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IN PRINCIPIO ERA LA DANZA : LA DANZA COME VALORE NELLA STORIA UMANA 17

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In principio era la danza:
la danza come valore
nella storia umana
Milena Garofalo

La danza non è solo l’espressione e la celebrazione della


continuità organica dell’uomo con la natura, è anche
realizzazione della comunità viva degli uomini; è un modo totale
di vivere il mondo: è insieme conoscenza, arte, religione.
ROGER G ARAUDY

La danza è sempre esistita, fin dal principio della vita umana, nella storia dei
popoli come nella storia dell’individuo. Ciò deve portarci a riconoscerla come
un’attività umana antica, le cui radici profonde risiedono nella natura stessa dell’es-
sere umano. Essa nasce nel momento in cui viene creato il mondo. Secondo la
religione induista, il dio Siva crea il mondo nel corso di una danza sacra, il cui ritmo
permette all’universo di nascere, evolversi e conservare il proprio equilibrio. Un
inno sacro dell’India descrive la divinità indù come «il dio danzatore che, simile al
calore del fuoco quando avvolge la legna, irradia il suo potere nello spirito e nella
materia, e travolge anche loro nella danza» (si veda la figura 1.1). Anche per i cinesi
l’armonia del cosmo ha origine da una danza: l’universo stellato è il palcoscenico del
movimento rappresentativo dei pianeti e degli dei. Il filosofo e poeta ellenico
Eraclito sosteneva, all’alba del pensiero greco, che il mondo fosse un «fuoco che si
accende e si spegne a tempo»; movimento e ritmo consentono l’ordine cosmico. La
tarda teologia ebraica e persino il cristianesimo, complice della «morte» della danza,
pensavano che angeli e giusti danzassero attorno al trono di Dio. Nella Bibbia si
riconosce «un tempo per danzare» (Ecclesiaste 3, 4) e il re Davide «danza con tutte
le forze davanti al Signore», «salta e danza» (2 Samuele 6, 12-23).
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Curt Sachs, musicologo tedesco (1881-1959), definisce la danza come la


«madre di tutte le arti». Nessun’altra forma d’arte ha confini così ampi: essa
coinvolge il corpo, la mente, l’anima, il bisogno e il desiderio di danzare. Tutti i
confini che l’uomo ha stabilito nei tempi si dissolvono nel corso di una danza:
corpo e anima, espressione libera dei sentimenti, finalità utilitarie, socialità e
individualismo, gioco, lotta, culto e spettacolo divengono un’unica cosa.
Nel corso dei secoli, tranne che per un intervallo di 2000 anni di storia
occidentale, i popoli hanno riconosciuto nella danza un importante strumento di
comunicazione e danzare ha significato, fin dalla notte dei tempi, esprimere, con
la massima intensità, il rapporto dell’uomo con la natura, con la società, con la
religione. La danza è innanzitutto preghiera, sacrificio, devozione, riconoscenza,
rito. L’uomo danza di fronte a ciò che è misterioso, ignoto, soprannaturale,
poiché è l’unico mezzo che ha a disposizione per entrare in contatto con ciò che
non comprende. Le parole possono spiegare solo i semplici e comprensibili
avvenimenti della vita quotidiana, ma non le cose sconosciute. Se potesse espri-
merle verbalmente, non avrebbe il bisogno di danzarle.
La storia della danza racconta la storia della cultura e dei costumi di un
popolo; l’uomo danza per sentirsi parte del proprio gruppo etnico, sociale e
culturale. L’esploratore Livingstone racconta che il Bantu, incontrando uno
straniero, non gli domanda «Chi sei?» ma «Che cosa danzi?», perché per l’africano
quello che l’uomo danza è la sua tribù, il suo costume, la sua religione, i grandi
ritmi umani della sua comunità.
Nelle civiltà primitive, gli uomini danzavano tutti i passaggi della propria vita:
nascita, circoncisione, iniziazione, nozze, malattia, morte, ma anche lunazioni,
semina e raccolto, caccia e guerra, onoranze ai capi, vittoria e conclusione di
pace. Tutto diveniva il soggetto di danze rituali.
È possibile distinguere due generi di danza che hanno accompagnato l’uo-
mo nell’evoluzione della sua vita: la danza astratta e la danza imitativa. La prima
si pone al servizio di un’idea, di un fine religioso. Essa tende a raggiungere uno
stato di ebbrezza nel quale il danzatore trascende l’umano e il sensibile e, liberato
dal suo Io, acquista il potere di partecipare agli eventi che governano il mondo. La
danza estatica si esprime nella forma di un cerchio magico dove la forza di coloro
che stanno all’esterno passa alla persona posta nel centro o, viceversa, da questa
a coloro che la circondano. In alcune danze di guarigione, il malato viene deposto
nel centro del cerchio, mentre i danzatori, raggiungendo lo stato di estasi,
dominano lo spirito del male e lo cacciano via. Nell’Australia nord-occidentale,
presso alcuni popoli non cacciatori, gli uomini danzano attorno a un mucchietto
«magico» di sassi per invocare piogge abbondanti e assicurarsi nutrimento, sia che
raccolgano frutta selvatica sia che coltivino il suolo. In Africa le danze di iniziazio-
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Fig. 1.1 Scultura di divinità indiana.


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ne mirano ad accrescere l’energia sessuale della ragazza all’interno del cerchio,


necessaria per assicurare alla tribù una «sana discendenza».
Presso tutti i popoli la danza è protagonista dei riti di iniziazione degli
adolescenti. In California, la ragazza alla sua prima mestruazione deve danzare
senza fermarsi, mentre un indiano Pawnee dell’America del Nord non viene accolto
nella cerchia degli uomini se si stanca di danzare. La danza è anche al centro delle
nozze e può esprimere il passaggio degli sposi da uno stadio della vita a un altro, la
trasmissione dell’energia sessuale per la nascita di nuovi componenti nella tribù
oppure avere una «finalità catartica». Nelle danze funebri astratte, spesso i danzatori
ruotano attorno al defunto e ancora oggi in Danimarca parenti e amici danzano
intorno alla bara. Le danze di guerra servivano sia a infondere coraggio ai combat-
tenti sia a spaventare il nemico. A danzare erano gli stessi guerrieri oppure le donne
e le fanciulle rimaste a casa, con l’intento di proteggere i loro uomini.
Nelle danze imitative, gli uomini tendevano, invece, a rappresentare e
imitare gli avvenimenti desiderati per assicurarsi la loro realizzazione. I popoli
primitivi danzavano alcuni momenti della caccia e della battaglia, così come il
giungere delle piogge per garantirsi raccolti abbondanti. Il danzatore è posseduto
dal suo ruolo: egli diviene l’individuo, l’animale, lo spirito, il dio che raffigura. Il
soggetto che sceglie si impadronisce del suo corpo, cosicché possa agire come
questo agirebbe. Tra le tribù indiane d’America, quando il danzatore-aquila
indossa il suo costume e inizia a ballare, non rappresenta semplicemente il
rapace, ma diviene egli stesso il rapace. Divenire il soggetto che si rappresenta
permette all’uomo di controllarlo, sottometterlo, sconfiggerlo, impadronirsi del
suo potere magico.
Il nostro attuale stile di vita riserva poco o nessuno spazio alla danza. Il
musicologo tedesco Curt Sachs sottolinea come la danza oggi sia distante dai vari
momenti della nostra esistenza e in particolare evidenzia come ormai manchino
le preghiere danzate, ma ci rassicura sostenendo che «ciascuna civiltà racchiude
ancora in sé, come germe spirituale, la nozione sacra che danza è ogni movimen-
to soprannaturale e sovrumano» (Sachs, 1933). Attraverso il corpo, i gesti e le
danze, l’uomo ha potuto esprimersi, comunicare, conoscere se stesso e il suo
ambiente. Generalmente si riconosce che la danza sia nata con l’uomo: è nel
ventre materno che l’essere umano compie i suoi primi «passi di danza», e tutto
il percorso, fino all’incontro con il mondo, è una danza speciale. Nel suo libro
Storia della danza e del balletto, Alberto Testa (1994) cita alcune parole di un
antico libro cinese: «Nella gioia l’uomo pronuncia delle parole. Quelle parole non
sono sufficienti, le prolunga. Le parole prolungate non bastano, le modula. Le
parole modulate non sono sufficienti neppure esse; senza che se ne accorga, le
sue mani fanno dei gesti e i suoi piedi fremono». La danza ha comunicato e
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comunica ciò che è al di là del concetto e della parola, e nasce dal bisogno di dire
quello che non si riesce a spiegare.
Il coro della tragedia greca primitiva cantava e danzava ciò che non poteva
esprimere e trasmettere attraverso il mimo e la parola. Il gesto del mimo descrive
il concetto e la sua descrizione può essere facilmente traducibile in parole; il
movimento del danzatore lo proietta: «Il mimo è la prosa del linguaggio del
movimento, la danza è la poesia delle azioni corporee nello spazio», come
sottolinea Laban (1950). Proprio perché il suo linguaggio non verbale è autentico
e concreto, permette una comunicazione più sincera fra gli uomini.
La danza è inscritta nel profondo di ogni persona, appartiene all’uomo;
eppure oggi egli soffre di una profonda divisione all’interno del suo essere. A ogni
sua sezione — spirito, corpo, sesso, mente — sono riservati luoghi e tempi
diversi. Corpo, mente e spirito vivono realtà separate. L’uomo avverte la neces-
sità di recuperare il senso dell’unità, ha bisogno di ritrovare il rapporto con il suo

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