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Isadora Duncan

Tutte le onde o i venti quanto gli animali si


muovono secondo parametri universali e
immutabili; per contro, l’uomo con la
cosiddetta civilizzazione ha perduto il
contatto con il filo rosso che unisce
l’universo e ha cominciato ad agire
secondo artificio, cioè, per la Duncan, in
modo disarmonico, innaturale, deforme.
Isadora Duncan, scrive che il corpo
dell’uomo di un passato molto lontano era
l’espressione armoniosa del suo essere
spirituale, era nudo, nel senso di non
corrotto dagli abiti indossati dalla moderna
società.
Compito del danzatore è ritrovare quella
dimensione gloriosa ( movimenti veri),
grazie a cui la gente dirà quella che
vediamo muoversi è un’anima, un’anima
che ha raggiunto la luce e trovato la
purezza. il ballerino è semplicemente la
manifestazione luminosa della sua anima,
il cui corpo danza in accordo con una
musica udita interiormente, in
un’espressione di qualcosa proveniente
da un altro mondo, più profondo.
La vera danza è un’espressione di
serenità, controllata dal ritmo profondo
dell’emozione interiore. L’emozione non
raggiunge il movimento dell’ebbrezza
grazie ad un’azione d’impeto, si dischiude
con una delicata lentezza. La duncan
ritiene che quando l’emozione è estrema
e acuta, entri in gioco l’io individuale, il
piccolo io umano troppo umano che non
consente il contatto con la pulsazione
unitrice del creato, si scade, cioè
nell’egocentrismo, nel narciso e nella
vanità che Edward Gordon Craig, suo
amante per un paio d’anni, detestava
nell’attore. La duncan esprime questo
concetto in maniera particolarmente
significativa riferendosi a Eleonora Duse,
ad un certo punto racconta è ferma in
scena e la spettatrice ha l’impressione di
vederla crescere fino a diventare di
un’altezza straordinaria, e quindi
commenta che in quel frangente la Duse
non è più solo la Duse, ma neppure il
personaggio rappresentato; è una
meravigliosa dea senza tempo, una
presenza divina. Questa è la più alta
espressione religiosa nella danza: l’essere
umano non dovrebbe sembrare umano
ma trasformarsi nei movimenti delle stelle.
Detto in altri termini il risultato della Duse
è eccelso in quanto riesce talmente ad
abbandonare il proprio io privato, da far
percepire anche agli spettatori il suo
essere in contatto strettissimo con l’anima
mundi.
Per lei, la tecnica non ha senso se non è
lo strumento attraverso cui si esprime una
poetica: ogni altro uso è inutile e stupido.
Se critichi la tecnica accademica non è
per partito preso, ma in quanto, a suo
parere, è l’espressione della corte
secentesca in cui è stata inventata, ossia
di valori che oggi non condividiamo,
sicché nel 900 è svuotata di senso ed è
diventata mera decorazione. Mentre
secondo lei il bambino molto piccolo è
ancora capace di movimenti naturali,
come gli animali o i selvaggi.
Siccome è il corpo lo strumento che
consente di percepire la forza cosmica, la
Duncan ritiene fondamentale che esso sia
quanto più libero possibile, sicché sceglie
di lavorare indossando tuniche leggere,
molto comode, e inoltre a piedi nudi al fine
di attivare il necessario contatto con la
terra.
Il danzatore ideale è una creatura simile
alla divina marionetta di cui Heinrich von
Kleist parla, mossa a partire da un unico
impulso superiore, il quale imprime al
movimento un carattere di aggraziata e
fluida armonia, un un’azione attivata da
stimoli diversi e simultanei, causa di un
apparato fisico diviso e a pezzi.
Il movimento deve nascere da dentro, non
dall’imitazione di una forma esteriore; è
questo a rendere le danze della Duncan
tanto amate da un regista come
Stranislavsky, il sostenitore di un attore
immedesimato ossia partecipe
emotivamente dei sentimenti del
personaggio affidatogli.
L’artista in conclusione, non interessa
tanto addestrare danzatori, quanto uomini
e donne, che si lasci formare un
bell’essere umano, piuttosto che uno
specialista. afferma anche di voler creare
una scuola di vita, a partire dalla
convinzione che un lavoro sapiente sul
solo sia una modalità centrare di
costruzione di individui sereni, vitali, liberi,
creativi e nel contempo eticamente sani
che l’arte e la musica siano indispensabili
come l’aria e il pane, perché l’arte è il
pane spirituale dell’umanità.

Se il movimento è definibile come


essenziale nelle prime opere, dove resta
basilare un carattere dinamico o
un’alternanza di passaggi animati e di
momenti più quieti, col tempo l’azione va
vieppiù assottigliandosi e rarefacendosi
fino a trasformare le ultime danze
monumentali in gravi assolo “ minimalisti”,
quasi privi di movimento, in cui si
riconosce, almeno in un paio di casi, un
canovaccio ricorrente: con lentezza
l’artista si solleva da terra in piedi, e alza
le braccia verso il cielo. L’essenzialità è
sempre più accentuata.
Un evento tragico porta a una scolta
radicale: nel 1913 muoiono in auto i due
figli ancora piccoli della Duncan, un
dramma che la prostra impedendole di
danzare per diverso tempo. Quando nel
1914 riprende l’attività professionale,
diviene rilevante il tema religioso, come si
verifica nel pezzo sull’Ave Maria di
Schubert. Una spettatrice ne offre una
descrizione toccante in occasione di una
serata del 1927, poco prima della tragica
fine dell’artista, strangolata dalla sua
sciarpa, impigliatasi in una ruota dell’auto
sulla quale stava viaggiando.
Colpisce il minimalismo di questa
coreografia, che va a investire il
movimento del corpo oltre che gli altri
essenziali principi scenici. Gli eventi
spettacolari duncaniani sono essenziali
infatti fin dal principio relativamente al
costume ( come anticipato una tunica
leggera fluente e morbida) e alla
scenografia ( un fondale a tinta unita).

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