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15/5/2020 Il Timeo di Platone | Filosofia in movimento

cose sensibili, cui conferisce la forma e la struttura dei paradeigmata ideali, pur
rimanendo entro i limiti imposti dalla “minorità” e dall’imperfezione del mondo
sensibile: il divino artefice non compie quindi in nessun modo una creatio ex nihilo,
perché è costretto a operare nel contesto degli elementi già esistenti a sua
disposizione, ai quali può, semplicemente, attribuire un ordine determinato. Ciò
spiega l’uso in apparenza stravagante, da parte di Platone, del termine demiourgos,
che indica a un tempo l’attività produttrice degli artigiani e la funzione regolatrice dei
magistrati: come artigiano, il demiurgo dalle molteplici competenze tecniche e
meccaniche “lavora” la materia informe; come magistrato in seno a una comunità,
stabilisce l’ordine della sfera sensibile, adeguandolo, per quanto possibile, alla “legge”
delle supreme realtà. Diviene così piuttosto chiara la funzione filosofica della figura
del demiurgo: trait d’unionontologico fra le cose sensibili e le idee intellegibili, ma
diverso da entrambe, egli contempla il mondo delle idee per riprodurne l’immagine nel
mondo sensibile su cui ha il potere e la capacità “artigianale” di agire; d’altra parte,
può agire sul mondo sensibile proprio in quanto ha il potere e la capacità “intellettuale”
e “regolativa” di contemplare e riprodurre in esso l’immagine delle idee. Abbiamo a
che fare insomma con l’indicazione di una serie di competenze tecniche o operative
del demiurgo, che non contraddicono una sua rappresentazione funzionale e
metaforica né pare lecito sostenere che, nell’esercizio delle sue funzioni, il demiurgo
metta in atto una volontà personale e che proceda perciò ad azioni propriamente
deliberate, dal momento che, nei passi del dialogo in cui si fa riferimento a una
“volontà” del divino artefice (cfr. per esempio 30a6-c1; 41a7-c6; 42d2-e4), risulta
abbastanza chiaro che ogni sua possibile azione è necessariamente e invariabilmente
condizionata dalla perfezione della sua natura, sicché egli non può che produrre
l’ottimo, nei limiti del possibile, al punto che, anzi, là dove emerge l’esigenza di
popolare il mondo di viventi mortali, il demiurgo affida il compito della loro
generazione agli dei suoi aiutanti, appunto perché, essendo a lui inferiori, potranno
costituire creature mortali, cioè inferiori a quelle che, se egli se ne assumesse il
compito, necessariamente (dunque anche contro la sua volontà) costituirebbe
immortali (41a-c). Resta però la questione fondamentale: anche ammettendo la
maggiore plausibilità di una comprensione metaforica, e non letterale, della figura e
dell’azione produttiva del demiurgo cosmico, come conciliarla con l’indicazione di
partenza di un inizio di tale azione, e della vicenda del cosmo cui essa dà avvio, che
pare invece da assumere letteralmente?

Si deve tornare a tale proposito alla distinzione fondamentale, che viene stabilita in
27d-28b, fra un genere di realtà “che è sempre, senza avere generazione” e un
genere di realtà “che sempre diviene, senza mai essere”; il primo genere di realtà, in
quanto è eterno, immobile ed esente da generazione e corruzione, consiste delle idee
intellegibili, che possono essere conosciute attraverso il pensiero e il ragionamento,
dando luogo a

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