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Firetto - Self-Disclosure (2009-2010)
Firetto - Self-Disclosure (2009-2010)
Premessa
3. Esempio clinico
3.3 Il sogno
4. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
2
Premessa
Alla luce dei contributi e dei cambiamenti che la psicoanalisi ha subìto negli ultimi
decenni con l’introduzione della prospettiva relazionale (Michell 1988; Kohut, 1996) e
dell’Infant Research (Stern, 1985; Beebe e Lachman, 2002), questo lavoro ha lo scopo di
In primo luogo traccerò un breve panorama storico sul tema della self-disclosure nella
terapia, mostrando come esso sia stato al centro del dibattito psicoanalitico sin dagli albori,
Mi soffermerò poi sul contributo di alcuni autori relazionali, che hanno ripreso la “self-
1
La primaria preoccupazione del terapeuta con pazienti appartenenti a minoranze sessuali che hanno subìto un trauma è
infatti quella di mantenere l'alleanza terapeutica, perché questi pazienti corrono il rischio di rotture traumatiche senza un
adeguato “rispecchiamento empatico” (cfr. Kohut, 1996).
3
1. Dalla neutralità alla “self-disclosure”
La regola della neutralità è stata uno dei capisaldi della psicoanalisi e Freud (1912) l’ha
descritta come un modo per distinguere la psicoanalisi dalle terapie suggestive. Nella
psicologia del transfert Jung (1946) aveva messo in crisi tale concetto, sostenendo una
maggiore partecipazione dell’analista alle vicende del paziente. L’avvento delle teorie
secondo il modello psicoanalitico “classico”. Il terapeuta deve comprendere che sia lui sia
argomenti più controversi nella psicoanalisi contemporanea. Per molto tempo gli analisti si
sono posti domande quali: che cosa è giusto dire o non dire ai propri pazienti e cosa
imparano i pazienti dagli analisti? Oppure, “la self-disclosure dell'analista può mai essere
it psychoanalytic?”3.
Secondo Freud (1912) “si dovrebbe pensare che sia senz'altro ammesso, anzi opportuno
per il superamento delle resistenze esistenti nel malato, che il medico gli offra la
possibilità, facendogli delle confidenze sulla propria vita, di gettare uno sguardo sui difetti
e sui conflitti psichici di cui egli pure soffre, ponendolo così in condizioni di parità. Una
fiducia infatti vale l'altra e chi esige intimità da qualcuno deve pure dimostrargliene a sua
volta. Nel rapporto psicoanalitico però parecchie cose si svolgono diversamente da come
2
Aron L. (1996), Menti che si incontrano, p. 261.
3
Greenberg J.R. (1995), “Self-disclosure is it psychoanalytic?”, p.193-205. (Trad. It. “La self-disclosure è psicoanalitica?”)
4
sarebbe lecito attendersi in base ai presupposti della psicologia della coscienza.
L'esperienza non depone a favore della validità di codesta tecnica affettiva. Né è difficile
trattamenti suggestivi”4.
Nello stesso saggio, Freud afferma anche che “il medico deve essere opaco per l'analizzato
e, come una lastra di specchio, mostrargli soltanto ciò che gli viene mostrato”5.
s’impedì di esplorare l'uso tecnico della self-disclosure. Nel Dopoguerra, sia in Inghilterra,
grazie ad alcuni spunti offerti da Winnicott, sia in America, grazie alla tradizione
interpersonale (Tauber, 1954; Singer, 1968, 1977; Searles, 1979), il dibattito su questo
tema venne ripreso con vigore. In tempi più recenti vari autori (Bollas, 1987, 1989; Gorkin
1987;, Ehrenberg, 1992, 1995; Maroda, 1991, 1995; Davies, 1994; Watzlawick, Bavelas,
paziente, di aspetti della sua vita personale in modo consapevole per favorire e mantenere
l’alleanza terapeutica” (cfr. Knox e al. 1997). Alcuni esempi sono rappresentati dalla scelta
Diversi Autori (Bollas 1987,1989; Gorkin, 1987; Ehrenberg, 1992,1995; Maroda, 1991,
1995; Davies, 1994; Mitchell, 1995; Renik 1995), hanno analizzato gli effetti della self-
disclosure, analizzando per esempio le reazioni di alcuni pazienti che riconoscevano nella
mancata accettazione del loro orientamento sessuale una causa di scarsa alleanza
terapeutica. Altri Autori, tra cui Hanson (2003), mostrano invece una certa cautela per la
4
Freud S. (1912), “Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico”, p. 538.
5
Ibidem, p. 539.
5
self-disclosure, da attuare solo se il paziente lo chiede - esplicitamente o implicitamente - e
ovviamente sempre nell’interesse del mantenimento dell’alleanza terapeutica.
Inoltre Aron, nell’articolo dal titolo “Sul conoscere e sull'essere conosciuti” 6 (1996)
afferma che prima della self-disclosure - intesa come comunicazione mirata a uno scopo -
un analista dovrebbe porsi alcune domande: “per quali pazienti è utile la self-disclosure?
A che punto dell'analisi? Per quale scopo? E a proposito di quali argomenti? [...] Come si
deve preparare il paziente alla self-disclosure dell'analista? [...] Che spunti ci dà il
paziente sul fatto che la self-disclosure sia stato appropriato? Quanto dovrebbe essere
spontaneo l'analista nella self-disclosure? Ci sono forse alcuni autosvelamenti che
bisognerebbe tentare solo dopo un'attenta riflessione? E se ci sono, in che modo dar
spazio alla spontaneità e all'immediatezza affettiva? Quale affetto l'analista può
esprimere appropriatamente in modo diretto? Ci sono certi argomenti - come per esempio
i desideri sessuali o gli impulsi omicidi verso un paziente - che non dovrebbero mai essere
svelati? Quali precauzioni vanno prese in considerazione per proteggere il paziente
dall'intrusione della self-disclosure dell'analista? [...] E l’analista come può trattare
l'ansia che nasce in lui dopo aver fatto una self-disclosure? Quali sono le considerazioni
etiche che vanno prese in considerazione riguardo alla self-disclosure?”7.
Le conseguenze di questa posizione portano l’Autore ad affermare che per gli
psicoterapeuti sia necessario avere le due opzioni: quella di svelarsi e quella di non
Aron sostiene inoltre quanto sia difficile fare delle generalizzazioni sulla self-disclosure
affettive immediate in presenza del paziente (per esempio mostrarsi tristi o seccati per
qualche avvenimento nel setting); condividere con il paziente conflitti sul modo di
6
Ibidem, pag. 261.
7
Ibidem pp. 263-264.
6
affrontare un tema particolare in analisi; pensieri dell'analista sul paziente che emergono
fuori dal setting del trattamento; rispondere a informazioni sulla vita privata dell’analista
riflessioni del paziente sul modo in cui l’analista conduce l’interazione, come quando lo
rimprovera per alcuni comportamenti di distacco. In questo caso l'analista può svelare al
paziente quello che sente a livello conscio cercando di comprendere quello che è accaduto
Una distinzione che trascende tutte le altre, secondo Aron, è la differenza tra il condividere
pensieri, sentimenti o esperienze cui il terapeuta ha già pensato, o che ha già elaborato, in
contrapposizione alla condivisione di una qualsiasi di queste cose, fatta però in modo più
spontaneo prima che l'analista abbia avuto l'opportunità di elaborarle. Ancora, è molto
riveli qualcosa solo dopo che il paziente ha portato un certo argomento e ha chiesto
direttamente all'analista una certa informazione oppure una sua opinione. Secondo Karen
esperienze affettive immediate e solo in una fase successiva della terapia possono rivelare
l'origine di questi sentimenti nella loro vita personale. L'autrice sostiene in primo luogo lo
questo svelamento sulla matrice trasfert-controtransfert. Infine, nella fase terminale della
8
Cit. in Aron L., ibidem, pag. 284-287.
7
controtransfert sono quando lo richiede il paziente e dopo essersi consultati attentamente
Un altro autore che ha trattato il tema in oggetto è Bromberg, il quale in un saggio da poco
tradotto in italiano dal titolo “La self-disclosure dell’analista non è solo lecita, ma
necessaria”9 analizza il concetto in accordo alla teoria relazionale. Egli sostiene che la self-
disclosure rientri pienamente nella pratica analitica. Il contributo originale che Bromberg
nella diade quando l’analista può offrire al paziente la sua esperienza non al fine di
Bromberg è d’accordo con Holly Levenkron (2006), la quale afferma che “l’abilità
inteso nel senso di avere rispetto del punto di vista del paziente, confrontandosi con
l’esperienza che ogni paziente fa dell’analista. Bromberg osserva inoltre che non si può
generalizzare sui criteri della self-disclosure, in quanto ogni coppia analitica deve trovare
9
In Bromberg P. (2006), Destare il sognatore, p.135
8
A conclusione del lavoro di commento su un articolo di Levenkron, Bromberg ribadisce
Quindi oltre alla rilevanza del concetto di “relazione”, negli ultimi anni assume altresì
importanza il “timing” della disclosure (Hanson, 2003). Infatti, l’analista deve tenere in
che va usata come uno degli elementi chiave della costruzione dell’alleanza di lavoro.
quello biopsicosociale (Engel, 1977; Bertini, 1977). Ciò significa che si devono tenere in
(Lingiardi, 2001).
Il compito del terapeuta consiste nel mantenere l’alleanza di lavoro aiutando il paziente a
esplorare quelle dimensioni della sua personalità dalle quali nasce la sofferenza e
come le forze biologiche, le identificazioni, i fattori cognitivi, l’uso che il bambino fa della
sessualità per risolvere i conflitti dello sviluppo, le pressioni culturali alla conformità e il
9
bisogno di adattamento, contribuiscono alla formazione del soggetto e alla costruzione
della sua sessualità” (Lingiardi, Luci, 2006, p. 14) 10. Gli autori osservano che sarebbe
differenze costituzionali nello sviluppo psicologico e nelle scelte oggettuali 11, sia di essere
costruzione dell'identità sessuale, del ruolo sessuale, del genere, dovrebbe avere ben chiara
la relatività delle teorie che usa (per comprendere meglio concetti come narcisismo,
possono facilitare o impedire il contatto con il paziente, specialmente quando sono usate
Uno dei fattori che stabilizza la relazione terapeutica è la fiducia del paziente verso
comprende) l’analista. Goldstein (1994) e Chrzanowski (1980) sostengono che uno dei
fattori importanti per il miglioramento della condizione del paziente sia l’accettazione da
parte del terapeuta di tutte le dimensioni del soggetto sofferente, attraverso un processo di
dell’orientamento sessuale del terapeuta può contribuire dunque a creare un clima emotivo
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che il paziente, per paura di essere rifiutato dall’analista, nasconda il suo orientamento
gay e lesbiche.
La conoscenza dell’orientamento sessuale del terapeuta in questi casi si rivela cruciale per
parte del paziente di condividere esperienze con il terapeuta solo sulla base del comune
orientamento sessuale. L’alleanza di lavoro, che si basi sul comune orientamento, potrebbe
chiedere notizie sulla sua vita privata, le sue opinioni politiche, religiose o sul suo
Tali questioni dimostrano che la self-disclosure è una dimensione normale della relazione
terapeuta a stare più attento alla comunicazione conscia ed inconscia del paziente. Se non
Infatti, secondo Lingiardi e Luci (2006), nel lavoro con pazienti omosessuali o bisessuali il
apertamente gay o lesbica può essere d’aiuto, ma segnalano anche come l’orientamento
11
sessuale del terapeuta non debba essere visto come condizione sufficiente e necessaria per
3. Esempio clinico
Vorrei adesso parlare, attraverso un esempio clinico, degli effetti del timing della self-
proposto, dal suo consigliere spirituale, un terapeuta cattolico. Tale indicazione era stata
data al paziente in risposta a una crisi di tipo vocazionale, che generava un conflitto con il
suo ruolo di sacerdote e che la terapia avrebbe aiutato a sciogliere. Il paziente rifiutò tale
maniera obiettiva. Egli aveva paura che il terapeuta “connotato in senso religioso”, non
fosse in grado di capirlo pienamente, ma che analizzasse il suo problema allo scopo
secondo di quattro figli, ha un fratello più piccolo e due sorelle, un maggiore e una minore.
Racconta che la nonna materna è morta mentre sua madre era incinta di lui al quarto mese
e dice di avere “assorbito tutta questa atmosfera depressiva” già durante la gravidanza
della madre. Il nonno materno alla sua nascita era in prigione, condannato all'ergastolo per
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omicidio. La madre, donna estremamente autoritaria e manipolatoria, intuendo
l’omosessualità del figlio lo spinge a intraprendere una strada che possa salvaguardare la
reputazione della famiglia rispetto ai parenti e al contesto sociale. Così, quando al termine
contrarietà. Un modo, questo, per tenerlo sempre accanto senza la vergogna sociale di
Dai ricordi della sua infanzia emerge che il padre, viste le difficoltà economiche, lasciò la
famiglia per andare in Germania a trovare lavoro per mantenerla. Sebastiano ne parla con
rabbia, dicendo che “per vari motivi lui si è fatta un’altra famiglia all’estero, avendo anche
una figlia” (pur non essendone certo). Rammenta che, di rientro dall'estero, quando lui
aveva circa otto anni, il padre spesso si ubriacava e aveva scoppi di violenza nei suoi
confronti con percosse senza motivo. Sebastiano racconta che il padre non ha mai avuto
Sebastiano andava molto bene a scuola e sfortunatamente questo aspetto, invece di essere
utilizzato come una qualità, era spesso fonte di conflitti con i suoi coetanei. Lo
diversità.
Fin dai primi incontri, Sebastiano mi riferisce che il suo disagio deriva dal non sapersi
relazionare con gli altri. Ritiene che tutta la sua vita sia stata un fallimento e crede che i
suoi problemi scaturiscano non solo dalla sua omosessualità, ma soprattutto dalla sua
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riguarda la sfera dell’identità e non solo quello dell’accettazione dell’orientamento
sessuale.
iscritto quasi per sfida, perché difficile, ma senza vera passione per gli studi economici. In
Nel primo periodo di lavoro terapeutico, il paziente manifesta una grave sofferenza
psichica con aggressioni sia verso il sé, sia verso il terapeuta. Talvolta afferma: “non sono
capace di nulla, la mia vita è un disastro, in realtà io mi sento superiore a tutti gli altri che
non hanno cultura e li disprezzo”. Cerca di stabilire delle relazioni interpersonali che si
generano in lui intense emozioni di rabbia e disprezzo verso se stesso e verso il mondo.
Sin dall'inizio, mi sembra di trovarmi davanti a una persona con una difficoltà nella
Sebastiano mi rivela che talvolta, quando si sente solo e avvilito, pensa al suicidio, quasi
Nei primi colloqui di accoglienza lo lascio libero di aderire alla terapia, manifesto un
prudente interesse nei suoi confronti dicendogli che al termine dei colloqui esplorativi
Nei primi otto mesi di sedute, Sebastiano mi parla della sua esperienza di religioso e dei
conflitti che ha con i suoi superiori. Il circolo comunicativo si ripete a ogni incontro. Si
sente poco considerato, poco amato e si dà un gran da fare in comunità per farsi stimare
per il lavoro svolto. Mi racconta che se qualcuno si avvicina a lui per esprimergli dei
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complimenti, la reazione è di gelo e rabbia, si sente deriso e risponde con sarcasmo,
lasciando gli interlocutori sorpresi e irritati. Le sedute sono un racconto giornalistico tra il
affettivamente non prova nulla. Dice che non sono in grado di capire le sfumature della
I suoi sogni sono pieni di rabbia inespressa e spesso confusi, non li ricorda se non per
frammenti.
Dopo diversi mesi, nonostante il mio tentativo di stargli vicino emotivamente e di parare i
suoi attacchi, mi rendo conto che con Sebastiano la situazione terapeutica non procede.
puntualità una volta la settimana, parliamo della sua vita presente e passata. Tuttavia, dopo
ogni colloquio, Sebastiano va via con un senso di scetticismo e di svalutazione, sia per le
interpretazioni date, sia perché non gli sono simpatico. Anzi mi comunica che gli sono
comprenderlo in virtù del mio conoscere il mio orientamento sessuale e la mia identità sul
tema “omosessualità”, senza che mi esponessi affatto nei suoi confronti. Talvolta riuscivo
a essere empatico e vicino al suo vissuto di sofferenza inespressa che generava pensieri
perplessità perché non ha soldi e deve trovare un lavoro per continuare a pagare le sedute.
Tutte le opportunità di lavoro che gli si offrono vengono da lui regolarmente sabotate,
perché vive i contesti lavorativi con molta ambivalenza e non riesce a instaurare una
relazionalità positiva con i datori di lavoro. Negli ultimi incontri manifesta la possibilità di
lasciarsi andare alle sue tendenze distruttive e passive, rifiutando i lavori che gli capitano,
Durante gli incontri chiede spesso, in maniera ossessiva e provocatoria, le mie opinioni su
temi inerenti la sessualità, l’orientamento sessuale degli analisti nonché le mie capacità di
comprendere pazienti gay. A seguito del mio tentativo di rimanere in una posizione di
lasciare la terapia, esprimendo scetticismo sulla capacità del terapeuta di accoglierlo nella
sua condizione di “diversità”. Il paziente quindi, in questa fase della terapia, interpreta tale
Sebastiano avverte un conflitto tra la sua vera identità e il suo ruolo di prete, si sente pieno
d’odio per il mondo e percepisce il suo vero sé come condizione di sofferenza (Winnicott,
1963).
L’esplorazione nella terapia è sentita dal paziente come una vera e propria via crucis che lo
tormenta e non gli dà pace, si chiede spesso “Che senso ha tutto questo? Perché chiedo
aiuto? Riuscirò a trovare una mia strada? ”. Dubbi di fronte ai quali non mi sento di voler
rispondere con una rassicurazione, in quanto avverto i pericoli delle condizioni di gravità
messaggio sul telefono in cui Sebastiano mi annuncia che intende lasciare la terapia.
Aggiunge che io c'entravo poco e che tale decisione dipendeva dalla gravità della sua
sofferenza, non curabile dalla terapia. Nel messaggio mi comunica di non preoccuparmi
A quel punto mi resi conto che la mia distanza affettiva verso Sebastiano era grande e che
perché era la prima volta che sentivo che per mantenere il legame terapeutico con il
paziente era necessaria una mia self-disclosure. Inoltre mi domandavo “come avrebbe
reagito?”, “la terapia sarebbe continuata?”, “come avrebbe cambiato il nostro legame
terapeutico?”
Sebastiano mi comunicò per l’ennesima volta che il motivo principale per cui aveva deciso
di lasciare la terapia era perché non si sentiva pienamente compreso nella sofferenza
dovuta alla sua “diversità”. A questo punto, dopo essermi assicurato che il paziente era
pronto a sentire il motivo per cui ero in grado di capire la sua sofferenza, decisi di dirgli
che potevo comprenderlo per due motivi: sia perché anch’io vivevo la sua stessa
della sua sofferenza, che aveva radici ben più profonde su cui potevamo lavorare.
lo desiderava, nel senso che a suo modo di vedere forse con un terapeuta gay si poteva
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cercare di dare un senso alla sua sofferenza e soprattutto si sarebbe sentito più libero di
parlare di certi contenuti delle sue esperienze. Dopo affermò: “non si faccia illusioni, sono
ricevetti un suo nuovo messaggio sul cellulare, in cui mi annunciava che dopo averci
Dal ritorno di Sebastiano in terapia, il rapporto tra noi è diventato più diretto e
coinvolgente. Mi racconta anche aspetti intimi delle sue avventure sessuali, non temendo
più che io lo giudichi negativamente o che lo disprezzi. Dopo i racconti tuttavia rimane
pensieroso, come ad aspettarsi che dietro l’avventura si celi un qualche senso che sfugge a
Nel corso delle sedute successive, abbiamo avuto modo di ritornare a discutere sulla self-
fatto di aver esperito che con un analista gay le difficoltà ad aprirsi e a parlare di
“contenuti” pieni di vergogna sono minori rispetto a quelle cui sarebbe andato incontro in
un lavoro con un terapeuta non gay. Ma ha anche aggiunto di non farmi illusioni perché lui
è un caso grave sin dalla nascita. “Mi sento sbagliato dentro”, dice.
Nell’ultimo periodo ha ripreso a studiare, sia pur con molta fatica, perché è deciso a voler
la sua omosessualità alla famiglia d’origine, quasi per sfidarli e per vendicarsi dei rifiuti
subiti.
Un suo recente sogno sembra raccontare la difficoltà del procedere del lavoro terapeutico.
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3.3 Il sogno
Sebastiano sogna di venire in seduta e di trovare al mio posto un altro analista, grasso e
prete, che fa la seduta con dei suoi amici, una coppia sposata, che ascoltano i commenti.
Nel sogno si arrabbia, si alza e va via ritenendo ingiusto fare terapia con un altro e per
giunta prete.
Dopo un momento di silenzio, carico di tensione, la mia reazione al racconto del sogno è
di estrema cautela. Infatti nelle sedute precedenti a ogni mio tentativo di interpretazione
seguiva sempre una reazione di rifiuto o un commento sprezzante e sarcastico tipo: “È lei
il terapeuta che sa tutto, io non ci capisco nulla, per me questo sogno non significa niente”.
Così dopo gli attacchi verbali subìti prima di interpretare un sogno o un avvenimento
Gli chiedo di esprimere dei commenti o di dare una spiegazione. Al termine dei suoi
commenti ed emozioni al riguardo, che sono di paura di essere abbandonato dal terapeuta
“Lei teme di non ritrovare il suo terapeuta e al suo posto arriva un altro di cui non ha
lei vive il legame con ambivalenza, sperimentando la paura connessa alla dipendenza, non
avendo vissuto nell’infanzia un attaccamento sicuro con i suoi genitori.” Inoltre penso che
paterno durante l’infanzia, ripetendo nel transfert negativo gli attaccamenti sofferenti
averlo compreso.
Nelle sedute successive la diffidenza che Sebastiano esprime sulle mie capacità
rispetto alle interpretazioni dei sogni. Proprio questa co-costruzione aumenta le capacità
lasciare il sacerdozio e da quel momento è alla ricerca di un lavoro che gli consenta di
paralizza rendendolo passivo e incapace di reagire. La mia sensazione è che vi sia in atto
una difesa di tipo “dissociativo” che lo protegge dal rischio di un nuovo trauma, come ad
Nonostante tutto, Sebastiano non si perde d’animo e valuta diverse opportunità di crescita
professionale, persino distanti da Roma. Nella terapia, giunta ora alla fine del terzo anno,
si incomincia così a parlare anche di questo aspetto, senza il senso di disperazione che lo
assaliva dinnanzi alla rottura di un legame. Si affrontano temi prima impensabili, quali i
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progetti di vita, di affetto e anche di separazione e di perdita: entrambi esprimiamo
Nell’ultimo incontro precedente a una mia breve vacanza annunciatagli da un mese, gli
manifesto il mio dispiacere per la separazione, dicendogli che la sua libertà di vivere per
secondo momento.
Nelle ultime sedute racconta un episodio che ritiene importante: durante un occasionale
rapporto sessuale con un partner ha avuto una penetrazione in modo passivo, senza
spaventarsi. Dice che mai prima di quel momento si era potuto lasciare andare nella
sessualità perché si sentiva costretto in un ruolo definito. Il suo essere “attivo” faceva sì
che egli controllasse con la fantasia i suoi amanti senza mai concedersi emotivamente.
Oggi sente che può vivere la sessualità con meno sensi di colpa (per lui la penetrazione era
vissuta come un “farsi scopare come una prostituta: una vera e propria violenza senza
sentimento”).
Fino ad allora e in virtù dei suoi valori, si era sempre ripromesso di voler perdere la sua
continua riferendomi che all’inizio della terapia percepiva i miei commenti come una
maniera tale che, non “sentendomi”, non potessi controllarlo. Afferma che tale
meccanismo di chiusura veniva da lui messo in atto con tutti, sia con gli amici, sia con i
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datori di lavoro con il risultato di patire l’isolamento. Adesso sente meno paura
Mentre parla, sento che la comunicazione è diventata più distesa e fluente, avverto la
sensazione di pienezza per le tante emozioni che ho provato durante questa seduta, gli
questo, mi sento come in un gioco delle parti in cui al suo desiderio di fuga dal rapporto, io
esplorazione.
Nel penultimo incontro, prima delle vacanze estive, Sebastiano racconta un episodio
avuto con la madre. Lui le manifesta il desiderio, di trascorrere qualche giorno di vacanza
nella città natale. Di contro lei gli chiede di fermarsi giusto il tempo strettamente
necessario per salutare i nipoti, onde evitare che la sua rinuncia al sacerdozio si sappia in
paese e che diventi un’occasione di pettegolezzo contro la famiglia, già duramente provata
dagli avvenimenti del passato (es. nonno ergastolano, due suicidi: il cugino della madre e
lo zio). Sebastiano mi dice che comprende e giustifica le ragioni della madre, la sua
cultura e la protezione della famiglia d’origine rispetto al suo fallimento degli obiettivi di
vita da lei desiderati (es. il sacerdozio). Al mio chiedere quali emozioni ha provato durante
la telefonata, afferma di essersi sentito “libero” dall’obbligo di rivedere una famiglia in cui
lui, non potendo esprimere la sua vera identità di gay e non potendo condividere i motivi
dell’abbandono del sacerdozio, si sente un “fantasma”. Prova anche rabbia nei confronti
della madre per l’ennesimo rifiuto delle sue scelte e di tutto quello che lui fa, ma è
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determinato ad andare avanti nella sua strada. Riporta queste affermazioni della madre:
“con te non capisco più nulla, ogni tuo impegno non riesci a portarlo a compimento e le
Rimango in silenzio e gli chiedo cosa ne pensa dell’accusa di incoerenza della madre.
Sebastiano riconosce che la madre ha una qualche ragione, che lui è incoerente e non
riesce mai a portare a compimento le mete che lei gli ha predeterminato. Ora, egli avverte
chiaramente un conflitto tra i desideri della madre e il suo attuale cammino. Sebastiano
vivere una vita integrata, ma nello stesso tempo esprime la paura, in accordo alla
cambiare, talvolta mi sento che devo andare fin giù nella sofferenza e nel dolore; e questo
mette in dubbio i progressi che ho realizzato. In certi momenti non credo più a nulla,
neanche alla terapia e vorrei lasciarmi andare… male che vada posso sempre andarmene
(leggi suicidio), tanto in casa ho già due illustri esempi”. Taccio, colpito dalla violenza di
identificazione completa con il mondo materno che lo ha sempre rifiutato. Avverto che vi è
assale. Egli vive con angoscia l’approssimarsi delle vacanze, ma non fa alcun cenno alla
Con voce calda mi accosto verso di lui esprimendo solidarietà per il terribile momento che
sta attraversando, dichiaro la mia disapprovazione rispetto alle affermazioni della madre
manifestando il mio profondo dispiacere per frasi che lui rivolge contro se stesso, che a
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mio parere sono collegate a questa esperienza di rifiuto traumatico che patisce per causa
della madre. L’esperienza traumatica di sentirsi scartato produce delle reazioni di rabbia,
sensi di colpa e disprezzo contro se stesso. Dopo queste riflessioni dico ad Sebastiano:
“adesso lei può lavorare sia su queste emozioni negative, regolandole in senso positivo
avendole sperimentate senza andare nel caos, sia sul conflitto, reso cosciente, tra il
desiderio di vivere secondo le sue possibilità e la paura di essere solo senza la protezione
materna.” Sebastiano mi guarda con attenzione, in questo preciso momento sento che si è
realizzato un contatto emotivo. Io verbalizzo che tale vicinanza è stata possibile anche per
mezzo della self-disclosure che ha rafforzato il legame, nel momento in cui aveva
dei suoi conflitti più profondi. Sebastiano è attento alle mie parole, si sente sollevato e
sorride, l’ora è già finita, si alza e mi dice “allora ci vediamo lunedì prossimo”.
Nell’ultima seduta Sebastiano racconta un sogno: sogna di fare l’amore con una sua amica
commenta: “O dio che schifo magari mi sveglio etero!” con un sorriso di complicità e di
provocazione, e aggiunge: “questo sogno per me non ha molto significato forse per lei che
sta dall’altra parte del tavolo avrà un senso ma per me è difficile da capire”. Il tono è
amichevole, essendo l’ultima seduta il paziente non si sofferma sul sogno. Alla mia
argomenti inerenti le sue relazioni e le sue conquiste sessuali. Al mio insistere risponde
con tono ironico anticipando, a suo parere, una mia eventuale interpretazione: “Ora lei mi
e poi dico: “a me sembra che il sogno rappresenti una soluzione ad un suo dramma
interiore: lei descrive la protagonista come una donna semplice che fa la commessa ma che
affronta la vita con un piglio di sicurezza senza mai mollare. Mi pare che data la situazione
della seduta precedente in cui aveva fantasticato di suicidarsi per uscire dalla sofferenza, il
sogno indichi una prospettiva di sviluppo. Lei fa l’amore con un femminile forte ed allegro
rappresentato dal suo fare l’amore con una donna forte. Il sogno potrebbe esprimere più
al suo star male. Mi sembra un buon segnale alla vigilia della nostra separazione prima
delle vacanze. Lei come la sente questa mia interpretazione?” Sebastiano mi guarda con
grande attenzione quasi sorpreso della mia prospettiva per capire il sogno ed esclama: “Si,
in effetti, mi pare che non sia un sogno sessuale ma sono d’accordo con quanto lei ha
detto, non mi voglio arrendere voglio combattere sapendo che ci saranno giornate positive
e negative.”
Il clima della seduta si distende, avverto che Sebastiano è fortemente interessato a stare
meglio e aggiungo dei commenti che rafforzano il nostro lavoro clinico e di ricerca.
Sebastiano racconta di un incontro con un partner che gli pone due domande: “Sei mai
stato innamorato? e qualcuno si è mai innamorato di te?” Egli sente queste due domande
come quelle di maggiore significato, che gli hanno arrecato maggiore sofferenza e che
l’hanno spinto a venire in terapia, visto che ad entrambe aveva risposto negativamente.
Cosi finisce la seduta, come sempre tra un suo desiderio di porsi delle domande ed il mio
cliniche e personali della mia self-disclosure, le reazioni del paziente, il suo transfert e
È stato importante, in questa fase del lavoro, utilizzare il modello della regolazione delle
emozioni, rivelatosi il più adatto dal momento che il paziente viveva con difficoltà le
relazioni con il mondo esterno12. Ho chiarito ad Sebastiano che ritenevo giusto rispondere
12
Vedi Fonagy, P., Gergely, G., Juris, E., Target, M., “Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del sè”, trad. it.
Raffaello Cortina, Milano 2003.
In una sua recente conferenza Lichtenberg (cfr. “Il trauma e la mancata regolazione affettiva, cognitiva, comportamentale”,
Giornata di studio presso l’ISIPSE, Istituto e Scuola di Specializzazione in Psicologia del SÉ e psicoanalisi relazionale, Roma,
27 settembre 2008) ipotizza che la regolazione affettiva sia una della capacità che permette un adattamento del paziente alla
realtà: “La regolazione degli affetti è inscritta nella regolazione simultanea della motivazione, cognizione e comportamento”.
L’autore descrive due tipi di trauma: quello acuto, che porta alla paralisi e alla disorganizzazione della capacità di essere autori
delle proprie azioni e a stati affettivi problematici o dissociativi ed è collegato al concetto di P.T.S.D. (Patologie da Stress Post-
Traumatico); quello da stress, nel quale il soggetto fa esperienza di situazioni ripetitive che rappresentano per lui un fallimento
empatico, ovvero la mancanza di simpatia intersoggettiva, cioè esperienze che non rispondono al soddisfacimento di importanti
bisogni o desideri. Secondo l’autore le conseguenze dei traumi sono differenti a seconda della capacità reattiva del paziente.
Per la discussione del nostro caso si ipotizza che Sebastiano sia stato sin dalla nascita soggetto a un trauma da stress. Infatti,
durante la gravidanza, la madre dovette subire sia l’arresto del marito, padre di Sebastiano, accusato di omicidio, sia la morte
della propria madre, cadendo così in uno stato profondamente depressivo compromettendo la capacità di occuparsi della sua
gravidanza e della crescita dei fratelli di Sebastiano. Egli afferma di esser nato “sotto una cattiva stella”, metafora letteraria per
descrivere una situazione traumatica da stress ripetuto. Per descrivere meglio tale situazione citerò le parole di Lichtenberg,
tratte da un suo recente libro (“Mestiere e Ispirazione”, trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2008): “Quando le esperienze di
attaccamento nella prima infanzia hanno instaurato schemi di legame insicuri, o quando gli eventi traumatici in un qualsiasi
momento della vita hanno influenzato l’autoregolazione in modo negativo, si istituiscono aspettative che distorcono la
tendenza percettiva del paziente verso esperienze fallimentari di rapporto fra sé e gli altri. Ci sono maggiori probabilità che una
relazione o un evento vengano sentiti con paura invece che con sicurezza, con invidia e vergogna invece che con orgoglio, con
ira invece che con accettazione e calma”. La vicenda di Sebastiano mostra con decisione che in presenza di un sé capace di
mentalizzare, sia pure parzialmente, l'evoluzione della terapia diventa più favorevole. Al contrario, occorre un lungo lavoro
analitico per sviluppare nel paziente la funzione riflessiva in grado di fornirgli gli strumenti cognitivi, affettivi e
comportamentali per aiutarlo a orientarsi nella realtà sociale e intersoggettiva. Una volta acquisita una seppur parziale funzione
riflessiva, il lavoro può diventare più facile. In questo caso la mente dell'analista si presta a essere un “io ausiliario” (come
diceva Hartman, H., “Saggi sulla psicologia dell’io”, trad. it. Boringhieri, Torino 1976), in grado di orientare il paziente nelle
situazioni di relazione con se stesso e con gli altri. Nel caso in questione il deficit di capacità di mentalizzazione era parziale,
con un disturbo dell'attaccamento in senso evitante. Seguendo il modello di Fonagy, si può affermare che la funzione riflessiva
non è stata del tutto inibita. Tale fenomeno si può forse spiegare con la capacità intellettuale del paziente, che ha infatti
completato gli studi universitari in Teologia e si è laureato recentemente in Economia. Probabilmente anche un modello
operativo interno evitante non inibisce totalmente lo sviluppo cognitivo. In conclusione il tema della self-disclosure in sé non
presenta una teoria di riferimento, ma si può comprendere per adesso all'interno di modelli teorici già elaborati, come quello di
Kohut per quanto concerne il narcisismo e di Fonagy per la funzione riflessiva, o di Lichtenberg per gli aspetti di
autoregolazione della relazione diadica in terapia.
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a una sua richiesta implicita quando chiedeva il mio punto di vista su temi come quello
paura di trovarsi davanti a un terapeuta pregiudizialmente orientato, che non fosse in grado
di comprenderlo né di rispettare la sua identità (come quello consigliato dal suo tutore
spirituale, che a suo dire voleva che lui reprimesse la sessualità in funzione dell'ordine di
appartenenza).
Ritengo che la mia self-disclosure sia stato un tentativo spontaneo di empatizzare con il
mi raccontava della sua adolescenza, delle derisioni subite e della vergogna di essere
considerato il diverso nella sua famiglia d'origine. Alla luce di tutto ciò, l’incontro con
poteva essere vissuta senza rifiuto da parte mia. Parimenti, la self-disclosure ha costituito
costituito una base sicura sia per un rispecchiamento positivo del sé, sia per il
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