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15/5/2020 Il Timeo di Platone | Filosofia in movimento

Crizia, nel Crizia, “come avendo ricevuto [da Timeo] gli uomini cui ha dato vita con il
suo discorso (…), dopo averli condotti davanti a noi come fossimo giudici”, ne farà “i
cittadini di questa città, gli ateniesi di quell’epoca, che, da oscuri che erano, la
tradizione dei testi sacri ci ha riportato alla memoria”, parlandone “come di nostri
concittadini e di ateniesi” (Tim. 27a-b).

Il primo e fondamentale interrogativo che si pone per ogni discorso cosmologico, o


quantomeno per quello che il Timeo si propone di condurre, è certo il seguente: il
mondo ha un inizio nel tempo oppure è eterno? In prima battuta, il Timeo sembra
fornire una risposta esplicita al nostro interrogativo. Infatti, alla domanda se il cosmo
(1) sia sempre stato (en aei); oppure (2) sia nato (gegonen), Timeo replica netto (28b-
c): il mondo “è nato” (gegonen) e ciò, inoltre, “per azione di una causa”,
un’affermazione che pare supporre, quale che sia l’interpretazione del dialogo nel suo
insieme, un “inizio” della vicenda cosmica. È vero, naturalmente, che il verbo
greco gignesthai significa sia “divenire” sia “nascere”, nel secondo caso soltanto,
dunque, implicando la “nascita” dell’universo, cioè la sua generazione nel tempo,
mentre nel primo caso, se l’universo “diviene”, ciò significa semplicemente che si
tratta di una realtà instabile e soggetta al mutamento e che in un certo senso si
genera e si corrompe continuamente (o si generano e si corrompono gli enti in esso
contenuti), il che non implica però che sia “nato” in un momento determinato del
tempo, cioè che se ne possa porre un “inizio”. Vi sono però ragioni per supporre che il
mondo sia stato generato, e che dunque abbia avuto un inizio

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