’attività mitocondriale, il rilascio
delle vescicole nel citoplasma, l’attività del retino endoplasmatico è comandata in parte dalle tensioni che si
sviluppano nel citoscheletro e che a loro volta dipendono in parte da tensioni che si sviluppano fuori dalla
cellula e che a loro volta dipendono da tensioni che hanno origine dal sistema fasciale.
Slide 16 > Ci sono inoltre delle proprietà che riguardano il legame tra proteoglicani, glicosaminoglicani e
l’acqua e che influiscono sull’attività della cellula e la piezoelettricità. Se un cristallo viene compresso o stirato
meccanicamente produce un campo elettrico. AL contrario un campo elettrico che stimola un cristallo di un
certo tipo produce movimento/vibrazione: è un po’ quello che succede con gli orologi al quarzo. Il quarzo è
un cristallo, la batteria gli manda un impulso elettrico e il cristallo produce un movimento che fa appunto
muovere le lancette. Al contrario accade che ad es. l’osso ha questa componente: se viene stimolato mecca-
nicamente produce un campo elettrico. Nel femore la corticale esterna lavora in trazione e la corticale interna
in compressione. Nei due versanti si crea una differenza di cariche elettriche: positive da una parte e negative
dall’altra.Questa differenza di potenziale attiva o l’attività osteoblastica o l’attività osteoclastica, per cu attiva
la fisiologia cellulare. Questo discorso è valido nell’osso ma anche nel connettivo, perché ha delle proprietà
piezoelettriche. Se prendete una fascia e la comprimete o la tirate o create una restrizione di mobilità, lì si
crea un cambiamento del campo elettrico di quella zona, che influisce sulla fisiologia cellulare, perché tutte
le cellule hanno un potenziale elettrico e tutti gli scambi con l’ambiente extracellulare sono governati dai
potenziali elettrici: ioni, cariche elettriche, cariche che entrano-escono, pompe che salgono e si chiudono…
Se tutto ciò sta in un potenziale elettrico alterato anche tutti gli scambi lo sono.
132
Slide 20 > Si vede una placca motrice: un assone con un bottone sinaptico e la fibra muscolare. Che cosa c’è
nello spazio intersinaptico? Nella parte bianca dell’immagine è rappresentato l’endomisio, ossia la MEC. Ad-
dossata al sarcolemma ( ossia la membrana cellulare) c’è la membrana basale, che va a finire nello spazio si-
naptico. Quindi la membrana basale va a finire TRA le sinapsi e qui ha un’azione sulla modulazione, filtraggio,
selezione delle molecole di neurotrasmettitori, che escono nello spazio sinaptico e devono poi contattare i
siti di membrana. Potete immaginare che se c’è una tensione meccanica che arriva fino a questo livello, anche
la trasmissione sinaptica, a livello di placca motrice, può essere alterata, perché la fascia è tirata come non
dovrebbe. In questi casi l’ambiente chimico è in tilt.
La PNEI (Psico–Neuro–Endocrino–Immunologia), che è la branca della medicina che sta andando di moda
adesso e che studia le connessioni tra ta psiche e il sistema endocrino-immunitario-nervoso, trova come ter-
reno anatomico proprio la MEC, il sistema fasciale. Per cui il sistema fasciale a livello macroscopico connette
i 3 ambiti osteopatici, mentre a livello microscopico ha un’azione su molti parametri dell’omeostasi, della
fisiologia cellulare, etc etc

Sistema Nervoso Autonomo


Ci sono delle tecniche e dei test che servono per valutare il sistema vegetativo globale del Pz e il test d’elezione
è quello dei globi oculari. Poi ci sono dei test e delle tecniche singole che servono per valutare lo stato neu-
rovegetativo del singolo organo (fegato, stomaco..). Questo perché può capitare di avere un Pz con uno stato
neurovegetativo normale ma con un’alterazione neurovegetativa di un singolo organo, per es. il fegato. Questa
alterazione neurovegetativa si accompagna quasi sempre ad una disfunzione viscerale sulla mobilità. Quindi
ogni volta che inquadrate un Pz da un punto di vista viscerale e dite per es. “Ok, è il fegato il responsabile dei
sintomi del Pz”, oltre a fare tutti i lavori sul viscerale, dovete obbligatoriamente andare a vedere il neuroveg-
etativo del viscere, attraverso dei test specifici e un lavoro specifico. Infatti se non lavorate il neurovegetativo
la disfunzione sulla mobilità vi ritorna.
Il fatto di avere delle situazioni iperpara, ipopara, iperorto non è sempre disfunzionale, perché ci sono delle
situazioni in cui è funzionale avere per es. un iperorto o un iperpara. In questi casi non dovete correggere, per-
ché altrimenti si fanno più danni che altro. Per es. viene un Pz a studio che dice “Mi hanno rubato la macchina,
è morto il gatto, mi sono schiacciato un dito con il martello…sono incazz nero”. Facendo il test dei globi ocu-
lari risulta iperorto. Che fate, lo correggete? No, perché in quel caso l’organismo, il corpo sta facendo fronte
ad una situazione emotiva e quindi tutto il sistema ormonale, immunitario..deve essere pronto ad affrontare
questa situazione. Stessa cosa se il Pz ha una malattia, per es. una polmonite. Se lo trovo in iperorto è normale
perché il corpo sta affrontando quella situazione (ricordate: combatti e fuggi).
Dopo un periodo di iperorto ci deve però essere una soluzione, per es. “Mi sono ricomprato la macchina, ho
preso un altro gatto e il dito non fa più male”. Ho risolto il problema. Oppure “Non ho più la polmonite, sono
guarito”. In questa seconda fase il Pz è normale che sia in iperpara, perché è il periodo di convalescenza, il
parasimpatico deve recuperare. Quindi se un Pz viene a studio e dice di aver avuto la polmonite e di averla
risolta una settimana fa e, al test dei globi oculari, risulta in iperpara, non devo correggerlo ma lasciarlo così.
Oppure se viene un Pz che ha fatto la maratona due giorni prima e risulta in iperpara al test dei globi oculari,
ugualmente non devo fare niente perché dopo uno stress fisico forte il corpo deve avere tempo di recuper-
are.
Il problema nasce quando i periodi di iperorto o iperpara superano i tempi fisiologici, perché in tal caso rischia-
no di cronicizzare. Il tempo medio è di circa 2 mesi. Dopo i 2 mesi si innescano dei meccanismi di cronicizzazi-
one che possono portare nel tempo alle distonie neurovegetative, quindi uno squilibrio del neurovegetativo
che rimane nel tempo. Se una persona vive a 2000 per 3 anni, perché ha avuto un evento traumatico o per
i cavoli suoi, sta in iperorto, il sistema vegetativo arriva ad una sorta di esaurimento, per cui il parasimpatico
cerca di riequilibrare a tutti i costi ma senza riuscirci e ci saranno degli eventi in cui uno va su, poi anche l’altro,
oppure tutti e due vanno in iper, ossia l’ambito delle distonie neurovegetative.
Le distonie sono delle situazioni in cui entrambi i sistemi sono squilibrati contemporaneamente. Il test dei
globi oculari ci dice come sta il Pz in quel momento e l’Osteopata, attraverso l’anamnesi deve valutare se il
sistema neurovegetativo è realmente in disfunzione oppure se si tratta di una reazione fisiologica.

Test dei globi oculari


Si prende la frequenza cardiaca e il numero dei battiti. La normalità è quando il Pz sta nella finestra giusta della
frequenza e quando, schiacciando i globi oculari, o non sentite nessuna risposta, non c’è variazione del polso
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oppure, se c’è una variazione, è leggermente verso il para, per cui il polso tende ad affievolirsi un altro po’.
Questo è normale perché il test dei globi oculari evoca il riflesso oculo-cardiaco. Infatti se comprimete i globi
oculari per parecchio tempo si ha sempre una netta risposta para: diminuisce frequenza, battito e pressione.
Questo vi dice che facendo il test il contatto con i globi deve essere mantenuto solo per 3-4 secondi, non di
più. La risposta è immediata. Nei tempi lunghi la risposta è per forza para.
1.Se ho un Pz tachicardico e la risposta al test è l’accentuazione del battito, avrò un iperorto.
2.Se ho un Pz bradicardico e la risposta al test è un battito filante, avrò un iperpara.
3.Se la frequenza è normale e la risposta al test è orto, avrò un ipopara (perché il parasimpatico non riesce a
riequilibrare subito, è più stimolato l’orto).
4. Se la frequenza è normale e la risposta al test è para, avrò un ipoorto.
5. Se ho una tachicardia e una risposta para, avrò una distonia (entrambi i sistemi sono in iper)
6. Se ho una bradicardia e una risposta orto, avrò una distonia (entrambi i sistemi sono in iper, o in un senso
o nell’altro, punto 5 o 6).
I sintomi delle distonie sono sintomi sia di un sistema che dell’altro, per es. una tachicardia (orto) con ten-
denza allo svenimento (para) oppure la pressione sotto le scarpe (para) e la tachicardia di compenso (orto). I
due sistemi se ne vanno per conto loro.
Se il range, la soglia tra 60 e 80 battiti al minuto è la norma in un Pz medio, sedentario non significa che 81,
82 battiti siano un indice di anormalità, però 85 magari sì. Naturalmente bisogna valutare da Pz a Pz. Per es.
Bonetti ha 50 battiti al minuto e quindi la soglia nel suo caso va spostata verso il basso. L’indice 60-80 rap-
presenta un indice di massima, non è preciso (ma non bisogna neppure vedere il pelo nell’uovo!), è la fascia
normale che va bene per soggetti medi della popolazione normale, sedentaria, che non fa grosse cose. Tutto
ciò che va troppo sopra o troppo sotto va valutato in un certo modo.
A proposito delle distonie dovete ricordare che solo con le tecniche osteopatiche non si hanno dei grossi
risultati a meno che il Pz non venga a studio solo per questo problema e sia possibile trattarlo con una certa
regolarità, in modo da ridare un’informazione al corpo. Le distonie avvengono in situazioni in cui si sono in-
nescate anche altre reazioni, che riguardano il sistema endocrino, per es. gli ormoni dello stress …è una cosa
complessa. E poi senza vergogna bisogna chiedere al Pz se fa uso di psicofarmaci o di droghe, perché in questi
casi è logico che sia in distonia.

Plasticità della Fascia (Slide ppt con commento di Bonetti)


Vediamo che cosa succede al sistema fasciale quando lo sottoponiamo a sollecitazioni meccaniche e soprat-
tutto come possiamo spiegare perché l’Osteopata ha certe sensazioni mentre lavora, per es. che il tessuto si
muove, va in certe direzioni che non sono né quelle del ritmo cranio-sacrale né della respirazione. E’ una sug-
gestione oppure succede qualcosa? E che dire quando al test di pressione si sente una zona dura? Cercherò di
spiegare quello che succede nel tessuto.
Per fare questo bisogna cambiare il modo di vedere il sistema fasciale. Alcune cose le abbiamo già dette. La fas-
cia innanzitutto non è qualcosa che divide, ma che unisce le varie porzioni anatomiche. Bisogna capirlo anche
da un punto di vista meccanico. Se ho due porzioni anatomiche A e B e tra di loro un setto, devo pensare che
A e B sono unite dal setto e che se tiro la A questa si porta appresso anche la B. Un setto quindi unisce mecca-
nicamente e anche biochimicamente, se consideriamo la Matrice Extra Cellulare (MEC). Se consideriamo per
es. il fegato come una spugna (ossia la struttura connettivale-fasciale) e la riempiamo di epatociti e di altre
cellule, vediamo che tirando questa spugna si creano dei vettori di forza che hanno una determinata direzi-
one. Bisogna avere questa idea di vettori di forza, di qualcosa che tira verso una determinata zona,soprattutto
quando faremo la pratica.
Un po’ di storia. Già Vesalio nel 1500 ha provato a capire quale poteva essere un sistema o un organo che
potesse rispecchiare la globalità anatomica del corpo. La fascia è l’impalcatura del corpo, l’organo della forma,
perché senza di esso saremmo una pozzanghera semigelatinosa per terra. Vesalio studiò il sistema circolato-
rio, nervoso e fasciale. Aveva individuato un “corpo vascolare”, ovviamente escludendo i capillari (che sono
stati scoperti nell’800), attraverso cui si può riprodurre tutta la forma del corpo umano. Poi aveva studiato il
“corpo nervoso” (escludendo però le fibre microscopiche e quelle del sistema vegetativo), che arriva ovunque
e può rispecchiare, allo stesso modo di quello vascolare, l’integrità del corpo. E da ultimo il “corpo fibroso” che
è tutto l’insieme di aponeurosi e fasce e che rappresentano tutta la struttura macroscopica, ma non quella
microscopica come ad es. la MEC, che a quel tempo sarebbe stato impossibile sezionare. Però, se fate caso,
Vesalio con i suoi 3 corpi rappresenta quella che per l’Osteopatia è la globalità. E’ quello che diceva anche Stil
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e quindi inseriamo anche la fascia nella globalità.
Slide 6 > Ai 3 corpi di Vesalio: vascolare, nervoso e fasciale, dobbiamo aggiungere il sistema endocrino e il s.
immunitario che agiscono attraverso un altro tessuto, ossia il sangue, che è liquido, va ovunque e rispecchia
la globalità. Ricordate che il s. immunitario ha una “memoria” delle cose che accadono nel corpo. Ieri abbiamo
visto che la MEC, ossia il tessuto connettivo, ha anche una sorta di memoria metabolica, biochimica di quello
che succede nel corpo. Quindi il sistema immunitario è uno di quei sistemi che ha la capacità di memorizzare
alcune situazioni, in questo caso le situazioni relative all’immunità.
Anche il sistema endocrino è studiato/rappresentato come un sistema di ghiandole con una funzione en-
docrina. Esiste però, accanto a questo, anche un “sistema endocrino”, cioè ormonale, che agisce localmente
nei tessuti: sono tutti quegli ormoni tissutali prodotti ad es normalmente o in situazioni patologiche, come
l’infiammazione, e che hanno un’azione paracrina, autocrina….
Le fasce integrano tutti questi apparati: arteria, nervo, sistema endocrino ed immunitario > rispecchia il con-
cetto di globalità in Osteopatia.
Slide 7 > La fascia unisce tutte le varie parti del corpo sia da un punto di vista macroscopico che microscopico,
attraverso la MEC. E’ importante ricordare che attraverso il citoscheletro, le proteine di membrana e la MEC si
crea una connessione con il nucleo della cellula, quindi con il DNA. Pertanto in base alle forze meccaniche che
si sviluppano sulla MEC, posso avere delle ripercussioni anche sulla replicazione del DNA, o su alcune situazi-
oni fisiologiche della cellule come per es l’apoptosi o la morfogenesi embrionale: le cellule dell’embrione ven-
gono guidate nella loro proliferazione e soprattutto nella differenziazione, oltre che da fattori chimici, anche
da situazioni puramente meccaniche, per es. tensioni, compressioni…Le tensioni possono anche influenzare
la replicazione del DNA, dando luogo per es. alla proliferazione di cellule tumorali. Alcuni tumori del fegato,
come gli epatomi, sono su base meccanica e questo dovrebbe aiutarci a capire che importanza ha riequili-
brare un corpo da un punto di vista meccanico. E’ un lavoro che ha delle ripercussioni profonde. Il problema
è che purtroppo in Osteopatia, con le conoscenze attuali, non si può sapere se un lavoro sulla mobilità del
fegato può servire a prevenire un epatoma, però è probabile che sia così, perché ci sono i presupposti mec-
canici. Una grossa parte della biologia cellulare studia queste cose, come ho avuto modo di riscontare stando
a cena una volta con un certo Vescovi, un genetista che studia le cellule staminali e che mi ha confermato che
le stimolazioni meccaniche sulla cellula sono uno dei più grossi stimoli dell’attività cellulare. La meccanica è
quasi più importante della biochimica > noi Osteopati facciamo un grosso lavoro senza sapere di farlo.
Slide 8 > La lezione di oggi vuole spiegare che cosa accade quando alla palpazione sentiamo una zona dura/
di maggior tensione e poi, dopo pochi secondi o minuti, la zona perde la sua durezza, la sua tensione. Questo
accade spesso anche sull’osso. Com’è possibile che dopo pochi secondi sento il dito sprofondare nell’osso? E’
una suggestione? Però ripetendo il test di pressione si sente che effettivamente il punto duro è sparito. Ho
sentito male prima? No, in realtà accadono alcune cose. Niente di esoterico.
Slide 10 > Ci sono alcune vecchie teorie che cercano di spiegarlo. Una di queste è il modello gel-sol, che è alla
base del Rolfing (un metodo per lavorare la fascia) e poi di un testo di un tale Stecco, Manipolazione fasciale.
Il tessuto connettivo è considerato come una sostanza colloidale, perché ha una componente viscosa. Essa
cambia la sua viscosità, quindi diventa più liquida o più gelatinosa in base a diverse situazioni, sia biochimiche
(ph, temperatura…) sia di sollecitazioni meccaniche. Questa proprietà si chiama tixotropia. Il problema è che
questo processo richiede una sollecitazione per un lungo periodo di tempo (ore o giorni) e quindi non spiega
i cambiamenti che avvengono nel giro di pochi secondi o minuti.
Poi c’è il modello piezoelettrico. Quando il tessuto connettivo viene stimolato da alcune forze meccaniche,
si creano dei campi elettrici, perché i PG (Protoglicani) e i GAG (Glicosaminoglicani), poiché sono elettronega-
tivi, si legano all’acqua e formano una rete di cristalli liquidi. I cristalli liquidi, sollecitati da forze meccaniche,
creano dei campi elettrici, dei cambiamenti di potenziale. Questi cambiamenti stimolano la fisiologia dei fi-
broblasti, inducendoli a produrre più elementi, per es. proteine collagene, elastina (in più o in meno, dipende
dal tipo di sollecitazione). Quando ad es. nello stretching si mette in allungamento il connettivo, se la tensione
si protrae per un certo tempo, il fibroblasta è indotto a formare più proteine elastiche (= elastina), invece se
è sollecitato in un altro modo e magari per meno tempo, produce più collagene. Quindi in base al tipo di sol-
lecitazione sul connettivo, viene prodotto più un tipo di proteina anziché un’altra. Per questo le posizione as-
sunte nello yoga e nello stretching devono essere protratte per alcuni minuti per essere efficaci. Un allunga-
mento di 20’’ non serve a niente! Ha un effetto momentaneo, senza un’azione sulla cellula, sul fibroblasta.
Invece una tensione mantenuta per molto tempo, induce un cambiamento nella produzione delle proteine
del fibroblasta, per cui l’azione sul connettivo rimane duratura. Il motivo è che si creano dei cambiamenti sulla
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fisiologia della cellula stessa.
Però questa spiegazione fa un po’ acqua, perché l’emivita del collagene è di 300-500 giorni, mentre l’emivita
della sostanza fondamentale va da 1,5 a 7 giorni. Questo significa che per avere un cambiamento sostanziale
del tessuto queste sollecitazioni devono essere protratte e riprodotte per lunghi periodi di tempo. Per cui
questo non spiega i cambiamenti di tessuto repentini, che avvengono dopo pochi secondi.
Dobbiamo quindi pensare ad un altro sistema che possa regolare velocemente lo stato di tensione della fas-
cia. Questo sistema è il Sistema Nervoso. Esso comunica in 3 modi:
- attraverso le sinapsi
- la circolazione del Liquido Cefalo Rachidiano (esterna)
- la circolazione asso-plasmatica (interna)
Il LCR è ricco di neurotrasmettitori, neuropeptidi, tanto è vero che la moderna neurobiologia dice proprio
questo: che la comunicazione tra i neuroni avviene anche attraverso il LCR e non solo attraverso le sinapsi.
L’altra circolazione liquida del SN che è quella asso-plasmatica, del citoplasma. E’ una circolazione che può
essere sia anterograda che retrograda e che trasporta molte cose: nutrienti, fattori di crescita….In alcune situ-
azioni molti virus e batteri vengono captati nella MEC dalle terminazioni libere neurovegetative e vengono
veicolate verso il corpo cellulare. Quindi alcuni tipi di neuroni fungono proprio da immuocettori. All’interno
della circolazione asso-plasmatica viaggia un po’ di tutto. E’ bene sapere che esiste sia una circolazione interna
che esterna, perché per es. Viola Fryman insiste molto sul “flusso asso-plasmatico”. Lei lo spaccia come qualco-
sa di nuovo, in realtà sono teorie degli anni ’50 e dice che le tecniche manipolative (anche quelle cranio-sacrali
e fasciali) intervengono dall’esterno cambiando gli equilibri meccanici del sistema e quindi anche dell’assone
del nervo, con modificazioni del trasporto asso-plasmatico.
Il nostro discorso parte dalla periferia, perché quando si mette la mano per fare un test di pressione e si sente
duro o quando si cerca di far rilasciare un tessuto, la mano dell’osteopata a livello della cute è in relazione con
i recettori. Vediamo i vari recettori implicati nelle situazioni osteopatiche e che hanno una ripercussione sul
sistema fasciale. I recettori principali che attiviamo nelle tecniche fasciali sono principalmente:
gli organi del Golgi (gli Organi tendinei del Golgi sono simili e si trovano nella giunzione neuro-muscolare)
> molti di essi sono integrati nel connettivo, sia del muscolo che di fasce profonde. L’organo del Golgi ha una
connessone principale con il muscolo striato. Se attivo, con delle tecniche, questo recettore, avrò una risposta
dei motoneuroni alfa e gamma, soprattutto del circuito gamma, che regola il tono della muscolatura, ma
non solo inteso come semplice riflesso ma come anticipazione dell’azione motoria. La contrazione muscolare
avviene un secondo prima dell’inizio dell’azione, perché non funzioniamo per riflessi. Questa capacità di an-
ticipazione è dovuta anche alla regolazione del tono gamma, in funzione delle molte afferenze che arrivano
dalla parte corticale, visiva, vestibolare… Gli organi del Golgi sono stimolati da tecniche tissutali forti (come
intensità) e profonde (per es. la siderazione, che viene fatta su tendini e muscoli).
Altri recettori sono i Corpuscoli di Pacini e i Corpuscoli Paciniformi. Essi rispondono a cambiamenti ra-
pidi di pressione e vibrazione. Sono stimolati da tecniche quali il recoil, che dà una tensione e rilascia velo-
cemente, oppure dal rebound o dal thrust.Questi recettori sono contenuti principalmente nella giunzione
muscolo tendinea, nelle capsule di qualsiasi articolazione, nei legamenti spinali densi, nelle fasce muscolari
e nel peritoneo. Praticamente quasi tutto l’apparato muscolo-scheletrico è ricco di questi recettori. Questo
spiega perché nella parte strutturale si usino molto queste tecniche veloci. Ma questi recettori si trovano
anche nel peritoneo e in fasce simili, quindi nelle pleure e nel pericardio. Questo giustifica l’uso del recoil nel
trattamento viscerale.
Poi ci sono gli Organi di Ruffini, che vengono attivati da pressioni durevoli nel tempo e stimolati nelle tec-
niche lente e profonde. Sono presenti nella duramadre, nello strato superficiale delle capsule, nei legamenti
periferici, nelle fasce profonde, …Ecco perché nel lavoro cranio-sacrale non si usano i thrust, proprio perché
si vogliono attivare gli organi di Ruffini. In realtà storicamente la spiegazione del perché una tecnica funziona
si è scoperto dopo. Il fatto che nella duramadre, nei legamenti periferici ….etc etc ci siano dei recettori mec-
canici, significa che ci sarà di riflesso un’azione meccanica. Le strutture fasciali hanno la capacità di aumentare
lo stato di tensione, perché sono dotate di una componente afferente, ossia i recettori che abbiamo visto, e
di una componente efferente, che creerà una condizione meccanica sui tessuti fasciali. Gli Organi di Ruffini
inibiscono anche indirettamente il sistema nervoso ortosimpatico, perché la MEC è innervata principalmente
dal neurovegetativo. L’azione d’inibizione del sistema nervoso ortosimpatico spiega perché spesso si dice
che in Pz con l’ortosimpatico già elevato si preferisca fare tecniche lente, profonde, funzionali, perché hanno
un’azione anche d’inibizione sull’ortosimpatico. Se un Pz è in ortosimpaticotonia fare tanti thrust lo rendereb-
136
be ancora più “elettrico”.
Il sistema fasciale è un enorme sensore, è l’organo sensoriale più vasto organo del corpo. Questo è confer-
mato anche dal fatto che tutti i recettori e i meccanorecettori, che stanno all’interno del tessuto connettivo,
trasportano informazioni attraverso i nervi, che sono sia autonomi, ma soprattutto attraverso fibre autonome
che viaggiano oltre che sulle fibre dell’ortosimpatico, anche sui vasi e sui nervi spinali.
Ricorda che le v ie dell’ortosimpatico sono di solito 3: nervi specifici, vasi e nervi spinali periferici.
Molte delle fibre dei nervi spinali sono sensitive (circa il 75%). In un classico nervo motorio la maggior parte
delle fibre sono sensitive, ossia sono afferenze che arrivano dalla periferia e la maggior parte delle informazio-
ni arrivano dalla fascia/tessuto connettivo/MEC. Arrivano informazioni di vario tipo: meccaniche, chimiche…
In un nervo somatico tipo il 40% delle fibre sono vasomotorie, per cui appartengono all’ortosimpatico per la
vasocostrizione, gran parte di fibre sono sensitive e una piccola percentuale sono motorie. Alcuni nervi cranici
descritti come nervi motori puri, in realtà non lo sono perché contengono sempre fibre neurovegetative e
sensitive, anche se in percentuale minima. Molto spesso servono per la vista del nervo stesso, che deve essere
irrorato e innervato da se stesso.
Altri recettori sono le Terminazioni Libere, che sono recettori multimodali, perché portano informazioni non
solo nocicettive ma anche chimiche e termiche del connettivo. Anche la situazione termica della MEC e del
tessuto connettivo sono importanti per molte cose ma soprattutto per la fisiologia della cellula. E sono anche
meccanocettori sensibili a due forze: la tensione e la compressione. Tensione e compressione sono alla base
della tensegrità.
In alcuni casi le Terminazioni Libere vengono attivate da una determinata condizione meccanica e portano
l’informazione di dolore. Quando la condizione meccanica è cessata, le Terminazioni Libere continuano a
mandare la sensazione di dolore anche quando lo stimolo non c’è più, quindi hanno una sorta di memoria
del dolore. Può succedere per es. che un Pz continui ad avere un dolore tipo sciatica anche quando la com-
pressione meccanica non dà più fastido. Questo avviene perché le terminazioni nervose continuano a dare
afferenze nocicettive anche quando non c’è più lo stimolo meccanico. Questo avviene sia per una condizione
meccanica, perché il tessuto connettivo/la MEC si è modificato meccanicamente, sia per un cambiamento
biochimico, che riguarda il drenaggio…etc etc. La nostra azione sarà quella di dare al sistema connettivo un
ambiente meccanico macro e microscopico tale per cui le Terminazioni Nervose Libere sparino meno impulsi
di dolore, è come se loro registrassero che la tensione meccanica è cambiata e di conseguenza non inviano
più impulsi dolorifici. Quindi l’ambiente chimico attiva una determinata risposta omeostatica, ma bisogna
tener presente che c’è sempre una modificazione del Sistema Nervoso Autonomo.
Ogni volta che attiviamo questo tipo di recettori, soprattutto quelli tipo Ruffini, Pacini..c’è sempre una risposta
diretta, nel bene o nel male, del Sistema Nervoso Autonomo, come un riflesso. Per cui quando facciamo un
thrust, un recoil, una tecnica funzionale c’è SEMPRE una risposta del Neurovegetativo, che può essere più o
meno compensata dal corpo con cambiamenti nella:
Pressione del sangue
Frequenza cardiaca
Frequenza respiratoria
E tutto quello che ne consegue: nutrienti, sistema immunitario…
Slide 21 > Hanno fatto degli studi ed hanno visto che pressioni lente e profonde sull’addome e sulla pelvi at-
tivano quei recettori che abbiamo visto prima e inducono un’attività parasimpatica e vagale (quindi non solo
ortosimpatica), agiscono sull’ipotalamo direttamente, attraverso il Sistema Nervoso Vegetativo (è il circuito
che abbiamo visto ieri), e di conseguenza influiscono sull’attività ormonale generale del corpo e di tutto ciò
che è controllato dall’ipotalamo. Inoltre provocano una sincronizzazione delle onde elettroencefalografiche,
il Pz si rilassa, entra in uno stato di coscienza “alterato” tra il sonno e la veglia. Questa condizione capita molto
spesso quando si lavora sul Pz con determinate tecniche, molti si addormentano, altri rimangono in uno stato
di semiveglia, altri dicono di vedere dei colori. Questo si spiega perché il SNC entra in uno stato di coscienza
alterato che si può chiamare meditativo.
Slide 22 > Le stesse cose valgono per i meccanorecettori viscerali, la cui stimolazione ha una doppia azione
sia generale che locale, perché attiva sia il SNVegetativo che il sistema nervoso enterico (SNE). Quest’ultimo è
quasi del tutto scollegato dai centri superiori. Se faccio per es. un recoil sull’ansa dell’intestino attivo dei recet-
tori che si trovano pure sul peritoneo viscerale, che stanno dentro la tonaca muscolare e la muscosa. Quindi
con determinati riflessi regolo sia attività locali (plesso di Auerbach > effetto sulla peristalsi) che attività gen-
erali regolate dal SNV.
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Slide 23 > Principalmente attraverso gli Organi tendinei del Golgi ho un’attivazione soprattutto del circu-
ito gamma, che è alla base del feed forward, ossia l’attività anticipatoria del movimento, che non è solo del
sistema muscolare ma di tutte le cellule grazie ai ritmi.I ritmi hanno spesso un’azione anticipatoria sulle fun-
zioni cellulari. L’azione anticipatoria (=feed forward) avviene nella regolazione del tono e della motricità, os-
sia della risposta muscolare, ma avviene anche sulle cellule attraverso i ritmi biologici, regolati dalle fasce.
L’attività anticipatoria è importante e quando viene sregolata si creano grossi squilibri. Riportare alla normal-
ità un ritmo cranio-sacrale significa avere un’azione biologica molto importante su tutto il corpo.
Slide 24 > Quando si lavora il sistema fasciale, si assiste ad un incremento anche del tono vagale ed una azione
trofotropica sull’ipotalamo. Questo comporta in modo globale dei cambiamenti sui seguenti sistemi:
neuromuscolare (globalmente)
corticale
endocrino – immunitario
emozionale
proprio grazie alle connessioni dell’ipotalamo con la corteccia, il sistema limbico, etc etc…
Quindi quando metto la mano incontro dei recettori e ogni recettori ha delle reazioni differenti, ossia cambia-
menti meccanici, chimici, un’azione sull’ipotalamo…Poi però a livello meccanico ad una parte afferente deve
corrispondere una parte efferente che è quella che mi crea il cambiamento di tessuto e che fa sì che la mia
mano invece di“duro” percepisca “morbido come il burro”.
Slide 25 > Per capire questo bisogna introdurre il concetto che la fascia è capace di una contrazione sponta-
nea. In alcuni testi, per es. quelli del Barral, vengono descritti dei legamenti contrattili. In realtà il legamento
non si contrae però in alcuni casi, alcuni legamenti, autoregolano la tensione e possono aumentare il loro
stato di tensione. La regolazione della tensione è dovuta a strutture effettrici che sono fibre muscolari lisce
(miofibroblasti). Nel tessuto connettivo/ nella MEC (sia di un tendine, che di un legamento, di una capsula, di
un’aponeurosi, di un peritoneo o di una pleura) ho, oltre ai fibroblasti, anche delle fibre muscolari lisce sparse,
innervate dal sistema vegetativo ortosimpatico, che le contrae se viene stimolato in un certo modo. E’ una sor-
ta di riflesso come il riflesso rotuleo, soltanto che le fibre contrattili non si trovano dentro il muscolo ma nella
fascia. Le fibre muscolari lisce sparse si contraggono, stimolate dal sistema neurovegetativo, e - siccome sono
agganciate a fibre di collagene, elastina, protoglicani -aumentano lo stato di tensione della fascia. La stessa
cosa avviene sulla dura madre, che ha delle fibre muscolari lisce sparse (pochissime, ma ci sono), dei mio fi-
broblasti e la capacità di aumentare lo stato di tensione. Per questo motivo quando si fa una tecnica lenta e
profonda sul cranio, sulla membrana e si sente che qualcosa si rilascia e che il cranio poi si muove in modo più
ampio, è successo questo: con una tecnica meccanica lenta e profonda sono stati attivati i corpuscoli di Ruffini
> circuito > rilascio delle fibre muscolari lisce e dei miofibroblasti > diminuzione della tensione della fascia.
Al contrario con una tecnica forte e secca ci può essere un aumento di tensione (la stessa reazione succede
nel muscolo). La stessa cosa accade per via chimica. Se c’è un’intossicazione per es. della dura madre da parte
di una certa sostanza, essa aumenta lo stato di tensione. Le sostanze con azione intossicante sul corpo pos-
sono essere chimiche, oppure traumi, droghe, psicofarmaci, anestesie. Se vi capiterà di lavorare su persone
che prendono psicofarmaci, hanno tutti dei crani che sono dei mattoni, perché il sistema fasciale s’intossica e
reagisce meccanicamente, diventa duro, il cranio è compresso.
Slide 26 > I miofibroblasti sono dei fibroblasti che, in determinate condizioni meccaniche, sintetizzano/produ-
cono proteine contrattili, soprattutto actina, per cui diventano una via di mezzo, una sorta di fibra muscolare.
Il fibroblasta è ancorato alle fibre della MEC, quindi del tessuto connettivo e dentro di sé comincia a produrre
le proteine contrattili che lo fanno contrarre come se fosse una cellula muscolare e la sua contrazione determi-
na l’aumento della tensione della fascia. Riassumendo la fascia si contrae sia per le fibre muscolari lisce sparse
sia per i fibroblasti. Questi ultimi si contraggono o per dei cambiamenti chimici (intossicazioni, cambiamento
del ph..) o per delle sinapsi a distanza (ci sono delle fibre neurovegetative che non hanno contatto diretto
con il miofibroblasto ma diffondono i neurotrasmettitori, i neuropeptidi attraverso la MEC e in questo modo
entrano in contatto con i siti attivi, con i recettori dei miofibroblasti e li fanno contrarre). Alla fine è come se
fosse una fibra muscolare.
I miofibroblasti si sviluppano nel morbo di Dupuytren, nella cirrosi epatica, nell’artrite reumatica, ed altri pro-
cessi infiammatori. Nei processi infiammatori il tessuto connettivo tende a fibrotizzare perché il fibroblasta
è facilitato – per una condizione chimica - a produrre collagene, e inoltre tutte le sostanze che mantengono
l’infiammazione inducono la contrazione del miofibroblasta. Quindi nell’infiammazione il tessuto connettivo
tende alla fibrotizzazione ed aumenta lo stato di tensione.
138
Normalmente, quindi non in una condizione patologica, i mio fibroblasti sono presenti in quei tessuti che
hanno la tendenza ad aumentare o diminuire di volume o che devono contenere, quindi la cute (deve essere
elastica altrimenti mi strappo), milza (in realtà non è che si contrae, ma aumentano le trabecole connettivali
all’interno, dove c’è la spremitura degli eritrociti), utero (ovvio), ovaie, vasi, legamenti periodontali, setti pol-
monari.
Slide 27 > Il tono delle fibre lisce nella fascia è controllato non solo dal SNV, ma anche da fattori come il
pH e la saturazione di CO2, tanto è vero che si è visto che nella fibromialgia si riscontra spesso la tendenza
all’iperventilazione, perché l’iperventilazione fa diminuire i livelli di CO2, crea vasocostrizione, contrazione
delle fibre muscolari lisce e aumento tensione fasciale. E’ un cane che si morde la coda.
Bonetti racconta di aver sentito che il prof. Manzo quando fa le tecniche sul cranio fa respirare i Pz dentro una
busta di plastica. In questo modo aumenta il livello di CO2 e le membrane, la dura madre, il connettivo si rilas-
sano. Quindi più CO2 c’è nei tessuti e più si rilasciano. Non si sa ancora perché. Anche nelle crisi di panico si
respira nel sacchetto per lo stesso motivo.
Slide 28 > Ieri abbiamo visto un’immagine degli strati fasciali, che sono perforati in alcuni punti da un insieme
di arterie, nervi, vene (triade). La proiezione cutanea di queste triadi corrisponde per l’82% ai punti di ago-
puntura. Inoltre si è visto che, nella parte terminale, la triade, a livello sottocutaneo, quando esce dalla fascia,
è avvolta da fibre muscolari lisce che formano una sorta di sfintere. Si pensa ch quando l’agopuntore mette
l’ago, la stimolazione meccanica a questo livello rilasci lo sfintere e dia maggiori possibilità di circolazione sia
a livello artero-venoso che nervoso. Questo significa che c’è una maggiore circolazione di ormoni, cellule im-
munitarie, endocrino e, a livello nervoso, di fattori trofici, neurotrasmettitori….Quello che i cinesi chiamano
energia, per noi occidentali è sangue, nervo, linfa, sistema endocrino, sistema immunitario…
Slide 29 > Per sintetizzare: con la mia mano (palpazione) attivo i meccanorecettori. Da qui ho due strade:
a.la via classica che attiva, attraverso il SNC, unità motorie striate (con il sistema alfa e gamma > Organi del
Golgi, che abbiamo detto che creano rilassamento già sul muscolo)
b. un’altra via che attiva, attraverso il SNV, strutture come l’ipotalamo, la dinamica dei fluidi, le fibre lisce intra-
fasciali (fibre muscolari lisce o miofibroblasti), che direttamente creano un rilasciamento del connettivo e la
risposta palpabile del tessuto, che da “duro” diventa “morbido come il burro”. Questo accade anche sull’osso e
si spiega perché l’osso è composto istologicamente da due parti: organica e inorganica. La parte inorganica è
quella che rimane dopo la morte. La parte organica è quella composta da cellule, fibre, etc e che dà elasticità
all’osso e si disgrega con la morte. Il cristallo di idrossiapatite non è vivo. E’ come legno verde (vivo) e legno
secco (morto). Un osso di pollo messo in aceto per due giorni assume un aspetto gelatinoso, che ha la forma
dell’osso, in quanto l’aceto ha consumato tutta la parte inorganica, di cristallo e ha lasciato la parte organica.
Cerchiamo ora di spiegare perché il tessuto può diventare duro. Che cosa accade? C’è una spiegazione sia
macroscopica, per es. l’ aumento di tensione, sia una spiegazione che va fino a livello subatomico. Per capire
questo dobbiamo capire che cosa s’intende con saturazione di energia all’interno dei tessuti.

Saturazione di Energia (Slide ppt)


In alcuni testi di osteopatia si legge: cisti energetica, saturazione di energia, con una connotazione piuttosto
esoterica. Spesso anche le grandi teste di osteopatia non sanno di che cosa parlano. Bonetti racconta che la
sua tesi sulla tensegrità fu plagiata e si può trovare anche su alcuni siti.
Molto spesso si sente parlare di “flusso di energia bloccato nel tessuto”. Però prima di tutto bisogna capire che
cos’è in fisica la materia, dato che lavoriamo sulla materia. Che cos’è un tavolino? Particelle e vuoto. Ma nelle
sotto-particelle non c’è manco più massa ma solo energia pura. La materia è energia organizzata nello spazio
e nel tempo. Il tavolino, la mano, la lampadina sono energia-spazio-tempo.
Che cosa s’intende per densità? E’ sbagliato dire che un tessuto è denso, bisogna dire che è duro o è resistente
alla mia sollecitazione. Infatti in fisica la densità è quanta materia c’è in un determinato spazio. Se in quello
spazio aumento la materia diventa più denso. Questo avviene ovunque. Un osso è più denso di un muscolo
perché ha più atomi dentro una stessa unità di spazio. Però abbiamo detto che la materia è energia organiz-
zata nello spazio e nel tempo, per cui posso dire che la densità è anche la quantità di energia che sta in un
determinato spazio e in un determinato momento. Più energia c’è e più posso dire che una certa cosa è densa.
Quindi fisicamente c’è la densità, mentre quello che sento nella palpazione è “durezza” oppure “maggiore re-
sistenza tissutale”.
Prendiamo il caso di un trauma. Il trauma è energia meccanica che arriva dall’esterno e che può essere o
traumatica o terapeutica (= l’energia meccanica che induciamo sul Pz). Quest’ultima ha determinate caratter-
139
istiche d’intensità e soprattutto di tempo di somministrazione. Queste due condizioni influenzano la densità.
Facciamo un esempio pratico materiale. Supponiamo che appoggio la mia mano sul cofano della macchina.
Che cosa faccio? Somministro con la mano un’energia meccanica, una pressione in questo caso, con una de-
terminata intensità e un determinato tempo. Il cofano, ossia il materiale, durante il tempo in cui esercito la
pressione acquisisce energia. Che cos’è l’acquisizione di energia? E’ un aumento della densità in alcuni punti.
Gli atomi del metallo in alcuni puti vanno a livelli energetici più elevati. Quando tolgo la mano, il metallo libera
energia e ritorna allo stato energetico precedente, cedendo energia. Quindi ha acquisito e rilasciato energia.
Questo processo si chiama deformazione elastica. Se cambio i tempi di somministrazione dell’energia, per
es. dò 10 kg in un attimo, provoco un bozzo sul metallo. Il metallo ha acquisito energia ma non ha avuto il
tempo di rilasciarla e disperderla, per cui è rimasta lì. E’ rimasta intrappolata nella conformazione atomica
del metallo. Sta lì, è energia potenziale. Stessa cosa avviene nei tessuti quando prendo un colpo, macroscopi-
camente come abbiamo detto prima, ma anche a livello infinitesimale, atomico come abbiamo detto ora.
Quindi possono acquisire energia e questo in fisica si chiama deformazione plastica.
Domanda: perché nella fibrotizzazione il tessuto non ha il tempo di disperdere l’energia?
Risposta: nel tessuto vivo c’è un cambiamento dell’ultrastruttura. Il tessuto per disperdere l’energia ha dovuto
modificarsi, si è adattato.
Nel momento in cui ho un’acquisizione di energia da parte del tessuto ho questa situazione:
a livello macroscopico > aumento di tensione della fascia (tipo il trauma),
a livello microscopico > una riorganizzazione di alcune componenti come i protoglicani, glicosaminoglicani,
fibre collagene
una riorganizzazione a livello atomico che può essere elastica o plastica, in base se il tessuto riesce a disper-
dere oppure acquisisce soltanto energia.
Deformazione elastica > quando tocco il tessuto e nel momento in cui lascio torna come prima
Deformazione plastica > per es. un bozzo sul cranio
Nel caso di un trauma l’energia può essere acquisita dai tessuti oppure deviata. Se per es. mi danno un calcio,
l’energia o viene dispersa attraverso tutti i tessuti oppure, se non c’è questa possibilità di dispersione, si crea
un flusso bloccato, in un punto il tessuto acquisisce energia in un modo plastico e questo punto poi diventa
il punto duro che vado palpare o che vado a tradurre in una restrizione di mobilità, dato che la situazione di
blocco influisce sul movimento. E’ una restrizione di mobilità vista a livello atomico. Naturalmente più i tes-
suti sono disidratati o hanno determinate consistenze che vanno verso la maggior densità, più hanno la pos-
sibilità di rimanere deformati plasticamente quando vanno incontro ad un trauma. E’ ovvio che un muscolo
essendo più elastico e idratato ha maggiori possibilità di un osso di disperdere energia.
Tutta questa energia meccanica viaggia attraverso la Matrice Extra Cellulare. Quando dò un colpo, creo una
deformazione plastica, aumenta l’energia a questo livello, aumenta la densità, aumenta la resistenza tissutale,
diminuisce il movimento (= restrizione di mobilità). Nello stesso tempo ho un aumento di tensione sulla MEC,
un influsso sulla cellula, un influsso sul Dna e sugli scambi tra vaso, cellula….tutto quello che abbiamo visto
l’altro ieri ..per cui si scombussola tutto: ambiente chimico, meccanico etc etc……
La saturazione di energia provoca un cambiamento della struttura e di conseguenza un cambiamento della
funzione. Mi cambia la circolazione di energia interna (energia interna = la triade di arterie, nervi, vene). Il
cambiamento di energia interna può creare un problema di comunicazione, per es. se un neurotrasmettitore
non passa c’è un problema di comunicazione tra nervo e cellula. Il problema di comunicazione interferisce per
es. sulle membrane, sui codici chimici….I neuroni emettono molto spesso 1 neurotrasmettitore principale/di
base e poi degli altri neuropeptidi. Per es. un neurone può avere come neurotrasmettitore di base l’acetilcolina,
con una diffusione del 70%, poi un neuropeptide, per es. la sostanza P, con una diffusione del 10% ed infine
un altro neuropeptide, che diffonde al 20%. La miscela 70-10-20 è un codice per cui il neurone, sulla base di
questo codice, avrà una determinata attività, per cui il codice ha un significato, è una via di comunicazione, è
come il codice a barre: barra larga (70), barra stretta (10), barra un po’ più larga (20). Il neurone comunica sia
con il codice chimico, sia con la frequenza di scarica. Nell’assone le scariche viaggiano come nel codice Morse
(punto linea punto punto…….), con una determinata intensità e frequenza. In base alla frequenza la placca
neurale riceve l’istruzione e quindi si depolarizza in un certo modo. Ecco perché i ritmi corporei, a livello mac-
roscopico, sono importanti: il ritmo cranio-sacrale ha una frequenza di 8-12 al minuto, perché questo ritmo ha
un significato biologico. Se il ritmo si altera, il corpo comincia a funzionare in modo differente. Se si altera la
proporzione che abbiamo visto sopra (70-10-20) per il neurone, il neurone fa un’altra cosa. Questo è il codice
chimico, che è stato molto studiato sul neurone, ma in realtà tutte le cellule funzionano così. Le zone in cui
140
c’è stato un aumento di densità, quindi di energia, di tensione, con conseguente restrizione di mobilità, cam-
biano a livello macroscopico i punti d’appoggio sul sistema fasciale. Se ho un punto di maggior tensione sul
ginocchio, tutto il sistema tira verso questo punto e tutto l’equilibrio meccanico cambia. Poi dopo il ginocchio
si crea un altro punto di saturazione per es. sul viscere, poi sulla spalla ….Quindi andare a liberare l’energia nei
vari punti di restrizione di mobilità significa ridare un equilibrio meccanico, che influisce sui vari livelli.
Slide 5 > Sempre queste zone di saturazione o di restrizione di mobilità, poiché tutto il corpo è innervato,
mandano informazioni al SNC. Esse vengono prese in carico da pool/popolazioni neuronali a più livelli (stazi-
oni midollari, sottocorticali e corteccia). Avviene sempre così, anche le informazioni di cui non ho coscienza
arrivano alla corteccia inizialmente e poi vengono portate a livelli sottocorticali. Se al test di pressione il gi-
nocchio è duro ed ho una restrizione di mobilità, questa afferenza arriva al SNC, alcune popolazioni neuronali
cominciano a connettere, a formare delle sinapsi, che poi diventano permanenti, se la situazione continua nel
tempo. Quindi si ha una memoria neuronale di tutto lo stato meccanico, energetico del corpo. Si crea come
una mappa. Qual è il futuro di questa mappa? Nel momento in cui libero l’energia nel ginocchio, se sono for-
tunato i circuiti si ricollegano in un altro modo, se non sono fortunato o si tratta di una situazione vecchia, per
cui i circuiti si sono modificati anatomicamente e sono rimasti così, avrò una memoria che rimane sempre. A
quel punto dovrò ripetere l’azione terapeutica sul ginocchio in modo da dare ulteriori stimoli, che mi cambino
la mappatura neuronale del trauma o della restrizione di mobilità che c’è stata. Ecco perché molto spesso per
una questione non solo periferica-meccanica del tessuto ma proprio neuronale è meglio lavorare su traumi
freschi, per es. lo sportivo che si è fatto male la sera prima, piuttosto che la vecchina che da 40 anni ha male
al collo. In questo secondo caso si innescano tutta una serie di problemi dovuti non solo alla fibrotizzazione
ma a tutta la memoria neuronale di quella zona, che sta così da anni. Anche se la restrizione di mobilità viene
ridotta la sensazione di fastidio rimane. E’ un po’ come le terminazioni del dolore che abbiamo visto prima e
che continuano a trasmettere anche quando la causa è cessata. Questo è in piccolo il discorso che facevamo
ieri, quando dicevamo che liberando un ginocchio si possono attivare dei circuiti che arrivano al sistema lim-
bico e che possono rilasciare per es. un’emozione.
Secondo alcuni Autori la vita è fondata sullo scambio di informazione. Per la fisica quantistica è l’ informazione
stessa che crea la materia. Proviamo a spiegarlo con un esempio. Siamo dentro questa classe e ad un centro
punto entra uno che dice: “Attenti sta entrando Einstein!”. Poi Einstein entra per davvero e tutti quanti ci ag-
greghiamo intorno ad Einstein. Pensiamo alle particelle subatomiche: protoni, neutroni etc etc. Queste parti-
celle sono formate da quark e altre subparticelle. L’aggregazione delle subparticelle crea la particella avente
massa, mentre le subparticelle in sé sono solo energia senza massa. Per cui noi disgregati siamo energia,
quando entra Einstein diventiamo massa, costruiamo la materia. Poi Einstein se ne va e ritorniamo i uno stato
di non materia. Entra poi sempre il solito tipo che dice: “Attenti sta entrando George Clooney!”. Tutti ci ag-
greghiamo e andiamo verso la porta, ma George Clooney non arriva. Però in quel momento l’informazione che
è stata data ha creato la materia. Da che cosa è data l’informazione? Lì si fermano tutti. Quindi l’informazione
è un elemento che ha un significato tra due interlocutori. Per un arabo la lettera “A” non ha alcun significato,
quindi non è un’informazione. Per un occidentale è una A. Molto spesso quando c’è un’alterazione dello stato
energetico o di alcune situazioni, questa informazione passa. Per es. un blocco della comunicazione può suc-
cedere quando mi faccio male al ginocchio. Il muscolo si contrae e mi blocca il movimento. L’apparato loco-
motore serve per muoversi e il movimento è una sorta di comunicazione con il mondo esterno. L’uomo è un
recettore immerso nel mondo e in base alle informazioni si muove nell’ambiente esterno, quindi comunica
con l’ambiente esterno anche attraverso il movimento. La comunicazione con il mondo esterno può essere in-
terrotta in alcune situazioni. Per es. mi faccio male al ginocchio > restrizione di mobilità > aumento di tensione
> aumento di saturazione di energia > blocco del movimento > blocco della comunicazione con il mondo
esterno. La cellula fa la stessa cosa. Tutte le cellule hanno la possibilità di contrarsi grazie alla contrazione del
citoscheletro. Questa contrazione fa sì che molto spesso c’è un aumento dello stato di tensione della mem-
brana. Di conseguenza i poli, i canali chiudono la comunicazione con il mondo esterno. Se una cellula per es.
è immersa in un ambiente tossico, si chiude aumentando lo stato di tensione, per cui diminuisce la comuni-
cazione con l’ambiente circostante. Il nostro compito è di togliere la tensione, togliere l’eccesso di energia e
ristabilire una comunicazione con l’ambiente esterno, perché dalla comunicazione con l’ambiente esterno
dipende la sopravvivenza. Se da domani mi paralizzo, crepo, se non ho nessuno che si occupa di me. Quindi
la comunicazione con l’ambiente esterno è fondamentale per la sopravvivenza. Volendo considerare la parte
più energetica il compito dell’Osteopata è di desaturare, attraverso il sistema nervoso (grazie ai recettori che
abbiamo visto prima) e creando una differenza di potenziale. Per far fluire energia da un punto ad un altro
141
devo creare una differenza di potenziale. Come? Con la mia mano, con la giusta calibrazione di tensioni e com-
pressioni. Nel momento in cui fluisce l’energia, la mano dell’Osteopata percepisce diverse sensazioni: rilassa-
mento o ammorbidimento del tessuto e poi delle energie secondarie, per es. calore (alle volte è il Pz a sentirlo
e a dirlo all’ Osteopata), rumore (alle volte nel trattamento delle fasce si sente come un rumore di neve fresca
presa tra le mani; anche il rumore del thrust è liberazione di energia ed è per questo che dopo si sta meglio),
movimenti che partono inconsapevolmente. Si può fare l’es. dell’aereo supersonico che rompe il muro del
suono. Quando l’aereo arriva ad una certa velocità l’aria si accumula davanti all’abitacolo, si accumula via via
energia e poi viene liberata “Pam!” tutta in una volta con un forte rumore come quello di un’esplosione, con
tutta la nebulizzazione, l’umidità nell’aria che viene liberata. Si tratta di energia secondaria liberata. L’energia
primaria è quella meccanica che si accumula. Il “Pam!” si sente una volta sola. Quando poi l’aereo ha superato
la velocità del suono (= 1200 km/h), paradossalmente lo si vede passare in completa assenza di rumore e
dopo un po’ si sente il suono prodotto dai suoi reattori, suono che sta dietro l’apparecchio.
Dalla prossima volta faremo pratica e cercheremo di sentire attraverso le fasce i diversi ritmi: respiratorio,
craniale, la cinetica intrinseca delle fasce. Poi vedremo che cosa significhi lavorare usando l’intenzione, che
non è niente di esoterico. Il tessuto reagisce molto di più se canalizzo la mia attenzione e intenzione su quello
che sto facendo anziché pensare ad altro. Ma qui bisogna tirare in ballo la fisica quantistica. L’intenzione può
creare delle modificazioni in più sul tessuto, oltre a tutto quello che abbiamo detto sulla meccanica.

sem 2_Bonetti

Criteri della palpazione (file ppt commentato da Bonetti)


I criteri servono per aumentare le capacità palpatorie dell’Osteopata sia in fase di test, per acquisire informazi-
oni dai tessuti (qualsiasi essi siano) sia in fase di trattamento. Per fare un’induzione meccanica su un tessuto
sia esso in ambito fasciale, viscerale, cranio-sacrale o anche un semplice thrust su una vertebra, c’è bisogno
di seguire alcuni parametri e criteri di palpazione. Alcuni di essi possono sembrare stupidi, però non lo sono,
perché il più delle volte non vengono applicati e invece bisogna. I criteri sono:

1. presenza 4. tensione 7. velocità


2. attenzione (tendere verso) 5. densità 8. induzione meccanica
3. intenzione (dirigersi verso) 6. duplicazione 9. tempo

La presenza
È intesa sia come presenza fisica che come presenza mentale, nel senso di concentrazione, essere lì in quel
momento, in quel luogo. Questo si collega direttamente con il secondo criterio: l’attenzione.
Slide 2 > Buon posizionamento dell’operatore. Comodo, confortevole, le articolazioni devono essere libere e
possibilmente posizionate in un punto neutro, libero da tensioni fisiche e psichiche.
Attitudine mentale dell’operatore che non deve vagare con il pensiero altrove.
Materialmente si devono seguire le indicazioni dettate dalle sensazioni palpatorie.

L’attenzione
Quando fate una palpazione sui tessuti dovete obbligatoriamente creare una bolla percettiva, escludere qual-
siasi sensazione che arriva dall’esterno e concentrare l’attenzione solo su ciò che si ha sotto le mani. In questo
modo fate in modo che al vostro Sistema Nervoso Centrale arrivino solo poche e specifiche informazioni e
non altre. Per es. se uno entra in un grande locale dove c’è una festa, percepisce movimento, musica, fumo, i
sensi vengono investiti improvvisamente da una serie di sensazioni confuse. Poi nel casino riconoscete il volto
di una persona amica e in quel preciso momento succede che tutta la vostra attenzione si focalizza, come in
un tubo, in un tunnel, solo lì, per cui tutti gli stimoli esterni (musica, confusione, etc etc………..) non ci sono
più, ma voi fate caso solo a quell’informazione. La stessa cosa dovete ricrearla con la mano, per tutto il tempo
che state a contatto con il tessuto, in modo tale che la vostra sensazione è raccolta solo dai recettori della
mano (è la pratica che faremo oggi, tra poco).
Slide 3 > Consente di circoscrivere uno “spazio percettivo”, una “bolla percettiva” chiusa da frontiere virtuali.
Nonostante altri stimoli continuino ad esistere esternamente non sono più considerati.
Consente di discriminare stimoli sensoriali (informazioni nello spazio percettivo) ai quali si è più interes-
sati.
142
Modifica la percezione tissutale in modo tangibile anche in base a dove è diretta.
Si determina “da dove” si percepisce e “cosa” si percepisce.
Questo permette di avere una comunicazione interattiva con i tessuti.

L’intenzione
Non c’è niente di esoterico, ma si può spiegare ricorrendo per es. alla fisica quantistica. Però magari ne ripar-
leremo al 5° - 6° anno, perché se non sapete fare una tecnica sul sacro è inutile che vi spiego cose più sottili.
Facciamo un passo indietro, però sappiate che l’intenzione può avere un effetto sull’ambiente esterno (lo
sentiremo oggi con le mani durante la pratica). Quindi l’intenzione è una forma di energia.
C’è inoltre una ditta americana, la Neurosky (www.neurosky.com), che ha “inventato” una sorta di trasduttore
che capta l’attività cerebrale di determinate onde, che sono trasmesse dal cervello quando è impegnato in
attività che richiedono attenzione, concentrazione, intenzione. La Neurosky la chiama “meditazione” ma è più
corretto, secondo Bonetti, chiamarla “intenzione”. Il cervello attivando determinate onde cerebrali produce
un determinato tipo di energia. Questa energia elettromagnetica viene captata da un trasduttore, collegato
ad un software, e fa fare alcune operazioni al computer oppure mette in azione l’omino di un semplice video-
gioco elettronico. La Neurosky però produce anche apparecchiature per persone disabili, per es. i tetraplegici,
che con il pensiero possono accendere il computer, spegnere la luce, accendere il frullatore, etc etc….. Questo
avviene perché c‘è una registrazione dell’attività cerebrale, che è una forma di energia. La stessa energia che
poi, vedremo con la pratica, non solo esiste ma ha anche un’azione esternamente su un tessuto.
Bonetti fa vedere un
video della Neurosky.
La persona che fa
l’esperimento deve
indossare una cuffia,
che ha un trasduttore a
livello del lobo frontale.

Le onde cerebrali sono di vari tipi (gamma, delta, beta, teta, etc etc…) e vengono misurate in Hz.

143
onde
onde beta onde
alfa gamma

Il grafico a fianco ne
riproduce alcune.

Quando il cervello è in una fase di attenzione o, dicono quelli della Neurosky, “meditazione” (ma possiamo
tranquillamente tradurre con intenzione) produce determinate onde, le quali, captate da un trasduttore, at-
tivano una determinata funzione. Nel nostro caso c’è l’omino del videogioco, il Neuroboy, che tira una palla,
incendia una macchina, etc etc…...
Slide 4 > Attenzione + ciò che si vuole ottenere.
Volontà di ricevere o inviare una informazione nel campo percettivo.
Sia nel test “voler sentire le modificazioni tissutali”.
Sia nel trattamento “voler indurre una modificazione verso la liberazione o verso una direzione, …”

La tensione
L’Osteopata deve adattarsi alle caratteristiche di densità, consistenza, elasticità del tessuto su cui poggia le
mani. Su un osso, un muscolo, un viscere la tensione cambia.
Slide 5 > Un incremento progressivo nella tensione (isometrica) delle dita e di tutta la mano, a contatto con
la struttura, permette di determinare, ad un certo punto, la percezione di cinetica spontanea della struttura
stessa.
Talvolta basta soltanto seguirne il movimento spontaneo per determinare una liberazione (Inibizione riflessa
del tono fasciale, vedi lezione sulla “Plasticità della Fascia”).

La densità
La densità è maggior materia nello stesso spazio. Sotto le mani si traduce in maggior durezza o resistenza del
tessuto.
Slide 6 > “ Entrare nella struttura ! ”
Accordo tra la tensione della mano e la materialità della struttura.
Accordo tra forza applicata e resistenza della struttura.
Sensazione di fluidità, plasticità.

144
La duplicazione
Quella situazione mentale in cui l’Osteopata visualizza la struttura anatomica che si percepisce com le mani.
Si cerca di visualizzare per es. la forma, la consistenza, il movimento…Questo è importante sia in fase di pal-
pazione, che per un test o per l’induzione di una tecnica. Quando Menichelli per es. dice, con la mano messa
in un certo modo, “Questo è stomaco!” e poi, cambiando la posizione della mano, dice “Così non è stomaco!”
e poi, ancora una volta, rimettendo la mano nella posizione corretta, ribadisce “Questo è stomaco!”, non lo
dice a caso.
Mettere il parametro “mano”
in un certo modo, significa
dare la possibilità ai recet-
tori di sentire una geome-
tria differente. Quando la
mano sente esattamente
la geometria di una strut-
tura, la riconosce meglio e
si adatta automaticamente
meglio, adattando anche
lo stato di tensione e via
discorendo.
Questo è stomaco! Così non è stomaco! Questo è stomaco!
Slide 7 > Visualizzazione delle strutture anatomiche sotto le mani (forma, geometria, consistenza,
rapporti, ….).
Importanza dello studio anatomico.

La velocità
Bisogna rispettare, se il tessuto ha un movimento, la sua velocità. Siccome tutti i tessuti si muovono, bisogna
per forza entrare in risonanza, in sincronia con i movimenti e rispettarne la velocità. Non bisogna mai forzare
qualcosa.
Slide 8 > Rispetto, coordinazione, sincronia con la velocità di movimento del tessuto.
Raggiungere armonia.

Induzione meccanica
In caso di tecnica, di correzione, ossia di induzione meccanica, non bisogna mai forzare il tessuto, ma portarlo
verso alcuni parametri di correzione in un determinato modo, soprattutto se lavorate sulla fascia, i tessuti
molli o il cranio. Bisogna assecondare e poi lanciare un movimento all’interno del tessuto. Per avere un’idea
è come spostare dal molo un’imbarcazione, ad es. una barca o un gommone. Di solito non si dà una spinta
improvvisa altrimenti non succede niente. Iniziate a spingere in modo lento e progressivo, sempre di più,
sempre di più e intanto la struttura si carica di una forza d’inerzia, ossia energia potenziale, e alla fine la barca
si sposta. Nel tessuto dovete cercare di avere la stessa azione verso un parametro di correzione, rispettando i
tempi della struttura.
Slide 9 > Influenza meccanica attiva applicata dall’operatore.
Si applica specialmente nelle tecniche di liberazione e riduzione. Non nei test.
Consiste nel lanciare e poi assecondare un movimento verso una determinata direzione. (Esempio del ca-
binato).
Non si deve mai forzare.

Tempo
Quando si cerca un rilasciamento o un normalizzazione bisogna aver pazienza, perché alcune strutture ri-
spondono dopo alcuni secondi, altre dopo minuti (l’abbiamo visto lo scorso seminario).
Slide 10 > Rispettare i tempi di modifica del tessuto.
Possono cambiare in base a molti parametri:
- della struttura (stato ultrastrutturale del connettivo, grado di facilitazione nervosa, …)
- del paziente e dell’operatore (situazione fisica, emotiva, …).
(vedi lezione “Plasticità della Fascia”).
145
Aver pazienza.

TEORIA della parte pratica


Ora faremo una pratica a coppia dove servono una concentrazione e un’attenzione massimali. Gli Osteopati
si mettono come se dovessero lavorare sul cranio, con un appoggio sulla testa del Pz, non sul cranio. Questa
pratica si potrebbe fare su qualsiasi struttura, per es. una coscia, un addome, però la facciamo sul cranio per-
ché stiamo più comodi.

1° esercizio
Faremo in primo luogo un esercizio sull’attenzione, per cui vi chiederò di percepire la consistenza di vari livelli
anatomici, che sono: la cute, l’osso, che cosa succede quando si aumenta la pressione sull’osso. Poi vi chiederò
di sentire, una volta arrivati in profondità, se percepite dei movimenti, non m’interessa quali, ma solo se c’è
movimento e in quale direzione.

2° esercizio
Una volta che avete sentito come si muove quella struttura a quel livello, vi chiederò di spostare la vostra
attenzione ad es. su un’altra parte anatomica del Pz, che vi dirò io, per es. un piede o un ginocchio. Quindi il
vostro sforzo sarà doppio, perché l’attenzione dovrà restare contemporaneamente sia sul ginocchio (su cui
potete anche rivolgere lo sguardo) sia sulle mani, per percepire se ci sono dei cambiamenti rispetto ai movi-
menti che avete sentito prima. E questo lo farete su varie parti del corpo.

3° esercizio
Si chiederà l’intervento attivo del Pz, che dovrà, mentre l’Osteopata sente i movimenti sulla struttura, pensare
a cose piacevoli o spiacevoli. L’Osteopata dovrà percepire se ci sono o no dei cambiamenti. E poi ci confron-
tiamo.
E da ultimo lavoreremo sull’intenzione.

PRATICA SULL’ATTENZIONE (dal file ppt)


Dopo essersi sincronizzati con il ritmo cranio sacrale (o sulla cinetica spontanea):
1. Proiettare l’attenzione su diverse aree corporee (campi percettivi) dando il tempo alla struttura di modifi-
care la risposta.
2. Effettuare cambiamenti di pensiero su fatti spiacevoli o piacevoli e viceversa. L’operatore definisce gli inter-
valli di tempo in modo da aspettare la modificazione tissutale. Il paziente decide cosa pensare. Successiva-
mente confronto.
3. Effettuare cambiamenti di pensiero su persone con cui si hanno rapporti conflittuali o con cui si hanno rap-
porti armoniosi. L’operatore definisce gli intervalli di tempo in modo da aspettare la modificazione tissutale. Il
paziente decide cosa pensare. Successivamente confronto.

PRATICA SULL’INTENZIONE
Dopo essersi sincronizzati sul ritmo cranio sacrale (o sulla cinetica spontanea):
1. “Ordina mentalmente” ai tessuti di andare in espansione, successivamente in retrazione (senza indurli mec-
canicamente).
2. Chiedere alla struttura di portarsi in torsione prima da un lato, successivamente dall’altro (senza induzione
meccanica).
3. Impilamento. Si inizia da un parametro disfunzionale e si “segue” verso la maggior libertà. Da questo punto
si mantiene e si induce un altro parametro disfunzionale (la struttura segue nel senso di maggior libertà), si
mantiene e da qui si chiede un ulteriore parametro disfunzionale (la struttura segue nel senso di maggior
libertà), si mantiene ……
4. Conclusioni.

Pratica finale
Presenza: fisica e mentale.
Attenzione: sulla parte anatomica e sulle modificazioni tissutali. ((occhi aperti – occhi chiusi (?))
Intenzione: non meccanica ma mentale cosciente.
146
1.2.3. sono la base della comunicazione.
Tensione: nel corpo e nella mano.
Densità e livello: compressione sufficiente per poter “entrare nella struttura”, per arrivare al livello anatomico
che ci interessa per riceverne informazioni. È un equilibrio tra FORZA APPLICATA, RESISTENZA DEL TESSUTO.
Deve dare sensazione di fluidità.
Velocità: rispettare la velocità del movimento naturale dei tessuti.
Induzione meccanica: nelle tecniche, lanciare e assecondare un movimento senza forzarlo (non c’è nei test
funzionali).
Tempo: avere pazienza e rimanere concentrati.

Audio della Pratica


Una precisazione: non è un lavoro cranio-sacrale, non dovete sentire la meccanica cranio-sacrale, bensì dei
movimenti che possono avvenire su ritmi qualsiasi. Il tipo di presa è come la presa sulla volta, la potete anche
leggermente modificare. In mano dovete avere “la testa del Pz”, ma potrebbe essere pure una coscia. Usate
magari un approccio alla volta in modo tale che tutta la mano sia ben attaccata alla struttura.

1° esercizio sulla bolla percettiva


Iniziate a costruirvi la vostra bolla percettiva. Tutti gli stimoli spariscono, siete dentro un tunnel, cha va a finire
sulle vostre mani. L’appoggio è molto leggero all’inizio, è un tocco. Cominciate ad esercitare una pressione
lenta e progressiva, per superare gli strati per cui sentite i seguenti livelli:
1. i capelli e ne sentite la consistenza (poi aumentate un poco la pressione e arrivate al livello 2)
2. la cute (poi continuate a comprimere gradualmente e sentite qualcosa di più duro, il livello 3)
3. l’osso (continuando a comprimere in modo progressivo sentirete che il duro dell’osso tende quasi a cedere
e la vostra mano entra dentro)
4. dentro il cranio la vostra mano sarà a contatto con altre strutture (continuate con la compressione lenta e
progressiva fino a sentire che le mani si fermano, più di quello non vanno, sono respinte dai tessuti)
5. le mani sono arrivate con la pressione al centro della testa > lì percepite se c’è movimento, quale direzione
ha e quale ampiezza
6. poi rallentate un po’ la pressione e tornate indietro sulle ossa del cranio >lì percepite se ci sono dei movi-
menti e le loro caratteristiche
7. poi rilasciate un po’ la pressione e entrate in contatto con le fasce esterne al cranio, con la cute, il sottocute
> anche lì cercate di percepire se ci sono dei movimenti e in quale direzione vanno
8. rilasciate le mani e staccatevi dal Pz

Mi interessa sapere se avete sentito delle cose diverse: per es. movimenti, ritmi diversi da: 1. dentro, 2. dall’osso
e 3. dall’esterno, ossia da questi 3 livelli. E inoltre se avete sentito delle consistenze diverse tra i tre livelli. Alcuni
di voi riferiscono di aver avuto delle difficoltà nel passaggio dalla sensazione di duro dell’osso a quella più
morbida di “dentro il cranio”. Vi ricordo che dovrete affinare sempre più questa capacità, perché per fare un
test di mobilità per es. sul fegato, dovete oltrepassare il livello delle coste. Con questo esercizio di oggi dovrete
abituarvi a sentire il “duro” delle coste e poi, aumentando gradualmente la pressione, a sentire che la mano
entra dentro. A quel punto siete a livello del fegato e potete sentirne i movimenti, non prima, altrimenti siete
sulla gabbia toracica.

Questo per dirvi che il livello palpatorio anatomico è importantissimo. Basta avere una pressione legger-
mente più forte o più lieve che sentite fischi per fiaschi! Questo sulla testa, figuriamoci quando parliamo di
visceri come lo stomaco o il pancreas. La vostra palpazione deve essere effettuata in base al livello anatomico,
per sentire bene.

2° esercizio sull’attenzione
Ora facciamo una seconda pratica più difficile sull’attenzione. L’Osteopata deve mettersi in contatto con la
parte interna della testa (è possibile tuttavia scegliere uno degli altri livelli). Nelle mani dovete sentire come
una massa unica. Cominciate a percepire il movimento e la sua direzione. Poi vi farò spostare l’attenzione su
diverse aree del corpo del Pz, che potrete anche guardare con lo sguardo. Contemporaneamente dovete sen-
tire che cosa avviene sotto le vostre mani, se ci sono delle modificazioni oppure no.
147
1. Presa di contatto con la parte interna della testa del Pz
2. Fate attenzione al piede dx del Pz. Lo potete visualizzare
3. Ora visualizzate il ginocchio sin del Pz
4. Ora visualizzate lo stomaco del Pz
5. Ora il polmone dx
6. Ora tornate sulla testa
7. Lentamente staccate le mani

Mi interessa sapere chi ha percepito delle differenze con le mani, ogni volta che spostava l’attenzione da una
parte all’altra.

La maggior parte di voi ha sentito delle differenze. Questo avviene perché il sistema fasciale, che collega tutto
nel corpo, con lo spostare l’attenzione da una zona ad un’altra, manda informazioni differenti ai recettori. Sia-
mo un tutt’uno e quindi basta spostare l’attenzione, che la percezione della mano può cambiare. Figuriamoci
se, mentre state facendo un trattamento sul cranio o su un viscere, avete la testa da un’altra parte e pensate a
quello che dovete fare la mattina seguente! La vostra percezione in questo caso è falsata, cambia.

3° esercizio con il Pz attivo


Ora il Pz deve collaborare. L’Osteopata è in ascolto su un livello (è indifferente quale), io chiederò al Pz di pen-
sare ad es. a cose piacevoli o spiacevoli e l’Osteopata dovrà percepire se ci sono o no delle modificazioni.
1. Sincronizzatevi sulla testa del Pz
2. Ora i Pz si concentrano e mantengono l’attenzione, il pensiero su un evento molto triste della loro vita
3. Ora invece pensate ad un evento piacevole, felice
4. Ora i Pz pensano ad una persona con cui hanno un conflitto o che odiano
5. Ora pensano invece ad una persona che amano
6. Staccate le mani

Avete sentito variazioni? Quando c’erano le situazioni negative? La maggior parte delle persone sente una
chiusura oppure un ritmo che diventa più stretto e magari più frequente. Questo è dovuto al fatto che ci sono
dei collegamenti neurologici tra la corteccia, il sistema limbico, le aree dei ricordi, l’affettività e il neurovegeta-
tivo, che innerva le fasce, il connettivo e ne regola lo stato di tensione. Quando c’è un pensiero negativo, c’è
un blocco dell’attività, perché aumenta la tensione del sistema fasciale. Mentre c’è un rilasciamento quando
c’è un’attivazione di pensieri positivi. Poi è ovvio che non per tutti è così matematico, ma per l’80-90% delle
persone è così. Tutto ciò che fa parte del somato-emozionale e che viene spacciato per esoterico, in realtà è
spiegabile, non c’è niente di esoterico (durante il trattamento di un ginocchio un Pz può ricordare un evento
spiacevole di molti anni prima: è normale, ci sono dei collegamenti neurologici che lo spiegano). Un evento
spiacevole può tradursi in una compressione del cranio oppure in una lombo sciatalgia, o una disfunzione
del ginocchio, dell’anca. Il blocco tissutale, la disfunzione avvengono in una zona che è già facilitata per altri
motivi: la famosa goccia che fa traboccare il vaso.

4° esercizio sull’intenzione
Le mani dell’Osteopata sono sempre passive, ma i suoi pensieri ordineranno ai tessuti di effettuare dei movi-
menti. È una sorta di attività cerebrale, l’induzione viene data con il pensiero.
1. Mettetevi in sincronia con i tessuti del Pz
2. Con la vostra intenzione cercate d’indurre con il pensiero un’espansione del cranio del Pz e poi una retrazi-
one. La mano dell’Osteopata è passiva e ascolta
3. Ora cercate d’indurre un movimento che ricorda la torsione, dx o sin, fate voi
4. Ora un movimento di lateroflessione-rotazione
5. Ora uno strain
6. Tornate in una situazione iniziale, di partenza, di neutralità e staccate lentamente le mani

Vi ricordo che nella fase di test bisogna essere neutri, mentre durante la tecnica vi aiutate con la visualizzazi-
one e con l’intenzione per amplificare l’efficacia della tecnica. Se infatti si fa un test con l’intenzione di trovare
una determinata disfunzione, 50% delle volte trovate quella disfunzione. Se durante il test vi fissate per es. nel
148
trovare una disfunzione di rotazione int di tibia, nell’80% dei casi la trovate! Perché siete voi a indurre la rotazi-
one int della tibia. Questo però non deve succedere, perché bisogna fare il test usando solo l’attenzione, per
poi aggiungere l’induzione quando si vuole avere un effetto su quel tessuto. In tal caso l’induzione amplifica la
manovra che si è scelto di eseguire. Attenzione + induzione amplificano l’effetto della tecnica e quindi anche
l’efficacia della manovra sul tessuto.
Queste informazioni non possiamo darvele al 1° anno, perché non ci avreste creduto, ci avreste preso per
matti. Dopo tre anni di esperienza avete già un substrato di un certo tipo. Sono cose difficili da capire per me
che le insegno, figuriamoci per voi! Da oggi in poi cercate di applicare sui test e sul trattamento questi principi,
perché vi cambiano l’efficacia del trattamento totalmente. Lo vedete da subito, già da domani. Aumentate le
vostre possibilità e percentuali di efficacia. E questa è la differenza tra lo scrocchiaossa o il fisioterapista diplo-
mato in osteopatia e l’osteopata, perché c’è molta gente in giro che è fisioterapista o scrocchiaossa travestita
da osteopata, ma non è osteopata. L’osteopatia inizia da qui, inizia dal fatto che si conosce l’anatomia e la fi-
siologia medica come l’avemaria. Tutto quello che facciamo in osteopatia e che sembra buttato lì è già scritto
sui libri. Bisogna però saperli leggerle in chiave osteopatica. Il Testut o il Guyton, letti in chiave osteopatica,
spiegano perché l’osteopatia funziona, fanno capire il Pz. Se nei test trovo per es. un “polmone” o un “rene”
devo pensare anche al ph. Se trovo un “glossofaringeo” devo pensare alla regolazione della pressione arte-
riosa, ossia tutti quei parametri che riguardano la fisiologia medica e non vengono presi in considerazione, ma
che ci fanno capire come in osteopatia non si può lavorare sul sintomo. Se il Pz viene a studio perché ha mal
di stomaco, a me della sua gastrite non me ne frega niente, perché può dipendere da un colon, da un vago
o da un’altra cosa che con lo stomaco non c’entra niente, per cui è inutile fare i test solo sullo stomaco. Qui vi
creo casini, lo so, però prendetelo come uno sfogo! Quindi non fermatevi sulle cose, ma continuate per conto
vostro a praticare, a studiare. Con questo lavoro studierete da qui alla pensione! ……..se lo volete far bene. Se
invece farete i fisioterapisti travestiti da osteopati e quindi farete sui vostri Pz una tecnica osteopatica e poi la
tecar, io m’in…zzo e vi mando i mercenari ucraini!! Chiaro?

5° esercizio a tre
Un Osteopata si mette sul sacro, l’altro sul cranio e cerca di indurre intenzionalmente, meccanicamente
sull’osso per es. torsione, flessione….La mano dell’Osteopata è sempre in ascolto, perché l’induzione avvi-
ene con l’intenzione. L’Osteopata che ha la mano sul sacro deve cercare di percepire quante volte cambia
l’induzione e possibilmente che cosa viene indotto (flessione, estensione, torsione…..). Fate 5 minuti a testa.
L’Osteopata che contatta il cranio induce 3-4 cambiamenti, non di più. Fatelo in silenzio e poi vi confrontate
senza far casino.

sem 3

Palpazione delle fasce (file ppt)


In questa lezione faremo degli esercizi sulla palpazione delle fasce, che vi serviranno sia nel trattamento delle
fasce che nel viscerale.
slide 2

Ecco in sintesi cosa faremo:

Pertanto cercheremo di applicare i criteri


di palpazione che abbiamo visto l’altra
volta, poi faremo una ricerca delle caratter-
istiche del tessuto a vari livelli anatomici,
poi cercheremo di considerare le diverse
consistenze dei tessuti nei vari livelli ana-
tomici e poi cercheremo delle frequenze
sui vari livelli anatomici, perché in base al
livello anatomico contattato con la mano,
sia esso un arto o un viscere, vi renderete conto che ci sono ritmi differenti e che a ogni livello il movimento
può cambiare, per cui avrete sensazioni completamente diverse.
149
slide 3

Quali sono i ritmi che potete sentire con le


fasce?

Le fasce sono un tessuto, l’abbiamo detto in


precedenza, che veicola delle forze meccan-
iche, per cui si può sentire la mobilità sotto il
motore del diaframma toraco-addominale >
quindi un movimento delle fasce indotto dalla
respirazione diaframmatica.
Inoltre si può sentire un movimento delle fasce
sull’impulso ritmico craniale (e può essere
percepito pure su un piede come farete dopo nella pratica).
La motricità per ora la lasciamo da parte, perché la vedremo con il neurovegetativo.
Poi abbiamo la cinetica spontanea delle fasce ossia un altro ritmo, che è un po’ la risultante di diversi ritmi che
stanno nel corpo.
Se mi date una felpa/foulard facciamo
un esempio pratico.
Un foulard è tenuto da 3 persone e ognu-
no lo muove secondo un ritmo diverso:

3 1. ritmo respiratorio
2. ritmo cranio-sacrale

1 3. ritmo “qualsiasi”

2
Se si mette una mano al centro del foulard si sente
la risultante dei 3 ritmi di sopra, ossia la cinetica
spontanea. Se l’osteopata conosce la frequenza
dei ritmi di sopra (1, 2 e 3) può, appoggiando la
mano sui tessuti, andarla a cercare guidato dai re-
cettori della sua mano. Può ascoltare, separandolo
dagli altri, per es. solo il ritmo 1, oppure il ritmo 2…
La mano si sintonizza sulla frequenza conosciuta.
L’esercizio che faremo sarà quello di trovare diversi
livelli anatomici.
Su ogni livello andremo a sentire 3 ritmi possibili:

mobilità (motore diaframmatico)


motilità (motore cranio-sacrale)
cinetica spontanea
Si potrebbero ascoltare anche altri ritmi (marea media, marea lunga, … ) ma ora non ne parliamo.
Per quanto riguarda la cinetica spontanea (quello che sto per dire si può fare anche con gli altri ritmi, ma è
bene farlo in particolare con la cinetica spontanea) dovete andare a sentire/percepire le sue caratteristiche.
Come si sente? Si mettono le mani sulla zona (per es. coscia, addome….) e, a mente neutra, si sente se la mano
viene attratta in una determinata direzione. Dovrebbe partire un movimento che è indipendente dalla respi-
razione e dal ritmo cranio-sacrale. Se la fascia è libera di muoversi, sentirete che parte in una direzione e dopo
un po’ ritorna in una direzione uguale e contraria alla precedente (pensate ai parametri di densità, direzione,
forza). Se invece c’è una restrizione da qualche parte, per es. sulla spalla, le fasce creano delle tensioni, dei vet-
tori di forza. Se metto la mano sull’addome ad un certo punto sento che viene attratta/si muove verso il punto
150
di restrizione (la spalla), come se la mia mano fosse attratta dalla restrizione. A questo punto devo valutare la
direzione (in questo caso: verso la spalla), l’intensità (se tira subito o se inizia lentamente e in modo progres-
sivo) e poi la lunghezza di questa trazione (perché posso sentire una sensazione di trazione lunga, che dura
nel tempo, oppure percepisco che dopo poco la trazione si ferma/si blocca. In base alla direzione posso capire
la struttura anatomica o per lo meno la zona dove ci può essere una restrizione. Questa restrizione natural-
mente può essere sia articolare che tissutale (se per es. c’è stato uno strappo muscolare) o viscerale, quindi
a qualsiasi livello. La lunghezza mi dà l’idea di quanto è lontana la zona di restrizione dal punto d’appoggio
rappresentato dalla mia mano. Più è lontana la zona e più sentirò una trazione lunga. Più è vicina e più sento
che la mia mano dopo poco si ferma. Poi succede che tutto il sistema va verso la restrizione e a un certo punto
il movimento si ferma, arriva a quello che possiamo chiamare still point (anche se su questo ci sono varie
interpretazioni), ossia un momento in cui il movimento si ferma. A questo punto posso percepire 3 situazioni
possibili:
1. rammollimento > una sensazione di rammollimento del tessuto, che significa che il tessuto ha liberato
energia e la tensione che teneva all’interno (andate a rivedere i discorsi sulla saturazione di energia che ab-
biamo già fatto)
2. normalizzazione > dopo un po’ sento che il movimento riparte in una direzione uguale e contraria, nel
senso della normalizzazione. In questo caso l’Osteopata accompagna il tessuto verso la normalizzazione e poi
finisce la tecnica. Rimettendo la mano l’Osteopata non dovrebbe più sentire questa trazione. Certamente la
mano potrebbe però partire in un’altra direzione, dove c’è un’altra restrizione
3. nuova direzione > il tessuto, dopo lo still point, fa partire un altro movimento verso un’altra direzione
totalmente differente. L’Osteopata segue questa seconda direzione fino a quando arriva ad un secondo still
point. Lì aspetta fino a quando sente una delle 3 situazioni possibili appena spiegate. Ci può essere il caso in
cui si sentono 4-5 still point, dopo i quali la tecnica finisce, perché ogni volta che il tessuto riparte verso una
nuova direzione vuol dire che sta liberando energia, l’energia potenziale si trasforma in energia cinetica. Dopo
diversi still point il tessuto ha comunque rilasciato tensione.
Il lavoro sulla cinetica spontanea può avere da una parte un valore diagnostico, perché la mano viene at-
tratta verso un punto di restrizione e vi potete rendere conto di dove è localizzata una possibile zona di res-
trizione e in secondo luogo un valore di trattamento, per cui si può fare un lavoro sulla cinetica spontanea
per liberare le tensioni fasciali. È un lavoro che si può fare a qualsiasi livello: arto, muscolo, viscere.

Esercizio 1
Cominciamo dalla
coscia. Una mano va
sotto e fa da punto
fisso e l’altra sopra.
3 Livelli Anatomici
1° livello. Per prima
cosa vado a sentire
la consistenza dei
vari livelli anatomici.
Il primo contatto è
molto superficiale e
si sente la consistenza di cute e fascia superficialis. Ovviamente in base alla quantità di grasso del Pz può
essere più o meno spessa. Si sente l’elasticità, la resistenza, le caratteristiche di questo tessuto.
2° livello. Poi aumentate la pressione in modo lento e progressivo e sentirete che questa consistenza mor-
bida, superficiale comincia a cambiare, perché state entrando nel tessuto muscolare, che ovviamente ha una
consistenza diversa dal tessuto sottocutaneo. Sentirete che l’elasticità e la resistenza del tessuto cambiano,
perché siete sul muscolo. Memorizzate questi parametri.
3° livello. Poi aumentate la pressione in modo lento e progressivo e sentite che la consistenza del muscolo
cambia di nuovo e diventa duro, perché siete arrivati all’osso.
Ho quindi sentito 3 consistenze diverse e so che la mia pressione è arrivata su 3 livelli diversi.

3 Ritmi su ciascun Livello Anatomico


Su ogni piano anatomico andiamo a cercare 3 ritmi:
151
mobilità, motilità e cinetica spontanea.
1° livello. Partiamo dal Piano anatomico
superficiale > per prima cosa cerchiamo
la mobilità. Siccome il motore della mo-
bilità è il diaframma, possiamo avere
un feedback visivo guardando la respi-
razione del Pz. Cerchiamo di ritrovare
questo ritmo sulla coscia del Pz a livello
fasciale superficiale.

Poi spostiamo l’attenzione sulla motilità, determinata dal ritmo cranio-sacrale (siamo sempre sul piano ana-
tomico superficiale). L’attenzione deve funzionare un po’ come la manopola della radio: da una frequenza
respiratoria devo passare ad un frequenza cranio-sacrale. Sembra difficile ma in realtà è meno difficile di
quanto sembra, perché voi avete già esperienza con l’ascolto sul cranio di ritmo e ampiezza, il vostro cervello
e i vostri recettori hanno già memorizzato, come sensazione, ritmo e ampiezza. Provate a immaginare di ap-
poggiare le mani, anziché sulla coscia, sul cranio del Pz. In questo modo la vostra attenzione va su un movi-
mento guidato dal ritmo cranio-sacrale.

Se le fasce sono libere e così


pure la meccanica cranio-
sacrale, sul piano superficiale
dell’arto inf dovreste sentire:

Ovviamente avrà un’ampiezza


e una direzione diverse rispetto
a quello che avete sentito sulla
respirazione.

Piano superficiale | Tempo di F | alto e Rot int Piano superficiale | Tempo di E | basso e Rot est

152
2° livello. Andiamo su un piano
più profondo, all’interno del
muscolo. Anche qui percepite
mobilità (diaframma) e motil-
ità (ritmo cranio-sacrale). Nella
motilità in teoria dovreste sen-
tire:

Sembra quasi un movimento


elicoidale.

Piano medio | Tempo di F | alto e Rot int...... .....Rot est in fase finale

3° livello. Andiamo su un piano


profondo, vicino all’osso. An-
che qui sentirete mobilità e
motilità. Nella motilità in teoria
dovreste sentire un movimen-
to opposto a quello del piano
superficiale. Ossia:

153
Poi dopo questo esercizio prendete la coscia del Pz tra le due mani, fate una pressione adeguata, non troppo
forte, in modo che tra le mani avete un blocco e la sensazione di avere un’unica massa e percepite la cinetica
spontanea. Ricordate che è un ritmo totalmente indipendente dalla respirazione e dal ritmo cranio-sacrale. E’
un movimento che vi parte sotto le mani in modo più o meno evidente.
In questo esercizio ipotizziamo, per semplicità, che la mano che lavora sia quella sopra la coscia mentre quella
sotto non fa niente. Con l’esperienza riuscirete a percepire con entrambe le mani, perché dovete sentire tutto
il manicotto fasciale muoversi.
Poi da soli cercherete i 3 livelli e le 2 frequenze (mobilità e motilità) sulla gamba e sul piede, e la cinetica spon-
tanea in modo globale. Fate attenzione anche se percepite questi ritmi, in termini d’intensità e di ampiezza,
meglio sulla coscia piuttosto che sulla gamba o sul piede. In teoria, se le fasce sono libere, si dovrebbero sentir
bene i ritmi su tutti e tre i segmenti corporei: coscia, gamba, piede, cioè tutto l’arto inf dovrebbe muoversi
all’unisono e contenere questi 3 ritmi.
Se invece capita di sentire meno i ritmi sulla gamba, può voler dire che il sistema
è bloccato in qualche punto. Vediamo degli esempi, che possono essere utili
nell’orientamento. Immaginiamo un Pz in cui si sentono bene i ritmi sulla coscia,
meno bene sulla gamba e niente sul piede > siccome il sistema veicola delle forze
meccaniche, significa che queste forze meccaniche si sono interrotte, sono state
ostacolate in un punto che potrebbe essere il ginocchio. Nel ginocchio ci potreb-
be essere una restrizione di mobilità del sistema fasciale, che ha la sua origine in
qualsiasi struttura anatomica: legamento, cicatrice, sinovia infiammata, una tibia
in Rot Int, un perone in posteriorità. Il sistema fasciale viene quindi bloccato a quel
livello.
Un altro esempio: se sento bene i ritmi sulla coscia e sulla gamba e niente sul
piede, posso immaginare che ci sia una restrizione di mobilità sulla caviglia.
Un altro esempio: se sento bene i ritmi sulla coscia e sul piede e niente sulla gam-
ba, posso immaginare che ci sia un problema intrinseco della tibia, per es. a carico
della membrana interossea oppure riconducibile ad una vecchia frattura oppure
perché ha avuto un trauma sulla tibia il giorno prima e si è procurato una lesione
intraossea di tibia. Possiamo anche paragonare le sensazioni che abbiamo su un arto con il controlaterale.
Se sento bene i ritmi su arto e niente sull’altro è probabile che la restrizione sia sull’anca o sul bacino. Quindi
questa tecnica vi può per es. confermare un test di pressione.

Per quanto riguarda invece la cinetica spontanea, se il problema è a carico


del ginocchio, sentirò che le mani sulla coscia vengono trazionate verso
il ginocchio con una lunghezza media. Poi, mettendo le mani sulla tibia,
sentirò che la cinetica spontanea porta le mie mani sempre verso il ginoc-
chio con una lunghezza media, quindi tutto converge verso il ginocchio.
La cinetica del piede mi porta anch’essa verso il ginocchio ma con una
trazione più lunga. Tutti questi indizi mi portano ad indagare sul ginoc-
chio.
Un altro esempio: se la restrizione di mobilità è sulla caviglia, sentirò sul
piede una trazione breve verso la caviglia, sulla tibia sentirò una trazione
breve verso la caviglia e sulla coscia una trazione lunga verso la caviglia.
Questo test sulla cinetica spontanea si può fare anche sui visceri > faremo
poi degli esempi su stomaco e fegato.

154
Nell’arto SUPERIORE la situazione
cambia.

Le fasce degli arti hanno questo


comportamento: il manicotto est
va in una direzione e quello in-
terno, vicino al periostio, va nella
direzione opposta (le rotazioni
nell’arto sup sono opposte a
quelle dell’arto inf ). Immaginate
che i tre piani anatomici siano
come tre tubi inseriti uno dentro
l’altro, con movimenti opposti
nella motilità.
Il vostro livello percettivo deve
cominciare a cambiare.

Esercizio 2 > Pratica sui visceri


Domanda: quanti di voi nel test di mobilità sullo stomaco sentono vera-
mente lo stomaco? Per fare un buon test di mobilità bisogna innanzitutto
raggiungere il livello anatomico dell’organo. Per quanto riguarda lo stom-
aco mettiamo una mano sul costato. Come abbiamo fatto per la coscia,
sentirò un piano superficiale con una sua consistenza, poi aumento la
pressione e comincia il duro della griglia costale. A questo punto possiamo
chiedere al Pz di fare una respirazione più sostenuta e di conseguenza la
mano dell’Osteopata si muove seguendo il ritmo della griglia costale. Poi
aumentate la pressione e sentite che a un certo punto la consistenza dura
della costa cede e la vostra mano…vuh…entra nell’addome. A questo
punto chiedete al Pz un respiro più profondo e vedrete che la mano ora
si muove seguendo il ritmo dello stomaco. Questo è quello che bisogna
sentire.
A quel punto mettete la seconda mano > il movimento dello
stomaco si sente su entrambe le mani e non solo su quella sotto-
costale perché è più facile. Dovete abituarvi a sentire lo stomaco,
perché al VI anno dovrete sentire polmone e cuore. Abituatevi
quindi a sentire il giusto livello anatomico e le varie consistenze.

155
La stessa cosa vale per i visceri dell’addome, perché
quando devo lavorare per es. sul pancreas, so che sto
sul pancreas se riconosco le varie consistenze dei tessu-
ti: muscolare, entro nell’addome, sento l’intestino, poi la
consistenza aumenta, diventa più duro e poi percepisco
il battito dell’aorta, allora torno indietro un pochino, ar-
rivo sul duro che ho sentito un poco prima del battito
dell’aorta e probabilmente quello è il pancreas. La vostra
attenzione deve stare sulla consistenza, indipendente-
mente dalla respirazione del Pz.

Ora facciamo la pratica sullo stomaco e a seguire sul fegato, che è quasi tutto sottocostale, per cui se non en-
trate bene sul livello giusto non potete fare un buon test di mobilità.
Mettendo la mano sul fegato si sente in primo
luogo il duro della griglia costale. Se chiedete
al Pz una respirazione più accentuata la vostra
mano seguirà il ritmo della griglia costale. Con
una pressione lenta e graduale entro, sento che
a un certo punto la consistenza cambia e …
vuh… la mano entra dentro. Chiedo al Pz una
respirazione più accentuata e sento che questa
volta la mano segue il movimento del fegato.

Questo esercizio vi serve anche per testare


e lavorare il leg triangolare dx del fegato.
Se sono sul livello del legamento con la
mano sin, spostando il viscere con la mano
dx sento a un certo punto qualcosa che mi
risucchia verso dentro, si crea come una de-
pressione sulla gabbia toracica. Vuol dire che
sto trazionando sulla proiezione del punto
d’inserzione del leg triangolare dx del fe-
gato.

156
La stessa cosa tirate lo stom-
si può fare aco e avete la
sulla milza. sensazione di
Contattate un risucchio,
la milza at-
traverso le
coste, entrate
nella gabbia
toracica, arriv-
ate a contatto
della milza,
che qualcosa arriva sulla vostra mano sin
e la risucchia da dentro.

Lì state veramente lavorando sul leg


gastro-splenico o gastro-ienale. Quin-
di quando fate il test e la tecnica di recoil
dovete stare su quel livello percettivo,
perché altrimenti parliamo di aria fritta!

L’esercizio da fare ora è > trovare veramente lo stomaco, prima con la mano sopracostale poi aggiungendo
l’altra sottocostale. Poi fate il test di mobilità sullo stomaco e infine cercate di sentire la motilità (quindi ritmo
e ampiezza sulla frequenza cranio-sacrale). Questo esercizio sulla motilità viscerale lo facciamo solo ora e qui,
per fare pratica, mentre da un punto di vista lavorativo non si usa (una volta lo si faceva ma ora no, altrimenti
c’è troppa carne sul fuoco). In teoria sappiate che un viscere può essere testato sulla mobilità, sulla motilità
e su altri ritmi ancora. Per ora, per fare pratica, immaginate di avere le mani, anziché sul fegato, sul cranio e
cercate di sentire la motilità. Nel momento in cui conoscete ritmo e ampiezza del cranio, le ritrovate pure sul
viscere. Calcolate che il movimento del viscere nella moTilità è simile, come direzione, a quello della moBilità,
mentre l’ampiezza e la frequenza sono diverse.
Infine, con le mani nella stessa posizione, sentite la cinetica spontanea. Staccate la corteccia e sentite se la
mano viene attratta in una direzione.
In Alessia si sente per es. che lo stoma-
co si avvita e va verso dietro. Può darsi
che nella parte post ci sia qualcosa
che magari tira: coda del pancreas?
milza? altro? Se fate il test di pressione
sull’addome potete averne la confer-
ma.

In effetti in Alessia risulta + l’ipocondrio sin, su cui bisogna indagare ulteriormente. Come vi dicevo, questo
lavoro sulla cinetica spontanea vi può aiutare a confermare un test di pressione. Oppure dopo aver lavorato
su un viscere, posso fare il test sulla cinetica spontanea e lavorarla direttamente nel modo visto prima: trovo
lo still point, aspetto, riparte il movimento…oppure sento un rammollimento del tessuto. E’ un lavoro fasciale
sui visceri, chiamamolo così.

157
sem 5_Bonetti (al sem 4 non ci sono state lezioni di fasce).

In queste due ore vorrei che miglioraste le capacità palpatorie, perché se non palpate in modo giusto una
struttura, di qualsiasi tipo essa sia, non risultano efficaci né il test né tanto meno il trattamento. Inoltre c’è
spesso una sorta di scetticismo nel trovare alcune strutture, si dice “quello non si può sentire” oppure “quello
non si può trovare”....... personalmente non sono d’accordo su questo, perché si può sentire tutto, la cosa im-
portante e sapere cosa e come cercare e trovare la struttura interessata. Quando non si sa né cosa né come,
è chiaro che non si sente niente. Dopo proveremo e vi farò sentire il famoso pancreas, che molti dicono che
non si sente. Invece vi assicuro che si sente nettamente e si sente anche la mobilità del pancreas. L’importante
è stare sul livello giusto.
Bonetti proietta le slide: palpazione delle fasce.
1. Quando palpate vanno adottati i criteri di palpazione: l’attenzione, la bolla percettiva....
Dovete stare molto concentrati su quello che state palpando, soprattutto all’inizio. La palpazione è una fase
di apprendimento da un punto di vista neurofisiologico. Quando leggendo apprendete delle informazioni ci
sono delle aree cerebrali della memoria che vanno incontro a cambiamenti da un punto di vista anatomico
(si creano delle sinapsi). Più l’informazione viene reiterata nel tempo e più i cambiamenti diventano duraturi
a livello neuronale. La stessa cosa dovete fare con la mano. La mano e piena di recettori (come l’occhio che
legge le informazioni). La mano ha dei recettori che mandano le informazioni a livello centrale, il livello cen-
trale le elabora in termini di consistenza del tessuto, di elasticità, di temperatura, di ruvido, di morbido, di tutte
le caratteristiche che potete percepire a livello palpatorio. Queste informazioni arrivano a delle aree cerebrali
dove innescano un processo di apprendimento e di memoria, che è identico a quello che fate studiando sui
libri. Questa memoria vi serve per trovare alcune strutture in modo facile e automatico su più pazienti. È un
po’ come guidare la macchina, all’inizio è difficile ma dopo diventa una stupidaggine a forza di farlo. Non ser-
vono neanche chissà quanti pazienti e chissà quanti anni di esperienza. Quello che serve è sapere cosa dovete
cercare e come cercarlo. Una volta che lo avete sentito 5-6 volte e la vostra mano e la vostra memoria hanno
memorizzato queste 5-6 volte, alla fine il processo è appreso e lo potete riapplicare su chiunque.
La pratica che ora faremo dovrà tener presente la ricerca delle caratteristiche della struttura (può essere qual-
siasi struttura: un osso, una vertebra, il cranio, una membrana...... tuttavia oggi faremo la pratica su un viscere),
sia in termini di resistenza, elasticità che in termini di giusto livello anatomico. Per fare questo dovete avere in
mente l’anatomia topografica della zona, perché è quella che vi aiuta a capire quanta pressione dovete fare
per arrivare su un determinato viscere, che magari è anteriore o posteriore e via dicendo.
Ricordate che uno dei criteri della palpazione è la duplicazione, per cui dovete avere un’idea della geometria,
della forma della struttura che state palpando. Se per es. conosco la forma del rene quando sono sul polo in-
feriore riesco a posizionarmi sull’ilo del rene senza sbagliarmi.
È anche importante riconoscere le diverse consistenze del tessuto. Faremo una palpazione su diversi livelli
anatomici e dovrete fare attenzione a “quanto il tessuto è morbido” oppure “quanto mi resiste” al tatto. Poi
dovrò riconoscere quando arrivo su un piano muscolare e a come cambia la resistenza del piano muscolare
sotto la mano e dovrò percepire la diversa resistenza. Dopo il piano muscolare scenderò e arriverò ad un altro
piano e dovrò percepire e riconoscere la diversa resistenza di questo piano. La palpazione va fatta su queste
modalità che abbiamo appena detto.
Puoi faremo la ricerca delle frequenze. Su ogni struttura si possono sentire diverse frequenze:

158
1. la mobilità (ossia il movimento del viscere
in relazione al diaframma)
2. la motilità (ossia un movimento che è in
sintonia con il ritmo cranio sacrale), che quin-
di avrà un’ampiezza e una frequenza diverse
dalla mobilità e inoltre delle direzioni di movi-
mento leggermente diverse
3. la motricità, che è di due tipi, ossia:
a. la vasomotricità (che abbiamo percepito
con il test di emodinamica “pieno/vuoto”
3b. la visceromotricità, ossia la peristalsi = i
movimenti intrinseci del viscere (si dice che
non si sentano, in realtà non si sentono perché
non sono mai stati presi in considerazione).
Bonetti dice che se uno sente la mobilità e la motilità, è capace di sentire anche la peristalsi.
Poi ci sono altre frequenze che vedrete quando farete dei master sul viscerale dopo il sesto anno.
Adesso applicheremo questi principi alla pratica.
Cominciamo con una pratica a coppie e poi passeremo ad una pratica a tre.
Nella pratica a coppie sentiremo:
1. la mobilità di un viscere (in teoria la sapete sentire, ma oggi vorrei che la sentiate alla perfezione)
2. la cinetica spontanea. Essa è un movimento intrinseco che si può sentire su qualsiasi struttura del corpo,
così come si sentono le altre frequenze e che è la risultante degli altri ritmi del corpo. Vi ricordate quando ab-
biamo fatto l’esempio della maglietta che veniva mossa da tre persone con tre frequenze diverse?
La cinetica spontanea è quel ritmo che si sente quando, staccata la corteccia, si sente partire le mani in
una determinata direzione. Alle volte le mani vengono attirate con un movimento lento e progressivo verso
una direzione qualsiasi. Questa direzione è dovuta alla presenza di restrizioni fasciali che possono essere vi-
cine oppure a distanza in qualsiasi punto del corpo. Se la Pz ha una restrizione del sistema facciale superficiale
o profondo a livello per es. della fossa iliaca e sto facendo un test sullo stomaco, la cinetica spontanea fa si che
le mie mani vengano attirate, con un movimento lento e progressivo, verso il punto di restrizione.
Nel caso della cinetica spontanea devo valutare sia la direzione sia la lunghezza. Infatti se il punto di restriz-
ione è vicino allo stomaco sentirò un ritmo di cinetica spontanea breve.
Se invece la restrizione di mobilità è
lontana dallo stomaco sentirò una
trazione lunga, in questo caso avrò la
percezione di un movimento che con-
tinua, continua, continua quasi senza
fine perché la distanza tra lo stomaco e
per esempio il ginocchio è lunga.

159
Quindi ricordate che con la cinetica spontanea, che può essere applicata anche ad una vertebra oppure una
costola, dovete considerare la direzione e la lunghezza.
Un lavoro sulla cinetica spontanea è già di per sé un trattamento. Tuttavia può avere anche un significato di
tipo “diagnostico” che può confermare alcuni test. Facciamo un esempio. Dopo aver fatto tutti i test osteo-
patici: i nove quadranti, le vertebre, il sacro……… risultano positivi lo stomaco e una vertebra dorsale, che
potrebbe essere in relazione con lo stomaco. Mi chiedo se la restrizione di mobilità della vertebra dorsale
può influire meccanicamente, con un collegamento fasciale sullo stomaco. Per trovare la risposta posso fare
un test di inibizione oppure mettere le mani sullo stomaco e sentire la cinetica spontanea. Se c’è un collega-
mento meccanico sentirò che le mie mani sullo stomaco vengono attirate verso la vertebra dorsale. Oppure se
per esempio il collegamento è con una spalla le mie mani sullo stomaco vengono attirate verso quella spalla
con una lunghezza che è più o meno lunga. Se invece ci fosse stato per esempio un collegamento con il lobo
inferiore del polmone avrei sentito che le mie mani sullo stomaco venivano attirate con una lunghezza breve
in direzione del lobo inferiore del polmone.
Trattamento. Le mie mani sullo stomaco sono attratte da un movimento di cinetica spontanea verso la
spalla sinistra con un movimento lungo. Ad un certo punto però la trazione si ferma, sono arrivato ad uno
still point. In questo caso mi fermo e aspetto che il movimento riparta verso per esempio un’altra direzione.
Seguirò quindi questa seconda direzione fino a sentire un secondo still point. Mi fermo e aspetto fino a quan-
do il movimento riparte. Lo seguo nuovamente e così per 3-4 still point.
Vi ricordate la lezione sulla saturazione di energia? Quando una struttura libera energia vengono liberate
delle energie secondarie, che possono essere:
calore
rumore
movimento
Quando arrivo ad uno ad uno still point e il tessuto riparte in un’altra direzione vuol dire che sta liberando
energia potenziale sotto forma di movimento (che è una dissipazione di energia). Quindi ad ogni successivo
still point la fascia si libera di energia potenziale che era trattenuta. Nello still point si può sentire del calore
(e questo lo sente anche il paziente) oppure dei rumori come per esempio degli scrosci (come prendere della
neve fresca in mano e schiacciarla).

Torniamo alla nostra pratica


1. Lavoro sui livelli e sulle diverse consistenze che si incon-
trano ai vari livelli.
Iniziamo dallo stomaco, reperite lo stomaco con la percus-
sione e poi mettete la mano sin sulla griglia costale in proi-
ezione dello stomaco (la mano dx la mettete dietro la schie-
na). Con la mano sin vi concentrate sui seguenti livelli:
1. percezione della cute, tale percezione può essere più
o meno morbida in relazione all’adipe ossia alla fascia su-
perficialis.
2. poi aumentate la pressione in modo lento e progressivo
e sentite che il morbido dello strato superficiale diventa
duro perché state a contatto con l’osso
160
3. aumentate ancora la pressione e sentite come se il duro svanisse e la mano sprofondasse all’interno. A
questo momento sarete a contatto con la porzione viscerale

4. Ritornate indietro al duro della gabbia toracica e provate a sentire che cosa suc-
cede sulla mobilità, quindi sulla respirazione. Sentirete la gabbia toracica che si es-
pande in inspiro e si contrae in espiro.

5. Poi ritornate verso


il viscere, all’interno
e sentirete che la
mano fa una rotazi-
one diversa perché
sente la mobilità del-
lo stomaco.

stomaco in INsp
stomaco in Esp

Molti di voi sentono lo stomaco con


la mano dx sotto la griglia costale,
però questo è un errore. Con questa
modalità percettiva non si potrebbe
sentire il fegato, che è tutto sotto la
griglia costale.

Facendo questo esercizio da 1 a 5 vi


accorgerete che è molto semplice e
che potete farlo tutti. Basta cambiare
il livello atomico e percepire le con-
sistenze diverse.

161
La stessa cosa si può fare con il fegato met-
tendo le mani solo sulla griglia costale:
1. le mani sentono il morbido del
sottocute
2. poi il duro della griglia costale e le mani
si muovono in sincronia con il ritmo respi-
ratorio

3. poi il duro molla,


arrivo sul viscere e sen-
to la bascula del fegato
(di più con la mano sin
che con la dx)

fegato in INsp fegato in Esp

Stessa cosa per la milza


1. Sottocute
2. Gabbia toracica e ritmo respiratorio
3. Viscere e mobilità

sottocute 2. griglia costale 3. viscere (INsp) 3. viscere (Esp)

milza in INsp
milza in Esp

162
Il movimento della
milza è lo stesso di
quello della coda del
pancreas

coda del
coda del pancreas
pancreas in Esp
in INsp

Dopo l’esercizio sulla mobilità dello stomaco (1) andate a percepire gli altri ritmi:
2. la cinetica spontanea (stacco la corteccia e sento dove vengono attirate le mani) dello stomaco e del fe-
gato
3. la motilità, il ritmo cranio sacrale, mettendovi in gruppi di tre. La motilità è stata tolta dal corso di viscerale
per una questione di tempo, altrimenti bisognava aggiungere un altro anno solo per sentire la motilità. Sap-
piate però che una disfunzione su qualunque struttura del corpo come per es. una tibia o un stomaco si può
organizzare su più livelli: sia su una mobilità meccanica-articolare, sia su una mobilità viscerale, che su una
motilità cranio sacrale.
Sul perone si può sentire con un pò di attenzione il ritmo cranio sacrale, che è
coordinato con la flesso-estensione del cranio. La stessa cosa la potete sentire
sullo stomaco. Potreste trovare su un Pz che ha la gastrite, su cui avete fatto tutti
i test, che è positivo al test di pressione mentre è negativo al test di mobilità sullo
stomaco, ossia la mobilità va bene sia in inspiro che in espiro. Che fare? Devo con-
trollare se questa disfunzione dello stomaco si è organizzata su un altro livello,
come per es. la cinetica spontanea oppure su una motilità cranio sacrale, ossia
in relazione alla meccanica del cranio. Quindi cercate di percepire la motilità del
viscere in questo esercizio che faremo oggi anche se non la studierete nel corso
di studi qui al CERDO. Se sapete sentire tutti questi ritmi allenate la vostra mano
ad una percezione più fine e così vi toglierete ogni scetticismo quando sentirete
parlare di recoil sull’arteria renale oppure su un’arteria testicolare. Non avrete più
dubbi perché avrete affinato la vostra capacità percettiva.
Anche la cinetica spontanea ha una normalità: metto le mani, sento il viscere, stacco la corteccia, sento
partire un movimento in una direzione e poi sento un movimento contrario di uguale ampiezza che mi riporta
al punto di partenza, poi riparte nella stessa direzione e ritorna indietro con la stessa ampiezza, quindi sento
un movimento armonico che non è in sintonia né con la respirazione né con il ritmo cranio sacrale ma è un
movimento a parte, che mi indica che la zona è libera da restrizioni (una condizione difficile trovare perché di
solito siamo pieni di disfunzioni osteopatiche, sulla cinetica spontanea troverete sempre delle disfunzioni).
Per quanto riguarda il ritmo cranio sacrale le mani sullo stomaco sono nella stessa posizione del test di mobil-
ità, le direzioni sono molto simili a quelle del test di mobilità ma con un’ampiezza diversa (sono molto meno
ampi) ed una frequenza diversa (perché è quella del ritmo cranio sacrale e non quella respiratoria). Questo
accade perché gli organi vengono attirati dalla base del cranio nella parte centrale verso l’asse aponeurotico
centrale, quindi tutta la parte centrale degli organi viene tirata su, mentre la parte esterna tende ad espan-
dersi.
Per sentire la motilità cranio sacrale vi consiglio di mettervi in 3: uno si mette alla testa del Pz con le mani sul
cranio del Pz e con la testa fa da segnatempo, senza parlare, e fa un “si” ogni volta che c’è il passaggio dalla
flesso-estensione. In questo modo l’Osteopata con le mani sullo stomaco ha un feedback visivo e cerca di
capire se quello che sente è coordinato con il segnale che gli arriva dal collega.
Ricapitolando
1. esercizio sui livelli sia sullo stomaco che sul fegato (discriminare tra il movimento della gabbia toracica e
quello del viscere)
2. Cinetica spontanea
3. Motilità = ritmo cranio sacrale, in gruppi di tre
163
Esercizio con i COLORI
Facciamo un esercizio: guardate la scrivania e concentrate la vostra attenzione sul verde…. sull’arancione……..
sul blu,......sul nero…….sul rosso……..sul rosso su fondo nero.
Quello che adesso avete fatto con la vista dovete farlo con la palpazione. Ovviamente per poter riconoscere
un colore tra tanti altri su una scrivania bisogna averlo già visto in precedenza e quindi conoscerlo, altrimenti
non si può focalizzare l’attenzione. L’equivalente di questo a livello palpatorio e la conoscenza dell’anatomia
e quindi la consapevolezza del livello anatomico. Se vi avessi chiesto di guardare il microfono tutti avreste
puntato lo sguardo sul microfono perché ne conoscete la forma, la geometria e quindi lo riconoscete anche
in mezzo al casino. È molto semplice esercitare le mani a fare quello che fanno gli occhi, basta avere chiaro
che cosa si cerca e dove.
Se per es. cerco un oggetto che conosco dentro il mio zainetto, sono sicuro che le mie mani, anche se lo
zainetto è pieno di varie cose, riusciranno a trovarlo. Si tratta infatti solo di un allenamento a cui dobbiamo
sottoporre le nostre mani.

Palpazione del PANCREAS


Ci mettiamo alla dx del Pz,
e andiamo a cercare i punti
di repere per il pancreas:
sfintere di Oddi, piloro (per
la testa) e la milza (per la
coda).
A proposito, la coda del pan-
creas, che è poco più grande
di un dito, è effettivamente
difficile da sentire.

Ricordate che il muro


anteriore delle vertebre
arriva all’incirca a metà
dell’addome e quindi i
visceri si trovano nella
metà anteriore.

La pressione che farete


per raggiungere il liv-
ello del pancreas non
deve essere esagerata
ma deve essere la pres-
sione necessaria ad am-
massare i tessuti nello
spazio che dicevamo
prima tra la parete su-
perficiale dell’addome
e il muro anteriore delle
vertebre.
Non abbiate l’idea di dover premere fino al lettino.
1. Mano morbida in proiezione del pancreas, sento il morbido della cute, dei tessuti sottocutanei, che pos-
sono essere più o meno spessi
164
2. poi arrivo su un tessuto dalla consistenza un pò più dura, simile a quella di una bistecca, sono sul livello dei
muscoli retti dell’addome
3. subito dopo, dato che il livello n° 2 è molto sottile, sprofondo di nuovo nel morbido
4. continuo a comprimere e sento che la consistenza del livello n° 3 è uguale per un certo tratto, poi sento
aumentare la consistenza del tessuto e se continuo a premere sento il battito dell’aorta. Sono arrivato sulla
parete posteriore
5. torno poco indietro dove ho sentito l’iniziale aumento
di consistenza > quello è il livello del pancreas (mi gioco
..i gioielli di famiglia). La conferma che sono sul giusto
livello mi viene dalla mano che segue la mobilità della
testa del pancreas. Questo succede solo se la mano è alla
stessa profondità del pancreas. Invece se la mano è più
superficiale segue il ritmo respiratorio.

La coda del pancreas potete sentirla attraverso la milza. Per prima cosa dovete arrivare al livello della milza.
Quando siete sul livello con la mano sin, potrete seguire il movimento a coppia della testa e della coda del
pancreas.
Chi non credesse all’utilità del trattamento del pancreas potrebbe fare la prova seguente:
misurare la glicemia di un Pz prima e dopo il trattamento. Potrà verificare che si abbassa (succede in 18 casi
su 20).

165
Anno 5 sem 1_Bonetti

Facciamo queste lezioni per capire gli effetti sui tessuti, sulle strutture e gli organi delle tecniche che utiliz-
ziamo e poi perché vorrei che foste in grado di aggiustare…… lo space shuttle! ossia il nostro corpo, una mac-
china estremamente raffinata e complicata. Però se non sapete come funziona, non siete neanche in grado di
aggiustarla. Le tecniche sono importantissime ma non dimenticate che sono solo degli strumenti. L’osteopatia
non è una tecnica, ma il modo in cui voi utilizzate una tecnica. Per avere il “modo” dovete conoscere che cosa
state aggiustando.

La tensegrità
Questa parola è un neologismo, che deriva dalla contrazione di due parole inglesi che sono tensional e in-
tegrity, ossia integrità tensionale. È una logica di costruzione, perché è stata studiata per la prima volta da un
architetto. È stata usata in architettura per costruire determinati tipi di strutture: sono delle strutture costruite
secondo delle leggi fisiche ben precise e che hanno la capacità di avere la massima efficacia strutturale, ossia
la massima stabilità, e la massima capacità di reagire a sollecitazioni esterne con il minimo materiale. Qual-
cuno, in ambito biologico, ha notato che questa legge esiste anche in biologia e l’hanno adattata al funziona-
mento cellulare (come vedremo). Questo funzionamento cellulare applicato alla meccanica è quello che noi
scateniamo quando facciamo qualsiasi tipo di tecnica sul Pz.

Storia della tensegrità


Ci sono delle strutture architettoniche come per es gli archi, le volte, i muri dei palazzi che sfruttano soprat-
tutto la forza peso, ossia la forza di gravità. Per essere stabili queste strutture hanno bisogno del proprio peso
(mattone su mattone creano una struttura pesante che si auto stabilizza).
Poi esiste un secondo tipo di strutture che oltre alla forza peso usa dei tiranti, che cercano di stabilizzare la
struttura. In questo secondo gruppo entrano le strutture a capriata, a sartie.. (sono concetti che trovate anche
sul Kapandji: a proposito del piede fa questo tipo di parallelo, lo paragona a una struttura a capriate, oppure
paragona la colonna a una struttura a sartiami).
Le strutture tensegrili sfruttano due forze principali, che sono la tensione e la compressione. Se queste due
forze principali sono in equilibrio tra di loro la struttura è quasi indipendente dalla forza di gravità. Nella pros-
sima lezione vedremo l’applicazione della tensegrità al macroscopico, cioè al corpo, e vedremo che l’uomo,
dal punto di vista muscolo-scheletrico, è fatto per essere quasi indipendente dalla forza di gravità (poi ve-
dremo il perché).
Ci interessa sapere tutto questo perché sappiamo che in osteopatia, lavorando tutta la struttura, arriviamo
alla funzione e viceversa (la struttura dipende dalla funzione, la funzione dipende dalla struttura). Quindi sa-
pere alcune cose su come funziona la struttura ci aiuta a capire meglio com’è la funzione di quella struttura.
Inoltre fino adesso le funzioni per es. cellulari sono sempre state viste sotto l’aspetto chimico, ma la chimica
alla fine è fisica, fisica applicata: la funzione di una proteina dipende dalla sua architettura, dalla geometria e
da alcune interazioni elettromagnetiche che avvengono tra molecole, atomi……

File PPT Lezione Tensegrità 3


Slide 6
Perché ci interessa la tensegrità? Molto dipende dall’architettura e quin-
1. Per spiegare l’efficacia di alcune tecniche osteopatiche di dalla struttura: una proteina ha una
ed avere una visione differente della fisiologia, della patologia funzione perché ha quella determinata
e soprattutto della “funzione” e della “struttura”. struttura, ha quella geometria, ha quella
2. Lo studio dell’ambiente chimico ha sempre dominato nella architettura. Se avesse un’architettura o
fisiologia, patologia, farmacologia……… una geometria diverse avrebbe una fun-
Mentre l’ambiente fisico è quello che, forse, ci interessa di più. zione diversa.

VITA = mantenimento di architettura e leggi fisiche


inizialmente predeterminate.

166
In virtù di questo che ho detto, quello che noi perce-
Slide 2 piamo come struttura, per es la cattedra, il lettino…
TENSEGRITA’ = TENSEGRITY (tensional integrity) sono composti da: atomi e gli atomi sono composti da
Logica di costruzione che persegue il minimo protoni, neutroni, elettroni, che sono le particelle aven-
sforzo e la massima efficacia! ti massa. Se voi però prendete lo spazio occupato da
SOLIDITA’ DELLE NORMALI STRUTTURE: un atomo e lo confrontate con lo spazio occupato da
• Peso = forza di gravità (archi, volte, mura, …) queste particelle aventi massa, scoprirete che lo spazio
• Peso + tiranti = forza di gravità + tensione se occupato da queste particelle e quindi la massa corri-
necessario (capriata, strutture a sartie, …) sponde solo all’1%. Il 99% dell’atomo è vuoto. Il lettino
STRUTTURE TENSEGRILI: che ai nostri sensi sembra così solido, così materiale in
• Tensione e compressione = indipendenti realtà al 99% è “vuoto”, non c’è materia, o meglio ce n’è
(quasi) dalla forza peso talmente poca (1%) che è quasi inesistente.
Slide 3 E allora che cosa sento con le mani? Sento en-
STRUTTURA = ? ergia, perché la materia fisica è solamente en-
• Complesso di eventi energetici autoassemblanti ergia condensata e organizzata nello spazio e
UNIVERSO FISICO, MATERIA = energia – spazio – tempo. nel tempo. Noi sentiamo gli eventi energetici
Per il 99% il mondo fisico è composto da “vuoto”. (protoni, neutroni…) che tengono insieme la
• È necessaria per permettere una manifestazione materia.
nell’universo fisico
STRUTTURA DELL’ATOMO, MOLECOLE, …. PROTEINE,
CELLULE, … ORGANISMO, … GALASSIE, … UNIVERSO.

STRUTTURE TENSEGRILI

Slide 4
Forze di attrazione degli elettroni (tensione)
equilibrate
dalle forze del nucleo (compressione).

L’atomo ad es è una struttura di tipo tensegrile, nel cui nucleo ci sono delle
grandi forze di compressione, che tengono insieme l’atomo, e la nuvola
di elettroni orbita intorno al nucleo perché è trattenuta da forze di ten-
sione dovute alle scariche elettriche. Alcuni studiosi hanno visto che non
solo l’atomo ma anche le molecole, le proteine, le cellule, l’organismo, le
galassie, l’universo sono strutture tensegrili, perché ci sono sempre delle
forze di compressione e tensione che tengono insieme questi elementi in
un determinato modo.

Slide 5 L’organizzazione delle strutture tensegrili è fat-


TENSEGRITA’ (tensione continua omnidirezionale ta in modo che ci siano delle forze di tensione
e compressione discontinua degli elementi strutturali). continua e omnidirezionale (a 360°) e delle
ES.: Ruota della bicicletta forze di compressione discontinue, che si evi-
denziano solo su alcuni elementi strutturali.

167
Un es di questo è la banale ruota della bicicletta,
che è una struttura tensegrile molto elementare.
Perché i raggi pur così sottili sopportano pesanti
sollecitazioni? Perché tutti i raggi tirano il cerchio
verso di sé, verso il centro, creano tensione e
questa tensione omnidirezionale dà stabilità alla
struttura. Per questo anche con poco materiale la
ruota della bicicletta riesce a sopportare grandi
sollecitazioni.

I punti in compressione in questo caso sono: il punto di contatto con il terreno e il punto del pignone dove
si scarica il peso. Il resto della struttura è in tensione omnidirezionale e continua.

punto di contatto con il terreno


punto del pignone

Nel momento in cui la tensione si allenta su alcuni raggi, alla prima buca la ruota si storce, la struttura non ha
più stabilità e si rompe. La stessa cosa accade al nostro corpo, alla nostra struttura muscolo scheletrica (ma po-
tremmo aggiungere a tutti i livelli compreso quello cellulare). Anche l’osso è una struttura tensegrile, per cui
lavorando sulla tensione si riequilibra automaticamente anche la compressione; è la stessa cosa quando fate
il test di pressione e bilanciamento: essendo il corpo una struttura tensegrile (per farla breve), ci deve essere
un equilibrio tra le tensioni e le compressioni. Quando fate il bilanciamento, create nella struttura un aumento
di compressioni in un punto, che si deve bilanciare con le tensioni; per cui create un cambiamento meccanico
a distanza a livello di un’altra articolazione (è un po’ più complicato di così ma per ora diciamo questo). Il bi-
lanciamento funziona sul principio che è valido anche per la ruota della bicicletta. Non vi deve meravigliare il
fatto che ci possa essere un bilanciamento. Vi sarete chiesti: com’è possibile che spingendo un punto si allenta
un altro punto? Perché siamo un sistema in cui c’è un equilibrio di forze. Cambiando l’equilibrio delle forze, le
forze stesse cambiano da un’altra parte, per compensazione o per interazione con altri elementi.

168
Frattali e Autosimilarità
Slide 7
TRIANGOLO: Figura base del concetto di Tensegrità
e della geometria frattale.

Le strutture tensegrili hanno come figura di base il triangolo. Qui


si apre tutto un discorso sui frattali e l’autosimilarità (forse farete
qualcosa con OMT). Se andate a vedere qualche libro di osteopa-
tia in cui si parla dei concetti fondamentali di questa disciplina,
vedrete che si parla dell’autosimilarità, perché noi siamo effet-
tivamente delle strutture autosimili, nel senso che riproduciamo
sempre gli stessi schemi organizzativi e funzionali. Avete pre-
sente come è fatto il cavolfiore? Il cavolfiore ha una parte semipi-
ramidale, poi è composto da parti semipiramidali più piccole e
ancora più piccole: la stessa forma viene riprodotta a livelli sempre più piccoli (queste sono le strutture auto-
simili).
Slide 8
Triangolazione delle strutture =
> Stabilità (tensione/compressione)

Perché in architettura hanno preso la forma


triangolare come forma di base? Perché se
voi comprimete una struttura ad es quad-
rangolare con un carico esterno, si creano
dei vettori di forza per cui la struttura tende
a deformarsi, mentre se prendete una strut-
tura triangolare e applicate un carico ester-
no si creano dei vettori di forza in compres-
sione e tensione che si equilibrano in modo
quasi automatico.
Quindi delle strutture triangolari complesse come il tetraedro, l’ottaedro e l’icosaedro sono le forme di base
per le strutture tensegrili (se ne vedono in giro, penso per es alle cupole geodetiche).

169
tubercolo ant di C1
(linea A-P) centro di torsione vertebrale;
intersezione delle linee A-P e Slide 9
carrefour vascolo- P-A, di cui la risultante è la linea
centrale di gravità del corpo Incrocio delle linee di
nervoso e apice
dei triang. sup e inf ripercussioni dalla sfera inf e sup; gravità = 2 tetraedri in
(linee A-P e P-A) ha grosse relazioni con il cuore. opposizione
passaggio della linea A-P;
....movimenti di torsione che
sono importanti nella scoliosi
davanti L2-L3 centro di gravità che corrisponde
(passaggio a D4 (linea centrale di gravità del
della linea P-A) corpo)

i 2 acetaboli
(passaggio sacro e coccige (linea A-P)
della linea P-A)

Il tetraedro ricorda le linee di grav-


ità del corpo umano. Queste linee di
gravità sono due tetraedri opposti.

Slide 10
Somma di triangoli = complessità crescente

L’atomo di carbonio, che


è la base della chimica Insiemi di triangoli
organica, è una strut- danno forme sem-
tura tetraedrica e non pre più complesse,
a caso, perché proprio alcune delle quali
la sua geometria per- sono state utilizzate
mette quei legami che come modello per
portano alle molecole studiare il compor-
organiche. Le molecole tamento dei gas,
d’acqua formano una dei liquidi o della
rete tridimensionale struttura secondar-
che ha come base la ia delle proteine.
forma tetraedrica.

170
Slide 11
Pallini bianchi = tensione
Zone blu = compressione
Struttura base di una α-elica
(i pallini bianchi evidenziano i legami H)

Questa è la struttura del DNA, dove i pallini bianchi sono i lega-


mi idrogeno, che sono fondamentali perché tengono insieme
la maggior parte degli elementi molecolari e le macromolecole
organiche. I punti idrogeno costituiscono le zone in tensione
della molecola del DNA, mentre le zone blu rappresentano le
zone in compressione. Quindi poiché in uno studio meccanico
della molecola del DNA osserviamo che ci sono delle forze di
tensione omnidirezionale e compressione discontinua, pos-
siamo dire che è una struttura tensegrile (è uno studio fatto ad
Harvard, non lo dico io).

Slide 12
Più la struttura (autosimile) è complessa più la stessa
sollecitazione esterna provoca minor deformazione
nella forma e nel volume.

Alcune strutture che si chiamano cupole geodetiche sono costituite


da elementi tetraedrici sempre più complessi. Alcuni studiosi hanno
paragonato le cupole geodetiche al funzionamento del citoschelet-
ro cellulare. Se noi prendiamo una struttura tetraedrica semplice e
la sollecitiamo esternamente, avremo una grossa deformazione in
termini di forma e volume. Se invece prendiamo una struttura geo-
detica complessa, applicando la stessa forza di deformazione avre-
mo un impatto minore; quindi più la struttura è complessa e più lo
stesso carico creerà una deformazione sempre minore.

Modello di una cupola geodetica assimilabile


alla struttura del citoscheletro cellulare.
In architettura ci sono due tipi di strutture tensegrili: le geodetiche e le pretensionate.
Slide 13
STRUTTURE TENSEGRILI
Geodetiche o pretensionate
Le strutture geodetiche sono
costituite da tanti cilindri giun-
tati tra di loro, disposti in modo
da formare tanti triangoli, che
hanno la capacità di reagire
contemporaneamente alle forze
di tensione e compressione (una
geodetiche pretensionate di queste strutture potrebbe es-

171
sere l’osso, soprattutto alcune
Slide 14
ossa come per es il femore,
Struttura geodetica = Strutture pretensionate = puntoni
che lavora sia in tensione che
puntoni giuntati che lavora- in compressione e tiranti in tensione
in compressione; all’interno ci
no contemporaneamente in
sono delle trabecolature che ris-
tensione e compressione.
pettano delle linee di forza, che
rispettano una serie di forze di
tensione e compressione).
Le strutture pretensionate
sono costituite da cilindri o pun-
toni, adatti a sopportare la com-
pressione, e da cavi, che svilup-
pano le forze in tensione (una
struttura del genere potrebbe
essere l’apparato muscolo
scheletrico, in cui le ossa sono
deputate a sopportare la com-
pressione, mentre tutto l’appa-
rato muscolare, fasciale, legamentoso è deputato a sviluppare forze di tensione omnidirezionali). Vi siete mai
chiesti perché esiste un tono muscolare? Per tenere insieme la struttura geodetica del corpo umano. Se to-
gliessimo il tono muscolare la struttura corporea collasserebbe. Se ci fate caso su un’articolazione non ar-
rivano mai fibre muscolari perfettamente verticali, ma oblique e lo stesso si può dire dei tendini, le cui strut-
ture continuano con i legamenti o le strutture fibrose: non sono mai paralleli agli assi meccanici, ma sempre
incrociati. In un ginocchio per es tutte le fibre muscolari, tendinee, legamentose cercano di mantenere una
omnidirezionalità della tensione ed è questo che tiene insieme la struttura.
Anche le strutture pneumatiche, come per es un pallone o una vescica sono di tipo tensegrile, perché hanno
una tensione continua, che è data dalla tensione dell’involucro esterno, e una pressione discontinua che è
data dalle molecole del contenuto, che può essere gassoso o liquido.

Slide 15
Strutture pneumatiche:
• Tensione continua dell’involucro esterno
• Compressione discontinua di parte del contenuto

172
Ricordiamo alcune proprietà
Slide 16
delle strutture tensegrili:
Proprietà delle strutture tensegrili
per evitare il collasso la strut-
Geometriche: in quiete il sistema possiede una forma ben stabilita risul-
tura risulta pretensionata (con
tante dalla posizione relativa di puntoni e tiranti e dal loro equilibrio in-
“quel” tipo di tensione), ossia
terno. Per evitare il collasso la struttura risulta pretensionata.
deve avere una sorta di iso-
Dinamiche: la struttura reagisce internamente alle sollecitazioni esterne
tono. La stessa cosa vale per
con tensioni in compressione su alcuni puntoni (discontinuità in com-
un’articolazione. Se prendia-
pressione) e con tensioni su tutti i tiranti (continuità in trazione).
mo per es un’anca e ci chiedi-
Cinematiche: la struttura assume configurazioni deformate determinate
amo perché viene l’artrosi
in funzione del carico esterno applicato e tenderà a riassumere la forma
oppure perché ci sono dei
originaria (stato di equilibrio) una volta rimosso il carico.
problemi, la risposta è: per-
ché nel tempo alcuni gruppi
Le forze vengono trasmesse in modo continuo a tutti gli elementi fino
muscolari hanno lavorato in
ai più lontani.
modo tensionale differente
Tutti gli elementi si ridispongono e si orientano lungo l’asse della forza.
da altri gruppi muscolari, così
All’interno della struttura le forze di tensione si dispongono lungo la linea
da creare uno squilibrio o tra
più breve tra due punti di compressione (geodetica).
le forze di compressione o tra
quelle di tensione. Questo squilibrio delle forze tensive crea il problema funzionale. A livello cellulare avviene
la stessa cosa e vedremo che cosa questo comporta.
Un’altra proprietà delle strutture tensegrili è il fatto che siano in parte elastiche. Se dall’esterno si comprime
una struttura tensegrili, essa si deforma entro un certo limite e poi, tolto il carico, ritorna alla forma iniziale.
Inoltre se comprimo o sollecito in un punto una struttura tensegrile, la sollecitazione verrà risentita su tutti gli
elementi strutturali, fino ai più lontani (è quello che noi osteopati facciamo; non stupiamoci se lavorando per
es un temporale notiamo un cambiamento sull’iliaco oppure se lavorando un iliaco notiamo un cambiamento
sul calcagno…. succede perché c’è una connessione. Qualsiasi sollecitazione che io dò si trasmette a tutti gli
elementi in modo più o meno evidente.
Se dò una sollecitazione creo un vettore e tutti gli elementi strutturali si organizzano secondo questo vettore.
Questo vale per es nel recoil: dò un impulso è così creo una riorganizzazione su un determinato vettore che
ho dato.
Oppure con le tecniche V-spread che farete, vedrete applicata la proprietà secondo la quale all’interno della
struttura le forze di tensione si dispongono lungo la linea più breve tra due punti di compressione (che in
geometria si chiama geodetica).
Esistono delle tecniche sul cranio per cui se vo-
glio lavorare una sutura, creo dei punti in com-
pressione a cavallo della sutura e poi do un’altra
compressione sul punto diametralmente op-
posto. In questo modo creo una riorganizzazi-
one degli elementi strutturali, ossia delle ossa
del cranio, delle membrane, del cervello lungo
un determinato vettore.
Quindi le forze meccaniche si ridispongono su questa linea breve che ho rappresentato.
Le strutture tensegrili hanno anche la proprietà dell’irrigidimento lineare, che significa che più le sollecito
e più tendono ad irrigidirsi, perché la tensione all’interno della struttura aumenta. Questa proprietà a livello
cellulare è un modo per evitare la deformazione plastica, è una tecnica di autoprotezione cellulare.

173
Slide 17
Irrigidimento lineare: aumento della rigidità interna in modo da opporsi alla deformazione plastica
(tecnica di “autoprotezione” cellulare).

In fisica esistono due


tipi di deformazione:
elastica e plastica.
Quella elastica si veri-
fica quando un corpo,
dopo essere stato sol-
lecitato, ritorna alla
forma che aveva prima
della sollecitazione.
Quella plastica si veri-
fica quando un corpo,
dopo essere stato sol-
lecitato, non ritorna
alla forma di partenza,
rimane deformato.

Se il corpo umano subisce del sol- Veniamo agli studi


lecitazioni esterne, risponde con Slide 20
che hanno fatto
l’irrigidimento attraverso l’aumento CITOSCHELETRO questo
sulla cellula. Alcuni
delle forze in tensione, quindi con sconosciuto !!! Elemento
ricercatori studian-
l’aumento della contrazione musco- fondamentale per la vita
do le cellule hanno
lare. Se per es faccio un salto, affinché della cellula.
visto che funziona-
la sollecitazione di risposta che arrivano come le strutture tensegrili. Per quale motivo
dal terreno non deformi la struttura funzionano così? Prima di tutto bisogna definire
muscolo scheletrica, aumento auto- che cos’è il citoscheletro. Il cicloscheletro è una
maticamente la tensione a carico dei specie di impalcatura interna della cellula ed è
muscoli della coscia, per stabilizzare costituito da diversi elementi. In realtà non è
la struttura (è l’irrigidimento lineare).
solo un’impalcatura ma è una struttura che co-
manda la gran parte delle funzioni cellulari ed è fondamentale per la vita della cellula. La prima cosa da sapere
è che il citoscheletro è connesso con l’ambiente esterno, l’ambiente extracellulare, per cui questa impalcatura,
questa rete che sta all’interno della cellula ha una comunicazione meccanica con l’esterno.

Slide 21
Il citoscheletro è connes-
so con l’ambiente ester-
no (MATRICE EXTRACEL-
LULARE)

L’esterno è la matrice extracel-


lulare, che è la rappresentazione
nei minimi termini delle fasce,
del sistema fasciale.

174
Il citoscheletro è composto da microfilamenti
Slide 22
fatti da actina, ossia una proteina contrattile.
CITOSCHELETRO = composto da:
Questi microfilamenti sono assimilabili ai ti-
• Microfilamenti (F e G Actina - Fibre di tensione) = tiranti
ranti delle strutture tensegrili.
• Filamenti intermedi = tiranti
Poi ci sono dei filamenti intermedi, anch’essi
• Microtubuli (Attività di organelli e vescicole) = puntoni
assimilabili ai tiranti perché anch’essi hanno
MEMBRANA NUCLEARE = connessa con il citoscheletro e
proprietà contrattili. Infine ci sono i microtu-
presenta pori a forma ottaedrica a diaframma 10 nm
buli, che sono i puntoni, ossia quei cilindri che
NUCLEO = la cromatina è connessa con il citoscheletro
devono sopportare le forze in compressione.
Quindi il citoscheletro cellulare è una struttura
tensegrile.

I microtubuli sono importanti per l’attività degli or-


ganelli (per es il reticolo endoplasmatico, il Golgi,
etc etc) e per il trasporto delle vescicole (esse in-
globano le proteine o altri materiali prodotti dalle
cellule), perché i microtubuli funzionano come bi-
nario su cui le vescicole viaggiano per raggiungere
la parte interna della membrana cellulare e da lì ve-
nire espulse verso l’esterno.

Non dovete immaginare che il trasporto delle sostanze all’interno della cellula avvenga nel vuoto o in un gel,
all’interno del quale gli organelli siano sparsi a caso, non è così. Tutto viene veicolato e spostato all’interno
della cellula grazie al citoscheletro.
VIDEO
Questo è un microtubulo sul quale una molecola trasporta una vescicola.

Tutto ciò che passa nel citoscheletro (per es i mitocondri) si muove sui microtubuli. Tutto è ancorato. Il cito-
scheletro è connesso all’interno con la membrana esterna del nucleo e con la cromatina.

175
Slide 23
Questa immagine è l’es del citoscheletro,
in cui si vede che tutto ciò che sta den-
tro la cellula è ancorato al citoscheletro
stesso. Molto spesso si creano delle reti
di citoscheletro più fitte vicino ai bordi
del citoscheletro (sono i microfilamen-
ti e i filamenti intermedi dotati di pro-
prietà contrattile) e questo serve a dare
tensione alla membrana cellulare. An-
che la proprietà meccanica della mem-
brana cellulare favorisce o impedisce
alcune funzioni della cellula (per es apre
o chiude i pori, quindi apre o chiude la
capacità di comunicazione della cellula
con l’ambiente esterno). Tutte le cellule
hanno proprietà contrattili, nel senso
che aumentano o diminuiscono lo stato
di tensione grazie a queste proprietà
meccaniche del citoscheletro.
Lo fanno in funzione dell’attività che stanno svolgendo ma anche in funzione delle forze meccaniche che ar-
rivano dall’esterno, quindi dalla matrice extracellulare.
Slide 24 La matrice extracellulare è com-
MATRICE EXTRACELLULARE composta da: posta da fibre (collagene, elasti-
SOSTANZA AMORFA – SOSTANZA FIBROSA - CELLULE na..), da strutture molecolari (es
PROTEINE STRUTTURALI = fibre collagene, elastiche, reticolari, i protoglicani PG, i glicosamino-
fibronectina, … disperse nella matrice costituiscono un ancoraggio glicani GAG..) > entrambe pro-
meccanico per la cellula. dotte dal fibroblasto, la cellula
COLLAGENE TIPO I = resistente alla trazione (tendini, derma, fasce, del connettivo. Nella matrice
organi, … ) extracellulare troviamo inoltre
COLLAGENE TIPO III = in organi sottoposti a modificazione di forma/ svariati altri tipi di cellule che
volume. servono alle attività che avven-
INTEGRINE = FOCAL CONTACTS (meccanocettori) (collegamento gono nella matrice extracel-
meccanico diretto tra ambiente extracellulare ed intracellulare). lulare, attività che hanno a che
fare con: immunità, infiammazi-
Gli elementi del citoscheletro e della matrice costituiscono i “binari” one, fisiologia cellulare, ossia
che guidano lo spostamento di cellule, organelli e sostanze. l’attività di tutti i tessuti.
Hanno capacità di aumentare o diminuire il loro stato tensionale
e modificare il substrato e l’ambiente in cui avvengono tutte le attività
intra ed extracellulari.

176
matrice extracellulare
Slide 25
L’immagine qui accanto è un altro es di come il
citoscheletro lega e àncora gli organelli.
citoscheletro
Slide 25
L’immagine qui accanto è un es di come il citoscheletro sia
legato con le proteine di membrana, che hanno un’estremità
rivolta all’esterno, proteine che a loro volta sono legate mec-
canicamente con i PG, i GAG o le fibre collagene, per cui
c’è un collegamento meccanico diretto tra il citoscheletro
e la membrana extracellulare. Quindi la fascia o connettivo
lo dovete sempre immaginare direttamente e meccanica-
mente collegato al citoscheletro della cellula. Quando tiro
una fascia in realtà sto tirando anche il citoscheletro cellulare
del tessuto su cui arriva la tensione: può essere un epatocita
oppure una fibra muscolare….

ecm = matrice extracellulare

Slide 26 C’è un asse meccanico diretto tra il nucleo del-


ASSE MECCANICO la cellula, il citoscheletro, la membrana, la ma-
Dall’ambiente micro g NUCLEO - CITOSCHELETRO - trice extracellulare, il tessuto connettivo, per
MEMBRANA - MATRICE EXTRACELLULARE - TESSUTO cui si arriva da un ambiente microscopico (il
CONNETTIVO g Si arriva all’ambiente macro nucleo della cellula) fino all’ambiente macro-
scopico (il tessuto connettivo). Vedremo come
Mantenimento dell’architettura iniziale = Distruzione questo collegamento meccanico influisca sulla
e ricostruzione continua per mantenere l’equilibrio tra fisiologia cellulare, qualsiasi cellula essa sia.
TENSIONI E COMPRESSIONI

177
C’è un collegamento tra cellula e matrice. Tutti gli eventi di
Slide 27 tipo meccanico (o biochimico) che avvengono nella matrice
LIVELLO MICROSCOPICO = collegamento extracellulare si ripercuotono automaticamente a livello
cellula - matrice. meccanico sul citoscheletro e sul DNA.
• Tramite il tessuto connettivo si ha un Questo è importante perché i biologi e i fisiologi hanno visto
collegamento con porzioni più grandi. come ad es le tensioni meccaniche agenti in questo modo
• A seconda delle tensioni meccaniche si sulla cellula possono provocare: oncogenesi, un’alterata
hanno modificazioni sulla fisiologia (onco- replicazione del DNA oppure un’anormale funzione,… In
genesi, replicazione del DNA, normale fun- seguito vedremo anche le ripercussioni sulle funzioni del
zione, sistema immunitario, PG/GAG, apop- sistema immunitario, sulle funzioni dei PG e GAG, sulla pre-
tosi, vascolarizzazione, innervazione, …) senza o meno dell’apoptosi (= morte cellulare, che fisio-
logicamente deve esserci mentre se è assente o è troppa
LIVELLO MACROSCOPICO = uomo - sistema succedono delle cose poco piacevoli), la vascolarizzazione
tensegrile: capillare e l’innervazione del tessuto.
• tono muscolare, membrane a tensione A livello macroscopico esistono nel corpo umano delle
reciproca,... (elementi in tensione) strutture, come il tono muscolare, le membrane di tensione
• ossa, articolazioni,… (elementi in compres- reciproca e il sistema fasciale, che sono assimilabili agli el-
sione) ementi in tensione di un sistema tensegrile, mentre le ossa
e le articolazioni sono gli elementi in compressione.
Ora vediamo che cosa succede alle cellule quando vengono sot-
Slide 28
toposte a delle sollecitazioni meccaniche attraverso la matrice
TENSEGRITA’ E CELLULE
extracellulare, quindi attraverso le fasce. A questo proposito
• HARVARD Medical School
dovete immaginare qualsiasi restrizione di mobilità, non sol-
• Massachussetts Institute of Technology
tanto un problema fasciale. Anche una restrizione di mobilità su
(center of bioengineering)
una faccetta articolare o su un ginocchio o sull’articolazione ra-
• Molecular Geodesic Inc.
dio-ulnare si trasmette automaticamente a tutti i livelli, sempre
più piccoli, fino al livello cellulare, che sia questo un miocita oppure un controblasta o un ostecita….il funzi-
onamento è uguale per tutti i tipi di cellule. Le fonti a cui faccio riferimento sono quelle indicate su slide 28.
Gli studiosi hanno fatto un modello di struttura tensegrile che raf-
Slide 29 figurava il citoscheletro cellulare, all’interno della quale c’era un’altra
Modello tensegrile di cellula struttura tensegrile più piccola, in rosso, che rappresentava il nu-
ancorata a substrato rigido (1). cleo cellulare, collegato al citoscheletro. Il tutto era ancorato ad un
Comportamento del medesimo substrato meccanico, che visualizzava la matrice extracellulare e poi
modello al momento del rilascio hanno applicato una certa tensione al substrato. Poi hanno rilasciato
della tensione sul substrato (2). la tensione e hanno osservato che la cellula cambiava la forma (nel
nostro caso prima era quadrangolare e poi è diventata più rotonda).

1quadrangolare 2 rotonda
Poi hanno studiato il comportamento della cellula e come viene sollecitato il nucleo sottoponendoli a forze di
trazione e compressione oppure a forze di taglio oppure alla locomozione.

178
forze di compressione

forze di trazione

locomozione

Sapete che molte cellule che sono migranti, si muovono in questo modo: allungano alcuni elementi cito-
scheletrici che si ancorano al substrato, quindi alla matrice extracellulare, poi il resto segue.

179
Ancorandosi alla matrice extracellulare, è importante che quest’ultima abbia una determinata tensione mec-
canica. Su diversi tipi di cellule gli studiosi hanno visto che a seconda della forma che la cellula assumeva, in
base alla tensione della matrice extracellulare, cambiando la forma della cellula (per es facendo diventare
schiacciata una cellula che doveva essere rotonda), questa cambia i programmi genetici. Il DNA ne risente e ci
sono delle modificazioni proprio sulla duplicazione del DNA. Ecco perché un epatocita deve avere quella for-
ma e non un’altra. Se ci sono delle condizioni in cui un epatocita cambia la sua forma, quella cellula potrebbe
cambiare la replicazione del DNA, con pro-
Slide 33 grammi genetici alterati per cui poi crea ad
• CELLULE (diversi tipi) = programmi genetici differenziati es una cellula tumorale, una cellula alterata.
a seconda della forma. Vedremo che molti tumori del fegato sono
• NEURITE = La ricrescita dipende dalle tensioni e com- dovuti ad alterazioni meccaniche della parte
pressioni sull’impalcatura di actina presente = plasticità fibrosa del fegato. L’es classico è quello della
sistema nervoso??? (sprouding???). cirrosi, che provoca una fibrotizzazione di al-
• MIGRAZIONE DEI FIBROBLASTI - “durotassi”. cune zone all’interno del fegato, fibrotizzazi-
• MIGRAZIONE DEI NEUTROFILI = difesa immunitaria one che provoca un cambiamento delle forze
• CELLULE EPATICHE = la replicazione del DNA è “ancor- meccaniche, che a loro volta cambiano la for-
aggio-dipendente” e “forma-dipendente”. ma cellulare (sappiamo che in seguito alla cir-
• CELLULE ENDOTELIALI CAPILLARI = generazione ed rosi viene il cancro e ora conosciamo anche il
involuzione delle reti capillari … “legge dell’arteria” motivo, ossia una questione puramente mec-
canica).
Un’altra struttura è il neurite. La ricrescita dell’assone dopo una sezione dipende dalle tensioni e compres-
sioni dell’impalcatura di actina che sta dentro il neurite. Sapete che gli assoni non sono vuoti ma hanno den-
tro un’ impalcatura citoscheletrica, anche nell’assone. Succede quello che abbiamo visto per la locomozione
cellulare.
Se taglio un assone rimane un
moncherino ed esso ricresce
perché allunga degli elementi
citoscheletrici, li àncora al sub-
strato e poi fa crescere il resto
dell’assone. Questo ancorag-
gio avviene solamente se c’è un
equilibrio di forze meccaniche
nel substrato in cui l’assone
deve ancorare le due compo-
nenti citoscheletriche.

Quanto appena detto apre due discorsi: uno è quello dello sprouding (= la capacità di creare nuove con-
nessioni, quindi la plasticità del sistema nervoso). A noi osteopati questo interessa perché quando facciamo
ad es delle tecniche sul cranio, che cosa facciamo in realtà? Cambiamo gli equilibri meccanici. E queste forze
meccaniche dove si risentono all’interno? Sulle membrane, quindi sulla dura madre, però la dura madre è col-
legata con elementi fibrosi all’aracnoide, che a sua volta è collegata con elementi fibrosi alla pia madre, che è
attaccata con un tessuto cellulare al tessuto nervoso. Sapete che alcune circonvoluzioni lasciano un’impronta
180
sulla faccia endocranica, per cui c’è un’intimità meccanica e quando cambiate le forze meccaniche sulle ossa,
questa forza meccanica viene risentita anche all’interno della scatola cranica attraverso i neuroni. Quindi la
capacità di sprouding può essere cambiata cambiando le forze meccaniche su un tessuto nervoso. A questo
proposito a livello clinico ci sono delle condizioni che cambiano. Quando lavorate il cranio di un Pz, cambiano
alcune situazioni che sono dovute al funzionamento delle connessioni nervose. Ci può essere per es un Pz
che non ha più capacità di attenzione, ha problemi di concentrazione, perdita di memoria, tutte situazioni
che riportano a un cattivo funzionamento di alcune aree cerebrali. Lavorando sul cranio molto spesso queste
situazioni si modificano. Perché? Perché avete modificato delle condizioni meccaniche che hanno favorito un
miglior funzionamento del tessuto nervoso, tra cui c’è anche la plasticità, la capacità di creare nuove connes-
sioni. La memoria, l’apprendimento sono questo: nuove connessioni che si creano e che vengono più o meno
fissate.
L’altro discorso, che mi è stato confermato da alcuni neurochirurghi, è che quando suturano dei nervi de-
vono stare attenti a non creare né troppe né poche tensioni, altrimenti l’assone non rigenera, non si at-
tacca, perché è una questione meccanica che rende possibile la riuscita dell’operazione.
Un’altra cellula su cui sono stati fatti degli esperimenti è il fibroblasta. Esso produce i suoi elementi, ossia col-
lagene, elastina, PG…. proprio grazie anche alle tensioni meccaniche che gli arrivano. In base alla tensione, al
tipo di forze meccaniche e alla loro durata il fibroblasta produce più elementi anziché altri e questo significa
che cambia in proporzione i costituenti, quindi l’ultrastruttura del tessuto connettivo. La seconda cosa è la
migrazione dei fibroblasti. Essi migrano, per es in particolari condizioni come la riparazione delle ferite, essi
migrano verso la zona in cui c’è stato l’insulto. Come fanno a migrare? Migrano grazie a delle tensioni meccan-
iche del substrato. Il fibroblasta sente la tensione meccanica dell’ambiente esterno e si muove in base a quello
che sente (più duro, meno duro, durezza giusta per lui). Per questo motivo è stato coniato un nuovo termine:
la durotassi (= la capacità di spostamento in base alla durezza del substrato). È il focolaio della lesione a
creare il grado di tensione riconosciuto dal fibroblasta. Quando un tessuto viene tagliato o viene insultato o
viene infiammato, che cosa succede? Nell’infiammazione per es il cambiamento di temperatura nella zona
cambia la consistenza e la tensione a carico del connettivo, il cambiamento del pH cambia la consistenza del
tessuto e questi cambiamenti vengono recepiti dal fibroblasta lo guidano nella sua migrazione. Ma non solo
dal fibroblasta bensì anche dalle cellule del sistema immunitario, tra cui per es il neutrofilo (un’altra cellula
studiata). Quando c’è una risposta immunitaria o un processo infiammatorio il neutrofilo, che viene portato
dal sangue (grazie a degli eventi chimici tra cui la chemiotassi), grazie all’aumento della fenestrazione del
capillare (il capillare è costituito da tante cellule endoteliali disposte in modo da formare un tubo e attaccate
più o meno le une alle altre; in corso di un processo infiammatorio gli spazi tra una cellula e l’altra si aprono,
come se il tubo del capillare si riempisse di fessure, da cui possono uscire ed entrare materiali) passa dal
torrente sanguigno alla matrice extracellulare, per andare ad aggredire batteri, virus, frammenti di... Questa
capacità di migrazione del neutrofilo, che si chiama diametesi, è veicolata non solo da richiami chimici (che-
miotassi) ma anche da richiami meccanici, per cui è sulla base della durezza, della tensione del substrato della
matrice extracellulare che il neutrofilo ha maggiori o minori capacità di migrare verso la zona dove deve agire.
Per cui anche le capacità del sistema immunitario vengono modificate, alterate o modulate dalle tensioni
meccaniche che stanno nella matrice extracellulare, quindi nella fascia.
Anche sugli epatociti sono stati fatti diversi studi e hanno visto che la replicazione del DNA è ancoraggio-
dipendente e forma-dipendente, quindi dipende dalla forma dell’epatocita, che non deve essere né schi-
acciato, né allungato (l’epatocita deve avere la sua forma e non un’altra). Pensate che quando lavorate sui
legamenti del fegato state lavorando su tensioni meccaniche, che arrivano all’interno dell’organo attraverso
il tessuto connettivo, arrivano alla matrice extracellulare e all’epatocita e l’epatocita potrebbe avere dei prob-
lemi di funzionamento dovuti alla tensione meccanica dei legamenti. Quando voi liberate l’organo dalla ten-
sione create una riorganizzazione meccanica all’interno del tessuto e quindi a livello dell’epatocita, che ritorna
libero di lavorare come deve.
Anche le cellule endoteliali dei capillari sottostanno a delle leggi meccaniche e questo ci riporta alla legge
dell’arteria di Still.

181
Slide 34
Quest’immagine rappre-
senta la crescita del neu-
rite, come si àncora grazie
ai microtubuli, ai filamenti
contrattili, che si àncorano
al substrato, la matrice ex-
tracellulare, e trazionano i
microtubuli verso di loro,
per cui di volta in volta c’è
un ancoraggio e un suc-
cessivo allungamento del
citoscheletro: ancoraggio-
allungamento, ancorag-
gio-allungamento…e così
il neurite tende a crescere,
a rigenerare.

Slide 36

L’immagine sopra della slide 36 rappresenta la sezione di un capillare. Se due cellule dell’endotelio vengono
messe in compressione, perché cambiano le forze meccaniche nell’endotelio, queste cellule tendono a prolif-
erare e a creare per es altre due cellule nel modo in cui si vede nell’immagine. Se le due nuove cellule vengono
compresse, esse prolificano ulteriormente e creano altre nuove cellule. In tutti i punti in cui c’è uno squilibrio
di forze meccaniche o una compressione o forze meccaniche particolari le cellule endoteliali proliferano e
creano nuovi capillari, fino a creare una vera e propria rete. Quindi le capacità di angiogenesi o di capillariz-
zazione o di irrorazione di un tessuto sono dipendenti da forze meccaniche che agiscono su questo tessuto.
Questo è valido sia in condizioni di tumore sia in condizioni più fisiologiche in cui bisogna irrorare un tessuto,
per cui la corretta situazione meccanica a carico della matrice extracellulare, cioè del tessuto fasciale, connet-
tivo, crea le migliori condizioni per la sua irrorazione, in base ovviamente alle funzioni del tessuto.
La stessa cosa vale
per le ghiandole.
Nell’immagine ac-
canto della slide 36
sono rappresentate
delle ghiandole
che potrebbero
stare nella mucosa
intestinale. Se sot-
toposte a compres-
sioni, creano proli-
ferazione cellulare e quindi la formazione di reti ghiandolari sempre più complesse. Questo vale sia nella
formazione che nell’involuzione. Tensioni di un certo tipo possono far involvere le reti capillari e quindi dan-
neggiare i tessuti con una mancanza di irrorazione. Quando lavorate e ristabilite un equilibrio meccanico a
182
livello dei tessuti, agire anche sulla corretta irrorazione (legge dell’arteria) e sulla corretta innervazione micro-
scopicamente.
Ora passiamo dalla cellula al tessuto connettivo per vedere come la tensegrità agisce sul tessuto connettivo e
che cosa succede al suo interno in base al cambiamento delle forze meccaniche.
Abbiamo visto che la fascia collega tutte le
Slide 40
parti del corpo non solo dal punto di vista
RUOLO DEL TESSUTO CONNETTIVO/FASCIA/MATRICE EXTRA-
macroscopico e microscopico ma anche
CELLULARE/TESSUTO DI BASE/SOSTANZA DI BASE.
dal punto di vista biochimico (manteni-
Collegamento di tutte le parti del corpo da un punto di vista:
mento dell’omeostasi) e meccanico (colle-
• BIOCHIMICO (mantenimento dell’omeostasi)
gamento e distribuzione delle forze). Però
• MECCANICO (collegamento e distribuzione delle forze)
è anche vero che la fascia, la matrice ex-
Collegamento tra:
tracellulare collega diverse strutture che
• cellula/sangue/linfa/nervo = Terreno
sono: la cellula, i capillari artero-venosi, i
CONDENSAZIONE DEI PRINCIPI DELL’OSTEOPATIA
capillari linfatici e il nervo.
Tutte queste strutture costituiscono insieme nel loro funzionamento il famoso “terreno” su cui voi dovete
lavorare. Tutte queste strutture (la cellula, i capillari artero-venosi, i capillari linfatici e il nervo) hanno come
substrato anatomico la matrice extracellulare, cioè la fascia.
I costituenti della matrice extracellulare sono: PG,
Slide 41 GAG, fibre, acido ialuronico, fibrociti e poi all’interno
COSTITUENTI (dal punto di vista funzionale) bisogna mettere altre cellule come ad es i macrofagi,
DELLA MATRICE EXTRACELLULARE (ECM) i mastociti, o altre cellule del sistema immunitario
• Proteoglicani e glicosaminoglicani (PG/GAG) che sono fisse nel connettivo. Prima abbiamo parlato
• Fibre (collageno – elastina) del neutrofilo, che però si trova nel sangue, fa parte
• Acido ialuronico (HA) dei globuli bianchi ed esce dal torrente sanguigno
• Fibrociti solamente in determinate circostanze. Invece nei tes-
• Macrofagi ed altre cellule del sistema immunitario suti, nel connettivo ci sono cellule fisse, che servono
• Assoni terminali vegetativi come prima difesa nel caso di un insulto. Nella ma-
• Terminazioni viscero – sensitive trice extracellulare ci sono poi degli assoni terminali
• GLICOCALICE (glicoproteine e glicolipidi) vegetativi, delle terminazioni viscero-sensitive e poi
c’è una membrana o lamina basale che si addossa
alla membrana cellulare e tra di esse c’è uno strato
Slide 50 di molecole, chiamato glicocalice, formato da glico-
GLICOCALICE = rappresenta uno strato glicidico con proteine e glicolipidi (sono l’insieme dei recettori di
importanti capacità informative. membrana, delle proteine di membrana… e si chia-
È determinante per: ma glicocalice, perché è costituito da glico+…..).
ancoraggio delle cellule alla matrice
identificazione cellulare
adesione intercellulare
elaborazione delle informazioni che arrivano alla
cellula, rappresenta una sorta di MEMORIA A BREVE
TERMINE dei tessuti.

183
Tutto questo insieme di strutture, soprattutto le
Slide 42 prime: le fibre e i PG, GAG, producono una rete
In particolare ha importanza la rete tridimensionale* tridimensionale che ha diverse funzioni. Quindi la
formata da PG/GAG e proteine strutturali (collageno, matrice extracellulare ha diverse funzioni, come si
elastina, fibronectina, …) che svolgono azione di: legge nella slide 42.
• filtro molecolare
• mantenimento della coerenza meccanica del tessuto
• collegamento tra sistema ENDOCRINO, SNV, SNC.
• interazione con l’H2O
• mantenimento temperatura cellulare/corporea
• trasmissione delle informazioni
• stoccaggio/deposito di sostanze nutritive e tossiche
* Risponde alle leggi meccaniche tensegrili
All’interno della fascia ci sono i seguenti
Slide 43
elementi in tensione (ossia i tiranti):
Anche nella fascia si ritrova un’organizzazione tensegrile:
- fibre strutturali, come collageno, elastina
ELEMENTI IN TENSIONE (tiranti)
- miofibroblasti (=f ibre muscolari lisce
• Fibre strutturali (collageno, elastina, …)
sparse)> sono le cellule che stanno nella
• Fibre muscolari lisce sparse (soprattutto nel connettivo lasso)
fascia e che ne aumentano o diminuis-
• Elementi molecolari di actina – miosina
cono la tensione
• Attraverso la connessione con le fibre muscolari (tutti i tipi)
- elementi sparsi di actina e di miosina
ELEMENTI IN COMPRESSIONE (puntoni)
E poi ci sono degli
• PG/GAG legati all’acqua
elementi in compressione:
• Punti di contatto meccanico tra gli elementi (giunzioni)
PG, GAG legati all’acqua >sono gli elementi
che devono reagire alle forze di compress.
Esempio molto valido nella cartilagine.
che arrivano sulla matrice extracellulare.

Slide 44
Nella matrice extracellulare tutte le strutture che
SPAZIO TRA CELLULA – CAPILLARE – NERVO –
abbiamo nominato prima, ossia la cellula, i cap-
CAPILLARI LINFATICI
illari artero-venosi, i capillari linfatici e il nervo
Queste strutture non vengono mai a contatto diretto.
non vengono mai a contatto diretto tra di loro,
TUTTE le sostanze che transitano da una all’altra hanno
ma creano un passaggio obbligato per tutto ciò
un passaggio obbligato attraverso lo “spazio” della
che deve passare tra la cellula, il capillare, il ner-
matrice extracellulare/tessuto connettivo/fascia.
vo..etc, per cui la matrice extracellulare, cioè
Sono sottoposte ad una azione di filtraggio, selezione
la fascia è importante perché filtra, seleziona e
e modulazione grazie alle strutture esistenti in questo
modula tutte le sostanze, anche a livello chimi-
spazio.
co, che devono arrivare o uscire dalla cellula.
LUOGO DI AZIONE ED INCONTRO TRA L’OSTEOPATIA
MACROSCOPICA E L’OSTEOPATIA MICROSCOPICA

Quindi la fisiologia cellulare è in stretta dipendenza dalle condizioni meccaniche e biochimiche della matrice
extracellulare, cioè della fascia. Senza queste condizioni meccaniche si sconvolge tutta la fisiologia cellulare.

184
Sull’immagine accanto (slide
49) c’è lo schema della matrice
extracellulare e vediamo:
- un capillare con le cellule en-
doteliali che formano appunto
il tubo capillare
- degli assoni o delle termi-
nazioni libere, sia sensitive
che motorie, che fanno capo
al sistema neurovegetativo.
Le terminazioni sensitive
che cosa ci stanno a fare lì?
Alcune sentono le modificazi-
oni dell’ambiente meccanico:
queste informazioni arrivano
al corno post del midollo, poi
possono far riflesso 1.con la
Porzione Intermedia di esso
e raggiungere:
a) un viscere, per es lo stom-
aco (questo è un circuito
viscero-effettore > avrà un ef-
fetto sulla mucosa del viscere
oppure un effetto di vasocostrizione)
corteccia b) o la fascia stessa (perché nella fascia ci sono i miofibroblasti che aumen-
tano o diminuiscono il tono della fascia > si crea un riflesso tra la condiz-
terminazioni ione meccanica della fascia e la fascia stessa),
libere 2. oppure con i Motoneuroni Alfa e Gamma (questo è un circuito musco-
sensitive lo-scheletrico).
In più le informazioni meccaniche dal midollo possono andare anche
3.verso l’alto, verso il cervello, raggiungendo diverse strutture del tron-
co encefalico: la sostanza reticolare, talamo e ipotalamo e la corteccia.
Tutto viene registrato fino alla corteccia.
Le informazioni che raggiungono la corteccia hanno poi un effetto per-
ché l’ipotalamo ad es comanda il neurovegetativo e, attraverso di esso,
comanda anche l’asse endocrino e il sistema immunitario.
Questo per quanto riguarda le condizioni meccaniche, ma a livello della
matrice extracellulare la terminazione nervosa capta anche l’ambiente
chimico, quindi le variazioni di pH, la presenza di citochine, di sostanze
la fascia dell’infiammazione come per es le prostaglandine oppure capta alcune
circuito un viscere: sostanze, che sono sia dei neurotrasmettitori del sistema nervoso che
muscolo- lo stomaco
scheletrico sostanze dell’infiammazione come l’istamina e la serotonina, prodotte
durante le risposte infiammatorie. Quindi captano tutte queste situazioni a livello della fascia e creano una
serie di reazioni sia sul muscolo-scheletrico sia sul viscere sia sulla vasocostrizione sia sulla fascia stessa e poi
fanno arrivare alla corteccia queste indicazioni che serviranno per un’attivazione dei grandi sistemi che de-
vono regolare l’omeostasi e quindi di nuovo: endocrino, immunitario, vegetativo.
Che cosa ci sta a fare nella matrice extracellulare la terminazione effettrice? Regola per es la tensione delle
fibre muscolari lisce, quindi regola la tensione della fascia in funzione delle informazioni afferenti.
Dalla fisiologia si sa che la maggior parte dei neuroni, soprattutto quelli del neurovegetativo, non libera un
solo neurotrasmettitore (una volta si diceva che l’ortosimpatico libera acetilcolina nella sinapsi pre e post-
gangliare e la noradrenalina come neurotrasmettitore finale; in realtà non è così, perché non produce solo
noradrenalina), ma una serie di sostanze che arrivano nella matrice extracellulare e che sono:
- alcuni neuropeptidi (= sostanze chimiche che aiutano il neurotrasmettitore nella sua attività)
- sostanze che hanno il potere della citochina, come per es le interleuchine, che regolano e modulano i pro-
185
cessi infiammatori
- sostanze che hanno un’attività sulla cellula, ossia sostanze che servono per la fisiologia cellulare. È stato di-
mostrato che le tensioni meccaniche sulla matrice extracellulare influenzano la capacità di rilascio di neurotr-
asmettitori e delle sostanze chimiche a carico del neurovegetativo. Per cui anche la cellula che ha bisogno di
queste sostanze, come per es i fattori di crescita oppure di fattori stimolanti la proliferazione cellulare, liberati
dal neurovegetativo dipende per la sua funzionalità e per la sua omeostasi dal neurovegetativo. Le tensioni
meccaniche che agiscono nella matrice extracellulare regolano oppure impediscono o favoriscono la liber-
azione di queste sostanze da parte del neurovegetativo. Pensate a quanto casino può creare una restrizione
fasciale in un punto qualsiasi.
Sempre nella matrice extracellulare abbiamo anche dei macrofagi, ossia delle cellule di difesa, o dei mas-
tociti, che liberano per es l’istamina, il fibroblasta e il capillare artero-venoso, sanguigno, la cui fisiologia
dipende dalle forze meccaniche che agiscono sul capillare stesso (ricordate il passaggio tra arteria > arteriola
> metacapillare, dotato ancora di fibre muscolari lisce che fanno da sfintere e regolano l’afflusso di sangue in
determinate zone e i capillari). La regolazione dell’irrorazione sanguigna in un tessuto non è dovuta solo ad
un funzionamento meccanico di vasocostrizione-vasodilatazione, ma è dovuta anche alla liberazione di una
serie di sostanze chimiche, che favoriscono o meno il passaggio di sostanze dall’interno all’esterno del capil-
lare. Ripetiamo: il passaggio di sostanze dall’interno all’esterno del capillare è dovuto non soltanto a tensioni
meccaniche presenti nella matrice extracellulare ma anche a tensioni presenti all’interno del capillare, nel
flusso sanguigno. Quando il sangue scorre nel vaso crea un’attrito, crea forze meccaniche e, in base a queste
forze meccaniche, succedono determinate cose sul tubo vascolare.
Poi c’è il capillare linfatico, che è a fondo cieco, aspira tutte le schifezze presenti nella matrice extracellulare:
liquidi, prodotti di scarto, macromolecole, frammenti di batteri…. etc etc. Questa sorta di microsciacquone va
a finire nella circolazione linfatica, nei linfonodi, nel dotto linfatico sin o toracico e nel dotto linfatico dx. Non
dimenticate che la circolazione linfatica parte dalla fascia, perché tutte queste sostanze e tutte queste circo-
lazioni sono interconnesse. Il torrente sanguigno a livello della matrice extracellulare ha delle comunicazioni
di sostanze con il liquido presente nella matrice extracellulare, che è il liquido interstiziale. Quest’ultimo va a
finire nel sistema linfatico, e il linfatico va a finire nel sistema ematico e l’ematico produce, nei plessi corioidei,
la circolazione del liquido cefalo-rachidiano. Il liquido cefalo-rachidiano viene riassorbito nella circolazione
sanguigna e in parte nel linfatico della mucosa nasale. Queste 4 circolazioni: ematica, liquido cefalo-ra-
chidiano, linfatica, liquidi interstiziali, sono comunicanti tra di loro a livello microscopico e gran parte del
sostanze che girano attraverso questi liquidi si ritrovano in diverse zone del corpo. Se un mastocita presente
nella matrice extracellulare si rompe durante un processo infiammatorio e rilascia istamina, questa istamina
ha un’azione locale, poi va nel sangue (attraverso il capillare) e arriva per es al sistema nervoso centrale, dove
funziona come un neurotrasmettitore, così come la serotonina e viceversa. Questo è un es che vi faccio per
spiegarvi alcune cose della clinica. Immaginate un Pz che viene al vostro studio per un mal di schiena. Voi
fate i vostri test, l’anamnesi e viene fuori che ha delle allergie, delle intolleranze alimentari, ha gonfiori ad-
dominali, è intollerante al latte… a che cosa pensate? Al tenue. Ok. Fate i vostri test di inibizione e il tenue
risulta positivo, per cui lo trattate. Poi però il Pz vi dice che soffre di mal di testa, da sempre, un mal di testa
pulsante nella regione frontale. Mettete in relazione il mal di testa con il tenue? A causa dell’intolleranza la
mucosa intestinale si infiamma, la serotonina è uno dei trasmettitori dell’infiammazione ed è contenuta per
l’80% del corpo nelle cellule neuroendocrine della mucosa intestinale del tenue, per cui essa viene liberata
con l’infiammazione, va nel sangue, arriva nel cervello, dove la serotonina è un potente vasocostrittore, per
cui provoca delle cefalee di tipo vascolare, pulsante. La maggior parte dei farmaci anticefalea sono degli ini-
bitori dei recettori della serotonina. Questo per dire che dal mal di schiena, dal tenue, dal mal di pancia siete
arrivati alla cefalea attraverso la circolazione di sostanze, il libero scambio dei fluidi, che è quello che diceva
Still, la base dell’osteopatia.
Ricordate che queste quattro circolazioni comunicano tra di loro e fanno parte delle fasce, sono delle fasce
liquide, ma dobbiamo considerarle come i tessuti connettivi, perché connettono diverse parti del corpo. Ci
sono tessuti connettivi solidi, fibrosi e tessuti connettivi liquidi interconnessi tra loro.

186
Un es che vi può far capire l’importanza della
matrice extracellulare è l’ immagine accanto in
cui si vede lo spazio sinaptico in cui si infiltra la
membrana basale (= quella parte di matrice
extracellulare più a ridosso della cellula). A questo
livello la membrana basale modula, filtra, selez-
iona il rilascio di tutto ciò che il neurone butta
nella cellula. La molecola di acetilcolina non arriva
dalla membrana presinaptica a quella postsinap-
tica muovendosi in uno spazio vuoto, ma viene
presa in carico, si fa spazio in una rete molecolare
di microfibrille e viene trasportata dall’altra parte.
Se le tensioni a questo livello cambiano, la mole-
cola non arriva alla destinazione finale, ma viene
disintegrata prima.
Il neurotrasmettitore, per es l’acetilcolina, che
destino ha?
1. Raggiunge il recettore e attiva qualcosa sulla
membrana dall’altra parte
2. Una parte viene distrutta dagli enzimi, per es
l’acetilcolinesterasi, e i prodotti di scarto vengono
ripresi dalla membrana presinaptica e riciclati
3. Una parte si disperde negli spazi esterni e va nel liquido extracellulare, liquido che la trasporta in altre
zone. Qual è la matrice extracellulare del cervello? È tutto l’insieme delle cellule gliali. Quando le sinapsi
del cervello liberano un neurotrasmettitore, parte di questi neurotrasmettitori diffondono liberamente nel
liquido extracellulare del tessuto nervoso. Che cosa diventa poi il liquido extracellulare del tessuto nervoso?
Liquor. Il liquido extracellulare, che sta in mezzo ai neuroni alle cellule gliali, è in comunicazione col liquor,
perché le cellule ependimali che tappezzano i ventricoli sono anch’esse fenestrate e ci sono dei punti in cui
esiste una comunicazione. Il neurotrasmettitore che esce dalla sinapsi, va al liquido interstiziale, viaggia nei
liquidi interstiziali e poi rientra nel liquido cefalo-rachidiano, se ne va in giro di nuovo. È un altro tipo di comu-
nicazione libera come quella che abbiamo visto prima. Neurotrasmettitori che vengono prodotti dal cervello
durante determinate attività del cervello, si possono ritrovare nel liquor, e se si trovano nel liquor si possono
trovare nel sangue e quindi se ne vanno in giro per il corpo, andando a dare effetti diversi in base ai recettori
che troveranno in giro nel corpo. Se il cervello produce glutammato o gaba, questo gaba lo ritroverò anche
nel sangue e in altri tipi di circolazione e mi darà un’azione per es sul polmone, sull’apparato digerente, cre-
ando per es un cambiamento della peristalsi, un cambiamento della secrezione di acido cloridrico. Questo
per dire che l’attività cerebrale può influire a livello dell’attività organica, quindi non siamo mai disconnessi.
Anche l’attività cerebrale del sistema nervoso ha una funzione diretta attraverso la veicolazione di questi
neurotrasmettitori attraverso i liquidi. E non solo. Alcuni neurotrasmettitori che vengono prodotti in alcune
zone del cervello, attraverso il liquido interstiziale, agiscono e attivano altre aree del cervello e questa è la
cosiddetta Volume Trasmission, che è diversa dalla Wire Trasmission. La Wire Trasmission è quella classica,
sinaptica, cavi che trasportano informazione, sinapsi, neuroni….La Volume Trasmission è quella che avviene
attraverso i fluidi: i neurotrasmettitori grazie al liquido interstiziale e al liquor viaggiano da una parte all’altra
del cervello. Questo concetto spiega in parte alcune tecniche dette liquorali, che si fanno anche in osteopatia,
pur senza sapere perché funzionano. Bonetti critica il fatto che si spieghi ancora oggi l’efficacia delle tecniche
osteopatiche facendo riferimento a Irwin Corr, un autore degli anni ’60.
Comunque per fortuna da qualche tempo a questa parte si parla anche in osteopatia di Volume Trasmission:
è un metodo di comunicazione di determinate aree del cervello e attraverso il liquor di neurotrasmettitori,
è una sorta di apparato “endocrino”all’interno del cervello, sostanze che vengono vincolate dai liquidi, come
avviene per il sangue per il resto del corpo.

187
sem 2

La volta scorsa avevamo visto alcuni concetti sull’applicazione della tensegrità a livello cellulare, mentre oggi
vedremo qualcosa sull’applicazione dei concetti tensegrili sulla matrice extracellulare.
Vi ricordo che la matrice extracellulare rappresenta una parte di tutto quello spazio extracellulare che sta tra
una cellula e l’altra e sta soprattutto tra alcune strutture che sono, oltre alla cellula, il capillare, il nervo e il vaso
linfatico. Queste strutture sono anatomicamente separate: nel corpo non c’è un punto in cui un capillare entra
in contatto diretto con una cellula oppure un nervo con una cellula o un vaso linfatico con un capillare. Queste
strutture sono sempre divise da uno spazio che è appunto lo spazio extracellulare. Dallo spazio extracellulare
si sviluppa la matrice extracellulare (MEC o ECM), che è composta da un insieme di fibre: collagene, elastina,
PG, GAG…. ossia tutte le componenti del tessuto connettivo e pertanto sono una rappresentazione a livello
microscopico della fascia (sistema fasciale). Tra una cellula e l’altra spesso c’è l’interposizione di matrice extra-
cellulare, organizzata però in maniera diversa, motivo per cui viene chiamato spazio intercellulare.
L’altra volta avevamo visto che in prossimità delle membrane cellulari c’è la lamina basale, che è composta
dagli stessi elementi/fibre della matrice extracellulare, però in proporzioni diverse, e comprende una struttura
che sta in prossimità della lamina basale e fa parte della membrana cellulare e che si chiama glicocalice (=
l’insieme di tutte le glicoproteine, dei glicolipidi, che fanno parte della membrana cellulare e che compren-
dono, oltre ai recettori, alle proteine di membrana, alle proteine transmembrana, anche tutto un insieme di
componenti glico-proteiche o glico-lipidiche).
Lo spazio che c’è
tra la cellula, il
capillare, le ter-
minazioni ner-
vose e il vaso lin-
fatico è occupato
da matrice extra-
cellulare, quindi
dalla fascia e
avevamo detto
che le condiz-
ioni meccaniche
che agiscono
sulla matrice ex-
tracellulare con-
dizionano tutti
i vari scambi di
sostanze tra tutti
questi elementi,
ossia tutto ciò
che deve uscire dal capillare per raggiungere la cellula oppure le sostanze di scarto che dalla cellula devono
tornare al capillare o devono essere portate via ad es dal sistema linfatico oppure l’attività delle terminazioni
nervose, che sono sia sensitive sia efferenti, quindi effettrici.
Avevamo visto che le terminazioni nervose, che fanno parte principalmente dell’ortosimpatico, emettono
nella matrice extracellulare non solo neurotrasmettitori ma anche altre sostanze, che sono per es fattori di
crescita, che servono per l’attività cellulare o per l’attività del tessuto a questo livello, sostanze che stimola-
no il sistema immunitario e funzionano come citochine… per cui tutto ciò che avviene a questo livello, che
è gran parte di ciò con cui ci andiamo a scontrare ogni giorno nel nostro lavoro, vale a dire l’infiammazione,
viene attivato e modulato in questo spazio. Tutto quello che avviene a questo livello è estremamente impor-
tante per la salute in generale dell’uomo. Questa zona rappresenta anatomicamente il famoso terreno della
persona. Se lì ci sono le corrette condizioni meccaniche e biochimiche tutti gli scambi e l’attività cellulare fun-
zionano come dovrebbero funzionare: è la base di partenza per la salute. Nel momento in cui questo sistema
viene sregolato si apre la porta per qualsiasi tipo di patologia; di solito inizia con una patologia di tipo infiam-
matorio e poi sfocia in patologie più gravi, che possono essere anche patologie tumorali, come avevamo visto
l’altra volta parlando della cellula.
188
Avevamo visto che la lamina basale modula il passaggio dei neurotrasmettitori.
La rete di PG/GAG ha notevoli capacità di costruzione/ All’interno della matrice extracellulare è sta-
demolizione per adattarsi alle situazioni contingenti (omeo- ta individuata una struttura funzionale che
stasi), questo grazie: è stata chiamata matrisoma, che sarebbe
alle proprietà intrinseche dei PG/GAG l’unione di PG e GAG insieme ad alcune pro-
ai polimeri degli zuccheri e al glicocalice teine strutturali, a proteine reticolari e a pro-
teine variabilmente collegate con le strutture
UNITA’ FUNZIONALE DELLA MATRICE (MATRISOMA) appena nominate. Le proteine variabilmente
Costituito da: collegate sono ormoni, fattori di crescita,
PG/GAG neurotrasmettitori, metaboliti, cataboliti…..
proteine strutturali
proteine reticolari
proteine variabili collegate transitoriamente (ormoni, fattori
di crescita, neurotrasmettitori, metaboliti, cataboliti, ...)

Il matrisoma è una sorta di sistema di trasporto con cui le sostanze vengono trasportate per es all’esterno
della cellula verso il capillare, è come queste sostanze attraversano la matrice extracellulare. I matrisomi for-
mano una sorta di sistema di trasporto fatto a cilindri (i cilindri di Heine, dal nome del suo scopritore), cilindri
tridimensionali che si formano e si disgregano nel giro di millisecondi.
Dovete immaginare lo spazio per es tra la
cellula e il capillare non come uno spazio
rigido, fisso, ma come un qualcosa che è in
continua elaborazione, dove ci sono questi
elementi strutturali come i PG, GAG, le pro-
teine, il collagene etc… che si disgregano e
si formano continuamente in base alle ne-
cessità del tessuto in modo molto dinamico.
All’interno del tessuto si creano queste strut-
ture cilindriche che sono formate grosso
modo come nell’ immagine accanto, dove
hanno all’interno e all’esterno una parte
idrofila e una parte idrofoba, dove le altre
molecole si legano transitoriamente per ve-
nire trasportate o all’interno o all’esterno del
cilindro attraverso la matrice extracellulare.
È come se, volendo andare da un punto A a un punto B si formasse una struttura cilindrica che fa migrare la
molecola da A verso B, dopodiché il cilindro si disgrega e se ne forma un altro che fa migrare la molecola da B
diverso C e via dicendo fino ad arrivare a destinazione: questi sono i cilindri di Heine e sono uno dei sistemi di
trasporto che sono stati visti formarsi all’interno della matrice extracellulare.
Un’altra struttura che fa parte del sistema fasciale e che è di estrema importanza per la vita cellulare è il glico-
calice, che è l’insieme di glicoproteine e glicolipidi che stanno all’esterno della cellula.
Il glicocalice ha le seguenti funzioni:
Slide 50
GLICOCALICE = rappresenta uno strato glicidico
1. ancorare la cellula alla matrice extracellulare
con importanti capacità informative. 2. identificazione cellulare > è come se fosse una
È determinante per: divisa proteica, di cui è dotata ogni cellula e che per-
ancoraggio delle cellule alla matrice mette per es a cellule simili di identificarla (questo è
identificazione cellulare importante per es nella morfogenesi, quando le cel-
adesione intercellulare lule si differenziano e si aggregano tutte in uno stesso
elaborazione delle informazioni che arrivano alla tessuto. Come fa una cellula a sapere che è simile ad
cellula, rappresenta una sorta di MEMORIA A BREVE un’altra? Perché porta una specie di divisa, formata
TERMINE dei tessuti. dall’insieme di glicoproteine e glicolipidi che stanno
intorno alla membrana, è come se fosse un ricono-
scimento chimico)
3. adesione intercellulare > per far aderire nei tessuti due cellule simili, per es due epatociti
189
4. la funzione più importante > elaborare informazioni che arrivano alla cellula (per alcuni studiosi questa
è una sorta di memoria a breve termine a livello dei tessuti). A livello tissutale ci sono due tipi di memoria:
una memoria a lungo termine data dal DNA (dà ai tessuti l’impronta stabile, come per es il colore degli occhi
o alcune componenti che rimangono sempre le stesse) e una memoria a breve termine data dal glicocalice,
che reagisce a qualsiasi perturbazione che arriva alla cellula, sia di tipo chimico (se per es arriva una cellula
o un neurotrasmettitore) sia di tipo meccanico (se per es l’ambiente meccanico in cui è immersa la cellula
cambia).
Alcuni studiosi hanno fatto dei calcoli e hanno
4 zuccheri semplici possono formare più di 35.000 tet-
visto che 4 zuccheri semplici, di cui è composto
rasaccaridi.
il glicocalice possono formare nelle varie combi-
4 aminoacidi possono formare solo 24 tertrapeptidi.
nazioni circa 35.000 tetrasaccaridi, mentre i quat-
I geni dispongono di 20 aminoacidi codificati in 4 nucle-
tro aminoacidi presenti nel DNA formano 24 tet-
otidi ordinati in triplette che formano 64 combinazioni
rapeptidi. Si è così calcolato che a livello del DNA
lungo il DNA.
si possono fare 64 combinazioni mentre a livello
Servono per le strutture durevoli – MEMORIA A LUNGO
del glicocalice ce ne possono fare 35.000, un po’
TERMINE.
come avere un alfabeto di 64 lettere e un altro di
Per il mantenimento dell’omeostasi (risposte veloci) il
35.000 lettere, questo secondo ha un valore infor-
corpo si affida agli zuccheri del GLICOCALICE che han-
mativo decisamente più elevato. Infatti il glicocal-
no molte più possibilità di combinazione –MEMORIA A
ice, praticamente la membrana della cellula, deve
BREVE TEMINE. TUTTE LE INFORMAZIONI PASSANO
reagire a qualsiasi tipo di perturbazione: quando
PER IL GLICOCALICE
arriva una molecola, un neurotrasmettitore, il
glicocalice deve reagire immediatamente.
L’insieme di queste strutture: i cilindri di
PG/GAG, PROTEINE STRUTTURALI e il FILTRO MOLECOLARE Heine, il glicocalice, le proteine strutturali
PG/GAG e proteine strutturali formano un filtro molecolare all’interno della matrice extracellulare costi-
che può meccanicamente e biochimicamente includere o tuiscono una sorta di filtro molecolare, che
escludere tutte le molecole che vanno e vengono tra capil- è una delle attività principali della matrice
lare – cellula – nervo – linfa. extracellulare, ossia della fascia. Che cosa
L’azione filtrante dipende da: succede? Si forma una sorta di rete tridimen-
dimensione delle molecole sionale con dei pori, come un setaccio per la
carica elettrica farina. Tutte le sostanze che devono uscire
dimensione dei pori del filtro (tensione della fascia) dalla cellula e andare per esempio al capillare
concentrazione di PG/GAG ed elettroliti o dal capillare verso la cellula o altre sostanze
pH che girano nella matrice extracellulare ven-
sollecitazioni meccaniche gono filtrate da questa struttura.
Vengono filtrate in base alla dimensione delle molecole, quindi per una pura ragione meccanica. Immagin-
are di avere un setaccio per la farina: una parte della farina passa attraverso i pori, mentre i grani più grossi
rimangono bloccati. La matrice extracellulare fa la stessa cosa a livello molecolare. Per avere una buona azione
di filtraggio i pori devono avere tutti o lo stesso calibro o perlomeno una determinata dimensione. Se pren-
dete la rete del setaccio e la tirate con una forza meccanica inadeguata, provocherete la chiusura di alcuni pori
in alcuni punti e l’apertura esagerata di altri in un’altra zona, per cui quando metterete la farina passerà tutto
e non ci sarà più attività filtrante. La stessa cosa avviene per la matrice extracellulare. Nel momento in cui ci
sono delle forze meccaniche che alterano l’equilibrio meccanico della matrice extracellulare, l’azione filtrante
che dipende dalla dimensione delle molecole non c’è più, per cui nella matrice extracellulare ci saranno mole-
cole o sostanze che non dovrebbero esserci e d’altra parte non ci saranno quelle sostanze che dovrebbero
invece esserci. Questo discorso dipende anche dalla carica elettrica delle molecole. Prima abbiamo detto che
nei cilindri di Heine c’è una componente idrofila e un’altra idrofoba e questa componente dipende dalla carica
elettrica e dall’interazione tra queste molecole e l’acqua contenuta nella matrice extracellulare. Altri fattori
che influiscono sull’attività di filtro della matrice extracellulare sono il pH della fascia e le sollecitazioni mec-
caniche che agiscono su di essa.

190
La superstruttura (tensegrile) a rete tridimensionale di PG/ Per fare degli es avevamo detto che sulla fas-
GAG ha importanza nella coerenza meccanica del tessuto. cia arrivano delle fibre nervose neurovegeta-
Per suo tramite gli assoni vegetativi sono soggetti ad una tive, che non formano delle vere e proprie
specifica tensione meccanica ed elettrica che regola la lib- sinapsi ma delle sinapsi a distanza. Le fibre
erazione dei neurotrasmettitori. neurovegetative terminano nella fascia ed
Traumi - tensegrità emettono lì alcune sostanze. Si verifica una
sorta di riflesso assonico. Quando la fibra
La matrice extracellulare è collegata tramite: neurovegetativa arriva nella fascia emette
i capillari al sistema ghiandolare endocrino alcune sostanze, grazie ad una componente
le terminazioni vegetative al sistema nervoso centrale efferente presente nella fibra. Molto spesso
Tutti e due i sistemi si collegano a livello del midollo allun- però la fibra neurovegetativa ha dei rami
gato e dell’ipotalamo, ne risulta una attività informativa nei che captano la composizione chimica pre-
confronti dei centri superiori (psico-neuro-endocrino-im- sente nella fascia e che quindi veicolano
munologia). un’informazione afferente.

Quindi lo stesso assone neurovegetativo


ha sia rami efferenti che afferenti. Con
questo sistema le fibre neurovegetative
si autoregolano creando un arco riflesso
all’interno dell’assone. Questo è un modo
di autoregolazione proprio del sistema
neurovegetativo. Se per es nel tessuto
c’è un’infiammazione, a cui segue una
risposta del tessuto all’infiammazione,
risposta che comprende la produzione di
alcune sostanze come per es l’istamina…
queste sostanze vengono captate dall’
assone afferente neurovegetativo, che
agisce in modo riflesso sul proprio ramo
efferente, regolando l’emissione di altre
sostanze quali i neurotrasmettitori, i fat-
tori di crescita, le citochine…. quindi è un sistema di autoregolazione che si innesca tra il sistema fasciale e il
sistema neurovegetativo. Questo circuito è praticamente anche alla base della risposta immunitaria a livello
dei tessuti. Il riflesso assonico attiva:
la degranulazione dei mastociti
la liberazione di citochine dai macrofagi
l’attività fagocitaria di macrofagi, mastociti e neutrofili
In pratica regola l’attività immunitaria che avviene nella matrice extracellulare.
Abbiamo detto che nella matrice extracellu-
PG/GAG e H2O
lare ci sono i PG/GAG, che hanno tra le loro
PG/GAG sono negativi e possono facilmente legare acqua.
caratteristiche quella di legare l’acqua. Dal
Da questo legame dipendono:
legame tra l’acqua e determinati PG e GAG
1. caratteristiche meccaniche del connettivo:
dipendono diverse cose come per es
fascia (viscoelasticità)
1.le caratteristiche meccaniche del connet-
osso (plasticità)
tivo, nel senso che la fascia può essere più o
cartilagine (artrosi)
meno elastica in base al contenuto di acqua.
resistenza alle sollecitazioni in genere
Questo discorso è vero sia nella fascia pro-
priamente detta, nelle aponeurosi, sia nell’osso (perché nell’osso c’è una componente organica contenente
PG/GAG che legano l’acqua; certo sono una componente bassa però quello che dà plasticità all’osso è proprio
la componente organica), sia nella cartilagine (infatti si pensa che il processo iniziale dell’artrosi dipenda da
una situazione in cui PG/GAG non riescono più a legare l’acqua, per cui la cartilagine perde alcune proprietà
meccaniche elastiche e da qui si innesta il processo artrosico.

191
Il legame con l’acqua è importante per il mantenimento
2. mantenimento della differenza di temper- della temperatura tra interno ed esterno della cellula. In
atura tra ambiente intra ed extracellulare generale la temperatura interna (TI) della cellula deve es-
sere sempre maggiore rispetto alla temperatura esterna
temperatura interna (TI) deve essere sempre (TE). Quando la temperatura interna è uguale a quella es-
maggiore della temperatura esterna (TE) terna la cellula tende a morire. Il mantenimento di queste
TI > TE = k temperature è dovuto alla presenza di acqua nella matrice
Se TI = TE si ha la morte cellulare extracellulare e funziona come una sorta di radiatore bio-
logico. Quando PG/GAG sono in grado di legare l’acqua in un determinato modo in base alle necessità meta-
boliche del tessuto viene mantenuto questo rapporto tra la temperatura interna e quella esterna, rapporto
che è fondamentale per l’attività cellulare. Alcuni tipi di patologie interferiscono proprio su questo meccan-
ismo: i PG/GAG non riescono più a legare l’acqua, il connettivo tende a disidratare e molte cellule di alcuni
tessuti tendono a morire perché non è mantenuta la differenza di temperatura tra interno ed esterno della
cellula.
Un’altra caratteristica del legame tra PG/GAG e l’acqua è
3. trasmissione di informazioni (teoria dei
la capacità di trasmettere informazioni (ricordate che an-
cristalli liquidi)
che una molecola è un’informazione che arriva alla cellula)
all’interno della matrice extracellulare. A questo propos-
cos’è un cristallo liquido = metafase tra
ito qualcuno ha tirato fuori la teoria dei cristalli liquidi. Il
liquido e solido/cristallino
cristallo liquido è una struttura cristallina che sta in una
(es dei cristalli liquidi ottici)
fase tra il solido e il liquido, senza essere né l’uno né l’altro.
L’acqua si può definire un vero liquido solo
Questo è vero per es nei cristalli liquidi ottici che sono
oltre i 60°C.
quelli che stanno nelle vaschette dell’orologio al quarzo:
Tra i 0°C e i 60°C mantiene delle caratteristiche
questi cristalli hanno delle proprietà particolari, perché in
cristalline.
base a come arriva la corrente sul cristallo liquido, essi si
la fase liquida e la fase cristallina sono in equi-
orientano in un determinato modo nello spazio e, in base
librio a 37,5 °C
a come si orientano nello spazio, sono in grado di riflettere
un aumento della temperatura potrebbe avere
la luce esterna o no. Se per es i cristalli del mio orologio
un effetto di reset delle informazioni (febbre)
sono tutti orientati in avanti verso di voi, non riflettono la
luce, per cui voi non vedete il numero sul quadrante. Nel momento in cui arriva un impulso elettrico, il cris-
tallo si orienta in modo differente e a quel punto riflette la luce, per cui voi vedete poi il numero sul quadrante
dell’orologio. Vi è visto che nel tessuto connettivo l’unione di acqua e PG/GAG ha delle proprietà simili ai cris-
talli liquidi. Si è visto che l’acqua, legata ai PG/GAG, sta a metà tra una fase liquida e una fase cristallina proprio
quando la temperatura corrisponde a 37,5° C, ossia la temperatura interna del corpo. Questa situazione fa sì
che si creino delle condizioni elettromagnetiche e meccaniche all’interno della matrice extracellulare che fa-
cilitano il passaggio di molecole oppure l’attività cellulare in generale oppure il blocco dell’attività batterica;
infatti si pensa che la febbre sia una sorta di meccanismo con cui, aumentando la temperatura corporea, i
cristalli liquidi diventano ancora più liquidi bloccando in questo modo il trasporto di informazioni, per es
dell’attività batterica.

192
I PG/GAG hanno anche la proprietà di legare alcune
PG/GAG e sostanze nutritive/tossiche
sostanze nutritive/tossiche. Spesso legano i carboidra-
Essi possono legare:
ti come il glucosio e il galattosio, le proteine, gli acidi
carboidrati (glucosio e galattosio)
grassi e d’acqua, vale a dire tutte le sostanze nutritive
proteine (gruppi NH)
principali. Quindi la Matrice EC può diventare una sorta
acidi grassi
di deposito di sostanze organiche e allo stesso tempo
acqua
anche molte sostanze tossiche possono essere con-
Il fibrocita ha bisogno di polisaccaridi per costru-
tenute al suo interno e questo capita quando la MEC
ire i costituenti della matrice (collageno, PG/GAG,
perde la sua coerenza meccanica: tensioni inadeguate
elastina, fibronectina, …).
su un tessuto o un organo, per es il fegato, fanno sì che
I carboidrati superflui oltre ad essere immagazzi-
certe sostanze non vengano eliminate bensì siano de-
nati come glicogeno (muscolo, fegato) portano a
positate nella MEC, nella fascia del fegato creando così
maggior formazione di PG/GAG e proteine strut-
delle alterazioni, dei danni sulla fisiologia degli epatoc-
turali nel connettivo sottocutaneo e interstiziale.
iti e di altre cellule che fanno parte del fegato. Questo
Obesi e diabetici hanno maggior contenuto di
può facilitare l’instaurarsi di una patologia o di un dis-
collageno.
turbo funzionale.
Ora andiamo sul macroscopico e vediamo l’uomo come sistema tensegrile.
L’uomo è composto da diversi tipi di strutture, alcune
L’uomo si può considerare un sistema tensegrile delle quali sono state assimilate alle strutture tensegrili.
composto dall’insieme di: Le strutture pretensionate, ossia quelle formate da cilindri
strutture pretensionate: arti, colonna verte- e cavi, sono state equiparate agli arti, alla colonna verte-
brale, dischi intervertebrali, … brale, al disco intervertebrale; le strutture geodetiche, per
strutture geodetiche: cellule, … le loro proprietà meccaniche, sono state paragonate alle
strutture pneumatiche: addome, visceri e or- cellule, al cranio…; le strutture pneumatiche, che fanno
gani, vasi, … sempre parte delle strutture tensegrili, sono state assimi-
miste: cranio, bacino, torace, … late all’addome, ai visceri, ai vasi…
Nel corpo esistono degli elementi in compressione:
Elementi in compressione:
principalmente le ossa, molte delle quali lavorano
ossa (compressione e trazione)
sia in compressione che in trazione (è quello che
articolazioni (relativamente) (???)
succede nelle strutture geodetiche), poi le artico-
tessuti molli sottoposti a contatto/carico (cute - ip-
lazioni (Bonetti dice che è relativo, perché ci sono
ercheratosi, cuscinetti adiposi), zone di contatto con
degli studi contrastanti, nel senso che alcuni autori
fluidi, gas, contenuti in genere (nelle strutture idro/
hanno visto che, proprio perché il corpo umano è
pneumatiche)
una struttura tensegrile, sulle articolazioni non c’è
Elementi in tensione:
una grossa sollecitazione in compressione, anzi le
muscoli (tono muscolare)
articolazioni lavorano quasi in assenza di gravità e
legamenti (supporto meccanico e informativo)
di peso). Gli elementi in tensione del corpo umano
fasce / MTC
sono: i muscoli, i legamenti, le varie fasce, le mem-
ltri elementi in tensione (citoscheletro, fibre varie, …)
brane…
Le teorie sulle capacità di carico e la biomeccanica Tutte queste idee sono venute fuori perché alcuni
classica andrebbero quantomeno integrate. ricercatori hanno cominciato a studiare i carichi di
1. Molte delle nostre strutture se fossero costruite sec- rottura di alcune strutture, principalmente ossa e
ondo le leggi architettoniche classiche andrebbero in- cartilagini articolari, sottoposti a sollecitazioni an-
contro a rottura. che durante la vita quotidiana. Hanno visto che
2. Non riusciremmo a sopportare alcune sollecitazioni molte di queste strutture dovrebbero andare in-
e molti traumi. contro a rottura se si facesse uno studio secondo
3. La nostra biomeccanica non cambia se cambiamo le leggi newtoniane classiche, ossia leggi che ve-
posizione rispetto alla forza di gravità (proni, su- dono il corpo come un insieme di fulcri, carrucole,
pini, a testa in giù camminando sulle braccia, …) o in leve…
assenza di gravità (viaggi aerospaziali).

193
In più si sono chiesti “Come mai una giraffa riesce a muovere
la testa, che pesa comunque svariati kg, su un braccio di leva
(=collo) così lungo?”. Per poterlo fare dovrebbe avere una
struttura muscolare tripla rispetto a quella che in realtà c’é.
La stessa cosa vale per gli animali preistorici

Alcuni studiosi hanno fatto notare che


la colonna vertebrale è stata sempre
studiata in biomeccanica come una
colonna, ossia come un insieme di
componenti impilate l’una sull’altra;
è sempre stato detto che la colonna
è sottoposta alla forza di gravità, al
peso del corpo.

Ma qualcuno l’ha messo in discussione


assimilando la colonna vertebrale a strut-
ture tensegrili come quelle accanto.

194
Perché? Se su una colonna normale metto 100 kg, essi
vengono trasmessi su ogni segmento sino a terra. Se
per es io pensassi 80 kg e mi mettessi in appoggio mo-
nopodalico, su ogni segmento avrei un peso di 80 kg.

Questo però non è vero nelle strut-


ture tensegrili. Quando comprimo
una struttura tensegrile con 100 kg,
i 100 kg vengono ridistribuiti con di-
verse percentuali sia sugli elementi
in compressione, quindi sui cilindri,
sia sugli elementi in tensione, quindi
sui cavi.

Quando mi metto in appoggio monopodalico, avrò una percentuale dei miei


80 kg sull’osso è un’altra percentuale viene ridistribuita dalla tensione che
stanno creando i muscoli intorno all’osso e alle articolazioni affinché io riman-
ga in piedi su una gamba sola, quindi sul mio femore o sul mio ginocchio non
ci saranno 80 kg ma molti di meno. Avevamo anche detto che una delle pro-
prietà delle strutture tensegrili è l’irrigidimento lineare, ossia più una strut-
tura viene caricata e più tende ad irrigidirsi. È proprio questo il compito della
muscolatura, più carico metto e più la mia muscolatura tende ad irrigidirsi. Per-
ché si irrigidisce? Perché tende a distribuire ancora di più i carichi. Più carico
metto sul ginocchio e più la muscolatura si irrigidisce per evitare che l’intero
carico arrivi sul ginocchio e danneggi l’articolazione, quindi è un modo per
salvaguardarla.

Oltre al funzionamento meccanico in con- Hanno calcolato che un centometrista che fa X km all’ora, nel
dizioni normali anche la capacità di resist- momento in cui è al massimo della velocità e appoggia il pie-
ere alle sollecitazioni cambia. de a terra, sul ginocchio dovrebbe arrivare un carico tale (se si
fa uno studio secondo le leve) da far scoppiare la cartilagine!
Nella visione biomeccanica classica (leve, Questo però non avviene, perché il carico viene ridistribuito
momenti di forza, carrucole, …) molte su tutti i punti della struttura, fra punti sia in tensione che in
strutture non resisterebbero. compressione. La contrazione muscolare fa sì che l’aumento di
tensione scarichi in percentuale i chili dal ginocchio.
195
La stessa cosa l’hanno vista sui sesa-
moidi, gli ossicini del piede, sui quali,
durante una partita per es di rugby,
possono arrivare pressioni pari a
1000 N (Newton), tali quindi da frat-
turarli. Oppure ad ogni falcata ci
dovrebbe essere una rottura dei ses-
amoidi, cosa che non avviene perché
il sesamoide fa parte di un comples-
so strutturale integrato all’interno di
tendini, strutture legamentose…per cui il peso che arriva sul sesamoide in realtà è ridistribuito in percentuale
su tutte le componenti del piede, dell’arto inferiore…
La stessa cosa l’hanno vista sui
muscoli erettori della colonna. Se
una persona solleva un carico di
10 kg in questo modo…. gli eret-
tori della colonna fanno uno sforzo
che può arrivare fino a 16.000 N,
un valore che provocherebbe la
lacerazione del muscolo. Tuttavia
i muscoli non si lacerano perché
il carico viene ridistribuito in un
modo diverso su tutte le strutture
del corpo.
La stessa cosa vale per la col-
onna vertebrale: sul Kapandij
viene detto che sollevare un
carico a gambe distese, pro-
voca su L5 una pressione
molto vicina a quella di rot-
tura della vertebra. Ma allora,
si chiede Bonetti, che cosa
dovrebbe succedere ai sol-
levatori di pesi? Dovrebbero
fratturarsi tutti. Questo non
accade perché lo sforzo viene
ridistribuito su diverse strut-
ture in modo differente e più
carico c’è, più il corpo recluta
automaticamente gruppi
muscolari via via crescenti, c’è un’irradiazione del reclutamento muscolare. Questo corrisponde proprio
all’irrigidimento lineare delle strutture tensegrili: più carico c’è e più la struttura tende ad irrigidirsi, ad uti-
lizzare (in questo caso) più gruppi muscolari, per salvaguardare alcune strutture dal pericolo di frattura.

196
Stesso discorso si può fare per il
disco intervertebrale, che è cos-
tituito da una parte interna, per-
lopiù acqua, sottoposta a forze di
compressione e intorno, a 360°,
una struttura che è sottoposta a
forze di tensione (ricordate che le
strutture tensegrili lavorano con
questo tipo di forze: c’è un equi-
librio di tensioni omnidirezionali, a
360°, che vengono qui equilibrate
da forze in compressione su alcuni
punti della struttura). Il disco inter-
vertebrale è in sé una struttura
tensegrile, anche perché la direzione delle fibre nei vari anelli che compongono l’anulus cambia e questo fa sì
che ci sia una ridistribuzione a 360° delle forze.

La stessa cosa avviene nella spiegazione del perché i carichi sulla colonna vertebrale
diminuiscono o aumentano in alcune condizioni. In posizione seduta gravano su L5-S1
circa 150 kg, mentre in piedi il peso diminuisce. Perché? Perché il peso del corpo viene
ridistribuito anche sugli arti inferiori, ecco perché c’è meno peso su L5-S1. Se uno calco-
lasse il peso solamente sulla base della forza di gravità, dovrebbe essere uguale sia da
seduto che in piedi. Questo fa pensare che ci siano delle condizioni meccaniche diverse
rispetto a quelle che sono state studiate di solito.

Inoltre delle strutture tensegrili come quella ac-


canto hanno la proprietà di creare delle strutture
di contenimento, che hanno una particolarità. Se
all’interno di questa colonna tensegrile mettessi
una struttura, nel momento in cui vado a flettere
la colonna, le pareti rimarrebbero sempre equi-
distanti dal centro: è infatti quello che avviene fra
la colonna vertebrale e il midollo. Quando mu-
ovete la colonna vertebrale l’interno, il canale ver-
tebrale, tende sempre a mantenersi più o meno
equidistante dal suo contenuto, ossia dal midollo
spinale. Non succede mai che flettendo il collo, il
midollo si pieghi andando in compressione verso
la parte posteriore del canale midollare.

197
Inoltre molte delle articolazione del corpo um-
ano lavorano su piani obliqui, per es la colon-
na vertebrale (anche se è sempre stata studia-
ta come una colonna): pensate alle curve della
colonna, all’orientamento delle superfici arti-
colari. Anche nel piede la maggior parte delle
articolazione, escludendo la sottoastragalica,
stanno su un piano verticale. Anche nel ginoc-
chio il punto di contatto dei condili con i piatti
tibiali è una superficie molto ristretta, per cui
tutto il peso del corpo va su un punto partico-
lare, fattore questo che creerebbe delle con-
dizioni meccaniche tali per cui la cartilagine,
con qualsiasi sollecitazione, potrebbe esserne
distrutta. Per questo dobbiamo ipotizzare un
sistema di funzionamento delle articolazioni
un po’ diverso da come lo si è pensato finora.

Le articolazioni vengono integrate in un sistema di elementi in tensione che le mantengono, per cui non è tanto
la forza di gravità che agisce sulle articolazioni quanto l’equilibrio tensivo che deve agire sull’articolazione stessa.
Quando ci sono per es dei traumi o un processo artrosico, la prima cosa che viene detta è di mantenere il tono
muscolare. Perché? Sembrerebbe un controsenso perché se si prendono due capi articolari tenuti insieme da
una serie di muscoli, aumentando la forza muscolare ci dovrebbe essere una compressione maggiore all’interno
all’interno dell’articolazione, e invece questo non avviene, anzi di solito avviene il contrario: più aumenta lo
stato di tensione muscolare e più l’articolazione tende quasi a diastasare. Perché viene l’artrosi dell’anca?
Perché di solito c’è un cattivo centrag-
gio della testa del femore nel cotile.
Però il centraggio è dovuto all’attività
dei vari gruppi muscolari che agiscono
sull’anca. Nel momento in cui alcuni
gruppi muscolari non lavorano come gli
altri, sia come equilibrio di tensione che
come tono, c’è un cambiamento della
tensione e viene a mancare il centraggio
della testa del femore, con formazione di artrosi o nella parte superiore del cotile (si dice che sia la più
comune, perché a causa del peso la testa femorale spinge verso l’alto) o in quella inferiore. Ma perché si svi-
luppa nella parte inferiore? Evidentemente perché la forza di gravità non agisce solo dal basso verso l’alto e
viceversa e l’anca è un sistema che deve essere in equilibrio di tensioni per essere centrata. L’anca se ne frega
fino a un certo punto della forza di gravità e della forza peso, altrimenti dovrebbero esserci artrosi solo nella
parte superiore del cotile.

198
Alcuni studiosi si sono chi-
esti se i capi articolari si toc-
chino realmente. Per verifi-
care questo durante delle
operazioni chirurgiche al
ginocchio hanno utilizzato
una sostanza tipo inchiostro
e hanno poi sottoposto il gi-
nocchio a diversi carichi, fino
a 98 kg. Hanno visto che tra le
due cartilagini rimane sem-
pre un film liquido, quindi le
cartilagini pur con un carico
di 98 kg non si toccano tra
di loro. La stessa cosa l’hanno
verificata sull’anca carican-
dola con 127 kg, sul gomito,
sulle metatarso-falangee.

Anche il dente (si


pensi alle gonfo-
si), non è a con-
tatto con l’osso
ma c’è una strut-
tura legamento-
sa che mantiene
sempre il dente
nella giusta sede
evitando appun-
to il contatto con l’osso, nonostante i denti siano sottopos-
ti a delle sollecitazioni estreme. Il dente è una struttura
di tipo tensegrile e nel momento in cui le tensioni cam-
biano, cominciano i guai (è quello che capita con la ruota
della bicicletta come abbiamo già detto: se i raggi non
sono più in tensione alla prima sollecitazione il cerchio si
deforma, perché la struttura ha perso il corretto equilibrio
di forze tensive).
La stessa cosa avviene nelle articolazioni. Quando ho dei gruppi muscolari che cambiano l’equilibrio di ten-
sioni, l’articolazione comincia a non lavorare più come dovrebbe, per cui si creano traumi, processi artrosici.
Inoltre in tutte le cavità articolari, non solo nell’anca, c’è una pressione negativa che sta intorno a -4 mm Hg e
che viene mantenuta sempre. Però una pressione negativa contrasta con il discorso delle compressioni, per-
ché se in un’articolazione creo una compressione avrò per forza alla fine una pressione positiva, mentre fece
le articolazioni lavorano in una situazione di depressione, che è funzionale alla produzione di liquido sinoviale
e al nutrimento della cartilagine. Quindi l’articolazione è una struttura che lavora a pressione negativa e che
non viene sottoposta poi a tante compressioni, in realtà è qualcosa che contrasta la forza di gravità, è indipen-
dente da essa, grazie alla tensione di tutta la muscolatura che la circonda, e più le tensioni aumentano e meno
l’articolazione viene sollecitata dal carico. Inoltre istologicamente la cartilagine è fatta in modo tale che con
la sua struttura a lamelle sembra fatta apposta per resistere a delle sollecitazioni di taglio e di scivolamento
piuttosto che a sollecitazioni in compressione.

199
Un es di funzionamento è il pistone
idro-pneumatico. Mettiamo che la
struttura nell’immagine accanto sia
un ginocchio con il liquido sinoviale
all’interno e la capsula, i legamenti, i
tendini all’esterno. Nel momento in
cui c’è una compressione verso l’alto
anche il liquido viene compresso,
però è mantenuto all’interno da tutto
il sistema di tensionamento omnidir-
ezionale fasciale e muscolare, così da
evitare la compressione dei due capi
articolari. Quindi la compressione
iniziale attiva il sistema fasciale e
muscolare che realizza il contrario di
quanto ci si aspetterebbe, ossia una
diastasi dei capi articolari.
Quindi la compressione iniziale attiva il sistema fasciale e muscolare che realizza il contrario di quanto ci si
aspetterebbe, ossia una diastasi dei capi articolari.
Questa è un’immagine di
come è fatta la cartilagine:
le fibre si orientano nella
parte prossima alla cavità ar-
ticolare in modo tangenziale
e nella parte lontana dalla
cavità articolare sono orien-
tate in modo colonnare. Un
struttura simile è più adatta
ad ammortizzare sollecitazi-
oni di taglio piuttosto che
reagire a sollecitazioni di
compressione.

sollecitazioni di taglio

200
Inoltre le strutture tensegrili sono strutture pneu-
matiche e nel corpo sono presenti una serie di
pressioni che devono essere mantenute ad un
certo livello. Tra di queste ci sono delle pressioni
negative come per es nello spazio epidurale, nelle
cavità articolari, nel pericardio, nella pleura e nello
spazio interstiziale dei tessuti lassi, ossia nella ma-
trice extracellulare (serve per l’equilibrio di Star-
ling, per far sì che ci sia sempre un passaggio di
liquido e di sostanze tra la parte arteriolare del cap-
illare e la parte venulare: nell’interstizio l’equilibrio
dinamico dei fluidi è mantenuto proprio perché c’è
una pressione negativa di -3 mm Hg, che è mante-
nuta dalla suzione continua del capillare linfatico,
che fa una sorta di sottovuoto).
Il torace in sé potrebbe essere una
struttura tensegrile, perché
1. la colonna vertebrale è in sé una
struttura tensegrile, con zone di com-
pressione (principalmente i dischi) e
zone di tensione (i muscoli sia corti
che lunghi)
2. ha delle zone ossee e articolari di
compressione come le cartilagini e lo
sterno
3. ha delle zone che sono dei sistemi
pretensionati come per es le costole
4. ha delle zone di tensione come i le-
gamenti, i muscoli, il sistema fasciale
(le pleure, i legamenti viscerali) che
devono mantenere a livello del medi-
astino la pervietà dei grossi vasi.

201
Il torace è una struttura che è fatta per lavorare verso l’espansione, perché sia la componente ossea che quella
muscolare servono ad espandere i vari diametri (dietro c’è una cifosi, che a sua volta porta verso l’esterno)
e questo perché all’interno del torace ci sono dei visceri che devono lavorare verso l’espansione (polmoni,
cuore: se quest’ultimo venisse compresso non potrebbe neanche riempirsi, esofago: se ci fosse una compres-
sione il bolo alimentare non potrebbe passare). L’addome invece lavora al contrario, soprattutto in compres-
sione, infatti ha una lordosi che spinge verso l’avanti, ha una struttura muscolare (gli addominali, gli obliqui)
che comprime verso dentro, come una sorta di corsetto, con la loro tensione comprime le strutture addomi-
nali e inoltre nell’addome ci sono degli organi che, per la loro fisiologia, lavorano meglio in uno stato di com-
pressione: sono tutti gli organi che devono sminuzzare, disgregare, devono stare a contatto del materiale per
l’assorbimento (l’apparato digerente) o devono secernere (pancreas).

202
CALCOLI EFFETTUATI SU MANICHINI DA CRASH-TEST Ora vediamo qualcosa che riguarda la tensegrità
Pugno (boxe) = 400 kg ~ e i traumi, soprattutto l’energia meccanica che
Calcio (tae kwon do, muay thai, …) = 800-900 kg ~ passa nella fascia in una situazione traumatica.
Ginocchiata (muay thai)* = oltre 1000 kg ~ Sono stati fatti dei calcoli da cui risulta che un
*stessa forza di impatto (per unità di superficie) regis- pugno (boxe) o un calcio o una ginocchiata (arti
trata durante un incidente di auto a 56 km/h marziali) sviluppano determinati kilogrammi
per unità di superficie, kilogrammi che dovreb-
La singola parte si romperebbe, ma l’insieme delle parti, bero fratturare alcune strutture.
assemblate in un determinato modo, resiste.

Che cosa succede quando una


forza meccanica investe una
struttura del corpo? Normal-
mente si hanno due condizioni:
1. deformazione elastica >
un corpo sottoposto ad una
sollecitazione esterna acqui-
sisce energia e nel momento
in cui la sollecitazione esterna
finisce, il corpo rilascia l’energia
acquisita e ritorna allo stato di
equilibrio precedente alla sol-
lecitazione, per cui anche la
forma torna com’era prima (avevo fatto l’es del cofano
della macchina: nel momento in cui comprimo il co-
fano della macchina con la mano, il cofano acquisisce
energia, proprio nel senso che nuova energia si ridis-
tribuisce tra i vari atomi del metallo, nel momento
in cui rilascio la pressione della mia mano, l’energia
viene lentamente dissipata e il cofano ritorna nella
situazione e nella forma iniziale);
2. deformazione plastica > quando l’energia ac-
quisita da un corpo, nel modo in cui abbiamo appena
visto, rimane intrappolata nel corpo e crea una de-
formazione della forma (è un po’ come dare un colpo
troppo forte al cofano della macchina, colpo che dà
origine ad un bozzo che rimane: il bozzo è il punto in
cui parte dell’energia meccanica che ho trasferito nel cofano della macchina è rimasta intrappolata all’interno
del metallo stesso).
Quindi nella deformazione elastica c’è un’acquisizione e poi un rilascio di energia mentre nella deformazione
plastica c’è soltanto un’acquisizione di energia.
La stessa cosa avviene nei tessuti molli del corpo (ved slide sopra CALCOLI EFFETTUATI SU MANICHINI DA
CRASH-TEST). Nel momento in cui il corpo viene sottoposto a un trauma, ossia una forza meccanica che pro-
viene dall’esterno, può andare incontro a una deformazione elastica o plastica, a seconda dell’intensità del
trauma, del tempo di somministrazione della forza (più è veloce e più creerà dei problemi), della densità dei
tessuti, della loro struttura, indici questi della loro capacità di intrappolare o disperdere energia. Di solito i
tessuti ricchi di acqua, come il fegato, la milza, i reni sono quelli che assorbono maggiormente le forze mec-
caniche e che vanno quindi incontro a un trauma reale con deformazione plastica del tessuto, mentre altri
tessuti con un determinato stato di idratazione (infatti il contenuto di acqua in questi casi è fondamentale)
tendono a dissipare meglio l’energia. Alcune strutture come per es l’osso tendono ad immagazzinare energia,
ma se questa energia supera la deformazione plastica possono andare incontro a una rottura. Per es se arriva
un colpo a livello della milza si possono verificare varie possibilità:
203
1. l’energia meccanica esterna oltrepassa la resistenza delle coste, arriva alla
milza e rompe il tessuto della milza o la sua capsula > in questo caso è suc-
cesso che l’energia arrivata dall’esterno è stata eccessiva e le strutture, dopo
aver acquisito una deformazione plastica, non ce l’hanno fatta più e si sono
rotte;
2. la stessa energia meccanica esterna viene immagazzinata prima dalle cos-
tole, che acquisiscono energia fino ad un certo punto, quando non ce la fanno
più e si rompono liberando così l’energia in eccesso che in questo modo non
raggiunge la milza, che rimane integra. Alcune strutture come l’osso fungono
da fusibili, da salvavita: acquisiscono l’energia in eccesso, vanno incontro
a rottura, con la rottura si libera l’energia in eccesso e in questo modo salvano determinati organi interni;
3. altre volte questo non accade e sono gli organi stessi che possono andare incontro a deformazione plas-
tica (in questi casi si creano quelle situazioni che spesso vediamo nel nostro lavoro: tensione sui legamenti,
organi che sembrano più duri alla palpazione… questo succede perché il connettivo, la fascia di quella zona
ha immagazzinato l’energia) o a rot-
tura (in questi casi diventa un prob-
lema medico). Il flusso meccanico di
un trauma passa attraverso i tessuti in
base alla consistenza e alle proprietà
del tessuto stesso.

Anche l’energia chimica provoca aumento di tensione L’altra volta avevamo detto che nella matrice ex-
a livello della membrana cellulare. tracellulare possono essere contenute alcune
Le fibre contrattili presenti nella porzione endocellu- sostanze tossiche o sostanze di altro tipo: esse
lare periferica aumentano la tensione così come al- in pratica rappresentano un’energia chimica. Se
cune parti del citoscheletro. una cellula viene immersa in un ambiente chimico
Lo scopo è quello di diminuire la comunicazione tra non adeguato, aumenta il suo livello di tensione,
ambiente interno ed esterno modificando la permea- perché reagisce all’ambiente tossico esterno cer-
bilità della membrana. cando di chiudere tutte le possibilità di comunica-
zione tra l’interno e l’esterno della cellula.
Aumentando la tensione del citoscheletro, aumenta la tensione della membrana citoplasmatica con la con-
seguenza che anche i pori e i canali vengano chiusi o riducano la loro attività; dovete immaginare che una
cellula immersa in un ambiente tossico che non voglia più avere scambi con l’esterno: questo è poi quello che
crea in molti organi la sensazione di duro, quando quest’organo è in uno stato disfunzionale/tossico. Se trovate
per es un fegato duro non dovete pensare solo a ad una congestione di tipo venoso, che fa sì che l’organo
sia pieno di sangue, ma anche al fatto che gli epatociti siano in uno stato di tensione maggiore rispetto alla
norma, per una cattiva situazione chimica o biochimica della matrice extracellulare dell’organo.
Domanda 1: meridiani e cilindri di Heine
Risposta: immaginate i cilindri di Heine nella matrice ex-

A tracellulare. Essi creano dei punti di passaggio per le mole-


cole, per esempio una molecola X che passa attraverso A,
poi attraverso B, C, e D… Dopo che la molecola è passata

B attraverso A, A viene distrutto. Poi si forma B, la molecola


ci passa attraverso e poi B viene distrutto e così via. Al-
cuni ricercatori hanno ipotizzato che questo sistema di

C trasporto di sostanze sia quello che avviene sui meridiani


della medicina cinese, ossia che i cilindri corrispondano
ai meridiani, perché il meridiano della medicina cinese
D non è una struttura evidenziabile a livello microscopico.
L’unico punto che avevamo visto a livello del connettivo
era una sorta di tripode formato da un’arteria, una vena
e un nervo che corrispondono per l’80% ai punti dell’agopuntura. Però tra i vari punti non ci sono delle strut-
ture anatomiche ben definite e così qualcuno ha ipotizzato che il sistema del trasporto di sostanze di Heine
tra una zona e l’altra sia quello che poi accadde nel connettivo e che visualizza in qualche modo i meridiani.
204
Però è una teoria non è niente di stabilito, anche se hanno visto che iniettando dei radioisotopi sui pun-
ti dell’agopuntura, questi tendono a prendere delle strade nel connettivo che corrispondono ai meridiani.
Quando ci sono dei meridiani in disfunzione la consistenza del tessuto connettivo cambia ed è palpabile.
Potete fare voi stessi delle prove con una mappa dei meridiani del corpo. Sappiate per es che nella zona
dell’epicondilite ci passa il meridiano del polmone, che ha un determinato tragitto: spesso trovate delle
disfunzioni osteopatiche sul tracciato del meridiano e la fascia su quel tracciato è proprio diversa, c’è un ad-
densamento e minore mobilità, e trovate anche delle disfunzioni osteopatiche sulle articolazioni attraversate
dal meridiano
Domanda 2: i cilindri di Heine sono extracellulari?
Risposta: sì
Domanda 3: la teoria gel-sol è simile alla teoria dei cristalli liquidi?
Risposta: sì, c’è una corrispondenza. Però la teoria gel-sol serve per spiegare la sensazione di duro che sen-
tiamo talvolta alla palpazione, mentre la teoria dei cristalli liquidi spiega la possibilità di un passaggio di in-
formazioni, di uno scambio di molecole/fluidi nella matrice extracellulare, per cui cambiando la consistenza
o la fase liquida e cristallina migliora la comunicazione ad es tra cellule o il passaggio di sostanze dal capillare
alla cellula. Certo però che se cambiamo la fase tra liquido e cristallino vuol dire che va più verso il gel o verso
il sol.

Test dei sistemi o test degli appoggi


Ora vi introduco un test che poi riprenderemo la prossima volta. È un test che si fa in varie fasi. È un test che
non è una porta d’ingresso ma, come tanti altri, dà alcune informazioni che vi possono essere utili per indi-
viduare quale può essere la sfera di maggior interesse, la sfera alterata (viscerale, cranio-sacrale, strutturale)
in quel momento nel vostro Pz. Si chiama test dei sistemi o test degli appoggi. Si fa in varie fasi: una di osser-
vazione e un’altra di test pratico.
1.La prima fase è l’osservazione del Pz, in cui si deve definire lo schema generale del Pz. Lo schema gen-
erale Pz si può osservare in tanti modi ma noi ne consideriamo solo uno: vedere il Pz sul profilo sagittale
in riferimento alla linea di gravità, che passa da 4 punti: trago, acromion, trocantere e poco davanti al
malleolo esterno. Quindi dovete vedere l’allineamento del corpo rispetto a questa linea definita da 4 punti.
Come guardate il Pz per visualiz- Nel momento in cui
zare la linea? Dovete partire dal ho due punti vicini
basso (davanti al malleolo es- posteriori (per es
terno) e poi andare verso l’alto, trago e acromion
perché il punto d’appoggio è il o acromion e tro-
piede. La persona in piedi ha delle cantere) alla linea
oscillazioni e la linea di gravità, che di gravità e poi uno
di solito viene descritta dall’alto allineato e il quarto
verso il basso, in realtà parte dal davanti, definirò lo
punto di contatto del piede con il schema di questo
terreno e poi va in alto all’infinito. Pz globalmente
Non si tratta dell’allineamento posteriore.
di un punto rispetto all’altro, ma
dell’allineamento dei quattro punti
rispetto alla linea di gravità.

205
Se i due punti Se invece il Pz appare spezzato e non ci sono mai due
vicini sono punti vicini allineati, avrò uno schema misto.
anteriori lo
schema sarà Lo schema generale del Pz è uguale a dx e a sin.
globalmente Ci possono essere delle piccole differenze dovute
anteriore. alle rotazione. Guardare il lato dx e confrontarlo con
il sin fa parte di un altro tipo di osservazione, un al-
tro livello, che non interessa in questo test. Se un Pz è
globalmente anteriore a dx, sarà globalmente anteri-
ore anche a sin. Che ci fate con uno schema anteriore
dx e posteriore sin? In questo caso o è presente una
scoliosi o altre deformità, ma comunque è un’altra
cosa, non si può parlare di schema generale.

Vi potete confondere se, nel valutare lo schema del Pz, partite dall’alto anziché dal basso.
Bonetti fa un es: così (immagine accanto) sembro anteriore (se partite dall’alto) ma in
realtà sono posteriore, perché acromion e trocantere sono post e sono due punti conti-
gui. Gli schemi globali possibili sono 3 > ant (viscerale), post (strutturale) e misto (cranio-
sacrale).
Dopo aver osservato il Pz immagino una tabella con tre sezioni: viscerale (=ant), struttur-
ale (=post) e misto (=duramerico, cranio-sacrale).
Se nel mio Pz riscontrato uno schema globalmente anteriore, metto una crocetta in corri-
spondenza di viscerale.

2. Osservo il Pz in piedi, di Se per es un Pz ha uno schema globale


spalle, nel suo appoggio anteriore e carica maggiormente sull’arto
naturale e vedo su quale inferiore dx, qual è la posizione coerente
dei suoi arti inferiori? Un arto inferiore dx
arto inferiore carica di
più in avanti del sin (quindi in flessione)
più. Si possono toccare le e in rotazione esterna, perché la F d’anca
cosce per sentire la contrazi- e la RE conferisce una base d’appoggio
one muscolare della gamba migliore (siamo partiti da un Pz con sche-
con maggior peso. ma globale anteriore che carica mag-
Osservo come è posizionato giormente a dx).
l’arto in appoggio.
schema globale ANT
arto inf in carico: F + RE

206
Al contrario una F Anche con una E
d’anca con RI non d’anca e una RE il Pz
sarebbe coerente con cadrebbe, quindi l’E
lo schema globale del d’anca non sarebbe
Pz, perché lo farebbe coerente con il suo
cadere. schema.

RI incoerente E incoerente con


con schema schema globale
globale ANT ANT

Se l’arto inferiore su cui Pz carica è coerente con il suo schema globale, metto un’altra crocetta in corrispon-
denza di viscerale. Se invece l’arto inferiore non è coerente metto una crocetta in corrispondenza di struttur-
ale.
schema globale ANT e
appoggio coerente

schema globale ANT


o POST e appoggio
incoerente

Facciamo ora il caso di un Pz con uno schema globale posteriore. In questo caso l’appoggio coerente è l’arto
inferiore in carico, in estensione e rotazione interna. Tutti gli altri tipi di appoggio non sarebbero confortevoli
per il Pz, sarebbero degli appoggi incoerenti rispetto allo schema globale. Quindi se ho trovato con un Pz con
schema globale posteriore, metto una freccia in corrispondenza di strutturale. Se ha un approccio coerente
metto una seconda X in corrispondenza di strutturale.
schema globale ANT e
appoggio coerente

Se invece l’appoggio è incoerente, metto una X in corrispondenza di viscerale.


Se invece trova uno schema globale visto, non faccio il test degli appoggi, ma passo direttamente alla terza
207
fase.
Ricapitolando: il test dei sistemi si compone di tre parti
1. schema globale del Pz
2. appoggio coerente/incoerente
3. terza parte, con due possibilità
3. Prima possibilità: test dell’asse aponeurotico centrale (AAC)
Seconda possibilità: test sulle compressioni che vediamo ora
In base al risultato della terza parte del test aggiungerò un’altra X alla mia tabella. Per esempio il test dell’asse
aponeurotico centrale aiuta a discriminare un problema sulla sfera strutturale o viscerale oppure cranio-
sacrale. Alla fine dovrò interpretare i risultati della mia tabella.

Interpretazione della tabella


1. Se ho 3 + in corrispondenza di viscerale (un + per lo schema anteriore, un altr per l’appoggio coerente in F
e RE e un terzo + perché è uscito viscerale con il test sull’asse aponeurotico centrale_AAC)
so che il Pz probabilmente
in quel momento ha un
problema principalmente
di tipo viscerale.

2. Stessa cosa se ho 3 + in corrispondenza di strutturale (= schema posteriore, appoggio coerente in esten-


sione e rotazione interna, esito strutturale al test sull’AAC).
Il Pz probabilmente in quel
momento ha un problema
strutturale.

3. Se ho un Pz con uno schema misto, non ho fatto il test degli appoggi, quindi avrò solo 2 + (= schema misto,
esito cranio-sacrale al test sull’AAC).
Andrò a controllare so-
prattutto il sistema cranio-
sacrale.

4. Se ho una situazione mista con due + sul viscerale e un + su strutturale: schema anteriore, appoggio inco-
erente, esito viscerale al test sull’AAC, andrò a controllare quelle strutture che mi collegano due visceri
(= epiploon, legamenti tra
due visceri, un’aderenza
tra pleura e pericardio op-
pure l’accollamento di due
anse intestinali).
5. Se ho una situazione mista con un + su viscerale e un + su strutturale: schema posteriore, appoggio incoer-
ente, esito strutturale al test sull’AAC, andrò a vedere quel tessuto/struttura che mi collega il viscere alla
struttura, intesa come pa-
reti/parti esterne (= mesi,
legamenti, per es il lega-
mento vertebro-pericardi-
co o sterno-pericardico, il
mesentere).
6. Poi posso avere una situazione in cui ho trovato uno schema misto (un +) e un esito viscerale al test sull’AAC
(un’altra X).
Andrò a vedere principal-
mente il sistema neuroveg-
etativo (SNV).

7. Se trovo schema misto e struttura,


208
vado a vedere le meningi,
che rappresentano il colle-
gamento tra cranio-sacrale
e strutturale.

8. Nell’ultimo caso Bonetti ha messo delle + dappertutto, per indicare un gran casino, non si capisce con
questo test che cosa abbia il Pz, oppure si è trovata una positività ovunque. È comunque un’indicazione di una
compromissione dei gran-
di sistemi del Pz: asse en-
docrino, AAC, distonia neu-
rovegetativa, ossia tutti i
sistemi che agiscono sulla
globalità del Pz sono messi in disfunzione da qualcosa. Però di solito è difficile che capiti questa situazione.

Facciamo un es con 2. gli appoggi >


Alessandro appoggia di più
1. schema globale sull’arto inferiore
anteriore, nonostante dx, che si presen-
ci sia una rotazione ta in F e RE quindi
delle spalle (un + su è coerente (un al-
viscerale) tro + su viscerale)

3. test dell’AAC oppure il test di Per verificare ulteriormente la posi-


compressione tività duramerica, l’osteopata può
chiedere al Pz, dopo aver creato una
Test di compressione leggera compressione in verticale,
Pz in piedi, l’Osteopata mette una di allungarsi. I Pz con una tensione
mano su vertex, crea una leggera della dura madre provano a muo-
compressione verticale e sente dove versi, però non riescono ad allungarsi
il Pz tende a spostarsi: Alessandro veramente e la mano dell’Osteopata
tende a venire un po’ in avanti, quin- rimane sempre alla stessa altezza. I
di in questo caso metto un terzo + 3+ che risultano dal test dei sistemi
in corrispondenza di viscerale. Nel nel caso di Alessandro significano
caso in cui Alessandro fosse rimasto che in questo momento il sistema più
impiantato, senza andare né avanti in disfunzione è quello viscerale, però
né indietro, sarebbe stato positivo il facendo altri test posso anche trovare
cranio-sacrale. una positività su strutturale per es
(delle vertebre…).
Se in Alessandro trovassi delle vertebre positive e facessi un test di inibizione, vincerebbe il viscere per cui
dovrei poi lavorare il sistema viscerale.
Come tutti i test anche in questo ci sono delle probabilità di invalidità, ma Bonetti assicura che nella sua es-
perienza lo trova utile.

209
sem 3

Sistema linfatico (commento del file ppt Sistema Linfatico)


Negli anni passati questo sistema veniva introdotto nelle lezioni di neurovegetativo, però siccome secondo
me il sistema linfatico è una “fascia”, perché è un tessuto connettivo come il sangue, è meglio introdurlo da un
punto di vista fasciale che neurovegetativo, anche se vedremo che il trattamento è un’integrazione dei due
ambienti. Il sistema linfatico prende la linfa dalla matrice extracellulare (= la fascia) e viene poi comandato dal
sistema neurovegetativo.

Le funzioni principali del sistema linfatico sono tre (slide 2):


1. depurazione dell’organismo (trasporto del metabolismo)
2. trasporto elementi della digestione
3. ruolo immunitario
Riguardo al punto 1) possiamo dire che quando una cellula attiva i processi metabolici elimina degli scarti,
che vanno a finire nella matrice extracellulare (negli spazi interstiziali). Negli spazi interstiziali arrivano diverse
strutture: strutture nervose come gli assoni ortosimpatici, i capillari arteriosi e venosi, i vasi linfatici che ciuc-
ciano dalla matrice extracellulare gli scarti del metabolismo cellulare, ossia i cataboliti della cellula. Inoltre,
dato che nella fascia avvengono i processi infiammatori e hanno inizio i processi immunitari, il sistema linfati-
co si occupa di aggredire i batteri* con cellule specifiche come i macrofagi o i mastociti (il batterio aggredito si
rompe e libera delle sostanze, che oltre a mantenere il processo immunitario, richiamano altri globuli bianchi
dal torrente sanguigno, altri linfociti del sistema immunitario) e di portar via i detriti liberati dai batteri, oltre a
resti di mastociti o macrofagi.
* Per es se un batterio che sta nel sangue esce dal torrente sanguigno per aggredire una cellula, deve passare
per la matrice extracellulare.
Riguardo al punto 2) dobbiamo ricordare che il sistema linfatico dell’intestino trasporta elementi della diges-
tione (l’intestino tenue è ricco di vasi/strutture linfatiche, perché il tenue deve adempiere all’assorbimento e
molte macromolecole come per es i lipidi, vengono portate via dal sistema linfatico e non attraverso il sistema
venoso).
Riguardo al punto 3) ricordate che i detriti presenti nella matrice extracellulare (detriti che derivano da una
prima aggressione sui batteri da parte dei macrofagi, dei linfociti e dei mastociti) vengono ciucciati via dal
sistema linfatico, arrivano nei linfonodi, dove vengono aggrediti nuovamente dai linfociti che stanno lì: ecco
perché alle volte i linfonodi si ingrossano (perché c’è una reazione immunitaria da qualche parte nel corpo
e nei linfonodi arrivano tutte le sostanze, tra cui per es gli antigeni, che devono essere aggredite dal sistema
immunitario).

La linfa (slide 3)
Si forma nella M.E.C. (=Matrice Extra Cellulare)
Si differenzia in base al tessuto da quale nasce (in tal caso si chiama istolinfa). L’istolinfa è la linfa che si genera
in un determinato tessuto, per es dagli epatociti nel fegato o dal connettivo oppure dal tessuto muscolare.
La linfa è costituita da diversi elementi (il cosiddetto carico di pertinenza linfatica):
- plasmaproteine (carico albuminoideo) = lipoproteine, ormoni, enzimi, … legati a proteine
- liquidi (carico idrico) = sono i liquidi interstiziali
- cellule non intrinsecamente mobili (carico cellulare) = sono delle cellule che hanno abbandonato il loro
gruppo di appartenenza, di solito sono cellule cancerogene che si sono staccate e sono state portate via dal
sistema linfatico (eritrociti, cellule morte, cellule che hanno lasciato il loro gruppo cellulare, macrofagi con il
contenuto fagocitato); già da questo si capisce che quando c’è un ingrossamento dei linfonodi, soprattutto
quando i linfonodi sono molto dolorosi e fissi, dovete pensare a due cose: infezione e tumore. Se in alcune
aree del corpo come per es i cavi (cavo popliteo, cavo ascellare…) trovate dei linfonodi ingrossati, dolorosi e
fissi dovete pensare subito (in generale) o a un’infezione o a qualcosa di più grave, e poi distinguere.
- Elementi estranei (carico corpuscolato) = elementi corpuscolati come fuliggine, polvere, batteri, … Da dove
arrivano fuliggine e polvere? Dalle vie aeree, dal polmone, infatti il polmone è ricco di linfatici, perché oltre a
essere un organo emuntore è un organo immunitario, come l’intestino e soprattutto il tenue. Infatti polmone
e intestino sono le prime porte d’ingresso all’interno dell’organismo e oltretutto sono delle porte d’ingresso
estremamente sottili. Pensate per es allo spazio sottile tra alveolo e vasi sanguigni oppure alla barriera intesti-
210
nale nel villo e microvillo: in entrambi i casi si tratta di uno strato, uno strato e mezzo di cellule; ecco perché lì
ci deve essere un sistema immunitario molto rappresentato. Ricordatevi di questo perché nella vostra visione
osteopatica dovete fare anche una relazione tra sistemi e tra organi. Il lavoro che fate sui visceri non si limita
a risolvere un banale mal di pancia, ma dovete fare una sintesi sul Pz e riconoscere alcuni processi fisiologici,
che molto spesso integrano più sistemi e più organi tra loro. Se avete un Pz con un dolore dorsale sulla colon-
na, che soffre di gastrite, è anemico e sul quale trovate una positività sull’intestino, come mettete in relazione
il tenue con lo stomaco, con il mal di schiena e con l’anemia? Dalle vertebre dorsali parte l’innervazione per lo
stomaco (1° collegamento). L’intestino si può collegare con l’anemia per un problema di male assorbimento
del ferro (2° collegamento). L’intestino si può collegare con lo stomaco perché nello stomaco avviene la ioniz-
zazione del ferro (3° collegamento), perché l’acidità dello stomaco serve a ionizzare il ferro che viene ingerito
con l’alimentazione, altrimenti il ferro non può essere assorbito dal tenue. Il ferro assunto con l’alimentazione
viene degradato/ionizzato dall’acidità dello stomaco e assorbito dagli enterociti del tenue. Quindi quando
trovate un Pz con questi sintomi non dovete limitarvi a trattare soltanto la colonna dorsale e lo stomaco,
ma dovete mettere in relazione stomaco e intestino tenue dato che all’anamnesi il Pz riferisce di soffrire di
anemia. Se vogliamo lavorare sulla globalità dobbiamo mettere anche in relazione dei sistemi. Il sistema linfa-
tico è una delle grandi circolazioni che fanno parte delle quattro circolazioni principali del corpo (sanguigna,
linfatica, dei liquidi interstiziali, del liquido cefalo-rachidiano). Queste quattro circolazioni sono anatomica-
mente comunicanti (in alcuni punti), per cui un batterio che entra nel sistema linfatico può passare poi nel
liquor, ovviamente dopo aver passato determinate barriere. Queste quattro circolazioni mettono in relazione
non solo diverse aree del corpo ma anche funzioni viscerali differenti.
- Acidi grassi a catena lunga (carico adiposo) = soprattutto nell’intestino attraverso la chimolinfa. Gli acidi a
catena corta vengono riassorbiti a livello intestinale e prendono la via della vena porta.
Inoltre la linfa contiene fibrinogeno e in alcune condizioni può coagulare. In alcune condizioni patologiche la
linfa può coagulare oppure aumentare la sua viscosità e quindi diminuire le capacità di circolazione all’interno
del sistema linfatico.
Esiste anche la prelinfa, che è la linfa che non è ancora entrata nei vasi linfatici e quindi si trova nella matrice
extracellulare. Inoltre ci sono alcuni organi come il rene e il sistema nervoso che non hanno vasi linfatici, per
cui tutti i cataboliti che vengono prodotti all’interno di questi tessuti vengono eliminati attraverso il sistema
degli spazi perivascolari di Virchow-Robin.

La prelinfa (slide 5)
costituisce il carico di pertinenza linfatica nel momento in cui si trova ancora nel tessuto e non è ancora nelle
vie linfatiche.
Lo spazio perivascolare di Virchow-Robin rappresenta la più comune vie di trasporto prelinfatica. È molto
rappresentato nel sistema nervoso centrale ed in alcuni organi.

2. cellule di un sup-
porto di vario tipo
come per esempio
gli astrociti, oligo-
dendrociti…e la
MEC

1. capillare arterioso cellula nervosa

211
3. il capillare arte-
rioso è avvolto da
una membrana che
è costituita da un
tessuto sottopiale
(= sta sotto la pia)
dove circola la linfa

4. il tessuto sottopiale è fenestrato

Le sostanze di scarico entrano attraverso le finestre del tessuto sottopiale in una specie di intercapedine, che
si crea tra la parete endoteliale del vaso arterioso e la membrana del tessuto sottopiale circostante. È un po’
come un tubo dentro un tubo. La circolazione della linfa è garantita dalla contrazione ritmica delle arteriole.
Questa però non è la barriera ematoencefalica. La barriera ematoencefalica è costituita da cellule, soprattutto
astrociti, che hanno un prolungamento verso il neurone e un altro verso il vaso sanguigno e che svolgono
una funzione di passaggio, di transito. Al contrario la lamina basale, che sta intorno ai vasi, chiude meccanica-
mente il passaggio di sostanze che possono fuoriuscire dal capillare. In alcuni punti non c’è la barriera emato-
encefalica e lì, attraverso lo spazio perivascolare di Virchow-Robin, la linfa passa dentro il capillare arterioso.
La stessa cosa si verifica nel rene per cui tutti i cataboliti del nefrone vengono portati via con questo sistema.
In caso di disfunzione del sistema linfatico nello spazio perivascolare di Virchow-Robin o nella matrice extra-
cellulare si può avere un linfedema.

Depurazione dell’organismo (slide 6)


La circolazione linfatica è una delle più estese del corpo, oltre che la circolazione linfatica propriamente detta
comprende anche il liquido interstiziale (tutti i liquidi che stanno nell’interstizio) da cui verrà costituita la
linfa attraverso i processi che portano all’equilibrio di Starling (vedi M.E.C.).
I rifiuti del metabolismo vengono trasportati nella circolazione sistemica e poi eliminati tramite gli organi
emuntori primari (fegato, polmone, rene) e secondari (intestino, pelle).
La circolazione linfatica insieme a quella sanguigna e del liquor costituiscono quello che Stil chiamava il libe-
ro scambio dei fluidi, che è una situazione fisiologica che serve a mantenere l’omeostasi dei tessuti a tutti i
livelli (vedremo a questo proposito l’equilibrio Starling).
Ricordate che anche il capillare venoso porta via dalla matrice extracellulare i rifiuti e gli elementi di scarto del
212
metabolismo, elementi che vengono poi eliminati dagli organi emuntori primari (i filtri primari) e secondari.

Equilibrio di Starling (slide 7)


Scambio capillare zona arteriolare
Forze verso l’esterno: Forze verso l’interno:
Pressione capillare 30 mm Hg Pressione oncotica del plasma 28 mm Hg
Pressione liquido interstiziale (negativa) 3
Pressione oncotica interstizio 8
------------
41 mm Hg
Forza totale verso l’esterno (41 – 28) = 13 mm Hg
Nella matrice extracellulare abbiamo il capillare arterioso e la cellula. Nel capillare arterioso ci sono delle
sostanze che sono facilitate ad uscire fuori per andare verso la cellula e al contrario i rifiuti della cellula devono
essere facilitati ad andare verso il capillare venoso per essere allontanati. Nella zona arteriosa ho le seguenti
forze che portano verso l’esterno, fanno uscire dal capillare le sostanze nutritive:
1. la pressione idrostatica all’interno del capillare (le sostanze passano per la trasudazione)
2. la pressione negativa del liquido interstiziale (mantenuta dal sistema linfatico che aspira continuamente gli
scarti presenti nella MEC creando così una sorta di sottovuoto, una depressione), che quindi aumenta le pos-
sibilità di far uscire sostanze dalla circolazione sanguigna verso l’interstizio
3. la pressione oncotica dell’interstizio dovuta alle proteine presenti nell’interstizio, che tendono a richiamare
sostanze dal capillare verso la matrice extracellulare.
A queste forze si oppone un’altra forza: la pressione oncotica del plasma, determinata dalle proteine presenti
nel sangue che tendono a richiamare verso il capillare sostanze presenti nella MEC.
È una sorta di tira e molla tra dentro e fuori, però nella parte arteriosa del capillare vincono le forze che dal
capillare portano verso l’esterno, per cui il materiale tende a fuoriuscire.

Zona venulare (slide 8)


Forze verso l’interno: Forze verso l’esterno:
Pressione oncotica plasmatica 28 mm Hg Pressione capillare 10 mm Hg
Pressione liquido interstiziale (negativa) 3
Pressione oncotica liquido interstiziale 8
------------
21 mm Hg
Forza totale verso l’interno (28 – 21) = 7 mm Hg

Nella parte venosa del capillare succede invece il contrario. C’è la seguente forza che tende a far rientrare il
materiale nella circolazione sanguigna:
la pressione oncotica del sangue, ossia le proteine che richiamano materiale
Tale forza è contrastata dalle seguenti forze che tendono a trattenere queste sostanze nell’interstizio:
1. la pressione del capillare venoso, che impedisce alle sostanze di entrare facilmente
2. la pressione negativa del liquido interstiziale
3. la pressione oncotica del liquido interstiziale
Tra questi due tipi di forze vince tuttavia quella che porta le sostanze all’interno del capillare venoso, sostanze
che poi vengono portate via.

213
Forze pressorie medie lungo tutto il capillare (arterioso e venoso). Equilibrio di Starling. (slide 9)
Forze media verso l’interno: Forze media verso l’esterno:
Pressione oncotica del plasma 28 mm Hg Pressione capillare media 17,3 mm Hg
Pressione interstiziale (negativa) 3
Pressione oncotica liquido interstiziale 8
------------
28,3 mm Hg
Forze media verso l’esterno (28,3 – 28,0) = 0,3 mm Hg
Questo provoca una fuoriuscita netta dal capillare di liquidi con 0,3 mm Hg. I liquidi in eccesso sono eliminati
dal sistema linfatico.
Esistono molte variazioni in base al tessuto (cervello, muscolo, fegato, reni, …).

Quando si fa una media delle varie pressioni venose e arteriose, interne ed esterne (e questo è l’equilibrio
di Starling) vince una forza media di 0,3 mm Hg che tende a portare verso l’esterno le sostanze. Quindi nella
circolazione capillare arteriosa c’è sempre materiale che tende ad uscire dal capillare e a rimanere all’interno
della MEC (è una condizione fisiologica), da cui tuttavia viene rimosso grazie all’aspirazione continua dei cap-
illari linfatici, che quindi mantengono una situazione di equilibrio. I capillari linfatici sono un po’ come le
pompe di sentina delle navi: le navi imbarcano sempre acqua e ci sono navi che hanno le pompe di sentina
(che aspirano gli imbarchi di acqua) sempre attive.
Se però la pressione dell’interstizio, che dovrebbe es- Slide 10
sere di -3 mm Hg, si avvicina, per diversi motivi (pro- Il sistema linfatico mantiene lo stato di pressioni
cessi infiammatori, aumento della pressione capillare, rimuovendo il liquido in eccesso (2-3 litri al dì).
tensione fasciale meccanica che si ripercuote nella Elimina gli elementi proteici in eccesso, i grassi,
matrice extracellulare), a 0 mm Hg, ossia una pres- cataboliti, grosse particelle come i batteri, …
sione uguale a quella atmosferica, il flusso linfatico Se la pressione dell’interstizio si avvicina a 0 mm Hg
incrementa fino a 20 volte, per aspirare ancora di più il flusso linfatico incrementa fino a 20 volte.
e cercare di mantenere un equilibrio.

Però se la pressione dell’interstizio aumenta ul- Slide 11


teriormente sino a + 2 mm Hg rispetto a quella Tra le possibili cause:
atmosferica il sistema linfatico collassa, smette aumento pressione capillare
di funzionare e lì si crea il linfedema, perché dal aumento proteico nell’interstizio (MEC)
capillare arterioso continuano ad uscire sostan- aumento permeabilità dei capillari (infiammazione, …).
ze che non vengono più drenate dal capillare riduzione della pressione oncotica del plasma.
linfatico Se la pressione dell’interstizio aumenta oltre a + 2 mm
Hg il flusso linfatico non può più aumentare. La pres-
sione tra l’esterno e l’interno del capillare linfatico si
compensano. Il capillare linfatico viene compresso dalla
pressione esterna.

Inoltre la linfa trasporta gli elementi della diges- Trasporto degli elementi della digestione (Slide 12)
tione, soprattutto quelli che vengono dai pro- Soprattutto la linfa proveniente dall’intestino tenue, e
cessi di assorbimento del tenue (qui si forma la poco dall’intestino crasso, (chilo-linfa) è ricca di macro-
chilolinfa del tenue o istolinfa del tenue). proteine e chilomicroni (goccioline di grasso).
La sua circolazione è lenta 2 lt al giorno, ma se stimolata
può aumentare molto.

214
La linfa ha un ruolo immunitario Ruolo immunitario (Slide 13)
perché trasporta: Trasporto di linfociti.
linfociti Trasporto di antigeni.
antigeni (li trasporta per poi aggredirli I linfociti presenti nel sangue, nella linfa, nel connettivo, negli
sia nei linfonodi sia per gettarli poi nel epiteli. Si aggregano alle plasmacellule in ammassi presenti
flusso sanguigno dove vengono filtrati nel connettivo lasso della tonaca propria del tratto digerente e
dagli organi emuntori: fegato, milza…) respiratorio. E si aggregano tra loro nel timo, nei linfonodi, nelle
tonsille, nella milza (polpa bianca).
Il sistema linfatico (trasportatore di linfa) contribuisce alla for-
mazione del tessuto linfatico (produzione e differenziazione dei
linfociti, insieme al midollo osseo).
Il sistema linfatico inizia con un capillare a fondo
Anatomia del sistema linfatico (Slide 14)
cieco a livello della MEC, dove il capillare aspira
Il sistema inizia a fondo cieco nel tessuto.
vari materiali. Li aspira perché il capillare linfatico
Il linfangione è l’unità funzionale delle vie linfatiche.
è costituito da unità funzionali che si chiamano
linfangioni, dove ci sono delle cellule endoteliali piatte e sovrapposte, come le tegole di un tetto, che for-
mano il diametro del capillare e costituiscono quindi il tubo capillare. I linfangioni si comportano come dei
capillari, almeno fino a un certo calibro, ossia fino alle arteriole e ai metacapillari. Infatti i capillari non hanno fi-
bre muscolari lisce, invece i metacapillari sì, perché a livello del metacapillare è necessaria la contrazione della
muscolatura liscia presente nella parete del vaso. Lo stesso avviene nei vasi linfatici dove a partire da un certo
livello sono presenti fibre muscolari lisce, la cui contrazione determina la forza di aspirazione all’interno del
capillare linfatico, come avviene per un’arteriola o un vaso sanguigno. Lungo il vaso linfatico ci sono diverse
valvole che servono a non far tornare indietro il flusso e tra una valvola e l’altra ci sono i linfangioni, ossia le
unità funzionali del sistema linfatico.

Tutti i linfangioni allineati formano la via linfatica, le Slide 15


stazioni intermedie sono i linfonodi, nei linfonodi ci Più linfangioni allineati formano la via linfatica.
sono i linfociti. I linfonodi sono delle stazioni linfono- Arrivano a stazioni intermedie (linfonodi) da cui si
dali da cui partono delle diramazioni. dipartono 1 o 2 vie linfatiche.

vena giugulare dx vena giugulare sin


Slide 16
Le vie linfatiche sono formate da: dotto linfatico dx dotto toracico
capillari linfatici (che poi im-
vena succlavia dx
mettono nei vasi)
vasi linfatici (vari calibri, che
gettano in uno dei due dotti) vena succlavia sin
vena cava sup
dotti linfatici dx e sin.
Il dx si immette nella succlavia
linfa
dx e drena il quadrante superi-
ore dx del corpo.
Il sin (anche chiamato dotto to-
racico) si immette nella succla-
via sin e drena il resto del corpo.

215
I dotti hanno territori di competenza diversi:
il dotto linfatico sin (o toracico) drena tutta la parte sinistra del cor-
po, la parte inferiore dell’addome e gli arti inferiori. Forma la cisterna
chyli o dotto di Pequet, poi va su nel mediastino e si getta nell’ a.
succlavia di sin.
il dotto infatico dx drena una parte della testa a dx ma soprattutto il
torace dx, una parte del fegato e l’arto superiore dx. È molto corto e
si getta direttamente nell’ a. succlavia di dx.
Questo vi dice che una disfunzione di clavicola può interferire con
l’attività di scarico del sistema linfatico a questo livello. Dovete pen-
sare a: mm. scaleni, K1-K2, C7-D1, clavicola, fasce del triangolo sovra
clavicolare…. dovete sempre vedere l’anatomia in chiave osteopatica
e fare le relazioni tra la struttura e le funzioni.

Esiste una via linfatica superficiale presente nel Slide 18


sottocute e nelle fasce del sottocute più super- Esiste una via linfatica superficiale contenuta nel sot-
ficiali ed esiste una via linfatica profonda che è tocute. Ed una profonda che porta agli aggregati lin-
quella che si vede nei disegni del Netter, con i lin- fonodali ed è in prossimità di arterie e vene.
fonodi toracici, addominali…. Il cuore, ma soprattutto la contrazione della musco-
La via superficiale getta in quella profonda, dove latura striata e liscia sono i fattori che fanno circolare
viene raccolto tutto e poi gettato nel sangue at- la linfa.
traverso le arterie succlavie. La circolazione lin- Questo grazie agli ancoraggi delle vie linfatiche con
fatica superficiale è quella su cui lavora l’estetista la matrice extracellulare.
quando fa il massaggio linfatico.
La progressione del flusso all’interno dei vasi linfatici
avviene sia grazie alla contrazione della muscolatura
striata, che svolge una funzione di pompa (così come
succede per il sistema venoso), sia grazie all’attività di
pompa della muscolatura liscia (pensate ai vasi linfatici
presenti nel tubo digerente, dove la peristalsi promu-
ove il drenaggio linfatico del tubo digerente oppure
alla pompa cardiaca e al drenaggio dei linfonodi me-
diastinici oppure all’attività polmonare….) insomma
sono coinvolti tutti i ritmi intrinseci e quindi ovvia-
mente anche l’impulso ritmico craniale, che agisce sul
sistema linfatico del sistema nervoso centrale grazie
alle fasce e alle membrane di tensione reciproca.
Vedremo che ci sono delle cefalee linfatiche. Se ho un Pz con questo problema dovrò trattare le disfunzioni
del cranio. Se ho un paziente con problemi di memorizzazione, concentrazione, che fa fatica a trovare i ter-
mini, che non si ricorda le cose… possiamo ipotizzare un problema di intossicazione del tessuto nervoso
perché magari il sistema degli spazi perivascolari di Virchow-Robin non funziona o funziona male e quindi
dobbiamo trattare il cranio per migliorare il drenaggio linfatico e la funzionalità del tessuto nervoso e quindi
del neurone.
Tutto questo avviene grazie alle fasce perché il vaso linfatico si apre e si chiude, ossia apre e chiude le fenestra-
216
ture tra una cellula endoteliale e l’altra attraverso la tensione presente nella MEC, ossia nel tessuto connettivo
intorno, perché le cellule (come abbiamo visto nelle lezioni precedenti) hanno un collegamento diretto con
la matrice extracellulare, per cui tirando la fascia si aprono le finestrature del sistema linfatico e questo per-
mette l’ingresso di materiali nel circolo linfatico. Questo succede quando per esempio lavorate la membrana
Interossea oppure la membrana tra ulna e radio oppure una fascia dell’addome, state favorendo il drenaggio
linfatico per questo motivo puramente meccanico che abbiamo appena visto.

Anche i vasi linfatici hanno una vasomotric-


Slide 20
ità che è molto simile vasomotricità arteriosa. I
Motricità dei vasi linfatici
fatti di vasi linfatici sono presenti fibre muscolari
Nei vasi più sono presenti cellule muscolari lisce e ter-
lisce terminazioni nervose che sono collegate al
minazioni nervose (terminazioni libere, di Pacini, …)
SNV. Il sistema neurovegetativo che comanda la
collegate al SNV.
vasomotricità dei falsi linfatici è l’ortosimpatico
Esiste una pulsazione autoctona di 5-10 cicli minuto.
come avviene per i vasi sanguigni. Infatti dopo
È anche su base meccanica (distensione delle pareti e
faremo una tecnica che serve a stimolare deter-
riflesso di contrazione).
minati gangli della catena latero-vertebrale, per
Termica (oltre la soglia 22°C-41°C si assiste ad un blocco
stimolare l’attività linfatica. Inoltre i vasi linfatici
del moto dei vasi linfatici).
hanno una pulsazione autoctona di 5-10 cicli
Nervosa (ortosimpatica soprattutto) e ormonale
minuto come per es il cuore o come le cellule
(sostanze adrenergiche).
peace-maker che stanno nell’intestino.
Anche per i vasi linfatici, un po’ come per l’arteria, c’è una distensione delle pareti e un riflesso di contrazione
su base meccanica. Quando un vaso linfatico viene stirato e rilasciato, esso va prima di tutto in vasospasmo e
poi va incontro a un processo di regolazione. Quest’anno o il prossimo faremo anche una lezione sul controllo
della microcircolazione, che va inserito nel trattamento dell’arteria, trattamento che però deve basarsi sulla
conoscenza della fisiologia delle arterie, perché altrimenti non conoscete e non sapete spiegare agli altri pro-
fessionisti sanitari gli effetti sull’arteria di una tecnica come il recoil.
Il flusso dei vasi linfatici si ferma sotto i -22° C sopra i 41° C, ecco perché è pericoloso far salire la febbre oltre i
41°, si rischia di riempirsi di tossine perché il sistema linfatico non funziona più, di gonfiarsi come dei palloni
e di esplodere…..!!
La motricità dei vasi linfatici dipende, come abbiamo detto, dal sistema ortosimpatico e, a livello ormonale, da
sostanze adrenergiche. Un Pz che ha un problema di iperstimolazione della ghiandola surrenale ha dei sinto-
mi linfatici e riferisce per es di sentirsi sempre gonfio. In questo caso può essere che l’iperattività adrenergica
ortosimpatica di quell’individuo influisca sulla motricità dei vasi linfatici, per cui il vaso linfatico non drena più
come dovrebbe. Al contrario nel caso in cui ci siano infiammazioni in corso come per es un gonfiore al ginoc-
chio o un’infiammazione al ginocchio, ricordate che l’infiammazione viene mantenuta e regolata dal SNV orto,
che contemporaneamente regola anche l’attività del sistema linfatico. Un Pz con un ginocchio gonfio post
traumatico, che a distanza di tempo continua ad avere difficoltà a sgonfiarsi, potrebbe avere una disfunzione
lombare, intesa come disfunzione della catena gangliare ortosimpatica latero-vertebrale, che mantiene una
disfunzione sul sistema linfatico, disfunzione che a sua volta impedisce al ginocchio di sgonfiarsi. Quindi un
problema di ganglio può dare un problema nella zona di innervazione relativa sia sull’apporto arterioso sia sul
drenaggio venoso e linfatico. È questo il modo osteopatico di leggere la fisiologia!

Zone di deflusso (slide 21) Cavità addominale (slide 22)


Arto inferiore e piccolo bacino Dalla biforcazione aortica si forma il truncus lum-
Piede e gamba hanno una prima zona di deflusso balis dexter (lungo la vena cava inferiore) ed il
a livello del cavo popliteo. truncus lumbalis sinister (lungo l’aorta) che si
Da qui ai linfonodi inguinali che raccolgono an- immettono nella cisterna chyli (o del chilo o di
che parte della linfa dei genitali esterni, del retto Pequet).
e degli organi del piccolo bacino. La cisterna del chilo può formarsi sotto o sopra
Da qui le vie linfatiche raggiungono la profondità lo iato aortico o mancare completamente. Livello
a livello della biforcazione dell’aorta dove la rete D12-L2.
linfonodale accoglie anche la linfa degli organi Molti linfonodi immettono in questi tronchi la
del piccolo bacino. linfa proveniente da: uretere, rene, surrene.

217
Milza, pancreas, stomaco, duodeno, cistifellea, superficie inferiore del fegato drenano attraverso il truncus
coeliacus.
Il tenue e crasso attraverso il truncus intestinalis.
Il mesentere è ricchissimo di linfonodi.
Parte del fegato e la sua superficie convessa drena attraverso i suoi vasi ai linfonodi mediastinici e sopradia-
frammatici e poi al dotto linfatico dx.
Esistono delle zone di deflusso del sistema linfatico, zone che avete già trattato nelle lezioni sul sistema fas-
ciale e che sono le zone dei cavi: es il cavo popliteo dell’arto inferiore. Se un Pz ha le gambe gonfie bisogna
controllare il cavo popliteo e i linfonodi inguinali, che stanno nel triangolo di Scarpa. Se trovate dei linfonodi
dolenti, ingrossati nel triangolo di Scarpa dovete pensare o a un’infezione o a qualcosa di più grave a livello
degli organi del piccolo bacino, dei genitali esterni o dell’arto inferiore, perché i linfonodi inguinali raccolgono
la linfa anche da queste regioni.
Nella cavità addominale i vasi linfatici raggiungono la biforcazione dell’aorta e formano il tronco lombare dx e
il tronco lombare sin che si immettono nella cisterna chyli o di Pequet (che sta a livello di D12-L2), che a volte
può non esserci oppure formarsi sopra o sotto lo iato aortico. In questi tronchi arriva la linfa drenata dal trun-
cus coeliacus (nome latino per distinguerlo dal tronco celiaco arterioso), dove passano vasi linfatici proveni-
enti da: uretere, rene, surrene, milza, pancreas, stomaco, duodeno, cistifellea, superficie inferiore del fegato.

Cavità toracica (slide 24)


La confluenza dei truncus lumbalis e
del truncus intestinalis, coeliacus e
cisterna chyli forma il dotto toracico
(via lattea).
Slide 25
Fino a D5 corre a dx dell’aorta e della col-
onna.
Dopo D5 passa a sin dell’ esofago.
A livello di C7 forma l’arco per sfociare
nell’angolo venoso sin.
Nel suo percorso prende le vie linfat-
iche intercostali che sono in contatto
con le vie linfatiche sternali.
A questo livello si creano delle anasto-
mosi con le vie che sfociano nel dotto
linfatico dx.

Slide 28
Slide 27
Torace esterno e arti superiori
Tre tronchi (destri e sinistri) raccolgono la linfa dagli or-
Il cavo ascellare e linfonodi sottoclaveari
gani toracici interni.
rappresentano una via di deflusso.
Tronchi bronco-mediastinici: raccolgono dai linfonodi
Nell’arto superiore il gomito rappresenta
ai lati dell’aorta, dell’esofago, dai polmoni e dal parte del
una stazione intermedia delle via linfat-
mediastino. Il sinistro preleva dal lobo superiore del pol-
iche.
mone, mentre il destro preleva dal lobo inferiore del pol-
Testa e collo
mone sinistro, dal cuore e dal polmone destro.
Il truncus jugularis (dx e sin) porta la linfa
Tronchi mediastinici anteriori: il destro sfocia diretta-
della cute, dei muscoli e dei visceri della
mente nell’angolo venoso destro o prima nel broncome-
testa e del collo all’angolo venoso omolat-
diastinico destro. Il sinistro nel dotto toracico.
erale.
Tronchi parasternali: si comportano come i precedenti.
Si anastomizza con le vie di drenaggio del
cervello (cefalea linfatica).

218
Slide 29
Cervello
Il carico linfatico viene probabilmente drenato in al-
cune aree dove i capillari sanguigni possiedono amp-
ie fenestrature (area postrema nel pavimento del 4°
ventricolo, recesso ottico nel pavimento del 3° ven-
tricolo, peduncolo ipofisario, neuroipofisi, epifisi
nel tetto del 3° ventricolo).
Da qui esce in parte nell’LCR, in parte attraverso i
nervi olfattori nella mucosa nasale e rinofaringea
per arrivare ai linfonodi del collo. Addirittura hanno
calcolato che il 40% del carico linfatico del cervello
venga drenato dalla mucosa nasale e del palato.

Nel cervello avviene quello che abbiamo detto prima, perché


in alcune zone (zone dove non c’è la barriera ematoencefal-
ica), attraverso delle ampie fenestrature dei capillari san-
guigni, la linfa si immette nella circolazione sanguigna, per
cui ci può essere passaggio dal sangue al tessuto nervoso e fenestrature
dal tessuto nervoso al sangue. Una di queste zone è l’area dei capillari
postrema (= area del vomito, area che fa vomitare o per la sanguigni
presenza di cataboliti prodotti nell’encefalo, cataboliti dovuti
a infiammazione, batteri, traumi oppure a sostanze chimiche
che dal flusso sanguigno vanno verso quest’area, perché non
c’è la barriera ematoencefalica). Tutto questo flusso linfatico
esce, grazie agli spazi perivascolare di Virchow-Robin, in
parte nel liquido cefalo-rachidiano (LCR), in parte va nella
mucosa nasale attraverso i filamenti del nervo olfattorio che
passano nella lamina cribrosa, viene drenato dai vasi linfatici
della mucosa nasale e poi arriva a i vasi linfatici del collo.
Hanno calcolato che gran parte del carico linfatico del cervello (il 40%) viene drenato dalla mucosa nasale
e del palato e quindi va da sé l’importanza del lavoro che si fa in osteopatia sulle fosse nasali, sul massiccio
facciale… Non si lavora questa zona solo per delle sinusiti ma anche per delle cefalee linfatiche o per sintomi
correlati a difficoltà delle funzioni cerebrali, quali memoria, attenzione…
Domanda: si dice che alcuni cibi, in presenza di intolleranze alimentari, possono aumentare la produzione di
muco, non solo intestinale ma anche nasale perché tutte le mucose sono collegate tra di loro…. questo può
essere messo in relazione con il drenaggio di cui abbiamo parlato ora?
Risposta: no, è un’altra cosa. Lì si tratta di citochine che vengono prodotte dal sistema immunitario di alcuni
organi e queste citochine specifiche hanno dei recettori specifici su altri tipi di questo tessuto linfoide, però
siccome le quattro circolazioni di cui parlavamo prima sono collegati tra di loro (perché la circolazione linfati-
ca - come abbiamo appena visto - va a finire nel LCR, il LCR va a finire nei seni e quindi rientra nella circolazione
sanguigna; inoltre il LCR è prodotto dai plessi corioidei, come se fosse un ultrafiltrato del sangue, una parte
di esso viene drenato nella mucosa nasale, da qui va nel linfatico e dal linfatico va di nuovo nel circolo san-
guigno, il sanguigno va a finire nel liquido interstiziale, dove viene aspirato dal linfatico e dal sanguigno). Una
molecola può entrare in una qualsiasi di queste quattro circolazioni e poi passare nelle altre grazie a questi
punti di passaggio (pensate al passaggio delle metastasi).

219
Slide 30 Slide 31
Il tronco encefalico, la fossa cranica posteriore e lo L’occhio drena attraverso la Capsula di
spazio epidurale superiore viene drenato da capillari Tenone la linfa che si produce a livello della
linfatici che si formano a livello del forame magno e congiuntiva dei muscoli orbitari e del gras-
che immettono in linfonodi sottooccipitali. so retrobulbare. Da qui arriva ai linfatici del
Inoltre gli spazi perivascolari di Virchow-Robin lascia- volto e del collo.
no passare le prelinfa attraverso le arterie carotidi L’orecchio interno drena a livello della mu-
e le vene giugulari. Da qui la prelinfa viene captata cosa dell’ orecchio medio.
dai numerosi capillari linfatici del collo.

La cefalea linfatica di solito è una cefalea da com-


Slide 32 pressione, il Pz sente che ha mal di testa in gener-
Midollo spinale ale, si sveglia con il mal di testa alla mattina e poi
Drena attraverso le guaine dei nervi spinali e gli spazi dopo 6 ore passa. Per far passare questo tipo di
di Virchow-Robin attraverso i vasi dei nervi spinali. cefalea bisogna lavorare le fosse nasali e la zona
sotto occipitale.
Cefalea linfatica Poi lavorare il sistema linfatico in generale e per
Presente già al risveglio e scompare da sola dopo circa 6 h. inserirlo in un trattamento osteopatico dobbiamo
seguire la scaletta presentata nella slide 33

Slide 33
Tecniche linfatiche
Migliorano le funzione del sistema linfatico in linea generale e quelle del sistema immunitario (medicina
osteopatica).
1. Aprire le vie di deflusso.
2. Lavoro sui diaframmi (soprattutto toraco-addominale e toracico superiore).
3. Stimolazioni vertebrali.
4. Mediastino (lo vedremo il 6° anno) e Pompa toracica (ha una doppia valenza, infatti rientra sia nel cir-
cuito emodinamico che nel trattamento del sistema linfatico, perché c’è l’ingresso dei due dotti).
5. Lavoro sugli organi emuntori.

Le vie di deflusso da aprire sono quelle elencate nelle slide 34-35

Slide 34 Slide 35
1. aprire le vie di deflusso 2. lavoro sui diaframmi
Lavoro fasciale e di mobilità su: Pavimento pelvico
- cavo popliteo Soprattutto pilastri.
- regione inguinale C7/D1, k1, k2, clavicole.
- mesentere
- diaframma e pilastri (iato aortico) 3. stimolazioni vertebrali
- mediastino Attraverso il SNV (?).
- stretto toracico superiore (sin e/o dx) Blocco di C7-D1-D2 azione su C6-C7-D1 in later-
- regione sottooccipitale, fori laceri anteriori e oflessione rotazione.
posteriori, forame magno, meningi, etmoide, Inibizione tra C5 e C6 per 90 sec.
fosse nasali, fasce profonde collo Blocco di L1, D12, D11 azione su L2, L1, D12.
- cavo ascellare Inibizione tra L2 e L3 per 90 sec.
- gomito anteriore

Per quanto riguarda le stimolazioni vertebrali bisogna bloccare C7 per lavorare su C6, bloccare di uno per
lavorare sulla C7 e bloccare D2 per lavorare su D1. Poi si deve fare una inibizione sulle trasverse tra C5 e C6 per
90 secondi. A seguire si lavora la parte lombare. Si blocca L1 per lavorare su L2, si blocca D12 per lavorare su
L1…. Da ultimo bisogna inibire le trasverse tra L2 e L3 per 90 sec
220
Slide 36
4. mediastino e pom-
pa toracica

5. organi emuntori
Fegato, milza, reni, pol-
moni, tenue, sistema
fasciale.

Si trattano gli organi emun-


tori se si trovano delle dis-
funzioni e se i sintomi del
Pz vi portano a pensare
che il sistema linfatico è in
disfunzione.

Pratica
1.Vediamo una tecnica per allentare i pilastri del diaframma. In questa tecnica si usano i pollici: si posizio-
nano ai lati dell’ombelico del Pz (a livello all’incirca di L3).

Ci si sposta lateralmente si oltre-


passano i mm. retti dell’addome
e con un angolo di 45° circa si va
gradualmente in profondità verso
alto-dentro senza far male al Pz.

221
Se volete potete chiedere al Pz di
piegare leggermente il busto in
avanti per cercare di entrare an-
cora meglio. Quando arrivate sulla
parete posteriore sentite i pilastri.
A questo punto potete sentire se
un pilastro è più duro dell’altro,
mantenere la pressione (su en-
trambi, ma maggiore su quello più
duro) e dopo un po’ sentire che ce-
dono.

Ricordate che i pilastri formano l’orifizio aortico dove passa anche il dotto del sistema linfatico.
2. Tecnica di stimolazione di alcuni gangli superiori dorsali e
inferiori lombari. La stimolazione dei gangli della parte superiore
e inferiore del corpo ha lo scopo di stimolare, attraverso il sistema
ortosimpatico, la vasomotricità del sistema linfatico (abbiamo visto
infatti che il sistema ortosimpatico si occupa della stimolazione del
sistema linfatico). Dopo aver stimolato i gangli superiori dorsali, vale
a dire il ganglio stellato e i primi gangli toracici, si inibiscono i gangli
cervicali tra C5 e C6 per far sì che la stimolazione non raggiunga i
gangli cervicali medio e superiore, ossia i gangli che formano i nervi
cardiaci (si ipotizza infatti che una iperstimolazione di questi gangli
potrebbe causare, in un Pz particolarmente predisposto,una tachi-
cardia o una ipervasostimolazione arteriosa del cranio).
La stessa cosa si fa per i gangli inferiori, in cui dopo aver stimolato alcuni gangli si inibisce il livello tra L2 e L3,
al fine di evitare una iperstimolazione orto sugli organi del piccolo bacino e quindi per proteggerli (questo
è la spiegazione che a Bonetti sembra più credibile, anche se non è sicuro al 100%; fino a qualche anno fa si
insegnava questa tecnica senza alcuna spiegazione).
Blocco C7 per ....reperisce C7
lavorare su C6. e la blocca, in-
Pz sul fianco clina e ruota la
dx, l’Osteopata testa del Pz a
sorregge con sin fino a che
l’avambraccio sente che la
la testa il Pz.... chiusura in chi-
ave è arrivata a
C6 e poi stimo-
la per 20 volte
(con inclinazi-
one e rotazione)
il ganglio dx di C6 (è un po’ quello
che si faceva sulla stimolazione
della catena latero-vertebrale a
livello dorsale: la tecnica di stimo-
lazione delle dorsali non si può ap-
plicare a livello cervicale con il Pz
prono perché la lordosi cervicale la
renderebbe inefficace).

Poi si blocca D1 e si stimola il ganglio dx di C7.


222
Si blocca D2 e si stimola il ganglio dx di D1. Volendo si può andare anche uno o due livelli sotto D1, dipende
dal grado di stimolazione che volete dare.
Inibizione tra C5 e C6. Il Pz è nella stessa posizione e l’Osteopata va in profondità con l’indice e medio e man-
tiene la pressione per 90 secondi (come si faceva per la tecnica di inibizione a livello dorsale).
Stessa cosa con il Pz girato sul lato sin.
Tecnica di stimolazione di alcuni
gangli inferiori lombari.
Il Pz prono, l’Osteopata, alla sin del
Pz, reperisce L1.

Blocca la trasversa controlaterale


di L1 con il pisiforme o l’eminenza
tenar.

Stimola (per 20 volte) il ganglio


sin di L2 con una presa sull’ ili-
aco controlaterale all’altezza della
SIAS.

Poi si blocca D12 e si stimola il ganglio sin di L1 (per 20 volte).


Si blocca D11 e si stimola il ganglio sin di D12 (per 20 volte).

223
pollice e indice

Inibizione tra L2 e L3 (per 90 sec) o con pollice e indice oppure


usando gli indici di entrambe le mani, serrando i tessuti e posiz- gli indici di
entrambe
ionandosi con le braccia perpendicolari alla colonna vertebrale. le mani
Si scarica il proprio peso sulle braccia (è più comodo dato che bi-
sogna stare fermi per 90 secondi).
Stessa cosa per i gangli sul lato dx.
La tecnica si può fare tranquillamente anche su un Pz con delle protrusioni discali asintomatiche.
Ricordate che prima di fare una tecnica neurovegetativa bisogna togliere le disfunzioni strutturali: vertebrali,
sacrali… la vertebra deve essere libera nella sua mobilità perché se una vertebra è bloccata in rotazione può
darsi che con la vostra stimolazione otteniate dei risultati addirittura opposti.
Per aprire il cavo popliteo ricordatevi di
aprire la losanga che si crea a livello del
cavo popliteo dall’intersezione dei muscoli
ischio-culturali e gemelli.

sem 4

Sistema linfatico
un trattamento completo del sistema linfatico in senso osteopatico dura una seduta di trattamento oppure
si può decidere, all’interno di una seduta di trattamento, di applicare in un determinato distretto che si sta
trattando alcune tecniche per il sistema linfatico. Se avete per es un Pz con un problema all’arto inferiore e tro-
vate positiva la zona del piccolo bacino, andrete a lavorare il sistema fasciale di quella zona e questo migliorerà
di per sé la dinamica funzionale del sistema linfatico; poi andrete a lavorare il sistema linfatico relativo all’arto
inferiore partendo con l’apertura di alcune zone verso cui deve defluire la linfa e che per l’arto inferiore sono: il
cavo popliteo, il triangolo di Scarpa, i pilastri del diaframma (per il passaggio dello iato aortico: abbiamo visto
l’altra lezione che la cisterna di Pecquet passa di lì), la parte mediastinica (dove i dotti linfatici s’immettono
sulle arterie succlavie; avevamo visto la distinzione tra lato dx e sin: il lato destro comprende tronco dx e arto
superiore dx, mentre il lato sin comprende tutti e due gli arti inferiori, tronco sin e arto superiore sin).
Un trattamento linfatico completo prevede il trattamento di una serie di zone, previa verifica che a quei livelli
non ci siano delle disfunzioni.
Ora farete una pratica cominciando con i test sulle zone del sistema linfatico; se trovate delle disfunzioni
le trattate e poi applicate le tecniche linfatiche in modo generale, sapendo che (come dicevamo poco fa)
224
potete anche adattarle ad un settore. Se ho un Pz con un problema all’arto superiore dx, tratterò le zone di
deflusso dell’arto superiore dx e il mediastino; poi dovrete controllare che questo problema all’arto superiore
non dipenda da visceri della zona toracica (principalmente cuore e polmoni, nelle donne anche la ghiandola
mammaria - tenete presente questo anche nei casi di cervicalgia).
Pratica
Lavoro fasciale sulle vie di deflusso

Slide 34 Slide 35
1. aprire le vie di deflusso 2. lavoro sui diaframmi
Lavoro fasciale e di mobilità su: Pavimento pelvico
- cavo popliteo* Soprattutto pilastri *
- regione inguinale C7/D1, k1, k2, clavicole *
- mesentere *
- diaframma e pilastri (iato aortico) 3. stimolazioni vertebrali *
- mediastino * Attraverso il SNV (?).
- stretto toracico superiore (sin e/o dx) Blocco di C7-D1-D2 azione su C6-C7-D1 in later-
- regione sottoccipitale, fori laceri anteriori e pos- oflessione rotazione.
teriori*, forame magno, meningi, etmoide, fosse Inibizione tra C5 e C6 per 90 sec.
nasali, fasce profonde collo * Blocco di L1, D12, D11 azione su L2, L1, D12.
- cavo ascellare Inibizione tra L2 e L3 per 90 sec.
- gomito anteriore *

*Cavo popliteo: ha la forma di una losanga, per cui testate tutti i lati. Cer-
cate di lavorare la barriera tissutale. Entrate nei tessuti, sentite e lavorate
le restrizioni di mobilità: aspettate che i tessuti si rilascino, guadagnate,
aspettate di nuovo e così via….lavorate con criterio

*Mesentere: ricordate che questa è una zona reflessogena molto importante, ricca di meccanorecettori, che
influiscono sulla tonicità del sistema nervoso ortosimpatico, sistema che regola la vaso motricità non solo del
circolo sanguigno ma anche di quello linfatico
*Mediastino: una zona non solo ricca di linfonodi ma in cui passano anche i dotti, soprattutto il dotto toracico
sin
*Regione sottoccipitale…: questa regione è importante soprattutto se pensate al sistema linfatico della
testa. Vi ricordate che vi ho parlato delle cefalee linfatiche? Nel cervello non ci sono vasi linfatici, però anche il
tessuto nervoso, come qualsiasi altro tessuto, produce linfa, la quale viene drenata negli spazi perivascolare
di Virchow-Robin, che sono quegli spazi perivascolari in cui s’immette la linfa.
225
Quindi intorno al tubo vascolare c’è una mem-
brana che crea uno spazio, all’interno del quale
si immette la perilinfa, che viene poi drenata
in parte nel torrente sanguigno e in parte ver-
so la mucosa nasale (ecco perché tra le zone
da trattare trovate l’etmoide, le fosse nasali e
nelle fasce profonde del collo).
Ricordate che circa il 40% della linfa prodotta
dal tessuto nervoso cerebrale viene drenata a
livello delle fosse nasali: da qui derivano pos-
sibili cause di mal di testa.

*foro lacer ANT:


si lavora la sutura
sfeno-squamosa
foro lacer POST o
giugulare: si lavo-
ra la sutura OM

foro
lacero
ANT foro
lacero POST
o giugulare

foro ottico
foro ovale

foro lacero ANT


sut Petro Basilare
rocca petrosa
meato acustico int
sut Petro Giugulare
foro giugulare
o foro lacero POST
canale dell’ipoglosso

*Gomito anteriore: questa zona forma un cavo come quello popliteo e va trattata allo stesso modo

226
*Soprattutto pilastri: perché i pilastri formano lo iato aortico e cisterna chyli
subito sotto (a volte anche sopra) di esso si forma la cisterna di
Pecquet o cisterna chyli; se i pilastri del diaframma sono tesi pos-
sono ridurre il passaggio della linfa a monte della cisterna chyli (la
cisterna è una sorta di dilatazione del dotto linfatico
*C7/D1, k1, k2, clavicole: oltre a questo anche le fasce del trian-
golo sovraclavicolare
*3. stimolazioni vertebrali: danno un impulso, una facilitazione
al sistema nervoso ortosimpatico e quindi stimolano la tonicità,
la capacità di pompa dei linfangioni (unità funzionale del sistema
linfatico). Stimolando i gangli della catena Lattea lo vertebrale di
un certo tratto della colonna vertebrale cerchiamo di stimolare la
vasomotricità linfatica. È una tecnica generale, come la tecnica di
stimolazione del sacro per prima cosa si stimola un tratto cervico-
dorsale e poi in un secondo momento un tratto dorso-lombare.

Per la stimolazione
del tratto cervico-
dorsale
il Pz è sul fianco
e l’Osteopata con la
mano caudale: blocca C7
mano craniale: sostiene
la testa del Pz metten-
do i parametri di....

227
inclinazione e....
fino a che sente di es-
sere arrivato, come
in una sorta di chiu-
sura in chiave, a C6.
L’obiettivo infatti è
quello di inclinare e
ruotare C6 affinché la
trasversa di C6 posizio-
nata verso il lettino sti-
rotazione moli il ganglio della
catena latero-vertebrale che le sta davanti.
Poi l’Osteopata si sposta di un livello sotto, blocca D1 e inclina e ruota la colonna del cervicale del Pz fino a
quando sente di essere arrivato su C7.
Poi va a un livello ancora sotto, blocca D2 e si stimola D1.
Bonetti consiglia tra 10 e 20 ripetizioni su ciascun ganglio. Considerando che ogni vertebra ha due gangli
(uno a dx e uno a sin) bisogna fare tra le 20 e le 40 ripetizioni su ciascuna vertebra.
inibizione tra C5 e C6
Si termina la stimolazione sul tratto cervico-dorsale (sia a dx
che a sin) con un’inibizione tra C5 e C6.

L’Osteopata mette pollice e indice (falange prossi-


male) tra un massiccio articolare e l’altro e inibisce i
gangli per 90 secondi portando le cervicali del Pz un
pò in E.
A che cosa serve questo? In teoria si dice che, dopo aver
stimolato i gangli, si vuole impedire che troppe stimo-
lazioni neurovegetative vadano verso la testa, si vuole
creare un blocco di informazioni verso l’alto (questa è
la spiegazione ufficiale ma Bonetti non ne è convinto al
100%, anche se ammette di non conoscere una spiega-

228
zione migliore).

Per la stimolazione del tratto dorso-lombare il Pz è prono e l’Osteopata


mano craniale: blocca le trasverse di L1 con due modalità >
1. presa pollice
e indice

2. pisiforme

mano caudale: prende


la SIAS del Pz e ruota le
lombari fino a quanto
sente di essere arriva-
to a L2.

229
L’Osteopata lavora
con le spalle, per non
faticare; ha le gambe
appoggiate al lettino.
Poi sale di un livello:
l’Osteopata blocca
D12 e ruota le verte-
bre fino a L1.
Sale ancora di un livel-
lo: blocca D12 e lavora
su D 11.
Si applica la tecnica ai
gangli di dx e di sin.

Si conclude con un’inibizione tra L2 e L3 con 2 possibilità di presa:


1. pinza tra pollice e indice
2. con le falangi degli indici di entrambe le mani

inibizione tra L2 e L3
La stimolazione vertebrale dovrebbe rilanciare in senso generale l’attività di pompa del sistema linfatico.
Bonetti non ha trovato la spiegazione del perché la stimolazione vertebrale si concentri su queste due zone.
Sono tecniche che si basano sull’esperienza personale degli osteopati, quindi tecniche su base empirica.
Domanda: se per un problema di edema gli AAII si può lavorare soltanto sulla cerniera dorso-lombare
Risposta: Bonetti dice di sì, in linea teorica, ma consiglia comunque di lavorare entrambe le cerniere, perché il
230
sistema linfatico è unico e porta in circolo molte sostanze.
Dopo bisogna concludere con altri due step Slide 36
4. mediastino e pompa toracica

5. organi emuntori
Fegato, milza, reni, polmoni, tenue,
sistema fasciale*

*Prima di arrivare a questo punto avrete già fatto tutti i vostri test sui visceri e quindi saprete già quali sono i
visceri in disfunzione. Questo significa che anche questo protocollo, come tutti gli altri che vi sono stati dati, in
sostanza vi indica delle zone da trattare nel caso in cui risultino in disfunzione. Infatti se rimangono in disfun-
zione interferiscono sulla dinamica di un sistema, in questo caso quello linfatico. Se invece queste zone non
sono in disfunzione non le trattate.

sem 5

Tecnica sul peritoneo parietale post


La tecnica agisce a livello del peritoneo parietale post ed ha lo scopo di togliere le tensioni o gli accollamenti
presenti tra il peritoneo parietale post stesso e la parete post della cavità addomino–pelvica. Le tecniche
seguenti sono da utilizzare ogni qual volta si sospetta che la struttura (sacro o colonna) presenti disfunzioni a
causa di un’interazione viscero–somatica.
Osteopata: una mano fa punto fisso o sul sacro o sulla colonna lombare (a seconda del viscere e delle disfun-
zioni presenti) e l’altra agisce sul viscere da testare ed eventualmente trattare.
Tenue
Mano caudale: appoggio e punto fisso sul sacro
mano craniale: ingloba il pacchetto del tenue, testa
ed eventualmente esegue la tecnica.
Una volta contattato il sacro ed inglobato nell’altra
mano il tenue, si fa punto fisso post e ci si interessa
della mano che contatta il viscere: il livello di pro-
fondità deve essere tale che una volta che si prova
a “scollare”, si avverte la tensione a livello della parte
post della cavità addominale;

lo scollamento avviene verso l’alto ma anche verso


alto-dx (spalla dx del Pz) e alto-sin (spalla sin del
Pz). Un’eventuale positività esiste se il sacro viene
subito ingaggiato dalla tensione del peritoneo post,
ma si possono anche bilanciare i risultati del test e
lavorare la risultante. Il lavoro viene effettuato in
tecnica diretta: inglobo il tenue fino a barriera dis-
funzionale (il sacro è ingaggiato), mantengo fino ad
avvertire un cedimento tissutale per poi guadagnare
ulteriormente.

Oltre a testare verso l’alto e verso alto–dx ed alto–sin, si possono testare anche le
rotazioni e gli altri movimenti sui vari piani dello spazio.

231
Colon ascendente–
colon discendente–sigma
Mano caudale: appoggio e punto fisso sul
sacro;
mano craniale: ingloba il colon ascendente, il
colon discendente o il sigma, testa ed even-
tualmente esegue la tecnica.
In questa tecnica, oltre che alla presa, cam-
biano le direzioni di esecuzione del test e
dell’eventuale tecnica: per il colon ascen-
dente si testa (ed eventualmente si tratta)
trazionando verso la spalla dx, per il colon di-
scendente e per il sigma verso la spalla sin.

Reni
Mano caudale: appoggio e punto fisso sul sacro;
mano craniale: ingloba rene, testa ed eventualmente
esegue la tecnica.
In questa tecnica, oltre che alla presa, cambiano le
direzioni di esecuzione del test e dell’eventuale tec-
nica: per il rene (sia dx che sin) si testa (ed eventual-
mente si tratta) trazionando in direzione alto–den-
tro (il binario del rene è lo psoas).

Piccolo bacino
Mano caudale: appoggio e punto fisso sul sacro;
mano craniale: si colloca a livello dell’ipogastrio per inglobare gli organi del piccolo bacino; il bordo radiale del
I dito al di sopra della sinfisi e poi appoggio a piatto il resto della mano.
È una tecnica generale e non specifica che non sfrutta la trazione (è difficoltosa) ma sfrutta la compressione.

232
Dopo aver preso contatto, la compressione avviene nella
direzione dietro–basso (verso il coccige) fino ad avvertire
risposta a livello del sacro, non si deve comprimere ulterior-
mente perché si sta approcciando una zona molto delicata.
Una volta raggiunto il livello, si può lavorare sia sulla respi-
razione che sulla cinetica spontanea. Se si lavora con gli
atti respiratori, si ascolta il movimento fasciale in Insp e si
può lavorare con tecnica diretta o in aggravamento, poi si
individua un altro movimento, lo si corregge fino a riarmo-
nizzare. Se si lavora con la cinetica spontanea, non si fa rifer-
imento agli atti respiratori, ma si entra in ascolto fasciale,
si individuano gli “still points” e si eliminano in maniera da
riarmonizzare.

Lo stesso lavoro, se s’individuano disfunzioni vertebrale con responsabilità viscerale,


può essere fatto con punto fisso a livello lombare, ponendo le dita dietro le spinose
(L1–L2–L3–L4).

Test delle rotazioni e degli altri movimenti sui vari piani dello spazio anche per i seguenti organi:

cieco e
colon ascendente colon discendente sigma rene
A livello lombare si possono approcciare anche organi specifici come il duodeno ed il pancreas.
Duodeno
Mano caudale: ingloba il duodeno, testa ed eventualmente esegue la tecnica;
mano craniale: appoggio e punto fisso sulla colonna lombare.
Una volta reperito e posti a livello del duodeno, si fa punto
fisso post e ci si interessa della mano che contatta il viscere: a
questo livello non si può trazionare perché il duodeno è in
parte attaccato alla parete post, quindi si testano in maniera
meccanica i movimenti che compie il viscere durante la respi-
razione ed i vari movimenti sui diversi piani dello spazio; se vi
è un ingaggio immediato della colonna lombare, si sospetta
una responsabilità viscerale. Il lavoro può essere effettuato in
tecnica diretta fino a eliminare le tensioni fasciali.
Pancreas
Mano caudale: ingloba il pancreas, testa ed eventualmente
esegue la tecnica;
mano craniale: appoggio e punto fisso sulla colonna lom-
bare.

233
Anno 6 sem 2 (non ci sono state lezioni al sem 1)

Fasce del torace


Facciamo per prima cosa delle tecniche generali, che servono per detendere le tensioni a livello delle fasce in
generale, ma soprattutto quelle più interne, nella fattispecie la fascia endotoracica e la pleura parietale.
Questo tipo di tecniche è di una semplicità estrema ma le cose difficili sono la palpazione e la sintonizzazione
sulla famosa cinetica spontanea, che ormai dovreste avere capito che cos’è.
Queste tecniche sono importanti perché, se vi capiteranno delle persone con dei problemi a livello toracico
che riguardano sia la meccanica o la funzione polmonare oppure la meccanica o la funzione cardiaca, avrete
un risultato quasi immediato. È immediato anche il cambiamento di alcuni parametri come per es la saturazi-
one di ossigeno, ossia parametri che riguardano l’omeostasi e che regolano questi organi. Se pensate per es
ai polmoni dovete pensare alla regolazione del pH, all’ossigenazione, la pressione arteriosa… Che cosa pro-
duce il polmone che, insieme al cuore, serve alla regolazione di tutti gli organi che stanno nel torace e che
piano piano faremo? Produce un enzima che converte l’angiotensina 1 in angiotensina 2. Tutto ciò che ha
a che fare con l’ipertensione e problemi di origine polmonare (enfisema, asma, esiti di interventi chirurgici
sul polmone) trova giovamento con queste tecniche, che solo in apparenza sembrano stupide. Il loro effetto
è immediato perché è rivolto ad organi che rispondono a controlli omeostatici che sono immediati, quindi
l’organismo reagisce subito.
Tecnica 1_fascia endotoracica e pleura parietale_parte ant
1. dividete il torace in cinque punti
2. su queste zone fate eventualmente il test di pressione. Sapete dove arriva il torace, per cui non dovete
mettere le mani nella zona al di sotto, ma da dove arriva il torace in su.

punto sterno 1 punto sullo sterno > la pressione viene fatta in senso ant-post.

2 punti inf, che


corrispondono ai ERRORE
lobi inferiori dei
polmoni > spinta
lat-laterale.

Mani troppo basse

234
La pressione
viene fatta in 2 punti inf
senso lat-later-
ale, perché bi-
sogna testare
l’andamento
delle coste che
si muovono a
manico di sec-
chio.

2 punti sup

Con il test di pressione su questi 5 punti potete individuare un settore al di sotto del quale potrebbe esserci
un problema. Poi vi farò vedere altri test e tecniche per discriminare se si tratta di un problema a carico del
polmone, del cuore, del pericardio….(lo vedremo in ambito viscerale).
Trattamento dei punti superiori
Osteopata alla testa il Pz con le mani che cercano di contattare più superficie pos-
sibile. Adesso arriva la cosa difficile perché con la palpazione dovete superare tutti
i tessuti che incontrate a partire dalla superficie, ossia lo strato muscolare, il duro
delle coste (via via che andate verso la profondità potete usare il peso del vostro
corpo), sentirete che continuando a spingere a un certo punto il duro delle coste
cede.

Se sentite che cede soltanto da un


lato e non dall’altro, aumentate la
pressione sulla zona che sentite più
dura (nel caso del vostro collega è
a dx), bilanciate le pressioni sulle
vostre mani fino a quando non sen-
tite che siete arrivati in profondità
anche a dx, solo a questo punto fate partire
la tecnica sulla cinetica spontanea.
Quando sento di essere arrivato dentro
il torace mi fermo e aspetto che parta un
movimento, che in questo caso è un mo-
vimento di torsione, lo seguo fino allo still
point. Dopodiché sentirò
1. o che il tessuto cede
2. oppure che il tessuto riparte verso un
nuovo movimento a cui seguirà un sec-
ondo still point.

Trattamento dei punti inferiori


Osteopata davanti al Pz con le mani che comprimono in senso latero-laterale. Le sensazioni da cercare sono le
235
stesse di prima. Nel caso del vostro collega in questa zona il punto più duro è a sin, per cui in quella zona userò
una pressione maggiore per arrivare in profondità, dopodiché partirà la tecnica sulla genetica spontanea.
pressione in senso latero-laterale

Trattamento del punto sterno


Osteopata di fianco al Pz con le mani sullo sterno che comprimono in senso ant-post.
Egli comprime il duro osseo e si ferma subito dopo averlo oltrepassato. Bisogna fermarsi
subito dopo perché in questo caso il lavoro viene fatto sulla fascia endotoracica e la
pleura parietale, che è quel settore che sta subito sotto le ossa del torace.

Vi ricordo che la fascia endoto-


racica continua anatomicamente
con la fascia trasversalis, per
cui potreste sentire delle tensioni
a livello del torace che partono in
realtà da sotto. Quindi cominciate
a mettere in relazione gli organi del
torace con quelli dell’addome: un
problema di clavicola può partire
dal colon (attraverso cosa? Il sistema
fasciale), lo stesso dicasi per un
problema cervicale (se ai test di pressione trovate colon ascendente, polmone dx e cervicali in disfunzione è
probabile che ci sia una tensione meccanica che parte da sotto e che attraverso le fasce raggiunge le cervi-
cali).
Se trovate persone con esiti di polmoniti, pleuriti, però non avete individuato bene una zona ma solo un set-
tore, potete fare queste tecniche globali per cercare di detendere quel settore.
Vi ricordo che a questo livello la fascia endotoracica è attaccata alle coste (sui mm. Intercostali e sulle coste),
per cui potreste trovare anche delle lesioni di gruppo costali o vertebrali che partono dalla fascia endoto-
racica
Trattamento della fascia endotoracica e
della pleura parietale_parte post
Osteopata alla testa del Pz con le mani sul to-
race post e la più ampia presa possibile. Le
mani dell’Osteopata stanno con le eminenze
tenar e ipotenar a livello della spina della sca-
pola del Pz.

236
Egli è ben appoggiato sui gomiti perché deve
fare una specie di leva in avanti con i gomiti,
senza tuttavia avere l’intenzione di voler solleva-
re il torace del Pz. Qui la palpazione è più difficile
perché c’è l’interposizione della scapola, quindi
la pressione delle mani dell’Osteopata deve su-
perare due piani ossei. Durante la pratica diver-
titevi a sentire la stratificazione dei tessuti.

Partendo dal piano superficiale per andare verso quello profondo sentirete il morbido muscolare (m. sot-
tospinoso), il duro osseo della scapola, poi di nuovo un tessuto morbido, a seguire il duro osseo delle coste.
Se sentite che da una parte entrate e dall’altra no, sulla zona morbida vi fermate mentre su quella più dura
continuate a dare una certa pressione finché non sentite che siete entrati nel torace.
Una volta entrati nel torace dovete riequilibrare la
pressione tra le due mani e a quel punto fate partire
la tecnica sulla cinetica spontanea. La pressione che
fate sulle mani è relativamente leggera, se sentite
che faticate vuol dire che state alzando il Pz e quindi
siete andati oltre, perché per superare il piano delle
coste non serve una grossa pressione. La tecnica
non è faticosa, l’errore comune è quello di premere
parecchio, quasi per alzare il torace del Pz, ma se fate
così non sentite niente e faticate inutilmente.
non sollevare il Pz
Motore: la cinetica spontanea e la mobilità (=il diaframma_la cinetica respiratoria)
Se qualcuno non sente la cinetica spontanea vuol dire che è una pippa. In tal caso allora cambiate il motore e
lavorate sulla respirazione. Anche in questo caso sentirete che ad ogni espirazione le mani, se c’è una disfun-
zione di mobilità, vengono portate verso una certa zona. Ora però nella pratica cercate di concentrarvi sulla
cinetica spontanea.
Emozioni
Ricordate che quando la fascia endotoracica a livello dello sterno va in spasmo (perché c’è un muscolo pos-
teriormente allo sterno che può andare in spasmo), dà al Pz un senso di oppressione, non solo in senso fisico
ma anche emotivo: si scatena una situazione pseudo-ansiosa, il Pz prova un malessere emotivo. Molto spesso
liberando questa zona librerate non solo le coste, ma date al Pz la sensazione di sentirsi meglio, di essere più
sollevato. Sono tecniche adatte a Pz che soffrono di crisi di panico e di ansia. Questo misto di malessere fisico
ed emotivo è anche quello che provano per es i Pz che stanno per avere un infarto: hanno come la sensazione
di morte imminente. Queste situazioni emotive vengono scatenate dai tessuti che stanno in quest’area dello
sterno.
La cinetica spontanea
È un ritmo che si sente mettendo le mani e che non equivale
né a quello respiratorio né a quello craniale. Se ci sono delle
restrizioni di mobilità della cinetica spontanea le mani par-
tono in una certa direzione. Le restrizioni di mobilità ci sono
quasi sempre, quindi se metto una mano sul polmone dx e ho
una restrizione di mobilità per es sul fianco dx, si creano dei
vettori di forza sul sistema fasciale che fanno sì che la mano
venga attratta verso il fianco dx. Con le mani si sente non solo
la direzione ma anche la distanza dal punto in disfunzione.

237
Se metto una mano sul polmone dx e ho una restrizione di mobilità per es all’anca
dx sentirò una trazione lunga diretta verso l’anca dx: sento un movimento che
parte e continua, continua….dura per un po’. Quando la restrizione è vicina il movi-
mento parte e finisce subito dopo.

Se non ci sono restrizioni di mobilità e la fascia è libera (cosa rara perché è quasi impossibile che nel corpo
non ci siano restrizioni) si sente un movimento armonico in tutte le direzioni, per cui parte in una direzione
e poi c’è un movimento uguale e contrario di ritorno, ossia la fascia non vi porta da nessuna parte in modo
specifico, non si ferma mai.

Immaginate che io metta la mano su una


zona, sento che comincia un movimento
che poi si ferma sullo still point (il 1°). Qui
mi devo aspettare:

1° still
point

1. o una sensazione di rammollimen-


to dei tessuti > sento che la mano
improvvisamente sprofonda (è una
sensazione netta che vuol dire che lì
la tensione si è liberata e la tecnica è
finita). Togliete la mano, rifate i test e
vedrete che c’è movimento
2. altrimenti sento che la mano ri-
2° still parte in un’altra direzione con altri
point movimenti fino a che non si riferma
di nuovo (2° still point). Che cosa mi
aspetto?

238
O un rammollimento e in
questo caso fermo la tecni-
ca oppure la mano riparte
verso un 3° still point. Anche
qui stessa cosa: o un ram-
3° still mollimento o riparte verso
point un 4° still point. Non si sta
un’ora a fare questa tecnica
perché dopo 4-5 still point
si ferma la tecnica.

Infatti ogni volta che la fascia si ferma e poi riparte con un movimento, significa che c’è un passaggio di en-
ergia da potenziale a cinetica, per cui attraverso il movimento si libera energia, la fascia ad ogni still point
libera energia e quindi si libera dalle tensioni. Ecco perché bastano 4-5 still point.
Quando fate delle tecniche sulla
cinetica spontanea con due mani
in appoggio come in questo caso
della fascia endotoracica, potreste
sentire che una mano va da una
parte e l’altra in un’altra direzione
e che si comportano in modo in-
dipendente, per cui magari una
mano arriva subito allo still point
mentre l’altra invece continua.
Può darsi che quando la seconda mano si è fermata riparta la prima mano. Oppure potreste sentire che le due
mani viaggiano all’unisono, ……. dipende…….. potrete sentire di tutto perché ovviamente avete due punti
d’appoggio. Se ho due tensioni una in alto e l’altra in basso e metto due mani sul polmoni sentirò forse che
una mano viene trazionata verso l’alto e l’altra verso il basso o un mix tra le due.

mix tra le due


Tecnica dei tre cilindri
Serve per testare e per trattare un emi-
torace rispetto alla zona centrale rap-
presentata dal pericardio. È una tecnica
che lavora principalmente sulle pareti
mediastiniche, vale a dire le zone di
passaggio tra pericardio e pleure, sia a
dx che a sin. Nei prossimi seminari fare-
mo altre tecniche sul mediastino e sulle
sue varie aree.

239
La tecnica dei tre cilindri serve per testare e trat- Slide 2
tare tutte le aderenze o accollamenti che pos- Scopo della tecnica
sono esserci sul sistema fasciale a livello medi- Testare i due emitorace in rapporto al corpo e al sistema
astinico ma anche sulla parte periferica, quindi cardio -pericardico
sulle pleure dell’emitorace che state trattando. Testare le aderenze pleuriche, soprattutto quelle medias-
Sono tecniche adatte in quei casi in cui volete tiniche, e le fissazioni legamentose.
migliorare la meccanica respiratoria, la funzi- Correggere la conseguente restrizione di mobilità.
one polmonare, esiti di pleuriti o di interventi
chirurgici al torace…. ci sono moltissime indi- Principi della tecnica
cazioni. Si considerano i due emitorace come 2 cilindri che si mo-
bilizzano su 3 piani in rapporto ad un cilindro più piccolo
rappresentato dal cuore e dal pericardio.

Questa tecnica si chiama dei tre cilindri perché con-


sidera un cilindro centrale rappresentato dal peri-
cardio, che viene considerato come un punto fisso,
rispetto al quale si può mobilizzare o il cilindro dx o
il cilindro sin. Ovviamente in precedenza durante la
clinica del Pz o durante i test di pressione avrò cap-
ito se è la parte dx o quella sin che deve essere trat-
tata. Successivamente faremo anche dei test sulle
pareti delle mediastino, per cui se risulterà positiva
la parete sin del mediastino e tutto il polmone sin
potrò decidere di applicare la tecnica dei tre cilindri
in questa zona. La tecnica si svolge su vari tempi. In
un primo tempo ci sono sia un test di spinta che
un test sulla mobilità, che servono a darmi un’idea
globale di come si presenta l’emitorace.
A seguire si fanno degli scivolamenti sui 3 piani di un emitorace rispetto al cilindro centrale:
piano frontale > scorrimenti alto-basso
piano sagittale > scivolamenti ant-post
piano orizzontale > compressione e decompressione

Dopodichè si fanno dei test sui 3 assi:


asse verticale
asse ant-post
asse lat-lat
Slide 4
Primo tempo
Decubito laterale
Mano cefalica sul diaframma toracico superiore, mano cau-
dale su IX e X costa e proiezione cupola diaframmatica.
Spinta convergente e rilascio.
Test di mobilità e discriminativo su parte alta, bassa o tutto.
Secondo tempo
Stessa posizione.
Avambraccio in contatto ant, post e spinta sternale sul
Il Pz è sul fianco con le gambe pie- lato dell’emitorace.
gate, in una posizione confortevole
Si effettuano i test.

Primo tempo della tecnica


Si inizia con una spinta convergente e di rilascio e a seguire con un test di mobilità.
Scopo: discriminare se la restrizione del sistema fasciale che riguarda l’emitorace è più sulla parte alta, media
o bassa.
240
Posizione dell’Osteopata
Mano caudale, con il bordo ulnare l’Osteopata
si posiziona sulla IX costa e poi appoggia la
mano sul torace.

osta
IX c

Con questa presa si è certi di essere sul recesso


parte inferiore del polmone polmonare e sulla parte inferiore del polmo-
ne.

recesso
polmonare

Mano craniale, a cop-


pa in corrispondenza
dell’apice polmonare.
L’incavo della mano è
sull’apice polmonare.
Dopo averla posiziona-
ta, la si orienta in modo
da avere la presa più
apice polmonare
efficace per quel tipo
di Pz

Avambracci, in direzione della spinta che si vuole esercitare.

Spinta > dovete visualizzare il cilindro centrale e la parete mediastinica,


perché la spinta degli avambracci deve arrivare nella zona tra la parete
mediastinica e l’emitorace dx (in questo caso). È sbagliato spingere verso
il lettino o spingere le mani una verso l’altra.

241
Sterno > appoggiato sul moncone della spalla del Pz
per dare una pressione lat-laterale.....

che arriva fino alla parete tra cilindro centrale ed


emitorace dx

Compressione convergente +
Compressione lat-laterale
> l’Osteopata deve avere la sensazione
di avere un blocco tra le mani ossia
l’emitorace del Pz

1 convergente
+ lat-laterale

1. Test di compressione e di rilascio (una specie di rebound, come quello che si fa sullo sterno) > per sentire
in quale fase c’è una resistenza maggiore. Nella normalità si deve avere la stessa sensazione di elasticità sia
nella fase di compressione che in quella di rilascio. Dopo aver fatto le tecniche correttive sui tre assi e i tre
piani si ripeterà questo test e si dovrà sentire che l’elasticità del polmone è di nuovo nella norma che non c’è
nessuna restrizione in nessuna delle due fasi.
2. Test respiratorio > si deve sentire
che l’emitorace si espande (in INsp) e si
rilascia (in Esp) uniformemente

2 INsp Esp

242
Molto spesso invece si sente una zona
che è ferma (dove c’è la X nell’immagine
accanto) e una che si espande. Dopo
aver trattato l’emitorace si ripeterà an-
che questo test e si dovrà sentire che il
polmone si è normalizzato

Secondo tempo della tecnica


Iniziano i test di scivolamento sui piani e di rotazione sugli assi:
scivolamento superiore e inferiore > si
sente in quale direzione c’è maggiore amp-
iezza (e così pure per tutti i test seguenti).

2 scivolamento indietro e avanti

3 scivolamento in compressione e....

243
decompressione sul piano frontale > la decompressione
si fa come per staccare il cilindro esterno da quello centrale
che fa punto fisso

asse verticale > rotazioni

4
asse ant-post > movimenti d’inclinazione

5
Nel test movimenti d’inclinazione è sbagliato muovere la scapola.

244
asse lat-lat > movimenti di flesso-estensione

6
Troverò delle disfunzioni su determinati piani e assi. Nella correzione posso procedere in due modi:
1. correggendo parametro per parametro con una tecnica di aggravamento (aggravando la disfunzione)
o diretta (verso il movimento opposto). Inoltre la tecnica può essere o meccanica (pur tenendo conto delle
barriere tissutali) oppure sulla mobilità seguendo il ritmo della respirazione. Però siccome il test è meccanico
vi consiglio di fare la correzione con una tecnica meccanica
2. oppure impilando i parametri tra di loro, per es inclinazione e scivolamento in alto (questi erano i param-
etri che trovato in disfunzione nel vostro collega) > aggravo l’inclinazione, poi aggiungo lo scivolamento e
aspetto. Poi sentirò che si ferma tutto e quando partirà un movimento di liberazione lo asseconderò verso i
parametri della normalizzazione.

Altra presa
È una presa con gli avambracci, uno davanti e l’altro dietro all’emitorace del Pz e in più l’appoggio del torace
dell’Osteopata sulla spalla del Pz per la spinta lat-laterale.

245
Test respiratorio Slide 11
Se facendo il test respiratorio vi siete accorti che una zona Test sulla respirazione
dell’emitorace del Pz non si espande uniformemente, dovete pen- Uno scivolamento in basso caratter-
sare a due cose: izza un’ipertonia o disfunzione del
1. problematiche locali a carico dell’organo, ossia il polmone: leg diaframma toraco-addominale.
polmonari, pleura……. Uno scivolamento verso l’alto car-
2. se è l’apice del polmone che non si espande >pensate a prob- atterizza un’ipertonia o disfunzione
lematiche che fanno riferimento all’orifizio toracico superiore del diaframma toracico superiore
(OTS): clavicola, K1, K2, le fasce del collo, i mm. scaleni…. perché se (fasce, k1, k2, …).
ci sono restrizioni su queste strutture anche l’apice del polmone può Una mancanza di mobilità indica
avere problemi di espansione costrizione dei due diaframmi.

2a. se è la parte inf del polmone che non si espande > pensate a problematiche del diaframma toraco
addominale (TA), inserzione del diaframma, le ultime coste ed eventualmente tutto ciò che può dare una
restrizione al diaframma scendendo verso il basso (se si tratta per es dell’emitorace sin: stomaco, milza, colon
discendente, ovaio…. nella clinica dovete mettere insieme i pezzi)
2b. nel caso in cui sia l’apice sia la parte inf del polmone non si espandano > pensate a problematiche a
carico sia dell’OTS che del diaframma TA.

Terzo tempo della tecnica Slide 12


Dopo aver corretto i parametri in disfunzione fate una tecnica di rie- Terzo tempo
quilibrio generale su tutti e tre i cilindri. Anche se avete lavorato su Riequilibrio dei due cilindri rispetto
un solo cilindro e l’avete normalizzato rispetto al cilindro centrale, al cuore.
alla fine è bene concludere con una tecnica di normalizzazione di Decubito dorsale
tutte le tensioni Mano craniale sul diaframma torac-
ico superiore dx e mano cefalica su
cupola diaframmatica sin.
Movimento a 8.
Pz supino, Osteopata di fianco
Mano caudale dell’Osteopata, è lateralm al torace, come nella presa precedente, e parte da K9

K9

246
Mano craniale, è sull’apice
polmonare opposto.

1. La pressione tra
due mani deve
arrivare esatta-
mente al centro
del torace.

A quel punto iniziate ad indurre un movimento a lemnisca. Sentirete magari che in un mezzo giro il movi-
mento può avere una certa difficoltà e andare meglio nell’altro, però voi continuate ad indurre il movimento
fino a quando sentirete che il tessuto è libero. Lo fate sia in un senso che in quello opposto.

2. Poi cambiate, passate dall’altro lato del Pz, fate la stessa presa, vi
mettete nell’altra diagonale e inducete lo stesso movimento.

3. Poi fate una presa sotto le due ascelle,


fate una compressione lat-laterale con
una spinta che arriva sempre al centro del
torace e inducete lo stesso movimento,
prima in un senso e poi nell’altro.

247
Quarto tempo della Slide 14
tecnica Quarto tempo
Infine vi potete sedere di Seduti a capo del Pz.
fianco o alla testa del Pz. Mano post a livello dorsale alto, mano ant sullo sterno.
La mano post è con Riequilibrio delle tensioni a livello del mediastino.
l’incavo a livello di D1 D2.
La mano ant è sullo ster- La tecnica regolarizza il tracciato ECG
no. Indicata in caso di aritmie, insufficienza cardiaca, ip-
Compressione verso il ertensione arteriosa, sequele di affezioni polmonari,
centro e induzione di mo- pleuriche e del pericardio, sistema immunitario.
vimenti a otto.

Variante con il Pz seduto.

Non vi consiglio di far mettere il Pz disteso sul fianco perché in questo


caso un emitorace è schiacciato
Al termine di questo quarto tempo avete riequilibrato il polmone in
tutte le direzioni di movimento.

Motore
Questa tecnica si può fare sia in modo
meccanico oppure seguendo il
ritmo respiratorio. In questo secon-
do caso chiedete al Pz di fare un re-
spiro profondo e nella fase INsp fate
un mezzo giro mentre nella fase Esp
un altro mezzo giro, tipo una mano-
vella, seguite il movimento del dia-
framma. E poi cambiate direzione.
In questo caso non usiamo la cinetica spontanea perché non vogliamo andare in altre zone, ma vogliamo
indurre un movimento a livello del tessuto del polmone.

248
sem 3

Mediastino
In questa lezione faremo degli accenni alla zona anatomica della mediastino, mentre per andare nello speci-
fico dovete andare a vedere sui libri di anatomia. Poi faremo dei test pratici sulle pareti e le varie aree del
mediastino.
Il mediastino è la regione interposta tra le pleure mediastiniche, lo sterno e la colonna dorsale. Delimitato in
alto dallo stretto toracico superiore ed in basso dal diaframma. È una sorta di cavità con una struttura a paral-
lelepipedo. Viene suddiviso in vari modi ma la suddivisione più frequente è la seguente:
mediastino superiore
mediastino inferiore anteriore
mediastino inferiore medio
mediastino inferiore posteriore
Faremo dei test sulle varie porzioni del mediastino.

Il mediastino sup è delimitato post tra D1 e D4 e ant dal manubrio dello sterno, fino a congiunzione tra
manubrio e corpo dello sterno (angolo di Louis). C’è una linea immaginaria che collega D4 all’angolo di Louis,
la quale divide il mediastino superiore da quell’inferiore.

Il mediastino inf è suddiviso a sua volta in 3 parti parte ant


parte media
parte post
Nella parte centrale/media c’è tutto il pericardio con il cuore.
La parte ant è delimitata dalla parete ant del pericardio e dalla porzione post del corpo dello sterno.
La parte post è delimitata dalla parete post del pericardio ed alla colonna vertebrale.
Il mediastino ha una parete dx e una sin. I punti di repere esterni vanno dalla cartilagine condro-sternale di
K1, fino alla cartilagine condro-costale di K 6 dx e sin (a sin siamo sul punto di repere dell’itto della punta, che
di solito si trova nel 5° spazio intercostale).
Il mediastino sup contiene:
timo1 (la parte più superiore)
arteria e vena toracica interna (o mammaria, che irrora la mammella e la parte intercostale)
vena brachiocefalica e metà sup della cava sup2
arco aortico ed arterie brachiocefaliche, succlavia sin, carotide comune sin3
nervi vaghi, frenico, laringeo ricorrente, nervi cardiaci, plesso cardiaco (parte superiore)4
trachea
esofago
dotto toracico5 e linfonodi paratracheali, brachiocefalici, tracheobronchiali

Nei testi di fisiologia si dice che di solito il timo si atrofizza. Sembra che non sia vero del tutto e che durante
1

249
tutta la vita abbia una certa attività, tanto è vero che nell’anziano sono frequenti i tumori del timo. Spesso il
timo viene asportato in alcune patologie come per es la miastenia gravis, che è una malattia autoimmune
in cui si pensa che ci sia un collegamento con una certa attività del timo. Quindi ricordate che ogni volta che
vi trovate in presenza di patologie che vi portano a pensare all’attività immunitaria potete lavorare la parte
superiore del mediastino e del timo.
2
Pensate al drenaggio della parte sup del corpo. In presenza per es di brachialgie di tipo venoso*

*Sapete le differenze tra parestesie di tipo venoso, arterioso, nervoso?


Nel caso di una parestesia di tipo nervoso c’è un formicolio particolare, che di solito è mantenuto in particolari
circostanze. Molto spesso non passa con il movimento, anzi se dipende da un problema di compressione può
aggravarsi
Se invece la periferia è vascolare di solito passa (se è venosa) o aumenta (se è arteriosa) con il movimento.
Il problema arterioso aumenta quando il paziente usa la muscolatura. In questo caso si crea un’ischemia,
ossia una difficoltà di apporto di sangue al muscolo e di conseguenza un dolore o delle parestesie di tipo
ischemico.
Se invece c’è un problema di ristagno venoso (è un po’ quello che accade quando c’è il finto tunnel carpale),
che è causa di una parestesia che però passa appena si mette in movimento l’arto e si usano i muscoli.

3
Sono le grosse arterie che vanno alla testa e agli arti superiori, perciò dovete pensare alle brachialgie, alle
cefalee di tipo vascolare….. e quindi al drenaggio del cranio, all’apporto di sangue al cranio.
4
Dato il passaggio di questi nervi la zona del mediastino sup può essere messa in collegamento anche con
strutture a distanza, pensate per es ai problemi digestivi
5
Pensate al ristagno linfatico che avviene nella parte inferiore del corpo. Vi avevo ricordato che esistono due
territori di drenaggio linfatico:
1. braccio sin, testa sin, emitorace sin, parte inf del corpo dal diaframma in giù vengono drenati nella succlavia sin
2. braccio dx, emitorace dx con una parte del fegato e una parte della testa vengono drenati nella succlavia dx
Se trovate dei problemi relativi al drenaggio linfatico (possono essere 2000, peccato che il sistema linfatico
venga preso poco in considerazione, anche se è una delle grandi circolazioni del corpo e può portare a diversi
disturbi funzionali soprattutto per quanto riguarda la salute del connettivo (ossia della fascia) e di tutti quei
processi che abbiamo visto quando abbiamo trattato la matrice extracellulare (MEC). Da qui possono nascere
tutte le patologie (e sono tantissime) collegate ad un cattivo drenaggio della linfa.
Il mediastino inf-ant è uno spazio estremamente piccolo compreso tra lo sterno ed il pericardio.
Contiene:
timo (la parte inf )
vasi toracici interni
legamenti sternopericardici
linfonodi
Quando faremo un test sulla porzione inf-ant del mediastino pensate a queste strutture, perché potrebbe es-
serci per es una disfunzione dei legamenti sterno pericardici.
Il mediastino inf-medio contiene:
pericardio, cuore e aorta ascendente
metà inferiore della cava superiore1
arco della vena azygos2
biforcazione tracheale, bronchi principali,
arterie e vene polmonari3
nervi frenici4
plesso cardiaco
linfonodi tracheobronchiali

1
Arriva tutta la circolazione di ritorno del corpo
2
Il sistema azygos e emiazygos è in continuazione con le vene lombari (che drenano i dischi e tutta la zona
dove spesso ci sono problemi di ernie e protrusioni). Se c’è un problema mediastinico di drenaggio venoso a
livello del sistema azygos e di conseguenza un ristagno a monte, ci possono essere delle lombalgie vascolari
a valle. Sono i casi in cui per es il Pz riferisce che non riesce a stare sdraiato perché sente aumentare la pe-
250
santezza sulla schiena, mentre se si alza va via subito. Quindi se alla clinica vi capita un Pz con lombalgia, che vi
riferisce questo sintomo e ai test risulta positivo il mediastino inf-medio potete fare il collegamento pensando
appunto ad un ristagno vascolare in questa zona.
3
Pensate a tutto ciò che ha a che fare con il polmone, alla fisiologia polmonare
4
Pensate a tutto ciò che ha a che fare con il n. frenico sa da un punto d vista motorio che sensitivo
Il mediastino inf-post è delimitato:
post > dalla colonna vertebrale da D4 a D12 ed
ant > dai bronchi, dal pericardio, dalla parte posteriore del diaframma.
Contiene:
aorta discendente
vene azygos ed emiazygos
catena del simpatico, nervi splancnici, nn. vaghi1
esofago, dotto toracico, linfonodi mediastinici

1
Contiene gran parte della componente neurovegetativa che va sia al torace che all’addome. Quando avete
problemi viscerali che riguardano l’addome (colon, tenue e via dicendo pensate certamente alle vertebre e
ai plessi, ma non dimenticate che anche una disfunzione del mediastino può essere la causa di un problema
neurovegetativo). Dovete fare delle relazioni tra la fisiologia dell’addome e quella del torace.
Test delle pareti - recoil
Test delle zone (su cinetica spontanea) – discriminazione delle diverse consistenze.

Pratica _Test delle pareti del mediastino


Le pareti del mediastino sono 4:
ant > immediatamente dietro lo sterno
post > a contatto con la colonna vertebrale
parete laterale sin > più obliqua a causa della presenza del cuore
parete laterale dx.

Repere dei margini


1° modalità > punti di repere esterni
2° modalità > palpazione

1° modalità
I margini sup sono le cartilagini costali di K1 dx e K1 sin (K1 si reperisce subito sotto la clavicola).
Il margine inf sin è l’itto della punta del cuore (repere sul 5° spazio itercostale sin). L’itto della punta dà l’idea
di dove si trova il cuore. Quindi K1 e itto di punta a sin danno l’idea dell’inclinazione della parete lat sin del me-
diastino. A livello di K6, vale a dire immediatamente sotto l’itto di punta, si può in teoria far finire il pericardio,
ossia la parete lat sin del mediastino.

itto di punta
K6
K1
K1

251
La parete lat dx del mediastino va da K1
sino a dove finisce il centro frenico.

Repere del centro frenico > a partire dall’apofisi xifoidea dello sterno o dall’arco sottocostale con lo sfiora-
mento superficiale di indice e medio si scivola in alto sino a sentire che le dita sbattono contro un promonto-
rio che si trova sullo sterno: quello è il punto di trazione che corrisponde alla proiezione del centro frenico.

centro
xifoide frenico

Leggermente a dx del punto in cui abbiamo reperito il centro frenico si trova il


margine inf della parete lat dx del mediastino.

2° modalità
Se volete sentire la diversa consistenza che c’è tra l’addome, il diaframma e to-
race potete fare un movimento simile a quello di un gattino. Partite dall’addome
per es a sin e sentite che a quel livello l’elasticità del tessuto è uguale tra la mano
caudale e quella craniale. Mano a mano che salite verso il torace sentirete a un
certo punto una resistenza: il tessuto è più duro. Continuando a salire sentirete
che il tessuto diventa di nuovo più morbido. Il livello in cui ho sentito più duro
corrisponde alla proiezione della cupola diaframmatica, perché li c’è più tes-
suto, c’è più consistenza.

resistenza

252
La stessa cosa la po-
tete fare a dx, così da
individuare anche a
dx la proiezione del
centro frenico.

Test delle pareti


Bisogna soprattutto essere centrati sul livello anatomico, perché altrimenti non sentite niente.
Test della parete ant
Mano craniale, posizionare la metacarpo-falangea del 5°
dito e il pisiforme sul manubrio sternale con l’idea di avere
le due cartilagini di K1 in corrispondenza della metacarpo-
falangea del 5° dito e del pisiforme (certo molto dipende
dalla grandezza della mano dell’Osteopata ed dal torace
del Pz). Se non ci arrivate è uguale, disponete la mano a
paletta sull’area interessata nel miglior modo possibile.

Mano caudale, posizionarla su K6 e K6 trovando un posizionamento che possa prendere bene i due punti.

K6

K1
Le mani saranno
sfalsate tra di loro e mani sfalsate errore_mani parallele
non perfettamente
parallele, perché la
mano caudale sarà
leggermente più a
sin di quella crani-
ale.

A questo punto cominciate a dare una pressione lenta e progressiva verso dietro, arrivate al duro dell’osso, lo

253
superate e quando
avete la percezi-
one che la mano
sprofonda e il duro
dell’osso cambia,
fate un test di
trazione, di sem-
plice allungamen-
to. Questo serve
per sentire se c’è
elasticità in quel
punto, ossia se
quella zona si allunga e non quanto si allunga, se c’è un mattone dietro oppure se c’è elasticità
Test della parete post
Lascio le mani allo stesso posto e aumento soltanto la pressione. Dopo essere entrato dietro lo sterno, contin-
uo a comprimere, sento che la consistenza dei tessuti è grosso modo sempre la stessa, fino a quando sentirò
che le mie mani sbattono su un muro, tutto diventa più duro, più consistente: vuol dire che ho compresso tutti
i tessuti e sono arrivato sulla parete post.
A quel punto faccio il test di allungamento. Su Mirko la parete post è dura. Qualcuno potrebbe obiettare che è
ovvio che è meno elastico dato che ho compresso tutti i tessuti. Bonetti dice che non è vero perché se si prova
il test su più persone si sente che per alcuni è più rigido davanti e più elastico dietro e viceversa per altri.
Test delle pareti lat
1° modalità > lascio le mani allo stesso modo, comincio a
comprimere fino a quando sento di essere arrivato più o
meno a metà del torace. Quindi devo sentire che supero il
piano osseo, entro in profondità, sento che il tessuto è più o
meno elastico, ha la stessa consistenza, mi fermo più o meno
a metà del torace e faccio un test di allungamento della pa-
rete sin > a sin le mani sono attive con i pisiformi. Quando
farò il test a dx sono più attivo con le metacarpo-falangee.
2° modalità > usare i pisiformi per testare la parete dx

parete lat sin_ parete lat dx_ parete lat dx_


variante

metacarpo-
pisiformi attivi falangee attive pisiformi attivi
Domanda > come faccio a sentire bene che sono arrivato a metà del mediastino?
Risposta > perché prima ho già testato la parete ant e post e quindi ho già sentito di quanta ampiezza si tratta
e così dovrei saper fermarmi tra questi due.
Trattamento
Recoil > devo impilare tutti i parametri: allungamento, torsione dx-sin, inclinazione dx-sin, Insp-Esp. Si può
fare anche 2-3 volte se la tecnica non passa la prima volta, con l’accortezza che ogni volta l’intensità sia minore
della precedente (per non stressare troppo il tessuto). L’importante è fare i recoil al giusto livello anatomico.
Tecnica di allungamento meccanico diretto
Tecnica di aggravamento > è difficile farla perché è difficile mantenere la compressione e aggravare
254
Tecnica sulla cinetica spontanea > entrate, mettete leggermente in allungamento, quindi un legegro stress
dei tessuti e aspettate e partire con la cinetica, still point, vari still point…
Test specifici sulle aree del pericardio_
2° parte del test
Ora faremo dei test sul contenuto di ciò che è
delimitato dalle pareti che abbiamo visto.
Il mediastino sup è compreso:
anteriormente > tra la faccia post del manu-
brio sternale
posteriormente > tra D1 e D4
Dobbiamo im-
maginare una
linea virtuale che
divide il medias-
tino sup da quello
inf

Test sul mediastino sup


Mano post > tra D1 e D4 (lo spazio tra tenar e ipotenar accoglie la spinosa di D1)_punto fisso
Mano ant > sul manubrio dello sterno_punto mobile
La mano sul manubrio dovrà fare una pressione per percepire l’elasticità e la consistenza dei tessuti a quel
livello. È un test che valuta la qualità del tessuto.

La mano sul manubrio dello sterno esercita una pressione, supera lo sterno, entra
perpendicolarmente diretta verso dietro, con l’obiettivo di raggiungere la porzione
mediale e centrale del mediastino sup, su cui fare il test di elasticità (è come un
piccolo rimbalzo per testare una molla).
Il test è positivo quando sentite un “mattone”, sembra di toccare un pezzo di legno,
non si muove niente. Se si sente qualcosa di elastico il test è negativo.

Test sul mediastino inf


Mano post > da D4 a scendere (lo spazio tra tenar e ipotenar accoglie la spinosa di D4)_punto fisso
Mano ant > al di sotto del manubrio sternale, sul corpo dello sterno_punto mobile

255
Qui dovete dividere 3 zone in base alla pressione:
anteriore, media e posteriore
Parte ant > comprimete con la mano ant, sentite il
duro dello sterno, appena sentite che diventa meno
duro e percepite che la mano è entrata nello sterno
fate il test di elasticità.

Parte media> comprimete ancora, quando sentite Parte post> comprimete ancora più in profondità,
di essere arrivati al centro dello sterno fate il test di quando sentite che la mano sbatte contro un muro e
elasticità. che la spinta è arrivata in modo energico anche sulla
mano post fate il test di elasticità.
Se a uno di questi livelli percepite un “mattone” il test è positivo.
Vi accorgerete facendo il test su più persone che non è un’ovvietà sentire più duro nella parte post (durezza
che sarebbe causata dalla pressione della mano ant sui tessuti). Su alcuni soggetti sentirete per es duro nella
parte ant e molto morbido in quella post.

Trattamento
Tecnica sulla cinetica spontanea > trattamento globale su un’area. Le mani rimangono nella stessa posiz-
ione del test. All’interno di un’area dovete poi trovare la/le strutture che possono essere lavorate da un lavoro
256
più specifico. Per es siccome nel mediastino inf-ant ci sono i leg sterno-pericardici, potreste fare un test su
questi legamenti e, se risulta positivo, trattarli, così sarete più specifici. Oppure se fate i test sui grossi vasi (arco
dell’aorta..) e risultano positivi, potete trattare il vascolare. In base alle esigenze dovete mettere insieme tutti
questi strumenti.
Posizione mani dell’Osteopata_variante
Osteopata in piedi sia per il test che per la tecnica.
Questo trattamento si può fare anche nelle sternotomie
con le dovute accortezza, nei portatori di pace-maker. Il
lavoro sulle fasce all’interno del torace, anche nei casi in
cui ci siano stati interventi chirurgici importanti (lobec-
tomie, sternotomie…) hanno risultati molto evidenti
quasi da subito, migliorano i parametri funzionali come
per es l’Esp, il Pz se ne accorge immediatamente, tutto
quello che fate ha un risultato positivo sul Pz.

Lavoro con la cinetica spontanea su cuore e polmoni


Questo lavoro comprende tutto l’insieme delle fasce che stanno esternamente al cuore, ossia il pericardio (i due
foglietti), ma anche lo scheletro fibroso del cuore, perché sapete che all’interno del cuore c’è un’impalcatura
connettivale. Ci sarà quindi un epicardio che all’interno continua con l’endocardio, che forma alcune strutture
come per es le valvole cardiache o i setti di demarcazione tra atri e ventricoli. Quello che stiamo facendo va
fatto contemporaneamente con il lavoro sulla mobilità. Se c’è per es una restrizione di mobilità del cuore e
una restrizione su una parete del mediastino non è detto che lavorando solo sulla mobilità il cuore si liberi
del tutto, per cui dovete lavorare anche la parete del mediastino. Oppure al contrario se fate una tecnica sulla
cinetica spontanea o su una parete del mediastino non è detto che automaticamente la mobilità del cuore si
normalizzi, per cui dovete lavorare anche quella. Sono dei livelli differenti di lavoro che comunque vanno poi
integrati tra di loro.
Per il cuore prendiamo i punti di riferimento che abbiamo visto prima per la palpazione:
K1 dx e sin, troviamo il centro frenico e lateralmente a dx ci troviamo orientativamente su K6, che corrisponde
all’ancoraggio del pericardio. A sin cercheremo l’itto della punta.
Repere dell’itto: a partire dalla porzione più interna del 5° spazio intercostale, si scorre con l’indice sui mm.
intercostali fino a quando il dito non cade in un avvallamento in cui l’intercostale risulta meno “tonico”rispetto
alle altre zone. Lì di solito in profondità sentite la punta del cuore che batte.

Repere dell’itto_variante: par-


tite con la mano dal margine cos-
tale sin e scivolate in direzione di
K1 dx. La vostra mano si fermerà
in corrispondenza di un avvalla-
mento, che è la proiezione dell’itto
della punta.

257
Se fate la stessa cosa a dx sentirete che la mano scivo-
la via verso l’alto senza fermarsi.

Mettete le mani in modo tale che comprendano non solo il pericardio ma anche il cuore.
Mano craniale > ha le eminenze tenar e ipotenar su K1 dx e sin ed un orientamento verso sin (asse cardiaco)
Mano caudale> la zona tra eminenze tenar e ipotenar accoglie l’itto di punta.

itto di
punta

K1

A questo punto aprendo bene le mani in base alla grandezza delle mani e al torace del Pz, cercate di avere la
maggior superficie possibile e cominciate ad andare in profondità, dovete superare lo sterno, il mediastino
ant….
La mano craniale sta sul mediastino sup dove il pericardio avvolge i grossi vasi, per cui con questa tecnica
lavoreremo non solo la massa cardiaca ma anche la parte vasale, i grossi vasi (ecco perché la presa è così am-
pia). Qui se uno è molto fine nella palpazione può superare il mediastino ant e sentire quando la consistenza
aumenta un poco: quello è il livello del pericardio parietale. Qui potrebbe iniziare la tecnica della cinetica spon-
tanea, la quale sarebbe guidata dal pericardio fibroso parietale. Se c’è una trazione sul leg sterno-pericardico,
la cinetica spontanea seguirà questo punto di trazione. Se con la mia pressione vado più in profondità entrerò
in contatto con la parte sierosa del cuore e con il tessuto miocardico propriamente detto. Questo per dire che
se mi fermo a metà la cinetica spontanea seguirà altri tessuti, ossia il connettivo che fa parte dell’impalcatura
cardiaca. Se un Pz ha un problema a livello di una valvola cardiaca, probabilmente la mia cinetica sarà con-
dizionata dal tessuto di quella valvola. Quindi posso differenziare tra la parte fibrosa e quella sierosa. Però vi
consiglio di non complicarvi la vita e di arrivare con la pressione al livello tra il mediastino inf medio e quello
post. Se arrivate lì e provate a mobilizzare le mani dovreste avere la sensazione di avere qualcosa tra le mani
che riuscite a gestire, che non vi scappa, la sensazione che le vostre mani avvolgono qualcosa.

qualcosa che
non vi scappa
sensazione che le vostre mani avvolgono qualcosa

A quel punto fate partire la cinetica spontanea, provate a percepirla, a sentire se c’è una direzione prefer-
enziale, arrivate allo still point, aspettate, fate ripartire e di fate 3-4 still point. Questa tecnica lavora sul rilas-
ciamento globale di tutto l’insieme fasciale del cuore, sia delle fasce esterne che del tessuto fibroso che crea
258
l’impalcatura fibrosa del cuore stesso. Non è una tecnica specifica mentre con la mobilità lavorate su qualcosa
di più specifico: i legamenti, l’asse di mobilità, le camere

Chiarimento
La cinetica spontanea non è il ritmo cranio sacrale. Un certo Tricot assimila in un suo libro la cinetica sponta-
nea al ritmo cranio sacrale, ma è completamente sbagliato perché la cinetica può avere un tratto breve, quindi
finire subito (che ritmo cranio-sacrale è?) oppure avere un tratto lungo, durare anche 5-6-7 sec. La cinetica è
piuttosto la risultante di tutti i movimenti intrinseci, che però vengono richiamati da delle restrizioni (perché
la fascia tira dove ci sono le restrizioni). Siccome siamo pieni di restrizioni, avere un movimento di andata e
ritorno, ossia un ritmo armonico di cinetica spontanea è difficile. Ci deve essere proprio una persona che in
una zona non ha niente, non ha restrizioni…però di solito siamo pieni di restrizioni, è normale.
Cinetica spontanea_Polmoni
Non vi do dei punti di repere precisi perché li fate nel viscerale e
da lì potete poi utilizzarli per lavorare in altri termini.
Sapete che la parte sup dei polmoni fa delle rotazioni su de-
gli assi verticali, mentre le parti inf seguono gli assi che sono
le proiezioni dell’albero tracheo-bronchiale, con una obliquità
diversa perché a sin c’è ovviamente il cuore.

Mano craniale > presa sotto la clavicola, ma il più vicino possibile ad essa per prendere la parte sup del pol-
mone.

scissura

Mano caudale > a livello di K3 K4, dove ci dovrebbe essere una scissura che delimita il confine tra la parte inf
e sup del polmone.

259
fegato Metto le mani e vado a per-
cepire la parte inf e sup del
polmone avendo cura di
non mettere la mano cau-
dale troppo in basso (perché
sarebbe sul fegato).

Mano caudale_variante (per Pz


femmine)> potete partire con il
repere del centro frenico, spo-
starvi in questo caso a dx, met-
tere la mano a taglio e usare
una presa laterale (la mano è
quasi sotto l’ascella del Pz).

Vi ricordo che il parenchima polmonare è composto da una trama fibrosa che continua la pleura viscerale, per
cui la vostra pressione deve arrivare al centro del parenchima polmonare e che da lì comincerete a sentire la
cinetica spontanea. A questo punto potreste sentire 1 delle seguenti cose:
a) il polmone si muove tutto insieme e sulla cinetica va in una certa direzione di possibile restrizione. Per
es se il Pz ha una restrizione sui legamenti dell’apice polmonare, posso sentire tutta la massa polmonare
trazionata verso quel punto. Oppure se il Pz ha avuto una pleurite e ha una fibrotizzazione nella parte post del
polmone, sentirò il polmone che va in quella direzione
b) la parte sup del polmone si comporta in un modo e quella inf in un altro, per cui le mie mani in alcune
circostanze (per es se c’è un problema su una scissura) si comportano come se fossero autonome: in questo
caso bisogna chiedersi se il problema è all’interno del polmone oppure su una scissura.
Pratica
Mettete le mani nel modo adatto a sec-
onda che lavorate con un uomo o con
una donna, entrate nella struttura e.....

Pz donna Pz uomo
1. per prima cosa,
a contatto con la
gabbia toracica,
chiedete al Pz di
fare un respiro un
po’ più profondo e
sentite il movimen-
to delle mani movimento del torace percepito dalle mani

260
2. poi superate la gabbia toracica (ora siete a contatto
con il parenchima polmonare) e sulla mobilità (quindi
sulla respirazione) sentite il movimento del polmone
(vi ricordo che il polmone fa dei movimenti di RE e RI su
assi differenti a seconda che si tratti della parte sup della
parte inf di esso). Dovreste sentire che è un movimento
del tutto diverso da quello che avete sentito sulla gab-
bia toracica. Questo vi dice che la vostra palpazione sta
sul polmone
3. poi lasciate la mobilità, vi
concentrate sulla cinetica
spontanea e sentite in quale
direzione si muove e dove vi
porta.

Fate caso se il polmone si muove


all’unisono.
Se il Pz ha una restrizione sui leg
dell’apice del polmone potreste
sentire che entrambe le mani van-
no verso quel punto. Oppure se il Pz
ha una fibrosi su un lobo post del
polmone le mani saranno attirate
verso quella zona.
Oppure fate caso se la
parte sup del polmone
si muove separatamente
da quella inf.

Le tecniche sulla cinetica spontanea potete utilizzarle sia come test che come trattamento. Se con i vostri test
di pressione o con l’anamnesi venite a sapere che il vostro Pz ha un problema toracico o polmonare a dx o sin
potete utilizzare direttamente la cinetica spontanea sia come test che a scopo di trattamento. Ciò non toglie
però che poi dovete andare anche a controllare la mobilità, perché sono 2 cose diverse e tuttavia comple-
mentari nella funzionalità del polmone, per cui se fate una cosa e non fate l’altra il vostro lavoro rimane a
metà.

sem 4

Fasce del piccolo bacino_maschio


Per lavorare il piccolo bacino dovete tener presente per prima cosa tutta la parte del telaio osseo.
Qui di seguito le strutture da tener presente nel maschio (di alcune di esse conoscete già il trattamento, come
per es il telaio osseo):
telaio osseo
pavimento pelvico
membrana otturatoria
lamine SRGVP (test e trattamento dal sacro alle proiezioni ant)
261
legamenti pubo-vescicali e pubo-prostatici (fibro-muscolari). I pubo-prostatici con contro appoggio a livello
del centro tendineo del perineo
sacca retto-vescicale
legamento ombelicale mediano (ex uraco)
loggia prostatica (area anteriore, area posteriore); quella anteriore si lavora come i legamenti pubo-prostatici,
la posteriore con appoggio anteriore a livello della sacca retto-vescicale
test di lateralità vescica e retto

Pavimento pelvico
Possiamo distinguere 2 triangoli (Netter_pelvi 371) delimitati dal pube, dalle due tuberosità ischiatiche e dal
coccige. Al centro di quest’area il rafe mediano (linea nera mediana nell’immagine sotto) suddivide la zona
in una porzione dx e sin. Mentre il m. trasverso superficiale del perineo divide l’area del triangolo ant (blu
nell’immagine) da quella del triangolo post (verde nell’immagine).

Test palpatorio
Dopo aver individuato il coccige si posizionano i 2 pollici sulle tuberosità ischiatiche e con un movimento
diretto alto-dietro si cerca di raggiungere la profondità della muscolatura e del pavimento pelvico.
A questo punto fate un test di pressione per sentire se c’è un lato più resistente dell’altro. Sul lato più resist-
ente fate un test di mobilità per sentire se è risalito oppure disceso (come si fa per il diaframma per trovare
una disfunzione di INspiro alto oppure basso).

262
coccige

tuberosità ischiatica

tuberosità ischiatica

test di pressione
sul triangolo post

test di pressione sul triangolo post

263
Test di mobilità sul
triangolo post
L’Osteopata è dallo stesso lato
della disfunzione.
Mano caudale, le dita invece dei
pollici sono sull’emitriangolo in
disfunzione. Quante dita posiz-
ionare dipende dall’ampiezza
del pavimento pelvico del Pz.
Mano craniale, è sulla superficie
superiore del gluteo e la deprime. test di mobilità sull’emitriangolo selezionato
Si chiede al Pz di fare dei respiri un po’ più profondi, si valuta l’ampiezza dell’escursione e se il pavimento pel
vico ha la tendenza a rimanere basso (= disfunzione di INspiro) oppure alto (= disfunzione di Esp). A seconda
del risultato si fa la tecnica opportuna. Se il pavimento pelvico ha la tendenza a scendere bene (INsp) e a risa-
lire (Esp) con difficoltà si farà una tecnica con l’obiettivo di farlo risalire.

Riduzione di una disfunz di INsp_


con la respirazione
Significa che durante l’INsp il pavi-
mento pelvico scende molto men-
tre nella fase di Esp risale poco.
L’Osteopata ha la stessa posizione
del test di mobilità. In Insp non si fa
niente, in Esp si accompagna la ri-
salita del pavimento pelvico e con-
temporaneamente si può fare una
vibrazione. Quando sento di aver
raggiunto la barriera tissutale, ossia sento una resistenza da parte del tessuto, mi fermo, chiedo al Pz di in-
spirare nuovamente mantenendo quello che ho guadagnato, e alla successiva Esp guadagno ancora un po’.
Per 3-4 volte e poi rifaccio il test.

Riduzione di una disfunz di INsp_variante_con la cinetica spontanea


Stessa posizione del test, l’Osteopata aspetta che parta un movimento, lo segue, sente il tessuto che si rilascia
e sente che le dita mano a mano che il tessuto si normalizza entrano di più.

Riduzione di una disfunz di Esp_con la respirazione


Significa che durante l’Esp il pavimento pelvico risale molto mentre nella fase di INsp scende poco. L’Osteopata
ha la stessa posizione del test di mobilità. In questo caso si cerca di aumentare la distanza tra la tuberosità
ischiatica e il rafe mediano.
Mano caudale, con le falangi l’Osteopata afferra il bordo interno della tuberosità ischiatica
mano craniale, è posizionata lateralmente alla cresta iliaca.

L’idea è quella di chiudere la cresta iliaca, ossia lo stretto superiore e di aprire la tuberosità ischiatica (=lo stret-
to inf ). Anche in questa tecnica si utilizza la respirazione. Durante l’INsp, quando il pavimento pelvico tende a
264
scendere, apro il piccolo bacino mentre in Esp mantengo. Per 3-4 volte e poi rifaccio il test.
In questo tipo di disfunzione non c’è la variante con la tecnica per la cinetica spontanea, per cui posso usare
solo la tecnica con la respirazione.

Lo stesso tipo di test e tecniche si possono fare sul triangolo ant. Prendo contatto con le tuberosità ischi-
atiche e poi ruoto il pollici verso l’anteriorità. Attenzione ad essere precisi con le misure e delicati, perché in
questa zona ci sono i genitali. Alcuni Osteopati fanno questi test e il trattamento con il Pz supino a gambe
piegate ma Bonetti trova che questa soluzione sia più antipatica per il Pz.

test di pressione sul triangolo ant

test di pressione
sul triangolo ant

Test di pressione sulle lamine SRGVP


Pz supino.
Mano caudale, sul sacro con il dito medio sulla linea mediana del sacro, l’indice su una articol sacro-iliaca e
l’anulare sull’altra sacro-iliaca
Mano craniale, indice e medio reperiscono i tubercoli pubici e cadono lateralmente ad essi, cioè cadono lat-
eralmente all’inserzione dei mm. retti.
anulare > dito medio >
sacro-iliaca linea mediana

indice >
sacro-iliaca

265
Le lamine SRGVP
sono orientate
da davanti
verso dietro,
quindi quando
l’Osteopata fa
una pressione
con indice e
medio verso di-
etro ingaggia le
lamine.
Il test di pressione si fa prima su una lamina, per es la dx, e poi sull’altra.
L’Osteopata valuta la resistenza alla
pressione delle sue dita, deve sentire se
quando preme per es con l’indice, sente
una reazione sul dito che ha posizionato
sulla sacro-iliaca corrispondente. In tal
caso significa che ha compresso la lam-
ina in senso antero-posteriore e la pres-
sione è arrivata fino a dietro sul sacro.
Se l’Osteopata sente resistenza è prob-
abile che la lamina da quel lato sia
tesa. Per avere una conferma a questo
l’Osteopata può sentire se sulla mano
posizionata sul sacro avverte una re-
sistenza in corrispondenza della lamina
che sta testando, dovrebbe cioè av-
vertire che una sacro-iliaca è più dura
dell’altra. Attenzione a discriminare tra
disfunzione di lamina e disfunzione di
articol. sacro-iliaca.
A volte si può sentire che comprimendo dal davanti verso dietro per es a sin, si sente duro davanti ma la pres-
sione non arriva fino a dietro, cioè fino al sacro, dallo stesso lato (a sin) bensì dalla parte controlaterale, cioè a dx.

Questo succede perché a volte una lamina può andare in disfunzione nella porzione ant da un lato e nella por-
zione post dall’altro, soprattutto nella donna. Infatti la parte post è quella che costituisce i leg utero-sacrali.
Questi legamenti hanno all’interno delle fibrocellule che possono aumentare lo stato di tensione. Posso avere
una lamina in tensione a dx nella porzione ant, poi un incrocio e la tensione che continua nella porzione
post sin. Questo perché le lamine non sono due setti messi così e basta ma sono unite tra di loro da strutture
fibrose e fasciali, organiche, vascolari, per cui una tensione ant a dx non è detto che venga trasmessa omolat-
eralmente e post a dx, perché invece può tranquillamente incrociare dall’altra parte. Naturalmente in caso di
disfunzione crociata delle lamine possono avere anche una disfunzione di sacro in torsione.

266
Riduzione di una disfunzione di lamina
Dopo aver trovato la lamina in disfunzione, la mano
craniale si sposta in proiezione della lamina stessa,
va in profondità fino a sentire la risposta dei tessuti
sulle dita e a quel punto o si fanno delle vibrazioni
o si fa la tecnica della cinetica spontanea, per cui
quando parte un movimento lo seguo, entro sempre
più in profondità mantenendo sempre una direzione
perpendicolare al lettino e verso dietro. Se c’è una
grossa tensione della parete addominale si possono
far piegare le gambe al Pz.

267
Legamenti pubo-vescicali
Questi legamenti si trovano
immediatamente dietro la
sinfisi pubica, tra la sinfisi
pubica e la vescica. Il Pz è
supino con le gambe flesse.
L’Osteopata entra con la
mano craniale nella 1ª fos-
setta che trova sopra la sin-
fisi pubica, in direzione bas-
so a 45°-dietro, con l’idea di
andare verso l’ano.
Seguite l’orientamento della sinfisi e quando trovate la barriera tissutale potete
lavorare con la vibrazione oppure con la cinetica spontanea. Se lavorate con la
cinetica spontanea sentirete che a un certo punto parte un movimento, lo seguite,
entrate più in profondità nei tessuti, still point, vi fermate, riparte il movimento, piano
piano entrate in profondità…. l’obiettivo è quello di entrare e di sentire che dopo 3-4
still point il tessuto alla fine cede.

Legamenti pubo-prostatici
Questi legamenti sono meno accessibili perché stanno in profondità, tra la prostata e la parte inf della sinfisi
pubica. Qui dovete essere precisi nel contatto. Chiedete al Pz di prendere i testicoli e con le dita della mano
caudale entrate subito dietro lo scroto sul centro tendineo.

centro tendineo
Se siete un po’ più sgamati potete arrivare sub-
ito sul centro tendineo, è questione di pratica,
senza stare a chiedere al Pz di tenere i testicoli.
In quel momento dovete togliere la corteccia
cerebrale e far lavorare la mano, diretta, precisa.
Se la mano è precisa il Pz capisce che è un ap-
proccio medico. Si può preparare il Pz dicendo-
gli “Senta, devo metter la mano sul pavimento
pelvico per vedere i legamenti con la prostata”.
Se invece siete esitanti create dell’imbarazzo.

268
Bisogna andare leg-
germente sotto il
punto di biforcazione
dell’osso, dove ci sono
le due branche ischio-
pubiche. Attenzione
a non sconfinare con
le dita verso l’ano (le
dita potrebbero scom-
parire!).

Mano craniale, è nella stessa posizione dei leg pubo-vescicali. Le due mani hanno l’obiettivo di incontrarsi a
metà strada.
Entrate nei tessuti molli con entrambe le mani fino ad arrivare ad un
punto in cui sentirete che comprimendo davanti con la mano craniale
avrete una corrispondenza sull’altra mano e viceversa comprimendo
con la mano caudale sentirete una corrispondenza sulla mano craniale.
A quel punto lavorate sulla cinetica spontanea, sentirete che le mani
hanno ingaggiato un tessuto, e piano piano dovete sentire che il tes-
suto si detende e che le mani cercano di incontrarsi. Più in profondità
andate e meglio è.

Filippo dice che nelle prostatiti batteriche questa tecnica, parallelamente al trattamento farmacologico,
dà ottimi risultati, perché migliora la circolazione. Bonetti sottolinea poi che l’osteopatia è nata per curare
questo tipo di patologie (difterite, infezioni batteriche..), non è nata per il mal di schiena. Quindi l’Osteopatia
cura delle malattie che in primo luogo sono per es dismetaboliche e che in secondo luogo si manifestano
sulla struttura ossia sull’apparato muscolo-scheletrico. L’Osteopatia attraverso la struttura riequilibra un pro-
cesso interno (che può essere batterico, immunitario, infiammatorio etc) …… tutti discorsi che avevamo fatto
sulla tensegrità, sulla matrice extracellulare…. se non capite questo continuerete a fare i fisioterapisti e non
gli osteopati.

Sacca retto-vescicale
Penso ad un problema della sacca retto-vescicale quando il Pz riferisce di andare spesso al bagno, oppure di
soffrire ogni tanto di cistite, o di avere problemi di vescica.

Test di pressione
Pz supino con le gambe piegate. L’Osteopata entra con le dita della mano craniale nel 2º solco/fossetta, con
direzione verso dietro a 45°. Se siete precisi sentite che una volta entrati nel solco le dita vanno automatica-
mente nello scavo, sono accolte in una cavità, c’è una sorta di scivolo naturale. Il test è positivo se si sente che
nella zona non c’è per niente elasticità, la consistenza è duro-plastica, come se ci fosse un pezzo di legno, di
269
legno verde. Non è normale che in quella zona ci sia una struttura dura, per cui significa che ci sono degli ac-
collamenti, probabilmente delle fibrotizzazione e il nostro obiettivo è quello di ridare elasticità.

Normalizzazione di una sacca retto-vescicale


Stessa posizione del test di pressione. A quel punto lavorate con la cinetica spontanea oppure con la vi-
brazione avendo l’obiettivo di entrare sempre di più nello scavo. Infatti a volte si creano degli accollamenti tra
vescica e retto a causa di fenomeni infiammatori che possono dare dei problemi sia alla vescica sia al retto. Vi
ricordo che posteriormente sulla vescica ci sono le vescicole seminali, che producono una parte dello sperma.
Se quelle non funzionano gli spermatozoi non fanno festa! Anzi il Pz può avere problemi di sterilità. Quindi
queste tecniche si utilizzano ogni volta che ci sono dei problemi funzionali sugli organi del piccolo bacino:
problemi al retto (emorroidi, defecazione, incontinenza fecale), problemi alla vescica (cistite, incontinenza
urinaria), problemi della prostata, delle vescichette seminali, dell’uretra… Vado ad indagare questa zona
quando oltre ai sintomi riferiti dal Pz ho una positività al test dei 9 quadranti sull’ipogastrio oppure sulle fosse
iliache oppure sul pavimento pelvico. Dovreste inserire sempre di prassi nei vostri test il test sul pavimento
pelvico. Per es quando testate il sacro con il Pz prono dovreste testare anche il pavimento pelvico, perché
quest’ultimo può andare in disfunzione per problemi viscerali ma può anche mantenere disfunzioni strut-
turali per es sull’iliaco o sul sacro. Se normalizzate un sacro ma non riducete una disfunzione sul pavimento
pelvico è probabile che il sacro torni così com’era.
Loggia prostatica
È composta da 2 porzioni: una ant e l’altra post (=spazio
retto-vescicale retroprostatico nell’immagine). Per la
porzione ant il repere, il test e il trattamento è identico
a quanto abbiamo fatto per i leg pubo-prostatici. Per
quanto riguarda la porzione post utilizzeremo come
punti d’accesso la sacca retto-vescicale (cioè il 2º solco a
partire dal pube) e il rafe mediano del perineo.
Il test di pressione è positivo se sento tutto un “mat-
loggia tone”: infatti se ci sono problemi di prostata, ipertrofia,
prostatica adenomi, esiti di operazioni… sentirete che il tessuto è
POST proprio duro, legnoso. L’obiettivo del nostro trattamen-
to è di ridare elasticità e ammorbidire i tessuti.

270
Test di lateralità di vescica e retto
Reperite il 1º solco e vi trovate sul tetto della vescica, spostate le dita lateralmente e sentite che entrano ai
lati di una struttura che è la vescica. A questo punto fate un test di lateralità: spostate la vescica verso dx e sin
e sentite dove ha tendenza ad andare con facilità.
Reperite il 2º solco (nel maschio) e vi trovate sul retto, fate piegare molto le gambe al Pz oppure le sostenete
voi, andate in profondità lateralmente alla struttura, dovete quasi arrivare sulla parete post e a quel punto fate
un test di lateralità.

test di lateralità di vescica e retto


Riduzione di una disfunzione di lateralità di vescica o retto
Tecnica diretta contro la barriera tissutale: se il tessuto non va verso dx lo porto con la direzione, quando non
ci va più mi fermo e aspetto fino a quando il tessuto si ammorbidisce di nuovo e mi permette di guadagnare,
poi trovo una nuova barriera tissutale, mi fermo e aspetto, guadagno di nuovo…
Tecnica di aggravamento: porto il tessuto dove vuole andare, aspetto, parte un movimento che mi porta
verso la normalizzazione e accompagno il tessuto verso la normalizzazione.
Cinetica spontanea: se l’organo non va per es a sin, mi posiziono con le dita sull’organo e aspetto che parta
un movimento spontaneo, lo seguo fino al 1º still point, le tensioni di allentano e procedo così per altri 3-4 still
point. Alla fine rifaccio il test di lateralità e devo sentire che il tessuto è libero e va verso sin.
Molto spesso potete trovare questa
situazione in un Pz maschio: la vescica
va bene per esempio verso dx e il retto
va bene verso sin, per cui sono messi
così, un organo tira da una parte e l’altro
tira dall’altra. Questo succede perché le
lamine che stanno lateralmente a ques-
ti organi sono interconnesse tra di loro
da tessuti fibrosi, per cui a seconda di
dove sono le disfunzioni tissutali pos-
sono avere vari tipi di disfunzione.

Posso anche lavorare sulla normalizzazione della disfunzione


utilizzando una tecnica diretta + gli arti inferiori del Pz: se
l’organo per es non vuole andare a sin, lo porto a sin, mentre
porto le gambe del Pz verso dx. Oppure porto l’organo a sin
e poi muovo le gambe nelle direzioni che mi aiutano ad al-
lentare le tensioni. Alla fine rifate il test e dovete sentire che
il tessuto è libero.

271
sem 5

Fasce del piccolo bacino_femmina


Schema delle zone da trattare:
sono le stesse del maschio e il trat-
tamento è identico. Le differenze
cominciano con gli scavi.

Scavo vescico-uterino
Gli scavi vescico-uterino e utero-
rettale hanno un orientamento
leggermente diverso e quindi
anche la mano dell’Osteopata è
inclinata in modo diverso.
Repere dello scavo vescico-
uterino: 1ª fossetta, la mano va
verso la profondità in direzione
ant-post, passando sul tetto
della vescica (si può chiedere
alla Pz di piegare le gambe per
rilasciare le tensioni addominali), ad un
certo punto le dita incontrano una zona
di maggior resistenza, che corrisponde
alla parete dell’utero. Qui devo cercare
grosso modo un incavo (dipende se la
vescica è piena o vuota) e con le dita mi
infilo in questo scavo. È un lavoro con
scavo vescico-uterino una direzione abbastanza ant-post.
metodo Bonetti Se sentite subito duro significa che lo scavo è in dis-
funzione. Come tecniche di riduzione potete fare:
1. cinetica spontanea
2. vibrazioni
3. metodo Bonetti (con due mani)

272
Scavo vescico-rettale
È lo scavo del Douglas ed è uguale al maschio.
Repere: 2° fossetta partendo dal pube

Leg utero-sacrale
utero Vanno dalla parte post dell’utero fino
al sacro, sarebbero la parte post delle
lamine SRGVP.
Test
Mano caudale (in ascolto), sul sacro
mano craniale (mano attiva), 2° fos-
sacro setta > con le dita vado lateralmente
per prendere lateralmente
l’utero e poi faccio un mo-
vimento di lateralità e tor-
sione. Quando muovete
l’utero in questo modo se
c’è una tensione su un leg
utero-sacrale (quindi il test
è posit) sentite che il sacro
immediatamente segue
(ossia viene in avanti).

lateralità
+ torsione
sull’utero

risposta altro
immediata lato
sul sacro

Come tecnica di riduzione potete fare:


1. tecnica di vibrazione (= tecnica per le lamine)

vibrazione

273
tecnica diretta 2. tecnica diretta sul utero:
metto in tensione contro la
barriera tissutale, aspetto,
sento il rilasciamento dei
tessuti, metto in tensione
contro una nuova barriera
tissutale…
aggravamento 3. tecnica di aggra-
vamento: comprimo
verso l’aggravamento,
aspetto, sento il rilas-
ciamento dei tessuti,
comprimo di nuovo,
aspetto….

Siccome questo è un legamento fibro-muscolare dovrò indagare anche il sistema ortoS, perché avevamo
detto che nelle fasce i miofibroblasti, ossia le cellule muscolari lisce disperse nel connettivo e in alcuni lega-
menti (come gli utero-sacrali o i pubo-vescicali), sono innervati dall’ortoS. Dovrò quindi controllare se ci sono
disfunzioni del sacro, delle vertebre lombari… che possono mantenere una stimolazione dei gangli. Levo
le disfunzioni e posso poi procedere con una inibizione del sacro (quindi sui gangli sacrali) o delle vertebre
lombari (dell’ultimo tratto o, ancora meglio, di tutte).
membrana Leg cardinale
collo dell’utero otturatoria Va dal collo dell’utero come
un ventaglio alla membrana
otturatoria

Test
Mano caudale (in ascolto), rep-
ere della membrana otturato-
ria con il metodo classico.
Mano craniale, 2° fossetta >
prendo lateralmente l’utero, lo
sposto lateralm. Il test è posi-
membrana tivo quando, appena sposto
otturatoria 2° fossetta l’utero, sento che il dito pol-
> utero lice della mano caudale spro-
fonda dentro la membrana ot-
turatoria (sento la membrana
che tira verso l’interno). Invece
la risposta fisiologica è che
dopo un po’ il dito sprofondi
dentro.

274
Ricorda: questo legamento è
in disfunzione quando la sen-
sazione è immediata, quando
è un tutt’uno tra mano cra-
niale e mano caudale (manca
l’elasticità).
Il leg cardinale in realtà non
prende solo la membrana ot-
turatoria. Questo leg va dal’in-
terno della membrana ottura-
leg cardinale toria poi si dirige a ventaglio
verso dietro e si disperde nelle
lamine. Però il leg cardinale è
accessibile in un punto sulla membrana otturatoria, punto la cui tensione si può testare. Si sfrutta la mem-
brana otturatoria per sentire questo punto: se nel momento in cui si sposta l’utero, il dito va subito dentro,
significa che c’è una tensione e il test è positivo.

mano
caudale_ascolta

mano craniale_trasla lateralm l’utero


In caso di cicatrici (parto cesareo) bisogna lavorare anche tutta la zona della cicatrice, i tessuti, ma sostan-
zialmente la tecnica per defibrotizzare il leg cardinale rimane la stessa.
Tecniche di riduzione della
disfunzione:
1. rebound (una sorta di…):
spostare l’utero e appena si
sente la membrana che va
internamente si toglie il pol-
rebound lice dalla membrana

tecnica diretta 2. tecnica di aggravamento


3. tecnica sulla cinetica spontanea
4. tecnica diretta: si mette in ten-
sione l’utero, si aspetta, quando si
sente sulle mani che i tessuti cedono
si mette una nuova tensione, si as-
petta….

275
Loggia ovarica
C’è una fossetta dove la mano va quasi tranquil-
lamente: questa è la loggia, ma non è detto che
dentro ci sia l’ovaio, perché quello può stare dap-
pertutto. Comunque si lavora la zona sperando
che dentro ci sia l’ovaio.

loggia ovarica

Tecniche di riduzione della disfunzione:


1. tecnica sulla cinetica spontanea: con le due mani
andate in profondità e poi seguite la cinetica
2.tecnica sulla cinetica spontanea con contrappog-
gio ischiatico:
mano craniale, sulla loggia ovarica
cinetica mano caudale, sulla tuberosità ischiatica.
spontanea

loggia Reperite la tuberosità


ovarica ischiatica e rimanendo
aderenti all’osso (per
ovvi motivi) andate,
come avete fatto per
tuberosità altre tecniche, in pro-
ischiatica fondità come per far
incontrare le due mani.
Quindi con la mano caudale sprofondate nel pavimento pelvico e con la
mano craniale ingaggiate la lotta ovarica. Dopo aver compresso tutti i tessuti
loggia ovarica dal lato craniale e caudale fate la tecnica sulla cinetica spontanea e lavorate
tutta l’area. Il test è positivo quando si sente il tessuto duro. Tutte queste
zone quando sono positive danno immediatamente una sensazione legno-
tuberosità sa, sembra di andare a toccare un legno verde: è duro, ma un duro strano.
ischiatica

276
Leg sospensore dell’ovaio (o appendico/cieco-ovarico a dx e sigma-ovarico a sin)
Potete fare repere e trattamento come avete fatto nelle lezioni di viscerale. In alternativa:
mano craniale, sulla loggia ovarica (punto fisso)
mano caudale, trovate e inglobate il cieco e il colon ascendente, andate in profondità e spostate il colon in
alto-fuori, per sentire se c’è elasticità o tensione.
leg sospensore dell’ovaio
loggia cieco e colon ascend
loggia ovarica
ovarica
1° possibilità 2° possibilità
A sinistra fate la stessa cosa prendendo il sigma (l’Osteopata è a sin del Pz):
mano craniale, sulla loggia ovarica (punto fisso)
mano caudale, inglobate il sigma e lo spostate, per sentire se c’è elasticità
Oppure usate la presa che avete fatto in viscerale
loggia ovarica sin
sigma

altra possibilità
Leg ovarico
È un legamento teso tra utero e ovaio. Repere:
mano caudale, sulla loggia ovarica (punto fisso)
mano craniale, 2ª fossetta, utero. Spostate l’utero lateralmente e sentite subito se c’è tensione oppure no in
quella zona.

leg ovarico
utero
loggia
ovarica

leg rotondo
Leg rotondo
È un legamento che lascia
il canale inguinale, esce
nella porzione più medi-
ale del leg inguinale e si utero
inserisce sui tubercoli pu-
bici. Repere:
mano caudale, dal tuber-
colo pubico prendete la leg rotondo
porzione più interna del
leg inguinale, dove c’è an-
che leg rotondo
mano craniale, sull’utero in profondità, fate un movimento di lateralità e rotazione verso il legamento.

277
Se con le dita della mano
caudale siete sul punto gius-
mano caudale (in ascolto) to, sentite scorrere/“tirare”
qualcosa sotto le dita (sia
nella fisiologia che in disfun-
zione).
leg rotondo

mano craniale_direzione dell’impulso per il test

Il legamento si sente.
tira Il test è posi-
sub tivo quando, appena
ito spostate l’utero, si
sente una trazione.
leg
roto
ndo

Test di lateralità_vescica, utero e retto


Come nel maschio per fare il test sulla vescica > 1ª fossetta, si fan-
no flettere le gambe al Pz, si prende la vescica e la si sposta lateral-
mente. Direzioni dell’impulso: dx, sin e rotazioni.
Per fare il test sull’utero > 2ª fossetta, si va con le dita lateralmen-
te all’utero, si riflettono ancora di più le gambe del Pz e si va più in
profondità. Direzioni dell’impulso: dx, sin e rotazioni.
Per fare il test sul retto si flettono ulteriormente le gambe e si va
ancora di più in profondità. Le direzioni dell’impulso sono le stesse.

Mano caudale

retto

utero
vescica
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Domanda: inserzioni dell’asse aponeurotico centrale e anatomia
Risposta
In alto: tubercolo faringeo dell’occipite (e porzioni laterali), fascia iterpterigoidea, tutta la parte che sta da-
vanti ai condili occipitali, quindi quando tira (dato che sta davanti alla linea di gravità), porta l’asse posturale
in anteriorità

Collo: fasce viscerali profonde (ipofaringe, esofago)


Torace: pericardio, pleure, legamenti pericardici e pleurici (mediastino), centro frenico
Addome: peritoneo, soprattutto le porzioni centrali come il piccolo epiploon, i leg gastro-frenico, freno-
colico dx e sin, il mesentere
Piccolo bacino: la porzione di peritoneo che sta sopra l’utero e la vescica, lo scavo retto-vescicale (ossia del
Douglas), lamine SRGVP
In basso: pavimento pelvico
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fasce viscerali profonde
pericardio, pleure

il peritoneo sopra
leg gastro-frenico, l’utero e la vescica
freno-colico dx e sin
lamine SRGVP

L’unica cosa fatta bene del libro di Paoletti è la descrizione dell’asse aponeurotico centrale.

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