filosofiche Wittgenstein ha dedicato mezza pagina al tema del gioco per dimostrare che non si sa esattamente cosa vuol dire giocare, facendo degli esami di giochi, come il gioco del bambino che lancia la palla contro il muro ( attività solitaria e senza regole) oppure una partita di scacchi tra due campioni ( determinata da regole precise), vien compreso anche il gioco che ha come fine il guadagno, come per esempio il casinò e via via ci si trova di fronte a una molteplicità di cose che chiamiamo gioco. Eco prosegue dicendo che noi italiani siamo ingannati dalla nostra lingua che ha una sola parola per definire il gioco, mentre l’inglese ne ha due: play ( è quello del bambino che gioca regole) e game ( è la sfida governata da regole). Andrea Cortellessa dice che, da Dostroevskij in poi, c’è chi gioca per perdere, segretamente o no, di conseguenza le applicazioni, come lo sport-spettacolo o il gioco d’azzardo, sono una forma di alienazione del gioco nella sua essenza. Umberto Eco replica dicendo che invece sono una forma di tradimento e immagina un bambino che tira una palla contro il muro e gioca, considerando un bambino che tira una palla da 30 metri e che ha un padre, come il padre di Mozart, che lo porta in giro per fare spettacolo per guadagnare denaro. Con questo esempio spiega come il gioco più disinteressato del mondo può diventare spettacolo. Anche in letteratura si può parlare di gioco, perché la narrativa è tutto un far finta. Per esempio, se si decide di leggere i Promessi Sposi è perché si fa finta che siano esistiti quei personaggi. E’ quella che Coleridge chiamava sospensione dell’incredulità, un fare finta che non equivale a mentire, perché tu ed io sappiamo che non è vero. E’, quindi, una sorta di simulazione convenzionale, non a caso quando leggiamo un romanzo ci distacchiamo dalla realtà per sognare immersi nelle sue pagine, proiettandoci nei personaggi. Nel 900 c’è stato un indirizzo preciso che ha enfatizzato l’elemento ludico. L’OULIPO, fondato nel 1960 da uno scrittore e da un matematico, i francesi dell’Oulipo abbracciano la cd. letteratura a costruzione, partono dal principio che bisogna darsi una regola, come nel game inglese. Ma AC ci ricorda che la costrizione è sempre stata, seppur in misura meno ostentata, tipica dell’arte, la differenza è che dall’Oulipo in poi la regola, più che uno strumento, diventa il fine. Anche l’esperienza di romanziere di Eco insegna quanto sia necessario imporsi delle costrizioni “ questo fatto deve avvenire nell’anno tale”, per esempio. questo obbliga a tenere la trama entro certi limiti, anche se non c’è una ragione per farlo. Padre Pozzi ha scritto cose meravigliose sui giochi a costrizione dei tempi greci come anche i poemi a centone, poemi dove l’iniziale di ogni verso, se letta di seguito, da una parola. Nel nome della rosa di UE, però, la faccenda è diversa, infatti esso rientra in quello che viene erroneamente chiamato postmoderno, un atteggiamento che in letteratura consiste nel giocare di citazioni, al limite del plagio, e anche di meta-narratività ( quando il narratore, mentre racconta, riflette sul romanzo che sta raccontando). Da Montale ( che giocava con le parole e non con le cose) a Raymond Roussel, che aveva teorizzato che i libri si costruiscono più attraverso combinazioni di suoni che attraverso referenti, anche UE, nel nome della rosa, gioca con i lettori, proponendo livelli di lettura diversi: il double coding: c’è un livello di lettura elementare, che può appassionare il lettore disattento, e poi ci sono altri livelli, ma non è una cosa inventata dalla modernità. Anche Sant’agostino propone una lettura della Bibbia per la quale, quando si parla di cose che sembrano sciocche, è perché si vuole dire un’altra cosa. Cosi Eco quando scrive: Guglielmo tira fuori gli occhiali e tutti i monaci lo guardano con stupore” non ci sta solo raccontando un evento/situazione, ma ci sta dicendo che gli occhiali erano stati inventati da poco e nessuno li conoscenza. Eco ci ha proposto la differenza tra play e game, Costellerà quella tra play e move, cioè da un lato c’è la regola o il sistema di regole, dall’altra c’è il gioco, cioè ogni move, una partita di calcio, ad esempio, le regole sono precise, ma nessuna partita è uguale all’altra. Allora è questa doppia articolazione che si è un persa, quando si parla di postmoderno forse si allude a questo, che ormai è un gioco finito.