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Reometria

I comportamenti reologici finora discussi sono stati presentati facendo riferimento


all’esperimento ideale di flusso tra piatti paralleli rappresentato in Figura 4. Nella pratica,
la misura della viscosità e delle altre proprietà reologiche avviene mediante
apparecchiature più o meno complesse, i reometri. Un esperimento reometrico consiste
generalmente nella misurazione simultanea di due grandezze: una grandezza dinamica
(una forza, una coppia, una pressione) e una grandezza cinematica (ad esempio una
velocità, o uno spostamento, o un tempo). L'equazione del reometro è una relazione
matematica che lega queste due grandezze tra loro. In essa, oltre a parametri geometrici
del reometro ed eventualmente altri parametri fisici del fluido, comparirà anche la
grandezza reologica che deve essere misurata, e il cui valore viene quindi determinato dai
risultati della misura.
A titolo di esempio si consideri ancora una volta la geometria a piatti. Le grandezze
misurate sono la forza tangenziale applicata sul piatto, F, e la velocità del piatto superiore,
v. Siccome lo sforzo è dato da F/A e il gradiente di scorrimento da v/h, l’equazione di
questo semplice reometro è:

Fh
η= (1)
Av

per cui la determinazione della viscosità richiede la misura di F e v e la conoscenza dei


parametri geometrici A e h.

La misura della viscosità con reometri rotazionali


Il motivo principale che rende praticamente inutilizzabile il “reometro ideale” a piatti
paralleli risiede nelle condizioni cinematiche di funzionamento. I due piatti traslano uno
rispetto all’altro: ciò significa che, dopo un certo tempo, i piatti si separeranno
completamente, rendendo impossibile la misura. Inoltre, sempre a causa della traslazione
relativa, la superficie di applicazione della forza diminuisce progressivamente, portando
ad una continua variazione dello sforzo applicato.
Il modo più semplice di eliminare questi effetti indesiderati è quello di permettere al fluido
di muoversi secondo traiettorie chiuse, cioè ripetute indefinitamente nel tempo. Questo
principio è messo in pratica nei reometri rotazionali, che sono tutti basati sul moto relativo
rotatorio di due superfici. Il principio di funzionamento di questi reometri è molto
semplice, ed è comprensibile osservando lo spaccato di un reometro rotazionale riportato
in Figura 1. Il reometro è costituito da due piatti (o altri elementi, come specificato nel
seguito), uno fisso l’altro in movimento, tra i quali è interposto il fluido. Un motore
permette di imporre una assegnata velocità di rotazione al piatto, che determina un flusso
di scorrimento all’interno del fluido in esame. Un secondo dispositivo (trasduttore)
provvede a misurare la coppia necessaria a mantenere in movimento il piatto. Dalla misura
della coppia (grandezza dinamica) è possibile risalire allo sforzo applicato al fluido,
mentre da quella della velocità di rotazione (grandezza cinematica) al gradiente di
scorrimento. Ciò porta alla determinazione della viscosità del fluido.
I reometri rotazionali appartengono a due categorie costruttive concettualmente diverse. In
quelli a sforzo controllato il trasduttore di coppia è lo stesso motore che impone il moto di
rotazione del piatto mentre la velocità di rotazione è una grandezza derivata, nel senso che
viene determinata attraverso una misura. I reometri a sforzo controllato sono stati
introdotti sul mercato in tempi relativamente recenti. I progressi fatti nel campo dei motori
servocontrollati e nei sistemi di encoding ottico per la determinazione dello spostamento

1
angolare ne hanno tuttavia abbattuto progressivamente i costi, rendendoli di fatto lo
standard attuale nel campo dei reometri rotazionali.

Figura 1: Spaccato di un reometro rotazionale

I reometri a deformazione controllata sono storicamente precedenti rispetto a quelli a


stress controllato. In questo caso il moto viene imposto da un motore indipendente, in
modo da imporre il gradiente di velocità mentre la coppia viene misurata da un trasduttore
posto in corrispondenza del piatto fisso del reometro. Motore e trasduttore di questo
reometro sono gli elementi “critici” di questo tipo di reometri, e quelli che ne determinano
il costo, generalmente molto più elevato di un reometro a sforzo imposto.
I due tipi di reometri rotazionali su presentati posseggono ciascuno specifiche peculiarità.
Il reometro a stress controllato è particolarmente versatile e di costo più basso. D’altra
parte solo con un reometro a gradiente di scorrimento controllato è possibile effettuare
alcuni tipi di test a deformazione imposta, che risultano particolarmente importanti nello
studio dei sistemi viscoelastici, come si vedrà in seguito. Inoltre, i motori delle macchine a
gradiente controllato sono generalmente più potenti, per motivi costruttivi, di quelli a
stress controllato, permettendo il raggiungimento di coppie più elevate e quindi misure su
sistemi di viscosità estremamente elevata come i fusi polimerici.
Quale che sia il tipo di reometro rotazionale impiegato, sono generalmente disponibili
varie geometrie, ognuna delle quali va scelta in funzione delle caratteristiche del fluido e
dell’intervallo di gradiente di scorrimento (o di sforzo) di interesse. Qui di seguito sono
illustrate le principali geometrie utilizzate.

Reometro a cilindri coassiali (reometro di Couette)


E' costituito da una tazza cilindrica contenente un secondo cilindro coassiale (Fig.2). Uno
dei due cilindri è posto in rotazione con velocità angolare Ω, mentre l'altro viene
mantenuto fermo mediante l'applicazione di una coppia M. Le superfici di scorrimento
sono in questo caso dei cilindri coassiali. Nel caso in cui lo spessore dell'intercapedine h
sia piccolo rispetto al raggio dei cilindri (h<<R), si può immaginare di "aprire" la
geometria cilindrica effettuando un taglio lungo una generatrice. In tal modo è facile
riconoscere che questo tipo di geometria di flusso è equivalente a quella dei piatti paralleli.

2
Figura 2: La geometria a cilindri coassiali

In queste ipotesi la velocità di scorrimento può ritenersi uniforme e pari a:

ΩR
γ = (2)
h

Sul cilindro fermo agisce una coppia dovuta alla presenza di uno sforzo tangenziale σ,
anch'esso uniforme. La coppia complessiva M sara data allora da:

M = τ R(2π RL) (3)

dove L è l'altezza del cilindro. Accoppiando le Eq. (2) e (3) si ottiene:

2π R3 L
M= ηΩ (4)
h
che è l'equazione del reometro.

Reometro a cono e piatto


La viscosità di fluidi non-Newtoniani molto viscosi a bassi gradienti di velocità viene
tipicamente misurata in reometri rotazionali equipaggiati con una geometria cono-piatto,
schematizzata in Figura 3. Il materiale è compreso tra un piatto piano ed un cono, uno dei
quali viene posto in rotazione.
 

r  

Figura 3: La geometria cono-piatto

La scelta di questa geometria apparentemente “esotica” può esser compresa calcolando il


gradiente di scorrimento. Ad ogni raggio r tale gradiente è dato dal rapporto tra la velocità

3
del piatto in movimento e la distanza tra i piatti. Nel caso di angoli piccoli si può scrivere:

Ωr Ωr Ω
γ = ≅ = (5)
h rα α

dove α è appunto l’angolo del cono. La (5) informa che in questa geometria il gradiente di
scorrimento è uniforme in tutto il campione. Ciò rende possibile la determinazione della
viscosità non-Newtoniana. Infatti, se la shear rate è uniforme tale sarà anche lo sforzo
tangenziale. Ciò permette di scrivere la coppia complessiva agente sul piatto come:

2π R 3
R

M = ∫ σ r(2π r dr) = σ (6)


0
3

R essendo il raggio del piatto. Ricavando lo sforzo dalla (6) e dividendo per la (5) si
ottiene finalmente l'equazione del reometro a cono e piatto:

M 3α
η= (7)
2π R 3Ω

Nel ricavare l'equazione del reometro a cono e piatto (così come quella del reometro a
cilindri coassiali) abbiamo in realtà utilizzato un procedimento improprio. Infatti, piuttosto
che partire da un bilancio di forze, abbiamo supposto che fosse lecito aspettarsi un profilo
di velocità triangolare nello spessore tra il cono e piatto, e che quindi la shear rate fosse
uniforme. In realtà, la scrittura di un bilancio di forze ci permette, nell'ipotesi di angoli del
cono piccoli, di ricavare lo stesso risultato. Quindi, nell'approssimazione di angolo del
cono sufficientemente piccolo la (7) fornisce il risultato corretto per la viscosità.
La geometria cono-piatto è tra le pochissime a permettere anche la misurazione degli
sforzi normali. Anche in questo caso, come nella determinazione della viscosità, è
possibile seguire una "scorciatoia" che evita la scrittura e la risoluzione delle equazioni del
moto. giunge al risultato corretto. Si faccia riferimento al sistema di coordinate sferiche
riportato in Figura 4.

Figura 4: Il sistema di coordinate sferico per la geometria cono-piatto

Per il tipo di flusso e per il sistema di coordinate scelto, la direzione φ rappresenta quella
del flusso, la direzione θ quella del gradiente di velocità, mentre la direzione radiale è la
terza direzione perpendicolare alle prime due. Per comodità di notazione possiamo quindi
scrivere:

4
σ φφ = σ 11
σ ϑϑ = σ 22 (8)
σ rr = σ 33

T S2 T
33 33

r
r+dr

T11 T
11

T T
22 22

S1 S1

S3

Fig.5: Il volume di controllo utilizzato per il calcolo degli sforzi normali

Consideriamo ora il volume di controllo disegnato in Fig.5. Si tratta di un "mezzo


salvagente" (cioè di un mezzo di volume toroidale) di larghezza dr, contenuto tra il cono e
il piatto. Scriviamo il bilancio delle forze cha agiscono su tale volume proiettato secondo
la direzione x, indicata dalla freccia. Sulle due superfici lungo le quali il "salvagente" è
stato tagliato agiscono, lungo la direzione x, gli sforzi T11. Sul contorno laterale del
"salvagente" agiscono le T33, mentre sulle superfici superiore ed inferiore le forze normali
agenti sono quelle derivanti dagli sforzi T22. Su tutte le superfici del volume di controllo
agiscono anche degli sforzi tangenziali. Questi, tuttavia, o sono nulli, o forniscono un
contributo nullo quando proiettati lungo la direzione x. Il bilancio complessivo lungo la
direzione x fornisce allora i seguenti termini:
• sulle due superfici S1, di normale φ=x, la forza totale è:

T11 2rα dr (9)

• sulle superfici S2, di normale θ, lo sforzo normale sul piatto è verticale e non ha
componente lungo x, quello sul cono genera una forza totale in direzione x pari a:

2 ∫ (T
− π /2
22 sin α rdr ) cosϕ dϕ ≅ 2T22α rdr (10)

• sulle superfici S3, di normale r (quella a r+dr) e -r (quella a r), agisce la forza normale
T33 che contribuisce alla forza in direzione x con il termine:

5
0 0

2 ∫
− π /2
(T33α rr)cosϕ dϕ − 2 ∫
− π /2
(T33α rr)cosϕ dϕ ≅ 2T33α r 2 r − 2T33α r 2 r+dr (11)
r r+dr

In definitiva, il bilancio di forze complessivo lungo la direzione x fornisce, con le dovute


semplificazioni:

dT33
T11 + T22 − 2T33 − r =0 (12)
dr

Utilizzando le definizioni per la prima e la seconda differenza di sforzi normali:

N1 = T11 − T22 = σ 11 − σ 22
(13)
N 2 = T22 − T33 = σ 22 − σ 33

la (12) si può scrivere come:

dT33 N1 + 2N 2
= (14)
dr r

dove N1 e N2, essendo funzioni della sola shear rate, sono costanti. L'integrazione della
(14) fornisce:

r
T33 = ( N1 + 2N 2 ) ln (15)
R

dove si è usata la condizione al contorno che al bordo del cono e piatto (r=R), T33 sia nullo
(cioè lo zero della pressione è in corrispondenza della pressione atmosferica). Infine,
ricordando la seconda delle (13), la (15) fornisce:

r
T22 = N 2 + ( N1 + 2N 2 ) ln (16)
R

che rappresenta il profilo radiale di pressione sulla superficie del piatto.


Il risultato della (16) può essere utilizzato sperimentalmente in due modi. Da un lato
infatti, l'integrazione della (16) sulla superficie del piatto fornisce:

π R2
R

F = ∫ T22 (2π r)dr = N1 (17)


0
2
Quindi, quando sia possibile misurare la forza complessiva esercitata dal fluido in
movimento sulla superficie del piatto, la (17) rappresenta l'equazione del reometro cono e
piatto che permette di determinare la prima differenza di sforzi normali.
Se invece l'apparecchiatura sperimentale è talmente sofisticata da prevedere la misura del
profilo di pressione radiale sulla superficie del piatto, N1 e N2 (quando quest'ultimo sia non
nullo) possono essere ricavati entrambi da questa misura, utilizzando l'Eq.(16). Questa
equazione prevede infatti che, diagrammando in scala semi-logaritmica la pressione in
funzione del raggio adimensionale r/R, si ottenga una retta. Il valore estrapolato al bordo

6
del piatto (r/R=1) rappresenterà allora il valore di N2. Il valore di N1 può essere poi
ricavato, noto quello di N2, dalla pendenza della retta.

Reometro a piatti paralleli


Il reometro cono-piatto gode della importantissima proprietà di generare un gradiente di
scorrimento uniforme. Il fluido viene deformato tutto allo stesso gradiente, cosa che
corrisponde ad un valore di sforzo di taglio uguale in tutti i punti del reometro. Per questo
motivo, una volta assegnate le condizioni di flusso, la viscosità misurata rappresenta
l’effettivo valore al particolare gradiente di velocità imposto. Tuttavia, per ragioni diverse
che vanno dalla convenienza economica alla impossibilità di utilizzare tale geometria,
altre geometrie rotazionali vengono spesso utilizzate. Una di queste è quella a piatti
paralleli rotanti (vedi Figura 6). Confrontando quanto già detto per il reometro cono-piatto,
è facile determinare il gradiente di scorrimento:

Ωr
γ = (18)
h

che risulta quindi variabile con il raggio. Ciò significa che è possibile determinare la
viscosità solo nel caso di fluido Newtoniano. In questo caso infatti, anche per il tale
geometria si può scrivere la coppia in termini di integrale dello sforzo tangenziale:

Ωr 2πΩη 3 πΩη R 4
R R R R

M = ∫ σ r(2π r dr) = ∫ ηγ r(2π r dr) = ∫ η


h ∫0
r(2π r dr) = r dr = (19)
0 0 0
h 2h

Nella (19) si è sostituita l'equazione di Newton al posto dello sforzo tangenziale, rendendo
così possibile l'integrazione analitica. Quindi l’analisi Newtoniana fornisce la seguente
equazione del reometro:

2 Mh
η= (20)
π R 4Ω

Nel caso di fluidi non-Newtoniani la (20) viene ancora usata, anche se costituisce un
risultato approssimato. In questo caso la viscosità apparente così ricavata viene
diagrammata in funzione del gradiente di scorrimento massimo, ottenibile dalla (18) per
r=R:

ΩR
γ max = (21)
h
La geometria piatto-piatto viene utilizzata raramente per misure di viscosità. I suoi
vantaggi rispetto a quella cono-piatto sono una relativamente maggiore facilità nel
caricamento e la possibilità di variare lo spessore di fluido. Invece la geometria piatto-
piatto è ideale per misure di viscoelasticità, e può quindi costituire la scelta di prima
dotazione per un reometro rotazionale quando i costi non permettano l’acquisto anche di
un cono-piatto.

7
 

r  

Figura 6: La geometria piatto-piatto

La misura della viscosità con il reometro a capillare


Il reometro a capillare è, insieme al reometro cono-piatto, l'apparecchiatura reologica
maggiormente utilizzata per la misura della viscosità. Le traiettorie rettilinee e l’assenza di
effetti di bordo, presenti in tutte le geometrie rotazionali, permettono il raggiungimento di
gradienti di scorrimento estremamente elevati (superiori a 100.000 s-1). Inoltre, la
possibilità di imporre forze estremamente alte permette la misura di fluidi con viscosità
molto elevate, cosa che li rende ideali per i fusi polimerici. Il suo schema di
funzionamento è illustrato in Figura 7. Il liquido viene spinto (generalmente mediante un
pistone) attraverso un canale di dimensioni trasversali relativamente piccole, appunto un
capillare. Viene misurata la variazione di pressione all'imbocco e all'uscita del condotto
(dove generalmente la pressione è atmosferica). Nota la portata passante nel condotto
(determinata dalla velocità di avanzamento del pistone), è possibile misurare la viscosità
del fluido.
La sezione del condotto capillare è generalmente circolare (la geometria più utilizzata) o a
feritoia rettangolare (detta anche slit die). In questa sede si illustrerà l'equazione del
reometro nel caso più classico di capillare a sezione circolare.

Figura 7: Schema della geometria a capillare

In un capillare a sezione circolare le superfici di scorrimento sono dei cilindri concentrici


che si muovono "a cannocchiale" uno rispetto all'altro. E' naturale quindi utilizzare un
sistema di coordinate cilindriche, r,θ,z. Trascurando effetti di imbocco, in condizioni
stazionarie tutto si ripete identicamente lungo la direzione z. Inoltre, la simmetria
cilindrica suggerisce anche che il moto è indipendente dalla coordinata angolare θ. Sulla
base di queste considerazioni, è lecito effettuare un bilancio di forze su di un volume di
controllo anulare, limitato da due cilindri di lunghezza L (la lunghezza totale del
capillare), e di raggio rispettivamente pari a r e r+dr (Fig.8).

8
σ

Figura 8: il volume di controllo per la geometria a capillare

Le uniche forze agenti sul volume di controllo lungo la direzione assiale sono quelle di
pressione, sulle due corone circolari di base, e quelle dovute allo sforzo di taglio, lungo le
superfici cilindriche laterali. Un bilancio di forze lungo la direzione z fornisce allora:

2π rdr ( Po − PL ) + 2π rLσ r − 2π rLσ r+dr


=0 (22)

L'equazione differenziale (22) può essere integrata, fornendo il profilo di sforzo in


direzione tangenziale:

ΔP r
σ= (23)
L 2

dove ΔP/L è la perdita di carico per unità di lunghezza di capillare. La (23) ci dice che lo
sforzo varia linearmente lungo il raggio del capillare. Di conseguenza il gradiente di
scorrimento, che in questo caso è definito come:

dv
γ = − (24)
dr

sarà anch'esso variabile linearmente lungo r. Ciò significa che, al fine di determinare
l'equazione del reometro, va specificata l'equazione costitutiva. In particolare, nel caso di
fluido Newtoniano, la (24) diventa:

dv ΔP r
− = (25)
dr L 2η

che integrata con la condizione di aderenza alla parete (v=0 per r=R) fornisce il classico
profilo di velocità parabolico:

ΔP 2 ⎛ r2 ⎞
v= R ⎜ 1− 2 ⎟ (26)
4η L ⎝ R ⎠

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Una successiva integrazione della (26), per ricavare la portata volumetrica passante nel
capillare, fornisce l'equazione del reometro:

π R 4 ΔP
R

Q = ∫ v2π r dr = (27)
0
8L η

La (27) è valida solo per fluidi Newtoniani. Ciò significa che da una singola misura di
portata di liquido e di pressione è possibile ricavare il valore della viscosità. Nel caso di
fluidi non-Newtoniani, il reometro a capillare può ancora essere utilizzato. In prima analisi
sembrerebbe necessario disporre dell'equazione costitutiva per il fluido considerato. Se
tale equazione costitituiva è ancora matematicamente manipolabile, si può sperare di
ripercorrere i passi già seguiti nel caso Newtoniano, cioè integrando equazioni analoghe
alle(22) e (25). Ciò è possibile in alcuni casi. Ad esempio, se è applicabile una relazione
costituiva del tipo legge di potenza:

σ = Kγ n (28)

il profilo di velocità e l'equazione del reometro sono facilmente ottenibili come:

1
⎡ n+1

n n+1
⎛ ΔP ⎞ n
⎢ ⎛ r ⎞ n

v= Rn ⎜ (29)
⎝ 2KL ⎟⎠ ⎢ ⎜⎝ R ⎟⎠ ⎥
1−
n +1
⎣ ⎦

ΔP 2K ⎛ 3n + 1 ⎞ n
n

= 3n+1 ⎜ ⎟ Q (30)
L R ⎝ nπ ⎠

In particolare, l'equazione del reometro(30) permette di ricavare i parametri reologici K e


n. Infatti, diagrammando in scala logaritmica una serie di dati sperimentali di perdita di
carico in funzione della portata, il fluido ha un comportamento a legge di potenza se i dati
sono interpolabili con una retta. La pendenza della retta dà direttamente l'indice di flusso,
n. La consistenza, K, è poi ricavabile dalla posizione assoluta della retta nel diagramma.
Un'equazione del reometro a capillare di tipo esplicito è ricavabile anche nel caso di fluido
alla Bingham, la cui equazione costitutiva è data da:

σ = σ o + ηγ (31)

In questo caso, oltre a ricavare le espressioni del profilo di velocità e della portata in
funzione della perdita di carico, è facile verificare che il fluido alla Bingham rimane
addirittura fermo nel capillare se è verificata la relazione:

2σ o
R< (32)
ΔP / L

Come già detto, il reometro a capillare sembrerebbe non permettere la determinazione


della viscosità di un fluido non-Newtoniano, a meno che non si conosca a priori
l'equazione costitutiva per tale fluido. In realtà, invece, è sempre possibile determinare la

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viscosità effettiva del fluido in funzione della velocità di scorrimento utilizzando
opportunamente i risultati sperimentali, senza avere bisogno di una equazione costitutiva.
Il metodo di determinazione della viscosità, detto metodo di Mooney-Rabinowitsch, è
utilizzabile, con i dovuti cambiamenti, anche in altri reometri (quello a piatti paralleli e
quello a cilindri rotanti, per esempio) nei quali il flusso, pur essendo viscometrico, non è
caratterizato da un gradiente di scorrimento uniforme.
In primo luogo si può osservare che l'equazione di bilancio di forze (23) fornisce il valore
dello sforzo tangenziale alla parete. Infatti, per r=R, la (23) diventa:

ΔP R
σw = (33)
L 2

Quindi lo sforzo alla parete è noto quando sia nota la differenza di pressione agli estremi
del capillare. Ciò significa che, se è possibile determinare il corrispodente valore della
velocità di scorrimento alla parete, , la viscosità potrà essere calcolata come rapporto
tra lo sforzo e la shear rate alla parete. Ovviamente, effettuando diverse misure al variare
della portata di fluido nel capillare, sarà possibile determinare la curva di viscosità in
funzione della velocità di scorrimento.
Per ottenere il valore di a partire dalle misure di portata e di perdita di carico,
osserviamo innanzitutto che la portata passante nel capillare, Q, è definita dalla relazione:

Q = ∫ 2π rv(r)dr (34)
0

Integrando per parti, e sfruttando la condizione di aderenza alla parete, v=0 per r=R, si
ottiene:

R R
dv
Q = −π ∫ r 2
dr = π ∫ r 2γ (r)dr (35)
0
dr 0

Supponendo che la relazione tra lo sforzo tangenziale e la velocità di deformazione sia


biunivoca (cioè che la funzione σ( ) sia invertibile), l'integrale nella (35) può essere
riscritto in funzione dello sforzo tangenziale σ invece che del raggio r:
σw
π R3
Q= 3 ∫σ γ (τ )dτ (36)
2

σw 0

La (36) può anche essere riscritta nella forma:


σw
4Q 4
= γ a = 3 ∫σ γ (τ )dτ (37)
2

πR 3
σw 0

dove γa è una shear rate apparente, e rappresenta il valore di velocità di scorrimento alla
parete che si avrebbe nel caso di fluido Newtoniano (questo può essere verificato
ricavando la velocità di scorrimento in funzione della portata nel caso Newtoniano dalla

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(27)). La (37) esprime una importante proprietà: indipendentemente dalle dimensioni
geometriche del capillare, la shear rate apparente è una funzione univoca del valore dello
sforzo tangenziale alla parete. In altri termini, in un diagramma che riporti in ascissa il
gruppo 4Q/πR3 e in ordinata il gruppo (ΔPR)/2L (entrambi ottenibili da misure di portata
e di perdita di carico), tutti i punti cadrebbero su di un'unica curva.
Il risultato ottenuto può essere immediatamente utilizzato per ricavare la viscosità
effettiva del fluido. Infatti, riscrivendo la (37) come:
σw

γ aσ w3 = 4 ∫ σ 2γ (τ )dτ (38)


0

e derivando membro a membro rispetto a σω si ottiene:

3 1 dγ
γ w = γ a + σ w a (39)
4 4 dσ w

La (39) permette finalmente di determinare la shear rate effettiva alla parete, nota che sia
la funzione γa(σw). In particolare, posto:

d ln σ w
n= (40)
d ln γ a

la (39) si riscrive come:

3n + 1
γ w = γ a (41)
4n

La procedura di determinazione della viscosità è allora la seguente:


• si effettuano misure di perdita di carico in funzione della portata a diverse portate. Ciò
permette di ricavare lo sforzo alla parete dalla (33) per diversi valori della shear rate
apparente;
• si riportano su grafico in scala logaritmica i valori così calcolati di σw in funzione di .
In questo modo, per un certo valore di shear rate apparente si può determinare (con metodi
grafici o numerici) il valore della pendenza di tale grafico, corrispondente alla variabile n
definita dalla (40);
• dal valore di n e della shear rate apparente si può finalmente calcolare la shear rate
effettiva alla parete. Il rapporto σw/ γ w fornisce quindi il valore della viscosità.
Ripetendo gli ultimi due passi per diversi valori di è possibile ricavare la curva di
viscosità in funzione della velocità di scorrimento.
I reometri a capillare in commercio sono di due tipi diversi: quello a portata
imposta e quello a pressione imposta. Nel primo, la portata di fluido nel capillare viene
controllata, ad esempio spingendo il liquido con un pistone a velocità di avanzamento
prefissata, mentre la differenza di pressione tra l'imbocco e lo sbocco viene misurata. Nel
secondo tipo, viene invece imposta la pressione a monte del capillare, per esempio
pressurizzando il liquido all'imbocco, e viene misurata la portata allo sbocco del capillare.

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In entrambi i casi, generalmente, la pressione di sbocco è quella atmosferica, per cui la
perdita di carico è determinata da una singola misura di pressione a monte del capillare (la
membrana del trasduttore è piatta, e non può essere ospitata lungo la parete curva del
capillare senza generare disturbi al flusso). Questo fa sì che la misura di pressione sia
influenzata dal flusso complesso che ha luogo nella zona di imbocco del capillare. Come
conseguenza, la differenza di pressione misurata è data dalla somma delle perdite di carico
distribuite lungo il capillare e di quelle concentrate nella zona di imbocco. Queste ultime
possono essere molto importanti, e superare addirittura le prime, soprattutto nel caso di
capillari di piccola lunghezza. La situazione peggiora ulteriormente nel caso dei fluidi
polimerici, nei quali la viscosità elongazionale può assumere valori molto elevati. Per
quanto detto, al fine di determinare il corretto valore di viscosità è allora necessario
valutare le perdite di imbocco. Ciò può essere effettuato mediante una procedura, detta
correzione di Bagley, che viene illustrata nel seguito.

Figura 9: Le linee di flusso nel reometro a capillare e l'andamento schematico della


pressione nelle varie zone dell'apparecchiatura

La perdita di carico ΔP nel reometro a capillare, come schematizzato in Fig.9, può


essere espressa come:

⎛ ΔP ⎞
ΔPtot = ΔPimb + ⎜ (42)
⎝ L ⎟⎠ cap
L

dove ⎜
⎛ ΔP ⎞ rappresenta la perdita di carico per unità di lunghezza nel capillare. La (42)

⎝ L ⎠ cap
esprime il fatto noto che le perdite di carico aumentano linearmente con la lunghezza del
capillare, ma anche che, al tendere a zero della lunghezza del capillare, cioè nel caso di
efflusso attraverso un foro, è sempre necessario spendere una certa quantità di energia,
pari appunto alle perdite di imbocco.
Il metodo della correzione di Bagley consiste allora nell'effettuare, ad ogni assegnata
portata, diverse misure di perdita di carico con capillari di lunghezza diversa.
Diagrammando la perdita di carico in funzione della lunghezza del capillare, i dati
dovrebbero essere ben interpolati da una retta, corrispondente alla (42). Estrapolando a
lunghezza zero del capillare, l'ordinata all'origine fornisce il valore di ΔPimb. Da questo è
possibile ottenere il valore di (ΔP/L)cap per ogni portata, e determinare così il valore

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corretto della viscosità.
Lo studio del diagramma di Bagley permette di ricavare ulteriori informazioni
sulla qualità delle misure di viscosità effettuate col reometro a capillare. Infatti la relazione
di linearità espressa dalla (42) è valida solo se gli effetti di imbocco si esauriscono
rapidamente all'interno del capillare. Questo può non essere vero quando i tempi di
permanenza del fluido nel capillare sono inferiori al tempo caratteristico del fluido (tempo
di rilassamento). Questo vuol dire che il liquido subisce condizioni di flusso transitorio per
lunghi tratti all'interno del capillare. E' facile intuire che questi fenomeni (legati alla
viscoelasticità del fluido) si traducono in una non linearità del diagramma di Bagley. Da
ciò consegue non solo l'impossibilità di utilizzare la correzione di Bagley, ma anche
l'impossibilità di ricavare dalle misure un valore di viscosità in condizioni stazionarie.
Riepilogando, l'uso corretto del reometro a capillare per determinare la viscosità di
fluidi non-Newtoniani richiede i seguenti passi:
• effettuazione di misure della portata Q e della corrispondente perdita di carico ΔP con
capillari di diversa lunghezza (posibilmente almeno 3 lunghezze);
• elaborazione dei diagrammi di Bagley allo scopo di :
a) assicurarsi che il flusso sia ben sviluppato e che eventuali effetti di transitorio siano
trascurabili;
b) determinare le perdite di imbocco in modo da isolare le sole perdite di carico nel
capillare;
• utilizzo del metodo di Mooney-Rabinowitsch per l'ottenimento della viscosità effettiva in
funzione della velocità di scorrimento.
Le Figure 10-12 costituiscono la sintesi grafica del metodo di elaborazione dei dati
sperimentali in capillare. In particolare, la Figura 1o è il diagramma di Bagley di un
polistirene alla temperatura di 200°C a diversi valori del gradiente di scorrimento
apparente. Per ogni gradiente i punti si allineano su di una retta. La linea continua è una
regressione lineare dei dati la cui intercetta per L=0 fornisce la perdita di imbocco, mentre
la pendenza permette di ricavare immediatamente la perdita di carico nel capillare e di
conseguenza lo sforzo alla parete utilizzando la (33)
350

300

250

200
ΔP, bar

150

100

50

0
2 4 6 8 10 12
L, mm
Figura 10: Il diagramma di Bagley per un polistirene a 200°C. I dati si riferiscono, dal
basso verso l’alto, a valori di shear rate apparente compresi tra 100 e 10000 s-1

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σw, Pa
105

102 103 104


-1
γa, s
Figura 11: Il diagramma di Mooney-Rabinowitsch per il polistirene di Figura 10

103

102
η [Pa s]

101

100
102 103 104 105
-1
shear rate [s ]
Figura 12: La curva di viscosità del polistirene di Figura 10

La Figura 11 è il diagramma di Mooney-Rabinowitsch per lo stesso polimero. I dati


sperimentali sono stati interpolati in questo caso con un polinomio di terzo grado, la cui
derivata prima fornisce direttamente il valore dell’indice di flusso, n. Calcolando il
gradiente effettivo alla parete mediante la (41) è quindi possibile ricavare la viscosità
effettiva, riportata in Figura 12.

Altri viscosimetri di uso comune

Il viscosimetro a caduta di sfera


E' costituito da una sfera che cade all'interno di un cilindro. Il cilindro è dotato di due
traguardi, e si misura il tempo necessario a percorre tale spazio, ricavando così la velocità
della sfera nel fluido. Nel caso di flusso laminare, in cui anche l'inerzia sia trascurabile, le
linee di flusso sono del tipo indicato in Fig.13.

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Figura 13: Le linee di flusso intorno ad una sfera cadente in un fluido

E' chiaro che in questo caso, oltre ad una componente di scorrimento, il flusso è
caratterizzato anche da una componente elongazionale. L'analisi del moto risulta
complessa, ma ancora trattabile nel caso di un fluido Newtoniano. Infatti, integrando i
contributi dello sforzo alla superficie della sfera, si ricava la ben nota relazione di Stokes:

F = 6πη Rv (43)

dove F è la forza agente sulla sfera di raggio R nella direzione del moto, e v la sua
velocità. Uguagliando la (43) alla forza applicata, cioà la somma di forza peso e di forza di
Archimede, si ottiene l'equazione del viscosimetro a caduta di sfera:

2 R 2 ( ρ s − ρ )g
v= (44)
9 η

Nella (44) ρs e ρ sono rispettivamente la densità della sfera e quella del liquido. La (44)
richiede talvolta una correzione per tener conto degli effetti delle pareti del recipiente sul
flusso viscoso. Anche tale correzione può però effettuarsi per via teorica, o per taratura
diretta dell’apparecchiatura.
Il viscosimetro a caduta di sfera può fornire la viscosità solo nel caso di fluidi Newtoniani.
Per fluidi non-Newtoniani, la misura fornisce solo una stima del livello di viscosità ad una
shear rate media tra quelle raggiunte nel flusso.
Il plastometro. Misura del Melt Flow Index (MFI)
Il plastometro è un’apparecchiatura molto utilizzata in ambito industriale, che permette la
misurazione del cosiddetto grado di un polimero fuso (Melt Flow Index o MFI). La misura
dell'MFI avviene secondo procedure standardizzate (ASTM o ISO) in apparecchiature
simili al reometro a capillare. Lo schema di un plastometro è riportato in Figura 14. La
misura si effettua estrudendo il polimero fuso attraverso un ugello standard ad una
temperatura standard sotto l'azione di un peso standard. Il grado o MFI è definito come la
massa in grammi di polimero estruso nel tempo standard di 10 minuti. L'MFI è quindi, con
approssimazione più o meno grande, inversamente proporzionale alla viscosità del fluido.
La misura dell'MFI è particolarmente utile per il controllo delle materie plastiche, per

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studiare gli effetti della degradazione termo-meccanica dovuti al processo, per confrontare
polimeri dello stesso tipo ma di diverso peso molecolare, per effettuare la scelta del
materiale in funzione del tipo di processo.

Figura 14: Schema del plastometro. Il peso 1 preme sul pistone 2 che spinge il polimero
6 attraverso l’ugello 7

Pur non potendo sostituire la curva di viscosità, un dato approssimato di quest’ultima al


singolo gradiente di scorrimento imposto nel plastometro può comunque essere ottenuto a
partire dalle stesse equazioni che governano il moto nel capillare. Approssimando il
comportamento del polimero a quello di un fluido Newtoniano, e trascurando le perdite di
imbocco, si ottiene:

MFI −1
γ app ≅ 1.834 [s ] (45)
ρ

η ≅ 49.4 [ poise] (46)
MFI
dove ρ è la densità del polimero (in g/cm3) e m la massa in grammi del peso applicato. In
genere, la viscosità ottenuta dalla Errore. L'origine riferimento non è stata trovata. è
sempre sovrastimata rispetto al valore effettivo.

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