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Martha Graham

Prendendo le mosse di Delsarte e


sviluppandone i principi: il raggiungimento
di un corpo inteso come unità, come
organismo dalle parti interdipendenti.
Detto altrimenti: una corrente importante
della danza del 900 mira alla conquista di
un corpo totale ritenuta possibile da alcuni
dei suoi protagonisti, creduta illusoria ( ma
nel contempo mezzo di stimolo) per altri.
Ciò non costituisce un banale fine tecnico.
Alle sue spalle sta qualcosa di più:
l’incubo, proprio dell’uomo moderno, della
frantumazione dell’io, della schizofrenia,
della perdita di un centro. Il tentativo di
riedificare un corpo che sia davvero un
organismo e non una mera somma di
parti, riflette l’anelito a ritrovare, grazie al
gesto artistico, un nucleo psichico
indiviso.
Martha Graham non sfugge all’influenza
delsartiana, partendo dal presupposto che
la tecnica abbia solo uno scopo,
consentire al corpo di danzare in modo
significante, ella si mette a elaborarne una
di adeguata. Come già per la Stebbins, il
suo fondamento sta nell’atto che consente
la vita stessa, vale a dire il respiro, il quale
implica un movimento di espansione
( inspirazione) e uno di contrazione- nel
senso di riduzione e non di irrigidimento
(espirazione).
Strumento di irradiazione ne sono i
polmoni, ma tutto il busto obbedisce alla
dilatazione e al restringimento da essi
imposta.
Sullo schema di questo moto primordiale,
di questo incessante flusso e riflusso
originario dal busto, cavità in cui si
condensano le emozioni, si deve
impostare- secondo la coreografa
americana- l’azione del corpo intero.
Partendo dal centro, il movimento deve
ripercuotersi in successione sulle zone
periferiche, vale a dire sugli arti e sul
capo. In questo modo l’organismo diviene
una totalità, ogni parte del quale è
coordinata con le altre e dipende da un
fuoco centrale.
Quanto sin qui esposto rivela un aspetto
della poetica di Martha Graham: la danza
ha il compito di esprimere il viaggio
dell’anima, e l’immaginario che si annida
nella psiche, un territorio quanto mai
distante dalla nostra quotidianità, un
territorio, inoltre, che ineluttabilmente,
come insegna Freud, è connesso all’eros,
di cui la Graham si dichiara una devota,
che ritiene un ambito santo e sacro e da
cui molte sue coreografie sono
impregnate, come ella confessa: so che le
mie danze e la mia tecnica sono
considerate profondamente sensuali, ma
sono orgogliosa di mettere in scena i
pensieri giù nascosti della maggior parte
della gente. In ogni caso, la danza deve
portare fuori, l’assoluta unicità
dell’individuo.
Il grande danzatore, più di qualunque
altro, è. nella visione della Graham, colui
che riesce a far riaffiorare i ricordi del
passato più remoto nascosti nella
Memoria della specie e a renderli visibili
attraverso la struttura anatomica.
Perché questo accada, occorre aver
liberato la propria mente da un eccesso di
coscienza, obiettivo per raggiungere il
quale la Graham fornisce alcune
indicazioni quando insegna, per esempio,
che se tutta la nostra attenzione è rivolta
al raggiungimento di una posizione, di un
gesto o di una sequenza perfetti,
dimentichiamo qualunque altra realtà e
conseguiamo un’animalesca eccitazione-
un’avidità, che coincide con la
dimenticanza di sé. Solo in questo modo è
possibile eliminare il superfluo e
raggiungere l’essenziale, principio che
almeno in parte coincide con la memoria
ancestrale.
L’obiettivo non è di cercare il nuovo, ma
piuttosto di estrarre quanto già è in noi.
Spiega infatti la Graham: non si tratta di
mettere dentro qualcosa ma di tirarlo fuori,
posto che qualcosa ci sia. Credo che il
passato si possa trovare solo dentro di
noi. Non è un caso se molto spesso ella
sceglie per i suoi lavori soggetti tratti dalla
Bibbia o dal mito greco, ossia da storie
che condensano o racchiudono un
principio, un valore, una verità
appartenenti all’intera collettività.
L’obiettivo, come anticipato, è costruire un
corpo capace di muoversi a partire dal
centro per arrivare, in successione, alle
zone più esterne. A tal fine, occorrono
lavoro, tecnica, disciplina: l’obiettivo non è
frutto della spontaneità; prima di tutto, è
necessario allenare la macchina
anatomica a rispondere ai compiti richiesti
e, per questo, la Graham inventa una
nuova tecnica che si discosta, per alcuni
principi centrali, da quello del balletto.
Un cardine del metodo è l’uso del peso
del corpo: il modo in cui lo si sposta
diviene essenziale. Si tratta di percepirlo e
di impiegarlo utilmente ( ovviamente
lavorando a piedi nudi) per trovare il
contatto con il terreno, nonché per
prendere da terra la forza e lo slancio per
saltare o girare; non bisogna affatto
tentare di opporsi alla gravità come nella
tecnica accademica.
E’ QUESTA LA DIFFERENZA TRA IL
BALLETTO E LA DANZA
CONTEMPORANEA, IL MODO IN CUI SI
SPOSTA IL PESO E’ ESSENZIALE PER
IL MOVIMENTO.
Per quanto riguarda la scenografia, nulla
è ornamentale, ogni elemento
scenografico è impiegato in vari modi ed è
significante, come la stessa Graham
richiede: la sola cosa che domando è che
le scenografie, quali che siano, siano
usabili. Devono essere mobili; il altre
parole devono essere azione. Non voglio
nulla di decorativo, perché ciò lo
percepisco come la morte.
Anche per quanto riguarda il suono, ella
sostiene che il suono e la danza non sono
l’uno lo specchio dell’altra, ma l’uno, per
cosi dire l’accompagnare dell’altra,
ciascuno dei due elementi aggiungono
caratteri propri ed essenziali al lavoro
complessivo.
La musica ad ogni modo deve mettere a
fuoco il contenuto emotivo del movimento.
NIGHT JOURNEY
Il lavoro, come anticipa il titolo, rimanda al
tema del viaggio, un soggetto che sta a
cuore alla Graham: la metafora del
percorso, dell’itinerario, del pellegrinaggio
ricorre infatti nell’autobiografia, e si trova
spesso nelle sue coreografie.
Il rapporto con Edipo è naturalmente
centrale nella coreografia. Un luogo
importante della loro storia è lo sgabello,
sul quale avviene l’incoronazione e seduta
sul quale lei assiste al corteggiamento di
Edipo. Lo sgabello è quindi l’elemento
erotico.
In questa esibizione di potenza,
un’immagine ricorrente è costituita dal
piede nudo flesso, a mio parere simbolo
del fallo, esattamente come nell’Apres
Midi d’un Faune nizinskiano tale è la
mano del protagonista con il pollice
abdotto.
Come si capisce, restano alcuni punti
cardine: madre e figlio compiono un
incesto senza saperlo, il cieco e veggente
Tiresia li obbliga a prenderne coscienza,
una volta scoperto quanto accaduto,
Edipo si acceca e Giocasta si suicida.
Ciò che conta è il viaggio interiore, il night
journey compiuto da Giocasta, qui
divenuta la figura principale dell’itinerario,
di contro a quanto propone il mito greco. Il
suo percorso nei meandri notturni della
sua psiche è il soggetto del lavoro, assai
verosimilmente non lontano da un
cammino dentro le profondità più intime
della Graham, che come Giocasta
all’epoca della creazione dell’opera ha
una relazione con un uomo molto più
giovane di lei.
I personaggi sono piuttosto proiezioni di
Giocasta, non a caso presente in scena e
della sui psiche tutto il lavoro è la
rappresentazione.

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