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Avvertenza: Riporto il mio saggio pubblicato nel volume a cura di Paolo Speranza.

Lalba della nazione. Risorgimento e brigantaggio nel cinema italiano, Edizioni


Quaderni di CinemaSud, Avellino, 2016, alle pp. 170-176.
Nelle parentesi quadre, in neretto nel corpo del testo, indicata la numerazione
originale delle pagine cos come nel libro cartaceo.
IL RISORGIMENTO MANCATO
DI MARIO MARTONE

di Antonella Brancaccio

[170] Stando alle dichiarazioni di Mario Martone, lincontro con Noi credevamo di
Anna Banti pare sia avvenuto non direttamente, ma in forma mediata, leggendo
Pianura proibita, una raccolta di saggi di Cesare Garboli. Cos il critico di
Viareggio parlava della scrittrice fiorentina e del suo romanzo sul Risorgimento:
Una storia tetra, di un grigio plumbeo pi che sulfureo, che permetteva alla Banti
di combinare un po tutto, il suo istinto di ribellione, il gusto del romanzo storico,
il vecchio e mai tramontato realismo anni Cinquanta, e la sua intima fedelt a dei
valori famigliari. [] Era la storia, forse inconsapevole, di una malattia e di un
delirio []1.
Non saprei spiegare perch, ma gi dalle sue parole istintivamente compresi che
il libro di Anna Banti conteneva qualcosa di interessante2. Martone non cita
esplicitamente il punto esatto dello scritto di Garboli, ma molto probabile che
siano state proprio le osservazioni che abbiamo isolato a spingere il regista alla
lettura del romanzo. E se egli ne ha mantenuto il titolo per il suo quinto
lungometraggio, Noi credevamo (2010) appunto, non per questo ha voluto trarre da
esso un soggetto da trasporre sul grande schermo3. chiaro, quindi, come non si
possa parlare di adattamento: il romanzo contamina il film in pi momenti e
soprattutto offre suggestioni sia sul piano del contenuto che su quello della forma.
Oltre al personaggio di Domenico, che il filo conduttore dellintero film4, ci
sembra che ci che avvicini lopera letteraria a quella cinematografica sia da
ricercarsi nella comunanza della struttura narrativa. La Banti, in linea con i
procedimenti della falsa autobiografia novecentesca, opta per una narrazione
frammentata e, allo stesso modo, Martone, fedele a quello stile spezzato che fin da
Morte di un matematico napoletano (1991) stato uno dei tratti pi evidenti della
sua pratica di regia, sceglie di raccontare la storia in maniera irregolare con
frequenti salti. Dopo un incipit, che ha valore di prologo, il film si organizza in
1
C. Garboli, Anna Banti e il tempo, in Id., Pianura proibita, Adelphi, Milano, 2002, pp. 88-89.
2
M. Martone, G. De Cataldo, Noi credevamo, Bompiani, Milano, 2010, p. IX.
3
Per quanto mi avesse colpito molto, non ho mai pensato di mettere in scena il romanzo, ne ho piuttosto
voluto trarre degli elementi importanti, in ibid.
4
La narrazione di Noi credevamo di Anna Banti interamente affidata alla penna di Domenico Lopresti,
repubblicano calabrese affiliatosi giovanissimo alla setta meridionale dei Figlioli della Giovine Italia,
che ricorda con rabbia e amarezza i trascorsi del suo passato da cospiratore: le atrocit subite durante la
detenzione in varie carceri borboniche (tra cui quella nel penitenziario irpino di Montefusco), la rivolta
fallita in Aspromonte per liberare Roma con Garibaldi, limpiego presso le dogane del novello Regno
dItalia a Torino. Il racconto della prigionia a Montefusco e dei fatti dAspromonte costituiranno, come
vedremo pi avanti, la materia del secondo e del quarto episodio del film.
quattro episodi indipendenti, di varia durata, annunciati di volta in volta da titoli in
sovraimpressione. Nellordine: 1. Le scelte; 2. Domenico; 3. Angelo; 4. Lalba
della nazione. [171] Anche allinterno del romanzo c una scansione analoga:
cinque parti, attraverso le quali, con continui passaggi temporali e spaziali, Anna
Banti segue il percorso di formazione di Domenico che ormai vecchio e malato
rievoca le vicende del suo passato rivoluzionario.
Al di l del fatto di coprire un arco temporale molto vasto, il romanzo e il film
condividono la medesima attenzione per i faits divers, vale a dire per quelle storie
dimenticate o considerate marginali dal grande pubblico. E Martone non ne ha
fatto mistero: Noi credevamo una pellicola che nasce dal bisogno di voler
contrastare un diffuso atteggiamento di rimozione storica da parte degli italiani nei
confronti della propria storia patria5.
Non resta, a questo punto, che partire proprio dal film e ripercorrerne brevemente il
tortuoso andamento narrativo.
Prologo. 1828. Cilento, Regno delle due Sicilie. Il film si apre su alcuni soldati
borbonici che, dopo lincendio di alcune casupole, catturano i leggendari banditi
Capozzoli, accusati di aver aizzato la popolazione a ribellarsi contro il regime.
Come si usava fare con i briganti, dopo la decapitazione, i soldati borbonici
infilzano le teste degli uccisi su un palo, esponendole nella piazza del paese,
affinch quella fine sia di monito per tutti. Al cruento spettacolo assistono tre
giovani: Angelo, Domenico e Salvatore. Una breve sequenza mostra le loro diverse
origini; mentre Angelo e Domenico appartengono alla piccola nobilt fondiaria,
Salvatore proviene da una famiglia contadina.
1. Le scelte. La vicenda dei Capozzoli, ingiustamente massacrati per essersi fatti
paladini della libert, determina nei tre ragazzi il proposito di affiliarsi alla Giovine
Italia. Il momento del giuramento spogliato da qualunque traccia di realismo. In
tal modo lo spettatore si sente chiamato a partecipare. Su uno sfondo nero,
vediamo, in primo piano, i visi dei tre giovani che, guardando in macchina,
pronunciano la formula di adesione alla setta6. Con uno stacco netto, lazione si
sposta a Parigi, nel salotto della nobildonna Cristina di Belgiojoso, dove ritroviamo
Angelo e Domenico, i quali, confidando nella generosit della donna, sperano di
ottenere da lei del danaro per organizzare una spedizione fomentata da Mazzini.
Cristina, impossibilitata a finanziare limpresa perch perseguitata dal governatore
austriaco, esprime incredulit nei confronti di una rivoluzione da cui il popolo

5
Cfr. Ivi, p. VIII.
6
La rottura della finzione, con conseguente coinvolgimento critico dello spettatore ottenuta, nel corso
del film, mediante linserimento di elementi architettonici moderni, in evidente conflitto con lepoca
storica rappresentata. Laffiancamento simultaneo di passato e presente un modo per mostrare nel tempo
lincompiutezza del processo risorgimentale. Non si tratta, quindi, di sviste, n tantomeno di trovate
bizzarre, ma di scelte consapevoli riconducibili ad un preciso intento politico dellautore.
escluso. Si passa poi a Torino, dove Salvatore, che l ha trasferito moglie e lavoro,
[172] riceve la visita di due confratelli mazziniani: uno di loro Antonio Gallenga,
detto Procida, il cui intento attentare alla vita di Carlo Alberto di Savoia.
Salvatore, considerato insospettabile, viene inviato a Ginevra da Mazzini per
recuperare il pugnale necessario allassassinio. Le parole di estrema fiducia
pronunciate da Mazzini nei confronti della saldezza danimo di Gallenga ( uno
di quegli esseri le cui determinazioni stanno tra la coscienza e Dio e che la
Provvidenza caccia sulla Terra per insegnare ai despoti che il termine della loro
potenza sta nelle mani di un solo uomo) saranno poi smentite dal comportamento
di questo che, di fatto, si rifiuter di compiere lattentato per codardia o per un
sopraggiunto senso di scetticismo nei confronti della rivoluzione. Nel frattempo
falliscono anche i moti in Savoia del 1834. Angelo, che vi ha preso parte, inizia a
manifestare i primi segni di squilibrio a causa delle delusioni subite. In Cilento,
durante i festeggiamenti per il battesimo di Saverio, il figlio di Salvatore, Angelo
d in escandescenza. La notte stessa, successivamente ad un alterco, Angelo,
convinto che Salvatore sia un traditore, lo pugnala a morte. Lunico a sapere
dellignominioso omicidio Domenico, il quale, da unaltura, osserva dolente il
funerale dellamico, mentre la voce fuori campo di Mazzini invita a non desistere
dalla lotta7.
2. Domenico. Unaltra voce over collega questepisodio al precedente: quella di
Domenico che legge il contenuto di una sua lettera alla Belgiojoso. Lespediente
adottato ci informa che sono passati diversi anni e che, in seguito a numerosi
tentativi insurrezionali, Domenico stato arrestato e imprigionato.
Quasi a fare da contraltare alla mobilit spaziale del precedente, questepisodio si
ambienta in unico luogo: il carcere borbonico di Montefusco, soprannominato lo
Spielberg dellIrpinia, poich rappresent per i patrioti del Regno di Napoli quello
che fu la prigione austriaca tristemente ricordata da Silvio Pellico nelle sue
Prigioni per i patrioti del Lombardo Veneto. Qui Domenico fa la conoscenza del
saggio e temperato8 duca Sigismondo di Castromediano e dellanziano Carlo
Poerio.
lepisodio che ricava maggior suggestione dal romanzo della Banti, soprattutto
per quanto riguarda il disegno del personaggio di Castromediano. E livre de chevet
della scrittrice e del regista sono state le memorie di questo nobile salentino,
Carceri e galere politiche, in cui la parte pi commovente costituita proprio dal
racconto delle pene scontate nei vari inferni concentrazionari [173] del Regno delle
7
Le gran parte delle battute di Mazzini desunta fedelmente dai suoi scritti, cos come molti dialoghi
della Belgiojoso provengono integralmente dal suo epistolario. Luso di materiali linguistici grezzi, non
sottoposti ad alcuna modifica formale, si spiega con il proposito espresso dal regista di voler realizzare un
film dimpianto rosselliniano (Cfr. Ivi, p. XIX-XX).
8
A. Banti, Noi credevamo, Bompiani, Milano, 2010, p. 110.
Due Sicilie, in primis a Montefusco. Avvicinare Domenico a personaggi come
quelli di Castromediano e di Poerio un modo per mostrare le due anime del
Risorgimento: i repubblicani e i monarchici. Allirriducibilit democratica di
Domenico si oppone la fede monarchica dei nobili moderati, fermi nel sostenere
che lUnit dItalia debba realizzarsi sotto legida dei Savoia. Questantitesi si
esprime anche nelle soluzioni luministiche adottate da Martone per filmare i
conciliaboli notturni allinterno del carcere: sembra quasi che la luce delle fiaccole,
scontrandosi con il buio delle celle, acuisca la disparit dei diversi orientamenti
politici9. Il contrasto chiaroscurale allude sottilmente alle luci e alle ombre della
stessa storia risorgimentale che, secondo le dichiarazioni del regista napoletano,
non stata sufficientemente raccontata.
Laltro motivo caratterizzante dellepisodio quello della grazia. Allinterno del
penitenziario si diffonde una voce secondo la quale re Ferdinando di Borbone, nel
giorno dellAssunta, liberer i prigionieri disposti a chiedere la grazia. La notizia
accresce il senso di reciproco sospetto fra i reclusi. Sigismondo viene liberato e i
compagni non esitano a trarre illazioni sul suo conto. Lunico ad assisterlo, durante
una travagliatissima notte, Domenico. Il ritorno di Castromediano a Montefusco
smentisce i sospetti precedentemente avanzati. Dai giornali che egli riuscito ad
introdurre furtivamente nella galera, riusciamo a capire che si sta per preparare la
guerra di Crimea. Mentre i moderati auspicano la vittoria dellItalia, Domenico,
che ha appena ricevuto la Revue Des Deux Mondes con uno scritto dellamica
Cristina, resta bloccato in uno stato di alienante inazione.
3. Angelo. lepisodio dai toni pi freddi e lividi. Lazione si svolge tra Parigi e
Londra, dove Angelo si trova in esilio da tempo. La rappresentazione delle due
citt stilizzata: poche sono le scene in esterni e gli avvenimenti si sviluppano
principalmente in interni ricostruiti. Questa teatralit conferisce alla tranche una
senso di claustrofobia. Latmosfera lugubre e minacciosa; il testo di riferimento
, in questo caso, I demoni di Dostoevskij. Ed proprio sul romanzo del moscovita
che modellato il carattere scomposto e mefistofelico di Angelo, su cui grava il
peso di unatavica colpa e uninquietudine funesta che lo porta verso unastratta e
assoluta idea di libert10. Egli, infatti, deluso dalloperato di Mazzini, si sposta

9
A sostegno di quanto detto, si leggano le seguenti dichiarazioni del regista: [] tra le scene
archetipiche che ho avuto in mente per anni, cera questa visione dei detenuti nel buio della notte, alla
luce dei fuochi, con le coperte addosso come degli apostoli, che ragionano sul futuro dellItalia
(Martone, De Cataldo, Noi credevamo, p. XXVII).
10
Un altro non trascurabile repertorio di spunti e situazioni per il film stato Il passato e i pensieri,
ovvero i diari di Aleksandr Herzen, pensatore russo avversario dellautoritarismo zarista, che prese parte
ai moti italiani del 1848, entrando in contatto con le pi note personalit italiane del Risorgimento e
lasciando testimonianza di quegli incontri nei suoi taccuini. La corale sequenza, presente in
questepisodio, del capezzale del matre penser polacco Worcell stata costruita con un occhio ai diari
di Herzen e laltro a I demoni. Questa sequenza serve anche a mostrare la metamorfosi reazionaria di
verso lala violenta del patriottismo incarnata dallideologo francese Simon
Bernard e [174] dallimpetuoso e cinico rivoluzionario romagnolo Felice Orsini, la
cui figura di leader rimpiazza quella di un Mazzini oppiomane, passivo, chiuso nel
silenzio della sua casa londinese e soffocato dalle opprimenti cure di Emilie
Ashurst. Dopo la mancata risposta di Cavour, a cui ha inviato una lettera
dichiarandosi a disposizione del Piemonte, Orsini decide di progettare un attentato
a Napoleone III nella sera in cui questo si recher in carrozza allOpra di Parigi11.
Si mettono a punto degli ordigni, pronti ad esplodere al primo urto. Al meditato
delitto partecipa anche Angelo. lennesimo fiasco: Angelo viene scoperto da un
gendarme in borghese che casualmente lo riconosce; Orsini e gli altri complici, dal
canto loro, falliscono il bersaglio, compiendo involontariamente una strage di civili
innocenti. Sotto tortura Angelo rivela lindirizzo presso cui risiedono i suoi
compagni. Processati e giudicati colpevoli, Angelo e Orsini vengono portati sul
patibolo e ghigliottinati. Dallalto di un tetto, come da un loggione, Domenico
assiste impotente alla decapitazione dellamico, rivolgendogli un ultimo doloroso
saluto. Lo spettacolo macabro della decapitazione ricorda la conclusione del
prologo, con le teste mozzate dei Capozzoli; a Domenico affidato nuovamente il
mesto ruolo di spettatore della morte di un amico.
4. Lalba della nazione. Stavolta la voce sofferente dellanziana Cristina di
Belgiojoso a fare da raccordo tra i due episodi. Leggendo unepistola indirizzata a
Domenico, Cristina ci informa che siamo nel 1862; lunificazione si
faticosamente realizzata, ma mancano ancora Roma e Venezia. Domenico ritorna
in Cilento e l prende atto delle condizioni di miseria in cui versano il fratello
sacerdote e la madre: a causa della sua attivit cospiratoria, il regime borbonico ha
confiscato alla famiglia tutti i beni.
Durante una sosta in una locanda cilentana, Domenico simbatte in Saverio, il
figlio di Salvatore, ora adulto, il quale, sulle orme del padre, ha sposato la causa
patriottica. I due partono alla volta della costa calabra e l si uniscono alle camicie
rosse garibaldine che attendono larrivo del Generale per marciare verso Roma.

Gallenga, che riappare proprio in questoccasione nelle vesti di un cronista di nome Mariotti, venendo
immediatamente riconosciuto e allontanato per il suo giovanile tradimento della causa mazziniana.
11
Presenza fondamentale dellepisodio poi quella di Francesco Crispi, fedele mazziniano e nello stesso
tempo simpatizzante delle nuove tendenze estremiste. Lo incontriamo allinizio dellepisodio, intento a
vagliare un piano per minare la cattedrale di Ntre-Dame nel giorno del battesimo del figlio di Napoleone
III. Neanche questo progetto, pericoloso e poco convincente, si realizzer mai. Lambiguit di Crispi
espressa soprattutto nel suo presunto (e mai accertato) coinvolgimento nellattentato dellOpra. Per
rimarcare la doppiezza del personaggio, Martone inserisce una scena in cui si vede Orsini consegnare una
bomba ad un uomo misterioso che sembra essere proprio Crispi. Nella scena, girata in un garage
illuminato da una luce al neon, la figura dello pseudo-Crispi inquadrata in modo tale che la sbarra di un
cancello ne nasconda il volto (Lho fatto, ha detto Martone, pensando alle fascette omissis apposte
dai servizi segreti sui nomi secretati nei testi che vengono resi pubblici, in ivi, p. XXXVI). La complicit
di Crispi allattentato svelata da una rapida ed enigmatica scena posta alla fine di questo blocco
narrativo in cui si vede lex-cospiratore mostrare il famigerato ordigno ad alcuni uomini.
Durante la risalita della penisola, le truppe piemontesi assaltano e uccidono molti
volontari, mettendo tragicamente fine allimpresa. Scampati al fuoco, Domenico e
Saverio, dispersi tra i boschi dellAspromonte insieme ad altri compagni, riescono
a trarsi in salvo solo per poco: in un agguato finiscono anche loro nelle mani dei
piemontesi. La pena inflitta ai disertori dellesercito regolare la fucilazione. Si
scelgono tre [175] prigionieri e tra questi c anche Saverio. Si ripete la condanna
di Domenico: persino la sua invocazione di morire assieme ai compagni non trova
seguito.
Accompagnato dalla sua stessa voce fuori campo, recitante le parole di una missiva
a Castromediano, Domenico si accinge a salire le scale di un sontuoso palazzo. il
parlamento di Torino, ma vuoto. Come avvolta da un velo che ne offusca i
connotati, dinanzi agli occhi di Domenico si materializza la sagoma dellex-
repubblicano Francesco Crispi, pronunciante un roboante discorso filomonarchico
che smentisce in pieno il suo passato repubblicano. Lipocrita orazione il
paradigma di tanti ex-rivoluzionari che, dopo lUnit, assunsero un orientamento
conservatore per motivazioni di comodo.
Domenico punta contro lopaca figura una pistola, ma non si ode alcuno sparo.
Anche questultimo gesto ribelle si risolve in un atto mancato. Limmagine altro
non che la fantasticheria di un uomo che ha smarrito il senso di realt.
Il sogno di unItalia libera e democratica inseguito da Domenico per una vita
intera si definitivamente infranto, risolvendosi in una reiterata serie di tradimenti
e inganni. Di fronte a un presente privo di slanci ideali e dominato da logiche
individuali che escludono qualunque tipo di condivisione, Domenico non pu che
rivolgere il proprio sguardo al passato e osservarlo col rimpianto del reduce che
contempla le macerie di una guerra vana12.

12
Sempre per quanto concerne limpiego di materiali extra-cinematografici grezzi,
significativo che il film si chiuda esattamente con le parole conclusive del romanzo di Anna
Banti, proferite testualmente dalla voce over di Domenico: Ma io non conto, eravamo tanti,
eravamo insieme, il carcere non bastava; la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo.
Noi, dolce parola. Noi credevamo (Banti, Noi credevamo, cit., p. 344).

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