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315 VirTorio Scott! DOUGLAS LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI: BRIGANTAGGIO, LEGITTIMISMO E DISAGIO SOCIALE* Questo contributo vuole tentare di fornire una prima siste- mazione di quanto, alla luce degli studi sin qui compiuti, si pud oggi dire sulle resistenze popolari antifrancesi nel triennio 1796- 1799 e negli anni successivi. Su tali resistenze, dal triennio rivoluzionario fino alla Restaurazione, manca un’opera d'insieme. Non abbiamo, cioe, uno studio che esamini come l’atteggiamento, di fronte alla Rivoluzione prima e all’occupazione francese poi, delle popola- zioni italiane nelle diverse regioni, ne determinasse i comporta- menti, le reazioni, le resistenze. La cause di queste resistenze sono da ricercarsi negli aspetti economico-sociali, nella paura delle novita, nelle differenze profonde tra i comportamenti delle popolazioni urbane e rurali e nell’influenza della propaganda religiosa e conservatrice. La prima ricerca importante fu il volume di Giacomo Lumbroso, del 1932,' con la nota tesi secondo la quale i prota- gonisti delle rivolte sarebbero stati eredi diretti delle virtt: guer- * Le indicazioni bibliografiche sono soltanto indicative, ¢ non pretendo- no di documentare tutto quanto é stato pubblicato sull'argomenio. 'G. Lumproso, I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII, Firenze, Le Monier 1932. 'Autore aveva esposto la sua tesi, poi pitt ampia- mente sviluppata nel volume, nella relazione presentata al XX Congresso deli'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, e pubblicata sempre nel 1932 negli Arti, dal titolo La reazione popolare contro i francesi alla fine del seco- lo XVI. Del resto gid N. Ropouico, nel suo studio I! popolo agli inizi del Risorgimento nell'Ttalia meridionale, Firenze, Le Monnier 1926, aveva offerto, anche se in modo pitt sfumato e meno categorico, un'interpretazione patriot- tica e “risorgimentale” dei moti popolari antifrancesi. In tempi a noi pitt vici- ni @ stata invece pubblicata un/opera di impostazione “revisionista” sulla con- trorivoluzione in Talia, assai discutibile ma ricca di indicazioni bibliografiche sulla pubblicistica moderata e reazionaria: F, Leont Storia della controrivolu- Loano 1795. Tra Francia e Italia dall’Ancien Régime ai tempi nuovi, Atti del Convegno, 23-26 novembre 1995, Bordighera-Loano 1998 316 VETTORIO SCOTTI DOUGLAS riere dei Comuni, e precursori — talvolta persino coscienti — del Risorgimento. Man mano che gli studi locali facevano luce sulle motivazioni alla base dei diversi episodi di ribellione questa tesi ha perduto ogni credibilita e oggi viene considerata totalmente insostenibile.’ In tempi a noi pitt vicini sono venute prendendo corpo, a mio parere, due tendenze principali di interpretazione storiografica di quegli avvenimenti. Secondo la prima, che tende quasi a negare ogni elemento di spontaneita, tutte le insorgenze popolari antifrancesi furono provocate dalla fanatica propagan- da clericale e padronale, che trovava terreno fertile tra le popo- lazioni delle campagne, ignoranti, superstiziose, e timorose di ogni novita.* La seconda tendenza invece, pitt equilibrata, sostiene che un iniziale periodo di simpatia e di favore nei con- fronti degli occupanti venne molto rapidamente seguito da epi- sodi di intolleranza e di reazione, talora spontanei, talora no.* Gli studi recenti stanno comunque fornendo tante tessere di un zione in Italia (1789/1859), Napoli, Guida 1975. Ultimamente, in occasione del bicentenario della Rivoluzione francese, sono state pubblicate altre opere dello stesso indirizzo, ove l'ideologia fa velo a una corretta analisi storica. Si veda- no ad esempio I. Raut, Campane a mariello. La “Vandea italiana”: le insorgen- ze contadine antifrancesi nell'ltalia centrale (1796-1799), Settimo Milanese, Marzorati 1989; F. M. AGNOLI, Rivoluzione, scristianizzazione, insorgenze, Caltanissetta, Krinon 1991; Ipem, Andreas Hofer; eroe cristiano, Milano, Res Editrice 1991, La tesi di Lumbroso venne confutata, al suo apparire, da Benedetto Croce nella recensione al citato volume. Cfr. “Critica”, XXXI, 1933, pp. 140- 142 (ora ristampata in Conversazion critiche, Bari, Laterza 1955, V, pp. 238- 241, Osservazioni critiche vennero avanzate anche da C. ZAGHt, «Nuovi pro- blemi di Politica Storia ed Economia», V (1934), pp. 279-281, e da L. SALvaTORELLI (Je si vedano ora nel volume Spiriti e figure del Risorgimento, Firenze, Le Monnier 1961, pp. 148-155. *B la tesi, ad esempio, di C. Zacit, esposta in numerosi volumi sul perio- do. Cfr. tra gli altri L'Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino, UTET 1986; IDEM, La Rivoluzione Francese e I'Italia, Napoli, Cymba 1966; IDEM, Potere Chiesa e Societa. Studi e ricerche sull'Italia giacobina e napoleonica, Napoli, Istituto Universitario Orientale 1984 ‘Come esponente di questa tendenza bastera citare G. CANDELORO, Storia dell'lalia moderna, 1, Le origini del Risorgimento (1700-1815), Milano, Feltrinelli 1956. : LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCEST 317 mosaico assai variato, ma non permettono ancora un lavoro di sintesi e consentono solo alcune considerazioni generali che si possono ritenere ragionevolmente fondate. La crisi degli Stati di antico regime si era gid manifestata prima che le armate del Direttorio entrassero in Piemonte e nella pianura padana nel 1796. Il sintomo pitt diffuso consisteva nelle disperate difficolta finanziarie in cui versavano gli Stati italiani, che nel decennio finale del secolo si trovavano quasi tutti sull’orlo della bancarotta. Inoltre le contraddizioni insite nelle iniziative riformistiche dei sovrani del XVIII secolo fecero da catalizzatore dei sollevamenti politici ¢ sociali degli anni 90 di quel secolo. E necessaria_un’osservazione preliminare sull'impiego del termine “popolare”. Nell’Italia di quel tempo, come in tutti i paesi europei, il popolo era in grandissima maggioranza costi- tuito dagli abitanti delle campagne. E anche quando si conside- ra la popolazione urbana bisogna tener conto di quanti erano inurbati di recente, o vivevano un’esistenza pendolare per cui, pur lavorando in citta, tornavano in campagna nei periodi_ di maggior necessita di mano d’opera e conservavano con scarsi mutamenti la mentalita e le tradizioni contadine. Latteggia- mento di questa porzione maggioritaria della popolazione ita- liana circa loccupazione delle truppe francesi e il loro compor- tamento deve percid essere preso in esame con priorita, giacché nelle sue fila si reclutarono gli attori di rivolte e insurrezioni. Naturalmente i contadini non costituivano una massa indi ferenziata, cui si possa attribuire uno stesso modo di pensare o di reagire nei confronti dell'invasione. Non si possono mettere sullo stesso piano i piccoli proprietari costretti per vivere a lavorare anche terra non loro, o ad affittarne altra a condizioni onerosis- sime, i mezzadri vessati e forzati ad accettare patti sempre pitt favorevoli alla proprieta, 0 infine i braccianti agricoli reclutati giornalmente dal caporale. Alla fine del XVIII secolo la notevole crescita demografica — fenomeno comune a tutta I’Europa ~ sti- mola I'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli,’ e questo incita i 5 In un'interessante e pionieristica, pur se da erca di G. Prato, Levoluzione agricola nel secolo XVII e le cause economiche dei moti del 1792- 98 in Piemonte, Torino, Bona 1909, si riporta (p. 88) una tabella comparativa 318 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS proprietari all’incremento della produzione in ogni modo possi le, sia elevando i livelli di sfruttamento di coloni e mezzadri, sia impadronendosi con ogni mezzo di vaste porzioni di terre dema- niali, che da sempre costituivano il sollievo e l'ausilio dei contadi- ni poveri in tempo di crisi. In breve, questo fenomeno, pur aven- do gravita e aspetti diversi nelle differenti regioni della penisola, portd a un sempre pitt rapido e cospicuo arricchimento del nuovo ceto imprenditoriale agrario, formato soprattutto dai grandi fitta- voli, ma produsse al contempo un generale e diffuso aggravamel to delle condizioni economiche della maggioranza dei contadini Limpoverimento delle masse rurali fu il diretto risultato dell’applicazione delle leggi per la soppressione della feudalita, dalla conseguente abolizione di molti usi promiscui di semina, di pascolo e di legnatico, dalla cessazione della servitit di pasco- lo nei fondi che venivano “chiusi”. Queste leggi indebolirono i feudatari ad esclusivo vantaggio dei nuovi ceti borghesi, mentre per le masse contadine leffetto pitt significativo fu lesclusione da gran parte degli usi e dei diritti tradizionali. La Rivoluzione francese fu un avvenimento che, come dice Pietro Verri, «dapprincipio [..] accolto con ammirazione e con giubilo, poco dopo si riguardé con dileggio e come una pubbli- ca sciaguray. La resistenza della nobilta e del clero e ’alleanza rapidamente stretta fra il trono e l’altare scatenarono immedia- tamente una grande campagna di propaganda antirivoluziona- ria, che perd riusci solo ad attutire lo spontaneo moto di sim- patia provocato fin dagli inizi dalla Rivoluzione, giustificato da una oggettiva situazione politico-sociale. Naturalmente pitt dif- fusa negli ambienti borghesi, ma presente anche in cospicue fra- zioni del basso clero, tale simpatia era in alcuni Stati condivisa anche da membri della nobilta. dei prezzi per sacco del frumento, della segala, della meliga e del riso all'ini- zio del secolo (1700-10), alla metd (1750-52), ¢ alla fine (1790-95). Vi si vede come la segala fosse quasi raddoppiata di prezzo (da lire 9,27 a 15,21); fru- mento e riso fossero praticamente raddoppiati (da 12,50 a 23,37 e da 11,25 a 23,43 rispettivamente). Il prezzo della meliga, poi, era addirittura triplicato (da lire 4,55 a 13,13). Lo studio offre anche dettagliate informazioni e tabelle sull'evoluzione dei salari in agricoltura e sui prezzi dei cereali e di altre der- rate (pp. 90-92). LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 319 Quanto alle masse rurali, esse avevano informazioni assai scarse e imprecise su quanto era avvenuto in Francia. Le noti- zie provenivano dai fogli volanti circolanti nelle campagne, dai racconti di chi era stato in citta e le aveva a propria volta senti- te raccontare. Si trattava percid quasi sempre di notizie assur- damente amplificate, variamente distorte e falsate. Oggi comun- que é generalmente accettato che, almeno prima dell’occupa- zione militare francese, le popolazioni contadine italiane non fossero ostili in modo preconcetto alle idee e ai principi della grande rivoluzione, soprattutto 1a dove questi parlavano di giu- stizia ed equita sociale. La situazione di tensione e di instabilita, dovuta al crescere della miseria e della fame, era andata accen- tuandosi quando per il contraccolpo degli avvenimenti di Francia i prezzi avevano avuto un’altra impennata, la penuria di certi generi alimentari era cresciuta, le difficolta nel commercio si erano fatte pid pesanti. I] malcontento era diffuso, frequenti i tumulti e le sommosse, durante i quali spesso le folle richiama- rono spontaneamente l’esempio francese. Questo accadde con frequenza in Piemonte, come @ ad esempio documentato dalla lettera anonima del 22 dicembre 1792 - firmata «poveri e Bassa gente» — inviata da Moretta (presso Saluzzo) al re Vittorio Amedeo III. In essa gli scriventi, abitanti di numerosi comuni rurali, se la prendono con «quei lupi divoratrici [sic] di affit tauoli», e chiedono al re, per il quale proclamano «siam pronti a meter la vita per difendere lo Stato e la sua Corona», di met- terli a freno, poiché «in difeto non fa bisogno dei francesi, bastera di noi per solevarsi contro questi lupi infernali de Signori e delli affittauoli, che credano di prendersi sin al fidico [fegato]».° Si potrebbe pensare che queste simpatie si fossero * La lettera é riprodotta integralmente in G. Prato, Levoluzione agrico- la.., cit., p. 41. E importante notare che questa missiva diede origine a un’in- chiesta ufficiale dello Stato sabaudo sul problema sollevato dagli anonimi estensori. I documenti dellinchiesta, ampiamente utilizzati da Prato, ci sono pervenuti e sono di estremo interesse perché mostrano le fasi di svolgimento della trasformazione agraria avvenuta nel Settecento, l'estensione raggiunta dai nuovi ¢ pitt moderni sistemi di sfruttamento e le loro conseguenze. Cf. Archivio di Stato di Torino, Sezione 1a, Materie economiche. Finanze, mazzo 5° di 2+ addizione, n° 18, 1793. Risultato delle Informative dei vari Intendenti 320 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS diffuse in Piemonte a causa della vicinanza alla Francia, ma vi sono altri esempi significativi di manifestazioni analoghe nei ducati Estensi e anche nel Mezzogiorno, dall’Abruzzo alla Basilicata, dove si gridd «Volimo fa come li Francise!»; tutti indizi che consentono di parlare della diffusione anche tra le masse rurali di sentimenti pur vaghi e confusi di simpatia per i rivoluzionari francesi, non disgiunta dal desiderio di imitarli. Insomma la massa dei contadini poveri delle regioni italiane di questi anni di fine secolo pud essere paragonata a un deposito di materiale combustibile, cui basta una scintilla per esplodere in un incendio di vaste proporzioni. Diverso era il panorama offerto dagli altri settori della societa. Ancora alla fine del 1796, quando in poco pit di sei mesi i francesi avevano gia spremuto dalle popolazioni dei territori italiani occupati circa 60 milioni di franchi tra dena- ro, metalli preziosi ¢ valori vari, l’'atteggiamento delle altre forze sociali nei confronti dell’occupazione pud essere rias- sunto in questi termini: nobili e patrizi divisi tra intransigen- za e attesa diffidente, con qualche cedimento qua e 1a; la gran- de borghesia schierata con I’aristocrazia, di cui condivideva timori e speranze; la borghesia piccola e media apertamente in rotta con le classi alte e schierata per un collaborazionismo via via crescente; il clero intransigente e reazionario, fatta eccezione per qualche settore del basso e medio clero, spe- cialmente urbano. Ma quella vaga e generica simpatia diffusa nelle campa- gne italiane mutd in modo prima lento e poi sempre pitt acce: lerato e radicale a occupazione avvenuta e col trascorrere dei mesi, grazie alla massiccia e insistita campagna di propagan- da antirivoluzionaria svolta in modo capillare dalle gerarchie ecclesiastiche, che ebbe presa soprattutto nelle zone rurali pit isolate, lontane dalle citta e dalle vie di comunicazione. sui richiami degli agricoltori, schiavendai e massari contro Uattuale sistema del- Vaffittamento dei beni e sui mezei per rimediarvi. Con una lettera anonima pre- sentata e letta da S.M. il 22 Dicembre 1792, datata da Moretta, nella quale vien supplicata di voler togliere tutti gli affittamenti: Il che diede motivo di spedire una circolare ai detti Intendenti, con ordine di procurar notizie al riguardo, (citato da G. Prato, Levoluzione agricola... cit.) :ZE POPOLARI ANTIFRANCESI 321 Non a caso le resistenze popolari esplosero in modo pitt viru- lento, e pit difficilmente vennero represse, in zone come la Garfagnana, i bacini del Serchio e della Magra, i feudi impe- riali di Arquata Scrivia, oppure in quelle localita ove il predo- minio signorile e chiesastico aveva profonde radici e la reli- giosita popolare rasentava il fanatismo: basta richiamare il caso delle Romagne, dove tre secoli di dominio pontificio ave- vano lasciato segni profondi nella vita e nei sentimenti delle popolazioni. Naturalmente il comportamento predatorio e arrogante delle truppe transalpine accentuava e in qualche modo confermava presso le plebi rurali quanto i loro curati venivano predicando a proposito degli invasori senza Dio. Nella situazione di instabilita sociale sopra accennata, e non appena i contadini si furono resi conto che l’arrivo dei francesi non avrebbe migliorato le loro condizioni, ma anzi le avrebbe peggiorate con ulteriori esazioni e balzelli, la reazio- ne fu inevitabile e violenta. Durante il triennio la resistenza popolare é spontanea quando reagisce alle violenze e rubalizi delle truppe, oppure alle violenze anche contro modi tradizio- nali di vita: offese al santo Patrono, dissacrazione di reliquie e cosi via. Nel regno sabaudo ad esempio la reazione, pur se favori- ta e incoraggiata dai maggiorenti locali, non solo fu spontanea, ma fece immediatamente seguito all’entrata dei francesi.’ Lattaccamento alla religione, al sovrano, agli usi e alle tradi- zioni locali, motivo la resistenza dei sudditi piemontesi, che nemmeno attesero di vedere come si sarebbero comportati i nuovi padroni. Tipico, in questo senso, I’atteggiamento dei montanari niz- zardi, che rifiutarono sin dall’inizio ogni sottomissione ai fran- cesi e diedero vita a una feroce guerriglia, aiutati e incoraggiati dalle popolazioni locali e da esponenti della nobilta. Quali danni potessero fare queste bande appare chiaramente da una lettera pubblicata il 30 maggio 1793 su un giornale parigino: «...i bar- * Per il Piemonte cfr. N. BIANcut, Storia della Monarchia Piemontese dal 1773 al 1861, Torino, UTET 1881; M. Rucctero, La rivolta dei contadini pie- montesi, 1796-1802, Torino, Le Bouquiniste 1974. 322 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS bets* ci aspettano dietro una rupe, o un cespuglio e ci manda- no fucilate che noi non sappiamo di dove vengano, codesti maledetti contadini fanno pit: danno dei soldati di linea, cono- scendo il paese fuggono da un dirupo a un altro facendo conti- nuamente fuoco e non lasciandosi mai avvicinare».’ E anche le relazioni mandate a Parigi dalle autorita militari non minimiz- zano la pericolosita dei montanari: «...gli abitanti dei villaggi di montagna sono talmente esacerbati che hanno giurato di ster- minare tutti i soldati. Non passa giorno che qualche militare non venga ucciso fino ai posti della citta: questi barbets sono ancora piit da temersi dei soldati nemici»."” Questo stato di cose si protrasse anche nel periodo napo- leonico. Bastera citare l'assalto a un convoglio di munizioni da parte della banda guidata dal celebre, inafferrabile e per i fran- cesi famigerato, Contin, nella primavera del 1797. I francesi cir- condati si difesero disperatamente e riuscirono a sganciarsi, lasciando perd morti il generale d’artiglieria Du Jard, il capo battaglione Breistorf e otto uomini della scorta.'' *E bene precisare che il termine barbet @ qui impiegato per indicare i montanari nizzardi e in genere, nelle relazioni militari e nella letteratura del- Yepoca, i briganti del Colle di Tenda e delle alte valli del Cuneese. Tale nome, di origine incerta, indicava anticamente gruppi di rifugiati valdesi attestatisi nel Delfinato e nelle Cevennes per sfuggire alle persecuzioni religiose. I bar- bets, detti anche Vaudois, si difendevano arditamente dalle incursioni dell’e- sercito regolare ingaggiando una vittoriosa guerriglia di montagna. Ampie descrizioni degli scontri tra le truppe francesi e i barbets alla fine del XVII secolo si trovano nelle memorie del MARQUIS DE FEUQUIERE, che costituiscono in reat un trattato sulla guerriglia in montagna: Mémoires de M. le Marquis de Feuquiére, Lieutenant général des Armées du Roi contenant ses maximes sur la guerre et Vapplication des exemples aux maximes, 4 voll., Londres 1736. Nessun riferimento religioso & ovviamente legato all'uso del termine nel perio- do di cui ci occupiamo. Sui barbets piemontesi del periodo napoleonico si veda G. Maranpa, Tableau du Piémont sous le régime des Rois avec un précis sur le Vaudois et une notice sur les barbets, Turin, Guaita, an IX. * G. ANbRE, Nizza (1792-1814), Nizza, Mignon Malvano 1894, p. 449. Si trattava del “Courier Universel, I'Echo du Département et de I'Etranger”. " Tbidem, pp. 448-449. "BA, PINELLI, Storia militare del Piemonte, Vol. Ul, Epoca seconda, Torino, De Giorgis 1854-1855, p. 31 LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 323 Come é stato notato da molti studiosi di questi fenomeni, ma l’osservazione non riguarda solo I’Italia, il tumulto 0 la som- mossa contadina spontanea ha durata generalmente assai breve, molto violenta, e si esaurisce a volte gia prima che intervenga- no le forze della repressione. Inoltre la rivolta contadina é@ quasi sempre localizzata, non é violenza “da esportazione”, del resto gli insorti di un villaggio raramente vanno a portare aiuto al vil- laggio vicino, Non solo la fame e la miseria ma anche l’odio con- tro il padrone sono la molla della rivolta. Accanto a queste realta antiche del mondo contadino assume rilevanza la paura del cambiamento e il timore del nuovo. Un esempio significativo di queste tendenze @ fornito da quanto accadde in Umbria nella primavera del 1798. Qui la rivolta & spontanea, nasce localmente, ad opera e direzione di abitanti del territorio che la esprime, mentre nel 1799 sara importata, fomentata dall’esterno, suggerita e diretta da forze estranee. Le campane suonano a martello, si ha l'adesione in massa dei contadini, di altri elementi della plebe, cui si aggiun- gono il basso clero, contrabbandieri, ambulanti, facchini e car- bonai. Caratteristico, come verra rilevato anche in altre analo- ghe occasioni, é il ruolo assunto dai disertori che all’interno del movimento, talvolta insieme a qualche sacerdote o frate fanati- co, vengono investiti di responsabilité di direzione, soprattutto dal punto di vista militare e politico. Subitaneo é il trasformar- si da sommossa in lotta armata, ma poi, dopo pochissimi gior- ni e nonostante i successi iniziali, i contadini, quando la lotta si sposta lontano dai luoghi familiari, cominciano a tornare a casa, mentre gli altri, tutti quelli che si possono con termine moder- no definire gli “emarginati”, continuano nella pratica del bandi- tismo fino alla totale distruzione da parte dei francesi.'* © Cf, C. MINcIoTH TsoUKAS, Spontaneita e brigantaggio: l'insorgenca con- tadina in Umbria, «Annali dell'Istituto “Aleide Cervi"», 2 (1980), pp. 223-239. LAutrice ha poi sviluppato e concluso la ricerca, utilizzando soprattutto, oltre a diversi manoscritti inediti rinvenuti nelle biblioteche di Assisi e Perugia, una ricchissima e mai studiata documentazione giacente nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Perugia. Il risultato @ il volume I «torbidi» del Trasimeno del 1798, Analisi di una rivolta, Milano, Franco Angeli 1988. 324 \VITTORIO SCOTTI DOUGLAS Le insorgenze antifrancesi del triennio rientrano tutte, pit omeno, nello schema rivoluzione-reazione, e hanno sempre una forte impronta religiosa assai prossima al fanatismo. Ho gia accennato ai piemontesi e ai nizzardi. Dal maggio 1796 inizia una lunga sequenza di rivolte, tumulti, sommosse, che percorre la Lombardia," l'Emilia,"* le Romagne," la Toscana," le Marche," Umbria, di norma seguendo I'arrivo dei soldati fran- ® Chr, D, Mratiazza, Il saccheggio di Odiago nel 1797 e il brigantaggio nel Bergamasco nel 1814, Pavia, Tip. Ponzio 1907; M. Roserti, Milano capitale napoleonica. La formazione di uno stato modero, 3 voll., Milano, Fond. Treccani degli Alfieri 1946-47; R. Satvanont, Le “insorgenze” contadine in Val Padana nel periodo napoleonico, Mantova, Museo del Risorgimento 1972. Per Bergamo si vedano C. Dz Martino, La calata dei valligiani bergamaschi sulla citta nella controrivoluzione del 1797, in Atti del Secondo Congress Storico Lombardo, Milano 1937; B. Betorri, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, 3 voll., Milano, Ceschina 1940. “ Chr A. VaRNI, Bologna napoleonica. Potere e societa dalla repubblica Cisalpina al regno d’Nalia, Bologna, Boni 1973; A. Camu.ucct, Gli “Insorgenti” del Ferrarese da cronaca inedita, «Atti Memorie della Deputazione Ferrarese di Storia patria», XXII (1915), Fasc I, pp. 95-107. 8 Cf. U. MARCELLI, Giacobini ed insorgenti in Romagne (1796-1799), «Bollettino del Museo del Risorgimento», Bologna, VIII (1963), pp. 397-414 Sivedano anche il volume di A. Lazzart, La sommossa e il sacco di Lugo, Imola, Galeati 1965 e O. Divers, Una testimonianza inedita sugli episodi che prece- dettero il sacco di Lugo, «Bollettino del Museo del Risorgimento», Bologna, VIL (1963), pp. 99-123, " Cfr: il fondamentale lavoro di G. Turt, Viva Maria! La reazione alle rifor- me leopoldine, 1790-1799, Firenze, Olschki 1969. Si vedano anche I-TOGNARINI, Arezzo tra Rivoluzione e insorgenza, 1790-1801, Arezzo, Avetia libri 1982; IDEM, La Toscana nell’eta rivoluzionaria e napoleonica, Napoli, 1985. Per una rasse- gna degli studi sull'insorgenza toscana si veda R. CANTAGALLI, A proposito del triennio rivoluzionario 1796-99 in Toscana, «Rassegna storica toscana», IV (1960), fase. IH, pp. 123-135. © Cfr A. Emniant, Avvenimenti delle Marche nel 1799, Macerata, Tip. Giorgetti 1909; IbEm, / francesi nelle Marche, 1797-1799: scene, episodi, ricordi, Falerone, Tip. Menicucci 1912; S. Caronerro, I! giacobinismo nelle Marche. Pesaro nel Triennio rivoluzionario, 1796-1799, «Studia Oliveriana», 1962, pp. 56-58; C. VERDUCCI, Insorgenza antifrancese nelle Marche meridionali, «Annali delIstituto “Alcide Cervi"», 2 (1980), pp. 293-300; J. Lussu, Aspetti del brigan- taggio contadino nel fermano dal 1797 al 1799, «Annali dell'Istituto “Alcide Cervi"», 2 (1980), pp. 317-334. LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 325 cesi, a volte addirittura anticipandolo, per l’avversione irrazio- nale verso tutto cid che essi rappresentavano. Tutti questi avve- nimenti si svolgevano in modo analogo; anche se la sommossa iniziava in citta, come a Pavia,"* a Lodi,” a Cremona,” © a Forhi, Cesena, Rimini, e persino, nel 1797, nel caso della pitt cono- sciuta ¢ tragica rivolta di Verona,” i protagonisti pitt numerosi e importanti erano sempre i contadini delle campagne circo- stanti, che entravano in massa in cittd a dar man forte ai primi insorti con ogni tipo di attrezzo 0 arma, erano i pitt feroci e bru- tali negli atti di violenza, e naturalmente soccombevano in mag- gior numero alla dura repressione. Le rivolte esplosero praticamente in concomitanza con l’ar- rivo dei francesi, non appena le truppe iniziarono la sistematica spoliazione degli ori e argenti delle chiese, la requisizione dei beni dei Monti di Pieta, l'imposizione di onerosi contributi alle comunitd oa facoltosi individui. accendersi quasi contempo- raneo di tanti focolai di rivolta prima ancora che Napoleone avesse posto fine all'occupazione della Lombardia ha addirittu- ra fatto pensare a un piano prestabilito,” ma lanalisi attenta dei singoli avvenimenti permette ormai di escludere tale ipotesi. “fr, S. MANFREDI, L'insurrezione e il sacco di Pavia, Pavia, Frattini 1900; F. Bouvier, La révolte de Pavie, «Revue d'Histoire de la Révolution Frangaise», TL (1911), pp. 519-539; I1(1912), pp. 72-89, 257-275, 424-446; G. E. Dr Paout, Pavia Cisalpina e napoleonica 1796-1814. Saggi e notizie da documenti inediti, Pavia, edito dall’Autore 1974. ” Cf, G. AGNELLI, La battaglia al Ponte di Lodi e la settimana lodigiana di Napoleone Bonaparte 8-15 maggio 1796, Lodi, Biancardi 1937. Nonostante il titolo il volume si occupa di quanto avvenne in citta e nei dintorni prima e dopo la battaglia, Per le rivolte antifrancesi e la repressione cfr, soprattutto pp. 324-340. » Cfr, L, Ratti, Cremona Cisalpina, Cremona, Fezzi 1898. 21 Cf, E. BrvILacoua, Le Pasque Veronesi, Verona, Capianca 1897; L.G. Perissire, A la veille des Paques Véronaises, «Revue d'Histoire de la Révolution Francaise», V (1914), pp. 18-41; L. Houparn, Les Paques Véronaises, 17-23 avril 1797, «Revue d'Etudes Napoléoniennes», XXXII (1931), pp. 104-126. ® F, Cusant, Storia di Milano, 8 voll., Milano, Pirrotta 1871-1884, IV, p. 386. 326 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS Certo, il succedersi delle insorgenze ha un ritmo dawvero impres- sionante: il 22 maggio 1796 si solleva Como, il 23 Varese, il 23-25 é la volta di Pavia, il 24 insorgono Lodi e Binasco, il 25 Cremona, seguite il 5 giugno dai feudi imperiali di Arquata Scrivia. Lo stes- so avverra in Emilia, appena occupate Bologna e Ferrara, il 19 ¢ 23 giugno rispettivamente. I 24 la popolazione di Forli insorge ¢ costringe le truppe del generale Augereau a rifugiarsi a Faenza; lo stesso 24 si hanno tumulti a Cotignola, il 27 si sollevano Alfonsine, Santerno e Piangipane, seguite immediatamente da una serie di localita in Romagna (Bagnacavallo, Massalombarda, Sant’Agata, Conselice, Fusignano, Faenza, e altre). Tl 29 é la volta di Cesena ¢ il 30 di Rimini e di Lugo, e nei primi giorni di luglio, mentre ancora infuriava la lotta e il sacco di Lugo, insorgono Cento ¢ Pieve di Cento. Il medesimo rapidissimo diffondersi delle rivolte antifrancesi si avra anche nel Forlivese, nelle Marche, nel Viterbese, in Abruzzo, in Lunigiana, in Garfagnana. La Liguria, come é noto, ebbe anch’essa le proprie sommosse controrivoluzionarie, dai tumulti genovesi dei Vivamaria del mag- gio 1797 in risposta alla cospirazione giacobina, alla rivolta del Sarzanese in agosto, ai moti di Albaro in settembre: tutti avveni menti dove é fortemente presente i] motivo religioso e in cui, di nuovo, sono i contadini delle vallate pit: interne a costituire il nerbo dell'insurrezione. Né bisogna dimenticare la rivolta di Oneglia del 1799, provocata dalla speranza che stessero per arri- vare i russi, alleati di casa Savoia, a cui allora apparteneva la citta.* ® Si vedano in proposito: ANONIMO, Distirta relazione della strepitosa insti rezione degli abitanti di Fontana-Bona contro i francesi, Roma, Giunchi 1800; G. AsseRET0, La repubblica Ligure - Lotte politiche e problemi finanziari, Torino, Fond. Luigi Einaudi 1975; J. Bort, Génes sous Napoléon ler 1805-1814, Paris- Neuchatel, Attinger 1929; A. Cottermt, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova, A.G.LS. 1950; G. CoLucct, La Repubblica di Genova e la Rivoluzione francese, Roma, Tip. delle Mantellate 1902; C. Costantint, La repubblica di Genova nell’eta moderna, Torino, UTET 1978; A. Lastri, Genova dal 1797 al 1800. Appunti storici, Genova, Tipografia Operaia 1900; G. MOLLE, Oneglia nella sua storia, Milano, Giuffré 1974; P. Nura, Genova nel Risorgimento, Milano, F. Vallardi 1948; U. OxtLia, Il periodo napoleonico a Genova ¢ a Chiavari (1797 1814), Genova, Apuania 1938; A. Ronco, La Marsigliese in Liguria, Genova, Tolozzi 1973; IbeM, Storia della Repubblica Ligure, Genova, Cassa Risparmio LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 327 Questa sequela di sanguinose sommosse ha indotto qualcu- no a parlare di Vandea italiana, ma il paragone sembra mal posto. Non certo perché in Italia il fenomeno di resistenza, dal punto di vista territoriale, avvenne, come si dice oggi, a “pelle di leopardo” anziché concentrato in una sola regione come in Francia, ma per le caratteristiche profondamente diverse che ne stavano alla base. La si ebbe un grande rivolgimento politico- sociale che coinvolse non solo i contadini poveri ma tutto il mondo rurale, nobili e clero compresi, e che rappresentd un serio pericolo dal punto di vista militare per la Rivoluzione.* Qui ci troviamo a studiare molteplici episodi locali, spesso non collegati, senza alcun riflesso esterno né alcun preciso carattere ideologico di opposizione, che solo mostrano come nelle cam- pagne non fosse venuto meno il legame tra le masse dei conta- dini poveri e i ceti dominanti e soprattutto come la religiosita imbevuta di superstizione e di fanatismo, unita alla paura del nuovo e¢ all’immobilismo tipici di una societa statica e chiusa in se stessa, fosse il detonatore di molti di questi rivolgimenti. Ebbero carattere eccezionale i pochissimi casi di insorgen- ze antifrancesi “da sinistra”, di quelle limitate porzioni di ceti urbani e rurali illusi che davvero arrivasse liberta, fraternita e uguaglianza. Avvennero quasi tutte nel triennio, e il loro studio offre spunti di grande interesse, come nel caso della rivolta dei “rustici” di Reggio Emilia del giugno 1797.* Genova e Imperia 1986; I. Scovazzi-F. NonERasco, La rivoluzione democratica e limpero napoleonico a Savona secondo una cronaca contemporanea, Savona, Tip. Savonese 1929; G. SERRA, Memorie per la storia di Genova degli ultimi anni del secolo XVIII alla fine dellanno 1814, a cura di P, Nurra, Genova, Soc. Ligure di Storia Patria 1930; C. Varese, Storia della Repubblica di Genova dalla sua origine al 1814, Genova, Gravier 1838, Anche in questo caso la bibliografia & sommaria. * Una concisa ma utilissima bibliografia sulla Vandea viene fornita da ©. Zacut, L'talia di Napoleone..., cit., p. 88, 0. 1 % Cf. O. RomBALDI, Liinsurrezione dei rustici ei giacobini reggiani (29- 30 giugno 1797), «Bollettino del Museo del Risorgimento», Bologna, V (1960), IL, pp. 843-885. Dello stesso autore si veda anche Momenti di vita nelle cam- pagne dei Dipartimenti del Crostolo e del Panaro (1797-1811), in LEmilia nel periodo Napoleonico. Atti e Memorie del Convegno tenutosi a Reggio Emilia il 17-18 Ottobre 1964, Reggio Emilia, Istituto per la Storia del Risorgimento Ttaliano 1966, pp. 195-213. 328 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS Si pud poi stabilire un discrimine cronologico tra queste rivolte certamente spontanee, anche se influenzate dalla pro- paganda clericale e viste di buon occhio dai vecchi reggitori, divampate praticamente tutte nel triennio, e i moti a caratte- re insurrezionale,.fomentati e manovrati, quando non diretta- mente organizzati da alcune delle potenze antinapoleoniche e dai sovrani di antico regime; moti che invece trovano tutti col- locazione temporale nel periodo posteriore al 1800. La transizione dal triennio al regno Ttalico @ marcata netta- mente, dal punto di vista sociale, da quella che Renato Zangheri non ha esitato a definire «una vera e autentica rivoluzione fondia- ria, che porta alla formazione di una media e grande proprieta bor- ghese piuttosto che di una proprieta contadina»,” mentre per Carlo Zaghi si tratta addirittura «di una vera ed autentica contro- rivoluzione, al limite della reazione e dell’Ancien Régime [...]. Se la Repubblica Cisalpina, pur con tutti i contrasti che la dilaniarono, esprime il punto pitt alto delle aspirazioni nazionali unitarie e democratiche [...] la Repubblica italiana e il regno, pure nella diversa collocazione storica, rappresentano, sotto l'aspetto cultu- rale e sociale, il punto pitt basso d’una trasformazione ed involu- zione politica in senso autoritario e conservatore».”” Nella nuova struttura statale, fortemente centralizzata sulla falsariga del modello transalpino e certamente la pitt moderna mai esistita in Italia sino ad allora, si avranno ancora insorgen- ze spontanee, ma in forme diverse, pit vaste e organizzate al proprio interno, miranti a reagire alle nuove istituzioni come la coscrizione,” l'imposizione fiscale, ecc. © R. ZANGHERI, Gli anni francesi in Italia: le nuove condizioni della pro- prieia, «Annuario dell'Istituto Storico Italiano per I'Eta Moderna e Contem- poranea», XXXI-XXXII (1979-1980), Roma 1982, pp. 5-32, p. 31 ” C. ZaGu, Proprieta e classe dirigente nell'Halia giacobina e napoleonica, «Annuario dellIstituto Storico Italiano per I'Eta Moderna e Contemporanea», XXII-XXIV (1971-1972), Roma 1975, pp. 105-220, p. 107. * Sulla coscrizione nella Repubblica Cisalpina cfr: A. Pincaup, Bonaparte Président de la République lalienne, 2 voll., Paris, Perrin 1914; M. ROBERT, Milano capitale napoleonica..., cit., TI, pp. 351-363; A. TROvA, Lorganizeazione dellesercito nella prima Repubblica Cisalpina, «Rivista italiana di studi napo- leonici», n. 24 (1987), pp. 9-58, Per quanto riguarda la coscrizione in varie LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 329 In questo periodo si collocano anche i moti ispirati da fat- tori esterni.” Furono infatti l'insurrezione di Andreas Hofer e la vittoriosa offensiva austriaca all'inizio della campagna del 1809 a determinare nella primavera di quell'anno la prima ondata di insorgenze in molti dipartimenti del regno Italico, che iniziaro- no dal Veneto, (dipartimenti del Bacchiglione, Adige, Brenta e Adriatico),** per estendersi a due valli lombarde, la Valtellina (dipartimento dell'Adda) e la Valcamonica (dipartimento del Serio), zona particolarmente turbolenta.” Infatti a proposito di questa valle gia in una relazione della Direzione generale di poli- zone dell'Italia napoleonica, si vedano: A. ZANOLI, Sulla milizia cisalpino-ita- liana. Cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, 2 voll., Milano, Borroni e Scotti 1845; A. Pincaup, Bonaparte Président..., cit., Il, pp. 186-219; N.BRANCACCIO, Lesercito del veechio Piemonte, 2 voll., Roma, Libreria dello Stato 1923-1925; F. DELLA PeRutA, Esercito e societd nell'ltalia napoleonica, Milano, Franco Angeli 1988; P. Det Necro, Per una storia della leva militare nel Veneto napo- leonico, «Rivista italiana di studi napoleonici», n. 26 (1989), pp. 13-53; J. A. Davis, The Neapolitan Army during the decennio francese, «Rivista italiana di studi napoleonici», n. 25 (1988), pp. 161-177; G. LusERont, La Toscana nell'Impero napoleonico. Alcune notizie sulla resistenza alla coscrizione e sugli atteggiamenti di fronte alla guerra, «Rivista italiana di studi napoleonici», n. 26 (1989), pp. 103-124. » Sulle reazioni alla coscrizione ¢ la resistenza contadina ai gravami fiscali vi sono due importanti articoli di uno studioso americano, Alexander Grab, che sta preparando da anni un'opera di vasto respiro sull’amministra- zione napoleonica nell’Italia settentrionale. Cf. A. GRas, State Power, Brigandage and Rural Resistance in Napoleonic Italy, «European History Quarterly», Vol. 25 (1995), pp. 39-70; IDEM, Army, State, and Society: Conscription and Desertion in Napoleonic Italy (1802-1814), «The Journal of Modern History», 67 (March 1995), pp. 25-54. » Per un quadro d'insieme sulle insorgenze del 1809 cfr. M. LEONARDI, Linsorgenza del 1809 nel regno d'Italia, «Annuario dell Istituto Storico Italiano per I'Eta Moderna e Contemporanea», XXXI-XXXII (1979-1980), Roma 1982, pp. 435-447. °C, BULLO, Dei movimenti insurrezionali del Veneto sotto il dominio napo- leonico e specialmente del brigantaggio politico del 1809, «Nuovo Archivio Veneto», 1897, pp. 353-369; 1898, pp. 81-88; 1899, pp. 66-101, 300-347. » Chr. G. Cassi, Lalta Lombardia durante l'insurrezione tirolese nel 1809, «Rassegna storica del Risorgimento», XVIII (1931), pp. 289-328. 330 VETTORIO SCOTTI DOUGLAS zia del 3 maggio 1805 si parla di numerose piccole sommosse contro l'insolenza della gendarmeria;" pochi mesi dopo, nel set- tembre, si dice ancora che in Valeamonica “un’orda di briganti [...] sempre pit: numerosa e ardita, vi commette gravi e continui delitti”. Sempre qui, del resto i] “famigerato prete Filippi” aveva offerto una legione all’Austria.* Ma l’Austria, dopo un’iniziale propensione all'impiego della sowversione dall’interno per favo- rire i propri obiettivi militari, non mostrd grande interesse nel fomentare troppo reazioni popolari violente. Le autorita impe- li non se la sentirono di favorire lo scatenamento di una guer- riglia di tipo spagnolo, probabilmente temendo che, dopo esse- re state armate e incitate a cacciare gli invasori francesi, le popolazioni rurali venete e lombarde avanzassero pretese di autonomia e di miglioramenti sociali, approfittando anche del- loggettiva debolezza del potere asburgico. * La seconda ondata di rivolte, avvenuta nell’estate, ebbe motivazioni e svolgimento molto diversi. Iniziata ai primi di luglio nella campagne dell’Emilia, (dipartimenti del Reno, Panaro, Crostolo e Basso Po),* si estese rapidamente a parte del Veneto (dipartimenti del Bacchiglione, Brenta e Adriatico) e ad alcune zone lombarde (dipartimento del Mincio). Questo secondo ciclo insurrezionale trovava la sua radice pitt profonda nell'avversione delle classi rurali alla coscrizione e alla crescente pressione fiscale del regime napoleonico, tutti motivi gia presenti anche durante le sommosse primaverili, cui bisogna qui aggiungere l’opposizione contadina all'entrata in vigore (prevista per il 1° luglio) del dazio di consumo sulla macina del frumento. * Questa relazione si trova nell’Archivio di Stato di Milano (ASM), Carteggio Aldini, cartella 79. * Ibidem. © E, J. HopspawM, Le rivoluzioni borghesi (1789-1848), Milano, il Saggiatore 1963, pp. 119-120. ® Cfr. G. NaTALI, Linsorgenza del 1809 nel Dipartimento del Reno, «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per I'Emilia ¢ la Romagna», IT (1936-1937); P. ANToLINI, I! brigantaggio nel dipartimento del Basso Po, Ferrara, se. 1922; L. Pucci, Indagini sul brigantaggio nel dipartimento del Panaro e del Crostolo, in Reggio e i Territori Estensi dall’Antico regime all'Eta Napoleonica, 2 voll., Parma, Pratiche 1979, I, pp. 271-294. E RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 331 Nuova é la dinamica di questa rivolta: comincia col rifiuto dei contadini di pagare, ma ben presto muta aspetto. In seguito all’in- contro dei contadini in tumulto con le bande dei briganti, la pri- mitiva protesta popolare si trasforma in vera e propria rivolta armata, che ottiene successi importanti, ad esempio con l'invasio- ne di Schio, Rovigo, Adria. Ma gia il 12 luglio il moto inizia a decli- nare, anche perché le autorita revocano la disposizione sulla maci- na. In realta Vinsorgenza prese subito l'aspetto di rivolta contro la fame. Come dissero alcuni insorti ai soldati francesi di guardia a Vicenza: «Noi non l'abbiamo né coi soldati, né con alcuno, ma noi vogliamo mangiare, e non possiamo vivere se ci vien tolta facilita di questo».” Tuttavia la rivolta allargo il ventaglio dei suoi obietti- vi: non mancarono le azioni ostili verso i ceti possidenti, né le vio- lenze antiebraiche, per motivi religiosi e_perché gli ebrei, avendo ottenuto l'’emancipazione dalle truppe d’Oltralpe, erano conside- rati filofrancesi. Quando le truppe francesi si impadronivano di una citta, il comandante del distaccamento promulgava un decre- to di questo tenore: «Considerando che i principi della Repubblica francese respingono le distinzioni che tengono a stabilire differen- ze fra li cittadini, si decreta che gli ebrei goderanno li medesimi diritti che gli altri cittadini».* I circa duecento ebrei di Nizza furo- no i primi a godere della parificazione dei diritti civili. Obiettivo primario degli “insorgenti” erano gli strumenti della coscrizione e soprattutto quelli del fiscalismo governativo; da qui i roghi di liste di leva e di documenti fiscali. Altro bersa- glio privilegiato furono inoltre le autorita e i partigiani del governo: «II curioso di questi sollevati si é che non vanno con- tro chi ne ha, ma contro tutto quello che sente di Governo, e di cariche, e di opinioni».” Un’altra differenza, e assai notevole, @ quella che si ritrova fra gli avvenimenti nell’Italia settentrionale-centrale (fino alla Toscana) e quelli nel Mezzogiorno (Campania/Calabria), come @ ben documentato nelle fondamentali ricerche di Gaetano ” Cf: M. Leonarb1, Linsorgenza del 1809..., cit., p. 445. * Cfr. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi 1992 (prima edizione 1963), p. 344. » M, Leonarpt, Linsorgenza del 1809..., cit., p. 446, 332 \VITTORIO SCOTTI DOUGLAS Cingari.® Nel Sud infatti, dove le resistenze furono spesso spon- tanee, esse ebbero sempre anche contenuti di violento scontro di classe, giacché la nascente borghesia aveva per opportunismo sposato la causa “giacobina”, mossa dalla volonta di rendere pitt saldo e preminente il proprio ruolo conservando l’ordine pubbli- co e il controllo sociale. Le masse rurali volevano la terra e vede- vano nei giacobini gli sfruttatori di sempre, per cui «chi tene pane e vino ha da esse giacubbino».*' In questo clima fu facile al Cardinale Ruffo arruolare sotto le bandiere legittimiste la sua ‘Armata Cristiana e Reale, che raggiunse rapidamente i diecimila effettivi, e da Reggio Calabria risali fino a Napoli a soffocare nel sangue la Repubblica Partenopea. Le insorgenze meridionali devono essere viste come una successione di battaglie di due vere e proprie guerre, la prima nel 1799 che termind con le forche per i migliori esponenti della politica e della cultura meridionale del tempo, ¢ la seconda tra i1 1806 e il 1809, con la partecipazione anche delle truppe ingle- sie la protratta guerriglia nelle Calabrie.” © G, CiNGARI, Giacobini e sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina-Firenze, DAnna 1957; IDEM, Problemi del Risorgimento meridionale, Messina-Firenze, D/Anna 1965; IDEM, Brigantageio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900), Reggio Calabria, Editori Meridionali Riuniti 1976. Sullimportanza dell’opera storiografica di Cingari si veda il saggio di F. Detia Peruma, I! Risorgimento di Gaetano Cingari, «Il Risorgimento», 1995, n. 3, pp. 581-601, Citato in B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari, Laterza 1953, p. 47. © Sulla guerra 1806-1809 @ appena stata pubblicata la ricerca di uno stu- dioso statunitense, M. Fiviey, The Most Monstrous of Wars. The Napoleonic Guerrilla War in Southern Italy, 1806-1811, Columbia-S.C., University of South Carolina Press 1994, Sempre utili per lo studio della Calabria nell’epoca fran- cese sono i volumi di U. CaLpora, Calabria napoleonica, 1806-15, Cosenza, Brenner 1985; IDEM, Fra patrioti e briganti, Bari, Adriatica 1974, e Tampia antologia di testi di A. Mozzitto, Cronache della Calabria in guerra (1806- 1811), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1972. E ancora sempre indispen- sabile lo studio di J. Rapaup, Naples sous Joseph Bonaparte, 1806-1808, Paris, Plon-Nourrit 1911, Importanti sono anche, per avere presente il punto di vista inglese, i seguenti: H. BUNBURY, Narratives of Some Passages in the Great War with France (1799-1810), London, Peter Davies 1927, e A. CaPoGRass!, Glinglesi in Malia durante le campagne napoleoniche (Lord W. Bentinck), Bari, Laterza 1949. LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESL 333 Anche in questa seconda guerra il contenuto di classe fu evi- dentissimo: la resistenza militare borbonica all’occupazione fran- cese era stata inesistente, ma gli appelli borbonici all’insurrezione dopo la battaglia di Maida fanno leva sullodio contro gli abiti lun- ghi, galantuomini e proprietari, e sulla possibilita di impadronirsi dei loro beni e delle loro terre. Non a caso not6 acutamente uno sto- rico francese che Giuseppe Bonaparte «se trouva étre en quelque sorte l’allié des riches contre les pauvres, le roi des propriétaires».” Un capitolo a parte é rappresentato dal brigantaggio. Il discor- so sul brigantaggio nasce viziato dalferedita romantica che ha tra- mandato — anche nel campo degli studi storici - la figura del bri- gante descritta con toni benevoli e pittoreschi dai viaggiatori fran- cesi e inglesi della fine del Settecento e del primo Ottocento. In tempi recenti la discussione sul “banditismo sociale” provocata dalle tesi di Hobsbawm, poi da lui stesso fortemente ridimensionate e modificate, ha spinto da un lato a incrementare lo studio del feno- meno nell’epoca che ci interessa, dallaltro a concludere — sostan- ialmente — che queste tesi non trovano verifica negli avvenimenti.* J. Rampaup, Naples sous Joseph Bonaparte... cit., p. 113 “B, J. Honssawn, I ribelli: forme primitive di rivolta sociale, Torino, Einaudi 1966; Ibem, I banditi. Il banditisimo sociale nell’eta moderna, Torino, Einaudi 1971. Le tesi di Hobsbawm sono state messe in discussione da A, BLoK, The Peasant and the Brigand: Social Banditry Reconsidered, «Comparative Studies in History and Society», XIV (1972), pp. 494-503; P. O'MALLEY, Social Bandits, Modern Capitalism and the Traditional Pesantry: A Critique of Hobsbawm, «Journal of Peasant Studies», VI (1979), n. 4, pp. 489- 501. Per le precisazioni ¢ le correzioni apportate da Hobsbawm - si tenga pre- sente che l'edizione originale de I ribelli... & del 1959 eft. Social Bandits: Reply, «Comparative Studies in History and Society», XIV (1972), pp. 503-505, come pure Epilogo a la edicién espariola, scritto nel 1966 ¢ pubblicato nel 1974. Su tutta la questione @ tornato pit recentemente BRENT D. SHAW, Bandits in the Roman Empire, «Past and Present», 105 (1984), pp. 2-52, soprattutto pp. 3-5. Anche G. CiNGaRI, Brigantaggio, proprietari e contadini ..., cit., passim, e soprattutto p. 113 contesta l'interpretazione del banditismo sociale di Hobs- bawm, Una messa in discussione approfondita delle tesi dello studioso ingle- se si trova in B. L. Moran, BI bandolerismo gallego en la primera mitad del siglo XIX, A Corufia, Edicios do Castro 1995, pp. 363-370. Un altro importante con- tributo alla discussione é stato fornito dal volume Bande armate, banditi, ban- ditismo e repressione di giustizia negli stati europei di antico regime, a cura di G. Orrattt, Roma, Jouvence 1986, che raccoglie gli atti del convegno omoni- ‘mo, tenutosi a Venezia dal 3 al 5 novembre 1985. 334 VETTORIO SCOTTI DOUGLAS Bisogna anzitutto avere chiara la differenza tra banditismo. e brigantaggio, giacché il banditismo era una situazione giuri dica, quella in cui si trovava chi appunto fosse stato “bandito”, espulso, allontanato, messo fuori - si diceva anche “fuorbandi- to” — dalla comunita di appartenenza per aver commesso un cri mine contro la stessa, fosse questo di carattere penale o politi co. Il bandito era privo di ogni tutela giuridica, né poteva rien- trare nel territorio di cui era stato cittadino, giacché in tal caso chiunque avrebbe potuto impunemente fare di lui o dei suoi beni cid che volesse. Nel momento in cui il bandito iniziava un’attivita criminosa, di furto, rapina, grassazione, abigeato 0 altro delitto, cosa che per lo pit avveniva in associazione con altre persone, si trasformava in brigante. Le due qualifiche ven- gono spesso usate indifferentemente nei testi dell’epoca, e pur- troppo anche oggi, a volte da parte di specialisti che si dovreb- bero presumere piti attenti ai problemi terminologici. E comundue accertato che gia dalla fine del XVII secolo il brigantaggio, non solo in Italia, é un male endemico in costan- te aumento contro cui le autorit& non risparmiano feroci e vel- leitari progetti legislativi né altrettanto feroci ma quasi sempre altrettanto velleitari tentativi di repressione. In Lombardia, ad esempio, si giunse a imporre nel 1756, ossia in un’epoca in cui si moriva di fame, di non seminare meliga o melgone lungo stra- dee siepi perché non vi si potessero nascondere i briganti.* La sempre crescente miseria aumentava il numero di coloro che le grida definivano di volta in volta: oziosi e malviventi; casarus ergo fur; pitocchi, bianti, e vagabondi; banditi, fuorusciti, bi banti oziosi; accattoni, mendicanti validi, birbi; banditi ¢ infe- stanti; alessandrini e pozzolaschi, briganti e contrabbandieri. A tutti costoro si aggiunse agli inizi del secolo XVIII una nuova categoria di illegali: i soldati disertori Ma da chi erano formate, in tempi per cosi dire “normali” le bande dei briganti? Il primo serbatoio di rechutamento del bri * G. SoLAVAGGIONE, Brigantaggio e contrabbando nella campagna lombar- da del settecento, «Nuova Rivista Storica», LIV (1970), fasc. FIT, pp. 23-49; fase ILIV, pp. 374-419, p. 46. * Ibidem, pp. 39-40. LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 335 gantaggio, e forse il pit! importante, é sempre stato quello delle popolazioni rurali in eccedenza. Le economie di tipo pastorale, localizzate per lo pitt nelle poco fertili zone di montagna, pre- sentavano costantemente una popolazione esuberante rispetto alle possibilita di lavoro, alla quale si aprivano poche vie di sboc- co: emigrazione stagionale, l’arruolamento militare, e infine le scorrerie e il brigantaggio. Il secondo serbatoio é costituito da tutti coloro che per diverse ragioni non erano integrati nella societa contadina. Tra questi marginali un posto rilevante era occupato dai disertori e dagli ex-militari, dai contrabbandieri, dai fuggiaschi dalle galere, insomma da tutti coloro che, senza padrone e senza terra, rappresentavano un pericolo per la sta- bilita della gerarchia sociale. A questi dobbiamo aggiungere, non erano molti, ma importanti per il ruolo dirigente che sp. so assunsero, coloro che non accettavano il ruolo sociale pa vo e umile del contadino sottoposto. E forse owvio, ma certo non inutile, sottolineare come in generale i {uorilegge, i briganti, fossero persone “prive di beni di fortuna”, ossia poveri.‘’ Si viveva in un mondo in cui, anche in tempi normali, i pochi possidenti crano assediati dai moltissimi non possidenti, e ne avevano paura.** Gia le autorita tendevano normalmente a presentare come briganti tutti gli oppositori e i “diversi”, come i vagabondiy; i fran- cesi poi fornirono nuove reclute alle bande brigantesche crimina- lizzando il vagabondaggio, che era andato aumentando paurosa- mente dalla seconda meta del XVIII secolo ed era divenuto uno dei maggiori motivi di allarme per i governi e i possidenti. Esistevano tuttavia dei vagabondi per cosi dire istituzionali, cioé legati ad atti- vit professionali necessariamente itineranti, come braccianti sta- gionali, pastori, raccoglitori di bachi da seta, venditori ambulanti, spazzacamini, carbonai, bottai, calzolai. Altre categorie non lega- teal territorio erano i mendicanti e i pellegrini. Costoro non erano, nella stragrande maggioranza, dediti ad attivita illecite e crimi- nali. Ma l’autorita napoleonica statuendo all’art. 269 del codice * Per un‘analisi del problema si veda JP. GuTToN, La societd e i poveri, Milano, Mondadori 1977, Introduzione et passim: * Cf J. A. Davis, Legge e ordine. Autorité e conflitti nell'Italia dell’800, Milano, Franco Angeli 1989, pp. 83-109. 336 VITFORIO SCOTTI DOUGLAS che «la qualité de vagabond est soi-méme un délit» invitd di fatto i vagabondi a trasformarsi in briganti, condizione che almeno avreb- be potuto fruttare loro qualcosa. Al tempo dell’occupazione fran- cese i] termine brigantaggio venne utilizzato indiscriminatamente per ogni forma di resistenza o di turbativa collettiva dell’ordine. Brigante @ poi anche chi non combatte in modo militare. Nicola Gagino, coscritto del dipartimento di Montenotte, scriven- do a casa dalla Spagna racconta : «Entrando in Portugallo li pae- sani facevano li briganti, la stessa cosa che abbiamo fatto noi quando i francesi sono entrati la prima volta in Piemonte».” Tuttavia osservatori piii attenti, come Pietro Colletta, cui pure da ufficiale di carriera ripugnava ogni tipo di guerra “irregolare” e che non era immune da pregiudizi di ceto e di classe, ci hanno lascia- to notazioni di estremo interesse, utili non solo a proposito dei bri- ganti meridionali ma anche a proposito delle insorgenze dell’epo- ca. Scrivendo di Fra Diavolo infatti,” Colletta nota che se costui fosse venuto in Calabria «con grande o piccolo stuolo di soldati a combattere con regole della milizia, fortunato era ammirabile, sventurato e preso era prigione», mentre invece cosi «gia assassi- no, di assassini capo, da assassino operando, in qualunque forma era infame e colpevole». Sembrerebbe una condanna senza appel- lo della guerriglia, ma poche righe pit: sotto troviamo una distin- zione di grande importanza: non bisogna confondere popolo armato e brigantaggio, «I’uno difenditore de’ suoi diritti, liberta indipendenza, opinioni, desiderato governo; altro fazione iniqua, motrice di guerre civili e di pubblico danno».*! ” Cfr. D. Presotto, Coscritti e disertori nel Dipartimento di Montenotte. Lettere ai familiari (1806-1814), Savona, Editrice Liguria 1990, p. 52 ® Su Fra Diavolo & sempre fondamentale lo studio di B. AMANTE, Fra Diavolo e il suo tempo (1796-1806), Firenze, Bemporad 1904. E poi necessario utilizzare il primo dei tre volumi di memorie del padre di Victor Hugo, il gene- rale J. L. Sigisbert Hugo, Mémoires du général Hugo, Paris, Ladvocat 1823. ° P Coutert, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, Capolago, Tipografia Elvetica 1836, II, libro VI, p. 43. Distinzione analoga troviamo anche in J. Rambaud, Naples sous Joseph Bonaparte... cit., pp. 103-104, e in una rela- Zione inedita del 1846 di P. CaLA UtoA, Della condizione politea degli Abruzzi, Aquila, 8 agosto 1846, Archivio di Stato di Napoli, Sezione Giustizia, fascio 271, citata in G. Cingari, Brigantaggio, proprietari e contadini... cit., pp. 92-93. LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 337 Come sempre accade in un periodo di instabilita sociale accentuata e quando i normali strumenti istituzionali di con- trollo (apparati polizieschi) alleggeriscono la pressione o la esercitano su altri obiettivi, il brigantaggio in quanto tale, ossia pura e semplice delinquenza, trovd un habitat fecondo nell'Italia del triennio, spesso utilizzando parole d’ordine e atteggiamenti che potevano far credere all’adesione delle bande a questa o quella delle parti in lotta, mentre in realta i briganti erano solo preoccupati di far soprattutto il proprio interesse. In alcune regioni, come in Piemonte e nelle Romagne, vi erano zone totalmente padroneggiate dai bri ganti.” Le formazioni brigantesche intrattengono con i contadini un rapporto ambiguo, giacché a volte i contadini sono spogliati dai briganti, altre volte ne sono protetti 0 aiutati: «Queste bande vaganti approfittano dell’opportunita onde presentarsi come gli amici e i protettori delle campagne...», e ancora «anziché mole- stare l’agricoltore ed il giornaliero, blandiscono questa clas pitt indigente col simulare un animo diretto a sollevarli dai pub- blici pesi...». ® E poi naturale che in quel periodo le bande dei briganti fossero, oltre che dai vagabondi, fortemente rimpolpate da disertori,*" anche francesi, e da renitenti alla leva, i quali spes- so sceglievano il brigantaggio come puro mezzo di soprawvi- ® Per le Romagne cfr. G. Manzons, Briganti in Romagna 1800-1815, Ravenna, Longo 1976; per il Piemonte M. RucGiERo, Briganti del Piemonte Napoleonico, Torino, Le Bouquiniste 1968. » Biblioteca Civica Verona, Mss. Scopoli, Dipartimento del Panaro, busta XIX-13, Memorie sullorigine e sullo stato attuale del brigantaggio nel diparti- mento del Reno, Panaro e Crostolo e sui mezzi onde estirparlo (1809). Citato in L. Pucci, Indagini sul brigantaggio..., cit., p. 285. + Sui disertori francesi, e in genere sul fenomeno della diserzione ¢ 'am- piezza che ebbe nel periodo napoleonico, sono fondamentali i due studi di A. Forrest, Conscript and Deserters, The Army and French Society during the Revolution and Empire, New York and Oxford, Oxford University Press 1989; IvEM, Soldiers of the French Revolution; Durham and London, Duke University Press 1990. 338 VITTORIO SCOTTI DOUGLAS venza.* Non deve quindi meravigliare se in alcuni casi si tro- vano esempi di alleanze temporanee tra contadini insorti e bande di briganti-disertori, che assumono la direzione militare delle operazioni. Ma, come abbiamo gia notato, appena ci si allontana da casa o si esce dalla propria vallata, i contadini tor- nano a casa e i briganti continuano da soli, per lo pitt sino al totale annientamento da parte delle forze della repressione. Anche la repressione, ossia i mezzi impiegati dai francesi per ristabilire lordine nei confronti dei briganti e delle popola- zioni insorte, attende di essere studiata in modo esaustivo. Innumerevoli furono infatti i massacri e le rappresaglie, con saccheggi, violenze e fucilazione di civili inermi, come nel caso di Balestrino (presso Loano). In Calabria poi, come del resto in tutto il Regno di Napoli, gli eccessi dei francesi furono spaven- tevoli. Un cronista contemporaneo di parte moderata, Carlo De Nicola, cosi annotava nel suo diario I’8 maggio 1799: «A futura memoria registro io aver saputo da persona venuta dalla Terra di Lavoro che la barbarie usata in quella dal furore militare fa disonore all'umanita».* Del resto Napoleone non aveva esitato, fin dal suo arrivo in Italia, a pretendere dai suoi generali la pit. severa repressione nei riguardi di chiunque si ribellasse, civile 0 ecclesiastico che fosse. Scrivendo da Milano il 18 nevoso del- Yanno V - ossia il 7 gennaio 1797 — al generale Rusca, incarica- to di reprimere i moti in Garfagnana, gli diceva che bisognava estirpare dai ribelli «le gotit de s‘insurger, sans quoi ce sera tous les jours A recommencer». Lo stesso giorno scriveva al generale * Cir, ad esempio J.-P. Fuupeint, Diserzione e brigantaggio nella Toscana napoleonica, «Rivista italiana di studi napoleonici», n. 26 (1989), pp. 125-143, p. 143: «Siamo dunque portati a condividere opinione di P. Lagarde: “La peur est pour bien plus que la malveillance dans les désertions des toscans; et alors leur brigandage, sans aucun but politique n'est qu'un moyen de vivre en cou- rant de coté ed d'autre pour échapper aux poursuites” » * C. Dr Nicota, Diario napoletano 1798-1825, Napoli, Societ’ Napo- Ietana di Storia Patria 1906. Ci serviamo dell'edizione del volume dedicato agli anni 1798-1800, unico ripubblicato, a cura di P. Ricci, Milano, Giordano 1963, p. 166. If Diario ® prezioso anche per le notizie sulla vicenda di Fra Diavolo ¢ in genere su tutto il periodo coperto. LE RESISTENZE POPOLARI ANTIFRANCESI 339 Vaubois: «Il faut que la punition des chefs principaux de la révolte soit éclatante».* Latteggiamento dei responsabili milita- ri francesi verso il clero & ben illustrato dalla circolare del gene- rale Landrieux ai parroci del Bergamasco, conniventi con i con- tadini insorti: La vostra condotta mi @ molto sospetta. La pitt parte di voi avete veduto a sangue freddo i vostri parrocchiani andare a farsi scan- nare. Voi li avete veduti muoversi a saccheggiar i loro vicini, vio- lare le vergini e commettere mille eccessi, Non solamente voi non li avete dissuasi, ma molti fra voi ve li avete incoraggiati. Si sono veduti dei preti, disonorando una religione santa, condur le pro- prie greggie al macello, facendo risonar l'aria di sacri cantici, Che orrore! Voi siete peggiori dei cannibali Vi awverto che se in qualche luogo del Bergamasco vi sara del movimento, io me la prenderd con voi. Il tempo della misericor- dia @ passato; io non perdono due volte. Se i vostri parrocchiani non resteranno tranquilli, vi giuro che vi fard impiccare.** Di uguale terribile portata le repressioni contro i civili. Bastera citare, per tutte, quella di Binasco (Pavia) insorta nel maggio 1796: il borgo venne dato alle fiamme e i morti tra la popolazione furono oltre cento. Vittime della repressione, dunque, ma ancor prima vittime della miseria.Un rapporto delle autorita di polizia conservato nelle Archives Nationales di Parigi ci conferma, in modo icastico, quale fosse il pitt autentico detonatore della rivolta. Parlando degli insor- tie della loro parola d’ordine il documento dice: «ils admettaient ceux qui répondaient a leur qui vive, par le mot, la faim».° ° N. Bonararte, Correspondance, publiée par ordre de I'Empereur Napoléon II, Paris, Imprimerie Nationale 1858-1870, 33 voll., II, n. 1545, 1546, pp. 283-284. SG, RoNcHETTI, Appunti manoscritti, (nella Bibl. Civica di Bergamo), pub- j integralmente in B. BELOTT!, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, cit. blica ®” Archives Nationales, Paris, AF IV, 1711/A, documento 2, Rapporto di Villa, Segretario Generale della Direzione di Polizia, Milano, 25 giugno 1809, (citato in M. Leonarpl, Linsorgenza del 1809..., cit., p. 445). 2 ea

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