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VOL. LXVII
SERIES FACULTATIS PHILOSOPHICAE
Sectio A (n. 6)
STUDI FILOSOFICI
1
intorno
14 -16 ottobre 19 5 3
ROMAE
APUD AEDES UNIVERSITATIS GREGORIANAE
1954
j
IMPRIMI POTEST
P. PETRUS M. ABELLAN, s. I.
· Rector Universitatis
IMPRIMATUR
t A. T'RAGLIA
Archiep. Caesarien., Vic. gen.
II
PAG,
V. Filosofia perenne e flsica moderna (R. P. M. VmAN6 S. 1.) 203
VI. De multitudine inflnita principiorum necessariorum
(R. P. P. HOENEN S. 1.) . 209
VII. Biologische Probleme höherer Ordnung im Lichte des
ontologischen Aktualismus und Symbolismus (C. D.
H. ANDRE) 219
VIII. La vitesse grandeur qualitative comportant un maximum
et la theorie de Ia relativite (R. P. J. ABELE S. I.) 231
III
Fllosofla Eslstenzlale
e Fllosofla dell' Essere
1 - Stadl fllo•oflcl
I.
1-M. HB1DBOOBR, Was heisst Denken? in: Merkur. Deutsche Zeitschrift för
Europäisches Denken, 1962 (VI), pag. 601-611.
6 NOVATUS PICARD O. F. M.
* * *
A queste vere dimensioni, precisamente, nel sopradetto scrit-
to « Was heisst Denken?» (Che eosa signiftea pensare?) Heidegger
LA POSIZIONE DELLA FILOSOFIA 01 M, HEIDEGOER 9
nel caso della seconda ipotesi, ehe sembra sia quella di Heidegger:
quale dev'essere l'elemento in eui il pensare ha da muoversi? Que-
sto elemento, il cogitandum, si sottrae e si nega, ne noi possiamo
f orzare il suo arrivo, il suo svelarsi.
« Cosi ei resta soltanto uno, eioe aspettare >. Un'attesa esea-
tologiea flnehe il cogitandum ei si manifesti, ei si sveli, ci si resti-
tuisca nella sua pienezza, dopo essersi sottratto. Questo aspettare,
pero, non signiftca: rimandare il pensare, ma : guardare d'intomo
(Ausschau halten), dentro l'ambito del gia··pensato, per rieereare il
non ancora pensato ehe ancora si naseonde nel gia pensato. Aspet-
tando talmente gia siamo pensando in eammino verso il oogitan-
dum. Questa attesa potra essere delusa, questo cammino potra es-
sere una via sbagliata. Quel ehe eonta e ehe questa attesa sia dispo-
sta ( « intonata >, gestimmt auf ... ) a eorrispondere al cogitandum,
quando e nella misura in cui questo si svelera.
Dunque, noi pensiamo gia, ma, malgrado ogni logiea, il vero
elemento del pensiero ancora ·non ei e stato reso familiare, e, per
conseguenza, noi nemmeno sappiamo in quale elemento il nostro
pensare, flnora, in quanto pensare, si muova.
Perche non possiamo essere sieuri del pensare, eosl eome e
stato flnora? Qual'e il tratto fondamentale di questo pensare? Que-
sto· tratto f ondamentale ·e il Vernehmen ( vosiv) : percepire ua
presente, avvertirlo, · aeeettarlo eome presente. Questo Vernehmen
e Vor-atellen, nel senso sempliee e essenziale ehe noi laseiamo stare
dinanzi a noi un sempliee presente, cosi eome sta. Parmenide, se-
eondo Heidegger, ha determinato, in maniera decisiva, tutto il pen-
siero oeeidentale introducendo una determinazione fondamentale del
pensare secondo la quale l'essenza del pensare resta determinata
da eio ehe il pensare in quanto Vernehmen pereepisee, eioe dal-
l'c ente nel suo essere >. Ora, ehe cosa significa per i Greci e i
posteri questo ente nel suo essere? La risposta a questa domanda
c flnora mai posta perche troppo sempliee > e un salto nel buio:
l'ente nel suo essere signiflea « presenza del presente > (Anwesen
des Anwesenden). 11 pensare come Vernehmen, dunque, percepi-
sce il presenle nella sua presenza: e presentazione del presenle in
quanto c lo pone dinanzi a noi >. Come tale presentazione, il pen-
sare pone il presente in un rapporto a noi, quasi lo ri-porta a noi.
La presentazione diventa cosi rappresentazione (Vor-stellung).
II pensare tradizionale e Vor-stellen il quale si effettua nel
loy~ (giudizio), e la teoria del pensare, conseguentemente, e la
logiea.
Ma qui si pongono pareechie domande. Perche il pensare si
fonda sul Vernehmen ( vosiv), e perehe questo ha il suo spiega-
NOVATUS PICARO O,P,M,
* * *
P. NovATO P1cARD, 0. F. M.
•
•
II.
R. P. CORNELIO FABRO, C. P. S.
DECANO DELLA FACOLTA DI FILOSOFIA
NEL PoNT. ATENEO URBANO « DE PROPAGANDA FmE »
nella I" lettera di S. Paolo ai Corinti ( 1, 20): « Non ha Dio reso stol-
ta la scienza di questo mondo »? Ed ecco il monito alla teologia cri-
stiana: « Non vorra la teologia cristiana decidersi ancora una buona
volta per eonsiderare, d'aecordo con le parole dell' Apostolo, la filo-
sofia eome una stoltezza? » Pel suo stesso carattere, ambiguo e bi-
. fronte, la metafisisa si ehiude nell'essente e le resta preclusa l'espe-
rienza dell'essere ehe in esso si nasconde 1 •
Heidegger per conto suo non dice in cosa propriamente consi-
ste il Cristianesimo. Sappiamo pero ch'egli trova inamissibile l'idea
eristiana di ereazione in quanto essa comporta la produzione dal
nulla e quindi nega la verita del prineipio: ex nihilo nihil fit. II nulla
diventa cosi nella concezione eristiana il eoneetto opposto all'essen-
te ehe propriamente e, al summum ens, a Dio come « ens increa-
tum » : ma questo e, per Heidegger un passare oltre al punto fonda-
mentale, perche si trascurano i problemi dell'essere e del nulla e lo
stesso problema ehe « se Dio produce dal nulla, deve precisamente
poter mettersi in rapporto eol nulla. Ma se Dio e Dio, egli 110n puo
conoscere il nulla, dato ehe eome « Assoluto > egli esclude da se
ogni nullita > 8 • L'unieo concetto ·valido del « nulla » non e qucllo
di contrapposto all'ente, ma di farlo appartenere all'essere dell'ente
e quindi d'identifiearlo, in sede teoretiea, con l'ente stesso seeondo
il prineipio hegeliano ehe « il puro essere e il puro nullo sono la
medesima eosa > 9 •
Nell'interpretazione di Heidegger la dottrina della ereazione rap-
presenta il seeondo momento earat\eristico della deviazione del pen-
siero oecidentale: il primo e stato ·la eoneezione platonieo-aristote-
lica di fare dell'essente nella sua totalita eome l'essente stesso la
fondazione nell'apertura dell'essente; il secondo e stato di trasfor-
mare l'essente cosi aperto come totalita in essente eome qualcosa
di creato da Dio, e eio - al dire di Heidegger - sarebbe avvenuto
nel Medio Evo; il terzo infine e stato di aver trasformato l'essente in
oggetto, [ di rappresentazione], e questo e stata l'opera del sogget-
tivismo moderno 10 • II rifiuto di Heidegger alla dottrina eristiana del-
ta creazione e radieato nella sua eritiea al binomio materia-forma
ehe la filosofia medievale avrebbe trasferito dalla sfera della stru-
mentalita esteriore alla concezione dell'ente: l'indieazione ei sem-
bra deeisiva per mettere in ehiaro l'ambiguita in eui si muove su que-
sto punto essenziale tutta la maeehina heideggeriana. Dal testo ri-
1 Einleitung di Was ist Metaphysik?&, p. 18 s.
s Was ist Metaphysik?&, p. 35 s.
e HBGBL, WiBBenschaft der Logik, I Buch; ed. Lasson, 1, p. 67.
10 Cf. Der Ursprung des Kunstwerkes in Holzwege, p. 63 s. Cf. anche Die
Zeit des Weltbildes (1. c., p. 83).
IL PROBLEMA DI D10 NEL PENSIERO DI HEIDEGGER 21
17 Brief•••. , p. 102.
1s Brief. .. ,. pi, 85 s.
IL PBOBLEMA DI D10 NEL PENSIEBO DI HEIDEGGEB 25
E' vero ehe l'uomo trascende ogni essente nello esse, per via del-
lo esse, ma questo trascendere e a sua volta un « insistere » nello
esse quale « illuminazione » (Lichtung) dell'essente, e quindi pro-
prio dell'uomo 26 : lo esse si chiarifica ncll'uomo e per l'uomo, de-
finisce precisamente l'uomo come « custode », « pastore », « luogo » ...
dell'essere. L'immanenza ontologica sostituita all'immanenza gno-
seologica.
L'ambiguita heideggeriana nel problema di Dio e legata quindi
all'ambiguita costitutiva nella quale si pone il problema dell'essere.
Certo, non si deve dire ch'e l'uomo, la soggettivita umana, al pro-
durre I'essere, ma al contrario e l'esscre ehe ha l'uomo, ehe lo
possiede e l'uomo si da come « rapporto all'essere ».
Pero all'essenza dell'essere, secondo l'ultima formula heidegge-
riana, appartiene ehe « l'essere non si mostra senza l'essente, e
mai un essente e senza l'essere » 27 • Cio significa (ed e del resto il
significato continuo dell'opera heideggeriana ehe l'essere dell'essen-
te ch'e l'uomo si attua nella trascendenza del suo « U » temporale
(Da). Percio tale essere non puo ammettere nessuna interiore de-
terminaziöne qualitativa, ehe allora non sarebbe piu Sein ma Seien-
de. Sembra percio di dover concludere ehe l'esse ipsum sta agli
antipodi dello Esse totaliter perfectum ch'e lo Esse subsistens co-
me Ja teologia tomista chiama Dio :- del resto lo stesso Heidegger
esclude espressamente ehe il Sein selbst sia Dio 211 • E' su questa
chiarificaziöne del Sein come Sein selbst rispetto al Seiende, ehe
bisogna insistere se si vuol porre in modo efficace il problema di
Dio in Heidegger, ma il suo linguaggio sempre mobile sembra piut-
tosto avaro nell'indicare uno spiraglio di soluzione. II Sein selbst
e una espressione di S. Tommaso per indicare Dio ch'e lo ipsum
. n Cf. Encyklop. d. philos. Wiss. $. 85: « Das Sein selbst, so wie die
folgenden Bestimmungen nicht nur des Seins, 'sondern die logischen Bestim-
mungen ueberhaupt, koennen als Definitionen des Absoluten, als die metaphy-
sischen Definitionen Gottes angesehen werden> (ed. Berlin 1840. Bd. I, p. 163;
ed. J. Hoffmeister, S. W. Bd. V, 1949, p. 105).
III
R. P. GEORGES DUCOIN S. I.
PBOPBSSORB NELLA FACOLT.A DI FILOSOFIA DI CHANTILLY (FRANCIA)
e Holzwege, p. 41.
"ne doutera de la profondeur d'une philosophie que couvre une ter-
ATRANASIO DE VOS O. P.
11 Holzwege, p. 43.
12 Einfilhrung .., p. 87.
1,s « De eo quod est idem re et differens ratione nihil prohibet contradic-
toria praedicari >, dit S. Thomas dans De Potentia, Qu. 7, art. 1, ad 6m.
LA THEORIE HEIDEGGERIENNE DE LA VERITE 43
M Holz·wege, p. 42.
15 De Potentia, Qu. 8, art. 1; a confronter avec Contra Gentiles IV, 11 et
avec Summa Theol. P. I, Qu. 87, art. 1, ad 3m.
16 Einführung ... , p. 139; a la page prccedente on peut lire dans le meme
sens: « So kann denn 011<1L<1 beides bedeuten: Anwesen eines Anwesenden und
dies Anwesende im Was seines Aussehens ». -Nous voulons signaler apres
coup une page d'Endre von Ivänka dans Scholastik. En guise de conclusion
a une note critique (W:as bleibt von der Existenzphilosophie?) il preconise
une renaissance de l'augustinisme et continue ainsi - c'est nous qui souli•
gnons: « freilich eines Augustinismus, der von einer Erkenntnislehre losge-
löst werden müsste ... und durch eine wirkliche Theorie der Gegenstandserkennt-
nis ergänzt werden müsste, die nur von der ' aristotelischen ' Seite bezogen
werden kann. Dafür hat uns gerade die existentialische Einseitigkeit und ihre
Konsequenz, die monistische Absorbierung des Erkennens durch das Dasein
erst recht die Augen geöffnet» (l. c. 1952, p. 407). On ne saurait plus bricve.ment
formuler l'idee critique qui nous a guide dans !es pages qui precedent.
V.
R. P. ALOYS NABER S. I.
PaOFBSSORE NBLLA PONTIFICIA .UNIVBRSITA GREGOBIANA
12 Weil nunmehr H. das Sein nicht mehr vom Menschen her, « als vom
Dasein entworfen :. ... ansieht, - sondern, umgekehrt, klar das Wesen des Men-
schen vom Sein her, als die « Lichtung des Seins >, ... bestimmt: - wird, der
Einfachheit halber, von einer ausdrücklichen Bezugnahme auf die transzenden-
tal phänomenologische Fragestellung von « Sein und Zeit> abgesehen.
WAHRHEIT UND SEINSDENK:EN BEI MARTIN HEIDEGGER 47
* ., *
2bia Tremich zusammengefaßt finden sich Sinn und Bedeutung dieser Pro-
blemlage, samt ihren näheren und entfernteren Voraussetzungen im neuen
Buch von Karl Uwith, Heidegger Denker in dürftiger Zeit, Frankfurt 1953.
·•
WAHRHEIT UND SEINSDENKEN BEI MARTIN HEI-DEGGER 53
Nun hörten wir aber, wie die Entborgenheit nur als entbergende
Verborgenheit west, ja nur aus der Verborgenheit als ihrer urs-
prünglichen « Voraussetzung » hervorgeht. Somit ist auch die Un-
wahrheit gleichsam das « vor-wesende Wesen » der Wahrheit, ihre
ursprüngliche Voraussetzung, genau wie die Verborgenheit «älter>
ist, als die Entborgenheit, die nur aus ihr heraus geschieht.
Zur Klärung dieses zunächst eigenartig paradoxen Sachverhalts
sei etwa verwiesen auf die uns geläufige Entgegensetzung von Po-
tenz und Akt, wie sie etwa im menschlichen Wahrheitsvollzug,
- als Ganzes genommen-, ja wie sie in jedem menschlichen, in
jedem kreatürlichen Geschehen, ... notwendig immer den einen, in-
nerlich aus den beiden komplementär entgegengesetzten Momenten
erwachsenden, Sachverhalt annimmt: wobei der Akt auch als aus
der « früheren » Potenz hervorgehend gilt. In etwa analog wäre
das beschriebene dialektische Urverhältnis von Wahrheit und Un-
wahrheit, wie es ja dem Erkenntnisvollzug zugrunde liegt, dur-
chaus verständlich.
Dem « entbergend verbergenden » Sein entspräche der, auch
nach uns, jedes menschliche Erkennen wesentlich auszeicl,mende
Vorblick oder Vorgriff auf das Transzendentale Sein. « Entbergend »
wirkt dieser Vorgriff auf das Sein insofern, als es alles Erkennen
von Seiendem immer schon in den miteröffneten Horizont des
Seins stellt; also über alle kategoriale Bestimmungen des Seien-
den hinaus auch das sie tragende und begründende Sein dieses
Seienden mitsetzt. Aber zugleich auch « verbergend > ist dies al-
so gelichtete Sein, weil trotz der erschlossenen transzendentalen
Dimension auf das Sein, der inhaltliche Reichtum und die ganze
Tiefe des Seins vorerst noch gänzlich verschlossen bleiben. Deshalb
galt dieses Sein den Denkern unserer Tradition immer schon zwar
als das Erst-erkannte, in dessen Licht einzig alles· Uebrige erkannt
werden könne; zugleich aber doch als der zunächst « dunkelste Be-
griff> (confusissima notio). Womit freilich die weitere Frage noch
in keiner Weise mit entschieden ist, ob nicht doch für das mensch-
liche Denken Mittel und Wege bestünden, dies zunächst unersch-
lossene Sein, - wenn nicht « zu erzwingen», - so doch in etwa
weiter zu er-schließen. Die Antwort darauf wird sich von selbst
ergeben, wenn wir erst noch H.s Schlußfolgerungen des näheren
gesichtet haben.
* * *
Wir sind H. in der schrittweisen Rückführung der Wahrheit
auf die ontologischen Bedingungen ihrer Möglichkeit gefolgt. Da-
mit sind nun auch alle Momente aufgewiesen, die nach H. die
"eigentümliche Stellung des Menschen zum Sein charakterisieren und
.\LOYS NABBR ,S, 1,
R. P. JOH. B. LOTZ S. I.
PRoFESSOBE NELLA PONT. UNIVBRSITA GREGORIANA
E NELLA FACOLTA DI FILOSOFIA S. 1., PULLACH
I.
Zunächst ist schärfer zu umreißen, in welchem Sinne wir die
Philosophie als Geschehen und näherhin als ontologisches Gesche-
hen sehen dürfen.
Die Philosophie ist ein Geschehen, insofern sie etwas ausge-
sprochen Menschliches ist, das einzig im Vollziehen des Menschen
seine volle Wirklichkeit erreicht. Sie ist weder ein eigenes· Reich
ewiger Wahrheiten (das es als etwas Für-sich-bestehendes im Sinne
Platons überhaupt nicht gibt), noch fällt sie ohne weiteres mit der
Seinsordnung zusammen. Vielmehr entfaltet sich das Philosophie-
ren als das menschliche Nachvollziehen der Seinsordnung, weshalb
alle philosophischen Aussagen einzig in diesem Vollziehen ihre volle
Wirklichkeit haben. Infolgedessen kommt den davon losgelösten
und in Büchern niedergelegten Sätzen eine verminderte Wirklich-
keit zu, die erst dann zur Vollwirklichkeit wird, wenn die betref-
fenden Sätze wieder von einem Menschen vollzogen werden. Die
Bücher enthalten eigentlich nur Anweisungen zum Vollzug phi-
losophischer Gedanken und sind daher allein für den verständlich,
der den entsprechenden Vollzug zu leisten vermag. Danach können
wir sagen, daß die Philosophie nur insoweit zu ihrer Vollwirklich-
keit kommt oder ganz ist, als sie vom Menschen vollzogen wird;
sie ist als Geschehen, oder insofern sie geschieht.
Weil die Philosophie den Charakter des Geschehens hat, ist
sie wie dieses zeitlich und geschichtlich. Deshalb unterliegt sie im
menschlichen Vollziehen dem Werden, das Wandlungen von Jahr-
hundert zu Jahrhundert und oft schon von Mensch zu Mensch mit
sich bringt. Ausserdem ist sie von jedem Zeitalter und von jedem
Philosophen immer neu zu vollziehen, da sie ja nur im jeweiligen
konkreten Vollzug zu ihrer Vollwirklichkeit gelangt, wodurch sie
auch das Gepräge der jeweiligen Situation an sich trägt. Das besagt
aber nicht, daß dem p]J.ilosophierenden Menschen nur eine relative
'Wahrheit' zugänglich sei; doch ist damit gegeben, daß die abso-
lute Wahrheit, die er wirklich und jederzeit erreicht, stets unvoll-
ständig bleibt und immer nur unter der jeweiligen Perspektive
PHILOSOPHIE ALS ONTOLOGISCHES GESCHEHEN 61
den, daß sich im Menschen als ' rationale ' das Sein ent-hüllt, das
aber in ihm als • animal • geschichtlich ver-hüllt bleibt.
...
64 JOH, B. LOTZ S, I,
was von uns als Seiendes vollzogen werden kann. Demnach ist das
Sein als Grund des Seienden eine Gegebenheit, die von der Abstrak-
tion oder Illumination angetroffen oder vorgefunden wird, weshalb
wir diese als Erfahrung höherer Stufe bezeichnen dürfen. Infolge-
dessen kann mit Recht von Erfahrung des Seins die Rede sein,
wobei die hier gemeinte Erfahrung nicht ein Gegensatz zur Abstrak-
tion, sondern gerade diese selbst ist.
Die Eigenart der Erfahrung, die dem Sein zugeordnet ist, wird
noch deutlicher hervortreten, wenn wir die Abstraktion, mit der
sie zusammenfällt, genauer umgrenzen. Vielfach denkt man bei
diesem Wort zunächst an die empirische, ontische oder auch be-
wußte Abstraktion. Sie heißt empirisch, weil sie es mit dem Gegen-
stand der Erfahrung im geläufigen Sinne, also mit dem Seienden
zu tun hat; sie heißt ontisch, weil sie das bereits konstituierte Seien-
de oder Ontische hinnimmt, ohne auf den Grund seiner Konstitu-
tion zurückzugehen; sie heißt bewußt, weil sie sich als wissendes
Durchgliedern des gewußten Seienden in seine Merkmale und Auf-
bauelemente betätigt. Diese Abstraktion ist nicht ein ursprüngli-
ches Erfahren, sondern folgt der Erfahrung als nachträgliches Zer-
legen des immer schon Erfahrenen. Deshalb eröffnet sie auch nicht
eine neue Dimension, sondern bewegt sich innerhalb des Feldes,
das durch die ihr zugrundeliegende Erfahrung betreten ist; da-
mit bleibt sie im Ontischen.
Ganz anders verhält es sich mit der metaphysischen, ontolo-
gischen oder auch unbewußten Abstraktion. Sie heißt meta-phy-
sisch, weil sie das Physische oder Seiende übersteigt, weil sie es
mit dem Inhalt der Erfahrung höherer Stufe, also mit dem Sein
zu tun hat; sie heißt onto-logisch, weil sie das Ontische auf den
Logos oder Grund seiner Konstitution zurückführt; sie heißt un-
bewußt, weil sie ohne wissendes Zutun des Menschen geschieht
und jedes Wissen sowie jegliches Gewußte als ein solches allererst
ermöglicht. Diese Abstraktion ist ein ursprüngliches Erfahren, das
eine neue Dimension eröffnet. Sie überschreitet das On auf seinen
Logos oder das Seiende auf das Sein hin und ist mit der Erfah-
rung des Seins oder dem Aufgehen der ontologischen Differenz
identisch.
Leicht einzusehen ist, daß es sich hier ( scholastisch gespro-
chen) nicht um die totale, sondern um die formale Abstraktion
handelt. Erstere nämlich entfaltet, vom konkreten Seienden aus-
gehend, stufenweise das zugehörige Allgemeine, das immer unbe-
stimmter und deshalb immer umfassender wird; sie kommt also
über das Seiende oder Ontische nicht hinaus, bleibt in dem aus
PHILOSOPHIE ALS ONTOLOGISCHES GESCHEHEN 65
Das über die Abstraktion Gesagte gibt uns als weiteres schwe-
res Problem auf, wie denn eine nicht nur nachträglich zerlegen-
de, sondern ursprünglich eröffnende oder erfahrende Abstraktion
möglich sei und wie diese unbewußt geschehen könne.
Weil einzig der Mensch dessen, was ontologische Erfahrung
im Gegensatz zu der bloß ontischen genannt werden darf, fähig
ist, muß in ihm der ermöglichende Grund solchen Erfahrens ruhen.
Weil es seine ontische Auszeichnung ist, immer schon onto-logisch
zu sein, muß in ihm der Aufstieg oder Rückgang vom Seienden
zum Sein vorgängig zu aller Erfahrung oder als apriorische Struk-
tur angelegt sein 7 • Demnach ist es das Wesen des Menschen, das
Sein im Seienden zu erschließen oder sich selbst und alles andere
auf den Grund der Gründe zu versammeln, statt an das Seiende
zerstreut und fern dem Sein dahinzutreihen. Er ist wesenhaft die-
se Bewegung, im äußersten Außen immer schon beim innersten
Innen, im jeweiligen Besonderen immer schon beim alles Umfas-
senden, im gegebenen Nächsten immer schon beim verborgenen.
Letzten zu verweilen. - Die hier gegebene Umschreibung der Ei-
genart des Menschen deckt sich genau mit der gewöhnlichen Aus-
sage, er sei ein Körper-Geist; das kann ja, dynamisch gedeutet,
nichts anderes heißen, als daß in ihm die Selbstentfremdung des
III
9 Hier deuten wir auf die Uneigentlichkeit hin, die Heidegger im einzelnen
herausgearbeitet hat, Sein und Zeit; 7. Aufl. Tübingen 1953.
10 Zu diesen Zusammenhängen vgl. M. HEIDBOOBR, Holzwege. Frankfurt 1950.
n Die doppelte Reflexion hat tiefsinnig G. MARCBL entwickelt; vgl. R.
TROISFONTAINES, De l'E:,;istence a l'litre. Louvain-Paris 1953, bes. I, 199-210.
68 JOB. B, · LOTZ S. I,
das Wort 'Nichts' eine andere Bedeutung als oben hat H, Dort
bedeutete es die Auflösung oder Verflüchtigung des Seins in das
Leere oder Nichtige, wodurch das Sein verschwand und nur das
Seiende blieb; hier aber besagt das Nichts den unüberbrückbaren
Gegensatz des Seins zum Seienden, seine unzurückführbare An-
dersheit, wodurch gerade der Eigencharakter des Seins hervorge-
hoben und dieses als es selbst bejaht wird. Von hier aus erweist
sich das Nicht oder Nichts als wesentliches Element der Analogie
des Seins, als die Möglichkeitsbedingung, kraft deren erst das Sein
der Grund alles Seienden oder des Seienden als solchen sein kann
und ohne die das Sein selbst wieder nur ein höheres Seiendes wä-
re. Am Sein als dem Nicht-seienden oder Nichts scheitert jede vom
Seienden geprägte oder (wie man gewöhnlich sagt) univoke Be-
grifllichkeit 15 ; daran vermag sich auch nicht, weil es keine posi-
tiven Gehalte darbietet, eine neue höhere Begrifflichkeit zu entfal-
ten 16 • Die ihm allein gemäße Weise des Verhaltens ist das Schwei-
gen vor dem Unbegreiflichen oder Unaussprechlichen, vor dem Ge-
heimnis. Dieses Schweigen ist der Raum, in dem sich die analoge
Erkenntnis bewegt und ohne den sie das Sein wieder zum Seien-
den herabdrückt und so verfehlt u.
In d-er analogen Erkenntnis, die das Sein als Grund des Seien-
den erfasst, verbindet sich mit dem ersten negativen ein zweites
positives Element u,. Gerade daraus nämlich, daß das Sein als der
Grund des Seienden als solchen auftritt, läßt sich durch Aussagen
bestimmen, was das Sein, das sich zunächst als das Nicht-seiende
von seinem Anderen abgrenzt, in sich- selbst besagt. Das ist deshalb
möglich, weil das Sein, indem es als gründender Grund das Seien-
de sein läßt, diesem von sich selbst mitteilt; das Seiende kann nicht
im Sein gründen, ohne daß dieses in ihm widerleuchtet. Was das
Seiende als solches ist, ist es allein durch das Sein, weshalb es
auch als solches einzig vom Sein her verstanden werden kann;
nun aber könnte das Seiende nicht aus dem Sein verstanden wer-
den, wenn dieses selbst in keiner Weise verstanden wäre; daher-
schließt das Verstehen des Seienden als eines solchen notwendig
das Verstehen des Seins ein, wenigstens soweit es zum Erhellen
des Seienden erforderlich is~. Außerdem ist in der negativen Bestim-
mung des Seins als des Nicht-Seienden wesenhaft ein positiver Ge-
halt verborgen, den es nur ausdrücklich hervorzuheben gilt; wenn
vom Sein einerseits all das zu verneinen ist, was das Seiende als
solches kennzeichnet, so ist anderseits all das von ihm zu bejahen,
was es befähigt, der Grund des Seienden als solchen zu sein 19 •
Hieraus kann und muß sich eine neue höhere oder analoge Be-
grifflichkeit entwickeln, die auch onto-logisch ( auf den Grund des
Seienden. bezüglich) heißen darf, wenn wir die univoke Begrifflich-
keit ontisch nennen. Von dieser ist sie durch das Nichts und das
Schweigen getrennt, weil sie das unbegreifliche und unaussprech-
liche 'Geheimnis nicht auflöst, sondern nur als solches verdeutlicht;
davon nach Inhalt und Struktur bestimmt, trägt sie ein einzigar-
tiges, in univoke Begrifflichkeit nie umsetzbares Gepräge an sich.
111 Während das erste negative Element der Analogie ßlit der « via nega-
tionis > zusammenfällt, deckt sich das zweite positive Element mit der « via
afflrmationis >. Beide zusammen drücken aus, daß es sich nicht lediglich um
ein Steigern innerhalb derselben Ordnung des Seienden handelt, sondern um
ein Hinübergehen in die neue andere Ordnung des Seins.
20 Die hier spielende Problematik hat Heidegger neu angeregt, indem
er im Nachwort zu « Was ist Metaphysik?> von c:Ier 4• .zur 6. Aufl. eine wich-
PHILOSOPHIE ALS ONTOLOGISCHES GESCHEHEN 71
leicht sieht, erwachsen daraus die weiteren Fragen, wie das Sein
im Falle seiner letzten Bindung an das Seiende noch Sein und wie
es im Falle seiner letzten Freiheit vom Seienden noch in diesem
und damit dem Menschen zugänglich bleibt.
IV
tige Änderung vornahm. Frilher hieß es, daß das Sein « wohl west ohne das
Seiende >, während Jetzt gesagt wird, daß das Sein « nie west ohne das Seiende >.
Vgl. M. MÜLLER, Existenzphilosophie im geistigen Leben der Gegenwart. Hei-
delberg 1949, 50 f. Anm.
72 JOH, B, LOTZ S, 1,
21 Die erste Weise der ontologischen Vielheit wird hier nicht näher ent-
faltet, obwohl in einer durchgeführten Systematik die erste Weise den Weg
für die zweite bereitet. Außerdem hat die erste Weise zunächst die noch nicht
diskursive apriorische Synthese zur Folge, worauf dann ein entsprechender
Diskurs aufbaut, während der zweiten Weise nur der ontologische Diskurs
augeordnet ist. ·
PHILOSOPHIE ALS ONTOLOGISCHES GESCHEHEN '73
Obwohl daher das Sein als das Eine und Selbe im metaphysi-
schen Diskurs ins Spiel kommt, legt es sich doch in eine Vielheit
auseinander, weshalb das anfänglich Erfahrene noch nicht" alles
Weitere erfahrbar umschließt und der metaphysische oder ontolo-
gische Diskurs nicht nur möglich, sondern auch nötig ist. Weil
es aber immer um das Eine und Selbe geht, steht beim Sein das
unmittelbar Erfahrene in einem innigeren Zusammenhang mit dem
mittelbar Erschlossenen als beim Seienden. Aus dem gleichen Grun-
de trägt hier das bereits Erfahrene wesentlich und unabtrennbar
den ebenfalls erfahrenen Hinweis auf das noch Ausstehende in sich;
darum kann man auch mit noch tieferem Recht als beim Seienden
sagen, daß der Diskurs lediglich das Erfahren zu seiner vollen Ent-
faltung bringt. Nach allem gibt es einen die Erfahrung des Seins
ergänzenden und dieses zu seiner Fülle führenden Diskurs, der
sich jedoch als Fortgang innerhalb des Einen und Selben grund-
sätzlich vom ontischen Diskurs unterscheidet.
12 Heidegger hebt vom Seienden das Sein ab, das als dessen Grund da'I
Seiende sein läßt. Er zielt auf das Sein selbst, sieht es aber als endlich und
geschichtlich, wobei er den Bereich des vordiskursiv Erfahrenen nicht über-
.JOH, B, LOTZ S, I,
Sie trägt in sich den ebenfalls erfahrenen Verweis auf die an-
dere Gestalt des Seins. Dabei ist entscheidend : das Sein, wie es
im Seienden auftritt, ist wegen seiner Endlichkeit nicht ·das Sein
selbst, kündigt aber zugleich das Sein nach seinem eigentlichen
Selbst an, läßt es irgendwie durchleuchten, steht unter seinem be-
stimmenden Einfluß, bezieht sich darauf als auf seinen ermögli-
chenden Grund. Näherhin zeigt sich die endliche Gestalt, die wir
im Seienden vorfinden, als dem Sein nicht letztlich gemäß, weshalb
dieses selbst auf seine andere, ihm ganz gemäße Gestalt hindeu-
tet, die als solche notwendig das Seiende und die Endlichkeit
überschreitet. Daher muß sie im Gegensatz zu der Zweiheit von
Dasein und Sosein durch die Identität oder Selbigkeit dieser Mo-
mente gekennzeichnet sein. An die Stelle ihrer Zweiheit tritt das
in sich eine Sein, das nach seinem eigentlichen Selbst als das Eine
auf höhere Weise erfüllt, was Dasein und Sosein zusammen voll-
bringen, das infolgedessen alle Weisen, auf die etwas sein kann,
oder alle Weisen des Soseins in sich vereinigt und damit unend-
lich ist 213 •
Der Diskurs, der mittels des Verweises von der erfahrenen end-
lichen Gestalt des Seins zu dessen unendlicher Gestalt fortschreitet,
kann mit Recht • Dialektik des Seins' genannt werden 24 • Die end-
liche Gestalt ist dem Sein nicht gemäß, weil sie einen unaufhebba-
ren Gegensatz zu dessen eigentlichem Selbst bildet. Die unendliche
Gestalt hingegen ist dem Sein gemäß, weil sie dieses in jeder Hin-
sicht als es selbst verwirklicht und ~o seinem eigentlichen Selbst
voll entspricht oder sich mit ihm ganz deckt. Die erwähnte Dialek-
tik setzt nun bei dem der endlichen 'Gestalt eigenen Gegensatz an.
Dieser Gegensatz besteht, weil eine endliche Gestalt nie das
Sein ausschöpft. Es gibt nicht die endliche Gestalt, sondern im-
28 Obwohl uns das absolute Sein als das Andere des Seienden aufgeht,
so ist es doch nicht von sich aus in dem Sinne das Andere des Seienden, daß
es erst durch dieses ist, was es Ist. Vielmehr ist das absolute Sein allein durch
sich selbst (also unabhängig von dem Existieren des Seienden) gesetzt. Aller-
dings ist die Mßglichkeit des Seienden mit dem absoluten Sein notwendig
gegeben, aber nicht als etwas für dieses Konstituierendes, sondern als etwas
aus dem In sich konstituierten absoluten Sein Folgendes,
21 Im Liebte des Rationalismus sieht auch Heidegger die Behandlung der
Gottsfrage in der bisherigen Metaphysik; vgl. Vber den Humanismus, 19 f., 35.
Für sein eigenes Denken hingegen steht die Fra1e nach Gott Im engsten Zu-
sammenhang mit dem Sein; vgl. ebd. 26, 36 f.
PHILOSOPHIE ALS ONTOLOGISCHES GESCHEHEN 77
R P. EMERICH CORETH S. I.
PROFESSORE NELLA UNIVERsrrA DI INNSBRUCK
I.
dem wird von Heidegger auf die apriorische Bedingung der Möglich-
keit befragt, d. h. auf das im W esensgrun-de des menschlichen Da-
seins immer schon sich vollziehende Geschehen der « Lichtung des
Seins>. Soll Seiendes uns begegnen können, so muss das Sein des
Seienden als der Horizont, innerhalb dessen Seiendes uns begegnet,
apriori erschlossen sein. Diese Erschlossenheit des Seins, die Offen-
barkeit des Seins im Seinsverständnis des Daseins ist -das Wesens-
merkmal des Menschen: er ist Dasein als das « Da des Seins >, als
die« Ortschaft der Wahrheit des Seins>, d. h. der Unverborgenheit,
der Offenbarkeit des Seins. Dieses ursprüngliche Geschehen im
Grunde des menschlichen Wesens auf seine ontologisch konsti-
tutiven Strukturen zu analysieren, das Sein des Seien-den, das sich
ursprünglich im Dasein entbirgt, ausdrücklich in seiner Eigenart
zu erfassen, ist Sinn und Ziel der transzendentalphilosophischen
Problematik Heideggers.
Damit wird aber die transzendentale Frage von Heidegger über
Kant hinaus in zweifacher Hinsicht wesentlich weitergeführt: ihre
Ausgangsbasis wird phänomenologisch erweitert und ihr Ziel wird
ontologisch vertieft.
1. Einerseits wird die Ausgangsbasis der transzendentalen Pro-
blematik phänomenologisch erweitert. Kant hatte gefragt nach den
apriorischen Möglichkeitsbedingungen gegenständlichen Erkennens.
Bei Heidegger geht es nicht allein um das Erkennen. Dieses ist viel-
mehr ein untergeordnetes und abkünftiges Moment, ein modus de-
ficiens des « In-der-Welt-seins » im ganzen. Es geht vielmehr um
den gesamten Daseinsvollzug, um die Ganzheit des « In-der-Welt-
seins » und d. h. um die 'Gesamtheit menschlicher Verhaltungen
zu Seiendem. Diese ursprünglich-einheitliche Ganzheit soll auf den
sie allererst ermöglichenden Grund zurückgeführt werden.
Schon darin trifft sich Heidegger offenkundig mit Hegel, der
sich ja in der « Phänomenologie des Geistes» die Aufgabe stellt,
nicht nur die verschiedenen Formen des Wissens, sondern die
Gesamtheit menschlicher Bewusstseinserfahrungen einzufangen und
auf ihren apriorischen Möglichkeitsgrund zurückzuführen, der
schliesslich im « absoluten Wissen» offenbar wird.
2. Anderseits - und -dies ist noch wichtiger - wird die trans-
zendentale Problematik bei Heidegger über Kant hinaus in der
Weise fortgebildet, dass ihr Ziel ontologisch vertieft wird. Kant un-
terscheidet bekanntlich die Begriffe« transzendent> und« transzen-
dental>, kennt also einen zweifachen Begriff der Transzendenz.
Diejenige Transzendenz aber, die allein Kant als berechtigt zulässt
und um die allein es in der transzendentalen Fragestellung gebt,
ist eine « Transzendenz in die Subjektivität>. Das Objekt als sol-
HEIDEGGER UND HEGEL 83
ches soll vom Subjekt her erklärt werden, d. h. durch die apriori-
schen Strukturen des Subjekts als solchen. Damit wird aber das
Subjektsein des Subjekts nicht erklärt, sondern vorausgesetzt und
so die Subjekt-Objekt-Relation selbst nicht erklärt, sondern voraus-
gesetzt. Insofern bleibt Kant folgerichtig im Bereich blosser Erschei-
nung - für das Subjekt-, sein Denken bleibt Subjektivismus und
Heidegger kann ihm mit Recht den Vorwurf machen, dass er sich
im Raume der « Metaphysik der Subjektivität» bewegt, die aller-
dings - nach Heidegger - die ganze Geschichte abendländischen
Denkens beherrscht.
Darum stellt sich Heidegger die Aufgabe, die transzendentale
Grundfreilegung noch weiterzutreiben bis zu dem letzten Wesens-
grund des Menschen, an dem das Subjekt selbst und damit die
Subjekt:Objekt-Relation als solche überstiegen und zugleich be-
gründet, d. h. auf den, Subjekt und Objekt in gleicher Weise um-
greifenden und tragenden Seinsgrund hin überstiegen wird, der im
Menschen ursprünglich offensteht. Als Möglichkeitsgrund der Sub-
jektivität überhaupt erweist sich so die Transzendenz - jetzt im
spezifisch Heideggerschen Sinn : nicht ontische Transzendenz auf
Seiendes, welche ja von neuem die Subjekt-Objekt-Relation _nicht
übersteigend begründen, sondern voraussetzen würde, sondern on-
tologische Transzendeuz als « Lichtung des Seins » oder - wie
Heidegger einmal formuliert - als « offenstehendes Innestehen in
der Unverborgenheit des Seins» 2 , welches « das transcendens
schlechthin» ist, somit über jedes Seiende und über jede seiende
Bestimmtheit eines Seienden hinausliegt :a.
II.
1. Nun trifft sich aber auch diese Fragestellung mit einem der
tiefsten Anliegen Hegels - sosehr, dass die « Phänomenologie des
Geistes » geradezu als Fundamentalontologie bezeichnet werden .
kann. Die Phänomenologie ist ja nach Hegels Absicht nichts an-
deres als die Einführung zum Systen der absoluten Wissenschaft
und d. h. zunächst: sie ist die Hinführung des Denkens auf den
Standpunkt, auf dem die « Wissenschaft der Logik » möglich wird.
Diese aber ist eine Ontologie und zwar - um Heideggers Unter-
scheidung zu gebrauchen - nicht nur im ontischen ~inn als Wis-
senschaft vom Seienden im ganzen, sondern im ontologischen Sinn
als Wissenschaft vom Sein des Seienden. Das Seiende im ganzen
soll vom absoluten Seinsgrund her, dem Sein des· Seienden, begrif-
fen werden.
Der Standpunkt des Denkens aber, den die Phänomenologie
erreicht und auf dem die Logik - Hegels Ontologie - möglich
wird, ist das « absolute Wissen », in dem das ursprünglichste
apriorische Geschehen im Grund des endlichen Geistes offenbar
wird, in dem das endliche Subjekt sich selbst als ein von seinem
Gegenstand - seinem Andern - Verschiedenes übersteigt und so
den « Gegensatz des Bewusstseins» von Subjekt und Objekt « auf-
hebt», also die endliche Subjekt-Objekt-Relation transzendiert. Der
endliche Geist erfährt sich so als den Ort, an dem das Sein alles
Seienden - Hegels Absolutes - offenbar wird, Bewusstsein ge-
winnt.
So ist das von Heidegger immer wieder gestellte Problem schon
von Hegel auf seine Weise beantwortet im absoluten Wissen. Was
darin begriffen wird, ist nicht mehr ein innersubjektives Apriori
des endlichen Subjekts als solchen, sondern apriorische « Lichtung
des Seins überhaupt im Wesensgrunde des Geistes. Die Transzen-
denz, die in der transzen<!entalen Ursprun~senthüllung freigelegt
wird, ist nicht mehr - wie bei Kant - eine Transzendenz in. die
Subjektivität, sondern eine Transzendenz über das Subjekt als sol-
ches hinaus und hinein in die das Subjektsein des Subjekts erst
begründende Offenheit des Seins überhaupt•.
2. Mit dieser tiefen Gemeinsamkeit zwischen Heidegger und
• Allerdings wird auch Hegel von Heidegger noch der « Metaphysik der
Subjektivität » zugerechnet, weil sich bei Hegel das Sein des Seienden, He-
gels Absolutes, im Geist offenbart und als « absoluter Geist » erscheint. Hei-
degger, dem selbst ein ontologischer GeistbegrifT fehlt, missversteht den zutiefst
ontologischen GeistbegrifT Hegels. Er versteht unter Geist soviel als Subjekt.
Insofern nun für Hegel der Geist der tragende und entspringenlassende Grund
aller Wirklichkeit ist, würde dies eine Reduktion alles Seienden auf die Subjek-
tivität bedeuten, Hegels Denken wäre « Metaphysik der Subjektivität ».
HEIDEGGBR UND HEGEL 85
a M. HEIDBGGBR, Platons Lehre von der Wahrheit mit einem Brief ilber den
Humanismus, Bern 1947, 100.
86 EMBRICH CORBTH S, 1,
III.
Von diesem Ansatz her stellt sich nun die Aufgabe, jenes aprio-
rische Geschehen ausdrücklich ans Licht zu bringen, d. h. das Sein,
das sich im Menschen offenbart, ausdrücklich zu erfassen. Als Me-
thode der Durchführung dieser Problematik tritt nun bei Heidegger
die Phänomenologie auf. Dieses Wort steht hier in merk-
würdiger Parallele zu Hegels Werk, dem die durchaus entsprechen-
de Aufgabe gestellt ist und das den Titel « Phänomenologie des
Geistes > trägt. Die Frage legt sich nahe, ob etwa die Gemeinsam-
keit des Wortes eine Gemeinsamkeit oder wenigstens Verwandt-
schaft der im Wort genannten Sache, nämlich der Methode, an-
deutet.
Freilich darf hier die Bedeutung des Wortes nicht überschätzt
werden, da Heidegger von Husserl herkommt und dieser weder in
der Wahl des Wortes noch in der Bestimmung der Methode selbst
auf Hegel zurückgreift. Dass umgekehrt Hegels Phänomenologie
nicht unter Zugrundelegung eines Husserlschen Methodenbegriffes
gedeutet werden kann, dürfte selbstverständlich sein, obschon auch
das schon geschehen ist. Die Frage ist also, was das Wort hier
und dort meint.
1. Entscheidend für das Verständnis Heideggerscher Phänome-
nologie ist seine Bestimmung des « phänomenologischen Phäno-
menbegrifts >, der vom « vulgären Phänomenbegriff > scharf abge-
hoben wird. Phänomen im vulgären Sinne ist das empirisch An-
schaubare. Was aber im vulgär verstandenen Phänomen « je vor-
gängig und mitgängig, obzwar unthematisch; sich schon zeigt, kann
thematisch zum Sichzeigen gebracht werden > 41 und das ist nach
Heidegger das Phänomen der Phänomenologie. Es ist also etwas,
was sich thematisch « zunächst und zumeist gerade nicht zeigt>,
sondern verborgen ist und erst « zum Sichzeigen gebracht werden
muss>, was aber « zu dem, was sich zunächst und zumeist zeigt,
gehört, so zwar, dass es seinen Sinn und Grund ausmacht> 1 • Es
ist also der immer schon unthematisch implizierte Möglichkeits-
grund, der erst thematisch freigelegt werden muss. Insofern dies
der Phänomenologie zur Aufgabe gestellt ist, ist diese bei Heidegger
grundsätzlich in den Dienst transzendentaler Grundfreilegung ge-
nommen.
Insofern aber das Sein des Seienden in ausgezeichneter Weise
derart ist, dass es sich zunächst und zumeist gerade nicht zeigt,
aber in jedem Sich-zeigenden als dessen Grund mitgegeben ist,
kann H eidegger die entscheidende Schlussfolgerung ziehen: « On-
0
s ebd.
e Hl!GELS WtERKE, Jubiläumsausgabe (H. Glockner), Stuttgart 1927 ff., Bd.
IV 44.
10 Sein und Zeit 33.
88 EMERICH COBBTH S, 1,
11 Hegel W. 11 77.
HEIDEGGER UND HEGEL 89
SöREN KIERKEGAARD.
s « Para conocerse hasta el mas alto grado, hay que estar angustiado hasta
el mas alto grado, hasta la muerte y el anonadamiento » (Der Pfahl im Fleisch.
Trad. alem. de Th. Haecker, 1914, p. 66). Cfr. Die Tagebiicher, 2a parte. Trad,
de Hermann Ulrick, 1930, p. 139-141.
8 M. F. Sc1ACCA, La Filosofia-hoy, p. 116.
10 R. JoLivBT, Las doctrinas uistencialistas desde Kierkegaard a J.-P. Sartre.
Trad. de Arsenio Pacios, Madrid, 1960, p. 48. ·
11 Describese el estadio etico en la obra « Entweder-Oder», citada en la
nota (&), Tambien en la Bd. IV de la misma trad, Stadien auf dem Lebens-
weg, 19a22.
LA ABSTRACCI6N DEL SER Y EL EXISTENCIALISMO 95
KARL JASPERS.
7- Stadt ftlpoftct
98 SALV, OOMEZ NOGA.LBS S, J, ' .r
"° Ib. p. 3.
n llb. Erster B., p. ö2.
42 Ib. Zweiter B., p. 314.
" Ib. ps. 120, 122-124, 208, 273-274, 314-318; Dritter B., ps. 126-127, 1ö2,
200-204.
" Ib. Erster B., p. ö0.
o Ib. Dritter B., p. 9.
,e Ib. p. ö.
41 Ib.
100 SALV, OOMEZ NOGALES S, 1,
MARTIN HEIDEGGER
53 Ib. p. 129.
H Ib.
55 Jb. ps. 153, 162.
56 Como obra de consulta sobre Jaspers aconsejamos especialmente el estu-
dio de M. DUFRENN.E y P. R100Eua: « K. Jaspers et la philosophie de l'existence »
(preface de K. Jaspers), Paris, 1947. '
102 1 SA.LV. OOMEZ NOGALES S. I.
11 Sobre este punto veanse las observaciones atinadas con que el P. Cefi.al
prologa la 2'a ed. de la obra de A. DB WABHLBNS « La Filosofia de Martin Hei-
degger », Madrid, 1952.
111 Sein und Zeit, Max Niemayer, Halle, 19415, p. 437.
ff Was ist Metaphysik? Einleitung, Vittorio Klostermann, Frankfurt,
19495, p. 11.
oo tJber den Humanismus, Vittorio Klostermann, Frankfurt, 1949, p. 5,
a1 Was ist Met.? 1. c. p. 12.
62 Bulletin de la Soc. Franc. de Philos., Oct.-Dec. (1937) 193.
68 Was ist Met.? 1. c. p. 7.
LA ABSTRACCIÖN DEL SER Y EL EXISTENCIALISMO 103
84 Ib.
e& llb. p. 9.
&8 Ib. p. 20.
81 Ib. p. 1·2'.
88 Ib. p. 8,
89 Kant und das problem der Met., Gerhard Shulte-Bulmke, Frankfurt,
1934, p. 218.
10 Vom Wesen der Wahrheit, Vittorio Klostermann, Halle, 19492, p. 25.
IN SALV, OOMBZ NOOALES S. L
J. P. SARTRE.
83 Ib. p. 208.
"Ib. p. 57.
811 EI existencialismo es un humanismo, ps. 36-37.
es Una bibliografia abundante la podra encontrar el lector en la obra
de J. AD-6R1z, S. J., « Gabriel Marcel. EI existencialismo de la esperanza >, Bue-
nos Aires, 1949.
110 SA.LV, GOMEZ NOGALES S, 1,
GABRIEL MARCEL.
presa no podia llevarse a cabo mäs que dentro de una realidad fren-
te a la que el fll6sofo no puede colocarse como se instala uno frente
a un cuadro -para contemplarlo > 99 •
De nuevo la misma tendencia a ir contra la objetivaci6n de
las cosas y hacia un mayor acercamiento a la realidad misma. Hay
que ir « a aquella realidad interior de la presencia en el seno
del · amor, que trasciende infinitamente toda verificacion concebi-
ble, puesto que se ejerce en el seno de un inmediato que se situa
mäs alla de toda mediaci6n pensable » 100 • EI metodo difiere del
de esa otra « filosofia esencialmente espectacular > que nos legara
la antigüedad 101 : « En el fondo, el metodo es siempre el mismo:
es el profundizar de una cierta situacion metafisica fundamental
de la que no basta decir que es ella misma, puesto que consiste
esencialmente en seJ" yo » 102 • La fllosofia hay que vivirla en noso-
tros mismos: c Aquel que no ha vivido un prohlema de filosofia,
que no ha sido oprimido por el, no puede, en modo alguno, com-
prender lo que ese problema ha significado para quienes lo han vi-
vido antes que el » 108 •
EI campo de experimentacion es el hombre en su realidad hu-
mana concreta y pura, descarnado de todos los aditamentos acumu-
lados por la costumhre, circunstancias sociales y prejuicios que
desfiguran nuestra propia personalidad 104 • Para ello hay que ha-
cer un gran esfuerzo a fin de « traducirla sin adulterarla > IW1, es
decir, para reproducir en nosotros « aquella realizacion interior
de la presencia » de que antes nos hablaba 108 por la que nos situa-
mos ante el ser sin intermediarios. Marcel corrige el principio car-
tesiano: « cogito ergo sum > 101, para volver al principio tradicio-
nal: « nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu > :ios.
Lo primero que nos da la experiencia no es un « cogito >, sino un
99 Ib. p. 318.
100 Positions et Approches concretes du Mystere ontologique. Es un apen-
dice de « Le Monde casse », Paris, 1933, p. 261. Cfr. Don et liberte, Giom. dl
Met. 2 (1947) 485-486.
1Qd. Stre et Auoir, I. c. p. 24.
102 Ib. p. 25.
1oa ,Du Refus a l'inuocation, N. R. F., 1940, p. 87.
104 Ib. ps. 91-93.
101 Positions et Approches, I. c. p. 261.
1oe Ib.
101 DBS.CARTBS, Discours de la Methode suiui des Meditations Metaphysi-
ques, Paris, 1927, Med. 3.
10s Este efato comun en la filosofia escolastica tiene su origen en la doc-
trfna aristotelica de que todos nuestros conocimientos tienen su origen en
los sentidos (De An. N 5, 417 b 18-26; III 8, 432' a 32). Sto. Tomas recoge esta
misma doctrina (De Verit. q. 10,a. 6). '
112 SA.LV. GOMEZ NOOALES S. I.
(10&)Stre et Auoir, I. c. p. 9.
110Existentialisme et Pensee chr"ienne, en Temoignages (Cahiers de la
Pierre-Qul-Vire, 1947). p. 164.
111 Stre et Auoir, lc. p. 11.
1112 Du Refus ci l'lnuocation, l. c. p. 33. Cf. Ell!istentialisme et Pensee chre-
tienne, lc. ps. 162-162.
11a Sire et Auoir, l. c. p. 12.
1u. Ib. p. 11.
11& Ib. p. 232-244.
LA ABSTRACCION DEL SER Y EL EXISTENCIALISMO 113
tre los caminos por los que conducen a Dios la mistica y la meta-
fisica : « Lo que yo he notado, en todo caso, es Ja identidad oculta
del camino que conduce a Ja santidad y del que conduce al meta-
fisico a Ja afirmaci6n del ser; la necesidad, sobre todo para una
filosofia concreta, de reconocer que aqui se trata de un solo y mis-
mo camino 128• J
bensi6n del ser en cuanto ser » 126 • Pero de ninguna manera puede
convertirse en general, puesto que lo general abstrae de lo on-
to16gico.
En esta aversi6n a la abstracci6n de lo general 1,queda com-
prometida la escolästica? No es fäcil la respuesta a esta pregun-
ta. Es muy probable que en un diälogo familiar puntualizase mäs
nuestro autor ciertas frases, que nos hiciese ver la compatibilidad
con la filosofia ti:adicional, dändoles un sentido distinto del que
a primera vista tienen sus palabras. Que su änimo no haya sido
enfrentarse con la escolästica, se desprende con bastante certeza
de la siguiente confesi6n del mismo Marcel: « Pienso que el cris-
tiano fil6sofo y capaz de escarbar bajo las f6rmulas escolästicas
con que se le nutre bastante a menudo encontraria de nuevo casi
_necesariamente los datos fundamentales de lo que yo he llamado
filosofia concreta » 127 •
SiNTESIS.
1211 Actes du Xleme Congres lnt. de Philos. vol. III, 1953, p. 23.
1ao De Verit. q. 3, a. 3, ad 8.
118 SALV. OOMBZ NOGALBS S. 1.
R. D. MARCEL REDING
l'ROFESSORE NELL'UNIVERSIT.A DI GRATZ (AUSTRIA)
PROVISORISCHER ATHEISMUS
Sartres Atheismus ist oft behandelt worden 'l, Wer sich für ge-
naue Textangaben interessiert, sei auf das Buch von Paissac ( Le
Dieu de Sartre, Paris 1950) verwiesen. Wir beziehen einige Gedanken-
gänge aus dem später erschienenen Theaterstück « Le Diable et le
Bon Dieu > (Paris 1951) in unsere Erwägungen mit ein.
« 'Gott ist tot > ist die Oberzeugung, die Sartre von Nietzsche
übernimmt und philosophisch zu unterbauen versucht. Gott spreche
nicht mehr zu uns; vielleicht habe er diese Welt verlassen, vielleicht
habe er nie existiert, der Glaube an ihn sei möglicherweise eine Il-
lusion. Letzterer Fall träfe zu, wenn es sich beweisen liesse, dass es
keinen Gott gibt. Sartre versucht diesen Beweis. Prüfen wir seine
Argumente.
I. Wenn Gott existiert, kann der Mensch nicht frei sein; der
Mensch ist aber frei; also existiert Gott nicht.
Gott wäre der Schöpfer der Menschen. Dazu müsste sich Gott
eine Idee vom Menschen machen, wie der Erzeuger sie sich von dem
1 So von Pedro Descoqs in L'E:,;istentialisme, Revue de Philosophie, Annee
1H6 S. 39-89. Dort eine ausführliche übersieht über die damalige Literatur
S. 39 Anm. I; Kurz in meiner Arbeit über « die Existenzphilosophie, Düssel-
dorf 1949; ausführlich in dem angeführten Buch von Paissac.
124 MARCEL REDING
ken wäre dieser Schluss unumgänglich, nicht aber für Sartre. Denn
für ihn gibt es zum mindesten eine Region des Seins, die dem
Identitätsprinzip nicht untersteht, das Fürsichsein. Für diese Re-
gion ist Widersprüchlichkeit nicht gleichbedeutend mit Nichtexi-
stenz. Dann ist es aber fraglich, inwiefern der Widerspruch in der
Idee Gottes ein beweis gegen die Existenz Gottes sein soll. Sartre
aüsseste denn rauch, die Widersprüchlichkeit einer Idee beweise
nichts gegen die in ihr gemeinte Wirklichkeit. Leider habe er die
religiöse Wirklichkeit niemals erlebt. Bis dahin bleibe er bei sei-
nem Argument und deshalb gelte, wie er sich ausdrückte: Mon
atheisme est absolu mais provisoire.
Dafür aber, dass ihm religiöse Erfahrung nie zuteil geworden
sei, gab er gute Gründe an : die mangelhafte religiöse Erziehung zu
Hause infolge des verschiedenen religiösen Bekenntnisses der El-
tern, und die Unfähigkeit, sich später in dem Religionsunterricht
etwas unter dem Wort « Gott > vorzustellen.
2. Der Einwand gegen die Schöpfung beruht hauptsächlich auf
einer allzu einfachen Parallelisierung von handwerklichem und
göttlichem Tun. Gewiss : den Schöpfungsakt kann man sich irgend-
wie durch Vergleiche nahe-bringen, man sollte dabei aber nicht ver-
gessen, dass es immer nur hinkende Vergleiche sind, und dass Gott
trotz mancher Ähnlichkeit mit der Schöpfung doch der ganz an-
dere ist. Die Idee, nach denen Gott schafft, sind im letzten nichts
anderes als die göttliche Wesenheit selber, an der die verschiede-
nen Schöpfungswirklichkeiten verschieden teilnehmen 6 •
3. Muss der Blick Gottes den Menschen nicht einfach zur Sa-
che machen? Das wäre dann der Fall, wenn Sartres im übrigen
feine Analysen des Blickes umfassend wären. Sie stimmen durch-
aus in dem, was sie behaupten, stimmen aber nicht mehr, wenn
sie den Anspruch der Ausschlieslichkeit erheben. Es gibt neben
dem unterjochenden, existenzzerstörenden, bösen Blick auch den
Blick der Mutter, des Vaters, des Freundes, des Kameraden usw.
Weshalb sollte der Blick Gottes nur zerstören müssen? Vielleicht
offenbart sich auf dem Hintergrund dieser Auffassung ein prote-
stantisches Gottesverständnis, für das Gott nur der zürnende, stra-
fende, übermächtige Richter ist.
4. Kann es menschliche Freiheit neben der göttlichen Vorse-
hung und W eltriegung geben? - Wenn Gott den Menschen als
freies Wesen schafft, so setzt er bei der Schöpfung diese Freiheit
auch in Rechnung. Die von ihm geschaffene Freiheit hat gewiss
nützlich, der echt religiös est. Eigene Erfahrung kann durch Fremd-
erfahrung nur angereichert und von Schiefheiten befreit wel.'den.
Weshalb auch nicht den Glauben der Völker her anziehen? Wil-
helm Schmidt hat in seinen Bänden über den« Ursprung der Gottes
Idee » ein so gewaltiges Material zusammengetragen, dass es ver-
fehlt wäre es einfach zu ignorieren; Wie kann ausgerechnet ein
Phänomenologe sich auf 'Grund eigener Konstruktionen über die
religiösen Phänomene hinwegsetzen, Phänomenologie ist nicht Ar-
beit eines Kopfes unter Milliarden. Die ganze Menschheit verar-
beitet seit jeher - sei es auch i,.ur präreflexiv - ~ie ihr gegebenen
Phänomene. Die Forschungen von Schmidt haben gezeigt, dass die
Zahl der gottlosen Völker nicht so gross ist, wie flüchtige ~eisende
durch fremde Gebiete naiverweise annahmen, sondern, dass viele
unter den primitivsten ohne fremden Einfluss einen sehr reinen
Gottesglauben besitzen.
Gott ist zunächst eine Wirklichkeit, die erlebt wird, kein kon-
struierter Begriff. Es ist Sache der Philosophie, Begriffe zu bilden,
die diese Wirklichkeit irgendwie intentional zu meinen vermögen.
Gelingt das einer Philosophie nicht oder führt ein System in der
Verlängerung seiner Bemühungen zum Widerspruch gegen erfah-
rene Wirklichkeiten, dann wäre das eher denn ein Argument für
das Nichtbestehen einer Wirklichkeit, ein höchstwahrschei,nliches
Zeichen dafür, dass dieses System falscli ist.
2. Wenn man Gott leugnen will, sollte zunächst gesagt werden,
welches Sein unter dem Namen Gottes, der geleugnet wird verstan-
den wird. Einen Götzen leugnen wir auch und es besteht der drin-
gende Verdacht, dass Sartre geläufig dort, wo er von Gott spricht,
nur einen Götzen meint.
3. Man müsste sich weiterhin über die Art der Leugnung ver-
ständigen. Der Physiker· ist A-theist, insofern er nicht von Gott
spricht. Der Metaphysiker kann 'Gott leugnen wollen, wenn er
nicht von ihm spricht, es kann aber auch sein, dass er in seiner
Arbeit nich nicht bis zu Gott gelangt ist. Ob letzteres, z. B. für
Heidegger zutrifft oder nicht, soll hier nicht untersucht werden.
Man kann Gott direkt oder indirekt, ausdrücklich oder unaus-
drücklich, ernsthaft oder bloss des Gesprächsspiels wegen - wie
es manchen Sophisten taten· - leugnen.
9 - Studi filo1ofici
X.
R. D. GIORGIO GIANNINI
PlloFESSORE NEL PoNT. ATENEO UTERANENSB
s lbid., p. 17.
9 Esistenzial. posit., pp. 31-33; cf. Storia della /iloso/ia, II, 2, Torino 1960,
p. 180 ss.
134 GIORGIO GIANNINI
* * *
Sorvoliamo sui restanti sviluppi speculativi, ehe permettono al-
l' A. di spiegare un'innegabile abilita dialettiea, ma ehe, a nostro av-
viso, non ineidono sul signißeato delle affermazioni ehe gia eono-
seiamo, e veniamo senz'altro ad aleuni rilievi eritiei 1 s.
Innanzi tutto, la nozione di possibilita, difesa a spada tratta
dall' A., ei sembra eontraddittoria: e eio non per il confronto con
una nostra nozione, ehe l' A. potrebbe giudieare arbitraria, ma in
base ad una eritiea interna. A parte ehe ad un problematieista eo-
me I'A. la contraddizione non puo far paura, il confronto eol prin-
eipio di non-contraddizione rimane sempre l'argomento deeisivo per
saggiare la eonsistenza logica di una determinata posizione specula-
tiva. La eontraddizione ehe ei sembra di riseontrare nella nozione di
possibilita quale la eoneepisee l' A., e ehe essa, mentre da un lato e
invoeata per spiegare tutto, eome il « deus ex maehina > della ftlo-
sofla, dall'altro, viene svuotata preeisamente di ogni signifleato ri-
volto ad una spiegazione, appunto perehe in base ad essa si sostiene
ehe in fllosofla non vi e niente da spiegare.
E' invooata per spiegare tutto: infatti l'A. provoea eontinua-
mente alla possibilita per« spiegare » ehe eosa e l'esistenza, per eo-
glierne il senso tipieamente umano, per stabilire il signifleato auten-
tieo delle articolazioni dialettiche del suo esistenzialismo, ehe sean-
diseono la realta stessa, quali p. es. il mondo, la storia, il tempo, la
morte. In una parola: l' A. media tutta la realta attraverso la eatego-
ria della possibilita.
Dall'altro lato, la poswibilita viene intesa in un sens.o ehe impli-
ca l'imposs,ibilita di quolsiasi spiegazwne: infatti essa viene conee-
pita eome la realta stessa ehe non puo giustifiearsi se non rappor-
tandosi a se stessa. A rigore, l' A. non puo dire: « la realta e possi-
bilita >, ma deve dire: « la possibilita e possibilita », giaeehe se si
suppone per un momento ehe la possibilita si identifiehi eon qualeo-
sa di estrinseeo, essa ha gia perduto il suo earattere autentieo e non
e piu la possibilita. Si arriva esattamente alla posizione parmenidea,
per la quale il giudizio o e tautologieo o e falso. Per usare ·un'arguta
11 Gli sviluppi piil notevoli sono svolti nello scritto citato: L'appello alla
ragione e le tecniche delta ragione.
136 GIOBGIO GIANNINI
non essere non e aneora iI reale, perehe il reale e eio ehe e. Dunque,
se il possibile e il reale stesso, il reale e eio ehe non e aneora reale,
eioe il reale non e il reale. E notiamo bene ehe reale per l' A. non si-
gnifiea eio ehe non diee eontraddizione, perehe in tal easo si potreb-
be eertamente affermare ehe il possibile e reale; ma reale per l'A.
signifiea essere attuale, dal momento ehe egli intende tutta la realta
in senso esistenziale. E allora qui sorge una nuova eomplieazione.
Se il possibile e reale e reale signifiea essere attuale, l'essere attua-
le e cioe ehe puo essere o non essere; ma un essere attuale ehe, ri-
manendo atttiale, sia cio ehe puo essere o non essere, o e un essere
attuale ehe puo essere o non essere attuale, ed e, in tal easo, assur-
do; o e eio ehe in tanto e attuale in quanto puo essere o non essere
attuale, e allora non e il possibile, ma il contingente, proprio quel
eontingente ehe, in un modo o in un altro, e legato alla neeessita.
La prima ipotesi, tuttavia, sembra piu probabile; percio non vediamo
come si possa useire dalla eontraddizione. ·
Coneludendo: il difetto ehe si riseontra nella nozione di possi-
bilita difesa dall'A. e di non eonsentire in alcun modo il passaggio
al neeessario; ed e difetto talmente notevole da deformare eomple-
tamente il eoneetto di possibile fino a negarlo nella maniera piu
radieale. Eppure l' A. non ei sembra eosi ehiuso aU'istanza di una
traseendenza eoerente e oggettiva, se ha potuto serivere: « L'uomo
e temporalita; ma non potrebbe essere neppure temporalita se non
si aneorasse all'eterno. II suo essere eela eontinuamente nella sua
eostituzione la minaeeia del nulla; e eontinuamente lo ehiama e lo
spinge verso un essere ehe e al di la di qualsiasi minaecia > 16 • Ci sia
leeito ehiedere: eome e possibile ehe quell'essere « ehe e al di la di
qualsiasi minaecia > sia la possibilitd tras.cendentale, cioe l'essere
stesso ehe « eela continuamente nella sua costituzione la minaeeia
del nulla » rapportato a se stesso? non e assurdo ehe cio ehe reea
eontinuamente in se la minaeeia del nulla sia, nello stesso tempo,
al di la di qualsiasi minaecia? Chiederemmo troppo all' A. se lo in-
vitassimo a sostituire il « traseendentale » eon il « traseendente >? 17•
R. P. ANDREA MARC S. I.
PaOFBSSORE NBLLA FACOLTA DI FILOSOFIA DI PARIS
HISTOIRE ET METAPHYSIQUE
, MARROU, art. cit., pp. 8-9. - Voir Esprit, Juillet 1952, p. 121.
1O- Stadt ftlo,oftct
1'6 ANDREA MARC S. J.
une fin en soi, puisqu'elle n'est pas mortelle tout entiere; elle ne
l'est que dans son corps, pas dans son äme. Tout pour eile n'est
pas ici-bas dans le temps, mais le meilleur est ailleurs. « Que l'hom-
me subisse l'inßuence du milieu, rien n'est plus certain, mais cet-
te inßuence ne s'exerce que sur des destinees secondaires, qui se
deroulent dans notre monde » (p. 65).
II y a plus encore. Lorsque l'homme s'analyse dans son Mre et
son agir, a la lumiere de l'etre comme tel, il se reconnatt en face
de Dieu, son origine et sa fln. D'ou l'importance des theses, qui ti-
rent de l'.etre et de 1:agir humain, l'idee de Dieu d'abord, puis l'af-
firmation de son existence, comme eternel present, et qui, a la suite
de cette mise en presence de l'homme et de Dieu, etudient l'evolu-
tion du desir humain, entre autres celle du desir d'entrer dans
I'absolu de l'acte createur, selon les modernes, ou, selon les me-
dievaux, du desir de voir Dieu. Elles concluent finalement que sa
realisation est liee a l'hypothese d'une eventuelle et libre inter-
ventiön de Dieu dans l'histoire et dans l'humanite. Cela ne peut
etre absurde ni en contradiction avec l'idee d'histoire humaine.
A partir de ce moment la conception de l'histoire et de son
sens, ainsi que celle de notre destinee, sont renouvelees deflnitive-
ment. Le contraste du· fini et de l'inflni, qui travaille l'esprit hu-
main, tout au long de son histoire, revele toute son importance.
Mais si l'humanite doit Mre dans l'attente d'un passage even-
tuel de Dieu, il faut ajouter que ce sens de l'histoire est une enig-
me, un mystere et comme le mystere des mysteres. Dieu n'est-il pas
bien au-dehors et au-dela de l'histoire dans son eternite? S'il pa-
rait dans l'histoire et le temps, s'y mele, comment restera-t-il l'e-
ternel, le transcendant? Comment ne deviendra-t-il pas le tempo-
rel, le temporaire? S'il passe parmi nous ne devra-t-il pas, d'une
facon ou d'une autre, s'humaniser? Ne cessera-t-il pas d'etre ce
qu'Il est pour devenir ce que nous sommes? Voila justement le mys-
tere et c'est le röle du philosophe que de le situer tationnellement
comme une eventualite, une nouveaute hypothetiques sans aucun
precedent, qu'il ne peut preciser davantage. Le sens de l'histoire
et le destin de l'homme sont la presence du inonde a Dieu dans
l'attente d'une presence de Dieu dans le inonde. L'histoire n'est
pas purement profane, puisqu'elle porte en eile, avec l'obbligatiori
d'etre morale, meme religieuse par son attente, la possibilite de
devenir « sainte » et divine. Au milieu des ruines et des cadavres,
parmi lesquels eile avance et sur lesquels eile n'edifle que des cho-
ses mortelles, ( ce qui, pour Grousset, fait d'elle un cauchemar),
c'est la seule lueur d'esperance ! Encore faut-il soigneusement no-
ter que cette lueur est faible et cette esp~rance incertaine aux yeux ·
148 ANDREA MARC S. I.
•
HISTOIRE ET METAPHYSIQUE 153
R. P. BEDA THUM 0. S. B.
PROPESSOBE NEL PONTIFICIO ATENEO ANSELMIANUM
E NELL'.UNIVEBSITA DI SALZBURG (AUSTRIA)
lytischer Art sind. Schon Aristoteles selbst legt das Ergebnis seiner
Bewegungsanalyse in der Form einer Definition vor. Die Theorie
des Hylemorphismus wird oft zur Aufstellung einer Wesensdefi-
nition der Körperlichkeit herangezogen und als solche anderen Auf-
fassungen, wie dem Mechanizismus, Dynamismus und Energetis-
mus, die tatsächlich das materiale Wesen des Körperlichen zu be-
stimmen versuchen, entgegengestellt, obwohl die Materie-Form-
Lehre eine Theorie ganz anderer Art ist und ihre Oberlegenheit
und philosophische Solidität gerade auch dara_uf beruht, dass sie
sich nicht auf den ungewissen und in Illusionen endigenden Ver-
such einlässt von einer Fundamentalbestimmung aus die allgemei-
nen Charakteristiken des Körperlichen ableiten zu wollen.
Man könnte noch daran denken und die Hoffnung hegen, dass
der Fortschritt der analytischen Forschung die Distanz zwischen
der Erkenntnis der formalen Voraussetzungen und des materialen
Wesens allmählich verringern werde. Wir haben ja nicht nur die
Tatsache der Veränderung als Basis aufsteigenden Erschliessens;
die transeunte Kausalität, die verschiedenen Formen ganzheitlicher
Komplexe, die Zusammenhänge zwischen den Bedingungen im
Grossen und den lokalen Zuständen und Vorgängen, um. nur einige
Beispiele zu nennen, bieten gleichfalls Ausgangspunkte für analy-
tische Problemstellungen und Schlüsse. Da sie sich auf das näm-
liche Sein beziehen und da wir wenigstens in einer allgemeinen
Weise die Bedingungen der inneren Einheit aufzustellen vermögen,
eröffnen sich hier tatsächlich Möglichkeiten eines weiteren Ein-
dringens in das Sein der Naturprinzipien. Die Bestimmungen, die
wir auf den verschiedenen Linien der Analyse finden, ergänzen und
präzisieren sich gegenseitig im Hinblick auf die Einheit des Seins,
die sie alle verbindet. Es ist wohl sicher anzunehmen, dass die
analytischen Untersuchungen in dieser Weise noch wichtige
Fortschritte werden erzielen können. Dies besagt indes nicht, dass
sie sich damit allmählich einer Wesenserkenntnis annähern wer-
den. Eine solche Erwartung wäre nur dann gerechtfertigt, wenn
die Erweiterung und Ausdehnung der analytischen Betrachtungen
fortschreitend auch die materialen, ontologisch zunächst nicht in-
terpretierbaren Aspekte der Erscheinungen erfassen und mit ent-
sprechenden Momenten des Prinzipienreichs in Beziehung setzen
würde. Nur unter dieser Bedingung wäre eine Ableitbarkeit der
Phänomenbestimmungen aus den analytisch erreichten, in einer
formal-ontologischen Begrifflichkeit formulierten Erkenntnissen
überhaupt denkbar. Die oben genannten Beispiele weiterführender
analytischer Fragestellungen weisen aber in nichts darauf hin, dass
durch sie ein Fortschritt in dieser Richtung herbeigeführt werden
DIE METHODE DER KOSMOLOGIE 167
et densum, die viel diskutierte Frage über die Existenz von transfor-
mationes substantiales im Bereich des Anorganischen, die durch
die Ergebnisse der Physik mindestens auf neue Grundlagen gestellt
worden ·ist. Auch dfe eigene Entwicklung der modernen wissen-
schaftlichen Anschauungen kann natürlich Veränderungen der em-
pirischen Ansätze mit sich bringen; als einfache Beispiele seien
genannt die Vorstellung vom absoluten Raum und ihre Preisgabe
in der rieÜen Physik oder die impetus-Theorie, die am Anfang der
neuzeitlichen Mechanik steht und von der heute zu sagen ist, dass
sie für uns wenigstens nicht mehr die einzige mögliche Deutung
der freien Bewegung darstellt. Andererseits ist es aber auch sicher,
dass die wissenschaftlichen Formulierungen nicht ohne Weiteres
und nicht nach ihrem Wortlaut als Feststellungen von Tatsachen
anzunehmen sind, in denen der Kosmologe nach ontologisch bedeut-
samen Aspekten AÜsschau zu halten habe. Die Ausdrucksweise der
Wissenschaften ist so sehr abhängig von der Methodik ihrer Beo-
bachtungen und Messungen und so sehr durchsetzt von sekundä-
ren begrifflichen Konstruktionen, dass es unbedingt notwendig wird
sie einer unterscheidenden Kritik zu unterwerfen und eventuell so-
gar in einer ~euen Sprache zu interpretieren um durch die Schicht
von indirekten Kennzeichnungen und verdinglichten Begriffskon-
struktionen zu den schlichten Fakten zu gelangen. Die Forderung,
die wir damit erheben, ist der der neuempiristischen Wissenschafts-
theoretiker ähnlich; sie hat aber in Wahrheit, weil vom Standpunkt
des Realismus aus erhoben, eine andere Bedeutung. Die Weil, mit
der die Forschung sich beschäftigt, ist für uns nicht ein System
von Sinnesdaten und Messoperationen, sondern die Naturwirklich-
keit mit ihren Strukturen und Zusammenhängen. Die Wissenschaf-
ten dringen in diese Wirklichkeit auch tatsächlich ein: indem sie
in ihren Theorien lernen die Vorgänge immer genauer und vollstän-
diger zu prognostizieren, leisten sie eine immer fortschreitende Fak-
torenanalyse der Naturvorgänge, denn Voraussagen, die sich in den
verschiedensten Bedingungen bewähren, würden nicht möglich sein
ohne eine gewisse, wenigstens indirekte Kenntnis der Determinan-
ten des Geschehens. Die Genauigkeit und der Umfang des Voraus-
sehbaren geben zuverlässige Kriterien um zu bestimmen wo und
inwieweit die Forschung die natürliche W eltaufl'assung oder eine
wissenschaftliche Theorie die andere übertrifft in der Enthüllung
der Struktur der Wirklichkeit. Auch die Wissenschaft leistet dem-
nach eine Analyse, nicht zwar in Richtung auf die ontologischen
Prinzipien, aber auf die elementaren und fundamentalen bestim-
menden Momente der Naturprozesse und Naturgebilde, die der vor-
wissenschaftlichen Erfahrung infolge der grossen Komplexität der
DIE METHODE DER KOSMOLOGIE 169
weit grössere Reichweite und kann das sorgfältige Denken über die
Folge rasch sich ablösender Auffassungen hinausheben.
II
R. P. GASTONE ISAYE S. I.
PROFESSORE NELLA FACOLTA FILOSOFICA DI EEGENHOVEN-LoVANIO
1 Elles n'affectent donc pas l'ftre en tant qu'itre. Cela ne les empl!che
pas d'itre ohjectives; afflrmer que la neige est noire, c'est se tro.mper; afflrmer
que la neige est hlanche, c'est avoir raison. Mais une teile objectivite est neces-
sairement imparfaite. Outre les considerations critiques qui precedent, nous
pourrions faire appel a un argument valable pour quiconque admet l'existence
de purs esprits. La mime determination ontologique correspond a des con-
tenus de conscience differents selon qu'il s'agit d'une conscience angelique ou
animale; et comme c'est le contenu de conscience angelique qui est le plus
parfaitement conforme a la determination entitative, le contenu de conscience
animale n'est qu'imparfaitement objectif. Et ceci est vrai que cet animsl soit
raisonnahle ou non.
GASTONE ISAYE S, 1,
I. - CosMOLOGIE DEDUCTIVE
1. - Dependance
Une teile methode depend de la sensibilite. Car pour reflechir sur
un jugement, il faut en avoir un. Si ce jugement, objet de reflexion,
etait deja lui-meme un· acte de reflexion, il portait sur un acte in-
tellectuel anterieur, volition ou jugement. Mais il a bien fallu com-
mencer ce processus par un jugement non reflexe, par un « juge-
ment direct ». Mais comme les termes de celui-ci n'etaient plus re-
flexifs, ils devaient porter sur le monde exterieur; et comme I'hom-
me n'est pas un ange, ce monde exterieur a du etre saisi par une
sensibilite. Ce jugement direct, qui a du intervenir pour rendre pos-
sibles les reflexions metaphysiques, avait des termes tels que < rou-
ge » ou «sonore>.
2. - Dependance indirecte
Par ailleurs, la metaphysique deductive ne depend qu'indirec-
tement de la sensihilite. En etfet, la metaphysique deductive etudie
le jugement direct uniquement en ceci que c'est un jugement; eile
LBS SCIENCBS POSITIVES ET LES TBOIS SECTIONS DB LA COSMOLOGIE 175
3. - Ob jections
1. - Mathematiques.
2. - Sdences experimentales.
4. - Le transcendant.
Et d'abord la transcendance relative: la spiritualite _de l'ame
humaine.
Ayant reconnu l'existence d'autres hommes, je puis leur ap-
pliquer les conclusions de la psychologie deductive: l'operation ju-
dicative impliquc rNlcxion parfaite, donc une operation que la for-
me substantielle 11ossMe ratione sui, donc la spiritualite de cette
forme.
Gn autre probleme sera le critere de la liberte dans l'operation,
critere nl•ce~saire par exemple a l'exercice de la justice humaine.
Comme il n'y a pas de decision libre qui soit moralement indifferen-
te, un crilere pourra Mre donne par les signes d'une conscience mo-
rale au sens strict.
Ensuite la transcendendance absolue, divine.
Quanta la preuoe philosophique de l'existence de Dieu, si l'on
veut, pour la deuxieme voie de saint Thomas, partir d'une causalite
dans le monde exterieur, on pourra recourir au critere de la succes-
sion irreversible (avec ressemblance ... ).
Pour la cinquieme voie, le point de depart pose J?ar saint Tho-
mas s'explicite et se precise par notre critere .de la finalite: unite
synthetisante mecaniquement improbable.
Quant a l'apologetique par le miracle, les criteres de l'interven-
tion dh•ine ne sont pas sans analogie avec les signes d'une decision
libre humaine. Sans doute, les objections purement metaphysiques
contre le miracle sont d'un autre ordre. Mais le prejuge scientiste,
lui, est deja refute par Ia liberte de l'bomme.
5. - Conclusion.
La premiere section de la cosmologie ne depend qu'indirecte-
ment de la sensibilite. Les progres des sciences positives n'aft'ectent
nullement cette cosmologie deductive.
Par contre, les sciences dependent d'une demarche metaphysi-
que quant a la justification critique des lois logiques generales et
des principes methodologiques propres aux mathematiques ou a la
physique. Les faits positifs ne peuvent modifier ce qui a ete ainsi
justifie critiquement. Par contre ils peuvent reviser des habitudes
d'imagination qu'on aurait erigees indilment en principes autben-
tiques.
Enfin la cosmologie inductive depend d'experiences que la scien-
ce peut enrichir et preciser. Cette section de la cosmologie presup-
pose une psychologie inductive.
III
R. D. ROBERTO MASI
J>ROFES.SORE NEI PONTIFICI ATENEI LATERANENSE E URBANO
DE PROPAGANDA FIDE
* * *
* * *
* * *
* * *
13 - Studi filoao(fci
IV
R. P. FILIPPO SELVAGGI S. I.
Pl\OFESSORE NELLA PONTIFICIA UNIVERSITA GREGORIANA
R. P. MARIO VIGANO' S. I.
PftOFESSORE NELLA FACOLTA FILOSOFICA
ALOISIANUM DI GALLABATE
cui, anche come semplice norma pratica, la tesi .della completa se-
parazione non mi pare fondata.
Ma anche meno fondata mi semhra questa tesi in linea di prin-
cipio, specialmente quando si considerino non i rapporti tra scien-
za e filosofla in genere, ma quelli tra fisica e cosmologia in par-
ticolare.
E' vero ehe la fisica si evolve rapidamente e profondamente,
ma non gia per subite rivoluzioni, ma piuttosto per naturale evo-
luzione come un organismo vivente in. periodo di pieno sviluppo,
in cui i lineamenti esterni camhiano in seguito ad un profondo me-
taholismo interno, ma l'individualita rimane inalterata. Cosi l'av-
vento delle teorie moderne non ha affatto sepolta tra i ferri vecchi
la fisica classica ehe continua ad essere oggetto di insegnamento
non solo nelle scuole medie, ma per gran parte anche nelle scuole
superiori.
Ma vi e ben di piu. Questa stessa evoluzione della fisica con-
tiene un importante insegnamento an ehe per il filosof o mostrando
quanto la natura sia piu ricca e complessa di quel ehe potevamo
pensare e come difflcilmente si lasci costringere dentro gli schemi
delle nostre teorie flsiche e dei nostri sistemi filosofici. Dico anche
dei nostri sistemi filosofici, perche le conquiste della scienza toc-
cano spesso da vicino la nostra concezione del mondo, la W eltan-
schauung, e, di riflesso, la filosofia. L'esempio classico e costituito
dalla rivoluzione copernicana, ma potremmo f acilmente enumerare
tutta una serie di problemi filosofici in parte vecchi come la flloso-
fla stessa, ma posti sotto nuova luce dalla scienza moderna, in
parte completamente nuovi.
Ricordiamo, a modo di esempliflcazione, il problema della co-
stituzione dell'universo, particolarmente in riguardo alla flnalita;
il prohlema del continuo flsico, del tempo e dello spazio, della ma-
teria e dell'energia, degli elementi e dei composti, del mondo inor-
ganico e della vita, tutti vecchi prohlemi sui quali la scienza mo-
derna proietta nuova luce e, spesso, accumula nuovo mistero. A
questi si aggiungono i nuovi problemi sconosciuti alla fllosofla clas-
sica, per es. le nuove matematiche, le leggi statistiche, la relati-
vita, o, §e vogliamo restare sul terreno solido dei f atti meglio accer-
tati, diciamo la interpretazione delle trasformazioni di L9rentz, la
natura quantistica dell'energia, dell'elettricita e della materia, l'in-
terpretazione dei metodi della meccanica quantistica cosi astratti
eppur cosi fecondi, lo spiraglio aperto sull'intima natura degli ele-
menti dal sistema periodico e dai recenti studi di fisica nucleare,
la serie delle cosidette particelle elementari la cui lista di questi
giorni sembra andare straordinariamente allungandosi; tutti risul-
206 MARIO VIGANO s. 1,
R. P. PIETRO HOENEN S. I.
PROFESSOBE NELLA PONTIFICIA UNIVERSITÄ. GBEGORIANA
etiam valde complicati. Iste intuitus sensitivus simul est cum intui-
tione intellectiva necessitatis, sicut in casu algebraico; resultatum,
etiam quoad « contentum > sive « determinationem > specificam,
cognoscitur ut necessarium, non contingens. Dein ex applicatione
regulae generalis supra enuntiatae substitutionis Iegitimae (ex
« maiori >) formulam resultantem, cum contento specifico, affirma-
mus, et est judicium necessarium, non contingens.
In hac igitur primissima operatione deductionis ex libro Prin-
cipia Mathematica redeunt ea, quae supra inveniebamus. Id brevi-
ter indicamus. In mente nostra iterum adest syllogismus typi Barba-
ra. Nam ita ratiocinamur: omnis formula, quae resultat ex quavis
substitutione legitima in quavis formula valida, est valida, afflr-
manda. Et ad hanc maiorem duo addimus : 1° hae.c substitutio de-
terminata est legitima et 2° ex ea resultat haec (nova) formula. Ergo.
In casu nostro substitutio erit legitima, si pro p, ubicumque
hoc symbolum in formula originali occurrit, aliud symbolum pro-
positionis substituitur. Id quod videtur cognosci ex alio syllogismo.
(Id etiam in casu algebraico occurrere videtur, sed est minoris mo-
menti).
Et haec semper, in singulis casibus substitutionis, iterum re-
currunt; etiam in aliis mediis deductionis logisticae, quae est ars
quaedam combinatoria secundum .regulas determinatas, primitivas
et deductas; in infinitum multiplicantur propositiones primitivae,
immediatae, et cognitae ut necessariae; in infinitum. Et tacite sup-
ponuntur, id quod logistici praesertim evitare volebant.
Animadvertamus adhuc : haec phantasmata vel data sensftiva
in genere non tantum continet multitudinem symbolorum, sed et-
iam eorum ordinem spatialem, geometricum. In ipsis scientiis non
geometricis, in ipsa deductione necessarius est recursus ad phanta-
smata geometrica; et hae methodi valde laudantur · propter suum
« rigorem > deductivum. Quare igitur, nomine rigoris hie recursus
in ipsa geometria excluditur?
* * *
Resumamus. In operationibus arithmeticae, scientiae quae est
typus claritatis et necessitatis et exactitudinis, inveniebamus quasi
continuam « appellationem ad phantasma >, cui intuitio intellecti-
va associatur; sicut id invenimus in statuendis axiomatis scientia-
rum, ita et in earum evolutione, in ipsa deductione. Et haec appella-
tio quasi continua ducit ad multitudinem propositionum necessa-
riarium (quae ut tales cognoscuntur) immediatarum; quae in omni
calculo arithmetico in actu exercito activitatem nostram intellecti.:
vam dirigunt, quae ipsae deduci non possunt. Simul invenimus mo-
DE MULTITUD, INFIN, PRINCIP. NECESSARIORUM IMMEDIATORUM 217
• • •
Aristoteles in Anal. Post. I c. 32 88 b 3 habet effatum: « prin-
cipia non multo minora sunt conclusionibus ». Antea opinabar Ari-
stotelem hie alludere ad ea quae hie dicebamus, vel ad similia; prin-
cipia prima, immediata, non essent pauca. Puto tarnen eum aliud
quid intendere. Principium hie non videtur indicare principia imme-
diata, sed simpliciter « praemissam > syllogismi. Ita S. Thomas
(lect. 43 n. 7) eum explicat dicendo: « plurima eorum quae princi-
piis coassumuntur ad conclusiones alias inducendas sunt etiam con-
clusiones >. Simili modo etiam Philoponus i. h. I.
VII
15 - Studi filo,ofici
226 HANS ANDÜ
R. P. JEAN ABEL:8 S. I.
PRoFESSOBE NELLA FACOLTÄ FILOSOFICA DI VALS (FBANc1A)
LA VITESSE
GRANDEUR QUALITATIVE COMPORTANT UN MAXIMUM
ET LA TH:S:ORIE DE LA RELATIVIT:S:
II est peu de problemes qui aient ete aussi discutes entre philo-
sophes scolastiques au Moyen-Age que celui de la mesure des quali-
tes. La plupart s'accordaient a etendre la notion de mesure a l'or-
dre de la qualite, mais ils se divisaient sur la reponse a donner a
la question suivante: comment se fait l'accroissement de la qua-
lite dans un sujet? Est-ce, comme le proposaient les uns, par ad.-
dition de nouveaux elements de la qualite consideree aux elements
preexistants? Est-ce, comme le soutenaient les autres, par trans-
forma.tÜ>n d'un etat qualitatif preexistant en un nouvel etat quali-
tatif n'ayant aucun element commun avec le precedent, mais sus-
ceptible d'atre classe par rapport a lui et a d'autres dans une echel-
le ordinale de per(ectit>n?
Saint Thomas, qui fait sienne cette seconde theorie, la com-
plete souvent par l'affirmation de l'existence d'un l'IIQ;rimum qui
constitue, pour une qualite donnee, la per(ection de son espece
et qui joue le role d'u,nite de muure vis a vis de la multiplicite
des degres selon lesquels cette qualite est participee, soit par di-
vers sujets, soit successivement par le m~me sujet en lequel eile
s'accrott.
Dans la discussion de ce probleme il y a lieu d'envisager se-
parement trois domaines distincts. Le premier, qui sert de point de
depart aux deux suivants, restreint la question posee aux seules
qualites sensibles ou materielles: sons, couleurs, gravite, vites-
se, etc... Le second l'etend aux qualites spirituelles, en particulier
aux vertus. Le troisieme domaine resulte d'une transposition du
probleme de la mesure de l'ordre predicamental de la qualite a
l'ordre transcendental de l'~tre et conduit a une formulation parti-
culiere de la quarta .uia: Dieu existe comme mesure supreme de
tous l.es degres d' eire.
232 JEAN ADELE S. I.
I.
La. theorie des groupes
OtHlre .approprie ä l.a mesure des qualites
II.
La vitesse
grandeur qualitative comportant un maximum
III.
Signification de la theorie de la relativite restreinte
pres que les corpuscules materiels les plus rapides. Bien qu'elles en
soient proches au point de se confondre empiriquement avec eile,
la non-identite de ces vitesses sufilt a retirer a la loi d'isotropie le
caractere d'un principe pout ne lui laisser que le caractere d'une loi
experimentale.
En developpant, suivant les idees exposees dans les pages pre-
cedentes une theorie de la mesure directe des vitesses, on peut eta-
blir les f ondements de la the.orie de la relativite rest11einte antece-
demment d la resolution du probleme de la mesure du temps. La vas-
te synthese spatio-temporelle d'Einstein et de l\linkowski, a laquel-
le nous ne marchandons pas notre admiration, nous apparatt des
lors, non comme la base, mais comme le couronnement de l'edifice.
Nous retrouvons la une vue de cosmologie aristotelicienne: l'analyse
du mouvement doit preceder celle du temps.
CONCLUSION
16 - Studi filoaofict
1
les. Nul ne songerait a dire: tout organe du corps humain est ina-
cheve, fini, en ce sens qu'il n'est pas un organisme complet, donc
l'ensemble de ces organes doit lui aussi etre declare inacheve,
fini, puisqu'il ne contient que de l'inacheve, du flni. Ce n'est pas
de la meme maniere qu'un etre particulier est fini eu egard a l'en-
semble des etres et que cet ensemble doit etre dit flni eu egard au
Createur; et il s'agit de prouver, d'etablir en raison, que ce deu-
xieme sens (la flnitude eu egard au Createur), loin d'etre un non-
sens, s'impose lui aussi, aussi bien que le premier (la finitude eu
egard a l'ensemble des finis), parce que ce premier sens, loin de
suffire, implique le second et, en derniere analyse, s'y fonde.
D'ou il ressort que si l'on fait etat du principe ou du fait
que, par telle ou telle de ses tendances, l'homme se trouve na-
turellement oriente vers l'infini, ou que, .d'une maniere generale,
le fmi implique ou reclame l'infini, rien n'est encore prouve; car
toute la question est de savoir de quel infini on est en droit de par-
ler. 11 s'agit, non pas d'afflrmer gratuitement, mais d'etablir en due
forme, que l'infini au sens hegelien du mot, l'inflni au sens de
synthese des finis, ne suffit pas; bien plus, que par toute sa realite
cet inflni reclame un fondement transcendant, un Createur.
Sur ce point egalement, sans doute, l'accord de la plupart des
seolastiques peut s'obtenir; du moins en principe, car dans l'ap-
plication de cette these, notamment dans la maniere de formuler et
de manier le principe de causalite, les difflcultes ne manqueront
pas de surgir.
Effo~ons-nous de prendre plus nettement conscience des ele-
ments du probleme.
La conclusion de la preuve de l'existence de Dieu afflrme la
realite .d'un Etre createur. Cet Etre transcende toutes et chacune
des realites finies; il n'est, sous aucun rapport, un etre particulier
integre dans un ordre d'etres; il n'est donc, a aucun point de vue,
une cause integree dans un ordre de causes; d'aucune maniere, il
ne fait partie d'une serie de causes et il ne peut donc etre, non plus,
le premier terme d'une serie causale. Sans doute est-on convenu
de l'appeler Cause premiere, mais c'est dans un sens bien deflni,
celui de Cause incausee; et il est important de remarqµer que tou-
tes les causes creees doivent s'appeler, dans un seul et meme sens,
des causes secondes, c'est-a-dire des causes egalement (a savoir
totalement et donc immediatement) dependantes de la Cause trans-
cendarite. En d'autres termes, si l'on distingue la Cause premiere
et la cause seconde, il n'y a pas place pour une cause troisieme,
une cause quatrieme, etc. Ce qui est second par rapport a la Cause
LE CARACTERE SPECIAL DE LA PREUVE DE DIEU 253
I.
In prima parte duo sunt probanda: 1°) nulla alia probatio tran-
scendit mundum immanentem; 2") probatio autem existentiae Dei
eum, sub triplici quem dixi aspectu, transcendit.
1° Probationes quae habentur in re metaphysica censeo esse
reducendas ad probationem existentiae Dei, quia significatio entis,
quod est eorum obiectum formale, tota quanta consistit in parti-
cipatione tou esse divini secundum gradus diversos.
Praeter metaphysicas autem, coeterae omnes pertinent ad scien-
tias, sive naturales sive spirituales. Scientiae vero, etiam spiritua-
les, agunt de rebus quales apparent; utique de obiectis quae singu-
la existunt in ordine rerum, etiam independenter a subiecto cogno-
scente, et existunt unumquodque secundum modum suum respec-
tive proprium; non tarnen de rebus prout sunt entia, prout sunt
existentes, neque prout sunt qua tales intelligibiles.
Scientiae speculantur obiecta sua prout sunt determinate in-
telligibilia: quare non transcendunt mundum flnitum; prout exis-
tunt in sua manifestatione : quare non transcendunt mundum phae-
nomenalem; prout pertinent ad experientiam subiecti : quare neque
mundum subiectivum transcendunt.
Ex his quae hactenus dixi iam clare apparere arbitror scien-
tias numquam exire ex ambitu immanentiae uti eam descripsimus;
nec est mea mens, ad scientias quod attinet, ad magis particularia
descendere.
2° Probatio autem existentiae Dei
II.
R. P. WALTER BRUGGER S. I.
J>BOFBSSOBE NELLA FACOLTl FILOSOFICA DI PULLACH (Gmu,rANIA)
I.
Ut melius intelligatur, quid proprium habeat probatio existen-
tiae Dei, prius videamus quid intentio nostra sit, si aliquid pro-
bare volumus. Differentiae non vere intelliguntur, nisi ostenditur,
quomodo lege certa ex radice communi enascantur.
Palet probationem non necessario instituendam esse ad gignen-
dam primam certitudinem de aliqua re. Nam probamus etiam ea,
de quibus iam certi sumus. Probatio non certitudinem, sed eviden-
tiam, in qua certitudo fundatur, eamque mediatam respicit. At-
tarnen probatio neque mera via ad evidentiam est, si haec ut imme-
diata impossibilis est. Mediatum et immediatum enim non sese ex-
cludunt, nisi stricte formaliter sub eodem respectu sumuntur. ldem
factum sub diversa ratione immediate et mediate evidens esse pot-
est. Lampadem electricam lucere v. g. immediate visu patere et me-
diate ex causis evidens esse polest, idque eidem cognoscenti. Pro-
batione autem fit, quod veritas aliqua ut vera cognita sit in suis
.relationibus cum aliis veritatibus. Haec est etiam ratio, cur in phi-
losophia eadem veritas variis argumentis cum fructu probetur. Pa-
let inde eam probationem magis cognitionem et scientiam augere,
quae simul cum re causam eius manifestat. Nexus autem inter di-
versas veritates duplici modo cognosci potest: uno modo statuendo
diversas veritates vel diversa facta ut diversa eaque connectendo
vel subiciendo certae legi, quod aequivalet inductioni; alio. modo
266 WALTER BRUOOBR S. I.
II.
III.
IV.
convenire polest.
Quaeritur quornodo nihilorninus absoluta et separata afflrrna-
tio conclusionis, quae finis ratiocinantis est, possibilis sit et quo-
rnodo transitus ad earn fiat. Ut vidirnus finis internus et essentialis
deductionis non polest esse nisi afflrrnatio relativae afflrrnabilitatis.
Tarnen conclusione rnanifesturn fit hanc atfirrnationern absolutarn ra-
tionabiliter fieri J)(>8se. Irnrno ratiociniurn ostendit earn virtualiter
iarn factarn esse. Narn conclusio (q) non absolute negari polest,
quin logica consequentia etiarn p negetur; negati q ergo stante p
aequivalet contradictioni p et sirnul non - p. Id ergo quod quoad
nos afflrrnabile est relate ad aliquarn praernissarn absolute affir-
rnatarn, intelligitur etiarn quoad se et absolute afflrrnabile esse.
Ipsa autern haec afflrrnatio forrnalis· et actualis est actus distinc-
tus a conclusione ratiocinii ideoque etiarn stante ratiocinio libera
est et ornitti polest.
Si haec ad probationern existentiae Dei applicantur, vidernus
earn proptet hanc indolern ratiocinii non directe ducere ad afflr-
rnationern existentiae Dei, sed solurn ad iudiciurn de necessaria
afflrrnabilitate eius: secundurn rationern afflrrnari polest, iure ne-
gari non polest.
Ad alterarn difflcultatern solvendarn notandurn est: aliarn esse
afflrrnabilitatern quoad se et quoad nos. Secundurn afflrmabilitatern
268 WALTER BRUGGER S. I.
V.
In probationibus existentiae Dei, prout v. g. in quinque viis
S. Thomae exponuntur, ab aliqua existentia ad aliam concluditur.
Videamus nunc, quomodo talis probatio ab aliis probationibus exi-
stentiae diff'erat. Ut vidimus existentia per propositionem q signi-
flcata ideo negari non polest, quia logica consequentia etiam exis-
tentia per propositionem p signiflcata neganda esset, cum tarnen
p iam absolute affirmatum sit. Logica autem illa consequentia fun-
datur in propositione conditionali maioris, quae pro casu proba-
tionis existentiae exprimit nexum causalem inter p et q°, ubi
0
q•. Nexus ergo non est solum inter eff'ectum et aliquam causam,
sed inter certum eff'ectum et proportionatam certam causam flni-
tam. Actualiter vigente tali nexu causali ( quod idem est ac stante
reali eff'ectione rei p0 per causam q0 ) metaphysice impossibile est
q° non esse. Nam quod non est, non actu agere polest. Negatio
causae ergo implicaret contradictionem. Propositio vero maior (si
p, etiam q) non enuntiat nexum illum actualiter vigere, sed solum
dicit exigentiam eamque naturalem, physicam et hypotheticam (si
CONSIDEBATIONES QUAEDAM DE INDOLE PROPRIA PROBATIONIS DEI !69
VI.
VII.
Sed differt etiam ab omni alia probatione essentiali. In omni
quidem probatione essentiali negatio conclusionis virtualiter tran-
sit in aliquam contradictionem formalem relate ad aliquam prae-
missam. Sed haec contradictio est ex obiecto suo finita sicut om-
nis determinatio essentialis ex genere suo finita est. In probatione
vero existentiae Dei, quae ab ordine essentiali metaphysico proce-
dit (ut supra ex principio causalitatis) contradictio ex negatione
conclusionis virtualiter sequens ex obiecto suo infmita est. Nam af-
firmat et tollit simul ipsam necessitatem absolutam et transcenden-
tem, quae est infinita: afflrmat quatenus in praemissis nexum ali-
quem essentialem in illa transcendente necessitate fundatam vir-
tualiter ponit, tollit quatenus hanc eandem necessitatem transcen-
0
VIII.
R. P. CARLO GIACON S. I.
PßOFESSORE NELL'.UNIVERSITA DI MESSINA
SEMPLICITA' E COMPLESSITA'
NELLA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO
bile a ogni eosa, dice eh'e eosa ogni eosa e, sebbene in modo non
determinato, e diee di ogni eosa tutto eio ehe e, senza tralaseiare
nulla, senza preseindere da nulla: Pietro e un essere, un sasso e
un essere, e soltan.to il nulla non e un essere; e il predieato e il
eoneetto phi rieeo di tutti perehe contiene tutti i differenti modi
di essere, ed e predieabile di tutti perehe non ne esprime nes,:mno
in partieolare; e un predieato ehe diee tutto il soggetto, e l'unieo
predieato ehe eontiene tutto eio ehe esiste nel soggetto, perehe u.on
traseura ehe eio ehe il soggetto non e, mentre ogni altro predieato
dice soltanto un aspetto o una determtnazione particolare del sog-
getto preseindendo dalle altre; e il predieato ehe si adegua perfet-
tamente al soggetto, ehe non resta in aleun modo al di qua del sog-
getto, ehe lo prende tutto e lo sorpassa e lo traseende: in questo
senso il eoneetto di essere e traseendente, in questo senso traseen-
de tutte le eategorie, tutti i possibili partieolari modi di essere, tut-
ti i possibili predieati di un soggetto, tutto eio ehe il soggetto e
una eosa e e puo essere, ed e, servendoei di esso, ehe pereepiamo
intelligibilmente e direttamente l'esistere reale e attuale sia della
nostra intelligenza sia dell'altro da noi, il quale altro da noi ei e
dato in quanto sensibile e attraverso i sensi. Non abbiamo l'in-
tuizione diretta dell'esistenza di un essere del tutto e solo spiritua-
le; e tutti gli altri eoneetti intelligibili, proprio per poter essere
intelligibili ei riferiseono e ei devono riferire aspetti eomuni e uni-
versali delle eose preseindendo dalla individualita, seeondo la qua-
le le eose non possono non esistere realmente e attualmente; tutti
gli altri eoneetti prescindono dall'esistenza reale e attuale. Non pre-
seinde da questa il eoneetto di essere, il quale, pur essendo eomu-
nissimo e universalissimo, eontiene e rappresenta anehe l'esistere
reale e attuale, l'esistere individuale, secondo il quale le eose esi-
stono di f atto. Col eoneetto di essere eogliamo l'esistere reale c
attuale di noi stessi, degli altri uomini, del mondo sensibile; non co-
gliamo e non possiamo eogliere, essendo intelligenze legale ai sensi,
ne l'esistenza di Dio ne quella di eventuali esseri spirituali puri,
dovendoei essere tra il soggetto eonoseente e l'oggetto eonoseiuto
proporzione di perfezione.
Si diee generalmente ehe tutti i nostri eoneetti sono astratti
e universali. Se coneetto astratto e universale signiftea ehe non e eon-
creto e individuale, ehe non riferisce l'esistenza e l'individualita
della cosa eoncepita, tutti i nostri eoneetti sono astratti e univer-
sali eccetto pero proprio il coneetto di essere, il quale contiene e
rappresenta anehe l'esistenza e l'individualita di tutte le eose se-
eondo la loro diversa relazione all'esistere reale e attuale, benehe
eontenga e debba eontenere l'esistenza e l'individualita delle eose
SEMPLICITA B COMPLESSITA NELLA DIMOSTRAZ, DELL'BSIST, DI DIO 275
a Seite 9 10.
286 BERNHARD WELTE
reichs des Heiligen und der Religion überhaupt. Sie haben ihre für
die Theologie massgeblich gewordene Form durch Thomas von
Aquin erhalten.
Man wird nun gewiss nicht behaupten wollen, dass die Region
des Heiligen faktisch erst durch die Gottesbeweise in ihrer theore-
tisch artikulierten Gestalt zugänglich werde. Die Gottesbeweise in
dieser Gestalt setzen vielmehr die Religion und damit das Verstehen
der grundlegenden religiösen Bedeutungsgehalte faktisch immer
voraus. Man muss schon wissen, was man mit -Gott meint, um
nach ihm fragen zu können. Gleichwohl aber stellen diese Gedan-
kengänge doch die theoretische und prinzipielle Artikulation des
für Menschen gegebenen Erstzuganges der Region des Heiligen
ihrem Sinne nach dar. Sie suchen gemäss ihrem Anspruch die
heilige Wirklichkeit Gottes, welche die Region des Heiligen über-
haupt fundiert, grundsätzlich am geistigen Ort ihrer ersten An-
treffbarkeit für die menschliche Vernunft zugänglich zu machen,
wenn auch freilich mit Mitteln der Reflexion, welche im faktischen
Sinne niemals erste sind. So verstanden sind die Gottesbeweise also
zwar nicht der Anfang der Religion, aber es geschieht in ihnen
(oder soll in ihnen geschehen) das Denken diese Anfangs der Re-
ligion.
Sind die Gottesbeweise aber so richtig verstanden, sind sie
wirklich das Denken des Anfangs der Religion, der Erstgegebenheit
Gottes für die Vernunft, dann muss im Zuge der phänomenologi-
schen Fragestellung gefordert werden, dass im Gang ihres Aufwei-
ses auch des n.ou.menale Eidos des Gottes als Gottes, des Heiligen
als Heiligen sich entfalte, dass daraus das mit solchen Worten ur-
sprünglich Gemeinte und Umfasste selbst anfänglich hervortrete.
Und das heisst dann in eins und zugleich: dass das Denken im
Verlauf des Ganges dieser Beweise und durch diesen Gang in die
Grundgestalt geführt werde, die dem Denken des Heiligen als Hei-
ligen entspricht, dass es als selber religiös werde. Wenn der Be-
weis wirklich die Gotteswirklichkeit ·an dem ursprünglich für uns
gegebenen Orte ihre.r Zugänglichkeit aufzeigt, dann heisst dies
doch offenbar, dass in ihm auch die Klärung der Erstgestalt des
noumenalen Gehaltes der religiösen Grundbestimmung geschehen
muss, in eins mit dem Aufweis der Wirklichkeit dieses Gehaltes.
Denn woher sonst sollten diese grundlegenden Bedeutungen ihren
ersten Sinn erhalten oder überhaupt diese Sinngestalten sich für
UQS ausbilden, wenn nicht von dorther, wo deren Wirklichkeit al-
lererst für uns zugänglich wird und unser geistiges Bewusstsein also
von ihr erstbetroft'en sein muss? Die Gottesbeweise müssen - dies
wird hier zunächst nur als ein sich ergebendes Desiderat ausge-
DER PHILOSOPH. GOTTESBEWEIS UND DIE PHÄNOM. DER RELIGION 287
das Sein zukommt, ist um dieses Zukommens willen res und ens
und sie ist eben darum. auch nicht selbst das Sein und nicht nur
das Sein, sie ist vielmehr zusammengesetzt im metaphysischen
Sinne, das Sein kommt ihr ja zu.
Inwiefern ist hier die res als Ausgangspunkt des 'Gottesbewei-
ses ins Auge gefasst? Genau insofern, als sie ist. Denn das Wort
« ist > bedeutet nichts anderes als dieses : es kommt Sein zu. Das
« ist > bedeutet das Zukommen oder die Bezogenheit des Seins
auf dieses Seiende. Und in der Bezogenheit zugleich wieder die
Differenz. Etwas anderes ist diese res und etwas anderes der Um-
stand, dass ihr das Sein zukommt, dass sie ist. Sie bedarf des Zu-
kommens, ist also nicht selbst esse tantum. Dieses, dass das Seiende
ist, drückt dessen Differenz wie dessen Zusammenhang mit dem
Sein selber aus. Dies ist die Transzendenz des Seienden als sol-
chem. Wenn also in dieser Transzendenz der Gottesbeweis seinen
wesentlichen Ansatzpunkt hat, dann hat er ihn genau in dem :
dass Seiendes ist. Alle vereinzelnden Ausgangspunkte, wie ens mo-
bile, ens possibile usf. sind nur exemplifizierende Entfaltungen
dieser Grundbestimmung : dass Seiendes ist.
Hier gebietet uns nun der phänomenologische Gesichtspunkt
sogleich zu fragen : wie kommt dieses, dass Seiendes ist, als sol-
ches zum ursprünglichen sich Zeigen seiner selbst, zur phänome-
nalen Entfaltung seines ihm eigenen Noema? Und dementsprechend:
wie ist der geistige Akt, die Noese, beschaffen, in der solches ur-
sprüngliches Sich Zeigen geschieht?
Diese Frage ist nicht damit schon erledigt, dass darauf hin-
gewiesen wird, wir wüssten ja doch alle schon, was dies bedeute,
dass Seiendes ist. Dies ist zwar nicht zu bestreiten, aber für ge-
wöhnlich bewegen wir uns dabei doch in begrifflichen und sprach-
lichen Abbreviaturen der ursprünglichen Bedeutung, deren Gene-
sis zumeist sehr undurchleuchtet ist und damit auch . deren Be-
ziehungen zu den Ursprüngen. Und so muss gleichwohl und mit
Sorgfalt gefragt werden : als was und wie wird dieses, dass etwas
ist, ursprünglich zum Phänomen?
Zumeist und der natürlichen conversio intellectus ad phan-
tasma folgend, sind wir mit bestimmten und begrenzten quiddi-
tates des Seienden befasst, und es kommt darin nur n.ebenher und
in confuso zu·r Gegebenheit, dass solches ist. Wir denken an Men-
schen, Häuser, Bücher, und zwar an solche bestimmten Seienden,
welche in solchen bestimmten Zusammenhängen und Zwecken ste-
hen. Und darin schwebt, immer mitverstanden aber zunächst im-
mer im Unausdrücklichen und Undeutlichen bleibend, das « ist >
19 - Studi filoaofici
290 BERNHARD WELTE
dieses Gedachte. Dieses, dass ist, was ist, kann also nicht in dem
Sinne objektiver Gegenstand sein, als es mir, dem Denkenden, nur
gegenüberstände und ich also ausserhalb seiner w.äre und im Den-
ken von mir selbst abstrahieren dürfte. Eine solche Abstraktion
bedeutete eine willkürliche Begrenzung der Gesichtspunkte, welche
nicht mehr einfach und unbedingt das hier zu Denkende und seine
allumfassende Gewalt sich entfalten liesse. Wo das gelassene und
oft'ene Denken von diesem wirklich angesprochen ist, dass ist, was
ist, da findet es sich auch von sich selbst im ganzen angesprochen.
Es ist dann im Grunde nicht so, dass das Denken dessen, dass Seien-
des ist, dies sein Gedachtes umfängt und begreift, vielmehr findet
es sich selbst gänzlich umfasst und umgriffen von ihm. Damit aber
muss solches Denken, seiner Sache folgend, notwendig selbstbetro-f-
f enes Denken sein. Dies aber ist eine eigene Gestalt des Denkens,
welche von anderen, vor allem von abstrahierenden und objektivie-
renden Formen des Denkens spezifisch unterschieden ist.
Versuchen wir so, einige der grundlegenden Bestimmungen des-
sen, dass Seiendes ist, zusammen mit den ihnen entsprechenden
Weisen des Denkens ins Auge zu fassen, so dürfen wir über dieser
Auseinanderlegung doch nicht vergessen, dass dieses, dass ist, was
ist, und damit auch dessen gemässes Denken ein durchaus Einfa-
ches ist. Es wird in diesen Gedanken zwar alles und das Ganze
gedacht, aber nicht als ein Vieles, sondern als dieses durchaus Eine :
dass ist, was ist. In der Einheit dieser Bestimmung, die zwar wohl
eine metaphysische Spannung enthält, aber durchaus keine eigent-
lichen Teile, in dieser Einheit ist alles umfasst und enthalten so,
dass darin alles eins ist. Es ist das Einfache schlechthin, in dem
alles in die Einheit gesammelt ist : denn alles ist. Dementsprechend
aber wird das Denken dieses schlechthin Einfachen und schlecht-
hin Sammelnden selbst die Gestalt der Ein{achheit und der Samm-
lung haben müssen, der einfachen öffnung, die in dieser Einfach-
heit gerade allem Raum gibt und alles sein Sein aussprechen lässt,
ohne Einzelnem oder Vielem nachzurennen. Hier darf kein Hin
und Her und kein Vielerlei eine Stätte haben. Das gesammelte und
sammelnde Denken, das wir hier im Auge haben müssen, wird ge-
rade nicht an Diesem oder Jenem hängen, noch solches geschäftig
zusammentragen, es wird in der Ruhe und Stille der reinen Öff-
nung in der Gegenwart dessen verweilen, was selbst ruhig und
still, weil einfach, alles umfängt: siehe, es ist, was ist. Dies ist
alles.
Je mehr das Denken diese ausgezeichnete Gestalt gewinnt, der
Gelassenheit und Unbedingtheit, der Selbstbetroffenheit, der Einfalt
und Sammlung, umso mehr wird dieses einfache Geheimnis rein
292 BERNHARD WELTE
Von diesem Punkte aus nun kommt die Transzendenz des Sei-
enden, auf die Thomas hinweist, in einer transzendierenden Be-
wegung des Denkens in Gang dem entgegen, was Thomas das ipsum
esse nennt. Wir suchen diese Bewegung zu verfolgen, indem wir
wiederum auf die ursprünglichen phänomenalen Momente sowohl
der Bewegung, wie auch des in ihr zur Erscheinung Kommenden
so genau wie möglich achten. Diese transzendierende Bewegung,
welche sich an dem, dass ist, was ist, entzündet, hat verschiedene
ursprüngliche Gestalten, unter denen die Verwunderung und die
Frage hervorragen.
Das gesammelte Denken, dem Zuge des von ihm Gedachten
folgend und damit seinem einigen Zuge, es bleibt nicht einfach bei
diesem « es ist, was ist » stehen. Es wird vielmehr vön diesem
selbst, also nicht erst durch eigene und willkürliche Zutat, in Ver-
wunderung und Frage geführt. Und so verwundert sich denn das
Denken von selbst darüber, dass Seiendes ist, und es erhebt sich
in ihm die Frage: was ist nur dies, dass überhaupt etwas ist?
In solchen Bewegungen wird da~ « ist » transzendiert, aber
nicht so, dass es verlassen würde. Im Gegenteil: je tiefer das selbst-
betroffene und gesammelte Denken dessen, dass ist, was ist, sich in
Verwunderung und Frage darüber erhebt, desto entschiedener
l)ER PHILOSOPH. GOTTESBEWEIS UND DIE PHÄNOM. DER RELIGION 293
6 Von hier aus ist leicht die Linie zu ziehen zu dem so oft wiederholten
Gedanken des Heiligen Thomas von der « Zusammengesetztheit » alles abkünf-
tigen Seienden: non est suum esse, es ist in der Differenz.
294 BERNHARD WELTE
und es wird sichtbar als nicht in und aus sich selbst seiend, viel-
mehr schwebend über dem Abgrund des Nicht-Sein-Müssens. In
Frage und Verwunderung bricht eben dies auf, dass das Seiende
nur ist vom Absoluten des Seins selbst her.
Als wie gross und welchen Wesens meldet sich in der Seins-
verwunderung und Seinsfrage dieses Andere, diese Transzendenz,
dieses Maß und dieser Boden schlechthin des Seins und Verste-
hens? Als alles, um(aasend, was ist, und als über alles grenzenlos
hinausgehend, was ist. Was immer ist, ist eben insofern es ist
verwunderlich und fraglich und das Verwundern und Fragen, folgt
es nur seinem eigenen Gesetz und damit dem, von dem es im
Seienden als solchen in Anspruch genommen ist, und wird es also
nicht künstlich abgelenkt oder aufgehalten: es muss sich an jedem
etwa als Seiend Gedachten und ·a:1s Erklärung der Frage Herbeige-
zogenem von neuem entzünden, es muss alle Möglichkeiten des
Seienden ins durchaus Unabsehbare überschreiten und kann bei
keinem Nur-Sei.enden Erklärung finden, bei keinem Nur-Seienden
stehen bleiben, denn ~lies dies bricht als Seiendes immer wieder
neu auf in die Tiefe seines Wunders und seiner Fragwürdigkeit.
Die Verwunderung über dieses, dass Seiendes ist, ist in ihrer rei-
nen, eigenen Dimension unendliche Verwunderung Ünd die Frage
darüber ist' .unendliche Frage. Darin aber wird deutlich, dass Maß
und Boden des Seins und Verstehens des Seienden als Seienden
dieses Seiende selbst unendlich übersteigt. Und doch, o Wunder:
es ist! Die Verwunderung und Frage sinkt transzendierend in den
Abgrund der schlechthinnigen Unendlichkeit, weil ihr das Seiende
als solches ( und also alles Seiende und es selbst mit) im Abgrund
der Unendlichkeit aufgeht.
Wo ist in solchem Denken, Fragen und Sich Wundern der
Ort dieser erscheinenden, absoluten Unendlichkeit? Als wo wei-
lend geht sie in den anfänglichen Bewegungen des Geistes auf?
Der Ort des Aufgehens der Unendlichkeit ist phänomenal zuerst
im Seienden als solchem. Denn dieses selbst wird ja Phänomen als
unendlich wunderbar. Seine Differenz, die in der Verwunderung
phänomenal hervortritt, zum transzendierenden Boden und Grund
des Seins· und Verstehens, s~heidet das Seiende nicht einfach von
dieser Transzendenz. Es ist in seinem Sein selber vielmehr von
deren Geheimnis erfüllt. und durchdrungen und dies wird als das
Innerste und das Sein eigentlich Entscheidende des Seienden als
Seienden sichtbar und tritt in die Phänomenalität. Dieses, dass ist,
was ist, ist selbst und qua tale unendlich wunderbar, erfüllt also
vom unendlichen Geheimnis und weit entfernt davon, in flacher
Äusserlichkeit bloß daneben zu liegen.
DER PHILOSOPH. GOTTESBEWEIS UND DIE PHÄNOM. DER RELIGION 295
bringen kann. Eben das, was ist, und also alles, was ist ( schliess-
lich meiner selbst, meines Denkens und meiner Sprache) weist
in der Verwunderung und Frage über sich hinaus. Wird das Ver-
wunderliche und Fragliche in Gedanken wieder auf ein Seiendes,
das ist, zurückgeführt, so muss angesichts dessen die transzen-
dierende Bewegung als Verwunderung und Frage von neuem auf-
brechen, und es ist kein Ende, kein Halt und kein Boden. Indem
das Seiende als solches in seiner Transzendenz für den Geist sicht-
bar wird, steht es vor einer Tiefe, die über alles blosse « ist >
schlechthin draussen liegt, interior intimo meo, superior summo
meo, um wiederum die Worte Augustins zu gebrauchen. Darin eben
liegt ja die höchste Gewalt der Unen-dlichkeit, die in der ursprüng-
lichen Seinsverwunderung und Seinsfrage aufbricht.
Damit ist aber zugleich gesagt, dass vor dieser unendlichen
Transzendenz das Denken in seiner begreifenden und aussagenden
Form am Ende ist. Die Grundform des Begreifens und Aussagens
ist ja eben das «ist>, und es kann keinen Begriff und keine Aussa-
ge geben, in welcher nicht das « ist > gedacht und gesagt würde.
Aber eben dieses «ist> wird ja in der transzendierenden Seinsver-
wunderung und Seinsfrage überschritten. In solchem Oberschritt
wird also das Unausdenkliche, Unbegreifliche, Unaussprechliche ge-
dacht. Man wird sehen, dass dies eine völlig einzigartige Form
der geistigen Noese bedingt, und zwar aus dem Wesen dessen he-
raus, was sich hier dem Denken als zu denken auferlegt. l).as Den-
ken, diesem Wesen folgend und in Sammlung des Seins gewahr,
muss vollends ins Schweigen treten angesichts des in genauem
Sinne Unaussprechlichen, aber das Denken selbst umfangenden und
betreffenden Geheimnisses, das sich ihm da kündet. Denn was
könnte in tieferem und radikalerem Sinne Schweigen genannt wer-
den als das Schwinden und Hinfälligwerden des lst-Sagens vor der
Grösse dessen, was alles. dies ganz überschreitet? Solches gesam-
meltes Schweigen wil"d, immer dem Wesen des Sich Zeigenden fol-
gend, nichts weniger als leer sein, nichts weniger als eine bloße
Negativität, ein bloßes Nicht-Denken und Nicht-Sagen, es wird im
Gegenteil erfüllt sein vom Höchsten, von dem unaussagbaren Ge-
heimnis, das sich im Grunde dessen, dass Seiendes ·ist, auftut und
es wird gerade in seinem Schweigen bei diesem Höchsten weilen.
Thomas hat diese Seite der Transzendenz des ipsum esse mit
seinem oft wiederholten und sehr genauen Gedanken zum Aus-
druck gebracht, das esse selber und damit Gott falle nicht unter
die Ordnung der Kategorien: non est in aliquo genere. Die Kate-
gorien sind die Grundweisen des Seins des Seienden, die Grund-
weisen des «ist> und eben damit auch die Grundweisen des Ur-
teilens und Aussagens. Was nicht in aliquo genere ist.
DER PHILOSOPH. GOTTESBEWEIS UND DIE PHÄNOM, DER RELIGION 297
Wir haben von hier aus noch einen Blick darauf zu werfen,
inwiefern sich in der angedeuteten geistigen Bewegung die Wirk-
lichkeit des in ihr hervortretenden unendlichen und heiligen Ge-
heimnisses erweist, worin also das eigentlich beweisende Moment
in der demonstratio Deum esse liegt. Denn bis jetzt wurde nur
die geistige Bewegung in ihrem Ansatz und Grundriss nach ihren
phänomenalen Charakteren untersucht, noch nicht aber deren er-
weisendes Moment.
7 Es mag nicht unniltz sein, zu bemerken, dass es sich bei dieser Ueber-
legung - wie auch im folgenden - nicht um eine Beschreibung Gottes c an
sich > handeln kann, •welche eine unmittelbare Gottesschau voraussetzte, die
nicht des irdischen Menschen Sache ist. Was wir hier versuchen, ist, die Weise
so ursprünglich wie möglich zu erfassen, in der uns das Geheimnis Gottes
in unserem Denken und im Aufschwung unseres lebendigen Geistes zur Gegegen-
heit kommt. Dazu gehört keine ontische Unmittelbarkeit, wohl aber eine spe-
zifische geistige Gegebenheit, welche ihre eigene Phänomenalitit hat.
DER PHILOSOPH. GOTTESBEWEIS UND DIE PHÄNOM. DER RELIGION 299
Suchen wir das Ergebnis dieser kurzen und nur Umrisse andeu-
tenden Oberlegung, die nach vielen Seiten der Ergänzung und der
Vervollständigung bedarf, in einigen Sätzen zusammenzufassen. Wir
fragten, von der Fragestellung Husserls ausgehend, nach dem Ver-
hältnis der Gottesbeweise zur religiösen Phänomenalität. Ober die-
ses Verhältnis zeigte sich folgendes :
1) Die Gottesbeweise im Sinne des Heiligen Thomas erweisen
sich im 'Grunde als genaue metaphysische Artikulierungen eines
ursprünglichen, geistigen Vorganges, dessen phänomenales Wesen
von Anfang an religiöser Natur ist, ja, überhaupt den erschliessen-
den Anfang der religiösen Phänomenalität darstellt. Die philoso-
phische Artikulierung weist auf eine religiöse Bewegung ursprüng-
licher Art zurück und beschreibt dieselbe im Horizont metaphy•
sischen Wissens. Die religiöse Phänomenalität liegt also nicht
schlechthin ausserhalb des Beweises, sondern im ermöglichenden
Grund von dessen eigenen Wesen. Dies wird sichtbar, sobald man
das im Beweis Gedachte sich voll entfalten lässt und sorgfältig auf
dessen Phänomenalität blickt.
2) Versteht man den Gottesbeweis also auf den religiösen
Grundvorgang hin, den er in metaphysische Sprache artikuliert,
und nicht nur in der isolierten Gestalt dieser seiner Artikulation,
dann leistet er selbst das wesentliche und entscheidende Stück der
von Husserl und seinen religionsphilosophischen Schülern erho-
benen wissenschaftstheoretischen Forderung für die Theologie: Ur-
sprung und anfängliches Wesen der diese konstituierenden Noesen
und Noemata zu erfassen. Zugleich aber geht er um Entscheidendes
über da"s so Geforderte hinaus: er bringt die erweisliche Wirklichkeit
des göttlichen Du ans Licht und hat so eigentliche Wirklichkeitsbe-
deutung, welche Bedeutung von dem Ernst der wirklichen Phäno-
menalität der Religion unablösbar ist. Ihre Noesen sind entweder
ernste, in denen ein wirklicher Hinblick auf Wirklichkeit geschieht,
oder sie sind überhaupt nicht religiös.
304 BERNHARD WELTE
R. P. ADRIANO A KRI20VLJAN
PllEFETTO DEOLI STUDI
NEL CoLLEGIO INTERNAZIONALE DI RoMA 0. F, M. i("Ap,
realis identitas. Tune propositio: Deus est - fit per se nota quoad
nos. '
Ideo prima conditio in demonstratione exsistentiae Dei est ut
inquiratur verus Dei conceptus et maxime perfectus ab i-ntellectu
humano cogitabilis. Agitur ergo de notione vere scientiftca Dei.
Hac positione initiali Olivi obstat, ut ipse asserit, conatibus
c aliquorum philosophorum et magistrorum et sanctorum solemni-
um et communium > (ibid. p. 518-519), qui a posteriori procedendo
exsistentiam Dei ope caüsae efflcientis demonstrant. Horum etenim
defectus principalis in eo consistit, quod sufflcienter non conside-
rant quid est Deus. Quapropter, uti fit in argumento ex motu, ut ad
Deum vere conducant, c prolongatione >, sicut hodie dicitur, indi-
gent.
Ista adiunctio vel additamentum, de qua etiam nostris tempo-
ribus a peritis modernis plura scripta sunt, secundum Olivi con-
sistit in aliqua perfectione vel (secundum terminologiam olivia-
nam) ratione in summa abstractione a nobis intellecta, quae im-
mediate ad Dei realem exsistentiam conducat: Hunc autem scopum
asserit obtineri, quatenus hac perfectione, certe post intensam me-
taphysicam perscrutationem, acquiritur verus Dei conceptus et ne-
cessitas Dei transcendentis probatur.
lnde sequitur etiam secunda conditio demonstrationis, scilicet:
argumentum quod necessaria deductione Deum exsistere demons-
tret exordium sumat oportet a rationibus perfectis summe abstrac-
tis. Sed Olivi cum argumentum ontologicum S. Anselmi in Proslo-
gion, et quidem repetendo sententiam S. Thomae de Aquino, om-
nino rejecisset, munus non facile habebat, talem viam. reperiendi
qua vitium argumenti ontologici evitaretur et qua ulterius perve-
niretur quam solitis philosophorum argumentis.
Duae viae illi possibiles apparent, quae tarnen inter se intime
cohaerent. Sed analysi viarum relicta, nos tantum leges et princi-
pia proponimus quibus nituntur et quae praeterea metaphysicae
demonstrationis sunt propria.
Prima igitur via procedit per dictas c rationes > in summa abs-
tractione conceptas. Tales rationes sunt imprimis conceptus entis
et proprietates eius transcendentales, uti verum, bonum, unum et
consimilia, quae in summa abstractione et perfectione concepta
quamlibet imperfectionem excludunt, sicut quando dicitur: sum-
mum ens, summum verum, summum bonum ... Per consequens,
Olivi ~rmat, ratio perfecta dicit id « quod est supra omnem per-·
fectionem et universalitatem et abstractionem nobis intelligibilem >
(ibid. p. 527).
Posito igitur conceptu perfectionis absolutae, nunc tota Petri
CONDITIONES DEMONSTRATIONIS METAPHYSICAE EXISTENTIAE DEI 307
gis etiam est per se notum Deum esse. Hie modus proeedendi utique
solummodo de Deo valet, et sie problema de Deo a quolibet alio di-
stinguitur. Quare Olivi eoneludit: « Si etiam veritas istarum ratio-
num non esset aetu in re, tune tarn rationes quam eoneeptus earum
impliearent in se summam eontradictionem > (ibid. p. 5.27).
Ut denique problema veram formam olivianam aequirat unum
faetum adhue eonsideretur. Si ens a se essentialiter dieit exsisten-
tiam aetualem, hoc non signifieat id quod eommuniter dieitur, quod
seilieet in Deo essentia sit ipsum esse, et quidem ipstlm esse subsi-
stens, et quod uti S. Thomas doeet, in e~tibus eontingentibus esse
exsistentiae realiter ab essentia distinguatur. Hoc. utrumque Olivi
negat. Et ideo potius dicendum est quod soli divinae essentiae pro-
prium est ut in sua ratione qua talis essentia ineludat etiam suam
aetualem exsistentiam. Aetualitas divinae essentiae non exigitur ab
essentia uti est esse subsistens, sed potius a sua neeessitate qui-ddi-
tativa, h. e. in quantum est essentia summe perfeeta. Et hac de
eausa Olivi inculcat momentum recti eoneeptus Dei.
Haee sunt prineipia quibus nititur primum argumentum pro
exsistentia Dei. Nune vero breviter de seeundo, quod a posteriori
proeedit.
Huius argumenti prineipia sunt fere eadem ae praeeedentis.
Quid autem in modo proeedendi sit vitandum Aristoteles ipse doeet.
Argumenta enim ab eo desumpta ad exsistentiam Dei demonstran-
dam ideo sunt insuffleientia et ad Deum non ferunt, quia ei veru_s
Dei eoneeptus deerat. Olivi propterea, dum in suo secundo argu-
mento a posteriori et ex ereaturis exsistentiam Dei demonstrare eo-
natur, iterum tamquam suae demonstrationis primam eonditionem
rectum Dei eoneeptum exigit. Propterea etiam demonstrationem
exigit quae, relietis viis indolis physieae, quales ex Averroe mediae-
vales eognoverant, potius ad placita probationis metaphysieae ab
Avicenna propugnata aeeedat, ut possit ex quolibet effeetu, et non
tantum ex hoc vel illo partieulari, immediate et necessario demon-
strare causam simplieiter et totaliter primam exsistere.
In hac re Olivi duo_ praesertim prae oeulis habet: a) naturam ·
metaphysieam argumenti; et b) transcendentiam Dei. Arguinentum
enim quod non probaret exsistentiam Dei tra.nscendentis, non esset
suffleiens. ldeo Olivi imprimis naturam entis contingentis examini
metaphysieo subiieit, ita ut in eo revelentur illa elementa quae
« clamant », h. e. seeundum terminologiam olivianam, quae adhiberi
possunt ad instaurandam demonstrationem metaphysieam exsisten-
tiae eausae simpliciter primae.
Sed nondum hoc suffleit ad naturam demonstrationis definien-
dam. Ne sub finem demonstrationis arguatur illud ex quo probatio a
CONDfflONES DEMONSTRATIONIS METAPHYSICAE EXISTENTIAE DEI -30!1
quarret with the reasoning « that than which nothing greater can
be thought exists 111• He maintains that this major premiss of the
argument is true. He is concerned only with pointing out that it
is not immediately evident' and so has to be proven. After having
developed his own proof, he allows the Anselmian argument to be
'colored' by the pertinent addition of 'dne contradictio-ne' twice in
its f ormulation, and proves the major premiss by the reasoning con-
tained in his own demonstration, namely that absolutely perfect
being is of its nature uncausable 11 •
This view of the Anselmian argument quite evidently excludes
any properly existential characteristic as necessary for the proof
that God exists. lt presupposes a doctrine of being which permits
reasoning from the nature of supremely perfect being, as concei-
vable by man, to the order of actual exi1tence. In the Scotistic
context, therefore, the univocal nature of being, when conceived ac-
cording to the intrinsic mode of inflnity, somehow involves real
existence without requiring the intervention of any originally
existential judgment.
As a matter of fact, Duns Scotus f ormulates the question of
God's existence in terms of infinite being. He asks: « 1s there
among beings anything actually infinite existing? > 18 • Such a for-
mulation might be expected from the characteristic Scotistic doc-
a Praeterea, quo majus nihil eogitari potest, illud esse ... lbid. no. 11,
p. 129. 4.
• ... dieo quod major est falsa quando accipitur • illud esse per se notum
est ', tarnen major vera, non tarnen per se nota ... Op. O:,;. 1, 2, 1..Q, no. 36; II,
146. 7-9.
11 Op. O:,;. I, 2, 1-2, nos. 137..;138; II, 208. 16-210. 11. The reasoning is:
... summe eogitabile non est tantum in intellectu eogitante, quia tune posset
esse, ,quia eogitabile possibile, et non posset esse, quia repugnat rationi eius
esse ab aliqua eausa, _slcut patet prius in secunda eonelusione de via efflcien-
tiae; ... lbid. no. 138; p. _210. 3-7. E. Bettoni, L'Ascesa a Dio in Duns Scoto
(Milan: Vita e Pensiero, 1943), p. 26, remarks: Quel doppio « sine eontradie-
tione > e neeessario, perche fonda e mette in evidenza, la prima volta, la
possibilita di eio ehe si pensa eome Dio; la seeonda, l'impossibilita di eio
ehe si vorrebbe pensare maggiore di Dio. 1
A second way (Op. O:x:. I, 2, 1-2, n. 139; FI, 210. 12-211. 1) of • eoloring'
the Anselmian argument is based on the Scotistic doctrine of eognition. Wbat
exists is a maius cogitabile; for it is a perfectius cognoscibile, because it is
knowable by intuitive and not merely by abstraet intelleetion. Therefore the
most perfect know~ble thing must be knowable by intuitive eognition - it is
an existent, it exists.
In. both 'eolorings •, aetual existenee follows from the supreme perfection
of the real object of thought.
11 ... quaero ... primo, utrum in entibus sit aliquid existens actu inftnitum.
Op. O:x:. I, 2, 1-2, no. 1; II, 1•2o, 6-8.
THE SPECIAL CHARACTERISTIC OF THE SCOTISTIC PROOF THAT GOD EXISTS 313
trine that ' infinite being ' is the most perfect concept of God na-
turally attainable by men in their present state 7 • But does it also
point to ' infinity ' as the operative notion and special characteristic
of the Scotistic proof for the existence of God?
The answer to this question has to be sought in an examina-
tion of the Scotistic proof, first as regards its external structure,
and secondly as regards its probative content.
12 For a study of this question, cf. J. Owens, 'The Reality of the Aristo-
telian Separate Movers ', Review of Metaphysics. III (1960), 319-337; The
Doctrine of Being in the Aristotelian Metaphysics (Toronto: Pontifical Insti-
tute of Mediaeval Studies, 1961), pp. aßt ff. Scotus (Rep. Par. I, 2, 3, 2; ed.
Vives, v. XXII, i>• 69b) interprets the Aristotelian first being as actually infi-
nite. Cf•. also Op. Oz. I, 2, 1-2, no. 120; III, 197. 2-3.
THB SPECIAL CHARACTBRISTIC OF THE SCOTISTIC PROOF TRAT GOD BXISTS 315
There are only two points which Scotus f eels called upon to
defend in the reasoning given in this first stage of the demons-
tration.
One concerns the starting-point. The reasoning, it may be
objected, is based upon contingent things and so is not a demons-
1s Prima autem conclusio ... est ista, quod aliquod effectivum sit simpliciter
primum ... Op. Ox. 1, 2, 1-2, no. 43; II, 151. 4-6.
14 Ibid. no. 43; p. 161. 6-7. The speciftc term used by Scotus is • effec-
tibile '. 'Causabile ', however, is frequently substituted for it In the course
of the argument. 'Causabile' is the quasi-generic term, applicable to the
results of formal, material and final causality as weil as efflcient. Cf.: illud
est ineffectibile, ergo incausabile, quia non est ftnibile, nec materiabile, nec
formablle. tOp. Ox. I, 2, 1-2, no. 67; II, 163. 1-2.
15 Scotus (Op. Ox. I, 2, 1-2, no. 68; II, 164. 12-14) notes that four of the
ftve reasons used in the proof can involve existence. But as he is starting
from the nature of causable things, which as a common nature is indifferent
of itself to being either in the intellect or in reality, he would have no spe-
cial point in either emphasizing or excluding its actual existence,
1s Op. Ox. 11, 2, 1-2, no. 43; II, 161. 7-15o2. 9.
316 JOSEPH OWENS C. SS. R.
tration 11 • Scotus answers that one could argue that a certain truly
contingent nature is the effect of change and so by the nature of
correlatives requires an efficient cause. - This evidently means
that the contingent existence accompanies the nature, but only as
a Dasein; it does not enter the probative force of the argument,
it can be disregarded. - Nevertheless, Scotus continues, in using
the contingent to establish by contrast the necessary, one can take
the proof as dealing with quidditative being or possible being, and
not actual existence (even though later in the third stage of the
demonstration actual existence is to be proven). In this way the
argument proceeds from necessary things 18• - This means that
contingent existence is eliminated from the starting-point of the
proof.
These two answers leave no doubt regarding the essentialist
preoccupation to base the demonstration in the quidditative order.
The first allows the conting~nt existence to be disregarded, the
second eliminates it. This is in. sharp contrast to the procedure
of St Thomas, in which the contingent existence of sensible things
was the starting-point.
The other notion to be defended is the impossibility of an in-
finite series in efflcient causality. An infinite series of essenti.ally
subordinated causes is impossible for flve reasons: 1) The cause
of the totality of essentially subordinated caused things must be
outside that totality. 2) The number of essentially subordinated
causes cannot be infinite. 3) Essential priority presupposes a prin-
ciple which is first. 4) The increasing perfection of causes in a
proposed infinite series would imply a cause of infinite causal
19 Op. Ox. I, 2, 1-2, no. 53; II, 157. 6-159. 6. The last two reasons are:
Turn quarto, quia superior causa est perfectior in causando, ex secunda diffe-
rentia; ergo in infinitum superior est in infinitum perfectior, et ita infinitae
perfectionis in causando, et per consequens non causans in virtute alterius,
quia quaelibet talis est imperfecte causans, quia est dependens in causando
ab alia. - Tum quinto, quia effectivum nullam imperfectionem ponit neces-
sario; ergo potest esse in aliquo sine imperfectione. Sed si nulla causa est
sine dependentia ad aliquid prius, in nullo est sine imperfectione. Ergo effec-
tibilitas independens potest inesse alicui naturae, et illa simpliciter est prima;
ergo effectibilitas simpliciter prima est possibilis. Hoc sufflcit, quia inferius
ex hoc concluditur quia tale efflciens primum, si est possibile, est in re.
lbid., p. 158. 3 sqq.
20 Aliae autem probationes ipsius a possunt tractari de exsistentia quam
proponit haec tertia conclusio, et sunt de contingentibus, tamen manifestis; vel
accipiantur a de natura et quiditate et possibilitate, et sunt ex necessariis.
Op. Ox. !J, 2; 1-2, no. 58; II, 164. 12-15. On the first alternative, cf.: Uno modo
sumendo pro antecedente propositionem contingentem de inesse, quae nota est
sensui, scilicet quod aliquid sit productum in actu. quod notum est sensui,
quia aliquid est mutatum, quod nec negaret Heraclitus, et sie ex veris evi-
dentibus, non tarnen necessariis, sequitur conclusio. Rep. Par. I, 2, 2, no. 7; ed.
-Vives, v. XXII, pp. 65-66.
Whatever may be said about the proof When taken as proceeding from
contingent existence, it is certainly not the characteristic proof of Duns Scotus,
with which the present study is concerned; - la sua dimostrazione di Dio
e quella ehe parte dalla possibilita. E. Bettoni, L' Ascesa a Dio in Duns
Scoto, p. 59.
318 JOSEPH OWBNS C. SS. R.
no other cause, for then it would exist by virtue of that cause and
not of itself. So it would have to be produced by itself as non-
existent. But what is non-existent cannot produce anything what-
soever. If it does not exist, then, the first cause cannot exist. Yet
it can exist, as has already been established. Moreover, even if
as non-existent it could produce itself, it would then be causing
itself and so would no longer be absolutely uncausable. Accord-
ingly, if the first cause is a nature which can exist of itself - and
that has been proven on the basis of quiddity and possibility -
it does exist in actual reality.
There is not the least doubt about this way of concluding to
actual existence. The text is crystal clear. The nature and pos-
sibility of a first cause have been established on the basis of the
nature and quiddity and possibility of manifest things; and this
possibility of the first cause proves that its nature actually exists 21 •
Scotus continues to press home the same point in two other
ways. The existence of the first cause is shown by the conside-
ration that it would not be fitting for the universe to lack the
supreme possible degree of being 28 • Moreover, the existence of the
first efflcient cause follows from its character of ' first '; this means
_that it is uncausable, and since it is not contradictory to entity
(i. e., it is possible), as shown in the initial stage of the demon-
stration, it can exist of itself and so does exist of itself 211 • The
common characteristic in these three ways of expressing the argu-
ment is that actual existence follows from possibility.
Scotus then proceeds to establish the existence of an absolutely
final cause and an absolutely supreme nature, using, as he repeat-
edly insists, the same or similar arguments. He shows that the
second stage in each case concludes that such a nature is uncausable
efficiently, and so allows the third stage to conclude to actual exist-
ence in the manner just shown 30 •
121 E. Gilson, Jean Duns Scot (Paris: Vrin, 1952), pp. 142-143, notes
that this reasoning makes the actual existence of God the source of His
possibility. Nevertheless, as far as the demonstration is concerned, « il est
vrai que l'existence du Premier soit atteinte au moyen de l'essence , ... > Op. cit.
p. 148.
2s Illud ultimum, scilicet de exsistentia primi effectivi, aliter declaratur,
qui inconveniens est universo deesse supremum gradum possibilem in essendo.
Op. IOx. 1, 2, 1-2, no. 68; II, 166. 3-6.
20 ... sie in quantum primum exsistit. Probatur ut praecedens; nam in ratio-
ne talis primi maxime includitur incausabile, probatur ex secunda; ergo si
potest esse (quia non contradicit entitati, ut probatur ex prima), sequitur
quod potest esse a se, et ita est a se. lbid. no. 69; p. 165. 9-13.
30 lbid. DOS. 60-67; PP• 166. 14-168. 11.
320 JOSEPH OWENS C. SS. B.
Even with the three-fold primacy located in one and the same
being, however, the identity of this being with the Christian God
is, in accordance with Aristotelian background of the reasoning,
not yet apparent. The fifth stage of the demonstration proves that
such a being is infinite. This is done in four ways.
The first way is through the nature of its efflcent causality.
( Although the infinite causal perfection of the flrst efflcient cause
a1 Cf. aupra, n. 30. Likewise, the flfth reason in the flrst stage of the de„
monstration was: ... effectivum nullam imperfectionem ponit necessarlo; text
aupra, n. 19. Cf. also: Sed sunt aliae primltates, quae non dicunt imperfectio-
nem, ut primitas eminentiae et independentiae triplicis, puta duplicis causa-
litatis, effectiva et flnalis •.., Rep. Par. l, 2, 2, no. 3; ed. Vives, v. XXII, p.. 64a.
sz Op. O:x:. l, 2, 1-2, nos. 68-73; N, 168. 12-173. 18.
THE SPECIAL CHARACTERISTIC OF THE SCOTISTIC PROOF THAT GOD EXISTS 321
,2 ltem sie suadetur: inflnitum suo modo non repugnat quantitati, id est
In accipiendo partem post partem; ergo nec Infinitum suo modo repugnat en-
titatl, id est in perfeetione simul essendo.
ltem, si quantitas virtutis est simplieiter perfectior quam quantitas molls,
quare erit Infinitum possibile in mole et non in virtute? Quod si est pos-
sibile, est in aetu, sieut ex tertia eonelusione patet, supra, de primitate eft'ee-
tiva, et etiam inferius probabitur. Ibid. nos. 134-135; p. 208. 1-7.
,a Cf.: Si autem intelllgatur absolute summum, hoc est, quod ex natur11
rei non possit exeedi, perfeetio llla expressius eoneipitur in ratione in/initi
entis; non enlm summum bonum indieat in se utrum sit finitum vel infinitum.
Op. 0-1:. 1, 3, 1-2, 4, no. 17; ed. Quaracchi, I, 314 (no. 348e). lt is in thb
baekground that the remark of E. Bettoni is to be understood: E' chiaro perö
ehe gia (i. e. at the third stage) a questo punto l'essere trascendente e rag-
giunto: il balzo fondamentale dal flnito all'inflnito, dall'essere diveniente
all'Essere indiveniente e gia eompiuto. E la vera prova dell'esistenza di Dio
sta qui. L' Ascesa a Dio in Duns Scoto, p. 56.
THE .SPECIAL CHAIIACTERISTIC OP THE SCO'J'ISTIC PROOP THAT GOD EXISTS 323
But ' inftnity ' in regard to God has for Scotus a two-fold sense.
In one sense it. is naturally knowable to man, but as the basis for
the immediacy of the divine omnipotence and for the Trinity it is
known only by revelation.
To what extent, then, does the application of the univocally
eommon notion ' infinity ' identify with God the result of the Scot-
istic demonstration? Certainly it does not express the intrinsic
eonstituent of the divine nature as treated in theology, namely that
nature as haec, nature of itself individual. The whole coneeptual
eontent of ' infinite being ', as conceived by man in bis present
state, is universal in character and univocal to creatures. lt is
a combination of univocal and universal concepts which in exten-
sion is limited to God and is in this way proper to Hirn. But it
does not exhibit any simple nature which is proper to God. lt is
identifted with Him only per accidens. Of itself it does not show
that identity - Aristotle, rather, would be led to deny in it the
infinity even of power that is proper to the God of revelation. The
Christian theologian, however, can see in it a notion to wh.ich all
theological truths can be referred, even though it does not contain
those truths within itself. He can use it as a substitute for the
primary notion in theology, and in this way he sees that it is
identifted with · God in the sense that it can apply to no other
being than 'God '"· Thal is sufflcient for Duns Scotus' purpose in
the commentary on the Sentences.
'" For a textual study of this problem, cf. J. Owens, • Up to Wbat Point
is God Included in the Metaphysics of Dons Scotus ', Mediaeval Studies, X (Til48),
163-177. The main points may be seen illustrated in the following texts: Sie
etiam de ente inftnito, quamvis enim uterque conceptus simpliciter simplex sit
communior conceptu Dei, conveniens univoce Deo et creaturls, tamen post
determinationem uterque conceptus particularisatur, et fit conceptus proprius
Deo, sie quod solum illi convenit. Rep. Par. I, 3, 2, no. 10; ed. Vives, v. X~II.
32-1 JOSEPH OWBNS C. SS. R.
present state, that concept is not seen to extend beyond sensible quiddity and
its derivatives. But through revelation the theologian knows G.od and knows
that the human intellect is of its nature meant to include God in its primary
object. He knows that God is the flrst being, etc., and so he sees that bis com-
mon and univocal concepts of 'flrst being ', etc., apply only to God even though
tbey do not express the divine nature. lln this w.ay only is he able to know
God through naturally formed concepts, and in this way he can apply those
concepts to God in their full univocal nature. Hence in this case there can
be community of concepts without a corresponding community of nature.
416 S T I, 3, 4, ad 2. The rest of the Tomistic procedure in treating the di-
vine natµre - quid non sit (S T I, 3, preamble) - is entirely by way of negation.
47 Nec possunt dicere quod esse angeli flnitet essentiam ejus, quia se-
cundum eos est accidens essentiae, et posterius naturaliter; .•. Op. Ox. • 1, 2,
1-2, no. 141; II, 211. 8-10. Similarly: ... esse est quid posterius essentiae; ...
Rep. Par. I, 2, 3, no. 3; ed. Vives, v. XXII, p. 70a.
418 On this point, cf. H. Bergson, 'Introduction a la Metaphysique ', Revue
de Metaphysique et de Morale, XI (1903), .2'7; E. Gilson, Le Thomisme (5e ed.,
Paris: Vrin, 1944), pp. 60-61.
326 JOSEPH OWBNS C, SS, R,
that first object, being as being. Knowing in its initial act the
full univocal nature of being, it has nothing more in this regard
to attain in any further act. To look for such special significance
in the second act, that of judgment, would be nugatory. In such
a doctrin.e the judgment may state a mode of being as a Dasein,
but lt can add nothing whatsoever in the nature of being as such.
Premessa.
La parola inquietudine, in questa dissertazione, non vuol ave-
re altro significato ehe quello di S. Agostino contenuto nel celebre
adagio, motivo musicale dello spirito agostiniano, anima della sua
filosofia, posto, quasi epigraficamente, in capo ai libri delle Con-
fessioni: f ecisti nos ad te et inquietum est cor n,ostr.um donec re-
quiescat in tel (Conf. I, c. 1.). II sapere filosofico agostiniano e es-
senzialmente appassionata ricerca di Dio, ansia di volerlo piu per-
fettamente conoscere, amare, possedere. Vi e forse un agostinismo
eterno presente in ogni autentica prova razionale di Dio, e, piu par-
ticolarmente, nelle prove tomiste? Ecco l'interrogativo ehe non pre-
tendiamo di risolvere ma soltanto di avviare verso una risposta.
Una risposta a tale problema, per essere esauriente, esigerebbe un
impegno assai piu vasto di quello ehe e consentito dall'indole di
questo studio. Molte, e tutte attuali e interessanti, sono Ie questio-
ni implicate nel problema anzidetto.
Vi e implicata anzitutto la questione, molto dibattuta fra gli
Scolastici in generale, e fra i tomisti in particolare, del valore pro-
bativo dei cosi detti argomenti « psicologici ». Fra gli stessi tomisti
vi e infatti chi ne ammette e sostiene il valore, p. es. il P. Arnou,
nella sua The,ologw Naturalis; vi e invece chi li nega con accani-
mento degno di miglior causa. Fra questi, quale esempio tipico, ri-
cordiamo il nome di un tomista insigne, il cui valore e al di sopra
di ogni discussione: il P. G. M. Manser. II suo lavoro Das Wesen
des Thomismus, e senza dubbio una delle piu forti opere della re-
cente filosofia tomista. E' troppo importante ed urgente, atteso Io
attuale clima filosofico, dare una risposta possibilmente decisiva a
questo problema.
Vi e implicata inoltre la questione: se, e quale connessione vi
sia, fra gli argomenti ehe partono dal mondo sensibile esterno e
330 LUIGI BOGLIOLO S, D, B,
L'INQUIET1JDINE INTELLETTUALE
sta dell' Assoluto. Questo fatto non e altro ehe la traduzione del prin-
cipio espresso da S. Tommaso cognoscens in actu est cognitum in
actu ehe puo invertirsi dieendo cognitum in actu est cog,noscens in
actu. L'atto del eonoseere realizza un'identifieazione fra soggetto e
oggetto, fra mondo esterno sensibile e mondo spirituale, fra ontolo-
gia e psieologia. Eeeo dove gli argomenti eosmologici e gli argo-
menti psieologici si saldano insieme, dove gli uni implieano gli altri,
gli uni sono immanenti negii altri. Non e possibile, su queste basi
gnoseologiehe e psieologiehe, ehe la finitezza delle eose ehe ci at-
torniano non si tramuti in angoseia spirituale, ehe e l'inquietudine
dell'intelletto ehe non si plaea finehe non abbia seoperta la sufficien-
za di ogni finitezza, nella seoperta di Dio. Quando l'intelligenza eer-
ea la giustifieazione del finito, nelle prove tradizionali, « ex rebus
sensibilibus », non vi e soltanto passaggio dal sensibile finito all'In-
finito, ma, simultaneamente, passaggio da un'inquietudine intellet-
tuale a un ripe>so spirituale. E' vero; in questo easo lo spirito foea-
lizza la sua attenzione sulla finitezza di cio ehe gli e esterno, senza
riflettere ehe nel medesimo istante in eui eonosee la realta estema,
questa e gia_ divenuta interna, senza badare ehe l'invoeazione della
finitezza ontologiea e simultanea, sebbene implicita, all'invoeazione
dell'inquietudine psieologiea. Ne oeeorre drammatizzare irraziona-
listieamente questo fatto, poiche I'inquietudine psieologica, fino a
questo momento, s'identifiea eon l'indagine ansiosa, ma non dram-
matiea, dell'intelletto rieereante. E' un'inquietudine ehe S. Tom-
maso tradurrebbe semplieemente eon la parola inquisitio. Va da se
ehe, trattandosi di una rieerea umana, non e possibile un'ansia del-
l'intelletto ehe non si rifletta su tutto l'uomo e divenga inquietudine
del euore e della volonta. Come si puo mettere l'aeeento sull'insuf-
fieienza del finito sensibile per affermare la neeessita di aseendere
all' Assoluto, eosi si puo aeeentuare l'inquietudine dello spirito per
giungere al Sommo vero, raggiunto il quale lo spirito riposa. Ognuno
dei segni della finitezza: il divenire, l'efficienza subordinata, la eon-
tingenza, la menomazione o imperfezione dell'essere, l'ordine del-
ta natura, dai quali prendono l'avvio le cinque vie tomiste, ed ogni
altro aspetto del finito crea la spinta inquirente dell'intelletto, l'in-
quietudine intellettuale ehe spinge irresistibilmente lo spirito umano
oltre tutto cio ehe e finito. Ognuno degli argomenti ehe partono
dalla finitezza sensibile del reale eela la spinta psieologiea della
mente verso il Sommo Vero, ognuno di questi argomenti eela l'ar-
gomento psicologieo della naturale tendenza dell'intelletto verso lo
Infinito. S. Tommaso, partendo dal fatto ehe l'intelletto puo sempre
pensare una quantita maggiore di qualsiasi data quantita finita, eo-
struisce un argomento psicologico via intellectus, ehe esprime mol-
33' LUIGI BOGLIOLO S, D, B,
cuore rimane angoscia priva di vera f elicita, finehe non riposi nel
Sommo Bene.
Nella posizione toll\ista prende signifieato ogni possibile dimo-
strazione dell'esistenza di Dio. Fuori di questa visuale, quando il
euore, il sentimento, la volonta prendono il sopravvento sull'intelli-
genza, viene distrutta, in radiee, la stessa possibilita di un'auten-
tiea dimostrazione umana dell'esistenza di Dio.
L'INQUIETUDINE COSMICA
R. P. REN~ A.RNOU S. I.
DBCANO DBLLA FACOLTA FILOSOFICA NBLLA PoNT. UNIVBRSITA. GRBOORIANA
Dli:SINTli:RESSEMENT ET TRANSCENDANCE
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