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Sulla Marionetta

Oggi la marionetta attraversa il suo periodo più buio,


oggi noi ridiamo di lei perché non le sono che rimaste le
debolezze che ha preso da noi. Ma non avremmo riso
se l’avremmo vista nel suo fiore, nel tempo in cui era
chiamata a raffigurare il simbolo dell’uomo nella grande
cerimonia, ed era la più bella immagine della gioia del
nostro cuore.
Il regista russo Vsevolod sosteneva che non potesse
abbandonare la marionetta dopo quello che è riuscita a
creare, sul suo palcoscenico, un mondo ricco di fascino,
con dei gesti espressivi, sottoposti a una tecnica affatto
particolare, cosi vicina alla magia.
La marionetta non vuole diventare una copia perfetta
dell’uomo, perché il personaggio che essa rappresenta
sono inventati.
Quando la marionetta piange, la sua mano tiene il
fazzoletto senza toccare gli occhi, quando la marionetta
uccide, colpisce il nemico con tanta cautela che la punta
della spada non gli sfiora nemmeno il petto, quando la
marionetta da uno schiaffo, il colore non viene via dalla
guancia di chi è colpito.
Sulla scena delle marionette le cose devono andare in
questo modo e non in un altro, non perché cosi è nella
natura, ma perché cosi vuole la marionetta, perché la
marionetta aspira a creare, non a riprodurre la realtà.
La domanda che dobbiamo porci è la seguente: Perché
il nostro secolo ha assistito dapprima a un rinascere per
l’interesse del teatro delle marionette e negli anni più
recenti, ha visto un intenso rifiorire degli spettacolo
d’animazione?
Negli anni delle avanguardie, quel processo di
disumanizzazione e di meccanicizzazione dell’arte portò
all’annientamento del mondo oggettivo e del sentimento:
tutto questo si incarnò nella nuova figura di regista , in
cui si esprimeva quella pura creatività fantastica che in
poesia aveva fatto del poeta il mago della parola in sé.
E nella ricerca di una forma teatrale in cui si potesse
materializzare la pura creatività artistica non più
soggetta alla mimesi della realtà, alle debolezze delle
carne, il regista riscopri la marionetta facendone il
simbolo della rivoluzione teatrale del 900.
In realtà la tradizione del teatro di fantocci fin dai tempi
più remoti ondeggia tra due estremi: da un lato il
desiderio di produrre le sembianze umane, dall’altro il
bisogno di mitizzare una forma che si altro dall’uomo. la
cui caratteristica fondamentale sia data dal movimento
che trascenda i limiti del corpo umano per comprendere
in sé il movimento che è altro da quello umano, quello
degli uccelli, degli dei, il movimento aereo.
Realismo e artificio, identificazione e stracciamento,
profano e sacro: fra questi poli si situa l’esperienza del
teatro delle marionette.

Cosa rimane oggi della sacralità rituale della marionetta


della chiesa cristiana?
Nella società di oggi la marionetta è rimasta come mito
del movimento. Il fantoccio è il movimento, è il tema
centrale, il fondamento, l’anima della marionetta.
E’uno specchio per l’immaginazione: tale è ancora oggi.
Claudel scrive: non è un attore che parla, è parola che
agisce.
E’ bene notare come la marionetta, assai più che la
scenografia ha subito l’influsso delle arti figurative, e
grazie a tale influsso ha ritrovato quel carattere di pura
espressione plastica e figurativa.
Lo stracciamento della recitazione, la non identificazione
fra attore e personaggio, fra manovratore e marionetta,
personaggio e pubblico, è infatti caratteristica della
tradizione migliore del teatro di marionette: qui lo
spettatore non è portato a identificare se stesso con il
personaggio, ma come si è detto a mitizzare una forma
che sia altro da sé.
Nel wayang kulit, il famoso teatro giavanese, il pubblico
assiste al dramma senza mai identificarsi nei
personaggi. E il sottile diaframma dello schermo, che
separa le donne dalle marionette colorate, sembra
indicare la distanza ideale fra le spettatrici e l’azione
drammatica., quasi a vietare che le donne la cui debole
natura è portata con facilità a partecipare alla storia
fantastica immedesimandosi nel personaggio del
dramma.
La stadio più elevato di conoscenza è riservato solo agli
uomini che assistono dal lato opposto dello schermo.
Ma insieme con le marionette vedono il manovratore e
l’orchestra sicché ogni possibilità di immedesimazione è
annullata.

Ricordiamo il teatro classico di burattini giapponesi: il


BUNRAKU.
L’insegnamento di questo teatro per le marionette i
burattini consiste soprattutto nella sua particolare
fusione di realismo e artificialità, per chiarire
quest’affermazione bisogna aver presente la struttura
dello spettacolo a BUNRAKU. Lo spettacolo è composto
da 3 parti, la manipolazione dei fantocci, il canto
drammatico e la musica del samisen. Il cantore e i
musici stanno di lato della scena, a vista del pubblico.
Sul ritmo del caso e della musica, di antiche storie di
amore , i manipolatori animano degli elaboratissimi
burattini alti più di un metro, che hanno occhi e bocca
mobili. Le possibilità imitative di questi fantocci sono
sorprendenti. Ma lo spettatore ha la continua netta
sensazione di aver di fronte a sé un immagine artificiale,
il cui realismo è assolutamente meccanico, anche
perché vede, insieme con ciascun burattino, il
manipolatore principale che gli anima il viso, il busto e il
braccio destro, e 2 assistenti che gli animano uno il
braccio sinistro l’altro le gambe.
I gesti dei personaggi non rappresentano delle parole,
delle frasi, ma degli stati d’animo, delle idee, delle
situazioni intellettuali e sentimentali.

A Mosca negli anni 20, OBRAZCOV cominciò a


costruire dei pupazzi con delle cianfrusaglie, inserendo
una mano nella calza si accorse che le sue dita
potevano suggerire i tratti di un viso, era nato un
fantoccio nuovo, composto da una testa e da una mano.
Da questo spunto OBRAZCOV, creò un vero e proprio
genere,
Continuando sulla strada di una progressiva
scarnificazione dei fantocci tradizionali, Obrazcov ha
inventato anche i burattini-mano, pupi ridotti
all’essenziale.
Nonostante tutto questo non riuscii ad andare oltre,
ancora oggi si vedono i suoi spettacoli ( uno si è visto
anche a milano al piccolo teatro e a Roma al teatro club.
Comunque Obrazcov rimane nella storia del teatro dei
fantocci oltre che per il gusto ma anche per essere stato
uno dei primi a percorrere la strada del realismo
inventato.
A questo punto pare evidente che il problema di fondo
della nuova generazione di marionettisti e burattinai è
quello di superare lo stadio ancora in ultima analisi
mimetico, aneddotico, che abbiamo semplificato
parlando di Obrazcov o per citarne anche Gaston Baty
che pur nella sua lucidità intellettuale sostiene che la
marionetta fosse migliore dell’attore, e non comprese
invece che la marionetta è semplicemente diversa
dall’attore.
A questo punto bisogna rammentare che la POLONIA
dispone di centinai di teatri di fantocci, la
CECOSLOVACCHIA, vanta oltre due mila teatri di
fantocci e una cattedra di marionettologia per artisti e
studiosi presso l’accademia di Praga.
Se è vero che il burattino in cui si infila la mano, è il
commediante per eccellenza. è più svelto più scattante
e quindi più s’adatta alla satira, è vero anche che il
campo d’azione ideale della marionetta è il campo del
sogno, del surreale, della fantasia. Ma il sogno ha più
facce, degli incubi oppressivi alla fantasie alate.
Uno di questi aspetti, l’incubo. sembrano essere le più
congeniali al francese JOLY. Fra i suoi spettacoli c’è la
tragedie de papier, in cui si dischiude un universo
fantastico, angoscioso, sono storie di carta in cui gli
oggetti assumono caratteri umani.
L’intuizione geniale di JOLY consiste nell’aver tratto
dalla materia stessa delle sue marionette il senso
tragico delle sue angosciosE: la fragilità della vita
umana è simboleggiata dalla fragilità della carta.
Gli spettacolo di sole mani sono fra le cose più gostose
che si possano vedere a teatro: Bolero per esempio,
realizzato da MARIA SIGNORELLI, la sola personalità di
notevole rilievo artistico che il teatro di marionette abbia
oggi in Italia.
Non si fa teatro senza l’uomo, è la legge fondamentale
che il teatro di marionette ha appreso giungendo al
limite delle esperienze più astratte.

L’esempio più interessante in questo senso è il


Marionetterern di Stoccolma, fondato da Michael
MESCHKE.
Il suo teatro ha realizzato una serie di spettacoli tutti di
alto valore, un suo recente successo è stato UBU ROI.
Caratteristica di MESCHLE è una concezione totale del
teatro, in cui il fantoccio non è che uno dei mezzi
espressivi, al pari della luce.
Con l’episodio NOCTURNE la sensazione di teatro della
crudeltà al tempo stesso si identifica, è la vena poetica
di MESCHKE, nella vita falsa egoistica della città di
notte. quando un tram lo investe, nessuno si avvicina a
lui, una sostituta lo guarda poi riprende a camminare e
si allontana infine con un cliente, mentre gli agonizza..
E’ una tragedia amara, crudele, in essa c’è il senso della
vita fredda, che cela la mancanza di pietà e l’angoscia
nel vedere questa esistenza ormai non più umana.
Un’altra creazione poetica di MESCHKE è BAPTISTE,
la sua origine era molto lunga e patetica,
Baptiste nasce col suo abito bianco e i suoi occhi blu
sotto un tram che passa. Il suo primo desiderio è quello
di coltivare un fiore: ma il fiore cresce tanto e infine
sparisce nel cielo. Nel cielo ci sono tre uccelli che
volano e incantano: anche lui vorrebbe volare ma è
senza ali e cade a terra, il cuore spezzato gli esce dal
petto. Tende la mano verso il cuore rotto, sferragliando il
tram passa sul suo corpo. ma Baptiste non è stato
ucciso dal tram: in realtà è morto perché il suo cuore si
è spezzato nel vedere frustrato la sua sete di cielo, la
nostra vita non ha saputo costruire una scala che tenda
verso il cielo, e baptiste senza cielo senza sogno non sa
vivere.

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