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Simone Forti

1955. Inizia a studiare con Anna Halprin, il


quale, invece della tecnica abituale della
modern dance, propone esercizi basati
sulle nuove idee della sua insegnante
riguardanti l’improvvisazione. Si tratta di
esplorazioni del corpo per comprendere la
qualità e le svariate possibilità della
dinamica motoria.
Una particolarità del lavoro sul corpo
inaugurato dalla Halprin e che influenza
senza dubbio la Forti, riguarda l’utilizzo
del senso cinestesico come fattore
scatenante la danza. Per la Halprin un
danzatore deve affinare il sistema
percettivo e rendersi cosciente dei
meccanismi cinestesici; il altri termini,
deve imparare a muoversi con
consapevolezza e a stabilire un’empatia
con le cose e le persone che si trovano
nello spazio. Le lezioni della Halprin si
svolgono su una piattaforma all’aperto che
ingloba anche alberi. Il danzatore è in
stretto rapporto con la natura dalla quale
può ricevere gli impulsi al movimento e
nello stesso tempo più agilmente si può
percepire in relazione alle sue attività
primarie, quali correre o camminare.
Affinché l’improvvisazione non risulti come
un moto confuso dell’istinto o un atto
ripetitivo delle stesse situazioni, ma come
un operazione ordinata da regole a cui
rispondere soggettivamente attraverso
associazioni cinestesiche.
Vi si evidenziano elementi fondanti il
nuovo pensiero sulla danza e che
risultano costanti negli eventi scenici futuri
della Forti: la trasformazione dei luoghi
quotidiani in spazi della performance
( cantieri, strade, aeroporti), la scelta di
vestire abiti di tutti i giorni, l’apertura della
danza a qualunque gesto della vita, la
coesistenza di artisti di diversi campi nello
stesso evento e nella creazione collettiva
che lo presiede, quali danzatori
professionisti e amatoriali, musicisti, attori.
Anche l’incontro con Robert Dunn furono
decisionali alle sue teorie, una maggiore
insistenza delle regole date, che sono più
stretti e definite, meno flessibili, una
definizione di esse determinata dal caso
( per estrazione a sorte) e un uso effettivo
dell’improvvisazione anche nel momento
dell’esibizione di fronte al pubblico.
La forti assume elementi dell’esperienza
con entrambe e li mescola per iniziare un
suo lavoro personale. In particolare, della
Halprin fa propria la coscienza
cinestesica, che le permette di tradurre
nell’immediato gli impulsi del mondo fisico
con il quale si relaziona, producendo
un’esperienza estetica a partire da un
materiale ordinario, quale, per esempio gli
alberi, le foglie.
Di Dunn eredita la coscienza
dell’improvvisazione in modo chiaro e
preciso entro uno schema a cui attenersi,
un modo sicuro per orientarsi, ma
condizionato al suo interno a continue
mutevolezze casuali per l’intervento
dell’elemento soggetto che conferisce
libertà creativa e imprevedibilità.
Acquisisce inoltre l’idea dello spettacolo
come vera e propria forma
d’improvvisazione.
Quel che è certo è che le danze della Forti
non intendono mai veicolare messaggi
narrativi o psicologici e che il loro
contenuto non si esprime mai in termini di
rappresentazione, quanto piuttosto di
motion. Osserviamo concretamente un
caso più complesso delle camminate, cioè
il processo di ricerca sul movimento
compiuto a partire dalle osservazioni degli
animali dello zoo. Fondamentale è il
percorso che la porta a tradurne con il
proprio corpo le movenze dell’animale.
Ella inizia a osservare le bestie: prende
note sui loro atteggiamenti e ne disegna le
posture. Ma non sempre riesce a seguirne
le forme con la matita, rischia di perdere
qualche momento. Perciò, abbandonato il
quaderno, inizia a imitare gli animali
nell’atto di muoversi, come dinanzi a uno
specchio. La traduzione dello stimolo in
movimento, successivo alla base
dell’osservazione, segue alcuni passaggi,
quali l’empatia con l’oggetto e la verifica
sul proprio corpo di taluni elementi, non
l’imitazione naturalistica di essi. Il
processo avviene attraverso
un’esplorazione immediata: l’artista parte
da un’immagine osservata, si fa investire
da una sua particolare qualità, a cui lei è
più sensibile in quel preciso momento, ed
essa orienta il movimento del corpo, in un
gioco di scoperta delle forze messe in
atto. Una volta imitata a specchio allo zoo
la dinamica l’artista passa in sale prove.
La Forti sperimenta molto su di sé. In
questo modo può capire alcuni
meccanismi corporei dell’animale e
scoprirne le sensazioni. La scelta
dell’oggetto d’analisi, oltre a nascere
dall’attitudine dell’artista a cogliere gli
stimoli esterni che la orientino
nell’esplorazione di un nuovo vocabolario
di danza e alla ricerca di un movimento
naturale, risponde anche al
riconoscimento di un atteggiamento degli
animali simile a quello del danzatore; in
alcune bestie vi è la capacità di compiere
giochi cinetici con variazioni che alleviano
il disagio nello spazio chiuso della gabbia
in cui si trovano.
La forti identifica nell’animale un
comportamento di danza. C’è di più.
Riconosce negli orsi e negli elefanti che
osserva allo zoo dei veri danzatori:
Non era la bellezza del movimento a farmi
dire che stavo guardando una danza, ma
l’atteggiamento interiore dell’animale.
L’atteggiamento interiore proviene dalla
relazione del movimento con tutti gli altri
aspetti della vita dell’individuo.
HOME BASE
In home base si applica concretamente la
poetica della Forti. L’opera è presentata
nel novembre del 1979 e rappresenta la
tappa culminante di un percorso di ricerca
con il compositore musicista Peter Van
Riper. I due lavorano insieme insieme
secondo una modalità d’improvvisazione
su materiali prestabiliti. Prima di ogni
sequenza laboratoriale in sala prove la
Forti imposta l’attività su una serie di
movimenti che le interessa esplode. Van
Riper su una composizione o una
sequenza di suoni. La danza e la musica
si sviluppano per tappe separate e
comuni: gli elementi che emergono
possono coesistere, influenzarsi e
mescolarsi. I materiali sono lavorati fino a
che entrambi gli artisti arrivano a una fase
molto avanzata dell’esplorazione. Questo
momento coincide con la performance.
Per la danzatrice l’opera resta aperta a
possibilità nuove di investigazione anche
di fronte allo spettatore: si possono
effettuare cambiamenti fondamentali
all’ultimo momento, si può mutare l’ordine
delle parti della composizione, è possibile
introdurre nuovi elementi, eliminarne altri.
L’improvvisazione, dunque, è in Simone
Forti sia la modalità del processo creativo
in sala prove sia della performance in
pubblico. Ella afferma che per diventare
un abile improvvisatore è necessario
conoscere bene la materia che in quel
momento ispira il movimento.
In genere il pubblico è disposto a
semicerchio o a ferro di cavallo, in modo
da avvolgere la performance e creare uno
spazio delimitato. L’intenzione della Forti è
che lo spettatore non veda l’evento solo
con gli occhi, ma percepisca la
sensazione cinestesica del movimento.
Uno dei 4 lati dello spazio di
rappresentazione è lasciato libero come
luogo di riposo per gli artisti, di inizio o
ritorno durante gli atti performativi.
Le parti che costituiscono Home Base
possono essere raggruppate e analizzate
a seconda delle tipologie motorie
investigate dall’artista con la
collaborazione del musicista.

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